MXGP 2019, Milestone fa felici gli appassionati di motocross

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MXGP 2019, Milestone fa felici gli appassionati di motocross
MXGP   2019, Milestone  fa
felici gli appassionati di
motocross

Come ogni anno, anche per questo 2019 è finalmente arrivata
l’ora di MXGP 2019: il titolo Milestone per Pc, Xbox One e Ps4
dedicato all’adrenalinico mondo del motocross che arriva, con
questa edizione, alla sua quinta apparizione sul mercato. MXGP
2019, differentemente da quello che i più potrebbero pensare,
non è affatto un prodotto di nicchia: la grande cura dei
dettagli che la software house milanese riversa in ogni sua
produzione, specialmente in quelle più recenti, rende il
titolo un qualcosa di godibile per ogni giocatore, dai casual
gamers fino ai piloti più esperti. C’è da dire che già dal
primo avvio del gioco è difficile non rimanere colpiti da ciò
che si vede sullo schermo. Non c’è componente di MXGP 2019 che
non abbia ricevuto limature consistenti, ed i frutti del
lavoro di miglioramento si possono notare fin dal primo
momento in cui ci si confronta con i menù, i tutorial,
l’interfaccia e la colonna sonora, tutti protagonisti di un
MXGP 2019, Milestone fa felici gli appassionati di motocross
evidente e notevole balzo qualitativo. Ciascun elemento appare
curato fin da principio, e questa piccola attenzione tecnica
si riflette nella caratterizzazione di tutte le moto e delle
componenti, che siano le finiture in carbonio di una marmitta
della Arrow o le saldature sul metallo dell’Akrapovich. La
licenza ufficiale del campionato Motocross ha permesso, come è
ovvio, di riprodurre fedelmente piloti, livree, sponsor e
tracciati, per una modalità carriera che ricalca le sequenze
della stagione in corso. Ad ogni modo, è possibile anche
“saltare” l’ostacolo, almeno in termini di personalizzazione
dell’esperienza, affidando le fortune del pilota virtuale,
creabile attraverso un editor, ad uno sponsor piuttosto che ad
un altro. Si tratta, è bene precisarlo, di un’opportunità
prettamente estetica, che garantisce all’utente di gestire a
proprio gusto i “colori” e lo stile di moto, abbigliamento e
accessori. Il vero modificatore dell’esperienza risiede però
nella scelta di approccio. In pratica, è possibile tanto
affrontare la campagna in modalità Standard, per un gameplay
evidentemente arcade, quanto giocare di “fino” e, quindi, in
modalità Realismo, per una fisica, specie quella legata ai
pesi di moto e pilota, ben più intransigente. Proprio per
queste ragioni, come accennavamo prima, il titolo può essere
giocato e apprezzato da qualsiasi tipo di gamer. Ovviamente
trattandosi di un gioco di motocross in gara bisogna badare
non certo solo alla velocità, ma alla gestione dei salti e,
quindi, al posizionamento del bolide piuttosto che del pilota.
Insomma, la conoscenza dei tracciati, ma anche la corretta
lettura delle varie situazioni, tra piloti avversari e
ostacoli presenti a bordo pista, è essenziale per il
raggiungimento delle prime posizioni. Anche ai livelli di
difficoltà più bassi.

Oltre alla modalità Carriera MXGP 2019 offre anche un
simpatico editor dei tracciati. Imparando a utilizzarlo è
quindi possibile
creare la pista dei propri sogni sfruttando una serie di
strumenti e preset
MXGP 2019, Milestone fa felici gli appassionati di motocross
estremamente semplici ed efficaci, ma il risultato finale
corrisponde raramente
alle aspettative, perché la totale assenza di dislivelli e
piccoli
“fronzoli” estetici finisce per disegnare piste eccessivamente
piatte
e prive di una reale varietà. Per testare la propria moto poi
esiste l’area
Playground dove è possibile correre in una zona collinare
della Provenza. Qui non
solo è possibile confrontarsi con una simpatica serie di
challenge capaci di
toccare la destrezza in sella, l’abilità nel trial e la pura
velocità, ma
addirittura creare piccole gare “waypoint” artigianali
attraverso le quali
sfidare altri membri della community. Insomma, il Playground
si è rivelato
quella tavolozza che mancava all’editor dei tracciati, e
risulta
particolarmente   affascinante    perché   riesce   a   deviare
efficacemente
dall’esperienza tradizionale, consentendo di scalare il fianco
delle colline o
di lanciarsi a tutto gas in un downhill suicida. La ciliegina
sulla torta, poi,
sta nella presenza di una “modalità finale” destinata
esclusivamente
a coloro che riuscissero a completare ogni sfida presente fra
boschi e
laghetti. Oltre a quanto elencato fino a ora, sono presenti
altre modalità:
dalla classica prova a tempo alla gara veloce, dove si potrà
decidere se
utilizzare il proprio pilota o uno dei campionati MXGP e MXGP
2. Insomma, a
livello di offerta ludica il titolo non delude. A livello
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tecnico ed estetico,
MXPG 2019 è il titolo di Milestone con la caratterizzazione
del rider più
convincente in assoluto, e le decine di piccoli movimenti
pensati per
accompagnare ciascun sobbalzo in gara fanno un ottimo servizio
al realismo. Realismo
che si ritrova nell’estetica dei circuiti, ormai divenuti
visivamente
impeccabili, impreziositi da un gradevole sistema
d’illuminazione e da
immancabili effetti particellari. Gli skybox e gli sfondi
regalano un’identità
ed una palette cromatica proprie a ciascuna location, dai
monti di
Pietramurata, passando per le sterpaglie della Turchia, per
arrivare infine
alle piccole superfici acquatiche che fanno capolino fra i
dossi di Shangai ed
in Lettonia. Anche gli elementi storicamente più spigolosi,
come le comparse
fra il pubblico ed i modelli scenografici, sono arrivate a
presentarsi in forma
smagliante. La fase di gara scorre discretamente liscia, e non
solo per merito
dell’ottimo comparto visivo; al di là degli spigoli, abbiamo
particolarmente
apprezzato la marcia indietro fatta sul reset istantaneo al
momento dell’uscita
dal tracciato, sistema che penalizzava l’immersione e che ha
finito per essere
sostituito da un pratico timer. Le tanto discusse collisioni,
invece, sembrano aver
trovato finalmente la quadra, e capita molto raramente di
trovarsi con la
faccia nel fango senza una ragione precisa. Tirando le somme,
si può senza
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dubbio affermare come MXGP 19, al netto di qualche
imperfezione come un frame
rate non sempre stabilissimo (unica vera pecca del gioco),
risulti un titolo
più che godibile figlio di anni e anni di esperienza da cui
Milestone è
riuscita a imparare dai propri errori. Lo specializzarsi in un
genere
perfezionandolo sempre di più è ciò che, da sempre distingue
l’azienda milanese
da molte altre presenti sul mercato. Grande varietà,
possibilità di essere
goduto sia dai casual gamers, ma anche da chi cerca
un’esperienza realistica,
un editor di mappe e la possibilità di affrontare sfide nel
Playground fanno sì
che questo MXGP 2019 sia un titolo da tenere da conto. Fango,
salti, velocità e
adrenalina vi aspettano.

