Il cinema Neorealista Roberto Rossellini La Trilogia della guerra
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Indice Che cos’è il Neorealismo 1 Gli artefici del Neorealismo 2 Roberto Rossellini 2 La trilogia della guerra 3 Roma città aperta 3 Paisà 5 Germania anno zero 7 Conclusione 9 Fonti: Pietro Bianchi, Franco Berruti, La storia del cinema, Garzanti,Milano,1961; Alfonso Canziani, Gli anni del Neorealismo, Editrice, 1977; www.wikipedia.org/wiki/Roberto Rossellini; www.treccani.it/enciclopedia/neorealismo; ……. www.youtube.com/intervista/Neorealismo/Francesco Rosi; www.youtube.com/documentario sul Neorealismo
Nel 1945, alla fine della Seconda Guerra Mondiale, l’Europa liberata si trova in una profonda crisi economica, politica e sociale. Sia gli stati sconfitti che quelli vincenti sono devastati da anni di bombardamenti, di lotte e di furia della dittatura. Le casse statali sono vuote, i terreni incolti e ora- mai sterili. Inoltre il problema dell’assetto politico-istituzionale degli ex domini nazisti è nelle mani delle due sole forze che si contendono la leadership mondiale: Stati Uniti e Unione Sovietica. Tut- tavia, grazie al clima di ritrovata libertà, ricomincia a fiorire la vita intellettuale e culturale del pae- se, da troppi anni dipendente dalle dittature. In modo particolare in Italia assunse un ruolo portante il cinema, “uno strumento di apertura sul mondo”, di documentazione della realtà che viene rivelata grazie alla macchina da presa con la mi- nor manipolazione possibile. Con l’arrivo degli alleati a Roma nel giugno del 1944, i nostri registi misero in cantiere nuovi film impostati sull’attualità più immediata e bruciante, diffondendo così un nuovo modo di fare cinema, distante dalle pellicole prodotte durante la dittatura fascista nell’Istituto Luce. Questo periodo è denominato Neorealismo. Questo nuovo movimento veniva considerato come il “cinema dei poveri”, poiché in un’Italia priva di industrie e di stabilimenti, con un’economia che faticava a ripartire, ci si arrangiava a girare nelle strade, con attori non professio- nisti, fuori dal teatro e dalla falsità. Che cos’è il Neorealismo Il neorealismo fu una tendenza artistico-letteraria che si affermò soprattutto nel secondo dopoguer- ra: gli autori neorealisti intendevano rappresentare la realtà contemporanea della guerra, della Resi- stenza e del dopoguerra, per dare una testimonianza artistica di un’epoca che segnò la vita del popo- lo italiano. La letteratura concepita dai neorealisti era una letteratura impegnata, con lo scopo di portare a riflettere sulla recente storia nazionale, facendo tesoro dell’esperienza in vista della rico- struzione di un’Italia nuova, democratica e antifascista. Il cinema fu protagonista e si fece portavoce di questo nuovo modo di sentire, rilanciando anche in campo artistico il ruolo internazionale dell’Italia. I cineasti Italiani furono i primi e i più acuti nel riflettere sulle esperienze compiute e i primi a sentirne la grande portata storica, tanto che è stato definito da numerosi critici come un “fat- to cinematografico che ha suscitato nell’occidente la più abbondante letteratura”1. Rossellini definì il Neorealismo come «uno stato interiore, un modo di sentire, un nuovo modo di vedere le cose» 2 che da regista a regista varia, in quanto non costituisce una dottrina. Troviamo una visione filoso- feggiante, a sfondo religioso, ricca di atteggiamenti morali di umiltà cristiana nei film di Rossellini. In Visconti l’essenza del neorealismo emerge nella combinazione di elementi spettacolari, dramma- tici o passionali. Infine in Zavattini e in De Sica entrano i temi sociali, i contrasti tra miseria e ric- chezza attraverso la drammatizzazione dei piccoli eventi. Tuttavia in questa varietà di temi, di sen- timenti ed emozioni che i cineasti hanno voluto trasmettere, vi sono tratti comuni che ci portano a inserirli all’interno di questa “corrente”. In primo luogo i film del neorealismo italiano si contraddistinguono per una forte carica realistica, anche perché vennero realizzati nel dopoguerra, ossia