Tullio De Mauro e i diritti ... in Paradiso - DONATELLA LOVISON - GISCEL

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Tullio De Mauro e i diritti ... in Paradiso - DONATELLA LOVISON - GISCEL
Tullio De Mauro e i
diritti ... in Paradiso
DONATELLA LOVISON

Giovedi 4 marzo 2004 Tullio De Mauro fu invitato a leggere a
“La Bottega dell’Elefante”, il centro culturale bolognese,
fondato dai compianti Paolo Bollini e Isa Speroni. La regola
principale del gruppo di lettura era “che non si legge mai per
se stessi, ma bisogna farsi da amorevoli interpreti del proprio
autore preferito”. E Tullio De Mauro scelse di leggere Dante
Alighieri, davanti ad un pubblico numeroso, incantato e
partecipe.
Ricorre l’anniversario della nascita di Tullio De Mauro e mi
sembra una cosa bella onorarne il ricordo, in connessione con
la celebrazione dei 700 anni dalla morte di Dante.
Tullio De Mauro e i diritti ... in Paradiso - DONATELLA LOVISON - GISCEL
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Proverò a farlo, parlando di un saggio non tra i più conosciuti di De
Mauro che allora lui regalò, appunto, alla Bottega dell’Elefante,
quando ancora non era stato pubblicato.

Si intitola Porci in Paradiso. Un motivo epicureo in Dante, Par. XXVI
124 38 e oggi lo si può trovare pubblicato in Tullio De Mauro, Il
linguaggio tra natura e storia, una raccolta di testi stampati altrove,
edita nell’anno 2008 da Mondadori Università.
Il saggio è adatto a palati raffinati, ad amanti della letteratura,
come mi scrive Silvana Loiero, ma io vi ho trovato soprattutto la
grande sapienza, linguistica e oltre, di De Mauro e la sua capacità
di suscitare la curiosità del lettore e il piacere di leggere.

Entrando nei versi 124-138 del XXVI canto del Paradiso le parole del
Maestro, ci portano a riconoscervi forti richiami ad Orazio, Epicuri
de grege porcus, come Orazio stesso si definiva.

«... a Adamo Dante fa dire parole solenni e memorabili. In esse viene data
evidenza a quella ineluttabile variabilità temporale entro cui, secondo le
lezioni del terzo corso di linguistica tenuto da Saussure, si colloca e spiega
il reciproco distanziarsi e differenziarsi delle lingue». La lingua di
Adamo ha subito il mutamento linguistico e «Con le parole di Adamo
Dante capovolge l'idea, da lui anteriormente difesa, della immutabilità
della divina lingua adamica».

Un’idea, questa del mutamento linguistico, cara ai pensatori
epicurei:
«... il richiamo a Orazio veicola teoriche epicuree sul mutamento
linguistico e culturale che a lungo, fino al XVIII secolo, sono stare
considerate eversive e ancor oggi destano sospetto in più d'un linguista
dabbene».
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Mettendo in parallelo i versi del Paradiso con un passo tratto
dall’Ars Poetica (Hor.A.P. 52-72 Shackleton Bailey), De Mauro ci
mostra come, con le dovute differenze, siano molti i motivi
oraziani presenti nei versi danteschi:

«la metafora delle “foglie come parole”»;
«la generale caducità e mortalità delle cose umane (...) assunta a causa
immediata e ineluttabile del mutamento linguistico»;
«il collegamento del generale mutamento delle caduche lingue umane al
mutamento che oggi diremmo lessicale»;
«la menzione dell'uso come responsabile del variare linguistico» e «il ruolo
o, meglio, la portata del ruolo riconosciuto all'uso: che è esplicitamente
sovrano in Orazio (...) e in Dante (...), è ricondotto al potere della natura,
che consegna agli umani la favella, ma lascia a essi, al variabile uso, il così
o così.».

