Papa Francesco - Messaggio Quaresima 2015 - Rinfrancate i vostri cuori (Gc 5,8)
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Papa Francesco – Messaggio Quaresima 2015 Rinfrancate i vostri cuori (Gc 5,8) Cari fratelli e sorelle, la Quaresima è un tempo di rinnovamento per la Chiesa, le comunità e i singoli fedeli. Soprattutto però è un “tempo di grazia” (2 Cor 6,2). Dio non ci chiede nulla che prima non ci abbia donato: “Noi amiamo perché egli ci ha amati per primo” (1 Gv 4,19). Lui non è indifferente a noi. Ognuno di noi gli sta a cuore, ci conosce per nome, ci cura e ci cerca quando lo lasciamo. Ciascuno di noi gli interessa; il suo amore gli impedisce di essere indifferente a quello che ci accade. Però succede che quando noi stiamo bene e ci sentiamo comodi, certamente ci dimentichiamo degli altri (cosa che Dio Padre non fa mai), non ci interessano i loro problemi, le loro sofferenze e le ingiustizie che subiscono… allora il nostro cuore cade nell’indifferenza: mentre io sto relativamente bene e comodo, mi dimentico di quelli che non stanno bene. Questa attitudine egoistica, di indifferenza, ha preso oggi una dimensione mondiale, a tal punto che possiamo parlare di una globalizzazione dell’indifferenza. Si tratta di un disagio che, come cristiani, dobbiamo affrontare. Quando il popolo di Dio si converte al suo amore, trova le risposte a quelle domande che continuamente la storia gli pone. Una delle sfide più urgenti sulla quale voglio soffermarmi in questo Messaggio è quella della globalizzazione dell’indifferenza. L’indifferenza verso il prossimo e verso Dio è una reale tentazione anche per noi cristiani. Abbiamo perciò bisogno di sentire in ogni Quaresima il grido dei profeti che alzano la voce e ci svegliano. Dio non è indifferente al mondo, ma lo ama fino a dare il suo Figlio per la salvezza di ogni uomo. Nell’incarnazione, nella vita terrena, nella morte e risurrezione del Figlio di Dio, si apre definitivamente la porta tra Dio e uomo, tra cielo e terra. E la Chiesa è come la mano che tiene aperta questa porta mediante la proclamazione della Parola, la celebrazione dei Sacramenti, la testimonianza della fede che si rende efficace nella carità (cfr Gal 5,6).
Tuttavia, il mondo tende a chiudersi in se stesso e a chiudere quella porta attraverso la quale Dio entra nel mondo e il mondo in Lui. Così la mano, che è la Chiesa, non deve mai sorprendersi se viene respinta, schiacciata e ferita. Il popolo di Dio ha perciò bisogno di rinnovamento, per non diventare indifferente e per non chiudersi in se stesso. Vorrei proporvi tre passi da meditare per questo rinnovamento. 1. “Se un membro soffre, tutte le membra soffrono” (1 Cor 12,26) – La Chiesa La carità di Dio che rompe quella mortale chiusura in se stessi che è l’indifferenza, ci viene offerta dalla Chiesa con il suo insegnamento e, soprattutto, con la sua testimonianza. Si può però testimoniare solo qualcosa che prima abbiamo sperimentato. Il cristiano è colui che permette a Dio di rivestirlo della sua bontà e misericordia, di rivestirlo di Cristo, per diventare come Lui, servo di Dio e degli uomini. Ce lo ricorda bene la liturgia del Giovedì Santo con il rito della lavanda dei piedi. Pietro non voleva che Gesù gli lavasse i piedi, ma poi ha capito che Gesù non vuole essere solo un esempio per come dobbiamo lavarci i piedi gli uni gli altri. Questo servizio può farlo solo chi prima si è lasciato lavare i piedi da Cristo. Solo questi ha “parte” con lui (Gv 13,8) e così può servire l’uomo. La Quaresima è un tempo propizio per lasciarci servire da Cristo e così diventare come Lui. Ciò avviene quando ascoltiamo la Parola di Dio e quando riceviamo i sacramenti, in particolare l’Eucaristia. In essa diventiamo ciò che riceviamo: il corpo di Cristo. In questo corpo quell’indifferenza che sembra prendere così spesso il potere sui nostri cuori, non trova posto. Poiché chi è di Cristo appartiene ad un solo corpo e in Lui non si è indifferenti l’uno all’altro. “Quindi se un membro soffre, tutte le membra soffrono insieme; e se un membro è onorato, tutte le membra gioiscono con lui” (1 Cor 12,26). La Chiesa è communio sanctorum perché vi partecipano i santi, ma anche perché è comunione di cose sante: l’amore di Dio rivelatoci in Cristo e tutti i suoi doni. Tra essi c’è anche la risposta di quanti si lasciano raggiungere da tale amore. In questa comunione dei santi e in questa partecipazione alle cose sante nessuno possiede solo per sé, ma quanto ha è per tutti. E poiché siamo legati in Dio, possiamo fare qualcosa anche per i lontani, per coloro che con le nostre sole forze non potremmo mai raggiungere, perché con loro e per loro preghiamo Dio affinché ci apriamo tutti alla sua opera di salvezza. 2. “Dov’è tuo fratello?” (Gen 4,9) – Le parrocchie e le comunità Quanto detto per la Chiesa universale è necessario tradurlo nella vita delle parrocchie e comunità. Si riesce in tali realtà ecclesiali a sperimentare di far parte di un solo corpo? Un corpo che insieme riceve e condivide quanto Dio vuole donare? Un corpo, che conosce e si prende cura dei suoi membri più deboli, poveri e piccoli? O ci rifugiamo in un amore
universale che si impegna lontano nel mondo, ma dimentica il Lazzaro seduto davanti alla propria porta chiusa ? (cfr Lc 16,19-31). Per ricevere e far fruttificare pienamente quanto Dio ci dà vanno superati i confini della Chiesa visibile in due direzioni. In primo luogo, unendoci alla Chiesa del cielo nella preghiera. Quando la Chiesa terrena prega, si instaura una comunione di reciproco servizio e di bene che giunge fino al cospetto di Dio. Con i santi che hanno trovato la loro pienezza in Dio, formiamo parte di quella comunione nella quale l’indifferenza è vinta dall’amore. La Chiesa del cielo non è trionfante perché ha voltato le spalle alle sofferenze del mondo e gode da sola. Piuttosto, i santi possono già contemplare e gioire del fatto che, con la morte e la resurrezione di Gesù, hanno vinto definitivamente l’indifferenza, la durezza di cuore e l’odio. Finché questa vittoria dell’amore non compenetra tutto il mondo, i santi camminano con noi ancora pellegrini. Santa Teresa di Lisieux, dottore della Chiesa, scriveva convinta che la gioia nel cielo per la vittoria dell’amore crocifisso non è piena finché anche un solo uomo sulla terra soffre e geme: “Conto molto di non restare inattiva in cielo, il mio desiderio è di lavorare ancora per la Chiesa e per le anime” (Lettera 254 del 14 luglio 1897). Anche noi partecipiamo dei meriti e della gioia dei santi ed essi partecipano alla nostra lotta e al nostro desiderio di pace e di riconciliazione. La loro gioia per la vittoria di Cristo risorto è per noi motivo di forza per superare tante forme d’indifferenza e di durezza di cuore. D’altra parte, ogni comunità cristiana è chiamata a varcare la soglia che la pone in relazione con la società che la circonda, con i poveri e i lontani. La Chiesa per sua natura è missionaria, non ripiegata su se stessa, ma mandata a tutti gli uomini. Questa missione è la paziente testimonianza di Colui che vuole portare al Padre tutta la realtà ed ogni uomo. La missione è ciò che l’amore non può tacere. La Chiesa segue Gesù Cristo sulla strada che la conduce ad ogni uomo, fino ai confini della terra (cfr At1,8). Così possiamo vedere nel nostro prossimo il fratello e la sorella per i quali Cristo è morto ed è risorto. Quanto abbiamo ricevuto, lo abbiamo ricevuto anche per loro. E parimenti, quanto questi fratelli possiedono è un dono per la Chiesa e per l’umanità intera. Cari fratelli e sorelle, quanto desidero che i luoghi in cui si manifesta la Chiesa, le nostre parrocchie e le nostre comunità in particolare, diventino delle isole di misericordia in mezzo al mare dell’indifferenza! 