Instagrammabili - Smart Marketing

Pagina creata da Nicolò Nardi
 
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Instagrammabili - Smart Marketing
L’interior design in ottica social: hotel e
luoghi di consumo sempre più
instagrammabili.
Che siate amanti dei neologismi o meno, di certo comprenderete subito il significato della parola
“Instagrammabile”. Alcuni di voi, i puristi della lingua italiana, staranno inorridendo alla sola
lettura… altri, forse, sorridendo o annuendo, perché se è vero che questo aggettivo non suona
ancora benissimo alle nostre orecchie, è anche vero che è intuitivo per chi vive nel nostro tempo;
esprime chiaramente e velocemente un concetto che altrimenti dovremmo spiegare con giri di
parole.

Cosa vuol dire instagrammabile?
Significa qualcosa di ideale da fotografare e pubblicare su Instagram, qualcosa di particolare, che
ci piace, che attira la nostra attenzione e che attirerebbe quella di chi ci segue, scatenando
possibilmente una pioggia di like.

Pare che nella versione aggiornata del dizionario Merriam-Webster sia stato inserito sia il verbo
Instagrammare che l’aggettivo instagrammabile (oltre a una serie di altri neologismi provenienti
dal web e dai social media come googlare, retwittare e tante altre parole simili).

Ma non è solo la lingua italiana ad adattarsi alle nuove
abitudini e a subire l’influenza delle nostre consuetudini
digitali e dell’ansia da performance online.
Se 10 anni fa ci avessero detto che i social network avrebbero avuto il potere di influenzare
persino il design e l’arredamento di luoghi come hotel, ristoranti, negozi e così via non ci
avremmo creduto….e invece benvenuti nell’era di Instagram!

Anche se non lo ammettiamo o non ce ne rendiamo conto, il potere dei like e delle condivisioni ci
influenza nelle scelte e in varie situazioni, come ad esempio quando programmiamo le nostre
vacanze. Secondo una ricerca di Booking, il 70% dei viaggiatori sceglie la struttura da prenotare in
base al design. Fin qui nulla di strano, chi non resta affascinato da strutture curate e ben studiate?
Quando si tratta di Millennials, però, entra in scena anche l’instagrammabilità della struttura.

Parliamo di Instagram perché è il social network in cui le
foto regnano sovrane, ma l’aggettivo è da intendersi in senso
ampio; indica la pubblicazione anche su altri social network
che permettono la condivisione di foto, come Facebook.
Una volta avremmo detto suggestivo, particolare, curato, innovativo, oggi diciamo instagrammabile
o “perfetto per instagram”, e anche se non lo diciamo…lo pensiamo, e decidiamo di andare in quel
luogo, che ci permetterà di scattare delle foto particolari anche un po’ per arricchire le nostre
bacheche, oltre che per deliziare i nostri occhi, visto che si tratta sempre di luoghi molto belli e
particolari.

Basta fare una ricerca su Google per renderci conto che i classici articoli intitolati “i 10 luoghi da
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non perdere a… Londra/Parigi/Milano/Torino” sono stati presto rimpiazzati con titoli come “I 10
luoghi più instagrammabili di…” o “guida ai locali più instagrammabili a…” e così via. Vogue
UK ha persino pubblicato un articolo che raccoglie un elenco dei bagni più belli dei locali di Londra,
intitolato appunto The most instagrammable bathrooms in London.

La conseguenza?
Luoghi di consumo come caffè e ristoranti, cocktail bar, strutture turistiche, puntano
sempre più all’interior design in ottica social, cioè a rendere i propri spazi belli da fotografare,
rivolgendosi all’aspirante influencer che è in noi. Ogni foto, con relativo tag o geolocalizzazione,
potrebbe portare nuovi clienti, desiderosi di fare scatti simili.

  Per approfondire:

  ■   Italian Design (un numero interamente dedicato al mondo design e all’arredo)

Quali sono gli elementi che rendono un luogo instagrammabile? Colori, arredi, quadri,
accessori particolari, luci o il richiamo di trend che spopolano al momento. Un esempio su tutti:
l’unicorno mania.

In occasione della Design Week, a Milano, verrà ad esempio inaugurata (e resa disponibile solo per 3
giorni) la Unicorn House, una casa a tema unicorno con arredamento nuvoloso, stelle alle pareti,
colori rigorosamente pastello e vari arcobaleni. Una location che offre una piccola esperienza da
favola, con ogni dettaglio che sembra pensato apposta per Instagram. Persino la biancheria e le
delizie sul cesto di benvenuto sono ispirate agli unicorni. Impossibile non farsi tentare da almeno
una foto da pubblicare sui social.

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  Un post condiviso da Roche Bobois Padova (@rocheboboispadova) in data: Mar 25, 2019 at 11:01 PDT
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Lo scorso anno il sito Hotel.com, dopo i risultati della ricerca Mobile Travel Tracker, che
evidenziava che una persona su sei sceglie la meta delle proprie vacanze sui social network,
ha pubblicato addirittura una Top 10 degli alberghi più belli da fotografare. Il primo è il St. Pancras
Renaissance Hotel di Londra con le sue scale particolarmente fotogeniche, in cui è anche stato
girato il video Wannabe delle Spice Girls; al secondo posto c’è l’Hotel Plaza Athenee di Parigi e la
sua vista mozzafiato sulla Torre Eiffel e poi il Conrad Maldives Rangali Island con il suo stupendo
ristorante sott’acqua.

Tuttavia non parliamo di sole strutture alberghiere, tanti gli
esempi tra caffè e ristoranti, molti dei quali a Milano.
Il bar Luce: la caffetteria di Fondazione Prada a Milano, ricrea l’atmosfera di un tipico caffè della
vecchia Milano e sembra un po’ un set cinematografico. E’ infatti stato progettato dal regista Wes
Anderson, conosciuto per film come Grand Budapest Hotel. Uno spazio che permette di fare un salto
nel tempo e che difficilmente non ci farà venir voglia di attivare la fotocamera.

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  Un post condiviso da Fondazione Prada (@fondazioneprada) in data: Apr 25, 2018 at 3:14 PDT

L’Elan cafè di Londra: chiaramente pensato per le donne Millennials: un caffè total pink con le
pareti interamente ricoperte di rose, un menù che segue le tendenze assolute del momento come
l’avocado toast o il matcha latte…e persino una linea di prodotti beauty realizzata a partire da
ingredienti come il caffè, che viene riciclato e utilizzato per la creazione di scrub e prodotti vari.
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           Un post condiviso da EL&N London (@elan_cafe) in data: Nov 13, 2018 at 11:56 PST

Il ristorante Temakiho di Milano Magenta: un mix di cucina giapponese e brasiliana, in una
location coloratissima, piena di elementi che riportano alla cultura brasiliana, con figure alle pareti ,
angoli studiati ad arte, fenicotteri che sembrano osservarti durante il pasto, lampadari particolari.
Tutto ispira felicità e buonumore.