GIUDIZIO GLOBALE:

Grafica: 8,5

Gameplay: 8

Sonoro: 8

Longevità: 7,5

VOTO FINALE: 8

Francesco Pellegrino Lise
MXGP 2019, Milestone fa felici gli appassionati di motocross
Bloodstained Ritual of The
Night, l’erede indiscusso di
Castlevania

Bloodstained Ritual of The Night venne concepito nel 2014
quando il celebre producer Koji Igarashi, lasciato Konami, fu
subissato di
richieste di fan che chiedevano a gran voce un nuovo gioco in
stile Castlevania.
Non potendo usare però il brand, essendo di proprietà di
Konami, Koji si
ritrovò nella difficile situazione di dover trovare una
maniera per reinventare
il genere di cui per anni fu considerato il padre spirituale.
Appoggiandosi
quindi al crowfunding, e di fatto all’aiuto di quei fan che
tanto volevano un
degno successore dell’intramontabile Symphony Of The Night,
Igarashi cominciò
il lungo, e altri, travagliato, sviluppo di quello che a oggi
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possiamo
considerare il gioco che in molti avrebbero desiderato da
moltissimo tempo.
Inutile dire che se si è fan accaniti dell’originale Symphony
of The Night è
obbligatoriogiocare al più presto alla nuova opera di Koji
Igarashi perché
Bloodstained Ritual of The Night. Vi diciamo questo in quanto
il titolo,
disponibile su Pc, Xboxc One, Ps4 e Switch, altro non è che la
summa di tutto
ciò che è stato il ciclo di Castlevania negli anni in cui Iga
lo ha diretto. Quindi
non ci si trova solo di fronte a un seguito spirituale ma a
una vera e propria
autocelebrazione di un genere per mano del suo stesso
produttore, ritrovatosi
orfano della sua creatura ma non per questo deciso a rifulgere
il proprio,
storico, passato o a voltare le spalle alla sua fanbase. Se,
invece, si è tra
quella schiera di persone che non ha mai potuto o voluto
affrontare l’immortale
avventura di Alucard, potete prepararvi a comprendere l’arcana
alchimia che
permette a una produzione quale Bloodstained Ritual Of The
Night, di risaltare
in mezzo a un panorama ricolmo di titoli pregni di grafiche
incredibili e
narrazioni accattivanti, basandosi solo su un gameplay che dal
1997 a oggi ha caratterizzato
un intero genere videoludico. Ma veniamo alla trama: alla fine
del settecento,
nel 1783 per la precisione, nel pieno della Rivoluzione
Industriale, un gruppo
di demoni attacca l’Inghilterra, compiendo dei terribili
massacri. Per
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fermarli, una gilda di alchimisti crea gli shardbinder, ossia
degli esseri
umani con impiantati dei cristalli imbevuti di potere
demoniaco. La gilda, in
collaborazione con la chiesa, riesce a fermare i demoni, ma al
prezzo di
migliaia di vittime. Gli shardbinder infatti muoiono tutti nel
rito di
purificazione dei cancelli demoniaci. Solo due sono riusciti a
sopravvivere:
Gebel, uscito illeso dal rito, e Miriam, addormentatasi poco
prima che questo
iniziasse. Da allora sono passati dieci anni e i demoni sono
tornati sotto la
guida di Gebel, ormai quasi completamente cristallizzato.
L’unica che può
fermarlo è Miriam, perché capace di sfruttare i poteri dei
cristalli demoniaci
presenti nel suo corpo. Ad aiutarla il fido Johannes, un ex-
alchimista redento,
l’esorcista Dominique e il guerriero Zangetsu, il protagonista
di Bloodstained:
Curse of Moon (spin-off stile NES della serie), utilizzabile
anche in Ritual of
the Night.