3. “Rinfrancate i vostri cuori !” (Gc 5,8) – Il singolo fedele Anche come singoli abbiamo la tentazione dell’indifferenza. Siamo saturi di notizie e immagini sconvolgenti che ci narrano la sofferenza umana e sentiamo nel medesimo tempo
tutta la nostra incapacità ad intervenire. Che cosa fare per non lasciarci assorbire da questa spirale di spavento e di impotenza? In primo luogo, possiamo pregare nella comunione della Chiesa terrena e celeste. Non trascuriamo la forza della preghiera di tanti! L’iniziativa 24 ore per il Signore, che auspico si celebri in tutta la Chiesa, anche a livello diocesano, nei giorni 13 e 14 marzo, vuole dare espressione a questa necessità della preghiera. In secondo luogo, possiamo aiutare con gesti di carità, raggiungendo sia i vicini che i lontani, grazie ai tanti organismi di carità della Chiesa. La Quaresima è un tempo propizio per mostrare questo interesse all’altro con un segno, anche piccolo, ma concreto, della nostra partecipazione alla comune umanità. E in terzo luogo, la sofferenza dell’altro costituisce un richiamo alla conversione, perché il bisogno del fratello mi ricorda la fragilità della mia vita, la mia dipendenza da Dio e dai fratelli. Se umilmente chiediamo la grazia di Dio e accettiamo i limiti delle nostre possibilità, allora confideremo nelle infinite possibilità che ha in serbo l’amore di Dio. E potremo resistere alla tentazione diabolica che ci fa credere di poter salvarci e salvare il mondo da soli. Per superare l’indifferenza e le nostre pretese di onnipotenza, vorrei chiedere a tutti di vivere questo tempo di Quaresima come un percorso di formazione del cuore, come ebbe a dire Benedetto XVI (Lett. enc. Deus caritas est, 31). Avere un cuore misericordioso non significa avere un cuore debole. Chi vuole essere misericordioso ha bisogno di un cuore forte, saldo, chiuso al tentatore, ma aperto a Dio. Un cuore che si lasci compenetrare dallo Spirito e portare sulle strade dell’amore che conducono ai fratelli e alle sorelle. In fondo, un cuore povero, che conosce cioè le proprie povertà e si spende per l’altro. Per questo, cari fratelli e sorelle, desidero pregare con voi Cristo in questa Quaresima: “Fac cor nostrum secundum cor tuum”: “Rendi il nostro cuore simile al tuo” (Supplica dalle Litanie al Sacro Cuore di Gesù). Allora avremo un cuore forte e misericordioso, vigile e generoso, che non si lascia chiudere in se stesso e non cade nella vertigine della globalizzazione dell’indifferenza. Con questo auspicio, assicuro la mia preghiera affinché ogni credente e ogni comunità ecclesiale percorra con frutto l’itinerario quaresimale, e vi chiedo di pregare per me. Che il Signore vi benedica e la Madonna vi custodisca. Dal Vaticano, 4 ottobre 2014 Festa di San Francesco d’Assisi Francesco
Lettera del Santo Padre Francesco ai cristiani del Medio Oriente Cari fratelli e sorelle, «Sia benedetto Dio, Padre del Signore nostro Gesù Cristo, Padre misericordioso e Dio di ogni consolazione! Egli ci consola in ogni nostra tribolazione, perché possiamo anche noi consolare quelli che si trovano in qualsiasi genere di afflizione con la consolazione con cui noi stessi siamo consolati da Dio» (2 Cor 1,3-4). Mi sono venute alla mente queste parole dell’apostolo Paolo quando ho pensato di scrivere a voi, fratelli cristiani del Medio Oriente. Lo faccio nell’imminenza del Santo Natale, sapendo che per molti di voi alle note dei canti natalizi si mescoleranno le lacrime e i sospiri. E tuttavia la nascita del Figlio di Dio nella nostra carne umana è ineffabile mistero di consolazione: «E’ apparsa la grazia di Dio, che porta salvezza a tutti gli uomini» (Tt 2,11). L’afflizione e la tribolazione non sono mancate purtroppo nel passato anche prossimo del Medio Oriente. Esse si sono aggravate negli ultimi mesi a causa dei conflitti che tormentano la Regione, ma soprattutto per l’operato di una più recente e preoccupante organizzazione terrorista, di dimensioni prima inimmaginabili, che commette ogni sorta di abusi e pratiche indegne dell’uomo, colpendo in modo particolare alcuni di voi che sono stati cacciati via in maniera brutale dalle proprie terre, dove i cristiani sono presenti fin dall’epoca apostolica. Nel rivolgermi a voi, non posso dimenticare anche altri gruppi religiosi ed etnici che pure subiscono la persecuzione e le conseguenze di tali conflitti. Seguo quotidianamente le notizie dell’enorme sofferenza di molte persone nel Medio Oriente. Penso specialmente ai bambini, alle mamme, agli anziani, agli sfollati e ai rifugiati, a quanti patiscono la fame, a chi deve affrontare la durezza dell’inverno senza un tetto sotto il quale proteggersi. Questa sofferenza grida verso Dio e fa appello all’impegno di tutti noi, nella preghiera e in ogni tipo di iniziativa. A tutti voglio esprimere la vicinanza e la solidarietà mia e della Chiesa, e offrire una parola di consolazione e di speranza. Cari fratelli e sorelle, che con coraggio rendete testimonianza a Gesù nella vostra terra benedetta dal Signore, la nostra consolazione e la nostra speranza è Cristo stesso. Vi incoraggio perciò a rimanere attaccati a Lui, come tralci alla vite, certi che né la