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  Un post condiviso da Temakinho (@temakinho) in data: Apr 12, 2018 at 8:50 PDT

Parliamo di location che ricordano in qualche modo luoghi come il Rainforest Cafè o i ristoranti a
tema dei maggiori parchi di divertimento come Disneyland, con una differenza: il target non sono i
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bambini o le famiglie con bambini, ma i nuovi adulti, che si lasciano affascinare da queste
tendenze come se il tempo non fosse mai passato. D’altronde la generazione dei Millennials non
è una generazione che si distingue per la sua voglia di crescere.

Work in progress – L’editoriale di Ivan
Zorico
Noi Millennials, ossia quella generazione nata tra il 1980
ed il 1995, siamo stati abituati per gran parte della nostra
vita a concepire l’ingresso nel mondo del lavoro in maniera
molto lineare.

L’equazione era semplice: diploma di maturità + diploma di laurea = lavoro sicuro.
Per i più fortunati, alle volte questa equazione poteva essere anche più semplice: diploma di
maturità = lavoro sicuro.

Questa equazione non era frutto della nostra immaginazione e non l’avevamo imparata guardando la
TV o sui libri di scuola. A darci questa certezza e questa forma mentis era l’esperienza indiretta dei
nostri genitori, degli amici più grandi, dei parenti e dei conoscenti. Il leitmotiv era più o meno
questo: studia, impegnati e vedrai che il lavoro arriverà. E in effetti questo schema è stato vero
per molto tempo.

Poi, ad un certo punto, questa equazione ha iniziato a non restituire più il risultato atteso o
quanto meno sperato. Ecco come si è presentata la nuova equazione: diploma di maturità +
diploma di laurea = precariato. E, come conseguenza, abbiamo dovuto imparare a conoscere in
fretta termini come co.co.co, agenzie interinali, voucher et similia.

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  ■   La situazione del mercato del lavoro in Italia. Intervista a Marco Bentivogli.
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Oggi è evidente che viviamo e ci confrontiamo con un mondo molto più complesso di quello passato,
dove per passato intendo già soltanto un mondo di 15 anni fa. Siamo stati costretti a riformattare
rapidamente le nostre teste e, al contempo, sviluppare competenze nuove come flessibilità, auto-
imprenditorialità e proattività, così giusto per dire le prime tre che mi vengono in mente. E tutto
questo in un mercato del lavoro, quale quello italiano, sostanzialmente statico.

È inutile girarci intorno, non è facile: il contesto è cambiato e la competizione è aumentata. Ma
non è impossibile. In una condizione profondamente mutata, ci sono opportunità che si possono
cogliere e obiettivi personali e lavorativi che si possono ancora raggiungere. Perché se è vero che
rispetto ai nostri “predecessori” la vita si presenta più complessa, è vero anche che noi possiamo
contare su strumenti e tecnologie che per loro erano impensabili.

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  ■   Cercare il lavoro nell’era di LinkedIn, di Google e del digitale: guida e consigli pratici.
  ■   L’evoluzione del mercato del lavoro nel marketing e nella comunicazione (digitale).
      Intervista a Cristiano Carriero.

Dato che noi di Smart Marketing, come ormai avrete avuto modo di conoscerci, siamo orientati a
rappresentare i lati positivi e più in generale il mondo delle opportunità piuttosto che quello delle
recriminazioni, abbiamo voluto dedicare questo numero – “Work in progress” – proprio al mondo
del lavoro per dare nuovi spunti di riflessione a chi magari vi si affaccia per la prima volta, ma anche
per coloro i quali hanno già delle esperienze lavorative alle spalle.
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Scopri il nuovo numero dedicato al mondo del lavoro:

  ■   Work in progress

E il momento storico non poteva essere più congeniale: in attesa che il Reddito di
Cittadinanza (di prossima attuazione) sviluppi realmente il suo possibile potenziale e che si
manifesti davvero come un modo per avvicinare domanda e offerta (di lavoro) e non si palesi invece
come una mera forma assistenzialistica come più di qualcuno ipotizza, noi siamo convinti che la
conoscenza e la proattività siano le basi per il cambiamento e per poter incidere
positivamente sulla propria vita. Sia essa riguardante la sfera personale che, appunto, quella
lavorativa.

  Leggi anche:

  ■   L’Italia continua a NON essere un Paese per giovani.

D’altronde, come dicevano i latini: “Homo faber fortunae suae”.

                                                                                   Ivan Zorico

Quali sono le idee di franchising migliori
per il 2019
Anche per il 2019 si prevede che sempre più giovani e meno giovani sceglieranno di aprire in
franchising, dato che nonostante l’incertezza e l’instabilità dell’economia italiana, il desiderio di
avviare un’attività imprenditoriale è ancora molto alto. Si tratta di una tendenza che accomuna
soprattutto i più giovani, che vedono nel lavoro un modo per gratificarsi, rendersi autonomi ed
esprimere al massimo le proprie capacità e potenzialità.

Sempre più spesso, infatti, sono proprio i giovanissimi imprenditori a saper avviare e condurre al
successo attività innovative, generando importanti fatturati capaci di far rientrare dall’investimento
iniziale in un solo anno.

Il segreto sta non solo nelle capacità e competenze del team e dell’imprenditore, ma soprattutto
nella capacità di studiare il mercato, pianificare l’attività e creare un prodotto e servizio che
sia allo stesso tempo richiesto e molto innovativo.
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Le idee di successo nell’ambito del franchising

Molti casi di successo sono legati proprio al franchising, dato che chi ha avviato un’azienda
valida e redditizia tende a creare una propria rete di franchising, per permettere ad altri
imprenditori di affermarsi sul mercato.

Il franchising è un modello di business che conviene sia alla casa madre sia all’affiliato
dato che i costi di avvio e gli oneri di gestione vengono distribuiti ed è sicuramente più semplice
espandere un brand già collaudato. Infine, far parte di una rete di franchising estesa a livello
nazionale e locale permette di ridurre i prezzi delle forniture.

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Quali sono le idee più originali che caratterizzano oggi il settore del franchising? Quali i mercati
più redditizi del momento e a minore concorrenza? Scopriamolo assieme.

1. La diffusione dei bubble tea
Questa bevanda nasce a Taiwan negli anni Ottanta e si tratta di uno snack dring in piena regola, che
non solo si beve ma anche si mastica. Gli ingredienti tradizionali dei bubble tea sono il tè nero, il
latte e le perle di tapioca dal sapore simile alla liquirizia e lo snack è privo di glutine.
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Da poco è arrivato in Occidente e americani e tedeschi se ne sono già innamorati, ma anche a Milano
e Roma molti bar lo servono e sono nati locali dedicati.

Si tratta di una vera rivoluzione nel mondo del beverage e un trend davvero irrinunciabile e in
Italia sono nate le prime reti di franchising per aprire bubble tea shop, con prodotti originali.

2. La tradizione del Bed&Breakfast
Si tratta di una scelta tradizionale che si conferma ancora una delle più redditizie per chi vuole
aprire un’attività ricettiva anche nel 2019. Le tendenze dei viaggiatori moderni sono cambiate,
così come le loro abitudini, e aprire un B&B low cost con un brand in franchising per offrire
convenienza, comodità e pasti tipici è un’iniziativa di sicuro successo.