Pad alla mano, sin dalle prime stanze si avverte tutta
l’esperienza di Igarashi. I movimenti di Miriam sono molto
simili alle movenze
di Alucard (Il protagonista di Castevania Symphomy of the
Night), c’è persino
la scivolata tattica all’indietro e quella d’attacco in
avanti. Il sistema di
assorbimento dei cristalli è semplice ma intelligente: ogni
volta che si incontra
un nuovo nemico, dopo averlo sconfitto c’è una chance di
ottenere un cristallo
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che si potrà assorbire acquisendo le sue abilità specifiche.
Ci sono tanti tipi
di cristalli, di attacco, di difesa, di supporto e via
discorrendo. Essi vanno
equipaggiati e hanno un consumo di MP variabile in base al
tipo stesso al
grado. Grado che aumenta in base al numero di cristalli dello
stesso demone che
verranno trovati, con un meccanismo simile a un incremento del
livello delle
abilità. Nelle prime aree di gioco c’è una grande sensazione
di gratificazione,
in quanto si potranno incontrare nemici quasi sempre diversi
ogni due tre
stanze e si potranno trovare tanti cristalli, in maniera tale
da poter provare
tutte le abilità ad essi connesse. Uccidendo i nemici si
potranno trovare come
loot anche tanti materiali e ingredienti che inizialmente non
è chiaro come
utilizzare, salvo poi capirne meglio i meccanismi dopo aver
incontrato compagni
della Gilda e personaggi che si offrono di aiutare la
protagonista nella missione,
che spiegano come combinare gli oggetti e craftarne di nuovi.
In Bloodstained Ritual
of The Night, come anche accadeva in Castlevania SotN,
consultare la mappa è
sempre essenziale per capire dove bisogna andare, per
comprendere la
conformazione delle stanze alte e per trovare punti chiave e
stanze segrete.
Queste contengono quasi sempre equip potenti, oggetti per
aumentare il cap di
HP ed MP o anche NPC. Tra le diverse aree si trovano, come in
ogni Castlevania
che si rispetti, dei corridoi separatori, e ad ogni nuova area
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corrisponde
anche un cambio di musica in background e set di nemici.
Talvolta potrà
capitare di poter accedere contemporaneamente a più aree
diverse, e
generalmente il modo migliore per capire se si è scelto la
strada giusta è
saggiare la forza dei nemici: se servono più di quattro o
cinque attacchi per eliminarli,
generalmente è meglio battere in ritirata in quanto è
richiesto un livello di potere
più alto e si andrebbe incontro a morte certa.

Man mano che si andrà avanti nell’avventura ci si dovrà
scontrare con mini-boss e boss di livello. Questi ultimi sono
quasi sempre
accompagnati da delle cut-scene e richiedono una buona dose di
run ed eventuali
morti per trovare la tecnica giusta per superarli. Il
backtracking è presente
in maniera preponderante, ma fortunatamente ci sono i ben noti
portali che permettono,
una volta trovati e attivati, di viaggiare velocemente tra gli
angoli più
remoti della mappa. E quindi, ogni qualvolta si sblocca una
nuova abilità che permette
di eseguire nuove mosse, quasi sempre bisognerà tornare
indietro per accedere
alle parti della mappa inizialmente precluse. In Bloodstained
Ritual of The
Night però c’è anche spazio per qualche piccola novità.
Infatti, strada facendo
si potranno trovare diversi NPC che propongono tante missioni
secondarie, come
la vendetta del marito ucciso da un particolare tipo di
demone, o la raccolta
di ingredienti e oggetti specifici. Queste missioni aggiungono
ulteriore
backtracking e quando se ne accettano più di una sarà facile
confondersi o
perdere di vista gli obiettivi. Fortunatamente gli
sviluppatori hanno inserito
un sistema di tracking che viene in aiuto con dei segnalini da
posizionare
sulla mappa. Bloodstained Ritual of The Night offre poi la
possibilità di
eseguire tante abilità e mosse speciali legate al tipo di arma
brandita. E di
armi ne esistono di varie categorie: spade corte e lunghe,
pugnali, fruste,
pistole mazze chiodate e persino opzioni per il combattimento
a mani nude; e
strada facendo troveremo delle librerie che ci svelano mosse
segrete che
aggiungono profondità    al   combattimento.   Tra   le   novità
implementate è bene
evidenziare anche un sistema di assegnazione veloce delle
abilità legate ai
cristalli, che permette di cambiare rapidamente set di skill,
pratica
particolarmente utile nelle parti più avanzate del gioco
quando i nemici si
fanno più duri da abbattere e sfruttare le loro vulnerabilità
diventa vitale.
Da questo punto di vista il combattimento risulta più tattico
e meno piatto rispetto
al passato. C’è ampio margine anche nella customizzazione del
personaggio, con
armi, mantelli e accessori che hanno un impatto cosmetico ben
visibile su
Miriam. Inoltre, in un punto preciso del castello è presente
anche un barbiere
in grado di modificare l’acconciatura ed altri aspetti del
look della
protagonista. Come da tradizione poi, non manca nemmeno una
vasta enciclopedia
che abbraccia personaggi, luoghi e mostri che appagherà la
sete di conoscenza
dei puristi del genere. Immancabili inoltre gli shop di armi e
oggetti ed il
mitico barcaiolo in stile Caronte.

In termini di esplorazione e progressione, Bloodstained:
Ritual of The Night è costruito in modo molto simile ad alcuni
dei titoli della
serie Castlevania già citati: c’è un’unica grande mappa, di
cui molte zone
diventano accessibili solo dopo aver sbloccato alcuni poteri
specifici o dopo
aver ottenuto certi oggetti, come il già citato doppio salto.
Paradossalmente
più si esplora, più la mappa sembra ampliarsi. Igarashi e i
suoi hanno ottenuto
questo effetto aumentando le diramazioni in modo graduale: non
si arriva mai a
sentirsi persi come accade in un Hollow Knight, ma in certi
momenti non manca
del sano disorientamento. Il tempo necessario per finire il
gioco a livello
Normal è noto, perché dichiarato dallo stesso Igarashi: una
decina di ore. Si
tratta in realtà di un abbaglio, nel senso che Bloodstained è
costruito per
essere esplorato in lungo e in largo e per essere finito più
volte a diversi
livelli di difficoltà. Parlando ora del comparto tecnico, il
gioco ha fatto
netti passi avanti durante il suo lungo sviluppo. Non poche
erano le polemiche
insorte per animazioni legnose, uno stile grafico vecchio ed
effetti grafici
non all’altezza della generazione attuale. Igarashi ha però
saputo rispondere
bene a queste critiche cambiando tutto a poche settimane dal
lancio,
presentando un cambiamento radicale quasi da notte a giorno
per effetti e stile
grafico. Alcune aree sono veramente belle a vedersi, con tanti
effetti
particellari e oggetti in movimento in background che danno
decisamente vita e
spessore allo stile 2.5D. La colonna sonora è chiaramente
ispirata a quella dei
precedenti Castlevania ed è sicuramente uno dei punti di forza
dell’intera
produzione. Unica nota veramente negativa è da associare alla
traduzione in
italiano, davvero di mediocre fattura. Sicuramente farà
contenti tutti quei
giocatori che non conoscono altre lingue, ma doversi andare a
rileggere dei
testi in inglese per capirli fino in fondo non è affatto una
cosa buona. Tirando
le somme, Bloodstained Ritual of The Night non è solamente il
successore
spirituale di Symphony Of The Night, o del filone dei
Castlevania in due
dimensioni che hanno popolato le console portatili nel primo
decennio degli
anni 2000, ma è soprattutto una produzione coraggiosa, fede
delle proprie
radici e in gradi di dimostrare che il genere ha ancora molto
da dire,
specialmente se al timone c’è uno dei suoi storici fondatori.
Con un solido
gameplay in grado di divertire oggi come ventidue anni fa e un
level design
sopraffino, l’ultima creazione di Igarashi non solo riesce a
tenere testa a
tutti i titoli usciti negli anni precedenti ma anche a
ridefinire le basi del
genere così come fu nel 1997 con la storia di Alucard. Se
siete fan di
Catlevania non giocare a questo titolo sarebbe un vero peccato
in quanto
incarna quanto di buono già visto in passato e lo eleva con
alcune buone novità,
con un gameplay fluido e con una trama avvincente.

