Instagrammabili - Smart Marketing
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L’interior design in ottica social: hotel e luoghi di consumo sempre più instagrammabili. Che siate amanti dei neologismi o meno, di certo comprenderete subito il significato della parola “Instagrammabile”. Alcuni di voi, i puristi della lingua italiana, staranno inorridendo alla sola lettura… altri, forse, sorridendo o annuendo, perché se è vero che questo aggettivo non suona ancora benissimo alle nostre orecchie, è anche vero che è intuitivo per chi vive nel nostro tempo; esprime chiaramente e velocemente un concetto che altrimenti dovremmo spiegare con giri di parole. Cosa vuol dire instagrammabile? Significa qualcosa di ideale da fotografare e pubblicare su Instagram, qualcosa di particolare, che ci piace, che attira la nostra attenzione e che attirerebbe quella di chi ci segue, scatenando possibilmente una pioggia di like. Pare che nella versione aggiornata del dizionario Merriam-Webster sia stato inserito sia il verbo Instagrammare che l’aggettivo instagrammabile (oltre a una serie di altri neologismi provenienti dal web e dai social media come googlare, retwittare e tante altre parole simili). Ma non è solo la lingua italiana ad adattarsi alle nuove abitudini e a subire l’influenza delle nostre consuetudini digitali e dell’ansia da performance online. Se 10 anni fa ci avessero detto che i social network avrebbero avuto il potere di influenzare persino il design e l’arredamento di luoghi come hotel, ristoranti, negozi e così via non ci avremmo creduto….e invece benvenuti nell’era di Instagram! Anche se non lo ammettiamo o non ce ne rendiamo conto, il potere dei like e delle condivisioni ci influenza nelle scelte e in varie situazioni, come ad esempio quando programmiamo le nostre vacanze. Secondo una ricerca di Booking, il 70% dei viaggiatori sceglie la struttura da prenotare in base al design. Fin qui nulla di strano, chi non resta affascinato da strutture curate e ben studiate? Quando si tratta di Millennials, però, entra in scena anche l’instagrammabilità della struttura. Parliamo di Instagram perché è il social network in cui le foto regnano sovrane, ma l’aggettivo è da intendersi in senso ampio; indica la pubblicazione anche su altri social network che permettono la condivisione di foto, come Facebook. Una volta avremmo detto suggestivo, particolare, curato, innovativo, oggi diciamo instagrammabile o “perfetto per instagram”, e anche se non lo diciamo…lo pensiamo, e decidiamo di andare in quel luogo, che ci permetterà di scattare delle foto particolari anche un po’ per arricchire le nostre bacheche, oltre che per deliziare i nostri occhi, visto che si tratta sempre di luoghi molto belli e particolari. Basta fare una ricerca su Google per renderci conto che i classici articoli intitolati “i 10 luoghi da
non perdere a… Londra/Parigi/Milano/Torino” sono stati presto rimpiazzati con titoli come “I 10 luoghi più instagrammabili di…” o “guida ai locali più instagrammabili a…” e così via. Vogue UK ha persino pubblicato un articolo che raccoglie un elenco dei bagni più belli dei locali di Londra, intitolato appunto The most instagrammable bathrooms in London. La conseguenza? Luoghi di consumo come caffè e ristoranti, cocktail bar, strutture turistiche, puntano sempre più all’interior design in ottica social, cioè a rendere i propri spazi belli da fotografare, rivolgendosi all’aspirante influencer che è in noi. Ogni foto, con relativo tag o geolocalizzazione, potrebbe portare nuovi clienti, desiderosi di fare scatti simili. Per approfondire: ■ Italian Design (un numero interamente dedicato al mondo design e all’arredo) Quali sono gli elementi che rendono un luogo instagrammabile? Colori, arredi, quadri, accessori particolari, luci o il richiamo di trend che spopolano al momento. Un esempio su tutti: l’unicorno mania. In occasione della Design Week, a Milano, verrà ad esempio inaugurata (e resa disponibile solo per 3 giorni) la Unicorn House, una casa a tema unicorno con arredamento nuvoloso, stelle alle pareti, colori rigorosamente pastello e vari arcobaleni. Una location che offre una piccola esperienza da favola, con ogni dettaglio che sembra pensato apposta per Instagram. Persino la biancheria e le delizie sul cesto di benvenuto sono ispirate agli unicorni. Impossibile non farsi tentare da almeno una foto da pubblicare sui social. Visualizza questo post su Instagram Un post condiviso da Roche Bobois Padova (@rocheboboispadova) in data: Mar 25, 2019 at 11:01 PDT
Lo scorso anno il sito Hotel.com, dopo i risultati della ricerca Mobile Travel Tracker, che evidenziava che una persona su sei sceglie la meta delle proprie vacanze sui social network, ha pubblicato addirittura una Top 10 degli alberghi più belli da fotografare. Il primo è il St. Pancras Renaissance Hotel di Londra con le sue scale particolarmente fotogeniche, in cui è anche stato girato il video Wannabe delle Spice Girls; al secondo posto c’è l’Hotel Plaza Athenee di Parigi e la sua vista mozzafiato sulla Torre Eiffel e poi il Conrad Maldives Rangali Island con il suo stupendo ristorante sott’acqua. Tuttavia non parliamo di sole strutture alberghiere, tanti gli esempi tra caffè e ristoranti, molti dei quali a Milano. Il bar Luce: la caffetteria di Fondazione Prada a Milano, ricrea l’atmosfera di un tipico caffè della vecchia Milano e sembra un po’ un set cinematografico. E’ infatti stato progettato dal regista Wes Anderson, conosciuto per film come Grand Budapest Hotel. Uno spazio che permette di fare un salto nel tempo e che difficilmente non ci farà venir voglia di attivare la fotocamera. Visualizza questo post su Instagram Un post condiviso da Fondazione Prada (@fondazioneprada) in data: Apr 25, 2018 at 3:14 PDT L’Elan cafè di Londra: chiaramente pensato per le donne Millennials: un caffè total pink con le pareti interamente ricoperte di rose, un menù che segue le tendenze assolute del momento come l’avocado toast o il matcha latte…e persino una linea di prodotti beauty realizzata a partire da ingredienti come il caffè, che viene riciclato e utilizzato per la creazione di scrub e prodotti vari.
