Uomo, padre e artista. Una vita per il palcoscenico - DIMITRI - BPS Suisse
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DIMITRI ..................................................................................................................................................................................................................... Uomo, padre e artista. Una vita per il palcoscenico Testi di Maurizio Canetta, Nicoletta Ossanna Cavadini, Raffaele De Ritis, Masha Dimitri, Michele Fazioli, Patrick Ferla, Daniele Finzi Pasca, Raffaele Morelli, Florian Reichert
Dimitri ..................................................................................................................................................................................................................... II
Uomo, padre e artista. Una vita per il palcoscenico ..................................................................................................................................................................................................................... Introduzione Ci sono pochissime persone che conquistano il privilegio di essere conosciute solo con il nome. Müller, il cognome di Dimitri, nato ad Ascona nel 1935, è infatti presto sparito dalla memoria. Meglio così, perché un cognome comune non si addice a una persona straordinaria. Per tutti, nel mondo dell’arte e per il pubblico, lui è solo Dimitri. Un clown, certo, la cui presenza negli anni Settanta al circo Knie, emblema nazionale, ha segnato intere generazioni di svizzeri, ma anche mille altre cose: pittore, mimo, promotore culturale, fondatore di una scuola a Verscio che è diventata un punto di riferimento internazionale. Dimitri proviene da una famiglia nella quale l’arte scorreva nelle vene di tutti i suoi componenti. Suo padre Werner era architetto, scultore e pittore, mentre sua madre Maja fabbricava sculture di stoffa. E la famiglia è una costante nella vita di Dimitri. La moglie Gunda è stata la sua collaboratrice e sodale più assidua e importante, tre dei cinque figli hanno respirato la polvere del palcoscenico in ogni momento della loro vita e continuano a portare nel mondo i suoi gesti, la sua espressività, la sua poesia. Quando era riunita sul palcoscenico, la famiglia Dimitri trasmetteva la gioia di essere insieme e di darsi al pubblico in modo totale. C’è un fluido che passa e trasforma i ricordi di quegli spettacoli in bolle di sapone che affascinano, ma non si dissolvono, e restano nel profondo dell’animo. Da Ascona ad Ascona, il cerchio della vita di Dimitri si è chiuso a 80 anni il giorno dopo uno spettacolo dal titolo Sogni di un’altra vita, quasi un presagio, che ha interpretato in un luogo magico come il suo modo di stare in scena, il Monte Verità. Nulla accade per caso. Nel cerchio stupendo della vita e della carriera di Dimitri ci sono le lezioni di Étienne Decroux e Marcel Marceau, due mimi che hanno fatto la storia, ci sono le esperienze circensi, faticose e struggenti, quelle teatrali, c’è la capacità di costruire uno spettacolo con gesti, acrobazie, strumenti e musica. Dimitri era un artista completo, coraggioso, puro. La sua cifra era la semplicità, una semplicità apparente, perché dietro la poesia di un piccolo gesto c’erano allenamento, studio intenso, ricerca della perfezione. Ha avuto la forza e il coraggio, insieme alla moglie Gunda, di trasferirsi in un piccolo comune come Verscio e fondare un teatro, poi una scuola, poi un museo comico (creato insieme ad Harald Szeemann, uno dei maggiori curatori di mostre d’arte del suo tempo), perché ha voluto imprimere la dignità dell’arte a un modo di fare teatro che molti considerano a torto solo divertente. Dimitri ha vissuto profondamente anche il mondo reale tanto che per lui la difesa dei deboli era un dovere; per esempio, si è sempre schierato a favore dei migranti, di coloro che sognavano e sognano un’altra vita. Lui era un clown nell’anima e diceva che il clown «è un eterno cercatore, rincorre la felicità, la gioia, l’ingenuità». Sono le sensazioni che ha trasmesso al pubblico di tutto il mondo. Chi lo vedeva, ad ogni età, rapito, tornava bambino. È il sogno di ogni artista, Dimitri lo ha realizzato. A pagina I: L’espressivo e inconfondibile volto Maurizio Canetta di Dimitri, 2010. Giornalista, già Direttore della RSI A sinistra: Così Dimitri accoglieva il pubblico nel suo secondo programma da solista dal titolo Teatro, 1982. III
Uomo, padre e artista. Una vita per il palcoscenico ..................................................................................................................................................................................................................... I clown non muoiono mai di Patrick Ferla* A sinistra: Alcuni Maestri di Dimitri. A sinistra una foto di Grock, sulla destra uno scorcio del manifesto di Maïss. Al centro e in basso alcuni oggetti che ha ricevuto in dono o che ha trovato in giro per il mondo. In questa pagina: Mentre prova con la mucca Belinda per uno spettacolo con il circo Knie, 1973.
Dimitri ..................................................................................................................................................................................................................... Per più di sessant’anni, Dimitri è stato e incontra Marcel Marceau, diventando clown, mago dell’arte del movimento, regi- membro della sua compagnia. sta, autore, cantante e pittore, incantando il Il 14 luglio 1959 viene ingaggiato come clown mondo intero, al di qua e al di là dell’oceano. professionista al fianco del “clown bianco” 1 Venne alla luce – «colla camicia!» – ad Asco- Maïss, al circo Medrano. In quell’anno vede na il 18 settembre 1935, nella casa dei ge- la luce la prima versione del suo spettaco- nitori, proprio di fronte al teatro delle ma- lo Porteur. Dieci anni più tardi, Fredy Knie rionette che avrebbe accolto la sua prima senior lo invita a esibirsi al circo Knie, dove produzione. «Quando ancora ero in culla,» tornerà anche nel 1973 e nel 1979. Nel 1970, mi confidò un giorno, in tournée, dove compare al fianco dell’ele- fantessa Sandri, è accompagnato dalla mo- glie Gunda e dai quattro figli, Masha, Nina, David e Ivan. Primo clown a inserire il teatro nel circo e il circo nel teatro, Dimitri ha dato vita a pezzi da solista – tra cui Ritratto, del 1987 – che gli hanno permesso di narrare situazioni vis- sute o osservate in prima persona. «Mentre le racconto, il pubblico proietta sul mio spettacolo i frutti della propria immaginazione, s’inventa dei sogni (…). La magia della scena dipende dal fatto che in questo luogo si crea un mondo di illusione, spesso più reale della realtà stessa, più reale della vita.» 1 Nella tradizione circense occidentale si di- stinguono due figure di clown: il “bianco” e «un pacchetto mi cadde sul naso (per l’“augusto”, in netto contrasto fra loro. Il “bianco” quello è storto). Con l’aiuto di mia ma- è dispotico, rigoroso, pignolo, concreto (è vestito dre