Rossi a Manhattan Eric Salerno Comunisti nel paese sbagliato. La mia famiglia

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Eric Salerno

          Rossi a Manhattan
Comunisti nel paese sbagliato. La mia famiglia
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© il Saggiatore S.p.A., Milano 2013
Rossi a Manhattan

        Ai miei figli
Sommario

Il fascicolo              11

La deportazione           33

Mike                      45

Betty                     57

Campi e streghe           69

Bolscevichi a New York   105

Neri e rossi             141

Paese Sera, Italia       165

Russia bianca            207

Ieri, oggi. E domani?    215

Ringraziamenti           223
New York City

1.   Residenza di Mike, 1738 di   5.   Ellis Island
     Crotona Park East, Bronx     6.   Astor Place, 13
2.   Direct Pleating Company      7.   Union Square
3.   Bronx Park South             8.   Madison Square Garden
4.   Crotona Park East            9.   Rosebank, Staten Island
Il fascicolo

                          Well, I was feelin’ sad and feelin’ blue,
                          I didn’t know what in the world I wus gonna do,
                          Them Communists they wus comin’ around,
                          They wus in the air,
                          They wus on the ground.
                          They wouldn’t gimme no peace…
                              Bob Dylan, Talkin’ John Birch Paranoid Blues

Roma, 30 luglio 2010. L’Fbi alla porta. La busta, gonfia di fogli
formato A4, è arrivata con la posta nel primo pomeriggio. È il
giorno del mio compleanno, mi accingo a festeggiare con amici
e parenti, per un attimo penso a un regalo. E di un regalo in
fondo si tratta, e anche speciale, ma chi l’ha fatto recapitare
proprio oggi, anche se certamente poteva saperlo, non ci aveva
fatto caso. Il plico è beige, colore tipico delle amministrazioni
pubbliche americane. L’intestazione non lascia dubbi: U.S. De-
partment of Justice – Federal Bureau of Investigation – 170
Marcel Drive, Winchester, VA 22602-4843. Sotto, più piccolo, a
uso e consumo di dipendenti potenzialmente «disonesti»: Of-
ficial Business, Penalty for private use $300.
    Mesi prima l’Fbi si era limitato a confermare con una lettera
– una di quelle anonime su cui il computer d’ufficio aveva indicato
destinatario e alcune considerazioni – di aver ricevuto la mia ri-
chiesta di accedere ai documenti riservati riguardanti mio padre,
e a promettere di evadere la pratica al più presto, non oltre i tempi
tecnici. Questa volta però i «tempi tecnici», sottolineava il Justice’s
12   Rossi a Manhattan

Department (Ministero della Giustizia degli Stati Uniti) con il
tono di chi in qualche modo chiede scusa per possibili ritardi,
potevano essere anche lunghi data la quantità di persone che ri-
chiedevano fascicoli di ogni tipo, approfittando della Freedom of
Information Act, quella legge che gli americani hanno conquistato
per conoscere il contenuto dei loro archivi anche quando possono
dare fastidio a qualche politico o militare o all’intero sistema.
    Mike, comunista cacciato dall’America dopo ventotto anni
trascorsi a combattere capitalismo e imperialismo, ha sempre ri-
conosciuto e difeso una parte del sistema d’oltreoceano. Una
democrazia imperfetta ma con molti elementi positivi da non
sottovalutare, diceva quando litigava con Alberto Jacoviello, gior-
nalista giovane dell’Unità che riteneva di sapere tutto sul paese
nemico, imperialista, capitalista, razzista perché i neri erano an-
cora messi da una parte, i linciaggi erano all’ordine del giorno
negli stati del Sud, e un Barack Obama alla Casa Bianca sarebbe
stato impensabile. Il collega del quotidiano ufficiale del Partito
comunista italiano non era mai stato negli States e ricordo quando
in Italia, nonostante l’atmosfera da compromesso storico, demo-
liva per principio tutto ciò che odorava di stelle e strisce. Salvo
cambiare tono e sostanza appena ebbe la ventura di partire per
New York e Washington, primo inviato di un giornale comunista
italiano. La perestrojka non era nemmeno vicina ma la conven-
zione di Helsinki sanciva la libertà di stampa e imponeva ai paesi
aderenti di aprire le porte ai giornalisti. Seppure con numerose
restrizioni simili a quelle che ho dovuto subire quando, chie-
dendo un visto turistico per gli Stati Uniti, mi fu concesso un
permesso con molte limitazioni per aver cominciato la mia car-
riera al vecchio «comunista» Paese Sera.
Il fascicolo  13