3. Cannabis Light Shop: il franchising di tendenza
Dal 2017 la cannabis light è un trend inarrestabile e anche nel 2019 il mercato non sarà affatto
saturo. In particolare avranno successo coloro che, soprattutto nelle grandi città, sceglieranno di
aprire un franchising che combina il tradizionale coffee shop con la vendita di cannabis light.

La canapa, infatti, sarà sempre più spesso l’ingrediente base di dolci e caffè aromatizzati.

4. Estetica maschile e barber shop
Le moderne reti di franchising offrono anche la possibilità di aprire barber shop moderni, ovvero
locali dedicati al benessere e all’estetica maschile, che si confermano una tendenza di grande
successo anche per il 2019.

5. Soluzioni ristorative originali
Seppure altamente concorrenziale, anche il mercato della ristorazione si presenta come un
investimento sicuro, soprattutto per chi vuole entrare nel settore aprendo con una rete di
franchising. Nel 2019 domineranno la scena le polpetterie, i ristoranti ambulanti e lo street
food gourmet, ma anche i locali capaci di proporre i prodotti tipici delle varie regioni.

6. L’home delivery
Continua, infine, la crescita del settore dell’Home Delivery, che comprende oggi diversi settori e
servizi, come la consegna a domicilio di cibo (food delivery), medicinali e spesa alimentare, colazioni,
ma anche vini e birre o ancora cocktail ricercati. Tutte idee di franchising di sicuro successo per il
2019.

  Scopri il nuovo numero dedicato al mondo del lavoro:

  ■   Work in progress
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Perché aprire in franchising: tutti i vantaggi.
Sicuramente aprire in franchising presenta alcuni importanti vantaggi rispetto all’avvio di
un’attività imprenditoriale totalmente autonoma, tra cui:

■   Aspetto economico: anche se è richiesto un investimento iniziale, i costi sono nettamente
    inferiori rispetto all’apertura da zero dell’attività e i profitti possono crescere in modo esponenziale
    già dai primi mesi, con marginalità di tutto rispetto;
■   Formazione e supporto: l’affiliato può contare sull’esperienza nel settore della casa madre senza
    dover acquisire in autonomia le competenze di settore;
■   Esperienza: aprire in franchising significa non solo mettere a frutto la propria esperienza, ma
    acquisirne sempre di nuova anche in ambiti diversi e necessari allo sviluppo dell’attività come
    marketing, economia, e così via.

Il mondo del lavoro è oggi in continua evoluzione, cala l’interesse di giovani e Millennials per il
lavoro dipendente, mentre aumenta la ricerca di auto-imprenditorialità: aprire in franchising sarà
sempre più spesso la risposta a tali tendenze.

Quali saranno i nuovi franchising del 2019 oltre a quelli indicati? Staremo a vedere!

Il vintage su grandi e piccoli schermi:
campione di incassi o necessità di
marketing?
La moda e la storia rivivono ciclicamente di corsi e ricorsi. Il loro ricordo si trasforma in
vintage e rievocazione e genera nel tessuto sociale tribù di appassionati a un certo stile o a una
precisa epoca.
Questo fenomeno sembra essere stato traslato nel mondo fantastico del grande e piccolo schermo.
I capolavori del cinema sono stati rivisti e copiati numerose volte ma nell’ultimo periodo la quantità
di sequel e remake è aumentata esponenzialmente. Il 2019 sarà l’anno delle colonne portanti
del cinema di animazione: si parte con Mary Poppins, che verrà riproposta in una versione molto
simile alla precedente. Disney, dopo un’intensa operazione di ripulitura e digitalizzazione delle
vecchie pellicole, riproporrà gli storici cartoni sotto forma di film. Quest’anno nelle sale ci attendono
grandi classici dell’animazione come Dumbo, diretto nientemeno che da Tim Burton, il Pinocchio
di Guillermo del Toro, e Il Re Leone con Beyonce. Operazione contraria invece per Spiderman,
da fumetto a saga sbanca botteghini e ora nuovamente cartone. E poi il ritorno di Toy Story (quarto
episodio), Space Jam (con LeBron James che a distanza di 13 anni prenderà il testimone di Michael
Jordan), e infine Sonic (dedicato alla mascotte dei videogiochi anni Novanta).

La febbre del remake coinvolgerà anche il piccolo schermo, che riproporrà i simboli di un’era
televisiva come Beverly Hills 90210, pare persino con lo stesso cast.
Le assolate spiagge di Los Angeles, protagoniste indiscusse per l’intero ultimo decennio del
Novecento con Baywatch, porteranno nelle grandi sale un secondo lungometraggio dopo la prima
trasposizione del 2017. Sono invece stati tagliati i baffi a Magnum P.I. con Jay Hernandez nei
panni del super detective, in un reboot della serie TV record degli anni Ottanta.

Rumors negli USA propongono addirittura di rifare le avventure di Stanlio e Ollio.

I motivi di questa scelta sono tutti da studiare!
Non penso e spero che dietro queste ipotesi si celi la scarsa inventiva di Hollywood. Mi sembra una
conclusione troppo banale.
Il fenomeno potrebbe essere dovuto a due ragioni: da un lato la risonanza omnicanale che
può dare chi ha vissuto “in diretta” la prima edizione di questi blockbuster, grazie alla quale
i remake possono contare su un effetto di trascinamento verso le generazioni più giovani.
Molti degli attuali influencer per le masse dei ragazzini più giovani hanno vissuto gli anni ’80 e ’90 e
sono quindi affezionati a quegli anni e legati alle pellicole. I ricordi si mischiano mentre per i nuovi
giovanissimi i remake sono in realtà degli inediti. Questo richiamo può sicuramente aiutare a colpire
un target di giovanissimi che ha sostituito le serate pizza e cinema con sushi e Club, magari
rilanciando il settore, dato che con lo streaming, la TV on demand e i vari servizi a pagamento o
gratuiti l’anteprima del cinema ha perso un po’ di lustro.

  Scopri il numero dedicato al marketing della nostalgia:

  ■   Back to the Future

  Una seconda ragione può essere dettata dall’instabilità economica e sociale di questi
  ultimi anni. Un potere d’acquisto ridotto tra i più giovani spinge a “ricentrare” il target del
  grande schermo su fasce d’età più alte. La precarietà, non solo economica, che non arriva
  neppure a misurarsi con il futuro ma si ferma al presente porta inoltre sempre più persone a
  volersi attaccare a un solido passato fatto di certezze e di capolavori intramontabili che sfigurano
  a confronto delle serie attuali che durano poco più di una stagione.

  E se a Seattle non sanno più che catastrofi inventare per mantenere l’onda degli ascolti di Grey’s
  Anatomy alla 15a stagione, qui ci accontentiamo di rispolverare la Dottoressa Giò.

  Trend visual 2019: il ritorno del vintage
  anche sul web
  Sicuramente immaginare il mondo di domani è difficile, ma non impossibile soprattutto per
  gli artisti e i creativi professionisti, capaci di respirare l’aria del cambiamento prima ancora che
arrivi. Lo stesso accade per chi si occupa di creazione di siti web e gestione di pagine sui social
media, ovvero del professionista che lavora sempre per i mesi a venire e vive costantemente
proiettato nel futuro.