aprii quel piccolo involto, che era di bianco e con il cappello a punta); l’“augusto”, parecchio pesante. All’interno c’era invece, è maldestro, confusionario e stralunato molta carta e, sul fondo, una porzione di (indossa abiti larghi ed enormi scarpe). comicità». Una porzione di comicità: niente di più ov- vio per questo cacciatore di sogni che, a set- te anni, assisteva entusiasta all’esibizione del clown Andreff al circo Knie. La decisio- ne era presa, sarebbe diventato un clown, ambasciatore di bellezza e d’assoluto, testi- mone e interprete per tutta la sua vita di un mondo gioioso e fraterno possibile. Figlio di uno scultore, Werner Jakob Müller, Il piccolo Dimitri e di una tessitrice, Maja, Dimitri comincia a con il padre e la sorella Rosmarie al 16 anni un apprendistato da vasaio a Berna. carnevale di Ascona, Allo stesso tempo, però, segue corsi di tea- 1938. tro e musica. Dopo aver lavorato come tor- A destra: nitore presso il ceramista Georges Jouve a Mentre osserva le sculture del padre, Aix-en-Provence, si reca a Parigi, dove si av- Ascona, 1955. vicina alla pantomima con Étienne Decroux VI
Uomo, padre e artista. Una vita per il palcoscenico ..................................................................................................................................................................................................................... Più reale della vita, come la pièce che nel 1978 gli viene commissionata dalle Berli- ner Festwochen, Il clown è morto, evviva il clown!, storia di un clown che muore e al quale succede un altro clown. Questo spet- tacolo, prima produzione della Compagnia Teatro Dimitri, viene messo in scena con i giovani diplomati della sua scuola. Dimitri, infatti, cittadino del mondo atten- to a trasmettere il proprio messaggio, apre con Gunda a Verscio il Teatro Dimitri (1971), poi l’Accademia Teatro Dimitri (1975) e, nel 2000, il Museo Comico. Attore ne La Der- nière Bande di Samuel Beckett nel 2005, Dimitri lavora anche per l’opera, firma numerosi allestimenti, tra cui tre al circo *Patrick Ferla Monti e, al Bremer Theater, quello de La Giornalista e presidente del Prix du Public finta giardiniera di Mozart nel 1991. Mozart della RTS (Radio Télévision Suisse) è anche il titolo di una delle creazioni che ha ideato per la sua compagnia, in cui interpre- tava il doppio ruolo di Mozart e Arlecchino. Dimitri se ne va il 19 luglio 2016. Il giorno prima era ancora in scena con DimiTRI- generations, lo spettacolo che vede riunita tutta la sua famiglia. Dimitri lo sapeva: «I clown non muoiono mai, perché rimangono nella memoria della gente». In alto: Durante lo spettacolo Ritratto, il terzo programma da solista, 2004. Dimitri con il cast dello spettacolo Il clown è morto, evviva il clown! durante le prove a Verscio nel luglio 1978. Lo spettacolo sarà premiato al Berliner Festspiele il 15 settembre dello stesso anno. VII
Uomo, padre e artista. Una vita per il palcoscenico ..................................................................................................................................................................................................................... Gunda, Gundamour di Patrick Ferla A sinistra: Gunda, giovane e bellissima, indossa gioielli da lei realizzati, 1955. In questa pagina: Dimitri e Gunda ad Amsterdam, 1962.
Dimitri ..................................................................................................................................................................................................................... Due. 1952. Dimitri, sempre innamorato di Gunda. Breve incontro ad Ascona. Senza futuro. Tre. Dimitri recita per tre mesi al Theater am Hechtplatz di Zurigo. Gunda è in sala. È catturata dallo spettacolo, e anche dall’uo- mo. È il debutto della loro storia d’amore. «Il giorno più bello e più grande della mia vita.» Nell’aria una melodia di Bach, e pro- fumo di caprifoglio. Gunda, che sposa Dimitri con rito civile il 2 novembre 1961, è incinta di Ivan. Il bam- Ho un ricordo di Gunda e Dimitri a cola- bino nasce il 29 marzo dell’anno successi- zione. Entrambi in piedi all’alba. Il sole vo. Oggi lavora come ingegnere nell’ambito che bagna con i suoi raggi obliqui il grande della comunicazione per il CICR (Comitato giardino della loro casa, in località Cadan- Internazionale della Croce Rossa). Nell’an- za, nel cuore delle Centovalli. Una natura no della nascita di Masha (1964), Dimitri e selvaggia, popolata di sculture di elefanti, Gunda si sposano secondo il rito della co- una delle passioni di Dimitri insieme alle munità cristiana antroposofica1 a Parigi. maschere. Come Ivan, anche gli altri figli nasceranno Sul tavolo della cucina, tutto è bio. Prima tutti nel mese di marzo: David il 7 mar- ancora che si sappia cos’è, il bio. Tè, cereali, zo 1963, Masha il 23 marzo 1964 e Nina il frutta. 27 marzo 1966. Diventeranno tutti e tre Quella mattina, come tutte le mattine, pro- artisti: David, solista a tutto campo con il gettano insieme la giornata. Lui, che sento suo L’homme cirque, Masha, acrobata, fu- cantare, suonare la chitarra, la fisarmonica nambola e clown, Nina, cantante e attrice e il sassofono, prova per ore nel suo studio. insieme a Silvana Gargiulo. A loro si ag- Gunda, invece, si reca al teatro, all’Accade- giunge Mathias, nato il 18 febbraio 1956 dal mia Teatro e al suo atelier. Sempre pronta primo matrimonio di Gunda, anche lui da a cogliere il minimo dettaglio, la promessa sempre parte integrante della famiglia. Di dello spettacolo che ancora deve vedere la professione è designer. luce, a dare ospitalità agli artisti. 1 L’antroposofia è una dottrina che venne idea- «Le è sembrato strano sposare un ta e diffusa dal dottor Rudolf Steiner (1861-1925). clown?», le chiedevano spesso. Invaria- Considera la realtà universale come una ma- bilmente, Gunda rideva e rispondeva: nifestazione divina in continua evoluzione, per «No, per niente.» la quale la terra, il sistema planetario e l’uomo stesso sono il risultato di precedenti esistenze e Uno, due, tre. Gunda, la donna della sua vita. trasformazioni. Dimitri la rappresenta in Gundamour, un dipinto pubblicato in un bel libro del 2005, Dimitri, Clown Fantasy. Uno. A dodici anni, durante una colonia estiva a Morgins, piccolo villaggio nel Can- ton Vallese, Dimitri conosce Gunda e se ne In alto: innamora segretamente. Amore non corri- Gunda e Dimitri, sposto. Cadanza, 2010 ca. Tre anni dopo – sarà un presagio? – Dimitri A destra: chiede a sua madre di regalargli un anello Gunda e Dimitri con i figli. Da sinistra, realizzato da Jenö Salgo. Ivan, Nina (in braccio È il padre di Gunda: di origine ungherese, a Gunda), David e Masha, Cadanza, scultore in legno, orafo e creatore di gioielli anni Settanta. a Zurigo. X