    Mi ero spesso domandato se dalle pagine del fascicolo di
Mike sarebbero emerse sorprese. Poteva essere stato, a mia in-
saputa, una spia dei sovietici? E se, come tanti comunisti ame-
ricani minacciati e ricattati, avesse lavorato per l’Fbi? Avrebbe
potuto, per paura o convinzione, aver «tradito» qualcuno tra i
suoi amici e colleghi, genitori dei miei compagni di gioco?
    Ora ho in mano il file, mi preparo a sfogliarlo. Probabilmente
le carte arrivate da Washington confermeranno ciò che già so
della sua vita da comunista in America. Forse, se quelli dell’Fbi
sono stati veramente bravi, leggerò dettagli inediti sulla sua at-
tività. Mike aveva sempre evitato di sciorinare storie sui suoi
anni in America. Viveva il presente, studiava il passato, guar-
dava decisamente al futuro. È morto prima della caduta del
Muro di Berlino. Non credo che avesse mai preso in considera-
zione la sconfitta totale del comunismo sovietico. E mi chiedo
cosa direbbe oggi nel sapere che l’Fbi ha inviato a casa di suo
figlio a Roma il fascicolo completo della sua storia di sovversivo
negli States, senza nemmeno fargli pagare la fotocopiatura o i
quattordici dollari di francobollo per la spedizione.
    «Centoventidue pagine sono state viste e centoventidue pa-
gine vengono spedite» si legge nella lettera di accompagna-
mento, un prestampato sul quale il funzionario dell’archivio ha
annotato alcuni limiti a ciò che è lecito rivelare. Frasi e nomi
coperti dal bianchetto elettronico, è spiegato, riguardano que-
stioni relative al personale dell’Fbi e alla gestione dell’agenzia
di polizia federale; informazioni che potrebbero essere consi-
derate invasione di privacy; difesa di fonti e agenti federali e
«traditori» all’interno del movimento operaio; cartelle cliniche.
Una censura lecita per una democrazia imperfetta dove molti,
14   Rossi a Manhattan

oggi, si ribellano contro la corsa a preparare nuovi fascicoli e la
violazione della privacy da parte dei vari servizi segreti ameri-
cani in nome della lotta all’estremismo islamico. All’indomani
dell’attacco alle Torri gemelle e al Pentagono, quelli dell’Fbi (e
della Cia) si sono accorti di avere dietro le scrivanie e in giro per
il mondo centinaia di esperti di comunismo, grandi conoscitori
della lingua russa e delle lingue del mondo dietro la vecchia
«cortina di ferro», ma di aver appena due traduttori dall’arabo
e pochi veri analisti del mondo dell’Islam.
    Una sorpresa salta fuori dalla prima cartella. Il file numero
100-64382 MB, redatto da John F. Higgins, datato 10 dicembre
1944, ha come oggetto: «Questione di sicurezza». Soltanto a
ridosso della fine della Seconda guerra mondiale gli agenti del-
l’Fbi si erano messi ad approfondire l’attività «sovversiva» di
mio padre negli Stati Uniti, dove era arrivato più di venti anni
prima. Il suo nome e il suo pseudonimo – Tito Nunzio – erano
ben noti all’ufficio di New York che, almeno fino all’entrata in
guerra dell’Italia, aveva collaborato con la polizia fascista e con
il suo rappresentante del Consolato di Roma nella metropoli
americana; solo nel 1944 l’alleato sovietico diventa il nuovo ne-
mico e, con lui, comunisti, fiancheggiatori o anche soltanto chi,
con un pensiero eccessivamente liberal, sembra mettere in
dubbio «the American way of life», almeno quella versione con-
servatrice che spesso si scontrava con la Costituzione e con il
Bill of Rights, pilastri fondamentali della democrazia d’oltreo-
ceano.
    Dopo aver riempito alcuni fogli con i dati anagrafici di Mike,
la storia del suo arrivo nel 1923 e della sua attività di giornalista,
dettagli sulla vita privata (il nome della moglie, Betty, e il fatto
Il fascicolo  15

che i due avessero un «figlio giovane»), l’agente mette insieme
una lunga relazione copiando, estrapolando e collazionando
fascicoli di altri indagati che si trovavano a New York.

   In una lettera all’ufficio di New York, in data 2 giugno 1941,
   l’informatore confidenziale T-1 fa sapere che tale Carlos Con-
   treras (nome per il partito), il cui vero nome è Sormenti, ha
   guidato i comunisti italiani negli Stati Uniti dal 1925 al 1929.
   Più tardi è tornato in Spagna e poi in Messico per lavorare per
   Mosca. Successivamente Tito Nunzio (nome per il partito) ha
   occupato il posto di Contreras. L’informatore ha fatto sapere
   che Nunzio scriveva per L’Unità Operaia nel 1940 e nel 1941 e
   che stava anche scrivendo per L’Unità del Popolo.