Ogni anno Depositphotos parla con fotografi, designer e content creator per individuare idee,
movimenti e nuovi trend della comunicazione visiva, quelli che caratterizzeranno il futuro del
settore. Vediamo quindi cosa ci riserverà questo 2019.

Personalizzazione, l’unica via da seguire
Le campagne di digital marketing sfruttano oggi nuovi modi personalizzati per raggiungere il
singolo consumatore e questa è oggi l’unica via da seguire per avere successo. L’utente di oggi
è sempre più connesso e rinuncia volentieri alla privacy per accedere a contenuti – soprattutto
immagini – davvero rilevanti per lui.

Di grande tendenza sono i contenuti UGC – creati dai consumatori per i consumatori – e quelli
co-creati con gli influencer, studiati per adattarsi alle singole persone e raggiungere il
destinatario anche in un momento in cui la ad-blindness è ai massimi livelli.

Abbandonato il marketing per tutti, che si rivolgeva a un pubblico ampio e indistinto, oggi il
segreto del successo è portare l’utente a vivere un’esperienza ravvicinata con il brand e per farlo
si utilizzano soprattutto i contenuti visivi.

Provocazione creativa per attirare la curiosità
Chi lavora sui social media conosce bene l’importanza della provocazione visiva, che può portare
a un concreto vantaggio competitivo e stimolare la curiosità dell’utente online. Oggi le campagne
di Digital Marketing puntano su immagini audaci e folli, approcci non convenzionali alla
fotografia e all’arte e a tecniche pensare per un consumo in movimento del contenuto visivo.

  Scopri il numero dedicato al marketing della nostalgia:

  ■   Back to the Future

  L’immagine che oggi ha successo online è un’immagine incredibile e inaspettata, che si fa
  notare ed emerge dal feed sovraffollato che caratterizza tutte le piattaforme social, da
  Facebook a Instagram, da Twitter a Linkedin. Non basta più individuare l’argomento e l’orario
  perfetto: il vero marketer di oggi sa creare conversazioni e ampliare la portata organica del suo
  contenuto sul web.

  La nostalgia e il vintage: il sito Adidas ispirato agli anni
  ‘90
  L’uso di colori, pattern e caratteri degli anni ’90 è alla base del nuovo sito Adidas, che ha
  catturato la nostalgia di quel periodo per presentare le sneaker del futuro, rivolte ai Millennials
  di oggi.

  Il sito della Yung Series sembra uscire dall’epoca iniziale del web design, ma è rivisitato in
  chiave assolutamente moderna, l’ideale per chi si sente retrò ma ha da sempre un occhio
attento al design e che questo sforzo promozionale del brand catturerà sicuramente.

La nota azienda ha, infatti, deciso di promuovere la collezione di sneaker Yung ispirate agli
anni ’90 con un sito nostalgico, che richiama gli inizi della storia del World Wide Web e si
aggancia al trend attuale che prevede la creazione di siti web addirittura brutali. Abuso di GIF
animate, un vortice di colori e orribili sfondi piastrellati, rendering 3D ispirati al passato e font
di sistema che annunciano che il nuovo sito web è ancora “Under Construction”. Manca
sicuramente l’invito animato a aderire al webring Adidas, ma un pulsante animato davvero
terrificante impone al visitatore l’iscrizione alla mailing list.

Il sito vintage include anche Yung Rappa, un vero gioco per browser che si ispira all’hip
hop e che si adatta a ogni schermo dal 640×480 tipico del passato, ad un 1920×1080 allora
impensabile.

Sicuramente vedere un sito di questo tipo fa un certo effetto, ma i brand come Adidas
hanno saputo sfruttare lo stile vintage, portando online la nostalgia per il passato per
presentare la nuova collezione di scarpe sportive ispirate agli anni ’90.

Non abbiamo dubbi che nei prossimi mesi, navigando online, troverete davvero tanti altri
riferimenti alla cultura visiva degli anni ’60, ’70, ’80 e ’90 per attirare tutti coloro che in
quegli anni erano giovani, ma anche i Millennials che guardano al passato con curiosità.
Fare impresa non è una cosa da uomini:
le donne Millennials ribaltano
finalmente le convenzioni.
Quando si parla di lavoro, purtroppo, in Italia abbiamo poco di cui vantarci. Picchi di
disoccupazione vergognosi, divari di opportunità esagerati tra regioni e in particolare tra nord
e sud, troppo lavoro in nero, riforme che non sempre aiutano i lavoratori e così via. Altro vanto
che non possiamo permetterci è quello della parità di genere in ambito imprenditoriale,
ma pian piano qualcosa inizia a muoversi e a farci sperare.

I Millennials, a suon di startup, idee innovative, capacità di reinventarsi o inventarsi del
tutto, stanno mostrando alle generazioni precedenti che si sopravvive anche senza il posto
fisso, che le opportunità bisogna crearsele e non aspettarle…e dunque sono le donne
millennials che iniziano a porre le basi per la vera crescita dell’imprenditoria femminile
italiana.

Secondo i dati dell’Osservatorio per l’imprenditorialità femminile di Unioncamere e
InfoCamere, le imprese rosa, ovvero quelle a conduzione femminile, nel nostro paese
crescono di anno in anno.

Lo scorso anno le imprese create da donne sono state 10 mila in più rispetto al
precedente, e ben 30 mila in più rispetto a tre anni prima. Una crescita che si concentra in
particolare in Sicilia, Lazio, Campania e Lombardia.

Per quanto riguarda i settori, sono quello turistico e quello dei servizi ad avere maggiori
numeri. Il settore dell’innovazione e del digitale, poi, è uno di quelli in cui sempre più donne
decidono di investire e avviare la propria attività. La rivoluzione tecnologica e digitale
rappresenta una grande opportunità per le donne, soprattutto grazie alla flessibilità e allo
smart working, che permettono di gestire più liberamente le proprie attività e conciliare il
lavoro con numerose altre esigenze.

Entrando nello specifico sono soprattutto le giovani donne under 35 a decidere di
lanciare il proprio business. Complice dell’imprenditorialità femminile crescente è
sicuramente la situazione economica attuale e le opportunità di lavoro che scarseggiano e che
spingono le donne più intraprendenti a muoversi autonomamente, ad auto-impiegarsi.

Tutto ciò è possibile grazie anche alle numerose opportunità che oggi agevolano soprattutto le
idee di impresa femminili e giovanili, come i finanziamenti agevolati, i contributi a fondo
perduto, il fondo di garanzia o il micro credito.

Esistono poi bandi e opportunità dedicati a determinate zone geografiche, come il recente
bando Resto al sud di Invitalia a favore del Mezzogiorno (rivolto non solo alle donne ma a tutti
gli under 35 residenti in Abruzzo, Basilicata, Calabria, Campania, Molise, Puglia, Sardegna e
Sicilia che vogliono avviare una nuova impresa) o i bandi che si rivolgono a settori specifici
come Smart&Start, ideato in particolare per le startup innovative. [Per tenersi aggiornati
sulle opportunità basta tenere d’occhio il sito della propria regione, quello del ministero delle
pari opportunità e ancora il sito Invitalia e la Gazzetta Ufficiale.]

