Sulle strade dell'esodo - Missionarie Secolari Scalabriniane

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Sulle strade dell'esodo - Missionarie Secolari Scalabriniane
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    Sulle strade dell’esodo
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Sulle strade dell'esodo - Missionarie Secolari Scalabriniane
SOMMARIO                    agosto-
    EDITORIALE
                               settembre
3   A partire dalla meta
    Luisa Deponti
                                  2021
                               edizione italiana
                               Anno XLVI n. 4
    DAL VIETNAM                agosto-settembre 2021
7   Uno sprazzo di cielo
    Marianne Buch              direzione e spedizione:
                               Missionarie Secolari Scalabriniane
                               Neckartalstr. 71, 70376 Stuttgart (D)
10 Reinventare un futuro       Tel. +49/711/541055
    Marina Azzola
                               redazione:
                               M.G. Luise, L. Deponti, G. Civitelli
                               M. Guidotti, A. Aprigliano
   1961-2021 60° DELLE
                               grafica e realizzazione tecnica:
   MISSIONARIE SECOLARI        M. Fuchs, M. Bretzel, L. Deponti,
   SCALABRINIANE               M.G. Luise, L. Bortolamai
14 Il viaggio di una vita      disegni e fotografie:
    Bianca Maisano             Copertina e p. 7-15, 18, 20-21, 22, 32-
                               36, 39: archivio Missionarie Secolari
                               Scalabriniane; p. 3-4, 6, 30: Pixabay;
                               p. 5: Pixnia Usaid; p. 16-17, 20: Bianca
   EMIGRAZIONE                 Maisano; p. 23: migrants-refugees.va;
23 La goccia che fa            p. 24: ProtoplasmaKid; p. 26: Alex Co-
   traboccare il vaso          varrubias; p. 26: Wotancito; p. 28: Casa
    Luisa Deponti              Tochan; p. 31: G. Castro Cedeno.

                               Per sostenere le
                               spese di stampa e spedizione
   CONDIVISIONE                contiamo sul vostro
30 Il vaccino diseguale        libero contributo annuale a:
    Giulia Civitelli           Missionarie Secolari Scalabriniane
                               * c.c.p. n° 23259203 Milano -I-
                               o conti bancari:
   GIOVANI                     *CH25 8097 6000 0121 7008 9
                               Raiffeisenbank Solothurn -CH-
34 “Una partenza,              Swift-Code: RAIFCH22
   una via, una meta”          *DE30 6009 0100 0548 4000 08
    A cura della redazione     Volksbank Stuttgart -D-
                               BIC: VOBADESS
                               Le Missionarie Secolari
   SPIRITUALITÀ                Scalabriniane, Istituto Secolare
36 Traditio Scalabriniana      nella Famiglia Scalabriniana,
   Il nuovo testo base         sono donne consacrate chia­­   mate a
                               condividere l‘esodo dei mi­granti.
    A cura di Anna Fumagalli   Pubblicano questo periodico in quattro
                               lingue come strumento di dialogo e di
                               incontro tra le diversità.
39 PROSSIMAMENTE
      2
Sulle strade dell'esodo - Missionarie Secolari Scalabriniane
entre il tempo della pandemia si prolunga, mentre aumentano in tante
parti del mondo i disastri naturali causati dai cambiamenti climatici e molti pa­
esi come Afghanistan e Haiti non riescono a risollevarsi da decenni di povertà,
conflitti, oppressione…, assistiamo anche alla crescita dei movimenti migrato­
ri a causa delle tante pandemie dell’ingiustizia e della violenza. Le migrazioni,
infatti, sono legate alle convulse trasformazioni culturali, sociali, politiche e
religiose delle persone e delle nazioni del nostro tempo. Esse sono spesso
una coraggiosa via d’uscita da una situazione disperata, per chi cerca vita,
futuro, libertà. Il migrante in cammino è per tutti noi un segno.
È inevitabile, infatti, chiedersi: dove stiamo andando come singoli e come
umanità?
La realtà umana, caratterizzata dall’essere in cammino, dal cercare sempre una
meta, ha dato origine in tutte le culture, le lingue, le filosofie e le religioni, nel
corso della storia, ad un’infinita gamma di metafore, di simboli, di espressioni…
La vita del singolo uomo e dell’intera umanità è spesso rappresentata come
un itinerario, una strada da percorrere. Anche la Chiesa, attingendo alle Sacre
Scritture, si riconosce come “popolo di Dio in cammino”. Una metafora, quindi,
universale, in cui si esprime la sapienza umana in dialogo con la realtà con­
creta e con la dimensione spirituale e religiosa: “Il Signore rende sicuri i passi
dell’uomo: come può l’essere umano conoscere la sua strada?” (Pr 20,24)
dice la Bibbia. Sapere dove andare, conoscere il cammino da percorrere e la
meta, sia che siamo in viaggio sia che stiamo compiendo una scelta difficile
o prendendo una decisione politica di grande impatto, è certamente una delle
necessità fondamentali della nostra vita. È sa­per vivere, inteso spesso come
                                                                                         3
Sulle strade dell'esodo - Missionarie Secolari Scalabriniane
un cercare il bene e la feli­
                                                        cità per noi, scoprendo poi
                                                        che questo dipende dal be­
                                                        ne e dalla felicità anche de­
                                                        gli altri. Ma quali altri? Solo
                                                        alcuni, i più vicini a noi? O
                                                        anche i più lontani, tutti?
                                                        Papa Francesco, nel suo ul­
                                                        timo Messaggio per la Gior­
                                                        nata Mondiale del Migrante e
                                                        del Rifugiato, celebrata il 26
    settembre ci ricorda da dove partiamo e qual è la nostra meta. Dio ha creato l’uo­
    mo e la donna diversi e complementari: un NOI chiamato ad allargarsi, esseri
    umani ad immagine del Dio Trinità, che è comunione di amore infinito tra le di­
    versità. Quando l’umanità si allontanò da Dio, il Padre volle offrire in suo Figlio
    Gesù: “un cammino di riconciliazione non a singoli individui, ma a un popolo,
    a un noi destinato ad includere tutta la famiglia umana, tutti i popoli: «Ecco la
    tenda di Dio con gli uomini! Egli abiterà con loro ed essi saranno il suo popolo
    ed egli sarà il Dio con loro, il loro Dio»”1, come afferma l’Apocalisse, l’ultimo
    libro della Bibbia.
    “La storia della salvezza VEDE dunque un NOI all’inizio e un NOI alla fine, e
    al centro il mistero di CRISTO, MORTO E RISORTO «perché tutti siano una
    sola cosa» (Gv 17,21)”.2
    “Vedere”: avere una visione d’insieme dell’itinerario che stiamo percorrendo e
    della sua destinazione finale è la vera sapienza che può guidare i nostri passi
    intermedi sul cammino a volte confuso e disorientato della nostra vita e anche
    nella complessità dei fenomeni e dei cambiamenti sociali che stiamo vivendo,
    compresa la realtà delle migrazioni.
    Nella nostra vocazione e spiritualità scalabriniana, che non è un dono solo
    per pochi, bensì un dono dello Spirito Santo a cui tanti possono ispirarsi, ci
    accompagna la visione del Beato G.B. Scalabrini. Egli sapeva vedere e com­
    prendere la situazione concreta dei migranti del suo tempo, i meccanismi di
    ingiustizia che li spingevano a partire. Al tempo stesso - grazie alla fede che
    allargava i suoi orizzonti - vedeva nell’uomo che emigra uno “strumento di
    quella Provvidenza che presiede agli umani destini e li guida, anche attraver-
    so le catastrofi, verso la meta, che è il perfezionamento dell’uomo sulla terra
    e la gloria di Dio nei cieli”.3
    Mentre agiva per migliorare le condizioni di vita dei migranti, maturava in lui la
    fiducia che anche il loro cammino può contribuire alla realizzazione del piano
    di salvezza del Padre: la famiglia dell’umanità riunita in Cristo, con tutta la