Visualizza questo post su Instagram Un post condiviso da EL&N London (@elan_cafe) in data: Nov 13, 2018 at 11:56 PST Il ristorante Temakiho di Milano Magenta: un mix di cucina giapponese e brasiliana, in una location coloratissima, piena di elementi che riportano alla cultura brasiliana, con figure alle pareti , angoli studiati ad arte, fenicotteri che sembrano osservarti durante il pasto, lampadari particolari. Tutto ispira felicità e buonumore. Visualizza questo post su Instagram Un post condiviso da Temakinho (@temakinho) in data: Apr 12, 2018 at 8:50 PDT Parliamo di location che ricordano in qualche modo luoghi come il Rainforest Cafè o i ristoranti a tema dei maggiori parchi di divertimento come Disneyland, con una differenza: il target non sono i
bambini o le famiglie con bambini, ma i nuovi adulti, che si lasciano affascinare da queste tendenze come se il tempo non fosse mai passato. D’altronde la generazione dei Millennials non è una generazione che si distingue per la sua voglia di crescere. Work in progress – L’editoriale di Ivan Zorico Noi Millennials, ossia quella generazione nata tra il 1980 ed il 1995, siamo stati abituati per gran parte della nostra vita a concepire l’ingresso nel mondo del lavoro in maniera molto lineare. L’equazione era semplice: diploma di maturità + diploma di laurea = lavoro sicuro. Per i più fortunati, alle volte questa equazione poteva essere anche più semplice: diploma di maturità = lavoro sicuro. Questa equazione non era frutto della nostra immaginazione e non l’avevamo imparata guardando la TV o sui libri di scuola. A darci questa certezza e questa forma mentis era l’esperienza indiretta dei nostri genitori, degli amici più grandi, dei parenti e dei conoscenti. Il leitmotiv era più o meno questo: studia, impegnati e vedrai che il lavoro arriverà. E in effetti questo schema è stato vero per molto tempo. Poi, ad un certo punto, questa equazione ha iniziato a non restituire più il risultato atteso o quanto meno sperato. Ecco come si è presentata la nuova equazione: diploma di maturità + diploma di laurea = precariato. E, come conseguenza, abbiamo dovuto imparare a conoscere in fretta termini come co.co.co, agenzie interinali, voucher et similia. Leggi anche: ■ La situazione del mercato del lavoro in Italia. Intervista a Marco Bentivogli.
Oggi è evidente che viviamo e ci confrontiamo con un mondo molto più complesso di quello passato, dove per passato intendo già soltanto un mondo di 15 anni fa. Siamo stati costretti a riformattare rapidamente le nostre teste e, al contempo, sviluppare competenze nuove come flessibilità, auto- imprenditorialità e proattività, così giusto per dire le prime tre che mi vengono in mente. E tutto questo in un mercato del lavoro, quale quello italiano, sostanzialmente statico. È inutile girarci intorno, non è facile: il contesto è cambiato e la competizione è aumentata. Ma non è impossibile. In una condizione profondamente mutata, ci sono opportunità che si possono cogliere e obiettivi personali e lavorativi che si possono ancora raggiungere. Perché se è vero che rispetto ai nostri “predecessori” la vita si presenta più complessa, è vero anche che noi possiamo contare su strumenti e tecnologie che per loro erano impensabili. Leggi anche: ■ Cercare il lavoro nell’era di LinkedIn, di Google e del digitale: guida e consigli pratici. ■ L’evoluzione del mercato del lavoro nel marketing e nella comunicazione (digitale). Intervista a Cristiano Carriero. Dato che noi di Smart Marketing, come ormai avrete avuto modo di conoscerci, siamo orientati a rappresentare i lati positivi e più in generale il mondo delle opportunità piuttosto che quello delle recriminazioni, abbiamo voluto dedicare questo numero – “Work in progress” – proprio al mondo del lavoro per dare nuovi spunti di riflessione a chi magari vi si affaccia per la prima volta, ma anche per coloro i quali hanno già delle esperienze lavorative alle spalle.
Scopri il nuovo numero dedicato al mondo del lavoro: ■ Work in progress E il momento storico non poteva essere più congeniale: in attesa che il Reddito di Cittadinanza (di prossima attuazione) sviluppi realmente il suo possibile potenziale e che si manifesti davvero come un modo per avvicinare domanda e offerta (di lavoro) e non si palesi invece come una mera forma assistenzialistica come più di qualcuno ipotizza, noi siamo convinti che la conoscenza e la proattività siano le basi per il cambiamento e per poter incidere positivamente sulla propria vita. Sia essa riguardante la sfera personale che, appunto, quella lavorativa. Leggi anche: ■ L’Italia continua a NON essere un Paese per giovani. D’altronde, come dicevano i latini: “Homo faber fortunae suae”. Ivan Zorico Quali sono le idee di franchising migliori per il 2019 Anche per il 2019 si prevede che sempre più giovani e meno giovani sceglieranno di aprire in franchising, dato che nonostante l’incertezza e l’instabilità dell’economia italiana, il desiderio di avviare un’attività imprenditoriale è ancora molto alto. Si tratta di una tendenza che accomuna soprattutto i più giovani, che vedono nel lavoro un modo per gratificarsi, rendersi autonomi ed esprimere al massimo le proprie capacità e potenzialità. Sempre più spesso, infatti, sono proprio i giovanissimi imprenditori a saper avviare e condurre al successo attività innovative, generando importanti fatturati capaci di far rientrare dall’investimento iniziale in un solo anno. Il segreto sta non solo nelle capacità e competenze del team e dell’imprenditore, ma soprattutto nella capacità di studiare il mercato, pianificare l’attività e creare un prodotto e servizio che sia allo stesso tempo richiesto e molto innovativo.
Le idee di successo nell’ambito del franchising Molti casi di successo sono legati proprio al franchising, dato che chi ha avviato un’azienda valida e redditizia tende a creare una propria rete di franchising, per permettere ad altri imprenditori di affermarsi sul mercato. Il franchising è un modello di business che conviene sia alla casa madre sia all’affiliato dato che i costi di avvio e gli oneri di gestione vengono distribuiti ed è sicuramente più semplice espandere un brand già collaudato. Infine, far parte di una rete di franchising estesa a livello nazionale e locale permette di ridurre i prezzi delle forniture. LEGGI ANCHE: ■ Cercare il lavoro nell’era di LinkedIn, di Google e del digitale: guida e consigli pratici. ■ L’evoluzione del mercato del lavoro nel marketing e nella comunicazione (digitale). Intervista a Cristiano Carriero. Quali sono le idee più originali che caratterizzano oggi il settore del franchising? Quali i mercati più redditizi del momento e a minore concorrenza? Scopriamolo assieme. 1. La diffusione dei bubble tea Questa bevanda nasce a Taiwan negli anni Ottanta e si tratta di uno snack dring in piena regola, che non solo si beve ma anche si mastica. Gli ingredienti tradizionali dei bubble tea sono il tè nero, il latte e le perle di tapioca dal sapore simile alla liquirizia e lo snack è privo di glutine.