GIUDIZIO GLOBALE

Grafica: 8,5

Sonoro: 9

Gameplay: 9,5

Longevità: 9

VOTO FINALE: 9,5

Francesco Pellegrino Lise

Spyro Reignited Trilogy, il
draghetto torna in HD
Spyro, il famosissimo draghetto viola presente nelle case di
tutto il mondo a fine anni ’90, fa un epico ritorno con
l’uscita di Spyro Reignited Trilogy. Il videogioco, regala
agli appassionati una collezione di giochi completamente
rivista, con nuovi personaggi, animazioni, ambienti, luci e
filmati, tutto rigorosamente in HD. Con la sua uscita gli
appassionati della serie potranno rivivere i tre capitoli che
hanno reso il personaggio una vera e propria icona del gaming,
ma anche volare verso nuove vette, scatenare terribili
attacchi di fuoco ed esplorare oltre di 100 nuove
ambientazioni piene di dettagli in grado di far rivivere
Dragon Realms e Avalar come mai prima. La trilogia è
disponibile per PlayStation 4, e Xbox One al prezzo di 39.99
euro. Con Spyro Reignited Trilogy, quindi sarà possibile
giocare a una versione ampliata di Spyro the Dragon, Spyro 2:
Ripto’s Rage! e Spyro: Year of the Dragon, i tre titoli
originali, migliorati con un tocco moderno che li rendono più
freschi, divertenti, ma soprattutto più adatti ai giocatori di
oggi. In aggiunta, il doppiatore e attore Tom Kenny fa il suo
ritorno nel franchising come voce di Spyro in tutti e tre i
giochi. In questa nuova versione firmata Toys For Bob, i fan
storici potranno inoltre godersi le colonne sonore originali,
e una nuovissima sinfonia del noto compositore Stewart
Copeland. Il gioco offre inoltre una funzionalità audio in-
game che consente di passare dalla colonna sonora originale a
quella rimasterizzata, per coloro che desiderano un’esperienza
di gioco più classica. Basterà selezionare tale feature nel
“menu delle opzioni” in qualsiasi momento durante il gioco e
dar sfogo al loro mood, sia esso nostalgico o eccitato, e
tornare poi nel vivo dell’azione senza perdere i dati di gioco
salvati.