    1 Messaggio del Santo Padre Francesco per la 107ma Giornata Mondiale del
    Migrante e del Rifugiato 2021, 26 settembre 2021, “Verso un noi sempre più grande”:
    2 Ibid.
    3 G.B. Scalabrini, L’Italia all’estero, Torino 1899, pp. 7-8.
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Sulle strade dell'esodo - Missionarie Secolari Scalabriniane
ricchezza delle sue diversità, come una nuova Pentecoste, opera dello Spirito
Santo, alla quale siamo chiamati a collaborare.
“Mentre il mondo si agita abbagliato dal suo progresso;…mentre i popoli ca-
dono, risorgono, e si rinnovellano; mentre le razze si mescolano, si estendono
e si confondono; si va maturando quaggiù un’opera ben più vasta, ben più
nobile, ben più sublime: l’unione in Dio per Gesù Cristo di tutti gli uomini di
buon volere”.4
Alla luce di questa meta, “un NOI sempre più grande” di comunione, si risveglia
la consapevolezza di quanto cammino dobbiamo ancora percorrere. Naziona­
lismi chiusi e aggressivi e individualismi radicali, come denuncia Papa France­
sco nell’Enciclica “Fratelli tutti”, dividono il NOI, favorendo l’esclusione di molti,
soprattutto degli stranieri, dei migranti, degli emarginati, che abitano le periferie
esistenziali. Al tempo stesso ci rendiamo conto che la nostra missione non può
che essere, nel piccolo e nel grande, quella di abbattere muri e costruire pon­
ti, sulla via di Gesù che ha dato la vita come ponte fra cielo e terra. Egli ci ha
salvato, guarito, perdonato, accolto nella sua stessa divina umanità, partendo
dagli ultimi, e, nell’estrema sconfitta della croce, ha vinto la morte con l’amore.
Di fronte ai problemi del mondo migrante, ci sentiamo inevitabilmente picco­
li, ma nell’estremo limite umano la visione di fede che ci accompagna può

4 G.B. Scalabrini, Discorso al Catholic Club di New York, 15.10.1901 («L’Araldo
Italiano - The Italian Herald», New York, 24.10.1901, p. 1).

                                                                                         5
Sulle strade dell'esodo - Missionarie Secolari Scalabriniane
sempre farci intravvedere lo spiraglio di luce che Gesù ci ha aperto per farci
    camminare sulla sua via. Abbiamo il dono di una speranza certa per il futuro,
    da anticipare ed annunciare a tutti con le parole e con l’accoglienza e la stima
    di ogni persona, senza distinzione di provenienza, cultura, religione.
    In occasione del 60° del nostro Istituto Secolare, che abbiamo celebrato lo
    scorso 25 luglio, pubblichiamo in questo numero di “Sulle strade dell’esodo”
    la testimonianza di una missionaria, che ci racconta il “viaggio di una vita”,
    in cui la chiamata di Gesù “Vieni e seguimi” è luce che illumina e dà senso a
    tanti passi di cammino missionario e di condivisione con i migranti. Ma incon­
    treremo anche le storie di giovani costretti ad emigrare da paesi dominati da
    dittatura e violenza per salvare non solo la propria vita, ma anche la propria
    libertà e dignità. Giovani che denunciano l’oppressione che si vive in America
    Centrale, ma che sognano un mondo diverso.
    Un altro articolo ci porterà a riconoscere che in Italia e nel mondo l’accesso
    al vaccino contro il coronavirus non è ancora universale: segno ulteriore di
    divisione tra noi e gli altri. Al tempo stesso, in questo contesto la Chiesa con
    le sue istituzioni e con l’impegno di tutti noi può farsi fermento evangelico
    nella società, per favorire l’inclusione e la solidarietà. È ciò che sta avvenen­
    do anche in Vietnam, dove in una nuova fase di lockdown, i cristiani, pur in
    minoranza, accolgono l’invito ad essere sale e lievito cristiano, mettendosi al
    servizio degli altri, senza distinzione di origine e religione, come ci raccontano
    le missionarie che vivono a Ho Chi Minh City.
    Infine conosceremo i nuovi sviluppi della “Traditio Scalabriniana” - testo redatto
    insieme alle Suore e ai Missionari Scalabriniani - in cui si riassume la spiritua­
    lità di G.B. Scalabrini, non solo per vivere la missione nella comunione tra le
                                                          nostre diversità, ma an­
                                                          che perché tante persone
                                                          possano trovare chiavi di
                                                          let­tura e motivazioni per la
                                                          loro vita cristiana e il lo­ro
                                                          impegno nel campo delle
                                                          migrazioni.
                                                            Tutto questo ci dice che
                                                            è possibile camminare in­
                                                            sieme, in mo­­di e contesti
                                                            diver­ si, e sognare come
                                                            una unica umanità, come
                                                            figli e figlie di questa stes­
                                                            sa terra che è la nostra
                                                            Casa comune, tut­­ti sorelle
                                                            e fratelli, sapendo qual è
                                                            l’orizzonte ver­so il quale ci
                                                            muoviamo.

                                                                              Luisa

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Sulle strade dell'esodo - Missionarie Secolari Scalabriniane
arianne, missionaria in
Viet­­
    nam, descrive la nuova
situazione che sta vivendo il
paese a causa del diffondersi
della variante Delta del coronavirus e la risposta che sta dando la chiesa
cattolica locale, comunità in minoranza, ma vivace nella fede e nella solida-
rietà con tutti, senza distinzioni.
Fino a pochi mesi fa il Vietnam sembrava essere risparmiato dalla diffusio­
ne dell’insidioso virus. Mentre gran parte della popolazione mondiale era in
stretto isolamento, qui la vita continuava con i ritmi di sempre pur con alcune
limitazioni imposte dal Governo per evitare il diffondersi del contagio.
Ma dal maggio scorso anche il Vietnam ha dovuto fare i conti con la variante
Delta. L’epicentro della pandemia è attualmente proprio nella città di Ho Chi
Minh, motore economico e maggiore polo industriale del paese. Le autorità
cittadine hanno introdotto un rigoroso lockdown. Non ci si può muovere da
un distretto all’altro, da un quartiere, da un rione o da una strada all’altra. Alle
strategie messe in atto per combattere il diffondersi della pandemia si è ag­
giunta ora l’ingiunzione di non lasciare la propria abitazione secondo lo slogan
riportato dai media e continuamente scandito dagli altoparlanti agli angoli di
ogni strada: “Ai ở đâu ở yên đó”, “Là dove sei, lì rimani”. Non si deve assoluta­
mente uscire di casa. E se la casa per una famiglia intera è di soli pochi metri
quadrati come per tanti in questa città? Come affrontare l’oggi? E il domani?
Nuove domande, nuove sfide.
Numerose industrie e fabbriche hanno sospeso la produzione e di conse­
guenza tanti lavoratori migranti hanno perso il lavoro. I negozi e gli innumere­
voli streetfood hanno dovuto chiudere i battenti. Qualche saracinesca lascia
uno spiraglio aperto per qualche vendita clandestina. I venditori di biglietti
della lotteria, una delle fasce più deboli della popolazione, non potendo anda­
re per le strade a venderli, non sanno di che vivere, come procurarsi il cibo,
come pagare l’affitto,... anche perché i prezzi sono in aumento. L’esercito è
stato mobilitato – oltre che nell’ambito sanitario – anche per la distribuzione e
la consegna del cibo alle famiglie.
                                                                                       7
Sulle strade dell'esodo - Missionarie Secolari Scalabriniane
Ma, proprio dove il buio
    sem­bra prevalere, si a­­
    pro­­no ina­­spettatamente
    spraz­­­zi di cie­­lo, nuove
    fine­stre di corresponsa­
    bilità e di solidarietà.
    Tutte le parrocchie e le
    co­mu­nità religiose, non
    poten­do condividere il
    pane del­ l’Eucaristia, si
    stanno impegnando per
    venire incontro ai bisogni
    delle persone, special­
    mente delle più di­sagiate. Allestiscono nei loro spazi mercatini a prezzo zero con
    verdura, frutta, riso, spaghetti istantanei, olio, salsa di soia e altri generi di prima
    necessità. Organizzano servizi di distribuzione degli alimenti e di acqua potabile
    attraverso volontari autorizzati dalle autorità locali.
    Linh, una giovane di una parrocchia vicina, mi manda delle foto in cui si intra­
    vedono cinque persone in tuta blu anti-Covid davanti ad un automezzo con
    un grande serbatoio. “Mi vedi?” scrive in italiano. E continua: “Ogni giorno,
    insieme ad altri giovani, approvvigioniamo di acqua potabile le persone più bi­
                                     sognose”. E conclude così il suo messaggio:
                                     “Preghiamo gli uni per gli altri”. Come lei, tanti
                                     giovani si sono messi a servizio dei più pove­
                                     ri, distribuendo cibo, acqua o prestando ser­
                                     vizio nei centri di quarantena o in ospedale.
                                        I Vescovi del Vietnam hanno rivolto appelli
                                        ac­corati a tutti i credenti. In particolare l’ar­
                                        civescovo della città di Ho Chi Minh, Joseph
                                        Nguyễn Năng, una sera, proprio durante l’a­
                                        dorazione, ha sentito l’urgenza di mobilitare
                                        ulteriormente tutte le forze e le risorse a dispo­
                                        sizione per rispondere “al sempre più urgente
                                        grido di aiuto dei poveri” e “prestare loro aiuto,
                                        indipendentemente dalla religione. (...) Que­
                                        sto è il momento in cui Dio ci sta addestrando
                                        a uscire da noi stessi e a pensare agli altri.
                                        (...) La nostra capacità è solo ‘cinque pani e
                                        due pesci`, ma mentre facciamo la divisione,
                                        il Signore stesso farà la moltiplicazione. Chiu­
                                        diamo le chiese, ma non il cuore”.1