Curiosamente l’agente sbaglia affermando che Nunzio si tro-
vava negli Stati Uniti illegalmente. Penseranno altri a rettificare
l’errore.

   L’ufficio di New York possiede prove documentali dell’asso-
   ciazione attiva del soggetto, nel passato e nel presente, con
   l’International Workers Order, come membro dell’esecutivo e
   come persona sempre presente ai congressi dell’Iwo dal 1941
   al 1944. Risulta attivo nella sezione italoamericana dell’Iwo
   come membro residente dell’esecutivo della sezione italoame-
   ricana. Il 7 febbraio 1942 ha partecipato con un ruolo di primo
   piano alla seduta plenaria dell’Iwo e come membro dell’esecu-
   tivo ha partecipato alla formulazione di una risoluzione in cui
   si chiedeva al presente Roosevelt di «liberare il nostro amato
   fratello Earl Browder» all’epoca in carcere ad Atlanta.
16    Rossi a Manhattan

Browder era il leader del Partito comunista americano. Per
avere ulteriori notizie su Sormenti, noto anche come Vittorio
Vidali, vale la pena leggere il rapporto dello spionaggio militare
fascista (Sim) dell’8 giugno 1938:

     Svolge attiva propaganda comunista nelle file dell’esercito rosso,
     nelle sue qualità di commissario politico, il connazionale Vit-
     torio Vidali di Giovanni, nato a Muggia il 3 marzo 1901, alias
     Enea Sormenti, meglio conosciuto tra le truppe rosse come
     «comandante Carlos». Sul suo conto risulta:
     – è un rivoluzionario che ha conosciuto tutte le carceri, ha visto
     tutti i paesi e ha combattuto un po’ ovunque;
     – il padre era operaio nel cantiere San Marco di Trieste, ed egli
     trascorse la sua giovinezza e svolse la sua prima attività sovver-
     siva in detta città;
     – prese parte ai moti del 1920 nel cantiere San Marco;
     – si recò poi in Germania, ad Algeri e infine a New York dove
     divenne amico di Vanzetti; organizzò, nel 1926, in America, il
     I Congresso antifascista;
     – continuando i suoi viaggi si recò in Russia e poi in Messico;
     nel 1934 giunse in Spagna;
     – all’inizio del movimento nazionale s’interessò per organizzare
     le prime truppe e fra queste il 5° reggimento;
     – prese parte a tutte le operazioni e combattimenti come com-
     missario politico e come capo della sezione operazioni e orga-
     nizzazione dello stato maggiore centrale;
     – fu commissario politico della divisione Lister e partecipò alla
     battaglia di Guadalajara come commissario ispettore;
Il fascicolo  17

   – dopo Guadalajara fu nominato commissario addetto alla pro-
   paganda nel campo nemico.
   È iscritto a pagina 689 delle persone ricercate e sospette col
   provvedimento «da arrestare».

I capitoli successivi dell’ampia relazione messa insieme dallo
Special employee investigator (manca il nome del funzionario
addetto all’indagine) riguardano dati sugli spostamenti di Mike
e sul suo matrimonio con Betty Esbinsky. Si fa riferimento a un
viaggio intrapreso il 18 maggio 1937: aveva lasciato New York
a bordo della SS Berengaria per la Francia, da dove sarebbe
tornato in agosto. Nessun accenno, però, al fatto che Mike dalla
Francia, varcando clandestinamente i Pirenei, aveva raggiunto
la Spagna in guerra per incontrare capi e combattenti della Bri-
gata internazionale. Gli agenti dell’Fbi e soprattutto i loro nu-
merosi informatori, per quanto «vicini» a Mike, non erano poi
così bravi.
    In un documentato saggio Fraser Ottanelli ricorda che i vo-
lontari italoamericani in Spagna avevano, in media, trentacinque
anni, che le loro esperienze formative erano legate al vivace
movimento operaio dopo la Prima guerra mondiale, alla crescita
e consolidamento del fascismo in Italia, alla difesa di Sacco e
Vanzetti, alla Grande depressione e alla crescita del nazismo in
Germania: «Chiaramente, dunque, per la maggioranza dei vo-
lontari italoamericani, la decisione di rischiare le loro vite in un
paese straniero non era né un segno di ardore giovanile, né
l’ultimo slancio di anziani radicali. Piuttosto si trattava di un
passo serio che rifletteva esperienze personali e politiche, e una
maturazione avvenuta con il passare del tempo».
18   Rossi a Manhattan