un periodo un cui si sentiva la forte necessità di aprirsi ai cambiamenti e ai nuovi modi di pensare. In secondo luogo, gli attori non erano profes- sionisti, ma la protagonista era la gente comune colta nel suo ambiente; infatti il paesaggio diviene il coprotagonista delle storie e non il semplice sfondo scenografico, come in Roma città aperta do- ve vediamo una città ancora distrutta dai bombardamenti, o in Ladri di biciclette, Roma viene per- corsa in lungo e in largo dai due protagonisti, o ancora il mare della Sicilia in La terra trema. Inol- tre non si guarda più a storie individuali medio-borghesi, ma domina la collettività con le vicende dei partigiani, delle donne del dopoguerra, di povera gente costretta a rubare una bicicletta per tro- vare lavoro, scene di prostituzione e suicidi, tutti avvenimenti di cui il fascismo ometteva l’esistenza. In aggiunta, dal punto di vista linguistico, appaiono i dialetti, elementi distintivi delle 1 Alfonso Canziani, Gli anni del Neorealismo, pp 30. 2 Alfonso Canziani, Gli anni del Neorealismo,pp 28. 1
regioni d’Italia, i quali venivano assunti allo stesso livello dell’italiano e delle altre lingue dando vi- ta a una sorta di “plurilinguismo cinematografico”. Insomma, da questi elementi si può dedurre che il Neorealismo fu «una visione nuova e rivoluzionaria della realtà, l’appassionato slancio di una poetica esplosa dal più generale terremoto che scuoteva il nostro paese». Da sinistra : Roberto Rossellini, Vittorio de Sica e Luchino Visconti Fine del neorealismo Dunque, il neorealismo, al pari della Resistenza in campo storico e sociale e della letteratura, ha portato una vera e propria rivoluzione in Italia, rilanciando l’antico primato artistico della nostra penisola nel campo cinematografico, tanto che i nostri grandi registi hanno influenzato con le loro opere numerosi artisti internazionali, arrivando così anche a Hollywood. Si diede vita a un vero e proprio linguaggio, a una nuova tecnica cinematografica (macchina da presa, luci, carrelli, sceno- grafia, la direzione degli attori). Tuttavia, il filone neorealista durò fino agli inizi degli anni ’60. La causa principale della sua fine la troviamo nel fatto che oramai il film neorealista italiano venne poco apprezzato sia dalla critica che dal pubblico; esempio di questo lo troviamo nell’Umberto D. di De Sica: descrizione della solitudine di un pensionato, Umberto D. che conduce una squallida vi- ta, esistenza senza speranze che si rispecchia nell’altrettanto squallida vita di una servetta, anche lei impotente di fronte al mondo. Il film riscosse successo soltanto all’estero, non venne capito imme- diatamente nel clima italiano, un clima caratterizzato in ambito politico dall’ascesa dei giovani de- mocristiani, i quali rifiutavano quei film caratterizzati dalla miseria, dalla tristezza del popolo italia- no. Nonostante la fine della grande stagione dei film del dopoguerra, i registi misero le basi per un nuovo modo di concepire il cinema; in particolare Rossellini fu un maestro per registi come Pasolini e Fellini, i quali hanno recuperato la tradizione neorealista. Gli artefici del Neorealismo Roberto Rossellini Roberto Rossellini nasce a Roma l’otto maggio del 1906; fu un regista e sceneggiatore italiano, fondatore del neorealismo. Dopo un’iniziale carriera caratterizzata da film-documentari conformi ai dettami del re- gime, a partire dallo sbarco degli alleati in Sicilia, come altri registi, decide di realizzare produzioni che raccontano la guerra, l’occupazione e la Resistenza. Tra 1944 e il 1948 realizza la cosiddetta Trilogia della guerra con film che lo hanno consacrato nella storia del cinema: Roma città aperta, Paisà e Germania anno zero. Con il neorealismo conia una nuova cifra espressiva basata sul lavoro con attori non professioni- sti e attraverso l’assenza mediatrice dell’autore, si intende dar voce all’espressione della contemporaneità. Roma città aperta ottenne il Grand Prix (Palma d’oro) come migliore film straniero e ricevette una candidatura al premio Oscar per la migliore sceneggiatura originale e vinse due Nastri d’Argento per miglior regia e mi- glior attrice protagonista(Anna Magnani); Paisà nel 1950 venne nominato agli Oscar come migliore 2