Da poco è arrivato in Occidente e americani e tedeschi se ne sono già innamorati, ma anche a Milano e Roma molti bar lo servono e sono nati locali dedicati. Si tratta di una vera rivoluzione nel mondo del beverage e un trend davvero irrinunciabile e in Italia sono nate le prime reti di franchising per aprire bubble tea shop, con prodotti originali. 2. La tradizione del Bed&Breakfast Si tratta di una scelta tradizionale che si conferma ancora una delle più redditizie per chi vuole aprire un’attività ricettiva anche nel 2019. Le tendenze dei viaggiatori moderni sono cambiate, così come le loro abitudini, e aprire un B&B low cost con un brand in franchising per offrire convenienza, comodità e pasti tipici è un’iniziativa di sicuro successo. 3. Cannabis Light Shop: il franchising di tendenza Dal 2017 la cannabis light è un trend inarrestabile e anche nel 2019 il mercato non sarà affatto saturo. In particolare avranno successo coloro che, soprattutto nelle grandi città, sceglieranno di aprire un franchising che combina il tradizionale coffee shop con la vendita di cannabis light. La canapa, infatti, sarà sempre più spesso l’ingrediente base di dolci e caffè aromatizzati. 4. Estetica maschile e barber shop Le moderne reti di franchising offrono anche la possibilità di aprire barber shop moderni, ovvero locali dedicati al benessere e all’estetica maschile, che si confermano una tendenza di grande successo anche per il 2019. 5. Soluzioni ristorative originali Seppure altamente concorrenziale, anche il mercato della ristorazione si presenta come un investimento sicuro, soprattutto per chi vuole entrare nel settore aprendo con una rete di franchising. Nel 2019 domineranno la scena le polpetterie, i ristoranti ambulanti e lo street food gourmet, ma anche i locali capaci di proporre i prodotti tipici delle varie regioni. 6. L’home delivery Continua, infine, la crescita del settore dell’Home Delivery, che comprende oggi diversi settori e servizi, come la consegna a domicilio di cibo (food delivery), medicinali e spesa alimentare, colazioni, ma anche vini e birre o ancora cocktail ricercati. Tutte idee di franchising di sicuro successo per il 2019. Scopri il nuovo numero dedicato al mondo del lavoro: ■ Work in progress
Perché aprire in franchising: tutti i vantaggi. Sicuramente aprire in franchising presenta alcuni importanti vantaggi rispetto all’avvio di un’attività imprenditoriale totalmente autonoma, tra cui: ■ Aspetto economico: anche se è richiesto un investimento iniziale, i costi sono nettamente inferiori rispetto all’apertura da zero dell’attività e i profitti possono crescere in modo esponenziale già dai primi mesi, con marginalità di tutto rispetto; ■ Formazione e supporto: l’affiliato può contare sull’esperienza nel settore della casa madre senza dover acquisire in autonomia le competenze di settore; ■ Esperienza: aprire in franchising significa non solo mettere a frutto la propria esperienza, ma acquisirne sempre di nuova anche in ambiti diversi e necessari allo sviluppo dell’attività come marketing, economia, e così via. Il mondo del lavoro è oggi in continua evoluzione, cala l’interesse di giovani e Millennials per il lavoro dipendente, mentre aumenta la ricerca di auto-imprenditorialità: aprire in franchising sarà sempre più spesso la risposta a tali tendenze. Quali saranno i nuovi franchising del 2019 oltre a quelli indicati? Staremo a vedere! Il vintage su grandi e piccoli schermi: campione di incassi o necessità di marketing? La moda e la storia rivivono ciclicamente di corsi e ricorsi. Il loro ricordo si trasforma in vintage e rievocazione e genera nel tessuto sociale tribù di appassionati a un certo stile o a una precisa epoca. Questo fenomeno sembra essere stato traslato nel mondo fantastico del grande e piccolo schermo. I capolavori del cinema sono stati rivisti e copiati numerose volte ma nell’ultimo periodo la quantità di sequel e remake è aumentata esponenzialmente. Il 2019 sarà l’anno delle colonne portanti del cinema di animazione: si parte con Mary Poppins, che verrà riproposta in una versione molto simile alla precedente. Disney, dopo un’intensa operazione di ripulitura e digitalizzazione delle vecchie pellicole, riproporrà gli storici cartoni sotto forma di film. Quest’anno nelle sale ci attendono grandi classici dell’animazione come Dumbo, diretto nientemeno che da Tim Burton, il Pinocchio di Guillermo del Toro, e Il Re Leone con Beyonce. Operazione contraria invece per Spiderman, da fumetto a saga sbanca botteghini e ora nuovamente cartone. E poi il ritorno di Toy Story (quarto episodio), Space Jam (con LeBron James che a distanza di 13 anni prenderà il testimone di Michael Jordan), e infine Sonic (dedicato alla mascotte dei videogiochi anni Novanta). La febbre del remake coinvolgerà anche il piccolo schermo, che riproporrà i simboli di un’era televisiva come Beverly Hills 90210, pare persino con lo stesso cast.
Le assolate spiagge di Los Angeles, protagoniste indiscusse per l’intero ultimo decennio del Novecento con Baywatch, porteranno nelle grandi sale un secondo lungometraggio dopo la prima trasposizione del 2017. Sono invece stati tagliati i baffi a Magnum P.I. con Jay Hernandez nei panni del super detective, in un reboot della serie TV record degli anni Ottanta. Rumors negli USA propongono addirittura di rifare le avventure di Stanlio e Ollio. I motivi di questa scelta sono tutti da studiare! Non penso e spero che dietro queste ipotesi si celi la scarsa inventiva di Hollywood. Mi sembra una conclusione troppo banale. Il fenomeno potrebbe essere dovuto a due ragioni: da un lato la risonanza omnicanale che può dare chi ha vissuto “in diretta” la prima edizione di questi blockbuster, grazie alla quale i remake possono contare su un effetto di trascinamento verso le generazioni più giovani. Molti degli attuali influencer per le masse dei ragazzini più giovani hanno vissuto gli anni ’80 e ’90 e sono quindi affezionati a quegli anni e legati alle pellicole. I ricordi si mischiano mentre per i nuovi giovanissimi i remake sono in realtà degli inediti. Questo richiamo può sicuramente aiutare a colpire un target di giovanissimi che ha sostituito le serate pizza e cinema con sushi e Club, magari rilanciando il settore, dato che con lo streaming, la TV on demand e i vari servizi a pagamento o gratuiti l’anteprima del cinema ha perso un po’ di lustro. Scopri il numero dedicato al marketing della nostalgia: ■ Back to the Future Una seconda ragione può essere dettata dall’instabilità economica e sociale di questi ultimi anni. Un potere d’acquisto ridotto tra i più giovani spinge a “ricentrare” il target del grande schermo su fasce d’età più alte. La precarietà, non solo economica, che non arriva neppure a misurarsi con il futuro ma si ferma al presente porta inoltre sempre più persone a volersi attaccare a un solido passato fatto di certezze e di capolavori intramontabili che sfigurano a confronto delle serie attuali che durano poco più di una stagione. E se a Seattle non sanno più che catastrofi inventare per mantenere l’onda degli ascolti di Grey’s Anatomy alla 15a stagione, qui ci accontentiamo di rispolverare la Dottoressa Giò. Trend visual 2019: il ritorno del vintage anche sul web Sicuramente immaginare il mondo di domani è difficile, ma non impossibile soprattutto per gli artisti e i creativi professionisti, capaci di respirare l’aria del cambiamento prima ancora che