    Gli agenti indagavano. Parlavano con amici e conoscenti del
«sospettato». Setacciavano il quartiere del Bronx dove abitava,
per riuscire a sapere qualcosa del suo comportamento casalingo,
del suo carattere. Paradossalmente lo osservano da lontano, più
attenti alla sua vita familiare che ai suoi incontri di lavoro. Un
inquilino – il suo nome è stato coperto dalla censura – dell’edi-
ficio al 1738 di Crotona Park East, nel Bronx, la residenza di
Mike e la sua piccola famiglia, ha riferito agli agenti che «il
soggetto» vi abitava da circa un anno; che vi «risiedeva tran-
quillo con la moglie un’ebrea, e un figlio». L’inquilino sapeva
che Mike era coinvolto nell’attività di un giornale italiano, ma
non ne conosceva il nome e, soprattutto, «non era in grado di
fornire informazioni negative sul soggetto in funzione dell’in-
dagine».
    Una donna, probabilmente la proprietaria del palazzo, ha
riferito che Mike pagava 40 dollari al mese di affitto, che non
aveva «mai fatto venire sospetti riguardo la natura o la portata
dell’attività sovversiva in cui poteva essere coinvolto». Da
un’altra inquilina gli agenti hanno scoperto che Mike era abbo-
nato al Daily Worker. Lei aveva ammesso di «non conoscere la
natura» del quotidiano comunista.
    Crotona Park. Ci sono tornato di recente. La prima volta con
un amico nato e cresciuto anch’egli negli anni quaranta in
quell’affascinante quartiere laico e liberal, tra ebrei e italiani, tra
ortodossi e gente di sinistra. Una visita carica di nostalgia per
scoprire che il Bronx del degrado, il Fort Apache degli anni
sessanta e settanta, è stato riscoperto. La gentrificazione ha col-
pito anche dalle parti della nostra vecchia casa di fronte al parco.
Per ora in modo non massiccio, ma tanto da renderlo raggiun-
Il fascicolo  19

gibile dalla metropolitana; oggi lo si può girare a piedi, quanto-
meno di giorno, senza avere paura, e ammirare ordine, pulizia
e le nuove case che hanno soppiantato quelle devastate dall’in-
curia e, in alcuni casi, dalla violenza dei «padroni», che incas-
savano l’assicurazione dopo aver mandato a fuoco i loro palazzi
fatiscenti affittati ai poveri.
    Il secondo viaggio è stato ancora più emotivo. Spero che
anche voi, Michele e Anna, pronipoti di Mike, conserverete
qualche ricordo di quella breve passeggiata nel parco dove gio-
cavo oltre sessanta anni fa. Vi aiuterà a seguire questo racconto
quando sarete abbastanza grandi per leggerlo e per mettere a
confronto, nel bene e nel male, quel mondo e il vostro.
    La panchina davanti a casa non c’è più. Leggendo le relazioni
degli agenti dell’Fbi viene da chiedersi come mai, nonostante
avessero gironzolato nel Crotona Park per mantenere la vigi-
lanza su Mike, malato di cuore e costretto a non uscire, non
avessero mai segnalato e fotografato l’andirivieni dei soliti sov-
versivi che per mesi complottarono nel nostro piccolo apparta-
mento per far uscire più o meno puntualmente L’Unità del Po-
polo e per gestire la protesta contro la minacciata deportazione
di Mike e degli altri giornalisti comunisti dei quotidiani «etnici».
    Da uno dei numerosi archivi della burocrazia americana pas-
sati al setaccio dai federali – oltre a quello fondamentale del
servizio immigrazione – era saltata fuori una scheda firmata da
Mike in cui parlava del lavoro che faceva per guadagnarsi da
vivere, perché l’attività giornalistica militante non bastava a
mantenere la famiglia. E così gli agenti sono andati a cercare la
Direct Pleating Company al 323 West 39th Street dove Mike
aveva lavorato come sarto di abiti da uomo, chino su una mac-
20     Rossi a Manhattan

china per cucire: lo stabilimento non esisteva più, ma in un’altra
fabbrica della grande industria dell’abbigliamento hanno rin-
tracciato un lavoratore che mesi prima aveva conosciuto il «sog-
getto».
   Nel fascicolo c’è anche la scheda riempita da Mike per la
registrazione («Alien registration») degli stranieri nemici. Non
ha avuto problemi ad ammettere la sua iscrizione fino al 1939
al Comitato antifascista italiano e, fino al 1940, al Partito comu-
nista: «Ho lasciato l’Italia a causa delle restrizioni politiche nel
1923, subito dopo l’arrivo al potere del Partito fascista». Quindi
torna in campo il misterioso T-1 per fornire informazioni su
Salerno:

     Nel 1928, l’organo ufficiale dei comunisti italiani a New York
     era Il Lavoratore e il direttore era Sormenti, che è andato in
     Russia nel 1928; in seguito la direzione del settimanale fu as-
     sunta da certo Vanni Montana, all’epoca feroce comunista che
     era stato attivo per il comunismo in Francia. Montana ha lasciato
     gli Stati Uniti nel 1928 circa a causa di alcune difficoltà incon-
     trate per il suo ingresso nel paese. A quel punto, Salerno divenne
     direttore del Lavoratore e vi rimase fino al 1937 quando i co-
     munisti si accordarono con tale Valenti, all’epoca identificato
     con il giornale antifascista La Stampa Libera, e Il Lavoratore si
     unì alla Stampa Libera e Salerno divenne direttore della Stampa
     Libera. Nel marzo 1938, ci furono nuove manipolazioni e il
     risultato fu la nascita dell’Unità del Popolo come veicolo ufficiale
     in italiano per la disseminazione della propaganda del Partito
     comunista, con Salerno come uno dei suoi maggiori esponenti.
     L’informatore T-1 ha proseguito affermando che circa due anni
Il fascicolo  21

   fa, Salerno è stato messo in una posizione inferiore nel giornale
   o addirittura allontanato dal giornale; molto di recente, però,
   l’informatore confidenziale T-1 ha rilevato che Salerno è di
   nuovo con il giornale come assistant manager e feature writer
   ed è attualmente impegnato nel proiettare nell’Unità del Popolo
   le politiche e le scelte del Partito comunista, in particolare ri-
   guardo le elezioni presidenziali del 1944.

Non sono riuscito a ricostruire l’identità di quel T-1. Secondo
la relazione, conosceva Mike da almeno dieci anni. Chiese di
restare anonimo e il suo nome, fornito in una segnalazione del-
l’Fbi, è stato eliminato nella copia arrivata fino a me. Il censore,
però, ha lasciato il suo recapito: Il Mondo, 80 Fourth Avenue,
New York City. Un altro giornale italoamericano, apparente-
mente di sinistra. Ieri come oggi i sognatori non riescono a mar-
ciare insieme e cedono il passo a una destra sempre compatta.
    Le pagine successive del fascicolo contengono le relazioni di
uffici distaccati dell’Fbi e di altre agenzie governative. Così da
Washington confermano che Mike non ha mai avuto un passa-
porto americano; da Harrisburg che nel 1931 è rimasto un anno
con lo zio Vincenzo, «convincendolo a pensare come i comu-
nisti», mentre cercava di convertire l’elemento italiano della
città della Pennsylvania per creare un gruppo comunista. Di-
scorsi, interventi pubblici, «prediche comunistiche». Dagli
agenti sguinzagliati a Harrisburg, Mike è descritto come «un
ottimo scrittore nella lingua italiana», dotato di «una cono-
scenza meravigliosa della lingua inglese per una persona che
all’epoca dell’inchiesta è stata nel paese appena sette otto anni».
E poi, riguardo al famoso viaggio in Francia, viene confermata
22   Rossi a Manhattan

la sua partenza dagli States e il suo rientro definito «legale» da
ogni punto di vista. Mike aveva giustificato il viaggio solo con
la parola «expedition»: spedizione.
    Il 13 gennaio 1945, l’Fbi si dichiara soddisfatto e il caso viene
formalmente chiuso e archiviato. Pochi giorni dopo, il 26 gen-
naio, l’ufficio newyorkese dell’Fbi raccomanda a quelli di Wash-
ington di non abbassare la guardia e di creare una scheda su
Mike, inserendolo tra gli indagati per «motivi di sicurezza»:
l’agente-impiegato doveva mettere una crocetta su un modulo
prestampato indicando il tipo di «pericolo» rappresentato dal
«soggetto». Un anno più tardi un altro appunto fu spedito a
tutti gli uffici dell’Fbi per segnalare la riapertura del «caso»
perché «l’individuo citato» era stato eletto membro del Comi-
tato centrale del Partito comunista di New York: «Michael Sa-
lerno è considerato una figura comunista chiave». Le indagini
prendono un’improvvisa accelerazione. L’agente John Griffin,
con l’aiuto di informatori e traduttori italoamericani, passa in
rassegna la raccolta delle copie arretrate dell’Unità del Popolo
e mette in evidenza come Mike denunci chi critica la «Russia
sovietica e favorisce tutto ciò che è comunista o tendente verso
il comunismo», con articoli che appaiono «in quasi tutti i nu-
meri» del giornale, «definendosi un figlio d’Italia, il soggetto
suggerisce agli attuali leader italiani come dovrebbero gestire
l’Italia».
    Continuo a sfogliare il fascicolo. Ritorna T-1, ma non è lo
stesso di prima. La sigla è passata di mano, nasconde un altro
informatore, uno più attivo sul campo. Ormai all’Fbi non inte-
ressano soltanto le pericolose dichiarazioni di Mike, la sua po-
sizione sull’Urss. Mike viene costantemente sorvegliato come
Il fascicolo  23