Con Spyro Reignited Trilogy ci si trova quindi dinanzi a tre
grandi classici, tre diverse avventure, simili ma allo stesso
tempo diverse, con ogni capitolo che di fatto è l’upgrade del
precedente (proprio come è accaduto con Crash Bandicoot, qui
la nostra recensione). Una formula vincente impostasi negli
anni ’90 che ci portiamo dietro ancora oggi, soprattutto
parlando di saghe che devono mantenere uscite annuali o poco
più. Ma veniamo all’analisi dei singoli titoli: in Spyro the
Dragon, che nel 1998 ha dato inizio a tutto,il perfido Nasty
Norc, un essere malvagio a cui è impedito l’accesso al Regno
dei Draghi, è stufo di essere insultato in TV da questa razza
leggendaria e con un incantesimo li trasforma tutti in statue.
Ma il suo incantesimo non riesce del tutto in quanto il
piccolo Spyro viene risparmiato e tocca proprio a lui
ritrovare tutti i draghi mutati in pietra e liberarli. Per
potere accedere ai vari mondi Spyro deve raccogliere un numero
di gemme ben preciso con cui letteralmente pagarsi un viaggio
in mongolfiera dato che è ancora troppo piccolo per coprire
lunghe distanze volando. E nonostante la situazione di
emergenza, il pilota non è interessato a far viaggiare Spyro
gratis, che gli affari sono affari. Le gemme colorate sono
sparse per i vari livelli, a cui si accede attraverso dei
portali e che ci faranno attraversare l’intero Regno dei
Draghi, fatto di vaste pianure, picchi altissimi, aree
desertiche o innevate. Un look fiabesco e coloratissimo, che
grazie al lavoro di restyling operato in questa collection,
risplende più che mai. Spyro è animato in maniera eccezionale,
è pratico da controllare e certe legnosità dell’originale sono
state limate. Resta comunque un quadrupede nano, con una
visibilità sicuramente ridotta rispetto a chi sa ergersi su
due gambe, ma la telecamera è stata sistemata rispetto al
passato e quindi non sono presenti tutti quei problemi che
affliggevano il titolo nella sua formula originale. In questo
primo capitolo della saga si salta, si sputa fuoco, si plana e
in alcuni livelli speciali si può persino volare grazie al
potere delle fatine amiche di Spyro. Però non si nuota, anzi
si affoga malamente dopo aver toccato l’acqua, quindi è
necessario fare molta attenzione a dove si poggiano le zampe.
Per poter nuotare liberamente sarà necessario giocare alla
seconda avventura del draghetto, Spyro 2: Ripto’s Rage, che
vede il protagonista giocarsi le vacanze perché risucchiato
nel mondo di Avalar da parte del Professore, che ha bisogno di
lui per salvare il suo mondo dall’invasore multidimensionale
Ripto. Antagonista sopra le righe che fra le altre cose odia i
draghi a morte. Chi quindi meglio di Spyro per sconfiggerlo?
Mondo diverso, stessa storia. Ci sono i portali da attivare
per poter proseguire e raggiungere il covo di Ripto, stavolta
raccogliendo sfere magiche invece che liberare draghi, senza
dimenticare le gemme. Queste vanno accumulate per poter pagare
Riccone, ossia un grasso e peloso signore che donerà a Spyro
abilità particolari come la possibilità di arrampicarsi o di
nuotare sott’acqua. A volte questo npc semplicemente si farà
pagare per abbassare un ponte o per noleggiare un mezzo di
trasporto, per la solita regola presente in molti videogames
che vede il vil denaro venir prima della salvezza del mondo. A
differenza del primo Spyro, dove i livelli sono completabili
al 100% sin da subito, il secondo capitolo introduce il
backtracking, costringendo i perfezionisti a tornare nelle
zone già visitate una volta ottenute le abilità necessarie per
raggiungere il completamento perfetto. Il tutto inizialmente
viene presentato in modo un po’ confusionario, ma andando
avanti nel gioco ci si fa presto l’abitudine, anche se, a
nostro avviso, la semplicità del primo capitolo è la formula
migliore e meno stressante per godersi l’avventura. Nella
terza avventura presenti in questa prestigiosa raccolta, Spyro
e la sua amica libellula Sparx devono esplorare i Regni
Dimenticati, dove un tempo pare vivessero i Draghi. Queste
terre sono governate da una temibile quanto crudele draghessa,
la Maga, che per vendetta per l’esilio manda il suo esercito
di mostri a rubare le uova di drago dal mondo di Spyro. Il
protagonista viene ovviamente chiamato a esplorare in lungo e
in largo questo nuovo mondo per recuperare tutte e 150 le uova
rubate e sconfiggere la perfida Maga. Grande aggiunta del
terzo capitolo è quella che vede l’eroe non più come unico
protagonista. In alcuni livelli speciali, infatti, si
controlleranno nuovi personaggi come il canguro Sheila, il
pinguino soldato Sergente Byrd, lo yeti Bentley, la scimmia
Agente 9 o Hunter, felino cacciatore conosciuto nel secondo
episodio. Questi personaggi hanno abilità uniche, dai poderosi
salti alla forza bruta, passando per il volo. C’è persino la
possibilità di controllare la libellula Sparx, in labirinti in
miniatura creati apposta per lei. I livelli pensati per i
nuovi personaggi sono interessanti, ma oggi come allora
appaiono a volte meno curati rispetto al mondo di gioco, e un
po’ più imprecisi. Dopo ore passate a controllare il solo
Spyro può disorientare trovarsi davanti qualcosa di
completamente diverso, ma resta apprezzabile la varietà che
Insomniac cercò di infondere in questa terza parte della saga.

A livello tecnico e grafico, le animazioni di Spyro sono solo
uno degli aspetti che Toys for Bob ha curato nella
ricostruzione del gioco e forse non è il primo che salta
all’occhio quando ci si trova all’interno dei livelli. Tutto è
stato rifatto da zero e con una precisione maniacale: è stato
rivisto il design di ogni singolo personaggio, nemico e
animaletto che popola i mondi di gioco mentre gli scenari sono
stati arricchiti da numerosi particolari ma senza diventare
irriconoscibili. Quello che segna però realmente l’aspetto del
gioco sono le luci e l’acqua, perfettamente gestiti
dall’Unreal Engine 4. Per quanto Spyro sia sempre stato un
gioco molto colorato, e in questo la Reignited Trilogy non si
smentisce, quello che mancava totalmente ai tempi era la
profondità data dalle ombre, inesistenti. Ora i giochi di luce
sono parte integrante dell’ambiente, ricreando non solo
un’atmosfera davvero suggestiva ma interagendo con l’acqua in
un modo mai visto in Spyro. Immergendosi in acqua si
percepisce la consistenza del fluido e la quantità di luce
presente nel livello influisce sulla visibilità. Il lavoro di
aggiunta e perfezionamento influenza tanto il lato grafico
quanto il comparto audio. Gli effetti sonori già presenti nei
vecchi titoli sono leggermente diversi ma tutti ben
riconoscibili mentre molti altri sono stati aggiunti: tendendo
l’orecchio si può sentire il battito d’ali di Sparx, il
ticchettare degli artigli di Spyro sulle superfici dure o il
rumore di zoccoli del fauno Elora. Perfetta poi la
riproposizione delle musiche originali di Stewart Copeland,
curate per l’occasione proprio dal compositore. Noi italiani
poi ci troviamo, finalmente, di fronte ad una localizzazione
efficace con doppiatori all’altezza del ruolo. Tirando le
somme, questa Spyro Reignited Trilogy rappresenta un lavoro di
grandissimo pregio da parte di Toys for Bob, sottolineato dal
fatto che l’intera opera di rimasterizzazione è stata
realizzata partendo da zero, senza avere una base sulla quale
appoggiarsi. Sebbene per il primo capitolo rappresenta fra i
tre il più debole, non c’è davvero nulla da recriminare agli
altri due giochi presenti nella collezione, delle piccole
perle riproposte con uno stile grafico e tecnico che si esalta
al punto tale da volerne sempre di più. Spyro è un platform
che merita di essere riscoperto oggi per chi vent’anni fa non
ne ebbe l’opportunità, va fatto conoscere alle nuove
generazioni e merita di essere rigiocato da tutti quei
giocatori nostalgici che rimpiangono i giochi di quegli anni.
A Toys for Bob va un plauso per aver saputo gestire un compito
per niente facile: donare alle console di attuale generazione
un platform dal sapore old-school capace di inserirsi
perfettamente al giorno d’oggi. Il prezzo davvero invitante
per tre giochi di questo calibro è poi la ciliegina sulla
torta! Lasciarsi sfuggire Spyro Reignited Trilogy sarebbe
davvero un grave errore.