Purtroppo nel tempo ci siamo abituati all’idea che l’imprenditore sia uomo, ci stupiamo
quasi quando troviamo un business creato da una donna, tanto da trasformarlo in case history
da raccontare o in curiosa storia di successo. Capita di pensare così anche a noi donne.
Non è discriminazione, è abitudine, e ci vorrà un po’ di tempo e qualche generazione per
invertire la rotta.

Nell’imprenditoria, in Italia, la parità di genere è sempre stato solo un miraggio, e anche oggi,
in cui sembra che le cose stiano cambiando, le imprese femminili rappresentano ancora
soltanto circa il 20% del totale del tessuto produttivo nazionale.

Come anticipato, le giovani donne stanno cercando di invertire la tendenza, infatti secondo
Unioncamere il 29% delle attività di under 35 ha oggi una donna al comando e
complessivamente sono 154 mila le donne al di sotto dei 35 anni che sono a capo di una
impresa in Italia: una ogni 12 aziende femminili. Umbria e Friuli Venezia Giulia sono le
regioni con un maggior tasso di femminilizzazione delle imprese giovanili.

Inoltre in Italia sono in crescita anche le imprese femminili create da donne straniere
immigrate nel nostro paese. Nell’ultimo anno le attività avviate da donne con passaporto
straniero sono, infatti, aumentate del +3,7%. Anche in questo caso si tratta di imprese guidate
soprattutto da under 35.

Altro dato interessante da sottolineare è che le giovani donne under 35 iniziano lanciare le
proprie attività anche in settori tradizionalmente maschili come quello finanziario e
assicurativo, immobiliare, sportivo e quelle scientifico e tecnico. La Tecnologia non è una
cosa da uomini, e lo ha evidenziato anche Booking.com, che ha appena lanciato Technology
Playmaker Awards 2019, la seconda edizione di un premio internazionale con l’obiettivo di
riconoscere e premiare le donne che sono state capaci di trasformare o avere un impatto su
business, settori e comunità grazie all’uso della tecnologia. L’iniziativa è stata lanciata con il
claim “We know women are making an incredible impact in technology everyday, and we want
to celebrate their successes” ed possibile candidarsi in tutto il mondo, per 7 diverse categorie,
entro il 22 Dicembre 2018.

L'Italia continua a NON essere un Paese
per giovani.
In queste ore si parla tanto di DEF (Documento di Economia e Finanze), di manovra economica
(di manovra del popolo, per la precisione) di innalzamento del deficit (da portare al 2,4%),
di superamento della legge Fornero (quella sulle pensioni per intenderci) e di reddito di
cittadinanza (per chi si trova senza lavoro).

Ovviamente dato che la piazza è ormai online e soprattutto social, proprio sui vari social
network si è innestato il solito dibattito – o per meglio dire la solita bagarre – tra chi
sostiene fermamente le scelte del governo e chi invece ne è invece un fervido oppositore.

Semplificando all’osso, da un lato c’è chi afferma che finalmente si fa qualcosa per i
cittadini italiani e, dall’altro, c’è chi sostiene che per finanziare queste operazioni si rischia
un possibile default (qui entra tutta la tematica relativa ai mercati finanziari, agenzie di
rating internazionali, Unione Europea et similia).

A tal riguardo assistiamo appunto a centinaia di migliaia di commenti, condivisioni, like,
retweet, elucubrazioni, etc. etc..
Tutto molto interessante, per dirla alla Rovazzi.
Ma scusate, perché tanto parlare? Di cosa ci si scandalizza? Per cosa si festeggia?
Insomma: cosa c’è di nuovo?
Io lo dico chiaramente: assolutamente nulla.

Dico questo perché già si sapeva tutto. Era difficile aspettarsi qualcosa di diverso e non c’è
nulla di nuovo per cui indignarsi o applaudire.

Lega e Movimento a 5 stelle lo avevano dichiarato in campagna elettorale, scritto nel
Contratto di Governo e ripetuto allo sfinimento nei dibattiti televisivi, sulle loro piattaforme
online e nelle piazze. Ovunque insomma. E lo hanno fatto, questo va detto.

Almeno per un attimo, proviamo a spostare l’attenzione
altrove.
Quello per cui a mio modo di vedere ci si deve indignare* davvero o quantomeno iniziare a
parlarne seriamente, non solo ora ma ormai da tempo, è che al centro del “dibattito”
politico è scomparso dai radar il tema dei giovani, degli under 35 (ma anche degli under
40), dei millennials.

     * Questa parola poi mi piace il giusto, perché non presuppone una azione successiva ma
     rafforza al massimo il concetto di sfogo.

Insomma, chiamateli come vi pare, mi riferisco a quella generazione che è rimasta in
gran parte tagliata fuori dal mercato del lavoro, quella generazione che fa una fatica
estrema a vedersi riconoscere un ruolo nella società, quella generazione che ha visto di
gran lunga calare nel tempo il proprio potere d’acquisto. E che, non contenta, proprio per
non farsi mancare nulla, si è vista cucire addosso tutta una serie di epiteti davvero interessanti:
bamboccioni, sfigati e choosy (che no, non è una cosa figa: significa schizzinosi).

Giusto qualche numero per rinfrescarci la memoria.
■   Disoccupazione giovanile: oltre il 30% su base nazionale (al Sud questo valore sale
    sensibilmente);
■   Inattivi (ossia quelle persone che hanno addirittura smesso di provare a cercare una
    occupazione): sfiora il 35%;
■   Potere d’acquisto: tra il 2000 ed il 2016 il reddito dei 60-64enni è cresciuto del 25% rispetto
    ai 30-34enni.

Voi direte: sì, va bene, ma più o meno è sempre andata così.

Assolutamente no. E proprio per evidenziare la situazione nella quale versa la generazione dei
giovani d’oggi in Italia, è giusto fare una comparazione con quella dei loro omologhi – gli under
35 – di 25 anni fa.
Bene, rispetto a quest’ultimi, i giovani d’oggi hanno mediamente un reddito più basso
del 26,5%.

Prima di innestare dibattiti (sterili), è giusto specificare che questi numeri non sono inventati
ma vengono dall’OCSE.

E quindi?
Quindi mi piacerebbe che si iniziasse a ragionare su un programma capace di mettere un po’ in
ordine alle cose sin qui dette. Un programma che non regali l’illusione di uno stipendio a
fine mese, ma che possa creare le condizioni che uno stipendio a fine mese arrivi perché frutto
di un lavoro. Un programma che faccia sì i conti con il grande tema delle pensioni ma,
di nuovo, tenendo in considerazione quella dei giovani finalmente.

Capisco che tutti hanno diritto alla pensione, capisco che quello della pensione è un
momento sensibile nella vita lavorativa di ciascun lavoratore e capisco anche che chi è
prossimo alla pensione faccia il tifo per il superamento della Legge Fornero.
Per carità, capisco tutti, ma concedetemi di chiedere chi poi dovrà pagare il prezzo di tutto
ciò!? O quantomeno cosa resterà a noi giovani tra 30-40-50 anni, ossia quando dovremo essere
noi ad andare auspicabilmente in pensione?