un’altra persona – il cui nome è stato oscurato dal bianchetto
elettronico – che abitava al 946 di Bronx Park South, un caseg-
giato enorme dove ancora oggi ci si perde e i vicini si salutano
appena. Il mestiere dello spione non è sempre quello romantico
alla James Bond, con belle bionde e vetture di lusso, ristoranti
ultimo grido e champagne d’annata. Non lontano dalla nostra
abitazione di fronte al parco, gli agenti americani sono andati a
frugare nell’immondizia di quell’inquilino anonimo, sicura-
mente un altro sovversivo. Tra ossa di pollo, lattine e altri rifiuti
casalinghi, hanno scovato nomi e recapiti dei funzionari del
Circolo italiano della contea del Bronx e del Partito comunista.
Un bottino incredibile: su alcune carte appariva «il nome e l’in-
dirizzo del soggetto». Mike.
    Mi viene da sorridere. Poco. L’Fbi si vanta di aver scoperto
una spia sovietica ai tempi della Guerra fredda grazie ad agenti
che si erano infilati nei bidoni della spazzatura. Di recente si è
saputo che ex agenti federali tengono corsi per i netturbini.
«Dato che il nostro lavoro consiste nel raccogliere l’immondizia
dalle abitazioni e da uffici e aziende, siamo una risorsa utile per
l’identificazione di attività illegali» spiega Ken Bevis, manager
distrettuale dei rifiuti di Albany, capitale dello stato di New
York. Al-Qaida e spie varie state attenti.
    Il 19 novembre 1947, Fbi e Ministero della Giustizia degli
Stati Uniti puntano alla deportazione. Una cartella con tutte le
informazioni raccolte su Mike e sulla sua attività sovversiva fa
il giro degli uffici competenti e il 21 settembre le autorità giu-
diziarie affermano che, dal punto di vista legale, l’italiano può
essere deportato. Un telegramma «urgente» avvisa tutti gli in-
teressati: dopo aver ricevuto il mandato per la sua cacciata dagli
24     Rossi a Manhattan

Stati Uniti, Mike, che soffre di cuore, «si è arreso» al servizio
immigrazione alle 9:30 del mattino del 24 settembre accompa-
gnato dal suo avvocato e, poche ore dopo aver pagato una cau-
zione di mille dollari, è tornato a casa in attesa dell’udienza. Da
un’informativa datata 12 gennaio 1949:

     Vari noti comunisti e gruppi fiancheggiatori dei comunisti di-
     fendono il soggetto dalla deportazione. Il soggetto ha fatto una
     dichiarazione in occasione della morte di Cacchione. Ha anche
     firmato una dichiarazione per denunciare l’intervento ameri-
     cano nella politica interna italiana. Per il soggetto, c’è stata una
     cena di sostegno il 23 ottobre 1947, alla quale Vito Marcantonio
     è stato l’oratore principale. Un giornale comunista a Roma,
     Italia, ha pubblicato dichiarazioni del soggetto per denunciare
     il tentativo di assassinio di Togliatti.

Peter Cacchione era un leader sindacale italoamericano. Eletto
due volte al consiglio comunale di New York sulla lista del Par-
tito comunista, è stato anche il responsabile del partito per l’im-
portante distretto di Harlem.
    La risposta all’arresto di Mike e al processo per la sua depor-
tazione è stata, secondo un’altra relazione dell’Fbi, «frenetica»:
protesta davanti agli uffici dell’immigrazione e articoli sui gior-
nali comunisti. «Viaggiando sulla cresta della più grave caccia
alle streghe e paura rossa che questo paese abbia conosciuto, le
forze della reazione vanno nella direzione della soppressione
della stampa e di altre pubblicazioni in lingua straniera che sono
contrarie alla marshalizzazione dell’Europa» scriveva L’Unità
del Popolo. Il Daily Worker aggiungeva: «Si sta formando un
Il fascicolo  25

comitato nazionale per difendere Salerno. Il comitato per la
protezione dei nati all’estero ha condannato il suo arresto come
parte di una campagna di paura e isteria provocata dal Dipar-
timento di Giustizia […]. Gli arresti in questo momento sanno
di persecuzione politica dato che tutti quelli che sono nel mirino
vivono in questo paese da molti anni e la loro attività è conosciuta
da tutti».
   Un editoriale firmato dai direttori di diciassette giornali in
lingua straniera apparso sull’Armenian Tribune definisce l’arresto
di Mike il primo colpo per l’attacco contro altri direttori del Na-
tional Group Press e chiede al «popolo americano e alle sue or-
ganizzazioni di protestare contro questi arresti ingiustificati».
   Da una delle relazioni dell’Fbi, scopro che il loro ufficio di
New York era regolarmente abbonato – bontà loro – all’Unità del
Popolo. La traduzione in inglese di tutti gli articoli di Mike e
quelli sulla sua deportazione fu eseguita da un agente di nome
Alessio Savoia. Parecchi «amici» o conoscenti di Mike erano
informatori dell’Fbi. I loro nomi restano segreti.