GIUDIZIO GLOBALE:
Grafica:8,5
Sonoro: 8,5
Longevità: 8
Gameplay: 8,5
VOTO FINALE: 8,5

Francesco Pellegrino Lise

Mega Man 11, l’eroe di Capcom
non passa mai di moda
Chi è cresciuto negli anni 80’ ed era un fortunato possessore
del NES (Nintendo Entertainment System) ha sicuramente giocato
a uno dei capitoli di Mega Man. La serie a scorrimento
laterale di Capcom ha avuto un successo talmente grande in
quegli anni che il titolo ebbe ben cinque sequel per la stessa
piattaforma, una cosa mai vista a quei tempi. Con il passare
degli anni, però, la serie non è morta, ma anzi, attraverso
nuove idee, lanciando una serie parallela chiamata Mega Man X
su SNES, poi proseguita su console a 32-bit, e provando
esperimenti con Battle Network e Legends, per finire con le
immancabili collection per piattaforme moderne e dispositivi
mobile, il Blue Bomber non ha mai smesso di essere presente
nelle varie epoche del gaming. La serie principale in 2D in
stile 8-bit è però rimasta sempre la più apprezzata dai fan e
il ritorno alle origini con Mega Man 9 del 2008 prima, e Mega
Man del 2010 poi, ne sono una prova inconfutabile. Per
celebrare il trentesimo anniversario della serie, Capcom ha
realizzato Mega Man 11, che arriva su PS4, Xbox One, Windows e
Switch. Testando quest’ultima versione possiamo dire che
nonostante l’età, dopo trent’anni di onorato servizio Mega Man
ha ancora una grinta da vendere e si rende un titolo
appetibile sia per il pubblico odierno, sia per gli amanti del
retrogaming e delle console vintage. Ma facciamo un passo
indietro, con il nono capitolo della serie Capcom ha segnato
un ritorno alle origini, proponendo tale e quale lo stile
grafico e di gameplay 8-bit dei capitoli 1-6 per NES, con
tanto di colonna sonora in chip-tune. Tale idea ha
letteralmente mandato i fan di vecchia data in visibilio poi,
sulla scia di quell’entusiasmo, nel 2010 il publisher ha
lanciato il decimo capitolo, che sostanzialmente non cambiava
le carte in tavola proponendo un titolo esteticamente parlando
identico.

Con Mega Man 11 però Capcom ha voluto segnare un punto di
rottura con il passato. Viene abbandonato l’approccio degli
ultimi capitoli e per la prima volta in tanti anni arriva
qualcosa di concreto che tenta di svecchiare la formula
classica del gioco a livello estetico. Lo stile grafico di
questo undicesimo capitolo, infatti, è 2.5D, ovvero personaggi
poligonali su uno schermo bidimensionale con sfondi e
animazioni disegnati completamente a mano, una vera gioia per
gli occhi, credeteci. Mega Man ora può anche eseguire
scivolate, una mossa caratteristica della serie X, e c’è una
grandissima novità che riguarda il gameplay: Mega Man ora
monta un sistema chiamato Double Gear, idea progettata dal
perfido Dr.Wily quando studiava all’università, ma bocciata
dal suo collega “buono”, il Dr. Light, in quanto esso riteneva
potesse essere una minaccia se fosse caduta in mani sbagliate.
Questa feature in sostanza è un sistema che funziona a due vie
e che permette alternativamente di aumentare la potenza di
fuoco o di velocizzare i movimenti rallentando tutto quel che
si muove attorno al protagonista. L’attivazione ha una durata
limite e necessita di un cooldown, il sistema inoltre andrà in
sovraccarico se utilizzato troppo a lungo, risultando
indisponibile per un tempo abbastanza lungo, e in determinate
situazioni tale situazione diventa spesso fatale. Una scelta
fatta per impedirne l’abuso e facilitare troppo il gameplay.
Il Double Gear apre quindi la strada a un modo completamente
nuovo di giocare a Mega Man, che si avvicina sempre più a una
fluidità d’azione e a feature presenti nei titoli più moderni.
Per i puristi della saga sicuramente ci vorrà un po’ di tempo
per abituarsi a questo nuovo meccanismo, ma una volta imparato
ad usarlo è un vero e proprio spasso. Oltre a risultare
decisamente divertente e appagante infatti, andando avanti nei
livelli, specialmente in quelli più difficili, il Double Gear
diventa indispensabile per non incorrere in morti certe e a
ripetizione, alternando con saggezza potenza di fuoco e
velocità nei movimenti il protagonista diventa una vera
macchina inarrestabile in grado di compiere azioni
estremamente difficili ed esaltanti. Uccidendo nemici e sparsi
qua e là nella mappa possono essere trovate delle viti che
hanno la funzione dei classici crediti, accumulando questi
oggetti, prima di iniziare una missione il protagonista potrà
acquistare vite, moduli potenziamento e oggetti utili per
facilitare il cammino verso la sconfitta del perfido Dr. Wily.