sceneggiatura originale. Entrambi sono stati inseriti nella lista dei 100 film italiani da salvare, in quanto pellicole che hanno cambiato la memoria collettiva del paese. Con gli inizi degli anni ’60 e la conclusione del neorealismo, Rossellini, discostandosi dal clima po- litico del tempo, si impegnò in un vero e proprio progetto umanistico-educativo, aprendosi le porte nella televisione, primo strumento di comunicazione. Egli pensò alla televisione come mezzo didat- tico, come modo alternativo di comunicare la storia. Inizia il suo progetto enciclopedico con la geo- grafia per poi passare alla storia con Ritratti di personaggi (Socrate, Cartesio, Pascal, Agostino d'Ippona, Luigi XIV) e Ritratti d'epoca (L'età di Cosimo de' Medici, Gli atti degli Apostoli). Dopo un viaggio in India girò il suo film documentario L’India vista da Rossellini. Infine, nel periodo successivo al viaggio, Rossellini tornò al cinema, ai vecchi temi della seconda guerra mondiale con Il Generale della Rovere ed Era notte su Roma. In particolare Il Generale della Rovere, interpreta- to dall’attore e regista Vittorio De Sica, riscosse grande successo e venne premiato al Festival del cinema di Venezia ottenendo un Leone d’Oro come miglior film. Roberto Rossellini morì a Roma il 3 giugno 1977 in seguito ad un attacco cardiaco. Alle esequie, filmate dai RAI con telecamera in bianco e nero, erano presenti autorità istituzionali, tra le quali il Presidente della Democrazia Cristiana Aldo Moro. È sepolto presso il Cimitero del Verano di Ro- ma. La Trilogia della guerra Roma città aperta Per molti critici il “primo Rossellini”, quello della trilogia della guerra è il regista più schietto e ge- niale della stagione neorealista. Il nostro regista, sebbene con le difficoltà dovute alla povertà del tempo (non si riuscivano a trovare neanche pelli- cole), tra il ’44 e il ’48, riuscì a girare le sequenze più dinamiche, più emozionanti del nuovo cinema italiano. Consideriamo la sua opera a partire dal 1945 e in primo luogo con il film che l’ha con- traddistinto, portando alla luce attori come Anna Magnani e Aldo Fabrizi, per la prima volta in un Titolo di testa del film ruolo drammatico. Roma città aperta è famoso perché è stato il primo film dell’Italia liberata, che tratta della materia resistenziale, antifascista e popolare, grazie al quale il regista conferì al cinema una funzione utile sul piano sociale, educativo e civile allontanandosi da quel grande rito ampolloso del cinematografo; rese conosciute quelle strade distrutte dalla guerra, trattando una materia accessibile a tutti, uscendo da quella organizza- zione precedente, tanto che fu un film che non venne apprezzato dalla critica, ma riscosse un grande successo popolare. Trama La vicenda prende inizio dalla firma dell’armistizio nel settembre del 1943; gli alleati sbarcano nell’Italia meridionale e avanzano verso nord, ma non sono ancora giunti nella capitale dove la resi- stenza è attiva. La scena si apre con l’intrusione dei soldati tedeschi in casa dell’ingegner Manfredi, militante comunista e guida della resistenza, il quale scappa e si rifugia a casa dell’amico antifasci- sta Francesco, un umile artigiano che il giorno seguente, dovrebbe sposarsi con sora Pina (Anna Magnani), vedova e madre di un bambino. 3
La resistenza è aiutata dal parroco locale, don Pietro (Aldo Fabrizi), benvoluto e rispettato da tutti, compreso Manfredi. Il matrimonio tra Francesco e Pina, non viene celebrato a causa dell’ennesimo rastrellamento operato dai nazisti, durante il quale Manfredi riesce a sfuggire mentre Francesco, ar- restato e caricato sul camion, vede morire sotto il fuoco del mitra Pina, davanti agli occhi di don Pietro e del figlioletto. Francesco riesce però a scappare e si nasconde assieme a Manfredi a casa dell’“amica” di quest’ultimo, Marina. Nella scena, ricca di tensione, emergono i dissapori tra i due, tanto che Marina, assalita dal