arrivi. Lo stesso accade per chi si occupa di creazione di siti web e gestione di pagine sui social media, ovvero del professionista che lavora sempre per i mesi a venire e vive costantemente proiettato nel futuro. Ogni anno Depositphotos parla con fotografi, designer e content creator per individuare idee, movimenti e nuovi trend della comunicazione visiva, quelli che caratterizzeranno il futuro del settore. Vediamo quindi cosa ci riserverà questo 2019. Personalizzazione, l’unica via da seguire Le campagne di digital marketing sfruttano oggi nuovi modi personalizzati per raggiungere il singolo consumatore e questa è oggi l’unica via da seguire per avere successo. L’utente di oggi è sempre più connesso e rinuncia volentieri alla privacy per accedere a contenuti – soprattutto immagini – davvero rilevanti per lui. Di grande tendenza sono i contenuti UGC – creati dai consumatori per i consumatori – e quelli co-creati con gli influencer, studiati per adattarsi alle singole persone e raggiungere il destinatario anche in un momento in cui la ad-blindness è ai massimi livelli. Abbandonato il marketing per tutti, che si rivolgeva a un pubblico ampio e indistinto, oggi il segreto del successo è portare l’utente a vivere un’esperienza ravvicinata con il brand e per farlo si utilizzano soprattutto i contenuti visivi. Provocazione creativa per attirare la curiosità Chi lavora sui social media conosce bene l’importanza della provocazione visiva, che può portare a un concreto vantaggio competitivo e stimolare la curiosità dell’utente online. Oggi le campagne di Digital Marketing puntano su immagini audaci e folli, approcci non convenzionali alla fotografia e all’arte e a tecniche pensare per un consumo in movimento del contenuto visivo. Scopri il numero dedicato al marketing della nostalgia: ■ Back to the Future L’immagine che oggi ha successo online è un’immagine incredibile e inaspettata, che si fa notare ed emerge dal feed sovraffollato che caratterizza tutte le piattaforme social, da Facebook a Instagram, da Twitter a Linkedin. Non basta più individuare l’argomento e l’orario perfetto: il vero marketer di oggi sa creare conversazioni e ampliare la portata organica del suo contenuto sul web. La nostalgia e il vintage: il sito Adidas ispirato agli anni ‘90 L’uso di colori, pattern e caratteri degli anni ’90 è alla base del nuovo sito Adidas, che ha catturato la nostalgia di quel periodo per presentare le sneaker del futuro, rivolte ai Millennials di oggi. Il sito della Yung Series sembra uscire dall’epoca iniziale del web design, ma è rivisitato in chiave assolutamente moderna, l’ideale per chi si sente retrò ma ha da sempre un occhio
attento al design e che questo sforzo promozionale del brand catturerà sicuramente. La nota azienda ha, infatti, deciso di promuovere la collezione di sneaker Yung ispirate agli anni ’90 con un sito nostalgico, che richiama gli inizi della storia del World Wide Web e si aggancia al trend attuale che prevede la creazione di siti web addirittura brutali. Abuso di GIF animate, un vortice di colori e orribili sfondi piastrellati, rendering 3D ispirati al passato e font di sistema che annunciano che il nuovo sito web è ancora “Under Construction”. Manca sicuramente l’invito animato a aderire al webring Adidas, ma un pulsante animato davvero terrificante impone al visitatore l’iscrizione alla mailing list. Il sito vintage include anche Yung Rappa, un vero gioco per browser che si ispira all’hip hop e che si adatta a ogni schermo dal 640×480 tipico del passato, ad un 1920×1080 allora impensabile. Sicuramente vedere un sito di questo tipo fa un certo effetto, ma i brand come Adidas hanno saputo sfruttare lo stile vintage, portando online la nostalgia per il passato per presentare la nuova collezione di scarpe sportive ispirate agli anni ’90. Non abbiamo dubbi che nei prossimi mesi, navigando online, troverete davvero tanti altri riferimenti alla cultura visiva degli anni ’60, ’70, ’80 e ’90 per attirare tutti coloro che in quegli anni erano giovani, ma anche i Millennials che guardano al passato con curiosità.
Fare impresa non è una cosa da uomini: le donne Millennials ribaltano finalmente le convenzioni. Quando si parla di lavoro, purtroppo, in Italia abbiamo poco di cui vantarci. Picchi di disoccupazione vergognosi, divari di opportunità esagerati tra regioni e in particolare tra nord e sud, troppo lavoro in nero, riforme che non sempre aiutano i lavoratori e così via. Altro vanto che non possiamo permetterci è quello della parità di genere in ambito imprenditoriale, ma pian piano qualcosa inizia a muoversi e a farci sperare. I Millennials, a suon di startup, idee innovative, capacità di reinventarsi o inventarsi del tutto, stanno mostrando alle generazioni precedenti che si sopravvive anche senza il posto fisso, che le opportunità bisogna crearsele e non aspettarle…e dunque sono le donne millennials che iniziano a porre le basi per la vera crescita dell’imprenditoria femminile italiana. Secondo i dati dell’Osservatorio per l’imprenditorialità femminile di Unioncamere e InfoCamere, le imprese rosa, ovvero quelle a conduzione femminile, nel nostro paese crescono di anno in anno. Lo scorso anno le imprese create da donne sono state 10 mila in più rispetto al precedente, e ben 30 mila in più rispetto a tre anni prima. Una crescita che si concentra in particolare in Sicilia, Lazio, Campania e Lombardia. Per quanto riguarda i settori, sono quello turistico e quello dei servizi ad avere maggiori numeri. Il settore dell’innovazione e del digitale, poi, è uno di quelli in cui sempre più donne decidono di investire e avviare la propria attività. La rivoluzione tecnologica e digitale rappresenta una grande opportunità per le donne, soprattutto grazie alla flessibilità e allo smart working, che permettono di gestire più liberamente le proprie attività e conciliare il lavoro con numerose altre esigenze. Entrando nello specifico sono soprattutto le giovani donne under 35 a decidere di lanciare il proprio business. Complice dell’imprenditorialità femminile crescente è sicuramente la situazione economica attuale e le opportunità di lavoro che scarseggiano e che spingono le donne più intraprendenti a muoversi autonomamente, ad auto-impiegarsi. Tutto ciò è possibile grazie anche alle numerose opportunità che oggi agevolano soprattutto le idee di impresa femminili e giovanili, come i finanziamenti agevolati, i contributi a fondo
perduto, il fondo di garanzia o il micro credito. Esistono poi bandi e opportunità dedicati a determinate zone geografiche, come il recente bando Resto al sud di Invitalia a favore del Mezzogiorno (rivolto non solo alle donne ma a tutti gli under 35 residenti in Abruzzo, Basilicata, Calabria, Campania, Molise, Puglia, Sardegna e Sicilia che vogliono avviare una nuova impresa) o i bandi che si rivolgono a settori specifici come Smart&Start, ideato in particolare per le startup innovative. [Per tenersi aggiornati sulle opportunità basta tenere d’occhio il sito della propria regione, quello del ministero delle pari opportunità e ancora il sito Invitalia e la Gazzetta Ufficiale.] Purtroppo nel tempo ci siamo abituati all’idea che l’imprenditore sia uomo, ci stupiamo quasi quando troviamo un business creato da una donna, tanto da trasformarlo in case history da raccontare o in curiosa storia di successo. Capita di pensare così anche a noi donne. Non è discriminazione, è abitudine, e ci vorrà un po’ di tempo e qualche generazione per