Per quanto riguarda il resto, Mega Man 11 mantiene sempre lo
stesso DNA: otto livelli, ognuno presieduto da un boss di fine
livello dotato di un’arma particolare e possibilità di
affrontarli nell’ordine in cui l’utente preferisce. Una volta
sconfitto un boss (e credeteci non è affatto facile anche
difficoltà normale) ci si impossessa della sua arma
caratteristica, avendo la possibilità di utilizzarla a proprio
piacimento negli stage seguenti. Come sempre ogni potere
conquistato rappresenta un punto debole per uno dei boss,
quindi sta al giocatore scoprire in che ordine conviene
proseguire nella storia dopo aver compiuto il primo livello.
Vista l’elevata difficoltà che contraddistingue la serie, gli
sviluppatori hanno inserito quattro livelli di difficoltà:
principiante, facile, normale e Supereroe. Normale è quello
standard, da scegliere se si è veterani della serie, visto che
è duro da affrontare, molto duro credeteci. Scegliendo questo
livello di sfida è un numero limitato di vite per provare a
superare un livello, dopo il quale appare uno spietato game
over che riporta alla schermata di selezione del robot master
da affrontare (senza perdere i progressi fatti). Ogni livello
ha pochissimi checkpoint ed è costellato di passaggi che
richiedono memoria e precisione tecnica. Insomma, come
accadeva negli anni ‘80, i livelli vanno imparati ed eseguiti.
Il DNA della serie, del resto prevede una sfida sempre uguale
a se stessa, senza gli elementi aleatori e dinamici di Super
Mario e soci. Anche in questo caso, Mega Man 11 è un seguito
corretto, che dà ai fan esattamente quello che hanno amato
nelle vecchie avventure del Blue Bomber. Il livello facile
mantiene tutto ciò che rende speciale Mega Man, ma velocizza
il processo di apprendimento con una lieve diminuzione dei
danni e l’aggiunta di una manciata di checkpoint nei posti
giusti. Non è una sfida annacquata, e anzi tutta la
soddisfazione della vittoria rimane intatta. Semplicemente,
invece che perdere un intero pomeriggio per superare un
livello, se siete bravi, riuscirete agevolmente a farne due o
tre, salvandovi dalla ripetizione e dalla frustrazione
dell’era NES. C’è anche una modalità principianti, resa quasi
banale dall’impossibilità di cadere nei fossi e dalle vite
infinite, e una modalità difficile al di là di ogni possibile
concetto di sfida, ma in ogni caso può essere utile per i
giocatori più piccoli o per chi non ha mai avuto a che fare
con il Blue Bomber. La modalità supereroe è consigliata solo
ed esclusivamente per chi vuole una sfida crudele e che ha
piena consapevolezza del fatto che ogni errore, anche il più
piccolo, si può pagare con il fallimento. Insomma in Mega Man
11 c’è qualcosa per tutti, dai fan accaniti (che troveranno
anche una ricca gamma di challenge separate dalla campagna
principale e una modalità time attack dedicata a tutti gli
speedrunner) ai retrogamer della domenica. Graficamente
parlando il gioco è una vera gioia per gli occhi,
coloratissimo, sempre fluidissimo e bello da vedere. E’ un po’
quello che i nati degli anni ’80 sognavano giocando ai vecchi
capitoli, ma che non era possibile realizzare a causa della
tecnologia di quei tempi. Gradevole anche la colonna sonora
che con i suoi toni un po’ metal e un po’ techno si adattano
al ringiovanimento della saga. Purtroppo non ci sono brani che
sono destinati a restare impressi nella memoria, ma nel
complesso, assieme ai suoni di gioco, il comparto audio si
difende abbastanza bene. Tirando le somme, Mega Man 11 a
nostro avviso è quello che serviva per svecchiare una serie
icona del mondo del gaming. Questa trasposizione per Pc, Xbox
One, Ps4 e Switch farà la gioia dei vecchi appassionati, ma
siamo certi che avvicinerà anche tantissimi nuovi gamers al
magico universo del personaggio inventato da Capcom.

GIUDIZIO GLOBALE:
Grafica: 8,5
Sonoro: 7,5
Gameplay: 8
Longevità: 8
VOTO FINALE: 8

Francesco Pellegrino Lise

Hitman 2,                   l’agente              47       è
tornato
Hitman 2, il sequel dell’acclamato videogioco dedicato al
sicario più famoso dell’universo videoludico, è ora
disponibile per PlayStation 4, Xbox One e PC. Sviluppato da IO
Interactive, il titolo perfeziona l’esperienza da assassino in
ambiente sandbox, dando ai giocatori una libertà senza
paragoni per pianificare e completare le loro missioni,
scegliendo in modo creativo strumenti, armi, travestimenti e
tecniche furtive, sarà possibile scatenare sequenze di eventi
sempre nuove e imprevedibili. Hitman 2 porta i giocatori in
un’avventura a livello globale dentro sei intricate location
sparse per il globo: Hawke’s Bay (Nuova Zelanda), Miami
(Florida/U.S.), Santa Fortuna (Colombia), Mumbai (India),
Whittleton Creek (Vermont/U.S.) e la misteriosa Isola di Sgàil
(Atlantico del Nord). Tali luoghi si differenziano da quanto
visto in passato in quanto sono dei veri e propri ambienti
vivi, ricchi di angoli vibranti di vita, pieni di luoghi da
esplorare e che offrono ai giocatori la libertà di pianificare
l’assassinio perfetto. A due anni dal suo ultimo incarico,
l’Agente 47 scende di nuovo in campo con un sequel che
migliora quasi ogni aspetto del predecessore: Hitman 2
abbandona la formula episodica per proporre una soluzione più
tradizionale, con un pacchetto completo di missioni da giocare
tutte al lancio. L’Agente 47 e la sua fida “socia in affari”
Diana Burnwood tornano in azione esattamente dopo gli eventi
del primo capitolo: sono sulle tracce di una pericolosissima
élite segreta che affonda le proprie radici nell’alta società
e governa nell’ombra il destino del mondo. Ma in questo caso
la vicenda globale si intreccia con quella privata del famoso
Killer dallo sguardo di ghiaccio. Il passato di 47 emerge
dalla nebbia, ed i suoi ricordi si fanno sempre più nitidi
facendo così luce sul passato di uno dei protagonisti dei
videogame più oscuri di sempre. Ovviamente la trama del gioco
non brilla in maniera eccelsa in quanto gli sviluppatori hanno
voluto dare una corsia preferenziale al gameplay. Il comparto
narrativo infatti si riduce a un mero contorno di una
produzione assolutamente sensazionale che è in grado di
regalare ore e ore di forti emozioni. Il tentativo di voler
mostrare il lato “umano” dell’agente 47 resta comunque uno
spunto che meriterebbe un approfondimento superiore,
affiancato da uno storytelling più dinamico ed avvincente. Ma
veniamo al dunque, come già detto, IO Interactive ha scelto di
focalizzarsi soprattutto sul gameplay. Hitman 2 è una
prosecuzione del primo episodio, di cui recupera integralmente
la formula ludica, ampliandola e affinandola.