risentimento, denuncia l’uomo alla segretaria della Gestapo, per otte- nere della droga. Così, Manfredi e don Pietro, assieme a un disertore austriaco, vengono fatti pri- gionieri. Manfredi interrogato e sotto tortura muore davanti a Marina, la quale presa dalla dispera- zione sviene. Don Pietro, rimase fedele ai partigiani e per questo fucilato; scena a cui assistono i bambini, affe- zionati al parroco, i quali assieme a Marcello (figlio di sora Pina) e Francesco continuano a dare il loro contributo nella lotta partigiana. Caratteristiche Per la prima volta troviamo rappresentata sullo schermo una scena corale: l’occupazione nazista e la resistenza. Una vicenda ricca di attualità, segno del fatto che Rossellini seppe vivere in sintonia con quegli anni raccogliendo la contrapposizione storica di fondo tra fascismo e antifascismo, che viene riprodotta attraverso i personaggi, portatori di ideali totalmente discordi, e riassumendo in episodi essenziali ma ad effetto i significati dell’antifascismo (libertà, giustizia, amore e sentimento). Le scene sono attraversate da profonda moralità e umanità tese a sottolineare la distanza che vi è tra le azioni brutali dei nazisti e la generosa bontà dei tre personaggi centrali: la sora Pina, don Pietro e Manfredi; emerge anche il terrore che vi è tra la popolazione, la fame e la povertà del periodo (sce- na dell’assalto al forno) e inoltre il coraggio di bambini innocenti, i quali si impegnano a dare il loro piccolo contributo nascondendo le armi o facendo da passaparola tra i partigiani, sotto la protezione del parroco locale. L’andamento della trama in Roma città aperta procede per stacchi netti, per blocchi dinamici, ma divisi l’uno dall’altro, per produrre una sorta di documentazione veritiera. Dimostrazione di questo lo sono la predisposizione dei colpi di scena per esempio l’uccisione di sora Pina dal- la raffica di mitra, mentre rincorreva, gridando il nome del fidanzato, il camion carico di rastrellati; scena ri- masta nella storia del cinema, dove fuoriesce la bravura della Magnani, e soprattutto drammatica e triste tesa a colpire il pubblico, in modo particolare nel vedere il dolore del bambino che implora straziante «mamma! mamma!», confortato dal parroco. Il famoso colpo di scena del film; Sora Pina (Anna Magnani) distesa a terra morta, fra le braccia del figlio Marcello (Vito Annichiarico) Un altro colpo di scena predisposto è quando Marina, sorridente avanza assieme a un colonnello nazista, se- guita dalla segretaria della Gestapo, fino a scorgere nella camera delle torture Manfredi, e tramuta così il suo sorriso in un urlo di dolore, di disperazione e svie- ne; episodio finalizzato a sottolineare quella bassezza morale, quella crudeltà dei nazisti e l’ingenuità della giovane donna, la quale si è lasciata trasportare dalle Marina (Maria Michi) in preda ad un urlo di cose materiali, tradendo il suo amato. dolore alla vista del cadavere di Manfredi. 4
Personaggi La vicenda trova al centro tre personaggi di grande bontà: sora Pina, don Pietro e Manfredi. Sora Pina, generosa ed impulsiva figura di popolana romana, è incinta e sta per sposarsi con il suo se- condo uomo, Francesco, e per lui muore uccisa dal piombo nazista. Personaggio attivo e partecipan- te, è “tagliata” negativamente a causa della sua vita amorosa. Manfredi: personaggio positivo, eroi- co, generoso, intelligente, coraggioso, il quale è invischiato, però, in una relazione sbagliata con Marina, che lo porta a morire. Don Pietro, buono, corretto, comprensivo parroco di San Clemente che ha scelto di stare con «chi combatte per la giustizia e la libertà» perché «cammina nelle vie del Si- gnore». In lui si alternano parti che vanno dal comico di necessità (la padellata in testa al vecchietto che rifiuta di fingersi mori- bondo durante la perquisizione fascista) al tragico e solenne nell’invettiva contro i na- Fucilazione di Don Pietro (Aldo Fabrizi, al centro, seduto di spalle al plotone d’esecuzione), scena finale del film. zisti. Infine egli è «l’esaltazione più radiosa e radiante della giustezza della sua