tribolazione, né l’angoscia, né la persecuzione possono separarvi da Lui (cfr Rm 8,35). Possa la prova che state attraversando fortificare la fede e la fedeltà di tutti voi! Prego perché possiate vivere la comunione fraterna sull’esempio della prima comunità di Gerusalemme. L’unità voluta dal nostro Signore è più che mai necessaria in questi momenti difficili; è un dono di Dio che interpella la nostra libertà e attende la nostra risposta. La Parola di Dio, i Sacramenti, la preghiera, la fraternità alimentino e rinnovino continuamente le vostre comunità. La situazione in cui vivete è un forte appello alla santità della vita, come hanno attestato santi e martiri di ogni appartenenza ecclesiale. Ricordo con affetto e venerazione i Pastori e i fedeli ai quali negli ultimi tempi è stato chiesto il sacrificio della vita, spesso per il solo fatto di essere cristiani. Penso anche alle persone sequestrate, tra cui alcuni Vescovi ortodossi e sacerdoti dei diversi Riti. Possano presto tornare sane e salve nelle loro case e comunità! Chiedo a Dio che tanta sofferenza unita alla croce del Signore dia frutti di bene per la Chiesa e per i popoli del Medio Oriente. In mezzo alle inimicizie e ai conflitti, la comunione vissuta tra di voi in fraternità e semplicità è segno del Regno di Dio. Sono contento dei buoni rapporti e della collaborazione tra i Patriarchi delle Chiese Orientali cattoliche e quelli ortodossi; come pure tra i fedeli delle diverse Chiese. Le sofferenze patite dai cristiani portano un contributo inestimabile alla causa dell’unità. E’ l’ecumenismo del sangue, che richiede fiducioso abbandono all’azione dello Spirito Santo. Che possiate sempre dare testimonianza di Gesù attraverso le difficoltà! La vostra stessa presenza è preziosa per il Medio Oriente. Siete un piccolo gregge, ma con una grande responsabilità nella terra dove è nato e si è diffuso il cristianesimo. Siete come il lievito nella massa. Prima ancora di tante opere della Chiesa nell’ambito scolastico, sanitario o assistenziale, da tutti apprezzate, la ricchezza maggiore per la Regione sono i cristiani, siete voi. Grazie della vostra perseveranza! Il vostro sforzo di collaborare con persone di altre religioni, con gli ebrei e con i musulmani, è un altro segno del Regno di Dio. Il dialogo interreligioso è tanto più necessario quanto più difficile è la situazione. Non c’è un’altra strada. Il dialogo basato su un atteggiamento di apertura, nella verità e nell’amore, è anche il migliore antidoto alla tentazione del fondamentalismo religioso, che è una minaccia per i credenti di tutte le religioni. Il dialogo è al tempo stesso un servizio alla giustizia e una condizione necessaria per la pace tanto desiderata. La maggior parte di voi vive in un ambiente a maggioranza musulmana. Potete aiutare i vostri concittadini musulmani a presentare con discernimento una più autentica immagine dell’Islam, come vogliono tanti di loro, i quali ripetono che l’Islam è una religione di pace e può accordarsi con il rispetto dei diritti umani e favorire la convivenza di tutti. Sarà un bene per loro e per l’intera società. La situazione drammatica che vivono i nostri fratelli cristiani in Iraq, ma anche gli yazidi e gli appartenenti ad altre comunità religiose ed etniche, esige una presa di posizione chiara e coraggiosa da parte di tutti i responsabili religiosi, per
condannare in modo unanime e senza alcuna ambiguità tali crimini e denunciare la pratica di invocare la religione per giustificarli. Carissimi, quasi tutti voi siete cittadini nativi dei vostri Paesi e avete perciò il dovere e il diritto di partecipare pienamente alla vita e alla crescita della vostra nazione. Nella Regione siete chiamati ad essere artefici di pace, di riconciliazione e di sviluppo, a promuovere il dialogo, a costruire ponti, secondo lo spirito delle Beatitudini (cfr Mt 5,3-12), a proclamare il vangelo della pace, aperti alla collaborazione con tutte le autorità nazionali e internazionali. Desidero esprimere in modo particolare la mia stima e la mia gratitudine a voi, carissimi fratelli Patriarchi, Vescovi, Sacerdoti, Religiosi e sorelle Religiose, che accompagnate con sollecitudine il cammino delle vostre comunità. Quant’è preziosa la presenza e l’attività di chi si è consacrato totalmente al Signore e lo serve nei fratelli, soprattutto i più bisognosi, testimoniando la sua grandezza e il suo amore infinito! Com’è importante la presenza dei Pastori accanto al loro gregge, soprattutto nei momenti di difficoltà! A voi, giovani, mando un abbraccio paterno. Prego per la vostra fede, per la vostra crescita umana e cristiana, e perché i vostri progetti migliori possano realizzarsi. E vi ripeto: «Non abbiate paura o vergogna di essere cristiani. La relazione con Gesù vi renderà disponibili a collaborare senza riserve con i vostri concittadini, qualunque sia la loro appartenenza religiosa» (Benedetto XVI, Esort. ap. Ecclesia in Medio Oriente, 63). A voi, anziani, faccio giungere i miei sentimenti di stima. Voi siete la memoria dei vostri popoli; auspico che questa memoria sia seme di crescita per le nuove generazioni. Vorrei incoraggiare quanti tra voi operano negli ambiti molto importanti della carità e dell’educazione. Ammiro il lavoro che state facendo, specialmente attraverso le Caritas e con l’aiuto delle organizzazioni caritative cattoliche di diversi Paesi, aiutando tutti senza preferenze. Attraverso la testimonianza della carità, voi offrite il più valido supporto alla vita sociale e contribuite anche alla pace di cui la Regione è affamata come del pane. Ma anche nell’ambito dell’educazione è in gioco il futuro della società. Quanto è importante l’educazione alla cultura dell’incontro, al rispetto della dignità della persona e del valore assoluto di ogni essere umano! Carissimi, pur se pochi numericamente, siete protagonisti della vita della Chiesa e dei Paesi in cui vivete. Tutta la Chiesa vi è vicina e vi sostiene, con grande affetto e stima per le vostre comunità e la vostra missione. Continueremo ad aiutarvi con la preghiera e con gli altri mezzi a disposizione. Nello stesso tempo continuo a esortare la Comunità internazionale a venire incontro ai vostri bisogni e a quelli delle altre minoranze che soffrono; in primo luogo, promuovendo la pace mediante il negoziato e il lavoro diplomatico, cercando di arginare e fermare quanto prima la violenza che ha causato già troppi danni. Ribadisco la più ferma deprecazione dei traffici di armi. Abbiamo piuttosto bisogno di progetti e iniziative di pace, per promuovere una soluzione globale ai problemi della Regione. Per quanto tempo dovrà soffrire ancora il Medio Oriente per la mancanza di pace? Non possiamo rassegnarci ai conflitti come se non fosse possibile un cambiamento! Sulla scia del mio pellegrinaggio in Terra Santa e del