Uomo, padre e artista. Una vita per il palcoscenico ..................................................................................................................................................................................................................... La famiglia, faro di riferimento nella vita di accoglieva novantanove spettatori – oggi Gunda. Che non ha mai esitato a ingrandir- duecento – e che dal 1971 avrebbe ospitato la. Nel 1973, dopo il colpo di Stato di Pino- tanti eccezionali artisti: i Mummenschanz, chet, accoglie una famiglia cilena. In totale i Colombaioni, Gianni Esposito, Franz accordo, la coppia denuncia pubblicamente Hohler, il mimo René Quellet, Zouc, Pierre la xenofobia strisciante che si diffonde nel Byland e Philippe Gaulier, Peter Wyssbrod, nostro Paese e condanna il trattamento ri- Marco Zappa, gli scrittori Günther Grass servato ai rifugiati. Della famiglia allargata e Giovanni Orelli, per citarne solo alcuni. fanno parte anche gli amici, Max Frisch, Questa avventura, che ancora continua, co- Jean Tinguely, Franz Hohler, Roberto Mag- niuga oggi la tradizione degli inizi con un’of- gini e tanti altri che hanno il privilegio di ferta culturale in linea con i tempi. gustare il suo famoso risotto. Poi, a seguire, c’è stata la fondazione dell’Accademia Teatro Dimitri nel 1975, uno dei quattro atenei di teatro e arte del mo- vimento esistenti in Svizzera, e quella del Museo Comico, allestito da Harald Szee- mann, nel 2000. Gunda ha diretto personal- mente queste istituzioni per diversi anni. Tre progetti folli trasformati in realtà a Verscio, piccola frazione di Terre di Pede- monte, per i quali di volta in volta è stato necessario reperire i fondi necessari. La battaglia di una madre coraggio. Creatrice di costumi e scenografie per le pièce teatrali di suo marito e della sua com- pagnia, Gunda, nel segreto del suo atelier, Nata a Basilea nel 1934 da una coppia di realizza anche gioielli e anelli. Ha un ap- artisti, Gunda trascorre l’infanzia e l’adole- proccio artistico peculiare, che va al di là scenza a Zurigo, poi, ancora molto giovane, della semplice preoccupazione estetica, e lavora come ceramista in Danimarca. Nel che la vede imprimere nelle sue opere, poe- laboratorio di suo padre, Jenö Salgo, si ac- tiche e stravaganti, la testimonianza di pic- costa all’arte orafa, ma segue anche corsi in cole scene rubate alla vita quotidiana. una scuola di arte drammatica. In occasione di una mostra tenutasi nel Per Gunda, viso da Madonna illuminato 2000 alla galleria Stellanove di Mendrisio, da occhi chiari e vivaci, il teatro e la sce- in cui furono esposte sia opere di Gunda na non avevano segreti. Ma non lo lasciava sia di Dimitri – il quale si definiva il “clown- trasparire. che-dipinge” – , il compianto Riccardo Ca- Dotata di una formidabile energia creatri- razzetti, direttore dei servizi culturali della ce, di un fiero spirito d’indipendenza, pron- città di Locarno, scriveva: ta a sfidare le tempeste – e non sono manca- te! – non è mai stata la “moglie di” Dimitri e ha rappresentato per lui ben più della sua musa ispiratrice: è stata colei che ha reso possibile tutto, o quasi. Il punto era che lei aveva fede in lui, e in se Dimitri con i quattro figli della coppia stessa. Se anche le assenze di Dimitri, che cilena fuggita dal girava tutto il mondo con le sue tournée, le proprio Paese dopo il colpo di Stato di sono pesate – «spesso nove mesi erano vera- Pinochet, Cadanza, mente lunghi da passare, a volte lo raggiun- 1974. gevo…» – lei ha saputo tessere con pazienza A destra: il seguito della loro storia. Con l’apertura, Uno degli originali paraventi realizzati esattamente cinquant’anni fa, del Teatro da Gunda. Dimitri. Una piccola sala che all’origine XI
Dimitri ..................................................................................................................................................................................................................... XII
Uomo, padre e artista. Una vita per il palcoscenico ..................................................................................................................................................................................................................... l’ambizione di restituire l’incanto al mondo. Sabato 16 maggio 2020, in piena pandemia di Covid-19 – mentre i teatri sono chiusi e il tempo delle maschere, quelle della com- media, si è fermato – Gunda fa una breve passeggiata in riva al lago con alcuni ami- ci. È una bella signora persa nei suoi sogni. Ormai da mesi, sua figlia Masha è sempre al suo fianco. Di ritorno a casa, le due stanno preparando dei biscotti quando all’improvviso Gunda si accascia sulla spalla della figlia. Alla stam- pa, Masha dirà che sua madre si è spenta «mentre si leccava l’impasto dalle dita». «Gunda lavora il metallo – argento op- pure oro – e lo abbina a materiali poveri o semipreziosi – pietre, pezzi di corno, ebano. Come una maga, compone, crea gioielli-scultura che assomigliano ai frammenti di una storia. Forse si tratta dei ricordi tuttora conservati dai muri della vecchia osteria in cui vive insieme a Dimitri; brani di canzoni popolari o avventure raccontate dagli emigranti o, più semplicemente, pezzi di vita di povera gente. Gunda sembra percepire l’incanto di una vita passata, l’incanto della Natura che si rivela». Qualche giorno dopo la scomparsa di Dimi- Sulla morte, Gunda e Dimitri la pensavano tri, il 19 luglio 2016, Gunda mi ha regalato allo stesso modo. Lei diceva che la morte è un dipinto su carta che rappresentava un solo «una nascita al contrario: si muore, si grande cielo blu. Promessa di albe future. abbandona il corpo ed ecco che si rinasce Vi intravedo un balletto di fate, alle quali il nell’altro mondo. In fin dei conti, la morte mio amico credeva fermamente. non è niente di così triste». «Quando verrà il tempo in cui il mondo Patrick Ferla non avrà più bisogno dei clown, quan- do verrà il tempo in cui saremo spariti, quando verrà questo tempo che tanto temo, allora per la Terra verrà un tem- po molto triste. Molto triste e materia- lista, un tempo molto razionale e molto A sinistra: freddo e molto sterile e anche molto cal- In questo ritratto colato; mi viene quasi voglia di dire un Gunda indossa uno dei suoi gioielli in tempo demoniaco.» argento. Anello ideato e Così mi diceva Dimitri nel piccolo ristoran- realizzato da Gunda te del Teatro, dopo uno dei suoi spettacoli 2. con la maestria che fu di suo padre, Gunda lo ascoltava, pensierosa, e stringeva 2008. forte la mano di questo clown che aveva Dimitri abbraccia Gunda con grande 2 Patrick Ferla (a cura di), Dimitri, clown, affetto per i suoi Ed. Favre, Lausanne 1979. 80 anni, 2014. XIII
Uomo, padre e artista. Una vita per il palcoscenico ..................................................................................................................................................................................................................... L’uomo dalle scarpe spaiate di Daniele Finzi Pasca* A sinistra: Dimitri in equilibrio su una cassa nello spettacolo Porteur, Teatro Dimitri, Verscio, 1975. In questa pagina: Dimitri raccoglie l’acqua nel suo teatro dopo un’alluvione, Verscio, 22 agosto 1977.