scelta».La sua morte è vista come un martirio, e per questo il suo gesto viene celebrato dal regista, ponendola come conclusione del film per dare una sorta di mes- saggio alle generazioni future. Per questi motivi si può affermare che don Pietro è il personaggio propagatore dell’ideologia di Rossellini, il quale vuole comunicare un cattolicesimo esistenzialista che esalta la coscienza morale e si oppone a quelle forze che degradano la dignità e la natura di Dio; un cattolicesimo che prevede l’intervento attivo dell’uomo nella realtà del paese, evitando la passi- vità e la subordinazione alle ingiustizie. Paisà Il film riscosse un grande successo sia in America che in Europa dove si stava oramai diffondendo la “Rossellini technique”, il quale si imbarcò in un’impresa ancora più impegnativa della precedente.: Paisà. Film girato nel 1946, conteneva sei episodi, disseminati nel tempo e in luoghi diversi ripercorrendo le tappe principali dell’avanzata alleata. Gli episodi, nonostante la loro di- versità erano legati da un unico tema: comprensione fra le genti, rapporto alleati e popolazioni, alleati e partigia- ni, collaborazione, amore e rispetto, carità e glorifica- zione della dignità. Paisà è considerato il vero film neo- realista, non tanto per l’impiego di attori non professio- Titolo di testa del film nisti, quanto per l’essere stato fedele a un documento, alla realtà dei fatti e al bisogno di questa di essere espressa fedelmente. Gli episodi mirano a dipingere un quadro dell’Italia occupata, con i problemi dell’epoca, e trarne poi un insegnamento: il perdono al ladruncolo di scarpe; l’ideale le- game tra un pastore protestante e un frate cattolico e infine uno degli episodi più belli del film, la collaborazione e il rispetto tra soldati americani e partigiani. Dunque il tutto è finalizzato a lanciare questo messaggio al pubblico. Il film si apre con lo sbarco degli alleati in Sicilia e fin da subito Rossellini mette in risalto quel rapporto che nasce tra gli alleati e “Paisà”: due entità morali con ideali completamente diversi ma legati dalla strage della guerra, che li portano a essere solidali l’uno con l’altro, a collaborare, mal- grado le divisioni etniche, culturali e linguistiche che vi sono. È proprio questo l’intento di Rossel- lini, ovvero dimostrare come l’unità della popolazione e l’ospitalità di questa nei confronti dello 5
straniero alleato possano risultare invincibili, in quanto combattono contro quel nemico che ha pri- vato tutti della libertà: le dittature fasciste e naziste. In modo particolare nel secondo episodio, a mio avviso, emerge sia la collaborazione tra i due protagonisti (paesani e alleati), sia quell’umanità tipica del regista. Siamo nella Napoli liberata, dove gli anglo-americani ven- gono accolti come liberatori dalla popolazione affamata, soprattutto dai cosiddetti “scugnizzi” (ragazzini monelli), che li seguivano in ogni vicolo, sia per farsi dare cioccolata e altri giochetti dai soldati, sia per derubarli. Un chiaro esempio di questo è quanto accaduto a Joe, soldato afro- americano della polizia militare, il quale in stato di ubria- chezza fa la conoscenza di Pasquale, uno “scugnizzo”. Il militare dopo avergli raccontato i propri sogni di gloria una volta tornato a casa, s'addormenta . Il ragazzo napoletano Il soldato Joe (Dots Johnson) e Pasquale ne approfitta per rubargli le scarpe. (Alfonsino Pasca) tra le macerie di Napoli, nell scena in cui il soldato racconta i propri sogni allo “scugnizzo”. Successivamente il soldato acciuffa per caso il piccolo ladro e lo costringe ad accompagnarlo nella sua casa per farsi restituire quanto rubato. Qui però l'americano fa i conti con le impressionanti im- magini della miseria in cui vive il ragazzino, orfano a causa dei bombardamenti. Il soldato è colpito da quella situazione di povertà e distruzione, perchè la sente familiare. Lui povero negro tra i bian- chi d’America, emarginato, costretto a umiliazioni e a una vita nei ghetti, per questo decide di la- sciare il ragazzino libero e si allontana dalla visione dolorosa. Dunque i due