successivo incontro di preghiera in Vaticano con i Presidenti israeliano e palestinese, vi invito a continuare a pregare per la pace in Medio Oriente. Chi è stato costretto a lasciare le proprie terre, possa farvi ritorno e vivere in dignità e sicurezza. L’assistenza umanitaria possa incrementarsi, ponendo sempre al centro il bene della persona e di ogni Paese nel rispetto della sua identità propria, senza anteporre altri interessi. Che la Chiesa intera e la Comunità internazionale diventino sempre più consapevoli dell’importanza della vostra presenza nella Regione. Care sorelle e cari fratelli cristiani del Medio Oriente, avete una grande responsabilità e non siete soli nell’affrontarla. Perciò ho voluto scrivervi per incoraggiarvi e per dirvi quanto sono preziose la vostra presenza e la vostra missione in codesta terra benedetta dal Signore. La vostra testimonianza mi fa tanto bene. Grazie! Ogni giorno prego per voi e per le vostre intenzioni. Vi ringrazio perché so che voi, nelle vostre sofferenze, pregate per me e per il mio servizio alla Chiesa. Spero tanto di avere la grazia di venire di persona a visitarvi e confortarvi. La Vergine Maria, la Tutta Santa Madre di Dio e Madre nostra, vi accompagni e vi protegga sempre con la sua tenerezza. A tutti voi e alle vostre famiglie invio la Benedizione Apostolica e auguro di vivere il Santo Natale nell’amore e nella pace di Cristo Salvatore. FRANCISCUS Dal Vaticano, 21 dicembre, IV Domenica di Avvento
Visita del Santo Padre Francesco alla sede della FAO in Roma in occasione della seconda Conferenza Internazionale sulla Nutrizione, 20.11.2014 Signor Presidente, Signore e Signori, con sentimento di rispetto e apprezzamento mi presento oggi qui, alla Seconda Conferenza Internazionale sulla Nutrizione. La ringrazio, signor Presidente, per la calorosa accoglienza e per le parole di benvenuto. Saluto cordialmente il Direttore Generale della FAO, il professor José Graziano da Silva, e il Direttore Generale dell’OMS, la dottoressa Margaret Chan, e mi rallegro per la vostra decisione di riunire in questa Conferenza rappresentanti di Stati, istituzioni internazionali, organizzazioni della società civile, del mondo dell’agricoltura e del settore privato, al fine di studiare insieme le forme d’intervento per assicurare la nutrizione, così come i cambiamenti necessari che si devono apportare alle strategie attuali. La totale unità di propositi e di azioni, ma soprattutto lo spirito di fratellanza, possono essere decisivi per soluzioni adeguate. La Chiesa, come voi sapete, cerca sempre di essere attenta e sollecita nei confronti di tutto ciò che si riferisce al benessere spirituale e materiale delle persone, anzitutto di quanti vivono emarginati e sono esclusi, affinché siano garantite la loro sicurezza e la loro dignità. 1. I destini di ogni nazione sono più che mai collegati tra loro, come i membri di una stessa famiglia, che dipendono gli uni dagli altri. Ma viviamo in un’epoca in cui i rapporti tra le nazioni sono troppo spesso rovinati dal sospetto reciproco, che a volte si tramuta in forme di aggressione bellica ed economica, mina l’amicizia tra fratelli e rifiuta o scarta chi già è escluso. Lo sa bene chi manca del pane quotidiano e di un lavoro dignitoso. Questo è il quadro del mondo, in cui si devono riconoscere i limiti di impostazioni basate sulla sovranità di ognuno degli Stati, intesa come assoluta, e sugli interessi nazionali, condizionati spesso da ridotti gruppi di potere. Lo spiega bene la lettura della vostra agenda di lavoro volta a elaborare nuove norme, forme e maggiori impegni per nutrire il mondo. In questa prospettiva spero che, nella formulazione di tali impegni, gli Stati s’ispirino alla convinzione che il diritto all’alimentazione sarà garantito solo se ci preoccupiamo del suo soggetto reale, vale a dire la persona che patisce gli effetti della fame e della denutrizione. Il soggetto reale!
Oggi si parla molto di diritti, dimenticando spesso i doveri; forse ci siamo preoccupati troppo poco di quanti soffrono la fame. È inoltre doloroso constatare che la lotta contro la fame e la denutrizione viene ostacolata dalla "priorità del mercato", e dalla "preminenza del guadagno", che hanno ridotto gli alimenti a una merce qualsiasi, soggetta a speculazione, anche finanziaria. E mentre si parla di nuovi diritti, l’affamato è lì, all’angolo della strada, e chiede diritto di cittadinanza, chiede di essere considerato nella sua condizione, di ricevere una sana alimentazione di base. Ci chiede dignità, non elemosina. 2. Questi criteri non possono restare nel limbo della teoria. Le persone e i popoli esigono che si metta in pratica la giustizia; non solo la giustizia legale, ma anche quella contributiva e quella distributiva. Pertanto, i piani di sviluppo e il lavoro delle organizzazioni internazionali dovrebbero tener conto del desiderio, tanto frequente tra la gente comune, di vedere in ogni circostanza rispettati i diritti fondamentali della persona umana e, nel nostro caso, della persona che ha fame. Quando questo accadrà, anche gli interventi umanitari, le operazioni urgenti di aiuto e di sviluppo – quello vero, integrale – avranno maggiore impulso e daranno i frutti desiderati. 3. L’interesse per la produzione, la disponibilità di alimenti e l’accesso ad essi, il cambiamento climatico, il commercio agricolo devono indubbiamente ispirare le regole e le misure tecniche, ma la prima preoccupazione deve essere la persona stessa, quanti mancano del nutrimento quotidiano e hanno smesso di pensare alla vita, ai rapporti familiari e sociali, e lottano solo per la sopravvivenza. Il Santo Papa Giovanni Paolo II, nell’inaugurazione, in questa sala, della Prima Conferenza sulla Nutrizione, nel 1992, mise in guardia la comunità internazionale contro il rischio del "paradosso dell’abbondanza": c’è cibo per tutti, ma non tutti possono mangiare, mentre lo spreco, lo scarto, il consumo eccessivo e l’uso di alimenti per altri fini sono davanti ai nostri occhi. Questo è il paradosso! Purtroppo questo "paradosso" continua a essere attuale. Ci sono pochi temi sui quali si sfoderano tanti sofismi come su quello della fame; e pochi argomenti tanto suscettibili di essere manipolati dai dati, dalle statistiche, dalle esigenze di sicurezza nazionale, dalla corruzione o da un richiamo doloroso alla crisi economica. Questa è la prima sfida che bisogna superare. La seconda sfida che si deve affrontare è la mancanza di solidarietà. Una parola che abbiamo incosciamente il sospetto di dover togliere dal dizionario. Le nostre società sono caratterizzate da un crescente individualismo e dalla divisione; ciò finisce col privare i più deboli di una vita degna e con il provocare rivolte contro le istituzioni. Quando manca la solidarietà in un paese, ne risentono tutti. Di fatto, la solidarietà è l’atteggiamento che rende le persone capaci di andare incontro all’altro e di fondare i propri rapporti reciproci su quel sentimento di fratellanza che va al di là delle differenze e dei limiti, e spinge a cercare insieme il bene comune. Gli esseri umani, nella misura in cui prendono coscienza di essere parte responsabile del disegno della creazione, diventano capaci di rispettarsi reciprocamente, invece di combattere tra loro, danneggiando e impoverendo il pianeta. Anche agli Stati, concepiti come comunità di persone e di popoli, viene chiesto di agire di comune accordo, di essere disposti ad aiutarsi gli uni gli altri mediante i principi e le norme che il diritto internazionale mette a loro disposizione.