                                        1 Lettera del 27.07.2021 dell’arcivescovo della
                                        città di Ho Chi Minh, Joseph Nguyễn Năng, in
                                        seguito al restringimento del lockdown.

8
Sulle strade dell'esodo - Missionarie Secolari Scalabriniane
I tanti casi di Covid hanno messo a dura prova il sistema sanitario del paese.
Sono stati allestiti velocemente ospedali da campo alle porte della città. Da
tutto il paese è stato reclutato personale medico e sanitario.
I Vescovi, da parte loro, hanno vivamente invitato il clero diocesano e i mem­
bri delle congregazioni a mettersi a disposizione per prestare servizio nelle
strutture mediche e nelle aree centralizzate di isolamento. Il loro appello ha
ricevuto una risposta generosa e sorprendente. Centinaia di suore, sacerdoti,
studenti di teologia si sono offerti e stanno mettendo in gioco la loro vita do­
nando, insieme alle cure sanitarie, attenzione, amore, speranza. Son, studen­
te di teologia, mi scrive un messaggio usando le poche parole di tedesco che
ha imparato: “Wir sind gesund! Wir arbeiten in Krankenhaus. Bitte, betet für
uns” “Siamo sani! Stiamo lavorando in ospedale. Per favore, pregate per noi”.
Questa testimonianza la stanno dando anche numerosi monaci buddisti che
si sono offerti per questo servizio.
A casa nostra amici, conoscenti, studenti, membri di congregazioni portano
generi alimentari da condividere con le persone più povere del vicinato. E
quando i sacchi di verdura e di altri generi alimentari sono tanti, oltre a contat­
tare subito le persone più bisognose, si apre una bancarella nel nostro cortile:
ognuno può prendere il necessario per la propria famiglia fino ad esaurimento
delle provviste. Una scena che si è ripetuta diverse volte in questo tempo.
Non finiamo di stupirci. Come anche
del gesto della maestra che ci aiuta
nell’insegnamento ai bambini: ha mes­
so a disposizione il suo stipendio per
sostenere le famiglie più disagiate de­
gli scolari. Riceviamo tanto e possiamo
condividere tanto. Non è una logica
economica, ma la logica del dono, della
gratuità.
Si potrebbero raccontare tanti di questi
fatti concreti che ogni giorno ci sorpren­
dono. In questo tempo buio sono spraz­
zi di luce che illuminano. Non tolgono le
difficoltà, la sofferenza. Non cambiano
la situazione politica del mondo. Ma indi­
cano nel piccolo una via di uscita: la via
dell’amore, della condivisione, della cre­
atività, del perdere se stessi per mettere
al centro l’altro e del camminare insieme
“verso un noi sempre più grande”.2

			 Marianne
2 Messaggio di papa Francesco per la
Giornata mondiale del migrante e del rifu­
gia­to 2021.

                                                                                      9
Sulle strade dell'esodo - Missionarie Secolari Scalabriniane
empre dal Vietnam, Marina ci presenta le conseguenze del confina-
     mento, stabilito dal governo per frenare l’epidemia da coronavirus, sulla
     vita di tanti migranti interni nell’immensa città di Hồ Chí Minh: un esodo
     nuovo, questa volta dalla città alle campagne.
     Oltre alle notizie riportate dalla stampa online e dai social media e alle se­
     gnalazioni di amici, sono i movimenti che vediamo nella nostra via o nelle
     strade adiacenti ad allertarci sull’evolversi della situazione. Il 23 luglio, subito
     dopo l’annuncio del Comitato del Popolo della città di Hồ Chí Minh1 di un ina­
     sprimento del lockdown, proprio di fronte a casa nostra, abbiamo notato un
     assembramento insolito di motociclette, cariche di pacchi e borse, in procinto
     di partire. Come i nostri vicini, migliaia e migliaia di migranti interni2 hanno
     lasciato la città e sono tornati nei loro paesi di origine, affrontando viaggi con
     innumerevoli disagi: lunghe file per oltrepassare i posti di blocco, la richiesta
     di dichiarazioni sanitarie, il controllo della temperatura; e poi, stremati dalla fa­
     tica, le pause sdraiati ai margini della strada per riprendere forza e continuare
     il viaggio, lungo anche più di mille chilometri.
     Inizialmente le autorità avevano messo in campo le forze dell’ordine per scor­
     tare i fiumi di motociclette e facilitare il superamento dei posti di blocco tra una
     località e l’altra. Alcune province avevano addirittura organizzato voli e viaggi