Dimitri ..................................................................................................................................................................................................................... il restare appeso alla coda di un elefante appartengono alla vita e al cuore dei noma- di, mentre i sedentari sanno far funzionare una scuola e un teatro. Sono sogni che al principio vengono tenuti in piedi con spago e colla e solo grazie a costanza, follia e tanto amore possono nel tempo consolidarsi, di- ventando negli anni un punto di riferimen- to e poi un’istituzione. Ci vogliono visionari per costruire certi progetti che a raccontar- li sembrano fatti di idee evanescenti, appog- giate alle nuvole, materia colma di buchi da riempiere di materia solida. I sogni hanno la pelle fragile come quella che avviluppa le bolle di sapone; per riuscire a renderli possibili ci vuole una dose di incoscienza e l’entusiasmo dei bambini uniti alla maestria di ingegneri capaci di scavare fondazioni e mettere su mura coperte da tetti. La gente di teatro è abituata a progettare Il nostro è un mestiere di nomadi. Chi lavo- ponti tra culture, etiche e filosofie diverse. ra nei circhi si abitua alla vita nei carrozzo- Costruiamo collegamenti tra pensieri fatti ni, al montare e smontare accampamenti… di cristallo, di poesia e d’amore. Non pos- chi fonda un teatro e una scuola mette in- siamo però compiere queste imprese senza vece radici, stabilità in perenne equilibrio, unirci alla concretezza di chi invece è abi- perché una scuola di teatro è una nave tuato a maneggiare l’acciaio, il calcestruzzo sempre esposta alle correnti, alle tempeste e sa riempire formulari, dialogare con le e alle bonacce. C’è chi calza scarpe affini, istituzioni, parlare la lingua dei funzionari. una per piede, gemelle tra loro e va per i Da queste virtuose collaborazioni nascono fatti suoi. Altri scalano montagne e attra- e prendono forma le idee fatte di nuvole, versano la vita infilando calzature spaiate, le stesse nuvole che gli artisti nomadi se- di colori contrastanti, di natura e funzioni guono alla ricerca di terre propizie per la discrepanti… il viaggio è lo stesso, ma vie- caccia alle intuizioni, nuvole che gli artisti ne affrontato continuando a rimbalzare sedentari ripongono nel vuoto da riempire tra leggerezze differenti. Credo che Dimi- di immagini, vuoto che costituisce l’essenza tri appartenesse proprio a questa seconda di ogni palcoscenico. categoria di avventurieri. Era nomade e se- Dimitri conosceva il valore di entrambe le dentario allo stesso tempo; viveva come se scelte di vita e l’acqua l’ha inseguita rincor- la vita fosse una perenne tournée, ma allo rendola, spostandosi da teatro a teatro e stesso tempo ha costruito una scuola e un l’acqua l’ha cercata scavando un gigantesco teatro, edifici di pietra che contrastano con l’evanescenza della vita gitana e la levità propria agli chapiteaux dei circhi. Il nostro mestiere abbraccia la vita delle Armato di scala e nostre famiglie e ne crea di nuove usando pennello, dà gli ultimi la forza aggregante dell’amicizia e della ritocchi al suo teatro, Verscio, luglio 1971. passione. Dimitri ha avuto Gunda e lei ha avuto lui e insieme hanno creato attorno a A destra: Dimitri sul taxi con loro una tribù che ha accolto e formato nel il quale aveva creato suo interno modi apparentemente contrad- un numero con i figli per il circo Knie, dittori di vivere il teatro, il circo e l’arte in 1973. generale. Il viaggio, l’odore della segatura, XVI
Uomo, padre e artista. Una vita per il palcoscenico ..................................................................................................................................................................................................................... e della tenera capacità di inciampare negli oggetti. Inghiottiva palline e dialogava con il pubblico usando lingue inventate o, meglio ancora, la somma di varie lingue universa- li. La sua arte ha preso forma grazie a una disciplina precisa, appresa da Maestri che lo hanno introdotto a tecniche rigorose. Ha poi collaborato con artisti che lo hanno reso duttile e sorprendente, sempre dolcemente in equilibrio tra una garbata melanconia e la risata che cura. Ha poi affinato una per- sonale forma di costruire e scrivere per il teatro e poi ha immaginato che quanto ave- va appreso e scoperto andasse trasmesso e perpetuato. Insegnare è un gesto generoso, bisogna dedicarsi agli altri, occuparsi delle altrui incertezze, bisogna saper far emergere il talento, addomesticarlo, guidarlo, spinger- lo e provocarlo. Bisogna sedersi ore e ore pozzo in quel di Verscio. Che dei nomadi a osservare tentativi falliti, cadute goffe, possano provare a mettere radici costruen- note stonate in attesa che l’intuizione sboc- do un teatro e una scuola in un villaggio ci improvvisamente. Ci vogliono il metodo e perso in una valle piccola e stretta è cer- la disciplina di chi coltiva la terra e fa cre- tamente un’idea meravigliosamente incoe- scere i fiori attaccati alle braccia di piante rente, è un gesto poetico piccolo e sublime, che un giorno si caricheranno di frutti e un’intuizione che solo un artista speciale poi nuovamente di fiori. Ci vuole il ritmo poteva sognare. di chi lavora la terra per far funzionare una scuola. Altra vita è invece quella di chi Per realizzare questa impresa era neces- naviga tra un teatro e l’altro e si abitua a sario il genio di menti brillanti, capaci di danzare in mari differenti. Pubblici diversi, spiegare a chi ragiona in termini pratici, palcoscenici che ogni notte scricchiolano in pragmatici e realistici l’ideale folle dei fol- punti anomali e sorprendenti. Letti di hotel li. La follia di cui ci occupiamo è quella dei duri, molli, duriduri, mollimolli. Ristoranti poeti che danno forma al bisogno di inven- buoni, ristoranti mediocri, camerini pieni tare nuovi colori, nuovi suoni, gente capace di luce e altri senza nemmeno una doccia di creare parole mai esistite e mai immagi- dove scrollarsi di dosso la polvere e il sudo- nate. È la stessa follia che abita l’anima dei re accumulati dopo ore passate a danzare fisici e dei matematici che cercano soluzioni in proscenio, davanti a un dragone pieno eleganti a quesiti tanto astratti come l’origi- d’occhi e di bocche sorridenti che i tecnici ne dell’universo. Chi vuole inventare qual- cosa si esprime usando frasi piene di spazi vuoti, di pause e di allusioni. Esprimere l’in- compiutezza obbliga a usare l’incertezza. Così si finisce per balbettare provando ad alludere a un futuro ricordato o inventando un passato tutto da costruire. La “maschera” di Dimitri, 1970. Dimitri recitava spesso il silenzio, o colorava A destra: il silenzio con il suono di strumenti suonati Scena tratta da in modo originale a cui rispondevano come Teatro, il secondo programma da un’eco le risate del pubblico. Era un mae- solista, 1982. stro dell’equilibrio, del sorriso splendente XVII
Dimitri ..................................................................................................................................................................................................................... XVIII