protagonisti apparentemente lontani, divisi dalla diversa nazionalità, si trovano legati nella loro povertà ed emarginazione l’uno a causa dei pregiudizi, l’altro poiché oramai ha perso tut- to. Nell’ultimo episodio del film (quello padano), emerge quella fede del regista nella lotta popolare e nella collaborazione di tutti (partigiani, popolo italiano, inglesi e americani) per difendere la libertà e far nascere un nuovo sistema sociale, basato sugli ideali antifascisti. Siamo nell’inverno del 1944 e il conflitto si arresta oltre la linea Gotica, lungo il delta del Po, con par- tigiani e paracadutisti americani che si scontrano fino all’ultimo contro il nemico tedesco. Nella bat- taglia tra le paludi del Polesine non mancano le violente rappresaglie delle truppe nazi-fasciste con- tro alleati e partigiani, ma anche nei confronti della popolazione inerme. Emblematica è la scena di apertura, con il cadavere del partigiano dai tedeschi lasciato in mare come Il cadavere di un partigiano lasciato dai tedeschi come avvertimento. avvertimento. La ferocia nazista, inoltre, è accentuata dalla visione di quei territori del casolare desolato, oramai ridotto in ma- cerie, dove non si sente più quella vitalità di un tempo, dal pianto disperato del bambino rimasto solo davanti al cadavere dei genitori e del fratello, puniti per l’aiuto prestato agli alleati. Il bambino piange disperato, solo davanti al Infine, nella parte conclusiva domina l’elemento tragico, cadavere della madre. nella sofferenza data dalla disumanità del nemico,e la solidarietà e senso di uguaglianza e giustizia che si sono 6
creati tra partigiani e alleati. Dopo aver battuto l’opposizione dei partigiani e degli alleati, i tedeschi decidono di fucilare i partigiani mentre fanno avviare i soldati americani nei campi di concentra- mento, ma l’americano Dole si ribella a questo trattamento discriminatorio e subisce così la stessa sorte dei partigiani. Germania anno zero Come abbiamo visto, i film di Rossellini sono carat- terizzati da una forte umanità e senso religioso. Se- condo me l’uso di questi “strumenti stranianti” [vedi nota]*, intendendo con questo termine il fatto che il regista per sottolineare l’assenza di valori esalta e idealizza la fede. Anche se può sembrare una con- traddizione, proprio nell’ultimo film della trilogia sulla guerra Germania anno zero (1948), non vi è presente la fede, anzi questa è data in negativo; tut- tavia la sua assenza mira a esaltare e celebrare ancor di più la sua importanza. Non a caso la vicenda si Titolo di testa del film svolge nell’immediato secondo dopoguerra tedesco, durante il quale la popolazione è costretta a vivere di stenti anche a causa della decisione degli al- leati di impedirne l’industrializzazione fino alla fine del ’46, quando si stava profilando all’orizzonte la divisione della Germania in due blocchi. Il protagonista è Edmund, un bambino di tredici anni che deve provvedere alle necessità della famiglia composta dal vecchio padre ammalato, dal fratello ex soldato nazista, ora fuggiasco per timore di venir arrestato e dalla sorella che la sera frequenta gli ambienti alleati per ricavare qualche marco. Un giorno Edmund, mentre girovagava per la città in cerca di qualche lavoretto, incontra il suo vecchio maestro filonazista e pedofilo, al quale si rivolge in cerca d’aiuto a causa della terribile situazione della sua famiglia. Il maestro inculca nella mente del Edmund Moeschke (Edmund Koehler) in una giovane le idee tipiche dell’ex propaganda: i deboli scena del film con Erich Guhne e gli inutili debbono essere eliminati per purificare (il maestro Enning) la razza. Così il ragazzo, influenzato dal vecchio insegnante, avvelena il padre. Subito dopo è preso dal rimorso, non sa se ha fatto la cosa giusta o sbagliata, è confuso, disperato, colpevole di aver peggiorato la situazione della sua famiglia; preso da questi sentimenti torna dal maestro per chiedere dei chiarimenti, quest’ultimo appena appreso il gesto del ragazzo lo caccia via, trattandolo come un assassino. Il povero Edmund, abbandonato da tutti, percorre la città in solitudine, passa davanti a una chiesa dalla Edmund mentre vaga da solo tra le rovine della quale proviene il dolce suono di un organo, musica, città che secondo me, vuole incoraggiare i cittadini a resistere, a non mollare, a combattere per la vita. Il ragazzo riprende comunque il suo cammino,sale * per questa mia ipotesi mi sono rifatta alla Coscienza di Zeno di Svevo dove l’inettitudine del protagonista oltre a esse- re uno strumento di debolezza e inferiorità, viene utilizzata per criticare la società borghese del tempo. 7