Una fonte inesauribile d’ispirazione è la legge naturale, iscritta nel cuore umano, che parla un linguaggio che tutti possono capire: amore, giustizia, pace, elementi inseparabili tra loro. Come le persone, anche gli Stati e le istituzioni internazionali sono chiamati ad accogliere e a coltivare questi valori, in uno spirito di dialogo e di ascolto reciproco. In tal modo, l’obiettivo di nutrire la famiglia umana diventa realizzabile. 4. Ogni donna, uomo, bambino, anziano deve poter contare su queste garanzie dovunque. Ed è dovere di ogni Stato, attento al benessere dei suoi cittadini, sottoscriverle senza riserve, e preoccuparsi della loro applicazione. Ciò richiede perseveranza e sostegno. La Chiesa cattolica cerca di offrire anche in questo campo il proprio contributo, mediante un’attenzione costante alla vita dei poveri, dei bisognosi in ogni parte del pianeta; su questa stessa linea si muove il coinvolgimento attivo della Santa Sede nelle organizzazioni internazionali e con i suoi molteplici documenti e dichiarazioni. S’intende in tal modo contribuire a identificare e adottare i criteri che lo sviluppo di un sistema internazionale equo devono soddisfare. Sono criteri che, sul piano etico, si basano su pilastri come la verità, la libertà, la giustizia e la solidarietà; allo stesso tempo, in campo giuridico, questi stessi criteri includono la relazione tra il diritto all’alimentazione e il diritto alla vita e a un’esistenza degna, il diritto a essere tutelati dalla legge, non sempre vicina alla realtà di chi soffre la fame, e l’obbligo morale di condividere la ricchezza economica del mondo. Se si crede al principio dell’unità della famiglia umana, fondato sulla paternità di Dio Creatore, e alla fratellanza degli esseri umani, nessuna forma di pressione politica o economica che si serva della disponibilità di alimenti può essere accettabile. Pressione politica ed economica. E qui penso alla nostra sorella e madre terra, al Pianeta. Se siamo liberi da pressioni politiche ed economiche per custodirlo, per evitare che si autodistrugga. Abbiamo davanti Perù e Francia, due conferenze che ci lanciano una sfida. Custodire il Pianeta. Ricordo una frase che ho sentito da un anziano, molti anni fa: "Dio perdona sempre, le offese, gli abusi; Dio sempre perdona. Gli uomini perdonano a volte. La terra non perdona mai! Custodire la sorella terra, la madre terra, affinché non risponda con la distruzione. Ma, soprattutto, nessun sistema di discriminazione, di fatto o di diritto, vincolato alla capacità di accesso al mercato degli alimenti, deve essere preso come modello delle azioni internazionali che si propongono di eliminare la fame. Nel condividere queste riflessioni con voi, chiedo all’Onnipotente, al Dio ricco di misericordia, di benedire tutti coloro che, con responsabilità diverse, si mettono al servizio di quanti soffrono la fame e sanno assisterli con gesti concreti di vicinanza. Prego anche affinché la comunità internazionale sappia ascoltare l’appello di questa Conferenza e lo consideri un’espressione della comune coscienza dell’umanità: dare da mangiare agli affamati per salvare la vita nel pianeta. Grazie.
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PAROLE DEL SANTO PADRE FRANCESCO Basilica del Santo Sepolcro (Jerusalem) Domenica, 25 maggio 2014 Santità, carissimi fratelli Vescovi, carissimi fratelli e sorelle, in questa Basilica, alla quale ogni cristiano guarda con profonda venerazione, raggiunge il suo culmine il pellegrinaggio che sto compiendo insieme con il mio amato fratello in Cristo, Sua Santità Bartolomeo. Lo compiamo sulle orme dei nostri venerati predecessori, il Papa Paolo VI e il Patriarca Atenagora, i quali, con coraggio e docilità allo Spirito Santo, diedero luogo cinquant’anni fa, nella Città santa di Gerusalemme, allo storico incontro tra il Vescovo di Roma e il Patriarca di Costantinopoli. Saluto cordialmente tutti voi presenti. In particolare, ringrazio vivamente per avere reso possibile questo momento Sua Beatitudine Teofilo, che ha voluto rivolgerci gentili parole di benvenuto, come pure a Sua Beatitudine Nourhan Manoogian e al Reverendo Padre Pierbattista Pizzaballa. E’ una grazia straordinaria essere qui riuniti in preghiera. La Tomba vuota, quel sepolcro nuovo situato in un giardino, dove Giuseppe d’Arimatea aveva devotamente deposto il corpo di Gesù, è il luogo da cui parte l’annuncio della Risurrezione: «Voi non abbiate paura! So che cercate Gesù, il crocifisso. Non è qui. È risorto, infatti, come aveva detto; venite, guardate il luogo dove era stato deposto. Presto, andate a dire ai suoi discepoli: “È risorto dai morti”» (Mt 28,5-7). Questo annuncio, confermato dalla testimonianza di coloro ai quali apparve il Signore Risorto, è il cuore del messaggio cristiano, trasmesso fedelmente di generazione in generazione, come fin dal principio attesta l’apostolo Paolo: «A voi infatti ho trasmesso, anzitutto, quello che anch’io ho ricevuto, cioè che Cristo morì per i nostri peccati secondo le Scritture e che fu sepolto e che è risorto il terzo giorno secondo le Scritture” (1 Cor 15,3-4). E’ il fondamento della fede che ci unisce, grazie alla quale insieme professiamo che Gesù Cristo, unigenito Figlio del Padre e nostro unico Signore, «patì sotto Ponzio Pilato, fu crocifisso, morì e fu sepolto; discese agli inferi; il terzo giorno risuscitò da morte» (Simbolo degli Apostoli). Ciascuno di noi, ogni battezzato in Cristo, è spiritualmente risorto da questo sepolcro, poiché tutti nel Battesimo siamo stati realmente incorporati al Primogenito di tutta la creazione, sepolti insieme con Lui, per essere con Lui risuscitati e poter camminare in una vita nuova (cfr Rm 6,4). Accogliamo la grazia speciale di questo momento. Sostiamo in devoto raccoglimento accanto al sepolcro vuoto, per riscoprire la grandezza della nostra vocazione cristiana: siamo uomini e donne di risurrezione, non di morte. Apprendiamo, da questo luogo, a vivere la nostra vita, i travagli delle nostre Chiese e del mondo intero nella luce del mattino di Pasqua. Ogni ferita, ogni sofferenza, ogni dolore, sono stati caricati sulle proprie spalle dal Buon Pastore, che ha offerto sé stesso e con il suo sacrificio ci ha aperto il passaggio alla