Uomo, padre e artista. Una vita per il palcoscenico ..................................................................................................................................................................................................................... chiamano pubblico. Caricare i furgoni sotto quel bel modo di affrontare l’arte e la cono- la pioggia, perdersi e ritrovarsi, arrivare in scenza tipiche del Rinascimento, quando ritardo o troppo puntuale. Ritrovare amici, ci si allenava a praticare tanto e tutto, sen- teatri visitati tante volte, lo stesso came- za porsi limiti, specialisti nel misurarsi in rino, la stessa zuppa, la stessa felicità. Chi territori diversi del sapere e della tecnica, viaggia scavalca le Alpi e resta bloccato di dell’arte e della conoscenza. Specialisti di là, dall’altra parte perché la neve ha coperto nulla o specialisti di tutto. tutto. Si va anche più lontano, lontanissimo dove nemmeno ci sono appigli per provare Quando incontravo Dimitri mi chiedeva a imbastire un minimo di conversazione. sempre: «… allora… come va?», e poi sorri- deva come un bambino saggio perché sape- Dimitri calzava scarpe spaiate, un piede va che tutto quello che proviamo a costrui- era nomade e l’altro sedentario, ma non re sulla scena o nella pista di un circo non è perché fosse un originale, un clown. Di- altro che il balbettante tentativo di rispon- mitri sognava contemporaneamente cose dere a questa sua domanda. diverse e vedeva il mondo del fare teatro in forma del tutto originale, non facile da ca- *Daniele Finzi Pasca pire. Amava l’improvvisazione, che era per Regista, coreografo, lui un metodo di scrittura con cui scolpiva designer di luci e attore le immagini dei suoi spettacoli costruen- doli a colpi di idee. Successivamente di- ventava preciso come un musicista educa- to alla perfezione e sulla scena si muoveva con esattezza, calibro e misure misurate mille volte. Per capirlo bisogna adeguarsi a questa sua splendente forma di osservare la vita sempre rappresentata in modo leggero e scientemente ingenuo, trasognato. Così anche le differenze tra il mondo del circo e quello del teatro devono sfumarsi e lascia- re spazio a un modo di vedere le cose che gli era proprio. Ci aiutano i suoi dipinti, il suo collezionare elefanti e l’eco della sua arte che risuona intatta nel lavoro di altri artisti a cui ha saputo trasmettere piccoli e grandi segreti. Dimitri calzava scarpe spaiate, era un equi- librista, un mago, un clown e tante altre belle cose che lo hanno reso unico, diabo- lico e angelico allo stesso tempo, infantile e tremendamente sicuro e certo delle sue intuizioni, che amava descrivere in modo volutamente sfuocato. Viviamo in un tempo dove tutti siamo in- vitati a specializzarci. Spariscono i medici di famiglia e al loro posto appare un mare di medici che curano chi solo il fegato, altri solo i polmoni, altri le orecchie o gli alluci. Le stagioni teatrali fanno differenze e clas- sificazioni sempre più precise e il fare tea- Dimitri, Hommage a Chaplin, tecnica tro si divide in sottogruppi, famiglie sempre mista, 2005. più frammentate. Dimitri invece incarnava XIX
Uomo, padre e artista. Una vita per il palcoscenico ..................................................................................................................................................................................................................... La poesia muta di Dimitri di Michele Fazioli* A sinistra: Durante una delle sue più note performance con una sedia a sdraio, 1960. In questa pagina: Dimitri con la sua macchina fotografica durante uno spettacolo, Zurigo, 1962.
Dimitri ..................................................................................................................................................................................................................... Come accade spesso per i grandi artisti termine. Se per poesia si intende una sin- del volto e del corpo (e quindi di tutta la tesi ineffabile ed essenziale di parole unite persona, dell’animo stesso), anche per Di- in una loro armonia, in un moto, in un ritmo mitri accadeva che fosse talvolta difficile per diventare linguaggio espressivo di sen- scindere e separare bene la persona vera timenti, tensioni, ideali, drammi, memoria, dal personaggio classico interpretato per senso, allora si può ben dire che la ricchez- anni. Esiste una ineffabile commistione fra za dei gesti del corpo e del volto dell’arti- la fisionomia di un creatore e quella della sta Dimitri erano l’espressione innegabile sua creatura scenica. Un esempio per tut- di una poesia muta, vale a dire che Dimitri ti, il grande Chaplin: la simpatia sorridente parlava non con le parole ma con tutta la della sua intelligenza fisionomica si sovrap- complessità ricchissima della sua fisicità. poneva spesso, nella percezione del pubbli- La mia prima memoria di Dimitri in scena co, all’immagine nitida del suo personaggio risale alla sua prima partecipazione a una più famoso e storico, lo svagato vagabondo tournée del circo Knie. Erano i primi anni Charlot. Con Dimitri succedeva lo stesso: Settanta, eravamo abituati ai pur mirabili l’aprirsi largo, buono e arrendevole del suo e spesso geniali clown classici, quasi sem- sorriso di uomo vero si mescolava inevita- pre nella collaudata e storica coppia del- bilmente, sulla rétina di chi lo vedeva, con l’“augusto” e del “clown bianco”. Scoprim- la faccia ridente o corrucciata o stupita o mo invece un omino esile, sulle prime goffo ammiccante della sua celebre creatura nei passi e nella timidezza (ma poi, si sareb- clownesca. Poi naturalmente sappiamo be visto, snodato e pirotecnico nello spet- bene che l’uomo creatore si distingue dai tacolo del corpo creativo). Era già allora il personaggi da lui creati (e ciò vale in ge- clown Dimitri tutto compiuto, inconfondi- nerale, per esempio e soprattutto, anche bile: calze rosse, giacca verde-beige, faccia per gli scrittori). Eppure, a pensarci bene, dipinta, sopracciglia ad accento circonfles- se un creatore insuffla nel suo personaggio so, zazzera a tazza, bocca tirata in un rigo una pienezza di accenti e di vita inventata, oppure dilatata nel sorriso enorme, indifeso non può che trasmettergli anche una parte e seduttore. Quella era la fisionomia ecce- di sé, non può che affidargli materiali psico- zionale che sarebbe stata la maschera per logici e morali tratti dalla propria esperien- eccellenza degli ultimi cinquant’anni per il za, forse anche inconsciamente. Nel caso Ticino e per la Svizzera, il volto del saltim- di Dimitri, era facile decifrare sul suo volto banco, clown e acrobata delle nostre risate di uomo sia l’inconfondibile fisionomia del giovanili, del sorriso adulto, della riflessione suo personaggio creato, sia anche rintocchi seria che sta dietro a ogni ammiccamento della tenera goffaggine e della disarmata comico d’artista. Di quella prima apparizio- ingenuità di fronte alla realtà che si poteva- ne di Dimitri al circo (ma lui nel frattempo no leggere nel viso e nelle movenze del suo già si era affermato in Svizzera e nel mon- Con l’amico clown. Questa è una mia prima riflessione. do come un grande mimo e clown) ho un Michele Fazioli Un’altra riguarda la percezione di una ana- ricordo nitido sopra molti, ed è qui che l’ag- durante un’intervista al Teatro del Gatto, logia sottile ma solida fra Dimitri e la poe- gettivo “poetico”, spogliato di retorica ma Ascona, 2011. sia, in una accezione vasta e allargata del ricondotto al suo vero senso, mi era venuto XXII