Per queste ragioni mi sarebbe piaciuto leggere,
ascoltare, dibattere su questi temi e non su qualcosa di
già noto.
Ma tant’è, milioni di persone hanno votato questo governo per cui ci sarà da rallegrarsi per
quanto stanno facendo. Giusto?

Non so voi ma, per quanto detto, diciamo che non sono troppo d’accordo.

PS. Provo qui a rispondere a delle ipotetiche ma possibili domande dal “pubblico”.

D: Sì, ma gli altri governi cosa hanno fatto per i giovani? E il PD? E Renzi?
R: Come ho scritto, ormai da tempo la questione giovani è uscita dai radar del dibattito politico.
O quantomeno, non è stata affrontata nel migliore dei modi dato che, visti i numeri, nessuno
può dire che sia stata risolta o, per lo meno, evidentemente migliorata. Non entro nel gioco
poco edificante dei “buoni” e “cattivi”. E, giusto per dissipare qualsiasi dubbio, sarei il primo
ad essere felice di ricredermi se le cose cambiassero per davvero.

Dagli Yuppies agli Hipster: i traguardi
dei nuovi giovani
Un tempo erano giovani e squattrinati. Lavoravano nei bar o in piscina d’estate per pagarsi i
libri o racimolare qualcosa per alcuni piccoli sfizi durante l’anno.
Poi sono diventati Young Urban Professional che dagli Anni ’80 per almeno un decennio hanno
cercato di scalare il mondo pieni di sogni e di prospettive. Erano sempre al verde, ma con le
idee chiare per una la grande ascesa verso il successo. Nuovi imprenditori e capitalisti che
partiti dal basso potevano e volevano crescere e fare soldi. Addobbati con la cravatta e la
ventiquattrore anche sotto la doccia cercavano la perfezione in tutti gli ambiti, dal fisico alla
mente.

E per i Millennials l’identikit tipo è dato dall’Hipster. Convinti anti-yuppies, indifferenti alla
professione e all’ambizione puntano invece a cultura, competenza e buon gusto. Mirano così
tanto a essere alternativi e contro corrente che hanno creato una nuova moda: pantaloni stretti
e corti e barbe folte per gli uomini, mentre le donne vestono look maschili, scarpe allacciate
senza tacco e capelli colorati. Ritornano i papillon dei nonni, ma usati per il lavoro di tutti i
giorni, spopola la birra, rigorosamente artigianale, curano il corpo dalle creme al bisturi,
amano il bio e l’essere anticonformisti.

Ma quali sono i sogni di questa generazione?
Per chi raggiunge i 18 anni il primo obiettivo è il tatuaggio e non la patente, data ormai per
scontata. Il lavoro serve, ma per guadagnare, senza troppe pretese e con tanto spirito di
adattamento. Il tempo libero è dedicato al PC, agli amici sui social network e all’essere
ecologisti. L’hipster in carriera usa un linguaggio forbito, va al lavoro in bici e ha sempre in
spalla uno zainetto che incarna la vecchia borsa da ufficio in pelle.

Dopo i 2,3 miliardi di Millennials censiti tocca ai giovanissi della Generazione Z, interessati ai
prodotti materiali, preoccupati per il futuro e legatissimi alle info (o disinformazioni) della rete.
I nativi digitali vivono in costante isolamento sociale, nonostante le connessioni dello
smartphone. La percezione di sentirsi dimenticati e la depressione sono forse una delle
caratteristiche che li accompagnerà. Figli della crisi economica, del terrorismo e del precariato
non si fidano delle grandi marche ma vedono i soldi come parametro per valutare il successo
della loro vita, con il ritorno di vecchi status come l’automobile e il mattone.

Forse sta rinascendo dalle sue ceneri una nuova
generazione di imprenditori, con la volontà di cambiare
le cose e di riscattarsi da uno status precario?
Di fronte al bisogno di mettersi in mostra sui social c’è anche molta ricerca di privacy.
Imperversano gli pseudonimi, gli account falsi per l’iscrizione ai servizi e un ferreo rigore di
fronte ai propri dati. Sono invece pronti a condividere le proprie idee e interessati a cooperare
per ottenere il prodotto che vogliono.

I dati ISTAT rivelano che i Neet (giovani tra i 18 e i 24 anni che non sono in formazione e non
cercano un lavoro) sono il 24,3% sul totale della popolazione di quell’età con differenze
regionali che variano di quasi il doppio a sfavore del mezzogiorno. Le donne laureate sono il
12,6% in più degli uomini, ma nonostante questo faticano a trovare lavoro e risultano
sovraistruite rispetto alle posizioni ricoperte. Mentre i Millennials detengono ancora un certo
potere d’acquisto, la generazione successiva non è così fortunata sotto il profilo economico.

Gli stessi dati ISTAT rivelano che la soddisfazione lavorativa cresce con l’aumentare dell’età. I
giovani, neoassunti, continuano ad essere poco appagati dal lavoro precario e intermittente
oppure differente da quello per il quale hanno studiato. Il 38,2% degli under 25 possiede
competenze più elevate rispetto alle necessità dell’impiego svolto, dato che scende al 22% nelle
classi centrali di età e precipita al 12% per gli over 55. Gli obiettivi dei soldi facili sono svaniti.
Anche se il reddito medio è salito dell’1,6% sono aumentate le famiglie con reddito vicino alla
soglia di povertà, principalmente a causa dell’impossibilità di trovare impiego o di lavorare a
pieno regime.

  Di fronte a queste difficoltà sul posto di lavoro si aggiungono anche profonde insoddisfazioni
  sotto il profilo relazionale.

Solo il 33,2% degli intervistati (over 14) si definisce soddisfatto delle proprie relazioni familiari,
mentre scende al 23,6% quella riferita ai rapporti con gli amici. La politica non interessa più
(solo il 58% della popolazione si documenta sull’agomento almeno una volta la settimana) ma in
molti sono attivi e pronti a commentare sul web. Il tempo libero è adeguato per il 66% della
popolazione mentre solo il 26% pensa che la propria vita migliorerà da qui ai prossimi 5 anni.

Tra gli obiettivi dei prossimi 10 anni c’è chi sognerà la pensione, chi un lavoro contrattualizzato
e una casa, chi un’idea imprenditoriale dirompente per mettersi in proprio. L’importante per
tutti è non fermarsi e smettere di sognare.
Luxury - L'editoriale di Ivan Zorico
Se dovessimo riassumere e spiegare in un’unica
parola cosa si intende per lusso, di certo la parola
unicità potrebbe essere quella giusta.

Il mondo del lusso è sempre stato legato al tema dello status symbol, dell’esclusività e
dell’estremo ed elevato valore, simbolico e non. Semplificando, bastava sostanzialmente creare
l’idea di privilegio attorno al bene o servizio di lusso per aver compiuto un buon lavoro di
comunicazione e marketing.

Ma negli ultimi tempi, complice anche l’avvento di nuovi consumatori sul mercato globale – i
millennials – e delle nuove tecnologie – il web e i social network –, alla parola lusso si sono
affiancati anche altri appellativi: fiducia e trasparenza del brand, ricercatezza dei materiali
e della manifattura e innovazione.