vita eterna. Le sue piaghe aperte sono come il varco attraverso cui si riversa sul mondo il torrente della sua misericordia. Non lasciamoci rubare il fondamento della nostra speranza, che è proprio questo: Christòs anesti! Non priviamo il mondo del lieto annuncio della Risurrezione! E non siamo sordi al potente appello all’unità che risuona proprio da questo luogo, nelle parole di Colui che, da Risorto, chiama tutti noi “i miei fratelli” (cfr Mt 28,10; Gv 20,17). Certo, non possiamo negare le divisioni che ancora esistono tra di noi, discepoli di Gesù: questo sacro luogo ce ne fa avvertire con maggiore sofferenza il dramma. Eppure, a cinquant’anni dall’abbraccio di quei due venerabili Padri, riconosciamo con gratitudine e rinnovato stupore come sia stato possibile, per impulso dello Spirito Santo, compiere passi davvero importanti verso l’unità. Siamo consapevoli che resta da percorrere ancora altra strada per raggiungere quella pienezza di comunione che possa esprimersi anche nella condivisione della stessa Mensa eucaristica, che ardentemente desideriamo; ma le divergenze non devono spaventarci e paralizzare il nostro cammino. Dobbiamo credere che, come è stata ribaltata la pietra del sepolcro, così potranno essere rimossi tutti gli ostacoli che ancora impediscono la piena comunione tra noi. Sarà una grazia di risurrezione, che possiamo già oggi pregustare. Ogni volta che chiediamo perdono gli uni agli altri per i peccati commessi nei confronti di altri cristiani e ogni volta che abbiamo il coraggio di concedere e di ricevere questo perdono, noi facciamo esperienza della risurrezione! Ogni volta che, superati antichi pregiudizi, abbiamo il coraggio di promuovere nuovi rapporti fraterni, noi confessiamo che Cristo è davvero Risorto! Ogni volta che pensiamo il futuro della Chiesa a partire dalla sua vocazione all’unità, brilla la luce del mattino di Pasqua! A tale riguardo, desidero rinnovare l’auspicio già espresso dai miei Predecessori, di mantenere un dialogo con tutti i fratelli in Cristo per trovare una forma di esercizio del ministero proprio del Vescovo di Roma che, in conformità con la sua missione, si apra ad una situazione nuova e possa essere, nel contesto attuale, un servizio di amore e di comunione riconosciuto da tutti (cfr Giovanni Paolo II, Enc. Ut unum sint, 95-96). Mentre sostiamo come pellegrini in questi santi Luoghi, il nostro ricordo orante va all’intera regione del Medio Oriente, purtroppo così spesso segnata da violenze e conflitti. E non dimentichiamo, nella nostra preghiera, tanti altri uomini e donne che, in diverse parti del pianeta, soffrono a motivo della guerra, della povertà, della fame; così come i molti cristiani perseguitati per la loro fede nel Signore Risorto. Quando cristiani di diverse confessioni si trovano a soffrire insieme, gli uni accanto agli altri, e a prestarsi gli uni gli altri aiuto con carità fraterna, si realizza un ecumenismo della sofferenza, si realizza l’ecumenismo del sangue, che possiede una particolare efficacia non solo per i contesti in cui esso ha luogo, ma, in virtù della comunione dei santi, anche per tutta la Chiesa. Quelli che per odio alla fede uccidono, perseguitano i cristiani, non domandano loro se sono ortodossi o se sono cattolici: sono cristiani. Il sangue cristiano è lo stesso. Santità, amato Fratello, carissimi fratelli tutti, mettiamo da parte le esitazioni che abbiamo ereditato dal passato e apriamo il nostro cuore all’azione dello Spirito Santo, lo Spirito dell’Amore (cfr Rm 5,5) per camminare insieme spediti verso il giorno benedetto della nostra ritrovata piena comunione. In questo cammino ci sentiamo sostenuti dalla preghiera che Gesù stesso, in questa Città, alla vigilia della sua passione, morte e risurrezione, ha elevato al Padre per i suoi discepoli, e che non ci stanchiamo con umiltà di fare nostra: «Che siano una sola cosa … perché il mondo creda» (Gv 17,21). E quando la disunione ci fa pessimisti, poco coraggiosi, sfiduciati, andiamo tutti sotto il manto della Santa Madre di Dio. Quando nell’anima cristiana ci sono turbolenze spirituali, soltanto sotto il manto della Santa Madre di Dio troveremo pace. Che Lei ci aiuti in questo cammino.
MESSAGGIO DEL SANTO PADRE FRANCESCO PER LA QUARESIMA 2014 Si è fatto povero per arricchirci con la sua povertà (cfr 2 Cor 8,9) Cari fratelli e sorelle, in occasione della Quaresima, vi offro alcune riflessioni, perché possano servire al cammino personale e comunitario di conversione. Prendo lo spunto dall’espressione di san Paolo: «Conoscete infatti la grazia del Signore nostro Gesù Cristo: da ricco che era, si è fatto povero per voi, perché voi diventaste ricchi per mezzo della sua povertà» (2 Cor 8,9).L’Apostolo si rivolge ai cristiani di Corinto per incoraggiarli ad essere generosi nell’aiutare i fedeli di Gerusalemme che si trovano nel bisogno. Che cosa dicono a noi, cristiani di oggi, queste parole di san Paolo? Che cosa dice oggi a noi l’invito alla povertà, a una vita povera in senso evangelico? La grazia di Cristo Anzitutto ci dicono qual è lo stile di Dio. Dio non si rivela con i mezzi della potenza e della ricchezza del mondo, ma con quelli della debolezza e della povertà: «Da ricco che era, si è fatto povero per voi…». Cristo, il Figlio eterno di Dio, uguale in potenza e gloria con il Padre, si è fatto povero; è sceso in mezzo a noi, si è fatto vicino ad ognuno di noi; si è spogliato, “svuotato”, per rendersi in tutto simile a noi (cfr Fil 2,7; Eb 4,15). È un grande mistero l’incarnazione di Dio! Ma la ragione di tutto questo è l’amore divino, un amore che è grazia, generosità, desiderio di prossimità, e non esita a donarsi e sacrificarsi per le creature amate. La carità, l’amore è condividere in tutto la sorte dell’amato. L’amore rende simili, crea uguaglianza, abbatte i muri e le distanze. E Dio ha fatto questo con noi. Gesù, infatti, «ha lavorato con mani d’uomo, ha pensato con intelligenza d’uomo, ha agito con volontà d’uomo, ha amato con cuore d’uomo. Nascendo da Maria Vergine, egli si è fatto veramente uno di noi, in tutto simile a noi fuorché nel peccato» (Conc. Ecum. Vat. II, Cost. past. Gaudium et spes, 22). Lo scopo del farsi povero di Gesù non è la povertà in se stessa, ma – dice san Paolo – «...perché voi diventaste ricchi per mezzo della sua povertà». Non si tratta di un gioco di parole, di un’espressione ad effetto! E’ invece una sintesi della logica di Dio, la logica dell’amore, la logica dell’Incarnazione e della Croce. Dio non ha fatto cadere su di noi la salvezza dall’alto, come l’elemosina di chi dà