Uomo, padre e artista. Una vita per il palcoscenico ..................................................................................................................................................................................................................... e mi viene alla mente. Ecco dunque Dimitri vestito come sempre, dinoccolato e snoda- inseguire con scopa e paletta, in un’arena to come sempre, il vecchio e giovanissimo buia in cui soltanto lui è illuminato, una Dimitri riepilogava se stesso, incantando il pallina di luce mobile che gli scappa via. pubblico. Ritrovavamo la sua bravura ec- La pallina di luce (un piccolo dischetto pro- cezionale, a 75 anni lui restava abilissimo iettato dall’alto) corre indisciplinata, si na- nelle piccole acrobazie (irresistibile la sua sconde sotto il tappeto e riappare, e ogni- battaglia con la sedia a sdraio), nel virtuo- qualvolta Dimitri sta diligentemente per sismo musicale, nella mobilità plastica del raccoglierla nella paletta, la lucina guizza corpo. E, ancora e sempre, Dimitri faceva via, beffarda, e il clown si spazientisce, la aleggiare sul pubblico la “poesia” delicata, rincorre, la acciuffa, la riperde. In quell’o- complice e intenerita delle sue trovate. E mino sbuffante, speranzoso e deluso, che la faccia unica, inconfondibile, ormai quasi insegue nell’oscurità una piccola luce inaf- un marchio svizzero come la balestra e il ferrabile, vidi allora l’immagine semplice e coltellino. Il viso mobilissimo del clown Di- intensa, scenica e interiore, dell’uomo che mitri è lo stupore del bambino, il candore gioca ma che anche cerca, insegue sogni e dell’innocente, la furbizia mite del semplice ideali e il senso e il nòcciolo delle cose. Poe- che cerca di eludere il male con l’incanto, la sia muta del gesto. commozione delle piccole cose nobilitate. E Poi naturalmente i ricordi si affastellano il bello è che nella finzione dello spettaco- perché ho rivisto Dimitri in altri momenti e lo Dimitri non aveva più 75 anni, aveva la scene, in spettacoli solitari e in compagnia, giovinezza della sua maschera fissata per il mimo e il clown, ma anche l’acrobata pro- sempre. Uscendo dalla sala dopo l’affettuo- vetto. Ricordo l’emozione vivissima al Pala- sissimo e lunghissimo applauso a Dimitri, congressi di Lugano, quando andò in scena ricordo di aver camminato fra le case di La famiglia Dimitri: lì c’era tutta la dinastia Verscio, i lampioni illuminavano ombrelli di un casato d’estro e d’ingegno, con figli, chiari di magnolie, c’era luce nel salone su- nipoti e generi, tutti volubili e multiformi periore della Scuola teatrale, forse stavano artisti, e lui in mezzo, gentile patriarca mi- provando qualcosa. E pensavo a come fos- nuto, geniale pasticcione e maestro prezio- se stata importante, accanto alla realtà del so e decisivo. Alla fine, la standing ovation Teatro e del talento di Dimitri, la sua idea lunghissima di tutto il pubblico applaudiva di Scuola internazionale. Mi sono ricordato una storia lunga mezzo secolo. E poi, an- anche di quando ero andato lì per un pro- cora, l’ultimo suo spettacolo solitario di gramma televisivo e giravo per le stradine sintesi di una carriera, nella piccolissima e di Verscio e incontravo giovani che parla- grandissima casa del suo Teatro di Verscio: vano inglese, tedesco, italiano, altre lingue. Una colorata scena tratta dallo spettacolo La famiglia Dimitri, 2009. XXIII
Dimitri ..................................................................................................................................................................................................................... Dai finestroni aperti di un edificio usciva mi sono voluto soffermare sull’impressio- una musica e oltre le finestre si scorgeva- nismo di cuore e mente che Dimitri, muo- no ragazzi e ragazze che muovevano pas- vendosi sulla scena, mi accese cinquant’an- si di danza. Pensai alla bellezza di quella ni fa e ancora pochi anni fa. Ma infine non giovinezza, di quelle lingue mescolate, di posso dimenticare le occasioni di incontri quei talenti e speranze raccolti nel micro- personali, dettati dalla mia professione. cosmo suggestivo di un villaggio che di- Dimitri fu ospite per due volte del mio pro- ventava universale. Perché per afferrare gramma televisivo “Controluce” e con lui Dimitri nella sua interezza bisogna aggiun- tenni anche una serata pubblica al Teatro gere (alle emozioni visive, dell’animo e del del Gatto di Ascona. In quelle occasioni era cuore di cui ho detto) la complessità della l’uomo vero Dimitri a parlare, non la sua sua lunga avventura artistica ma anche le “maschera”, e faceva un certo effetto voler creazioni stabili, appunto, del Teatro, della e dover cavare parole da quella fisionomia Scuola, e i riconoscimenti internazionali, e che solitamente eravamo abituati a godere poi ancora il suo impegno civile, la sua sen- nella espressività muta ed eloquentissima sibilità di uomo, di sposo, di padre (dentro degli spettacoli. C’era persino una timidez- questa pubblicazione, di tutto ciò esiste za, da parte di Dimitri, persino una ritrosia bella traccia in altri articoli). Per parte mia nel suo svelarsi a parole. Premiato con il Trofeo Grock nel 1973. XXIV
Uomo, padre e artista. Una vita per il palcoscenico ..................................................................................................................................................................................................................... Numero acrobatico tratto dal suo primo spettacolo da solista, Ascona, 1959. Ma ricordo comunque anche l’intensità sin- Era, a parole, un’ultima capriola, un ulti- cera delle sue affermazioni, sia nelle inter- mo sdrammatizzante guizzo dimitresco, viste, sia negli incontri di preparazione, per che mi fece pensare a quell’omino tenace me oggi fieno prezioso di memoria in casci- che quarant’anni prima avevo visto inse- na. Un solo ricordo, qui. A un certo punto guire con accanimento il mistero ineffabi- Dimitri parlò di quando si rese conto, dopo i le di una piccola luce. Ora sono sicuro che 70 anni, che ormai non sarebbe stato in gra- Dimitri l’ha acciuffata, quella luce. do di eseguire perfettamente e senza rischi il salto mortale sul palcoscenico. E decise *Michele Fazioli dunque di rinunciare per sempre a quella Giornalista e conduttore televisivo acrobazia. E ricordò: «Quando presi quella decisione, scop- piai in pianto. Non piangevo tanto per la rinuncia a una cosa che mi piaceva fare, ma soprattutto perché capivo che quella cosa non l’avrei mai più fatta, per sempre, che quella acrobazia e molte al- tre cose erano passate inesorabilmente e non sarebbero tornate mai più, e mi rendevo conto che stavo invecchiando e che un giorno ormai non lontanissimo anch’io avrei cessato di vivere». Allora gli chiesi del suo timore di fronte alla morte. E lui, allargandosi nel suo grande sorriso con appena un accento di malinco- nia, mi rispose: «Eh, un po’ ho paura, non so, non sono bene in chiaro ma so per certo che di là qualcosa continuerà, e allora so che quando mi presenterò davanti al Padre- terno mi metterò subito a cercare di farlo sorridere». XXV
Uomo, padre e artista. Una vita per il palcoscenico ..................................................................................................................................................................................................................... La funzione terapeutica del clown di Raffaele Morelli* A sinistra: Alexander Zschokke, Pierrot, scultura in bronzo, Parco del Clown, Verscio. In questa pagina: Dimitri e Dimitri, 1993.