     1 In seguito abbreviata con l’acronimo HCMC.
     2 HCMC conta una popolazione di nove milioni di abitanti cui si aggiungono circa
     cinque milioni di migranti interni.
10
di rientro gratuiti per i loro cittadini residenti a HCMC, dando la
               priorità agli anziani, ai poveri, alle madri incinte e ai bambini.
               Ben presto però è scattata l’allerta: questo massiccio esodo
               stava veicolando il contagio dall’epicentro ad altre regioni del
               Paese. Il Comitato del Popolo di HCMC ha così decretato la
               chiusura di tutte le porte di accesso e di uscita dalla città.
               Il 15 agosto sono state emanate misure ancora più severe,
               come il protrarsi della chiusura di fabbriche e imprese e l’asso­
               luta proibizione di uscire di casa. Una nuova ondata di migranti
               interni si è riversata sulle strade nel tentativo di lasciare la città.
               Alcuni sono riusciti ad evadere il divieto, altri sono stati bloccati
               alla porta orientale della città. Altri ancora si sono accampati
               sui marciapiedi circostanti, nella speranza di un allentamento
               dei controlli.
             Anche Giusê, uno dei primi amici conosciuti nel quartiere, ha
             lasciato HCMC insieme alla moglie e ai suoi due bambini, uno
             di quattro anni e l’altro di pochi mesi. Alcuni giorni fa ci ha sor­
preso con un messaggio e, chattando, gli abbiamo chiesto di condividere la
sua esperienza.
Quali i motivi che ti hanno spinto, alcuni
anni fa, a trasferirti a HCMC?
“Come molte altre persone, sono venuto in cit­
tà quando ero ancora single con il desiderio e
l’obiettivo di migliorare le mie prospettive di vita
e sostenere la famiglia. In città ci sono più op­
portunità di lavoro che nelle zone rurali, ci sono
più aziende, più fabbriche, il lavoro è più stabile
e la vita meno dura. Non tutti però hanno la
fortuna di poter rimanere in città e di riuscire nel
loro progetto”.
E ora, perchè hai deciso di ritornare nel tuo
paese di origine?
“In questo periodo, a causa della pandemia,
stare a HCMC è diventato molto difficile. Nu­
merose fabbriche hanno smesso di funzionare.
Molti giovani migranti sono disoccupati e non
hanno soldi per vivere. Le difficoltà aumenta­
no di giorno in giorno. Così anch’io e la mia
famiglia abbiamo deciso di lasciare la città e di
tornare nel nostro paese di origine, nella pro­
vincia di Nghệ An, nel centro-nord del Vietnam,
a circa 1‘400 chilometri di distanza da HCMC.
E come noi, molte persone hanno affrontato
questo rischio”.
                                                                                         11
Come è stato il viaggio? Come sei riuscito ad eludere il divieto di lascia-
     re la città?
     “Siamo partiti il 15 agosto 2021, festa dell’Assunzione di Maria, ed è stato
     per sua grazia che siamo riusciti a salire sull’autobus. Un viaggio diverso dai
                                                       precedenti, pieno di preoc­
                                                       cupazioni e pensieri. Sape­
                                                       vamo che sul percorso non
                                                       avremmo trovato da mangia­
                                                       re. Così, abbiamo prepara­
                                                       to riso, noodles istantanei e
                                                       acqua potabile sufficienti per
                                                       due giorni. È stato molto dif­
                                                       ficile. Il Governo ha istituito
                                                       molti posti di blocco. Poiché
                                                       si tratta di un’epidemia, an­
                                                       che le autorità della nostra
                                                       città natale hanno dovuto
                                                       applicare la direttiva n. 16
                                                       verificando tutti i documen­
                                                       ti. Dopo i dovuti controlli, ci
                                                       hanno comunque accettato.
                                                       Quello che mi preoccupa di
     più è il nostro futuro”.
     Abbiamo sentito anche Ân Song, una giovane originaria di un piccolo villag­
     gio nel comune di Xuân Lộc, provincia di Đồng Nai, a circa 100 chilometri a
     nord di HCMC. Anche a lei, che ci rappresenta tanti giovani che conosciamo,
     abbiamo posto alcune domande.
     Quando e perchè ti sei trasferita a HCMC?
                                                       “Come molti studenti, dopo
                                                       il diploma di scuola superio­
                                                       re, sono venuta a HCMC per
                                                       proseguire il percorso di stu­
                                                       di all’università”.
                                                       Quali i motivi, secondo
                                                       te, che hanno provocato
                                                       in questi mesi un esodo
                                                       così massiccio da HCMC?
                                                       Hai un’idea di quanti siano
                                                       partiti?
                                                       “A causa dei gravi effetti
                                                       del Covid 19, l’intera città di
                                                       HCMC è stata rigorosamen­
                                                       te bloccata: non potevamo
                                                       recarci a scuola, in universi­

12
tà, al lavoro e neanche al mercato
per procurarci i beni di prima neces­
sità. Migliaia di persone sono rima­
ste disoccupate e hanno cercato
di tornare nei loro paesi di origine,
scappando dalla pandemia e dalla
povertà. Non ho numeri precisi, ma
da quello che ho potuto rilevare dai
media e dai social network se ne
contano a migliaia”.
Quali le difficoltà e le opportunità
per chi è ritornato al paese?
“Chi ha lasciato da lungo tempo la
propria città natale, deve ricomincia­
re tutto da capo, un inizio molto più
difficile del precedente. Anche altre
province, inclusa la mia, sono blocca­
te. Ma qui il costo della vita è minore
rispetto alla grande città e molti pos­
sono essere ospitati dai genitori o dai
parenti, risparmiando così le spese di
affitto”.
Che cosa possiamo imparare da questo tempo segnato dalla pandemia?
“Questa pandemia non piace a nessuno, ma porta con sé lezioni profonde
per noi esseri umani. Sfida i valori fondamentali della vita: il rapporto con noi
stessi, con gli altri e con la natura. Ci dà anche la possibilità di approfondire
la nostra relazione con Dio”.
Come questi due amici, tanti. Stiamo accompagnando questo esodo soste­
nendo famiglie che hanno lasciato la città e nuclei famigliari o singole persone
rimaste in queste periferie perché non hanno un luogo dove andare. Viviamo
con loro affidate giorno per giorno al Dio dell’esodo che non conosce posti
di blocco e ci apre sempre la strada anche nelle situazioni più drammatiche
della storia, dandoci la forza di reinventare insieme a Lui un futuro.
Le parole di Ân Song ci richiamano i ripetuti inviti di papa Francesco a non
attendere la fine della pandemia per ritornare alla normalità di sempre, ma a
sviluppare nuove convinzioni, nuovi atteggiamenti e nuove forme di vita, a cre­
scere nella coscienza di un’origine comune, di un’appartenenza reciproca e di
un futuro condiviso da tutti. La situazione attuale è una grande sfida culturale,
spirituale, educativa, economica che richiederà lunghi processi di rigenerazio­
ne di una coscienza di base e consentirà l’emergere di una nuova umanità3.

							 Marina

3 Cfr. LS, 202.
                                                                                    13
o scorso 25 luglio il nostro Istituto Secolare di Missionarie Secolari Sca-
     labriniane ha compiuto 60 anni! Per l’occasione, “Sulle strade dell’esodo” dà
     spazio alle testimonianze di alcune missionarie evidenziando diversi aspetti
     della nostra missione tra i migranti e i giovani nel corso degli anni. In questo
     numero diamo la parola a Bianca cui abbiamo chiesto com’è nata la sua vo-
     cazione, e come la missionarietà e la secolarità si sono intrecciate nella sua
     vita in vari paesi del mondo e ora anche in Vietnam.
     È domenica e sto sfrecciando su una moto
     insieme ad altre centinaia di motociclisti
     nella periferia di Ho Chi Minh City, metropoli
     industriale nel sud del Vietnam. Mi trovo
     dentro ad un fiume in­cre­dibile di giovani
     che si muovono agili e veloci verso il futuro.
     Accanto alla strada grattacieli futuristi, centri
     commerciali, indu­strie e improvvisi squarci di
     foresta, canali at­torniati da bambù e palme.
     Sto sognando?
     Non è un sogno ma è la realtà del mio nuovo
     invio missionario in questo paese del Sud-Est
     asiatico. Ricco di contrasti, di paesaggi ina­
     spettati e sorprendenti.
     Stiamo andando a Binh Duong, al confine
     nord di Ho Chi Minh City, un’area caratte­
     rizzata da un rapido sviluppo dove esistono
     attualmente 28 parchi industriali che attrag­
     gono investitori dall’estero e, di conseguen­
     za, migliaia di lavoratori immigrati da diverse
     province del Vietnam ma anche da altri paesi,