invertire la rotta. Nell’imprenditoria, in Italia, la parità di genere è sempre stato solo un miraggio, e anche oggi, in cui sembra che le cose stiano cambiando, le imprese femminili rappresentano ancora soltanto circa il 20% del totale del tessuto produttivo nazionale. Come anticipato, le giovani donne stanno cercando di invertire la tendenza, infatti secondo Unioncamere il 29% delle attività di under 35 ha oggi una donna al comando e complessivamente sono 154 mila le donne al di sotto dei 35 anni che sono a capo di una
impresa in Italia: una ogni 12 aziende femminili. Umbria e Friuli Venezia Giulia sono le regioni con un maggior tasso di femminilizzazione delle imprese giovanili. Inoltre in Italia sono in crescita anche le imprese femminili create da donne straniere immigrate nel nostro paese. Nell’ultimo anno le attività avviate da donne con passaporto straniero sono, infatti, aumentate del +3,7%. Anche in questo caso si tratta di imprese guidate soprattutto da under 35. Altro dato interessante da sottolineare è che le giovani donne under 35 iniziano lanciare le proprie attività anche in settori tradizionalmente maschili come quello finanziario e assicurativo, immobiliare, sportivo e quelle scientifico e tecnico. La Tecnologia non è una cosa da uomini, e lo ha evidenziato anche Booking.com, che ha appena lanciato Technology Playmaker Awards 2019, la seconda edizione di un premio internazionale con l’obiettivo di riconoscere e premiare le donne che sono state capaci di trasformare o avere un impatto su business, settori e comunità grazie all’uso della tecnologia. L’iniziativa è stata lanciata con il claim “We know women are making an incredible impact in technology everyday, and we want to celebrate their successes” ed possibile candidarsi in tutto il mondo, per 7 diverse categorie, entro il 22 Dicembre 2018. L'Italia continua a NON essere un Paese per giovani. In queste ore si parla tanto di DEF (Documento di Economia e Finanze), di manovra economica (di manovra del popolo, per la precisione) di innalzamento del deficit (da portare al 2,4%), di superamento della legge Fornero (quella sulle pensioni per intenderci) e di reddito di cittadinanza (per chi si trova senza lavoro). Ovviamente dato che la piazza è ormai online e soprattutto social, proprio sui vari social network si è innestato il solito dibattito – o per meglio dire la solita bagarre – tra chi sostiene fermamente le scelte del governo e chi invece ne è invece un fervido oppositore. Semplificando all’osso, da un lato c’è chi afferma che finalmente si fa qualcosa per i cittadini italiani e, dall’altro, c’è chi sostiene che per finanziare queste operazioni si rischia un possibile default (qui entra tutta la tematica relativa ai mercati finanziari, agenzie di rating internazionali, Unione Europea et similia). A tal riguardo assistiamo appunto a centinaia di migliaia di commenti, condivisioni, like, retweet, elucubrazioni, etc. etc..
Tutto molto interessante, per dirla alla Rovazzi. Ma scusate, perché tanto parlare? Di cosa ci si scandalizza? Per cosa si festeggia? Insomma: cosa c’è di nuovo? Io lo dico chiaramente: assolutamente nulla. Dico questo perché già si sapeva tutto. Era difficile aspettarsi qualcosa di diverso e non c’è nulla di nuovo per cui indignarsi o applaudire. Lega e Movimento a 5 stelle lo avevano dichiarato in campagna elettorale, scritto nel Contratto di Governo e ripetuto allo sfinimento nei dibattiti televisivi, sulle loro piattaforme online e nelle piazze. Ovunque insomma. E lo hanno fatto, questo va detto. Almeno per un attimo, proviamo a spostare l’attenzione altrove. Quello per cui a mio modo di vedere ci si deve indignare* davvero o quantomeno iniziare a parlarne seriamente, non solo ora ma ormai da tempo, è che al centro del “dibattito” politico è scomparso dai radar il tema dei giovani, degli under 35 (ma anche degli under 40), dei millennials. * Questa parola poi mi piace il giusto, perché non presuppone una azione successiva ma rafforza al massimo il concetto di sfogo. Insomma, chiamateli come vi pare, mi riferisco a quella generazione che è rimasta in gran parte tagliata fuori dal mercato del lavoro, quella generazione che fa una fatica estrema a vedersi riconoscere un ruolo nella società, quella generazione che ha visto di gran lunga calare nel tempo il proprio potere d’acquisto. E che, non contenta, proprio per non farsi mancare nulla, si è vista cucire addosso tutta una serie di epiteti davvero interessanti: bamboccioni, sfigati e choosy (che no, non è una cosa figa: significa schizzinosi). Giusto qualche numero per rinfrescarci la memoria. ■ Disoccupazione giovanile: oltre il 30% su base nazionale (al Sud questo valore sale sensibilmente); ■ Inattivi (ossia quelle persone che hanno addirittura smesso di provare a cercare una occupazione): sfiora il 35%; ■ Potere d’acquisto: tra il 2000 ed il 2016 il reddito dei 60-64enni è cresciuto del 25% rispetto ai 30-34enni. Voi direte: sì, va bene, ma più o meno è sempre andata così. Assolutamente no. E proprio per evidenziare la situazione nella quale versa la generazione dei giovani d’oggi in Italia, è giusto fare una comparazione con quella dei loro omologhi – gli under 35 – di 25 anni fa. Bene, rispetto a quest’ultimi, i giovani d’oggi hanno mediamente un reddito più basso del 26,5%. Prima di innestare dibattiti (sterili), è giusto specificare che questi numeri non sono inventati
ma vengono dall’OCSE. E quindi? Quindi mi piacerebbe che si iniziasse a ragionare su un programma capace di mettere un po’ in ordine alle cose sin qui dette. Un programma che non regali l’illusione di uno stipendio a fine mese, ma che possa creare le condizioni che uno stipendio a fine mese arrivi perché frutto di un lavoro. Un programma che faccia sì i conti con il grande tema delle pensioni ma, di nuovo, tenendo in considerazione quella dei giovani finalmente. Capisco che tutti hanno diritto alla pensione, capisco che quello della pensione è un momento sensibile nella vita lavorativa di ciascun lavoratore e capisco anche che chi è prossimo alla pensione faccia il tifo per il superamento della Legge Fornero. Per carità, capisco tutti, ma concedetemi di chiedere chi poi dovrà pagare il prezzo di tutto ciò!? O quantomeno cosa resterà a noi giovani tra 30-40-50 anni, ossia quando dovremo essere noi ad andare auspicabilmente in pensione? Per queste ragioni mi sarebbe piaciuto leggere, ascoltare, dibattere su questi temi e non su qualcosa di già noto. Ma tant’è, milioni di persone hanno votato questo governo per cui ci sarà da rallegrarsi per quanto stanno facendo. Giusto? Non so voi ma, per quanto detto, diciamo che non sono troppo d’accordo. PS. Provo qui a rispondere a delle ipotetiche ma possibili domande dal “pubblico”. D: Sì, ma gli altri governi cosa hanno fatto per i giovani? E il PD? E Renzi? R: Come ho scritto, ormai da tempo la questione giovani è uscita dai radar del dibattito politico. O quantomeno, non è stata affrontata nel migliore dei modi dato che, visti i numeri, nessuno può dire che sia stata risolta o, per lo meno, evidentemente migliorata. Non entro nel gioco poco edificante dei “buoni” e “cattivi”. E, giusto per dissipare qualsiasi dubbio, sarei il primo ad essere felice di ricredermi se le cose cambiassero per davvero. Dagli Yuppies agli Hipster: i traguardi dei nuovi giovani Un tempo erano giovani e squattrinati. Lavoravano nei bar o in piscina d’estate per pagarsi i libri o racimolare qualcosa per alcuni piccoli sfizi durante l’anno.