   Va notato che fino all’edizione del 22 ottobre 1949, L’Unità del
   Popolo era un periodico di quattro pagine formato quotidiano.
   Le prime tre pagine erano in italiano e la quarta pagina consi-
   steva nella sezione in inglese del giornale. Dall’edizione del 29
   ottobre 1949, L’Unità del Popolo usava il formato tabloid con
   otto pagine, di cui la sezione inglese alle pagine sette e otto. Le
   altre sei pagine erano in italiano.

Con il passare delle settimane, il fascicolo si riempie delle tra-
duzioni dei discorsi e degli interventi scritti di Mike e dei suoi
26    Rossi a Manhattan

sostenitori, di petizioni contro il Piano Marshall. Una frase di
un articolo firmato da Mike e pubblicato il 5 marzo 1949 sull’U-
nità del Popolo sembra aver preoccupato informatori e analisti
dell’Fbi: è stata sottolineata con un tratto nero.

     E dunque, un atto di sano patriottismo è svolto da chiunque
     metta in guardia che, se contro la volontà del popolo affamato
     per la pace i banchieri di Wall Street spingono gli Stati Uniti a
     una guerra senza senso di aggressione antisovietica, antimpe-
     rialista e antinazionale, gli italoamericani avranno e sapranno
     svolgere il dovere elementare di fraternizzare con i soldati so-
     vietici a fianco dei quali hanno combattuto e sanguinato copio-
     samente nella recente lotta antifascista.

Non è più soltanto l’Fbi a indagare sul pericoloso sovversivo.
Leggendo una relazione del 1949 si scopre che un informatore
lavora per la Cia, probabilmente in Italia. Erano anni in cui gli
agenti americani non avevano scrupoli a interagire con mafiosi,
vecchi fascisti, monarchici, Vaticano, servizi segreti britannici e i
loro colleghi del nascente Mossad israeliano, se l’obiettivo era
frenare l’avanzata del Partito comunista e, naturalmente, com-
battere il «pericolo bolscevico». Dieci anni più tardi, all’apice del
maccartismo, nell’ufficio dell’Fbi di New York quattrocento
agenti controllavano i movimenti di comunisti e sovversivi vari
sospettati di avere legami con Mosca o di essere al soldo dell’Urss.
Soltanto quattro agenti si occupavano di crimine organizzato.
    Il 21 dicembre 1950 l’ufficio dell’Fbi di New York informa
il direttore John Edgar Hoover, uno dei massimi artefici della
caccia alle streghe:
Il fascicolo  27

   Salerno è partito da New York City a bordo della MS Saturnia.
   In considerazione della partenza del soggetto dagli Stati Uniti,
   viene eliminato dalla lista delle «figure chiave» dell’ufficio di
   New York. La scheda della sezione «Sicurezza» sarà distrutta
   e lo status di questo caso sarà definito chiuso.

Tutto finito? No. Nel 1956 la caccia alle streghe, spinta al mas-
simo dal parlamentare Joe McCarthy, era lo sport preferito della
destra americana e pochi riuscivano a opporsi, per paura di
essere indicati come parte della «sovversione politica comu-
nista», o peggio.
   Dagli atti della Commissione parlamentare d’inchiesta sulle
attività antiamericane, nel fascicolo sono trascritti due interro-
gatori. Il primo a Zoltan Deak, giornalista, direttore dell’Hun-
garian Daily Journal. Mike era partito da cinque anni, viveva
ormai in Italia e L’Unità del Popolo apparteneva al passato. L’in-
quisitore principale è Richard Arens, direttore della Commis-
sione. Nel primo interrogatorio l’inquisito invoca il Quinto
emendamento della Costituzione degli Stati Uniti, che consente
di tacere davanti al magistrato se la risposta in qualche modo
potrebbe contribuire alla propria incriminazione.

   Arens – Poco fa, rispondendo alle domande poste dal deputato
   Scherer, lei ha sottolineato la sua ostilità alle leggi sull’immigra-
   zione. Vorrei chiederle se conosce una persona di nome Michele
   Salerno?
   Deak – Mi rifiuto di rispondere.
   Arens – Era un comunista che stava per essere deportato, non
   è vero?
28     Rossi a Manhattan

     Deak –   Mi rifiuto di rispondere per lo stesso motivo.
     Arens – Lei, secondo questa prova che le mostriamo, era uno
     degli sponsor di una cena di sostegno (26 ottobre 1947) come
     tributo a questo comunista che è stato poi deportato. Guardi
     la prova e veda se serve a rinfrescare la sua memoria…
     Deak – Questo è accaduto dieci anni fa ed è possibile che fossi
     tra gli sponsor o che il mio nome sia stato utilizzato senza che
     io lo sapessi, come qualche volta accade.