parte del proprio superfluo con pietismo filantropico. Non è questo l’amore di Cristo! Quando Gesù scende nelle acque del Giordano e si fa battezzare da Giovanni il Battista, non lo fa perché ha bisogno di penitenza, di conversione; lo fa per mettersi in mezzo alla gente, bisognosa di perdono, in mezzo a noi peccatori, e caricarsi del peso dei nostri peccati. E’ questa la via che ha scelto per consolarci, salvarci, liberarci dalla nostra miseria. Ci colpisce che l’Apostolo dica che siamo stati liberati non per mezzo della ricchezza di Cristo, ma per mezzo della sua povertà. Eppure san Paolo conosce bene le «impenetrabili ricchezze di Cristo» (Ef 3,8), «erede di tutte le cose» (Eb 1,2). Che cos’è allora questa povertà con cui Gesù ci libera e ci rende ricchi? È proprio il suo modo di amarci, il suo farsi prossimo a noi come il Buon Samaritano che si avvicina a quell’uomo lasciato mezzo morto sul ciglio della strada (cfr Lc10,25ss). Ciò che ci dà vera libertà, vera salvezza e vera felicità è il suo amore di compassione, di tenerezza e di condivisione. La povertà di Cristo che ci arricchisce è il suo farsi carne, il suo prendere su di sé le nostre debolezze, i nostri peccati, comunicandoci la misericordia infinita di Dio. La povertà di Cristo è la più grande ricchezza: Gesù è ricco della sua sconfinata fiducia in Dio Padre, dell’affidarsi a Lui in ogni momento, cercando sempre e solo la sua volontà e la sua gloria. È ricco come lo è un bambino che si sente amato e ama i suoi genitori e non dubita un istante del loro amore e della loro tenerezza. La ricchezza di Gesù è il suo essere il Figlio, la sua relazione unica con il Padre è la prerogativa sovrana di questo Messia povero. Quando Gesù ci invita a prendere su di noi il suo “giogo soave”, ci invita ad arricchirci di questa sua “ricca povertà” e “povera ricchezza”, a condividere con Lui il suo Spirito filiale e fraterno, a diventare figli nel Figlio, fratelli nel Fratello Primogenito (cfr Rm 8,29). È stato detto che la sola vera tristezza è non essere santi (L. Bloy); potremmo anche dire che vi è una sola vera miseria: non vivere da figli di Dio e da fratelli di Cristo. La nostra testimonianza Potremmo pensare che questa “via” della povertà sia stata quella di Gesù, mentre noi, che veniamo dopo di Lui, possiamo salvare il mondo con adeguati mezzi umani. Non è così. In ogni epoca e in ogni luogo, Dio continua a salvare gli uomini e il mondo mediante la povertà di Cristo, il quale si fa povero nei Sacramenti, nella Parola e nella sua Chiesa, che è un popolo di poveri. La ricchezza di Dio non può passare attraverso la nostra ricchezza, ma sempre e soltanto attraverso la nostra povertà, personale e comunitaria, animata dallo Spirito di Cristo. Ad imitazione del nostro Maestro, noi cristiani siamo chiamati a guardare le miserie dei fratelli, a toccarle, a farcene carico e a operare concretamente per alleviarle. La miseria non coincide con la povertà; la miseria è la povertà senza fiducia, senza solidarietà, senza speranza. Possiamo distinguere tre tipi di miseria: la miseria materiale, la miseria morale e la miseria spirituale. La miseria materiale è quella che comunemente viene chiamata povertà e tocca quanti vivono in una condizione non degna della persona umana: privati dei diritti fondamentali e dei beni di prima necessità quali il cibo, l’acqua, le condizioni igieniche, il lavoro, la possibilità di sviluppo e di crescita culturale. Di fronte a questa miseria la Chiesa offre il suo servizio, la sua diakonia, per andare incontro ai bisogni e guarire queste piaghe che deturpano il volto dell’umanità. Nei poveri e negli ultimi noi vediamo il volto di Cristo; amando e aiutando i poveri amiamo e serviamo Cristo. Il nostro impegno si orienta anche a fare in modo che cessino nel mondo le violazioni della dignità
umana, le discriminazioni e i soprusi, che, in tanti casi, sono all’origine della miseria. Quando il potere, il lusso e il denaro diventano idoli, si antepongono questi all’esigenza di una equa distribuzione delle ricchezze. Pertanto, è necessario che le coscienze si convertano alla giustizia, all’uguaglianza, alla sobrietà e alla condivisione. Non meno preoccupante è la miseria morale, che consiste nel diventare schiavi del vizio e del peccato. Quante famiglie sono nell’angoscia perché qualcuno dei membri – spesso giovane – è soggiogato dall’alcol, dalla droga, dal gioco, dalla pornografia! Quante persone hanno smarrito il senso della vita, sono prive di prospettive sul futuro e hanno perso la speranza! E quante persone sono costrette a questa miseria da condizioni sociali ingiuste, dalla mancanza di lavoro che le priva della dignità che dà il portare il pane a casa, per la mancanza di uguaglianza rispetto ai diritti all’educazione e alla salute. In questi casi la miseria morale può ben chiamarsi suicidio incipiente. Questa forma di miseria, che è anche causa di rovina economica, si collega sempre alla miseria spirituale, che ci colpisce quando ci allontaniamo da Dio e rifiutiamo il suo amore. Se riteniamo di non aver bisogno di Dio, che in Cristo ci tende la mano, perché pensiamo di bastare a noi stessi, ci incamminiamo su una via di fallimento. Dio è l’unico che veramente salva e libera. Il Vangelo è il vero antidoto contro la miseria spirituale: il cristiano è chiamato a portare in ogni ambiente l’annuncio liberante che esiste il perdono del male commesso, che Dio è più grande del nostro peccato e ci ama gratuitamente, sempre, e che siamo fatti per la comunione e per la vita eterna. Il Signore ci invita ad essere annunciatori gioiosi di questo messaggio di misericordia e di speranza! È bello sperimentare la gioia di diffondere questa buona notizia, di condividere il tesoro a noi affidato, per consolare i cuori affranti e dare speranza a tanti fratelli e sorelle avvolti dal buio. Si tratta di seguire e imitare Gesù, che è andato verso i poveri e i peccatori come il pastore verso la pecora perduta, e ci è andato pieno d’amore. Uniti a Lui possiamo aprire con coraggio nuove strade di evangelizzazione e promozione umana. Cari fratelli e sorelle, questo tempo di Quaresima trovi la Chiesa intera disposta e sollecita nel testimoniare a quanti vivono nella miseria materiale, morale e spirituale il messaggio evangelico, che si riassume nell’annuncio dell’amore del Padre misericordioso, pronto ad abbracciare in Cristo ogni persona. Potremo farlo nella misura in cui saremo conformati a Cristo, che si è fatto povero e ci ha arricchiti con la sua povertà. La Quaresima è un tempo adatto per la spogliazione; e ci farà bene domandarci di quali cose possiamo privarci al fine di aiutare e arricchire altri con la nostra povertà. Non dimentichiamo che la vera povertà duole: non sarebbe valida una spogliazione senza questa dimensione penitenziale. Diffido dell’elemosina che non costa e che non duole. Lo Spirito Santo, grazie al quale «[siamo] come poveri, ma capaci di arricchire molti; come gente che non ha nulla e invece possediamo tutto» (2 Cor 6,10), sostenga questi nostri propositi e rafforzi in noi l’attenzione e la responsabilità verso la miseria umana, per diventare misericordiosi e operatori di misericordia. Con questo auspicio, assicuro la mia preghiera affinché ogni credente e ogni comunità ecclesiale percorra con frutto l’itinerario quaresimale, e vi chiedo di pregare per me. Che il Signore vi benedica e la Madonna vi custodisca. FRANCESCO