Poi sono diventati Young Urban Professional che dagli Anni ’80 per almeno un decennio hanno cercato di scalare il mondo pieni di sogni e di prospettive. Erano sempre al verde, ma con le idee chiare per una la grande ascesa verso il successo. Nuovi imprenditori e capitalisti che partiti dal basso potevano e volevano crescere e fare soldi. Addobbati con la cravatta e la ventiquattrore anche sotto la doccia cercavano la perfezione in tutti gli ambiti, dal fisico alla mente. E per i Millennials l’identikit tipo è dato dall’Hipster. Convinti anti-yuppies, indifferenti alla professione e all’ambizione puntano invece a cultura, competenza e buon gusto. Mirano così tanto a essere alternativi e contro corrente che hanno creato una nuova moda: pantaloni stretti e corti e barbe folte per gli uomini, mentre le donne vestono look maschili, scarpe allacciate senza tacco e capelli colorati. Ritornano i papillon dei nonni, ma usati per il lavoro di tutti i giorni, spopola la birra, rigorosamente artigianale, curano il corpo dalle creme al bisturi, amano il bio e l’essere anticonformisti. Ma quali sono i sogni di questa generazione? Per chi raggiunge i 18 anni il primo obiettivo è il tatuaggio e non la patente, data ormai per scontata. Il lavoro serve, ma per guadagnare, senza troppe pretese e con tanto spirito di adattamento. Il tempo libero è dedicato al PC, agli amici sui social network e all’essere ecologisti. L’hipster in carriera usa un linguaggio forbito, va al lavoro in bici e ha sempre in spalla uno zainetto che incarna la vecchia borsa da ufficio in pelle. Dopo i 2,3 miliardi di Millennials censiti tocca ai giovanissi della Generazione Z, interessati ai prodotti materiali, preoccupati per il futuro e legatissimi alle info (o disinformazioni) della rete. I nativi digitali vivono in costante isolamento sociale, nonostante le connessioni dello smartphone. La percezione di sentirsi dimenticati e la depressione sono forse una delle caratteristiche che li accompagnerà. Figli della crisi economica, del terrorismo e del precariato non si fidano delle grandi marche ma vedono i soldi come parametro per valutare il successo della loro vita, con il ritorno di vecchi status come l’automobile e il mattone. Forse sta rinascendo dalle sue ceneri una nuova generazione di imprenditori, con la volontà di cambiare le cose e di riscattarsi da uno status precario? Di fronte al bisogno di mettersi in mostra sui social c’è anche molta ricerca di privacy. Imperversano gli pseudonimi, gli account falsi per l’iscrizione ai servizi e un ferreo rigore di fronte ai propri dati. Sono invece pronti a condividere le proprie idee e interessati a cooperare per ottenere il prodotto che vogliono. I dati ISTAT rivelano che i Neet (giovani tra i 18 e i 24 anni che non sono in formazione e non cercano un lavoro) sono il 24,3% sul totale della popolazione di quell’età con differenze regionali che variano di quasi il doppio a sfavore del mezzogiorno. Le donne laureate sono il 12,6% in più degli uomini, ma nonostante questo faticano a trovare lavoro e risultano sovraistruite rispetto alle posizioni ricoperte. Mentre i Millennials detengono ancora un certo
potere d’acquisto, la generazione successiva non è così fortunata sotto il profilo economico. Gli stessi dati ISTAT rivelano che la soddisfazione lavorativa cresce con l’aumentare dell’età. I giovani, neoassunti, continuano ad essere poco appagati dal lavoro precario e intermittente oppure differente da quello per il quale hanno studiato. Il 38,2% degli under 25 possiede competenze più elevate rispetto alle necessità dell’impiego svolto, dato che scende al 22% nelle classi centrali di età e precipita al 12% per gli over 55. Gli obiettivi dei soldi facili sono svaniti. Anche se il reddito medio è salito dell’1,6% sono aumentate le famiglie con reddito vicino alla soglia di povertà, principalmente a causa dell’impossibilità di trovare impiego o di lavorare a pieno regime. Di fronte a queste difficoltà sul posto di lavoro si aggiungono anche profonde insoddisfazioni sotto il profilo relazionale. Solo il 33,2% degli intervistati (over 14) si definisce soddisfatto delle proprie relazioni familiari, mentre scende al 23,6% quella riferita ai rapporti con gli amici. La politica non interessa più (solo il 58% della popolazione si documenta sull’agomento almeno una volta la settimana) ma in molti sono attivi e pronti a commentare sul web. Il tempo libero è adeguato per il 66% della popolazione mentre solo il 26% pensa che la propria vita migliorerà da qui ai prossimi 5 anni. Tra gli obiettivi dei prossimi 10 anni c’è chi sognerà la pensione, chi un lavoro contrattualizzato e una casa, chi un’idea imprenditoriale dirompente per mettersi in proprio. L’importante per tutti è non fermarsi e smettere di sognare.