Nel secondo interrogatorio, l’inquisito è Michael Tkach, a lungo
leader della sezione ucraina dell’Iwo, il sindacato affiliato ai
comunisti americani, e direttore del quotidiano comunista
Ukrainian Daily News.

     Arens –   Chi era Michael Salerno?
     [Il testimone parla con il proprio avvocato e risponde appellandosi
     al Quinto ammendamento.]
     Arens – Nel 1948, lei e un certo numero di altri direttori co-
     munisti vi siete uniti in un attacco contro la deportazione dell’a-
     gente comunista Michael Salerno. Non è vero?
     Tkach – Quinto ammendamento.
     Arens – Vogliamo mostrarle ora una riproduzione fotografica
     del Daily Worker del 12 ottobre 1948, in cui è elencato tra i
     direttori (diciannove in totale) uniti in questo attacco contro il
     governo a causa del processo di deportazione intentato contro
     Michael Salerno, agente comunista. Per favore, osservi il docu-
     mento e ci dica se rinfresca o meno la sua memoria.
     Tkach – Mi appello al Quinto ammendamento.
30     Rossi a Manhattan

Agli atti vi sono centinaia di interrogatori di questo tipo. In
molti casi, forse la maggioranza, gli inquirenti cercavano di
dimostrare la colpevolezza delle persone invitate a testimo-
niare davanti alla Commissione soltanto per aver conosciuto
o frequentato vecchi o nuovi indagati. Tkach fu sostituito alla
direzione del quotidiano ucraino e, molti anni dopo la fine
della caccia alle streghe, dagli archivi sovietici sono emerse
prove che il giornalista era anche un vero agente-spia dei ser-
vizi segreti di Mosca, con nome in codice Perch. Probabil-
mente non era l’unico comunista a fornire informazioni a
Mosca o a sollecitare simpatie per il governo sovietico, tuttavia
la stragrande maggioranza delle vittime del maccartismo era
innocente come, in qualche modo, ebbe a riconoscere il pre-
sidente Truman rispondendo a un giornalista del New York
Times il 29 luglio 1951:

     Questa propaganda così maliziosa si è estesa tanto che il 4 luglio,
     a Madison nel Wisconsin, la gente aveva paura di dire che cre-
     deva nella Dichiarazione d’Indipendenza. A centododici per-
     sone fu chiesto di sottoscrivere una petizione che conteneva
     null’altro che citazioni dalla Dichiarazione d’Indipendenza e
     dal Bill of Rights. Di questi, centoundici si rifiutarono di firmare
     perché temevano si trattasse di un documento sovversivo e di
     perdere il loro lavoro, o di essere definiti comunisti.

Comunisti? Cosa sono? O, meglio, cosa erano? Identificarli non
era facile. Erano insidiosi. E l’americano medio è ingenuo. Me-
glio spiegargli tutto, devono aver pensato gli autori dei cinque
fascicoli pubblicati dal governo di Washington all’inizio degli
Il fascicolo  31

anni cinquanta, con il titolo Cento cose che dovresti sapere sul
comunismo negli Stati Uniti.
   Non facevano riferimento al mio albero di Natale con quella
pericolosa stella rossa e falce e martello in cima all’abete, ma
domande e risposte articolate mettevano in guardia gli ameri-
cani dalla «cospirazione comunista».
   «Quarant’anni fa il comunismo era soltanto un complotto
nella mente di poche strane persone. Oggi il comunismo è una
forza mondiale che governa milioni della razza umana e mi-
naccia di rovesciarla tutta. Chi sono i comunisti? Come ope-
rano? Cosa vogliono?» I cinque libretti ritrovati in una biblio-
teca universitaria del Midwest hanno come sottotitoli: la mi-
naccia negli Stati Uniti, comunismo e religione, comunismo e
educazione, comunismo e lavoro, comunismo e governo.
«Questi libretti vogliono aiutarvi a riconoscere un comunista
quando lo senti parlare, quando lo vedi all’opera.»
   Tutto questo poco più di mezzo secolo fa: oggi i sondaggi
effettuati nelle scuole americane (e in molte di quelle del nostro
Vecchio continente) ci dicono che pochi hanno una nozione di
cosa è o cosa è stato il comunismo. Stalin e Lenin sono illustri
sconosciuti. Come lo sono Gramsci, Togliatti e Berlinguer per
la maggior parte degli studenti italiani.
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