Tullio De Mauro mette in evidenza mediante riferimenti
bibliografici alle opere stesse di Epicuro e a importanti studi e
saggi su di lui, la profonda influenza in Orazio e in Dante delle idee
di Epicuro relative al linguaggio, in particolare il concetto
racchiuso nel termine usus «parola che noi dobbiamo intendere nel
senso di "usanza, consuetudine"». E ancora la visione evolutiva e la
«funzione civilizzante del linguaggio» .

Ma ancora, chiedendosi come Dante potesse conciliare la
considerazione e l’ammirazione per Orazio e gli Epicurei con la
netta condanna cristiana dell’epicureismo e delle idee innovative e
anticonformiste di cui la corrente filosofica si faceva portatrice
«sulla parità tra femmine e maschi, schiavi e liberi, barbari e greci o
romani e sulla comunanza degli averi come ideale di vita», Tullio
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De Mauro sembra schierarsi apertamente in difesa
dell'epicureismo, riconoscendovi una luce libertaria che si proietta
fino all’oggi, sulle moderne battaglie per i diritti civili e la giustizia
sociale. Ne registra, condannandoli, i travisamenti e la
diffamazione nei secoli per causa dei detrattori che avevano, da
subito iniziato e poi perseguito per secoli, la loro polemica
denigratoria, che aveva portato a condanne anche violente di ogni
idea epicurea:

«…i "porci" epicurei non sono più gli stupidi assertori dell’eguaglianza tra
gli esseri umani, ma diventano sozzi dissoluti, in singolare sincronia, del
resto, con il mutamento della valenza metaforica delle parole designanti i
porci, passate, come si è detto, dalla sfera della ottusità intellettuale a
quella della dissolutezza e sozzeria morale ».

Ed ecco nel saggio di Tullio De Mauro, la connessione più attraente
e “leggera” per il lettore appassionato di riflessioni sulla lingua, tra
il risultato delle deformazioni nei secoli delle idee epicuree e il
mutamento del significato metaforico di “porco”.

Porci in Paradiso inizia, in effetti, con una sapiente e pure divertente
riflessione sui nomi di animali metaforicamente entrati nel
linguaggio, con un focus proprio sul mutamento di significato
della parola “porco”, in Grecia e a Roma considerata sinonimo di
stupidità, di «neghittosità specialmente intellettuale» e poi diventata
metafora di «sporcaccioneria materiale trasferita, e ciò veramente senza
ombra di giustificazione, alla dissolutezza morale» .
Una “arringa” che definirei animalista, quella di Tullio De Mauro,
in difesa del porco e di tutti gli animali, i cui nomi sono entrati nel
linguaggio «come termini valutativi e, a quanto si vede, assai
negativamente valutativi». Un uso della parola poco rispettoso
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verso altre specie viventi, con lo scopo di «creare aloni negativi
intorno ad altri viventi e bistrattarli fin dal nome ».

Scorre sotto gli occhi del lettore l’elenco di parole della lingua
italiana usate in questo senso:

«Si considerino parole come bestia (e, con assai impropria
accezione restrittiva, animale), verme, serpente, vipera, squalo,
pescecane, pollo, oca, gallina, galletto, avvoltoio, iena, tigre, orso,
bisonte, bue, vacca, asino, somaro, ciuccio, cane, cagna...»

Il loro significato appare chiaro, testimoniato dall’uso, di cui
ognuno ha esperienza.

Se Dante fa «riecheggiare nei cieli più alti, attraverso le parole di
Adamo, il tema della variabilità perenne delle lingue », tema epicureo;
se egli pone Epicuro all’Inferno tra gli eretici e non tra i dissoluti; se
manifesta la sua ammirazione per gli epicurei non facendo cenno
mai alle volgarità che nella storia sono state loro attribuite, Tullio
De Mauro sembra voler collocare “in luoghi paradisiaci” le idee
epicuree di libertà e di giustizia per gli esseri umani, con essi la
giusta considerazione per tutti gli esseri viventi e la condanna di
ogni sopruso perpetrato e riconoscibile attraverso le deformazioni
e i mutamenti delle parole.
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