Dimitri ..................................................................................................................................................................................................................... Chissà se Dimitri, quando ha scelto di ral- Lo sapevate che un bimbo di cinque anni ride legrare il mondo di grandi e piccini, ha mai più di 500 volte al giorno, mentre un adulto intuito che la sua “professione” avrebbe di 35-40 anni non supera le 10-15 risate che potuto influenzare positivamente la sfera sono quasi sempre di circostanza, mai spon- emotiva di chi partecipava ai suoi spetta- tanee e naturali. Perché Ermes se ne è an- coli; chissà se ha mai pensato che la colo- dato dalla nostra vita interiore? Come mai rata figura del clown avrebbe potuto lenire non ridiamo più? La nostra vita attuale è do- ferite, risollevare pensieri e, addirittura, minata dal pensiero, viviamo un’ipertrofia guarire malattie dell’anima. Chiedo sempre razionale che il mondo non aveva mai cono- ai miei pazienti di chiudere gli occhi e im- sciuto, a discapito dell’immaginazione, della maginare una scena della loro infanzia che fantasia, del mito, del rito, della fiaba. La li fa ridere e gioire. In meno di 5-10 secondi più terribile delle convinzioni è quella che, tutti la trovano. Il cervello in pochi attimi ragionando sugli affetti, sulle emozioni, fini- riscopre l’immagine della gioia, come sfo- remo per conoscerci meglio, per capirci di gliando un album fotografico di triliardi di più, mentre il più grande studioso della vita ricordi. Scelgo l’infanzia non per andare interiore, Gaston Bachelard (filosofo france- alla ricerca del passato, che è un’energia se della scienza, Bar-sur-Aube 1884 – Parigi morta, come ben sapevano i Taoisti, ma 1962), ci aveva insegnato che affetti e pen- per chiamare in campo il bambino eterno sieri stanno agli antipodi della nostra vita che abita ciascuno di noi. I greci avevano psichica e… lì devono restare. Mai ragionare un Dio bambino, Ermes, per rappresenta- sui sentimenti, mai cercare di capirli perché re l’energia creativa dell’Universo, senza la ogni spiegazione li traduce in pensieri e… quale siamo una barca perduta in mezzo al così li tradisce! Quando ami non pensare, ma mare. Un Dio che fa della spontaneità il suo percepisci ciò che capita dentro di te: ogni Centro, che gioca, che ride, che è bugiardo elucubrazione allontana gli Dei dell’amore. come tutti i piccoli del mondo, che si trave- E ridere? Ogni risata ribalta la concezione ste e che è contemporaneamente il signore del tempo e dello spazio, rompe gli sche- della medicina, della magia, della cura. Ma mi dell’Io, fa perdere la testa, allontana il non diceva Agostino che «nutre la mente peggior nemico dell’anima: l’autocontrollo. solo ciò che la rallegra»? Ermes è il clown Le neuroscienze ci hanno spiegato che, di tutti i clown che vive dentro di noi dal- quando il cervello sorride, vengono pro- la notte di tutti i tempi: è uno dei capisaldi dotte più endorfine, che sono un potente dell’anima ancestrale, così cara a Jung. antidolorifico, aumentano i linfociti T, che sono le cellule killer del sistema immunita- rio, si abbassa la produzione di cortisolo e quindi gli effetti somatici dello stress. Ma la magia del clown chiama in causa la no- stra essenza, il nostro Sé: ci sta dicendo che siamo esseri di terra, immersi in un’eterna e ininterrotta metamorfosi, che tutto è il- lusorio, che nulla è permanente, che ogni certezza è transitoria. Il clown è sempre un mimo che cambia l’immagine del corpo, che cade, si rialza, che se ne frega di tutti i formalismi e della caricatura che recitiamo con noi stessi e con gli altri. Nasconde sem- pre quella sagace ironia che viene solo da chi sa giocare: il clown è una maschera che disintegra i volti finti che recitiamo ogni giorno, ci racconta che basta evocare la sua immagine per uscire dagli schemi e dalle La talentuosa gabbie della mente omologata, perché ri- clownessa Gardi Hutter, grande amica dere ci porta lontano dal reale, in un regno di Dimitri. dove il sogno e la fiaba sono i protagonisti. XXVIII
Uomo, padre e artista. Una vita per il palcoscenico ..................................................................................................................................................................................................................... I bambini piangono disperati e dopo pochi istanti giocano e ridono. Non come noi che facciamo durare le ferite dell’anima mesi e anche anni. Per cosa dovremmo ridere, come ricorda Martin Buber (storico del giudaismo e filosofo austriaco della religio- ne, Vienna 1878 – Gerusalemme 1965), noi che veniamo dal nulla e per cosa dovremmo piangere, se il motivo del pianto è sempre legato a fatti personali, all’Io che è già mu- tato mentre vive il dolore e pensa sempre a quello che crede sia il suo dramma? Queste incertezze dovranno accompagnarci per tutta l’esistenza, perché nessuna ferita è per sempre e nessuna sicurezza può durare più di tanto, ma Ermes è anche il Dio della Molti pensano che le risate siano sempli- rinascita, che consiglia a Ulisse di non cam- cemente una distrazione da quelli che noi biare il suo destino, per avere l’eterna gio- identifichiamo come i problemi che ci assil- vinezza. Così ogni volta che ridiamo, persi lano, in realtà stiamo semplicemente pren- nell’immagine antica del clown, il Dio sorri- dendo contatto con un’Immagine Primor- de e, senza che ce ne accorgiamo, ci guari- diale, la quale è un archetipo che produce sce e ci porta verso la nostra realizzazione effetti terapeutici semplicemente entrando più autentica e più profonda. Quando stai nella nostra consapevolezza, nella nostra male, quando ansia e depressione ti assal- coscienza. Non crediamo più che immagi- gono, cerca il tuo clown interiore, cambia nare, giocare, uscire dal tempo, siano capa- la scena del reale e immagina il tuo circo cità trasformatrici del nostro essere verso personale dove ci