14
soprattutto Filippine, India, Cam­
                                                  bogia, Corea, Francia, Stati Uni­
                                                  ti. La domenica alle 10.30 viene
                                                  celebrata per loro la messa in
                                                  inglese e con gli studenti scala­
                                                  briniani ani­mia­mo la liturgia.
                                                  In questo viaggio silenzioso verso
                                                  Binh Duong, improvvisamente la
                                                  mente e il cuore volano lontano e
                                                  si fermano su una domanda fon­
                                                  damentale: Chi sta conducendo
                                                  davvero la mia vita?
Ripenso ai 60 anni della nostra storia di missionarie secolari scalabriniane e mi
viene da sorridere perché anch’io quest’anno compio la stessa età. Un compleanno
speciale!
Porsi questa domanda impegnativa ogni tanto è importante, specie nei momenti
di svolta, o di cambiamento di rotta o anche di disorientamento e di pericolo,
come quello che stiamo vivendo con la pandemia.
“Mentre i discepoli sono naturalmente allarmati e disperati, Egli sta a poppa, proprio
nella parte della barca che per prima va a fondo. E che cosa fa? Nonostante il tram-
busto, dorme sereno, fiducioso nel Padre – è l’unica volta in cui nel Vangelo vedia-
mo Gesù che dorme –. Quando poi viene svegliato, dopo aver calmato il vento e le
acque, si rivolge ai discepoli in tono di rimprovero: «Perché avete paura? Non avete
                                       ancora fede?” (Papa Francesco, Momento stra-
                                       ordinario di preghiera in tempo di epidemia, 27
                                       marzo 2020).
                                    Ogni prova, ed anche ogni scelta, è una sfida
                                    a rilanciare il cuore oltre noi stessi, in una fidu­
                                    cia che si alimenta nel rapporto confidente con
                                    questo Amico che, dormendo, dimostra il suo
                                    affidamento illimitato nelle mani del Padre.
                                    È così che, in questo tempo difficile e prova­
                                    to, lo sguardo alla vita vissuta con Lui suscita
                                    nel cuore non paura ma gratitudine. E di con­
                                    seguenza fiducia. Continuiamo, nonostante le
                                    prove, a camminare, scoprendoci, proprio gra-
                                    zie alle prove, insieme nella stessa barca. Sem­
                                    pre più famiglia, sempre più fratelli.
                                    Gratitudine in effetti è la parola che abita il mio
                                    cuore, non solo per questo nuovo anno “roton­
                                    do”, ma per tutta la vita e per l’inaspettato dono
                                    di poterla condividere con chiunque incontri
                                    sulla strada, chiunque, come me, si trovi in cam­
                                    mino. Seguendo le tracce di una “chiamata”.
                                                                                           15
Chiamata, vocazione è una parola che da ragazza mi faceva un po’ paura, dalla
     quale facilmente scappavo: “Vieni all’incontro vocazionale?” “Ma neanche morta!”
     era la mia risposta, più o meno esplicita.
     Finché ho scoperto in alcune giovani donne, la gioia di poter vivere il vangelo in
     ogni momento e realtà della vita. Erano missionarie scalabriniane. Soprattutto mi
     colpiva quella che loro chiamavano secolarità. Qualcosa per me di veramente
     nuovo e rivoluzionario.
     Parlavano di sale e lievito così come spiega anche Gesù nel Vangelo. Qualcosa
     che fa crescere da dentro, che dà sapore alla vita. La vita vissuta con Gesù non
     è solo andare in chiesa o rispettare i comandamenti… ma vivere in un continuo
     dialogo di amicizia con Lui e disporsi ad amare con un amore come il Suo. Un
     amore incondizionato e ricevuto così come si riceve l’acqua quando ci si mette
     sotto una cascata. Un amore potente e penetrante, che ci muove!
     Avevo appena finito il liceo Classico e, dopo la maturità, tutto mi si apriva davan­
     ti come un’incredibile avventura. Così quell’estate, alla ricerca della libertà e di
     un’esperienza indipendente dalla famiglia, possibilmente all’estero, mi ero trovata
     con sorpresa a toccare con mano la realtà dei migranti italiani in Germania, a
     Stoccarda. Uomini soli che, durante il campo estivo, insieme ad altri giovani, ave­
     vamo potuto incontrare negli alloggi collettivi ed anche in carcere.
                                      Ero straniero e mi hai accolto, ero in carcere e
                                      sei venuto a trovarmi (cfr. Mt 25, 35.36). Mai le
                                      parole del Vangelo mi erano sembrate così vive
                                      e sperimentabili.
                                       Era possibile vivere il Vangelo proprio lì dentro,
                                       nelle contraddizioni, nelle ferite della vita, me­
                                       scolate nelle realtà più diverse, sporcandosi le
                                       mani con il mondo, per scoprirne tutta la bel­
                                       lezza, nascosta specialmente nel cuore di ogni
                                        persona.
                                        Cominciavo a capire che vocazione non è
                                        prima di tutto scegliere la propria strada, ma
                                        rispondere a qualcosa o meglio a Qualcuno
                                        che ci sta chiamando con infinita dolcezza e
                                        pazienza. Con amore. È disporsi al silenzio e
                                         all’ascolto di una “voce” che ci raggiunge den­
                                         tro con fantasia e forza. Sorprendendoci. E
                                         lasciandoci sempre tra le mani il dono della
                                         libertà. “Se vuoi”.
                                         In effetti a volte mi ritornava alla mente quan­
                                         do, nel 1978 con tutta la famiglia, in occasio­
                                         ne dei 50 anni dei genitori e del loro 25° anni­
                                          versario di nozze, era stato regalato a tutti noi
                                          cinque figli, un viaggio in India. Una proposta
                                          davvero eccezionale per quei tempi. Io ero