MESSAGGIO DEL SANTO PADRE FRANCESCO XLVII GIORNATA MONDIALE DELLA PACE - 1° GENNAIO 2014 FRATERNITÀ, FONDAMENTO E VIA PER LA PACE 1. In questo mio primo Messaggio per la Giornata Mondiale della Pace, desidero rivolgere a tutti, singoli e popoli, l’augurio di un’esistenza colma di gioia e di speranza. Nel cuore di ogni uomo e di ogni donna alberga, infatti, il desiderio di una vita piena, alla quale appartiene un anelito insopprimibile alla fraternità, che sospinge verso la comunione con gli altri, nei quali troviamo non nemici o concorrenti, ma fratelli da accogliere ed abbracciare. Infatti, la fraternità è una dimensione essenziale dell’uomo, il quale è un essere relazionale. La viva consapevolezza di questa relazionalità ci porta a vedere e trattare ogni persona come una vera sorella e un vero fratello; senza di essa diventa impossibile la costruzione di una società giusta, di una pace solida e duratura. E occorre subito ricordare che la fraternità si comincia ad imparare solitamente in seno alla famiglia, soprattutto grazie ai ruoli responsabili e complementari di tutti i suoi membri, in particolare del padre e della madre. La famiglia è la sorgente di ogni fraternità, e perciò è anche il fondamento e la via primaria della pace, poiché, per vocazione, dovrebbe contagiare il mondo con il suo amore. Il numero sempre crescente di interconnessioni e di comunicazioni che avviluppano il nostro pianeta rende più palpabile la consapevolezza dell’unità e della condivisione di un comune destino tra le Nazioni della terra. Nei dinamismi della storia, pur nella diversità delle etnie, delle società e delle culture, vediamo seminata così la vocazione a formare una comunità composta da fratelli che si accolgono reciprocamente, prendendosi cura gli uni degli altri. Tale vocazione è però ancor oggi spesso contrastata e smentita nei fatti, in un mondo caratterizzato da quella “globalizzazione dell’indifferenza” che ci fa lentamente “abituare” alla sofferenza dell’altro, chiudendoci in noi stessi. In tante parti del mondo, sembra non conoscere sosta la grave lesione dei diritti umani fondamentali, soprattutto del diritto alla vita e di quello alla libertà di religione. Il tragico fenomeno del traffico degli esseri umani, sulla cui vita e disperazione speculano persone senza scrupoli, ne rappresenta un inquietante esempio. Alle guerre fatte di scontri armati si aggiungono guerre meno
visibili, ma non meno crudeli, che si combattono in campo economico e finanziario con mezzi altrettanto distruttivi di vite, di famiglie, di imprese. La globalizzazione, come ha affermato Benedetto XVI, ci rende vicini, ma non ci rende fratelli.[1] Inoltre, le molte situazioni di sperequazione, di povertà e di ingiustizia, segnalano non solo una profonda carenza di fraternità, ma anche l’assenza di una cultura della solidarietà. Le nuove ideologie, caratterizzate da diffuso individualismo, egocentrismo e consumismo materialistico, indeboliscono i legami sociali, alimentando quella mentalità dello “scarto”, che induce al disprezzo e all’abbandono dei più deboli, di coloro che vengono considerati “inutili”. Così la convivenza umana diventa sempre più simile a un mero do ut des pragmatico ed egoista. In pari tempo appare chiaro che anche le etiche contemporanee risultano incapaci di produrre vincoli autentici di fraternità, poiché una fraternità priva del riferimento ad un Padre comune, quale suo fondamento ultimo, non riesce a sussistere.[2] Una vera fraternità tra gli uomini suppone ed esige una paternità trascendente. A partire dal riconoscimento di questa paternità, si consolida la fraternità tra gli uomini, ovvero quel farsi “prossimo” che si prende cura dell’altro. «Dov’è tuo fratello?» (Gen 4,9) 2. Per comprendere meglio questa vocazione dell’uomo alla fraternità, per riconoscere più adeguatamente gli ostacoli che si frappongono alla sua realizzazione e individuare le vie per il loro superamento, è fondamentale farsi guidare dalla conoscenza del disegno di Dio, quale è presentato in maniera eminente nella Sacra Scrittura. Secondo il racconto delle origini, tutti gli uomini derivano da genitori comuni, da Adamo ed Eva, coppia creata da Dio a sua immagine e somiglianza (cfr Gen 1,26), da cui nascono Caino e Abele. Nella vicenda della famiglia primigenia leggiamo la genesi della società, l’evoluzione delle relazioni tra le persone e i popoli. Abele è pastore, Caino è contadino. La loro identità profonda e, insieme, la loro vocazione, è quella di essere fratelli, pur nella diversità della loro attività e cultura, del loro modo di rapportarsi con Dio e con il creato. Ma l’uccisione di Abele da parte di Caino attesta tragicamente il rigetto radicale della vocazione ad essere fratelli. La loro vicenda (cfr Gen 4,1-16) evidenzia il difficile compito a cui tutti gli uomini sono chiamati, di vivere uniti, prendendosi cura l’uno dell’altro. Caino, non accettando la predilezione di Dio per Abele, che gli offriva il meglio del suo gregge – «il Signore gradì Abele e la sua offerta, ma non gradì Caino e la sua offerta» (Gen 4,4-5) – uccide per invidia Abele. In questo modo rifiuta di riconoscersi fratello, di relazionarsi positivamente con lui, di vivere davanti a Dio, assumendo le proprie responsabilità di cura e di protezione dell’altro. Alla domanda «Dov’è tuo fratello?», con la quale Dio interpella Caino, chiedendogli conto del suo operato, egli risponde: «Non lo so. Sono forse il guardiano di mio fratello?» (Gen 4,9). Poi, ci dice la Genesi, «Caino si allontanò dal Signore» (4,16). Occorre interrogarsi sui motivi profondi che hanno indotto Caino a misconoscere il vincolo di fraternità e, assieme, il vincolo di reciprocità e di comunione che lo legava a suo fratello Abele. Dio stesso denuncia e rimprovera a Caino una contiguità con il male: «il peccato è accovacciato alla tua
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