sono i tuoi fiori preferiti, i la sua evoluzione. Il mio lavoro psicotera- tuoi animali amici, il tuo amico sconosciuto peutico di tanti anni mi ha insegnato che il che veglia su di te e sul tuo destino. motivo principale della nevrosi è lo sguardo incatenato sul proprio Io: il clown ci inse- *Raffaele Morelli gna che ogni convinzione può essere scon- Psichiatra e psicoterapeuta, volta da una risata. Il mio amico Maurizio Vicepresidente della Società Italiana di Costanzo consiglia sempre di guardare un Medicina Psicosomatica. Fondatore e film di Totò quando siamo tristi o quando Presidente dell’Istituto Riza di Medicina i problemi sembrano insormontabili. Nel Psicosomatica, Direttore responsabile mondo del clown possono accadere azioni delle riviste “Riza Psicosomatica”, che rivelano la contraddizione dell’essere: “Dimagrire”, “MenteCorpo”. si dà una sberla e poi un bacio, si cade e si ride, si è intelligenti e molto stupidi. Il pa- radosso è l’elemento determinante perché rivela che siamo doppi, che accanto all’es- sere monolitico che conosciamo, esiste qualcosa che ci sfugge: in questo senso il clown è l’emblema degli istinti, ma anche di una saggezza profonda, che solo l’uomo, l’animale più alto della creazione, può espri- mere. Il clown ha quasi sempre una lacrima disegnata sul volto: l’ammonimento è mol- to chiaro. Piangere e ridere partecipano di una stessa funzione. La tradizione chassi- dica ci ha ricordato come nessun’altra che Dalla collezione di Dimitri dedicata ai mentre le lacrime scorrono, in un altro lato clown. di noi una risata è presente e ci aspetta. XXIX
Uomo, padre e artista. Una vita per il palcoscenico ..................................................................................................................................................................................................................... La figura del clown nell’arte e in Dimitri di Nicoletta Ossanna Cavadini* A sinistra: Dimitri, Il gran teatro del mondo, tecnica mista, 2000. In questa pagina: Dimitri al lavoro nel suo studio, Cadanza, 2010.
Dimitri ..................................................................................................................................................................................................................... Saltimbanco, addio! Buona sera, Pagliaccio! tutta nella posa del clown, che sembra esse- Indietro, Babbeo! re immortalato mentre si concentra, quasi Fate posto, buffoni antiquati, un momento di “suspense” prima dell’esi- dalla burla impeccabile, bizione. Il soggetto ha appena finito di suo- Fate largo! Solenne, altero e discreto, nare e guarda fisso davanti a sé, il pubblico ecco venire il migliore di tutti, l’agile clown. sembra in attesa di qualcosa, ma è difficile Più snello d’Arlecchino e più impavido capire cosa accadrà. Questo clown è rappre- di Achille è lui di certo, nella sua bianca sentato come un eroe, non è più un buffone armatura di raso: etereo e chiaro come o un giullare, sembra piuttosto un torero o uno specchio senza argento. un valoroso condottiero, ripreso in un atti- I suoi occhi non vivono nella sua maschera mo melanconico di riflessione. Quest’opera, d’argilla (…). realizzata nel 1868, apre la via alla consape- volezza sociale della professione del clown Paul Verlaine, Le clown, in Jadis et Naguère, nella sua introspezione psicologica, caratte- Léon Vanier, Paris 1884; ed. italiana, Poesie rizzata dallo stato d’animo interiore, profon- e prose, a cura di Diana Grange Fiori, Mon- do e riflessivo, e quello esteriore, giocoso e dadori, Milano 1998. in grado di suscitare sempre ilarità. Nella sua raccolta Jadis et Naguère, pubbli- Una ulteriore evoluzione avverrà con il pit- cata nel 1884 da Léon Vanier a Parigi, Paul tore Georges-Pierre Seurat e la sua La pa- Verlaine dedica una poesia espressamente rata del circo. Il momento in cui tutti i clown alla clownerie. La figura di Verlaine, poeta escono sulla pista è ieratico e Seurat im- “maledetto”, influenzò molti giovani pitto- posta l’immagine quasi fosse bloccata nel ri impressionisti del suo tempo e musicisti tempo, facendo una riduzione minima del sperimentatori del calibro di Claude De- rapporto forma-contenuto, dove la forma bussy. L’arte comincia così a “indagare” un esprime il valore emozionale del contenuto. nuovo soggetto, capace di suscitare emozio- Con l’avvento del Novecento, il clown o l’a- ni in un largo pubblico, e se da un lato, nel crobata circense divennero un vero e pro- Settecento riformatore, già Tiepolo e Goya prio leitmotiv; ritroviamo infatti in illustri avevano immortalato le figure dei giullari e pittori quali Pierre-Auguste Renoir il ritrat- dei saltimbanchi, sarà con la seconda metà to del figlio vestito da clown (1909), o, anco- dell’Ottocento che nelle stampe popolari e ra, Marc Chagall che ne Il giocoliere (1943) nei manifesti diventeranno protagoniste. ben rappresenta un’immagine allegorica in L’artista di Montmartre, Henri de Toulou- se-Lautrec, dall’esistenza anticonformista e sregolata, portò alla ribalta una realtà meno conosciuta con i suoi ritratti di intel- lettuali e artisti bohémienne, ai quali aggiun- se anche le ballerine di locali notturni come il Moulin de la Galette, il Café du Rat-Mort o il Moulin Rouge. Celebri sono i disegni che ritraggono Suzanne Valadon, un’ex acroba- ta circense, ripresa in camerino, durante i momenti di pausa, in pose particolari. I protagonisti della clownerie entravano sempre più “nelle tele” degli artisti e, a que- sto proposito, Pierre-Auguste Renoir, in età giovanile, dipinse proprio un clown. L’opera, di grandi dimensioni, probabilmente dove- Pierre-Auguste Renoir, Il clown, va servire da insegna per il caffè del Cirque 1868, olio su tela, d’Hiver (all’epoca conosciuto come Cirque 193,5 x 130 cm, Kröller-Müller Napoléon), ma alla fine la tela rimase nello Museum, Otterlo. studio dell’artista. La sua particolarità sta XXXII
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