16
poco più che adolescente e, insieme a Luca, il fratello maggiore, avevamo osato
contestare questa scelta che giudicavamo “borghese”, come si diceva allora. Per
fortuna aveva prevalso la gioia e il senso di avventura di tutto il resto della famiglia
all’idea di poter fare insieme un’esperienza così unica.
Di tutto quel viaggio ciò che ricordo con nitidezza ancora oggi è il senso di disagio
sperimentato nell’incontro con i poveri nella città di Nuova Delhi. E, in una città del
Rajasthan, Kota, il saluto festoso di un gruppo di bambini pieni di gioia alla vista
di persone occidentali, e nello stesso luogo, l’incontro con un vecchio lebbroso
che si era avvicinato a me
sorridendo. La sua presen­
za così vicina mi aveva tur­
bato, forse impaurito. Non
sapendo cosa fare gli ave­
vo messo nelle mani alcu­
ne rupie. La sua reazione
mi aveva freddato. Senza
parole aveva fatto scivolare
quei soldi nella mia mano e
si era allontanato.
Proprio attraverso quest’in­
contro avevo sentito quella
“voce” dentro di me chia­
ramente! “Non voglio ciò
che hai ma ciò che sei, la
tua vita!”. Una dichiarazio­
ne d’amore, così forte e
improvvisa da lasciarmi nel
cuore una ferita e una do­
manda. “Cosa vuoi da me?”. Ricordo che il mio pensiero, mentre salivo sull’aereo
nella strada di ritorno a casa, era molto chiaro. “Non tornerò qui se non per stare
dalla loro parte!”.
Una “voce”, simile a una inquietudine dentro, l’avevo sperimentata in realtà anche
in altri momenti della mia vita: un’estate quando, in un momento di preghiera da
sola, avevo aperto a caso il Vangelo. Nel capitolo 8 del Vangelo di Luca c’è una
sola riga in cui si parla delle donne che, insieme ai discepoli, seguivano Gesù. “E
io?”. Gioia e timore.
E poi a 19 anni, in un campo di lavoro con i terremotati dell’Irpinia, organizzato
per i giovani dalla diocesi di Lodi nel 1980. Un ragazzo del paese in cui eravamo,
Carife, vedendo che mi davo molto da fare per aiutare nei lavori di ricostruzione,
mi aveva improvvisamente fermato chiedendomi con tono un po’ provocatorio:
“Ma quando hai tempo per noi?”. Quelle parole mi raggiunsero nel cuore con
potenza. Forse era Gesù stesso che mi chiedeva di fermarmi: “Quando hai tem-
po per me?”. Una domanda che incalzava e mi metteva in movimento dentro. E
riemerse pochi giorni dopo quando, leggendo il Vangelo di Luca, mi immedesimai
nella vedova povera che nel tempio offre i suoi due spiccioli, quanto aveva per
vivere. Cioè tutto.
                                                                                           17
In effetti attraverso le esperienze dei viaggi con la mia famiglia, gli amici, la for­
     mazione cristiana ricevuta nella mia parrocchia di San Lorenzo e diversi impegni
     di servizio, mi sentivo aperta a tutto e volevo tutto! Ma dove potevo dare tutto?
     In una bella famiglia come quella che avevo ricevuto! Cosa desiderare di meglio?
     Magari, pensavo, con la famiglia potrei andare come missionaria laica in Africa?
     A volte, specie nei momenti di preghiera, a contatto con la natura, desideravo
     vivere una vita contemplativa nel silenzio di un convento.
     Quando avevo intrapreso lo studio della Medicina, in effetti, mi era sembrato che
     una professione come quella del medico avrebbe potuto sintetizzare tutte le mie
     aspettative e sogni di giocare la mia vita per gli altri. Ma dopo i primi due anni di
     studio, mi accorgevo che non era così, non era ancora tutto.

     In quel periodo p. Gabriele Bortolamai, missionario scalabriniano, conosciuto al
     campo estivo a Stoccarda, era venuto ad incontrarmi alla stazione dei treni di
     Lodi, la mia città natale, per invitarmi a non stare troppo tempo in bilico tra tutte
     le scelte. “Buttati, fai esperienza dell’amore, esci da te stessa”.
     Avevo un ragazzo che mi piaceva, e così mi sono buttata, credendoci fino in fon­
     do, immaginando di poter dare ali al sogno di una bella famiglia, con tanti bam­
     bini. Una vita felice, aperta agli altri. Ma anche in questa esperienza esaltante di
     essere per la prima volta davvero innamorata, sentivo che non era ancora tutto.
     Dentro il cuore la preghiera stava scavando uno spazio più grande che né una
     professione né un ragazzo potevano colmare. E allora?
     Non è stato facile dire a quel ragazzo: “Fermiamoci un momento, vediamo cosa
     pensa Chi veramente conduce la nostra vita”. La mia richiesta di una “pausa” ar­
     rivava proprio il giorno in cui si era presentato con un anello di fidanzamento. “Si
     può vendere l’anello ed aiutare i poveri”. La mia proposta, un po’ sfrontata, lo
     aveva fatto molto arrabbiare ma forse lo aveva anche aiutato ad intuire quello

18
che io stessa ancora non capivo. La strada di una consacrazione totale a Dio.
L’intuizione era già dentro di me da tempo, ma attendeva questo spogliamento,
questo smarrimento, perché mi rendessi conto che Gesù stava già sulla mia bar­
ca, aspettando che mi accorgessi di Lui.
Dove va la barca non lo sappiamo all’inizio del viaggio. La cosa più importante è
fidarsi di Chi la conduce. Così, dopo un tempo di formazione e di discernimento,
35 anni fa, insieme a due compagne di viaggio, siamo decisamente salite sulla
barchetta delle missionarie secolari scalabriniane. Il 13 aprile 1986 abbiamo pro­
nunciato i voti di povertà, castità e obbedienza proprio nei pressi della Stazione
Centrale di Milano, lì dove il vescovo Scalabrini, cento anni prima, nel 1886, ave­
va avuto un forte e memorabile incontro con i migranti in partenza per le Ameri­
che. Un incontro che gli aveva lasciato nel cuore una domanda molto concreta:
Come venir loro in aiuto?
La comunità aveva allora poco più di 20 anni e proprio in quel tempo iniziavano
ad unirsi al primo gruppo missionarie di diverse nazionalità: dalla Francia, dalla
Germania, dal Brasile. I giovani erano stupiti nel vederci vivere insieme con la
nostra diversità di lingue e culture. Un anticipo dell’esperienza interculturale che
l’Europa si stava accingendo a sperimentare grazie all’incremento progressivo
delle migrazioni internazionali. Migranti con i migranti. Se non si sperimenta in pri­
ma persona, sulla propria pelle cosa significhi vivere altrove, sradicati dal proprio
mondo, dagli affetti, dalla propria cultura, non si può capire chi parte e spesso è
costretto a lasciare tutto per sopravvivere.
Vivere insieme una comunione di vita nella propria diversità e unicità è e sarà
possibile non solo per noi, ma per il mondo! Sembrava un sogno ma ci accor­
gevamo che stava iniziando a realizzarsi già tra di noi. Per dono dello Spirito! E
abbiamo imparato a crederci insieme intuendo che questa era l’esperienza che
il Signore, attraverso il nostro giovane Istituto Secolare, ci chiedeva di annuncia­
re in ogni ambiente, soprattutto tra i giovani solitamente attratti e incuriositi dal
nuovo. Il nostro sogno era il sogno di Dio! Lo stesso che aveva mosso anche il
vescovo Scalabrini e gli aveva fatto intravedere nei movimenti migratori di milioni
di persone, la possibilità di una strada di comunione tra tutti i popoli: (…) va pre-
parandosi quaggiù un’opera ben più vasta, ben più importante e sublime, cioè
l’unione in Dio di tutti gli uomini.
Dopo i voti, la Laurea e la Specializzazione in Medicina Interna, iniziano le pri­
me esperienze di lavoro in ospedale a Milano, e poi nel carcere di San Vittore.
E, qualche anno dopo, il primo invio missionario fuori dall’Europa, in Cile, come
responsabile di un progetto sanitario di Cooperazione Internazionale dell’Ospe­
dale San Raffaele. Ero giovane, poco più di 30 anni, con un incarico di grande
responsabilità e un invio da parte della mia comunità in un paese nuovo, tutto da
esplorare. Perché proprio io? Da dove tanta stima e fiducia nei miei confronti?
Nelle mie doti e capacità? Mi sentivo così piccola!
A pochi giorni dal mio arrivo, appena trovato un piccolo appartamento, sono stata
derubata di tutto ciò che mi ero portata nella mia valigia missionaria-migrante. Di
nuovo un’esperienza di “spogliamento”, radicale, disarmante. Un’esperienza che
mi faceva sentire ancora più piccola, davvero perduta se non avessi avuto un