Luxury - L'editoriale di Ivan Zorico Se dovessimo riassumere e spiegare in un’unica parola cosa si intende per lusso, di certo la parola unicità potrebbe essere quella giusta. Il mondo del lusso è sempre stato legato al tema dello status symbol, dell’esclusività e dell’estremo ed elevato valore, simbolico e non. Semplificando, bastava sostanzialmente creare l’idea di privilegio attorno al bene o servizio di lusso per aver compiuto un buon lavoro di comunicazione e marketing. Ma negli ultimi tempi, complice anche l’avvento di nuovi consumatori sul mercato globale – i millennials – e delle nuove tecnologie – il web e i social network –, alla parola lusso si sono affiancati anche altri appellativi: fiducia e trasparenza del brand, ricercatezza dei materiali e della manifattura e innovazione. A questo nuovo pubblico di consumatori, che risulta essere sempre più rilevante per le aziende del lusso, non basta più avere un prodotto fine a se stesso. Quello che oggi chiedono, e si aspettano, è che i brand siano credibili. Un lavoro di comunicazione in linea con le aspettative è quindi d’obbligo: storytelling e content marketing su tutti. E le aziende del lusso, che certo non stanno a guardare e sanno cogliere i segnali del mercato, se ne sono accorte. A dimostrazione di quanto detto si può fare riferimento agli accresciuti investimenti in comunicazione compiuti negli ultimi anni proprio sul web: le risorse allocate sulle campagne sui social network sono arrivate al 12% nel 2016. Nel 2012 erano lo 0% dell’intero budget destinato alla comunicazione e al marketing. Sappiamo che il mondo del lusso è da molti definito il mondo del superfluo e per questo viene osteggiato o magari, celatamente, anche guardato con invidia. Certo, anch’io concordo con il dire che alcuni eccessi del mondo del lusso possano sembrare stridenti, soprattutto in rapporto alla condizione non proprio rosea nella quale tutti viviamo e con la quale
quotidianamente ci confrontiamo. Ma, ad una analisi più attenta, possiamo anche guardare un’altra faccia della medaglia. Questa industria è in grado di generare un fatturato di 1.200 miliardi di euro (dati al 2017) e delle 100 Top aziende per fatturato nel mondo, 29 sono italiane. In Italia, tutto il comparto del lusso, vale 88 miliardi di euro. E questo fatturato è generato da 67 mila aziende italiane che sono costituite, ovviamente, da lavoratori: quasi 600 mila persone. E, quindi, se vediamo l’intera situazione con gli occhi di quest’ultimi, il mondo del lusso appare tutt’altro che superfluo. E non mi sento francamente di dire diversamente. Cambiare il punto di vista, come sempre, aiuta ad avere una visione di insieme più organica. Buona lettura e, dato il periodo, auguri di buona Pasqua… o “anche a te e famiglia” se preferite :). Ivan Zorico Luxury – L’editoriale di Raffaello Castellano
Come sappiamo, la nostra è la seconda nazione manifatturiera d’Europa, dopo quella tedesca, ma ci sono alcune peculiarità che contraddistinguono la nostra da quelle degli altri Paesi. Innanzitutto le aziende italiane sono per la maggior parte piccole e medie; in secondo luogo la particolare geografia del nostro territorio, con una pianta stretta e lunga, ha favorito, insieme ad altri fattori, l’aggregazione di queste piccole e medie aziende in distretti; ed infine la manifattura italiana è rinomata nel mondo per l’estrema qualità delle sue produzioni. Ma qualcuno dei nostri lettori potrebbe chiederci che cosa c’entrino queste precisazioni di carattere economico con il macro-argomento del lusso, con il quale abbiamo voluto connotare il numero di marzo del nostro giornale. Tutto! Verrebbe da rispondere di getto a questo quesito. Infatti, una buona parte delle aziende manifatturiere italiane, soprattutto piccole, è specializzata in produzioni di fascia alta, appunto. Alcuni esempi: siamo fra i principali e più prestigiosi produttori di calzature di lusso al mondo; ancora, il nostro Paese veste gli amministratori delegati, presidenti e capitani d’industria più importanti del pianeta; le principali marche di super car sono storici costruttori italiani (anche se le acquisizioni straniere e le delocalizzazioni hanno impoverito e disperso questo comparto); ancora, le produzioni Made in Italy del settore agroalimentare sono fra le più rinomate e ricercate, tanto da aver fatto della nostra cucina la più famosa e apprezzata fra le tre grandi gastronomie mondiali (francese, cinese, italiana). Ed infine cito solo due prodotti dello sconfinato tagliere enogastronomico italiano: il Parmigiano Reggiano, una sorta di Nike delle produzioni casearie, probabilmente il formaggio più imitato e contraffatto al mondo, e la Pizza, una delle tipicità italiane più famose, nata dall’estro di un piccolo fornaio napoletano nel 1889. Ed il filo rosso che unisce tutte queste manifatture così disparate è appunto il fatto che, almeno
alle origini, le nostre aziende erano piccole, addirittura piccolissime. Giusto a titolo di inventario ne citerò un paio per ognuno dei comparti sopracitati: per le scarpe Salvatore Ferragamo e Tod’s, per gli abiti le sartorie di Valentino e Armani; per le auto di lusso Maserati, Lamborghini (che alle origini era un piccolo costruttore di trattori agricoli) e soprattutto Ferrari, che nacque dalla caparbietà e voglia di riscatto di un piccolo meccanico e pilota, Enzo Ferrari, fuoriuscito dalla grande casa automobilistica Alfa Romeo. Ma quali sono i numeri di questo comparto? Il mercato dei beni di lusso personali del 2017 ha chiuso a 262 miliardi di euro, segnando un +5% sul 2016. Inoltre l’80% delle vendite di beni di lusso sono riconducibili a Millennials, donne e uomini under 40. Una ricerca condotta nel 2017 da The Boston Consulting Group ha analizzato i comportamenti di acquisto di 12 mila top spender (almeno 36 mila euro all’anno in acquisti di alta gamma) in 10 Paesi, decretando che il Made In Italy è considerato in tutto il mondo il primo per qualità della manifattura di beni di lusso personali (29% di preferenze contro il 23% della Francia e il 12% degli Usa). Oggi, quindi, siamo conosciuti soprattutto per il nostro Made in Italy di lusso, le famose “Le quattro A” (da Abbigliamento, Agroalimentare, Arredamento e Automobili). E pensare che “l’etichetta di origine” più contraffatta al mondo, a differenza da quanto si può immaginare, non è nata a difesa dei prodotti italiani, bensì con l’intento opposto. A g l i i n i z i d e g l i a n ni sessanta, infatti, alcuni paesi europei, tra cui Germania, Francia ed Inghilterra, per difendere la loro produzione interna, apponevano delle etichette sui prodotti stranieri, per indicare ai consumatori quali fossero quelli da evitare per scarsa qualità. Con il passare del tempo i produttori italiani sono riusciti a trasformare questa censura in opportunità. Quello che all’inizio era nato come un handicap, un marchio d’infamia quasi, si è rivelato essere una fortuna grazie alla quale l’Italia ne è uscita con un’identità ben precisa, diventando simbolo di