A questo nuovo pubblico di consumatori, che risulta essere sempre più rilevante per le aziende
del lusso, non basta più avere un prodotto fine a se stesso. Quello che oggi chiedono, e si
aspettano, è che i brand siano credibili.

Un lavoro di comunicazione in linea con le aspettative è quindi d’obbligo: storytelling e
content marketing su tutti. E le aziende del lusso, che certo non stanno a guardare e sanno
cogliere i segnali del mercato, se ne sono accorte. A dimostrazione di quanto detto si può fare
riferimento agli accresciuti investimenti in comunicazione compiuti negli ultimi anni
proprio sul web: le risorse allocate sulle campagne sui social network sono arrivate al 12%
nel 2016. Nel 2012 erano lo 0% dell’intero budget destinato alla comunicazione e al marketing.

Sappiamo che il mondo del lusso è da molti definito il mondo del superfluo e per questo
viene osteggiato o magari, celatamente, anche guardato con invidia. Certo, anch’io concordo
con il dire che alcuni eccessi del mondo del lusso possano sembrare stridenti, soprattutto in
rapporto alla condizione non proprio rosea nella quale tutti viviamo e con la quale
quotidianamente ci confrontiamo. Ma, ad una analisi più attenta, possiamo anche guardare
un’altra faccia della medaglia.

Questa industria è in grado di generare un fatturato di 1.200 miliardi di euro (dati al 2017)
e delle 100 Top aziende per fatturato nel mondo, 29 sono italiane. In Italia, tutto il comparto
del lusso, vale 88 miliardi di euro. E questo fatturato è generato da 67 mila aziende italiane
che sono costituite, ovviamente, da lavoratori: quasi 600 mila persone. E, quindi, se vediamo
l’intera situazione con gli occhi di quest’ultimi, il mondo del lusso appare tutt’altro che
superfluo. E non mi sento francamente di dire diversamente.

Cambiare il punto di vista, come sempre, aiuta ad avere una visione di insieme più organica.

Buona lettura e, dato il periodo, auguri di buona Pasqua… o “anche a te e famiglia” se preferite
:).

                                                                                    Ivan Zorico

Luxury – L’editoriale di Raffaello
Castellano
Come sappiamo, la nostra è la seconda nazione
manifatturiera d’Europa, dopo quella tedesca, ma ci sono
alcune peculiarità che contraddistinguono la nostra da
quelle degli altri Paesi. Innanzitutto le aziende italiane
sono per la maggior parte piccole e medie; in secondo
luogo la particolare geografia del nostro territorio, con una
pianta stretta e lunga, ha favorito, insieme ad altri fattori,
l’aggregazione di queste piccole e medie aziende in
distretti; ed infine la manifattura italiana è rinomata nel
mondo per l’estrema qualità delle sue produzioni.

Ma qualcuno dei nostri lettori potrebbe chiederci che cosa c’entrino queste precisazioni di
carattere economico con il macro-argomento del lusso, con il quale abbiamo voluto connotare il
numero di marzo del nostro giornale.

Tutto! Verrebbe da rispondere di getto a questo quesito. Infatti, una buona parte delle aziende
manifatturiere italiane, soprattutto piccole, è specializzata in produzioni di fascia alta, appunto.
Alcuni esempi: siamo fra i principali e più prestigiosi produttori di calzature di lusso al mondo;
ancora, il nostro Paese veste gli amministratori delegati, presidenti e capitani d’industria più
importanti del pianeta; le principali marche di super car sono storici costruttori italiani (anche
se le acquisizioni straniere e le delocalizzazioni hanno impoverito e disperso questo comparto);
ancora, le produzioni Made in Italy del settore agroalimentare sono fra le più rinomate e
ricercate, tanto da aver fatto della nostra cucina la più famosa e apprezzata fra le tre grandi
gastronomie mondiali (francese, cinese, italiana). Ed infine cito solo due prodotti dello
sconfinato tagliere enogastronomico italiano: il Parmigiano Reggiano, una sorta di Nike delle
produzioni casearie, probabilmente il formaggio più imitato e contraffatto al mondo, e la Pizza,
una delle tipicità italiane più famose, nata dall’estro di un piccolo fornaio napoletano nel 1889.

Ed il filo rosso che unisce tutte queste manifatture così disparate è appunto il fatto che, almeno
alle origini, le nostre aziende erano piccole, addirittura piccolissime. Giusto a titolo di
inventario ne citerò un paio per ognuno dei comparti sopracitati: per le scarpe Salvatore
Ferragamo e Tod’s, per gli abiti le sartorie di Valentino e Armani; per le auto di lusso Maserati,
Lamborghini (che alle origini era un piccolo costruttore di trattori agricoli) e soprattutto
Ferrari, che nacque dalla caparbietà e voglia di riscatto di un piccolo meccanico e pilota, Enzo
Ferrari, fuoriuscito dalla grande casa automobilistica Alfa Romeo.

  Ma quali sono i numeri di questo comparto?

Il mercato dei beni di lusso personali del 2017 ha chiuso a 262 miliardi di euro, segnando un
+5% sul 2016. Inoltre l’80% delle vendite di beni di lusso sono riconducibili a Millennials,
donne e uomini under 40. Una ricerca condotta nel 2017 da The Boston Consulting Group ha
analizzato i comportamenti di acquisto di 12 mila top spender (almeno 36 mila euro all’anno in
acquisti di alta gamma) in 10 Paesi, decretando che il Made In Italy è considerato in tutto il
mondo il primo per qualità della manifattura di beni di lusso personali (29% di preferenze
contro il 23% della Francia e il 12% degli Usa).

Oggi, quindi, siamo conosciuti soprattutto per il nostro Made in Italy di lusso, le famose “Le
quattro A” (da Abbigliamento, Agroalimentare, Arredamento e Automobili). E pensare che
“l’etichetta di origine” più contraffatta al mondo, a differenza da quanto si può immaginare,
non è nata a difesa dei prodotti italiani, bensì con l’intento opposto.

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ni sessanta, infatti, alcuni paesi europei, tra cui Germania, Francia ed Inghilterra, per
difendere la loro produzione interna, apponevano delle etichette sui prodotti stranieri, per
indicare ai consumatori quali fossero quelli da evitare per scarsa qualità. Con il passare del
tempo i produttori italiani sono riusciti a trasformare questa censura in opportunità. Quello che
all’inizio era nato come un handicap, un marchio d’infamia quasi, si è rivelato essere una
fortuna grazie alla quale l’Italia ne è uscita con un’identità ben precisa, diventando simbolo di
creatività e qualità.

Quindi, in questo numero torniamo a parlare di Made in Italy, Sistema Italia, di quello che
veramente ci contraddistingue come Paese con un sistema di valori, una cultura ed una storia
che, anche se noi Italiani spesso lo dimentichiamo, gli altri paesi ci invidiano.

Buona lettura e Buona Pasqua.