                                                                                         19
Padre, se a guidare la mia vita non
                                                     fosse la Sua voce, la Sua chiamata,
                                                     il Suo Spirito.
                                                     Chi sta conducendo davvero la mia
                                                     vita? La mia barchetta era di nuovo
                                                     provata da una tempesta, ma stavo
                                                     imparando a non fare affidamento
                                                     su me stessa, ma ad affidarmi e a
                                                     lasciare in mano a Lui le redini della
                                                     vita.
                                                   Come capo-progetto, dovendo co­
                                                   struire delle strutture sanitarie nella
                                                   periferia più emarginata di Santiago,
                                                   mi trovavo spesso a confrontarmi con
                                                   le autorità locali, gli ingegneri, il mini­
                                                   stro della salute, l’ambasciatore, e a
                                                   prendere decisioni per le popolazioni
     più povere: in questi contesti “altolocati” scoprivo sempre più con stupore che la
     mia consacrazione poteva essere davvero uno strumento di sensibilizzazione; la
     mia piccolezza poteva fare spazio al sale e al lievito del Vangelo a servizio della
     vita dei più piccoli tra i migranti.
     E così, quasi per miracolo, i semi di cura e solidarietà seminati
     nei confronti delle popolazioni più svantaggiate si trasformavano
     sotto i nostri occhi. Proprio come nel deserto di Atacama quando,
     dopo anni di siccità, improvvisamente arriva la pioggia. E tutto
     fiorisce.
     Al termine di questo progetto, nel 1994, il mio aereo questa volta
     non atterrava a Milano ma a Roma, per un nuovo invio missionario.
     Nella città eterna, dove da qualche anno era iniziata una nostra
     presenza.
     Cercando un inserimento significativo nel campo della salute
     dei migranti, ambito a quei tempi ancora poco esplorato, accol­
     si l’offerta di un lavoro in un “Corso internazionale di formazione
     alla cooperazione” per giovani medici presso l’Istituto Superiore
     di Sanità. Il tempo vissuto nella cooperazione internazionale in
     Cile, era stato un’incredibile scuola di vita migratoria e certamente
     aveva maturato in me una nuova sensibilità per la salute globale
     che in Università, a livello accademico, tardava a farsi presente.
     Un’esperienza che non potevo tenere per me!
     Per questo quando mi capitò di conoscere l’ambiente del Poliam-
     bulatorio per immigrati della Caritas, presso la Stazione Termini,
     capii che avrebbe potuto diventare il laboratorio transculturale che
     stavo cercando. Salvatore Geraci e Riccardo Colasanti avevano
     iniziato qualche anno prima, nel 1983, quest’esperienza pionie­

20
ristica di un poliam-
bulatorio per immi-
grati caratterizzato
da una bassa soglia
d’accesso e da un
alto impatto relazio-
nale. Il Sistema Sa­
nitario Italiano, infat­
ti, a quel tempo, non
prevedeva        l’assi­
stenza sa­­nitaria per
chi era irregolare,
dunque sempre più
persone risultavano
discriminate nell’accesso ai servizi sanitari di base. Non erano rari i ca­­si di per­
sone straniere “clandestine” che morivano per paura di presentarsi ad un pronto
soccorso. Ma la sfida non era solo nel campo della salute bensì nell’immaginare
una società in grado di trasformarsi assumendo un volto sempre più normalmen-
te multietnico. Prendersi cura della salute dei migranti diventava l’occasione per
conoscere la loro cultura e promuovere i diritti di tutti, senza nessuna esclusione.
Molti giovani si dimostravano sensibili a questa sfida e offrivano generosamente
il loro aiuto.
                Dopo alcuni mesi di volontariato al poliambulatorio, Salvatore e
                Riccardo, cui si era aggiunto Gonzalo, creativo filosofo colom­
                biano, quasi travolti da un’onda di lavoro che andava crescendo
                di giorno in giorno, mi proposero un impegno con loro a tempo
                pieno. E così, con il coinvolgimento di centinaia di volontari, tra i
                quali moltissimi studenti, si delineò sempre più il volto dell’Area
                Sanitaria della Caritas di Roma con una specifica mission:
                Mettersi in relazione con ogni persona, partendo dalla stima e dal
                valore della vita di ciascuno, a qualsiasi cultura o storia apparten-
                ga, per conoscere, capire e farsi carico con amore della promo-
                zione della salute, specialmente di coloro che sono più svantag-
                giati, affinché vengano riconosciuti, riaffermati e promossi ad ogni
                livello, dai singoli, dalla comunità e dalle istituzioni, diritti e dignità
                di tutti, senza nessuna esclusione.
                Insieme imparavamo che la malattia è sì una richiesta di aiuto
                ma anche un’occasione di incontro con persone che, con la loro
                diversità, ci rendono presente il mondo, “obbligandoci” a tener
                conto delle loro culture e dell’esperienza migratoria che hanno
                alle spalle. Grazie a loro ci allenavamo a non dare nulla per scon­
                tato e a metterci in discussione.
                La medicina occidentale infatti, dietro all’aggettivo scientifico, alla
                mitizzazione dell’Evidence Based Medicine (EBM), spesso na­
                sconde una rigidità strutturata che certo non aiuta nel rapporto
                con la complessità e la diversità del contesto contemporaneo.

                                                                                              21
L’emigrazione, anche nel campo della medicina, funziona proprio come lente di
     ingrandimento che ci permette di vedere meglio, di mettere a fuoco i punti dove
     è necessaria una trasformazione del nostro modo di metterci in relazione con
     l’altro. Possiamo dire che la medicina, anzi gli operatori sanitari, entrano in crisi
     proprio grazie alla migrazione che ci fa riscoprire come anche noi stessi vorrem­
     mo essere guardati, visitati, considerati nella nostra unicità.
     La relazione operatore sanitario-paziente, così come ogni relazione, ha in sé la
     chance della trasformazione che passa proprio attraverso la scelta dell’accoglien­
     za, del riconoscimento del valore della vita dell’altro. Una medicina attenta alla
     persona, come abbiamo visto anche recentemente nell’esperienza della pande­
     mia di Covid-19, chiede di mettersi in gioco e di lavorare sulla propria trasforma­
     zione arrivando a capovolgere l’impostazione della relazione terapeutica. Non
     più una relazione tra soggetto (il medico) e oggetto (il paziente) che viene studia­
     to, analizzato, classificato, ma lo sviluppo della capacità di entrare in un terreno
     nuovo, inesplorato, dove l’altro è la fonte più importante che ho per capire il suo
     contesto ed anche il suo malessere, la sua malattia, la sua storia.
     La medicina così intesa ha la possibilità di reinventarsi multidisciplinare, capace
     di lavorare in rete con altri professionisti ed altre discipline quali la sociologia, l’an­
     tropologia, la psicologia, l’economia come è diventato cruciale in questo tempo
                                                                       di pandemia. Questa
                                                                       capacità dialogica am­
                                                                       pia e aperta, se colti­
                                                                       vata attraverso un’a­
                                                                       deguata formazione,
                                                                       apre gli operatori al
                                                                       dialogo con persone
                                                                       di altri popoli, inse­
                                                                       gnando loro a ricono­
                                                                       scere e legittimare al­
                                                                       tri modi di vedere e di
                                                                       percepire la salute, la
                                                                       malattia, la sua ezio­
                                                                       logia e la sua terapia,
                                                                       in una prospettiva di
                                                                       salute globale. Si an­
                                                                       dava così delineando
                                                                       l’esperienza della me­
                                                                       dicina transculturale.
                                                               Una storia iniziata
     come un dono inatteso e che nel corso di più di vent’anni mi ha trasformato re­
     galandomi una nuova esperienza di mis­sionarietà: umile e comunionale, in un
     cammino continuo di formazione-trasformazione.
     Un viaggio che ora prosegue qui in Vietnam con Marina, Marianne e tutte le nuo­
     ve missionarie che vorranno lanciarsi nell’avventura di questa barchetta.