sul campanile e vede la sua casa da dove portano via il padre morto; vede anche il fratello e la sorella che lo chiamano invano sperando che torni, ma oramai il ragazzo disperato non vuole tornare e nel suo dolore si getta nel vuoto. L’incipit del film è dato da una sorta di didascalia, tipica dei film muti, che ci introduce al motivo principe della trama: “Quando le ideologie si discostano dalle leggi eterne della morale e della pietà cristiana che sono alla base della vita degli uomini, finiscono per diventare criminale follia. Persino la prudenza dell’infanzia ne viene contaminata e trascinata da un orrendo delitto ad un altro non meno gra- ve, nel quale, con la ingenuità propria dell’innocenza, crede di trovare una liberazione dalla col- pa.” Il primo elemento che si può cogliere è la tipica religiosità rosselliniana: le ideologie naziste sono diventate delle criminali follie, perché si allontanavano dalle leggi morali e cristiane alla base della vita degli uomini. Il pensiero nazista era un’ ideologie senza pietà che mirava a eliminare senza di- scussioni il più debole ; sono stati pensieri folli che si sono insediati nella mente di potenti, di adul- ti, di genitori e maestri, i quali sono riusciti a trascinare in questo terribile abisso di criminalità an- che i ragazzi innocenti, cancellando dalla loro infanzia ogni spensieratezza. Ecco che la didascalia iniziale ci segnala di già il plagio subito dall’innocente Edmund da parte del maestro, portavoce di quegli ideali malsani propugnati dalla dittatura, diffusi da quella violenta re- torica del Führer (marcata nella scena della voce di Hitler trasmessa da un grammofono situato tra le rovine di un palazzo del potere, voce roca, dura, isterica, di follia che ancora galleggia sulla città distrutta). L’insegnante è dunque il rappresentante di ideali contrapposti alla sua stessa figura di educatore, sul quale hanno fiducia. Per questa sorta di insegnante è risultato “facile” ingannare Edmund, per poi lavarsene le mani, lasciando il ragazzo solo al suo destino. A rimarcare quel senso di distruzione, dolore, tristezza, insomma “l’anno zero” della Germania, contribuiscono le immagi- ni, le riprese realistiche dell’ambiente che mostrano le macerie ammucchiate lungo le vie cittadine tra le quali scorrono i primi tram colmi di gente, gli scheletri delle case, gli interni delle abitazioni nelle quali vivono più famiglie e l’abitazione del maestro nazista di Edmund. In aggiunta a queste immagini, anche l’utilizzazione non naturalistica delle luci concorre a dare quel senso di morte. Si ha un gioco di luci e ombre che crea un senso di mistero e di angoscia, sensazioni che si creano so- prattutto nel blocco finale del film con la decisione di Edmund di suicidarsi: luci violente che si spengono e si accendono sul volto dell’interprete, spazi bui che improvvisamente si illuminano. Ol- tre alla bravura nel gioco delle luci, si rileva la mobilità della camera di Rossellini che insegue il protagonista, accentuando il suo tormento, in particolare nel suo cammino verso la morte dopo aver compiuto il parricidio; la camera lo segue in quei suoi tentativi di aggregarsi agli altri bambini nel gioco, poi nel gioco solitario nel campanile, e infine nella rapida caduta finale del suicidio. Rispetto ai film precedenti in Germania anno zero si ha un mutare da un film di testimonianza sulla crisi socio-economico della Berlino del ’46 (nella prima parte fino al delitto di Edmund), ad un film che conduce una sorta di analisi sul comportamento