                                                                          Raffaello Castellano

Il Neo-lusso e l'eterogeneità dei cluster
di clienti
  “Il lusso inizia dove finisce la necessità” Coco Chanel

Se il lusso si potesse racchiudere in un’immagine sarebbe fumosa, vana e ostentata. Oggi il
consumatore che cerca beni costosi ed esclusivi, non lo vuole per la qualità ma per metterlo in
mostra.

  Che lusso sarebbe, se gli altri non lo riconoscessero come tale?

La fascia di consumatori (italiani) tra i 35 e i 54 anni con un reddito annuo tra i 30 e i
60 mila euro scelgono piccole gratificazioni quotidiane che ogni tanto si possono
regalare. Secondo una ricerca di Agroter sono circa 20 milioni le persone che il marketing
potrebbe accaparrarsi perchè pronte a spendere qualcosa in più per qualche sfizio.

I prototipi sono variegati. Ci sono gli empty nester, i nidi vuoti, cioè le famiglie i cui figli sono
diventati autonomi e quindi il loro livello di reddito è tornato alto; oppure i DINK (double
income no kids) dove entrambi lavorano, ma possono disporre inteamente del guadagno per le
proprie spese.

Un’altra categoria da tenere sott’occhio sono le donne divorziate, disposte a concedersi
somme spropositare in certi settori, o semplicemente single e lavoratrici che pensano che
risparmiare sia ancora un progetto londano.

  Una piccola differenziazione, tanto storytelling, brand immaginifici e misteriosi sono quello
  che cattura questa fascia di popolazione.

Per la generazione dei 1000 euro al mese il miraggio della gratificazione è
rappresentato dal weekend di stacco, dal pacchetto benessere, o dal prodotto high tech,
difficilmente inquadrabili tra le spese pazze.

Ma sono gli sgarri alla regola a portata di tutti verso cui le aziende strizzano l’occhio. Un
esempio sono i 6 piani da 61 milioni di euro che la Rinascente di Torino intende
sfoggiare entro settembre 2019 per diventare centro del lusso per tutti.

Se il lusso inaccessibile fatto di manifatture pregiate e artigianali, massima personalizzazione,
prezzi esosi e materiali preziosi è destinato all’export o a pochi, il neo lusso è un po’ per
tutti.

Nel lusso intermedio si identificano chiaramente le icone del lifestyle, identià di marca
e accurata selezione del target, dei canali e dei media. Così molti brand di successo sono
riusciti a identificare un chiaro posizionamento in questo senso. Ce ne sono per tutti i
gusti e tutti i settori: Bottega Veneta, Gallo, Artemide, Bugatti, Bulthaup, Miele, Stokke, Ducati,
Harley Davidson, Lexus, Mini, Aceto Balsamico Tradizionale di Modena, Grom sono solo alcuni.

  Ciascuno di questi, con le sue particolarità e distinzioni suscita un brivido e una sensazione
  soltanto pronunciandone il nome, a dimostrazione di quanto siano radicati nell’immaginario
  collettivo.

Diverso il discorso del lusso accessibile, che è un’aspirazione di status, un’imitazione dei
prodotti top a prezzi contenuti. Ci sono grandi nomi che hanno fatto di questa politica la loro
bandiera – Zara in primis – ma non manca chi punta spudoratamente alla copia.

E le battaglie di slogan sono solo la punta dell’iceberg (cfr Diesel vs Piazza Italia con
Be stupid e Be intelligent). Infatti oggi la massima dimostrazione di essere alla portata di
tutti è data dalla possibilità di diventare modelli per un giorno di marchi del fashion low cost.
Impazzano i contest per l’abbigliamento, i capelli, le creme dove il consumatore può diventare
testimonial del prodotto, quasi a ribadire che quel marchio è per ognuno e tutti possono
arrivare alla gloria (lusso?) per un giorno.

Approfondendo un’analisi sui consumi si nota che l’idea di lusso non è universale. Lo stesso
consumatore può fare la spesa al discount per permettersi un’auto più prestigiosa o viaggiare
su un usato, ma consumare solo cibi Bio. Questa varietà e assoluta personalità del settore
medio o accessibile rende molto eterogenei i cluster di clienti.

Cosa attendersi dal futuro?

I siti che propongono abbigliamento o tecnologia di grandi marche a prezzi scontati non
avrebbero più senso perchè se il brand esclusivo diventa per tutti perde parte dell’appeal. Così
anche i ristoranti saranno stellati dalla Guida Michelin o da Tripadvisor?

Pare che la long tail del web che avrebbe dovuto garantire l’ugualitarismo in realtà abbia
comunque portato a una classifica simile a quella off line.

E che ne sarà dei Millennials, oggi così aperti alla condivisione, alle esperienze digitali,
all’offerta in rete quando potranno disporre di maggior reddito? Rimarranno così vogliosi di
parificazione o punteranno, come le precedenti generazioni, alla stratificazione sociale?

Anche il lusso, infatti, se è alla portata di tutti, smette di essere tale.
I numeri del mercato del lusso: quanto
vale e il ruolo del web in questo settore.
Quando ci capita di pensare al mondo del lusso, spesso ci soffermiamo a pensare a quanto
possa costare una data vacanza o una tal macchina, ma con molta meno consuetudine ci
interroghiamo su quanto possa valere complessivamente il mercato del lusso.

È un aspetto interessante perché dietro a quei prodotti e servizi di valore c’è un’industria,
quella del lusso appunto, capace di generare un fatturato di quasi 1.200 miliardi di euro
nel 2017 e, di conseguenza, numerosi posti di lavoro. Dopo alcuni anni di stagnazione, il
mercato del lusso è tornato a crescere facendo segnare una crescita del 5% (dati dalla 16a
edizione del “Bain-Altagamma Luxury Study”).

Sono stati 3 i fattori principali di questi risultati:

1. I Millennials
2. Il turismo
3. Il web

Vediamoli meglio nel dettaglio.

#1 I Millennials
L’80% di questa crescita – ossia 12 miliardi di euro aggiuntivi realizzati nel 2017 – è stata
determinata proprio dai millennials, soprattutto cinesi. I millennials appaiano essere dei
consumatori molto diversi rispetto alla generazione precedente – i baby boomers – e con delle
specificità ben marcate. I millennials non scelgono di acquistare un prodotto solo perché
rappresenta uno status symbol, ma ricercano nel brand valori più alti come la trasparenza e la
fiducia. Dietro ad un bene di lusso, per i millennials, c’è sempre e comunque l’idea della
condivisione.

#2 Il turismo
L’altra importante fonte di ricavo per i brand del lusso è legata al tema del turismo ed alle
spese fatte durante i viaggi nelle aree tax free, ossia negli aeroporti. Per quanto riguarda il
mercato italiano, il 28% degli acquisti in aeroporto è stato fatto dai cinesi, seguiti dagli
americani e russi, entrambi all’11%. L’Italia resta una delle mete preferite, insieme con Regno
Unito e Francia. La crescita dei ricavi dei brand di lusso relativi al turismo è certamente stato
trainato da un aggiustamento dei differenziali di prezzo che prima vedevano un’ampia
sproporzione tra i mercati asiatici ed europei. Per capirci, tra Europa e Cina si è passati ad un
differenziale di prezzo del 20-30% contro un 80% precedente. La spesa dei turisti in Europa ha
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