                     				                                                  Bianca
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emigrazione dai paesi dell’America Centrale verso il Messico e so-
prattutto gli Stati Uniti ha tante cause diverse che si sommano e concorrono
a un esodo forzato di singole persone, adulti e minori non accompagnati,
e di intere famiglie. I media ci mostrano masse di gente, carovane in mo-
vimento, ma ciascuno ha la sua storia e il suo cammino. Vi raccontiamo la
storia di Jorge e María Fernanda, due giovani coraggiosi, che non hanno
voluto accettare ingiustizie e compromessi.
Negli incontri della vita quotidiana a Città del Messico abbiamo conosciuto in si­
tuazioni diverse Jorge dell’Honduras e María Fernanda del Nicaragua. Nelle loro
giovani vite si è fatta largo gradualmente la necessità di partire dai loro paesi per
poter vivere, per ritrovare la libertà dall’oppressione e dalla mancanza di giustizia
e di prospettive.
Jorge lo abbiamo conosciuto a Casa Tochan, una casa per migranti di Città del
Messico. Da richiedente asilo accolto, il giovane honduregno è diventato collabo­
ratore volontario nei mesi più duri della pandemia.
“I motivi della mia partenza dall’Honduras iniziano con gli eventi del 2009, quan-
do ero ancora uno studente universitario. Mi riferisco al colpo di Stato militare ai
danni del presidente Manuel Zelaya, una crisi politica che ha segnato uno spar-
tiacque nella mia vita e in quella di tutto il paese. Prima di quel fatto si stava ma-
turando una consultazione popolare per cambiare il bipartitismo in cui l’Honduras
era rimasto bloccato per più di un secolo.
Quando è arrivato il giorno, si sentiva nell’aria che sarebbe successo qualcosa.
All’alba mi sono svegliato con la notizia che era in atto un colpo di stato. Ho avverti-
                                                                                           23
to un brivido nel corpo perché non sapevo come reagire. Non avevo mai avuto que-
     sta esperienza, ma ne avevo sentito parlare dalle persone che l’avevano vissuta in
     passato e ne avevo conosciuto degli esempi sui libri di storia.
     Sono andato molto presto nella piazza della mia città. Là c’erano ancora le perso-
     ne che avrebbero dovuto realizzare la consultazione popolare. All’improvviso ho
     visto arrivare delle camionette, da cui sono scesi i militari i quali hanno occupato
     tutta la piazza. In quel momento ho definito la mia posizione come cittadino. Ero
     molto giovane e questo atteggiamento ha portato con sé molte conseguenze, poi-
     ché da quel giorno ho iniziato a partecipare a tutte le iniziative di protesta contro
     il colpo di stato, mettendomi dalla parte dei perseguitati, mentre aumentavano i
     morti, alcuni uccisi nelle manifestazioni e altri vittime di una serie di omicidi seletti-
     vi. Nonostante questo pericolo, per la mia giovane età non ho messo limiti, ma mi
     sono lanciato perché ero cosciente che era necessario generare un cambiamento

     nel paese. Mi dicevo che non potevo restare indifferente di fronte a tutto quello
     che vedevo e il minimo che potevo fare era partecipare e non rimanere in silenzio.
     Ovviamente, è stato difficile. Con il passare del tempo ho cominciato a vedere le
     ripercussioni che tutto ciò aveva sulla mia vita”.
     Negli otto anni successivi, Jorge continua il suo impegno politico alternando mo­
     menti di maggiore tranquillità a fasi di grande tensione. Impara ad avere un com­
     portamento più cauto, per non dare alla polizia motivi per metterlo in prigione:
     “Sapevo che tutto era contro di me: l’apparato giuridico e militare. Non potevo com-
     mettere errori. Ascoltavo le notizie di persone assassinate, compagni che s’impe-
     gnavano a livello locale, studenti che avevano partecipato a una manifestazione
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Honduras: le ragioni della fuga
                                  Negli ultimi anni l’Honduras è diventato il principale paese di
                                  origine dei migranti che transitano per il Messico in direzione
ed erano stati sequestrati
e poi uccisi. Però in quel        degli Stati Uniti. Le cause congiunturali di questa emigrazio-
momento non volevo ab-            ne di massa sono le errate pratiche politiche ed economiche
bandonare la lotta. Per me        (acceleramento del modello neoliberale), il colpo di stato del
fuggire dal paese sarebbe         2009 patrocinato dall’amministrazione del Presidente USA
stato come lasciare incom-        Barack Obama e la frode elettorale. Il fratello dell’attuale
piuto quello che avevo co-        Presidente dell’Honduras è stato condannato all’ergastolo
minciato, nonostante ve-
                                  quest’anno per narcotraffico negli Stati Uniti.
dessi che la situazione si
stava deteriorando”.              Tra le cause strutturali vi sono la povertà, la disoccupazione,
Nel 2014 emerge grazie            un’economia periferica nel mercato globale e la corruzione.
ad alcuni giornalisti indi­       Il 70 % dell’economia honduregna è informale. L’Honduras è
pendenti lo scandalo del­         anche uno dei paesi più violenti della regione. Inoltre, la pan-
l’I­stituto Honduregno di Si­­­­  demia di covid-19 ha fatto sprofondare quasi un milione di
curezza Sociale, cioè l’en­­te    persone nella miseria. Il paese ha perso circa il 12 % del suo
che gestisce i contributi         PIL e poi nel 2020 è arrivato l’uragano Eta, che ha letteral-
dei lavoratori per il sistema     mente inondato la valle di Sula, ha fatto marcire le pianta-
sanitario naziona­le. Viene       gioni di banane e di canna da zucchero. A distanza di una set-
reso pubblico, in­fatti, il sac­
                                  timana è arrivato l’uragano Iota. La devastazione lasciata al
cheggio dei soldi dei contri­
buenti da parte dell’attuale
                                  loro passaggio da questi uragani non ha precedenti vicini nel
regime del Presidente Juan        tempo e lascia presagire che il cambiamento climatico stia
Orlando Hernández Alvara­         avendo conseguenze tremende su questo paese dell’America
do, eletto per la prima volta     Centrale, riducendo ulteriormente i mezzi di sussistenza della
nel 2013. Per questo moti­        popolazione. (https://www.internazionale.it/opinione/car-
vo, molti honduregni sono         los-martinez/2021/02/08/carovane-migranti)
rimasti privi di assistenza
sanitaria e vi sono state molte vittime per mancanza di medicine e terapie.
“Questo ha causato in me e in tanti altri una grande indignazione. È nato il Mo-
vimento delle torce, cioè delle manifestazioni che si tenevano in varie parti del
paese tutti i venerdì sera, in cui le persone portavano con sé una torcia accesa,
simbolo della salute, del desiderio di luce in un paese pieno di oscurità.
Tutto questo impegno aveva un prezzo. A molti è costato la vita. Io ho dovuto
vivere per anni come un esiliato nel mio stesso paese. Alla fine ho lasciato l’Hon-
duras per l’ultima goccia che ha fatto traboccare il vaso. Nel 2017, durante la fase
elettorale, nasce un’alleanza politica a cui ho dato il mio appoggio come artista,
insieme a numerosi intellettuali, pittori e drammaturghi. Il Presidente uscente,
però, riesce a farsi rieleggere con una frode elettorale. Il sistema informatico di
conteggio dei voti, infatti, crolla all’improvviso e dopo alcuni giorni viene ripristina-
to, ma i dati risultano cambiati e danno la vittoria a Hernández Alvarado, che ri-
mane al potere per altri quattro anni. Nel 2016 avevano già assassinato l’ambien-
talista Berta Cáceres, che conoscevo. Che cosa potevo sperare ancora? Nel mio
caso mi stavano uccidendo lentamente e praticamente, perché ero emarginato
dal mondo del lavoro e avevo molti problemi economici. Nel 2019 ricevo la notizia
della partenza della carovana migrante da San Pedro Sula e decido di unirmi a
loro. Non ho detto niente a nessuno. Ho avvisato mio padre il giorno stesso della
partenza e lui non ha potuto fare nient’altro che augurarmi ogni bene e darmi un
po’ di soldi. Ero completamente solo, pur essendo in una carovana. Il mio obbiet-

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