creatività e qualità. Quindi, in questo numero torniamo a parlare di Made in Italy, Sistema Italia, di quello che veramente ci contraddistingue come Paese con un sistema di valori, una cultura ed una storia che, anche se noi Italiani spesso lo dimentichiamo, gli altri paesi ci invidiano. Buona lettura e Buona Pasqua. Raffaello Castellano Il Neo-lusso e l'eterogeneità dei cluster di clienti “Il lusso inizia dove finisce la necessità” Coco Chanel Se il lusso si potesse racchiudere in un’immagine sarebbe fumosa, vana e ostentata. Oggi il consumatore che cerca beni costosi ed esclusivi, non lo vuole per la qualità ma per metterlo in mostra. Che lusso sarebbe, se gli altri non lo riconoscessero come tale? La fascia di consumatori (italiani) tra i 35 e i 54 anni con un reddito annuo tra i 30 e i 60 mila euro scelgono piccole gratificazioni quotidiane che ogni tanto si possono regalare. Secondo una ricerca di Agroter sono circa 20 milioni le persone che il marketing potrebbe accaparrarsi perchè pronte a spendere qualcosa in più per qualche sfizio. I prototipi sono variegati. Ci sono gli empty nester, i nidi vuoti, cioè le famiglie i cui figli sono diventati autonomi e quindi il loro livello di reddito è tornato alto; oppure i DINK (double income no kids) dove entrambi lavorano, ma possono disporre inteamente del guadagno per le proprie spese. Un’altra categoria da tenere sott’occhio sono le donne divorziate, disposte a concedersi somme spropositare in certi settori, o semplicemente single e lavoratrici che pensano che risparmiare sia ancora un progetto londano. Una piccola differenziazione, tanto storytelling, brand immaginifici e misteriosi sono quello che cattura questa fascia di popolazione. Per la generazione dei 1000 euro al mese il miraggio della gratificazione è
rappresentato dal weekend di stacco, dal pacchetto benessere, o dal prodotto high tech, difficilmente inquadrabili tra le spese pazze. Ma sono gli sgarri alla regola a portata di tutti verso cui le aziende strizzano l’occhio. Un esempio sono i 6 piani da 61 milioni di euro che la Rinascente di Torino intende sfoggiare entro settembre 2019 per diventare centro del lusso per tutti. Se il lusso inaccessibile fatto di manifatture pregiate e artigianali, massima personalizzazione, prezzi esosi e materiali preziosi è destinato all’export o a pochi, il neo lusso è un po’ per tutti. Nel lusso intermedio si identificano chiaramente le icone del lifestyle, identià di marca e accurata selezione del target, dei canali e dei media. Così molti brand di successo sono riusciti a identificare un chiaro posizionamento in questo senso. Ce ne sono per tutti i gusti e tutti i settori: Bottega Veneta, Gallo, Artemide, Bugatti, Bulthaup, Miele, Stokke, Ducati, Harley Davidson, Lexus, Mini, Aceto Balsamico Tradizionale di Modena, Grom sono solo alcuni. Ciascuno di questi, con le sue particolarità e distinzioni suscita un brivido e una sensazione soltanto pronunciandone il nome, a dimostrazione di quanto siano radicati nell’immaginario collettivo. Diverso il discorso del lusso accessibile, che è un’aspirazione di status, un’imitazione dei prodotti top a prezzi contenuti. Ci sono grandi nomi che hanno fatto di questa politica la loro bandiera – Zara in primis – ma non manca chi punta spudoratamente alla copia. E le battaglie di slogan sono solo la punta dell’iceberg (cfr Diesel vs Piazza Italia con Be stupid e Be intelligent). Infatti oggi la massima dimostrazione di essere alla portata di tutti è data dalla possibilità di diventare modelli per un giorno di marchi del fashion low cost. Impazzano i contest per l’abbigliamento, i capelli, le creme dove il consumatore può diventare testimonial del prodotto, quasi a ribadire che quel marchio è per ognuno e tutti possono
arrivare alla gloria (lusso?) per un giorno. Approfondendo un’analisi sui consumi si nota che l’idea di lusso non è universale. Lo stesso consumatore può fare la spesa al discount per permettersi un’auto più prestigiosa o viaggiare su un usato, ma consumare solo cibi Bio. Questa varietà e assoluta personalità del settore medio o accessibile rende molto eterogenei i cluster di clienti. Cosa attendersi dal futuro? I siti che propongono abbigliamento o tecnologia di grandi marche a prezzi scontati non avrebbero più senso perchè se il brand esclusivo diventa per tutti perde parte dell’appeal. Così anche i ristoranti saranno stellati dalla Guida Michelin o da Tripadvisor? Pare che la long tail del web che avrebbe dovuto garantire l’ugualitarismo in realtà abbia comunque portato a una classifica simile a quella off line. E che ne sarà dei Millennials, oggi così aperti alla condivisione, alle esperienze digitali, all’offerta in rete quando potranno disporre di maggior reddito? Rimarranno così vogliosi di parificazione o punteranno, come le precedenti generazioni, alla stratificazione sociale? Anche il lusso, infatti, se è alla portata di tutti, smette di essere tale.
I numeri del mercato del lusso: quanto vale e il ruolo del web in questo settore. Quando ci capita di pensare al mondo del lusso, spesso ci soffermiamo a pensare a quanto possa costare una data vacanza o una tal macchina, ma con molta meno consuetudine ci interroghiamo su quanto possa valere complessivamente il mercato del lusso. È un aspetto interessante perché dietro a quei prodotti e servizi di valore c’è un’industria, quella del lusso appunto, capace di generare un fatturato di quasi 1.200 miliardi di euro nel 2017 e, di conseguenza, numerosi posti di lavoro. Dopo alcuni anni di stagnazione, il mercato del lusso è tornato a crescere facendo segnare una crescita del 5% (dati dalla 16a edizione del “Bain-Altagamma Luxury Study”). Sono stati 3 i fattori principali di questi risultati: 1. I Millennials 2. Il turismo 3. Il web Vediamoli meglio nel dettaglio. #1 I Millennials L’80% di questa crescita – ossia 12 miliardi di euro aggiuntivi realizzati nel 2017 – è stata determinata proprio dai millennials, soprattutto cinesi. I millennials appaiano essere dei consumatori molto diversi rispetto alla generazione precedente – i baby boomers – e con delle specificità ben marcate. I millennials non scelgono di acquistare un prodotto solo perché rappresenta uno status symbol, ma ricercano nel brand valori più alti come la trasparenza e la fiducia. Dietro ad un bene di lusso, per i millennials, c’è sempre e comunque l’idea della condivisione. #2 Il turismo L’altra importante fonte di ricavo per i brand del lusso è legata al tema del turismo ed alle spese fatte durante i viaggi nelle aree tax free, ossia negli aeroporti. Per quanto riguarda il mercato italiano, il 28% degli acquisti in aeroporto è stato fatto dai cinesi, seguiti dagli americani e russi, entrambi all’11%. L’Italia resta una delle mete preferite, insieme con Regno Unito e Francia. La crescita dei ricavi dei brand di lusso relativi al turismo è certamente stato trainato da un aggiustamento dei differenziali di prezzo che prima vedevano un’ampia sproporzione tra i mercati asiatici ed europei. Per capirci, tra Europa e Cina si è passati ad un differenziale di prezzo del 20-30% contro un 80% precedente. La spesa dei turisti in Europa ha
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