dell’individuo principale, protesa a cogliere le preoccupazioni e l’inquietudine del ragazzo. Quest’ ultimo è costretto a farsi carico dei disagi fami- gliari, sente sul peso delle sue spalle il dover provvedere al sostentamento del padre malato e del fratello fuggiasco, ovvero coloro che dovrebbero prendersi cura di lui, che dovrebbero consolarlo e aiutarlo a stare lontano dai pericoli. Edmund ha paura di essere incapace ad assolvere i suoi compiti, cerca in tutti i modi una soluzione per rendere felice il padre, la sorella e il fratello e per questo, in- fluenzato dall’insegnante, adotta quella “soluzione finale” eliminando una bocca da sfamare. Infine, come affermano le parole iniziali del film, questo lavoro non vuole essere né un accusa contro il popolo tedesco, né una giustificazione, più che altro è una “serena constatazione dei fatti”. Il film mira a riprendere realisticamente il dramma della popolazione tedesca, riprodotto nella narrazione 8
della storia di Edmund Kolher, vista e giudicata da un occhio moralista e cattolico. Il vissuto di Ed- mund è teso a dimostrare come nella storia collettiva tedesca, durante il Nazismo, c’è il pensiero di Hitler che condiziona le menti portandole al male; allo stesso modo nella vita personale del protagoni- sta c’è il pensiero negativo del maestro con conseguente suicidio del ragazzo. Tutto questo per sotto- lineare la follia della dittatura e le conseguenze di questa sulla tragedia delle vittime (Edmund). Il nazismo è il male, è assenza dei principi morali e cattolici da Rossellini sostenuti. Conclusione A primo impatto tutti i tre film appaiono diversi in primis per la storia raccontata, per gli ambienti toccati e per i protagonisti coinvolti, ma in realtà sono stati racchiusi in un’unica trilogia in quanto il tema centrale resta l’innocente sulla cui vicenda sormonta la violenza assurda, la guerra, la pazzia criminale dei vinti o vittoriosi che siano. D’altronde, durante e dopo ogni guerra, a pagare le conse- guenze delle azioni e decisioni dei potenti è sempre il popolo, che cerca di mantenere quei sani va- lori in modo da avere la forza per resistere, rialzarsi e cominciare. In tutti e tre i film appare quel motivo religioso del regista, che è anche funzione educativa alla ba- se dei suoi progetti. Infatti, l’intento perseguito da Rossellini, a partire da Roma città aperta, è far diventare il cinema, un cinema utile sul piano educativo, una guida del vivere civile e sociale. Egli apporta una rivoluzione alle tecniche cinematografiche per far sì che anche il cinema, come le opere letterarie, si facciano portavoce di un messaggio utile, che sappia indirizzare la collettività in modo da evitare tragedie di ogni genere. Proprio per questa ragione ho trovato giusto esaminare, tra la varietà dei film messi a disposizione dalla stagione neorealista, quelli della trilogia, in quanto Rossellini grazie al suo intento educativo, punto di partenza di ogni suo lavoro, è riuscito a far comprendere il vero significato di una tragedia, come la seconda guerra mondiale. Le storie dei protagonisti popolani, a me studentessa della quinta liceo, mi hanno appassionato e fatto riflettere su cosa vuol dire vivere sotto la dittatura e quanto sia importante combattere per la libertà e i propri diritti. Non si può dimenticare il coraggio che ognuno ha avuto nel combattere a costo di perdere famiglia e affetti. Questo mio lavoro mi ha insegnato quanto le parole possano influenzare le idee di una nazione e quanto queste possano permanere e continuare a far del male; mi ha fatto conoscere, attraverso la ripresa delle città in macerie, della povertà, della fame, della disperazione, gli alti livelli che tocca la crudeltà dell’uomo, quando si tratta di vincere e mantenere il potere. Nonostante la tristezza che si può provare guardando questi film, si ha un senso di commozione positiva nel vedere che rimangono quei barlumi di umanità, amore, amicizia e collaborazione, ovvero le sole armi che riescono a combattere la follia del genere umano. 9
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