Quel che vien fuori è uno stealth game rigoroso e solidissimo,
un sandbox d’ampio respiro dove la creatività del giocatore
viene non soltanto assecondata, ma anche fortemente
incentivata dalla grandissima rosa di possibilità di azioni da
svolgere e di soluzioni disponibili. Lo scopo principale del
gioco non è tanto quello di eliminare il più in fretta
possibile i bersagli, ma di farlo nel modo più intelligente,
originale e silenzioso. La regola numero uno di qualsiasi
assassino professionista è la discrezione, e in Hitman 2 le
abilità di camuffamento e sfruttamento dell’ambiente
circostante che il giocatore metterà in campo valgono più di
qualsiasi pistola silenziata o di qualunque garrota. Ed ecco
che, ancora una volta, ci si trova ad operare in luoghi dalle
dimensioni molto vaste, intricate e stratificate, piene di
vicoli ciechi, di stradine secondarie, ingressi nascosti e
stanze segrete. Sarà quindi compito di chi sta dinanzi lo
schermo, per mantenere alto il buon nome dell’Agente 47,
conoscere a menadito non solo le routine delle prede, ma anche
la conformazione dell’area di gioco, in modo da scovare il
percorso più silenzioso, originale o spettacolare che conduce
sulla strada dell’omicidio perfetto. Tutte le ottime idee
saggiate nello scorso capitolo tornano in questo sequel con
una marcia in più: così facendo IO Interactive ha dato alla
luce un titolo davvero appagante sul fronte del gameplay, a
patto di avere la giusta pazienza per spulciare a menadito
ogni approccio a disposizione. Lo ricordiamo ancora una volta,
Hitman 2 non è uno shooter frenetico, ma una raffinata e
dettagliatissima avventura nel quale silenzio, discrezione
nelle azioni e sangue freddo sono le uniche chiavi per
vincere. Come detto in apertura, in Hitman 2 sono presenti ben
sei location differenti, ciascuna caratterizzata da una
planimetria piuttosto articolata, e non certo di immediata
lettura: spetterà al giocatore, dopo diversi tentativi,
memorizzare le scorciatoie, le vie di fuga, i nascondigli
ideali e i movimenti delle guardie, così da muoversi nella
maniera più “pulita”, senza destare sospetti. Le variabili, a
tal proposito, sono innumerevoli, tanto da lasciare sbalorditi
i giocatori più fedeli della saga e un po’ spaesate le persone
più inesperte. Il peggiore errore che si può fare in Hitman 2
è lasciarsi scoraggiare dagli insuccessi. La perfezione deriva
solo da un lungo e costante allenamento, quindi il titolo è
assolutamente sconsigliato a chi non ha pazienza, a chi vuole
esperienze che diano risultati immediati o a chi ha poco tempo
per giocare e vuole rilassarsi. In ogni caso per favorire una
giocabilità in grado di appagare sia i gamer più skillati che
quelli che non conoscono bene il genere, il team ha messo in
campo le cosiddette “Storie”: si tratta di soluzioni suggerite
direttamente dal gioco, attraverso alcuni indizi ed icone, che
guideranno chi sta dinanzi lo schermo verso il completamento
dell’incarico, proponendo una serie di passaggi ben scanditi.
Ogni capitolo ne contiene diverse, alcune più creative ed
altre più spettacolari: in entrambi i casi, ad una prima run,
Hitman 2 induce a terminare gli obiettivi seguendo simili
occasioni, permettendo quindi di familiarizzare con il
contesto e scoprire anche ulteriori dettagli sul background
narrativo. In ogni caso, se si è amanti delle sfide veramente
dure il gioco dà la possibilità di affidarsi interamente alla
fantasia in quanto è possibile scegliere di non seguire alcun
aiuto. Ed è proprio sotto questo punto di vista che Hitman 2
mostra la sua grandezza in quanto lascia all’utente una
libertà con pochi paragoni. Ci si può infatti travestire in
qualunque modo, creare distrazioni di ogni genere, provocare
cortocircuiti, incidenti automobilistici, avvelenare le
vittime o attirarle in disparte per poi eliminarle in maniera
silenziosa. Prima di agire, occorrerà sempre procedere con
cautela, origliando le conversazioni, raccogliendo i
documenti, aspettando il momento più propizio per colpire. Il
tutto, chiaramente, dovrà avvenire senza destare il benché
minimo sospetto in quanto generare il minimo sospetto può
rivelarsi una scelta fatale. In quanto produzione di altissimo
livello ogni mappa potrà richiedere anche diverse ore prima di
essere completata con un punteggio dignitoso. Proprio a
riguardo è bene sottolineare che maggiori XP si guadagnano
alla fine della missione e più velocemente si salirà di
livello, e questo a sua volta servirà a sbloccare inedite
possibilità d’azione, come nuove armi e location da cui
cominciare l’incarico. La rigiocabilità infatti è l’arma più
potente nella produzione di IO Interactive, e stimola il
giocatore a dare sempre il meglio sia per battere i propri
record, sia per confrontarsi con gli altri assassini sparsi
per il globo. Ovviamente, a fare la differenza è soprattutto
la meticolosità, la precisione, l’inafferrabilità. Non
uccidere innocenti, nascondere bene i corpi, esplorare fino in
fondo ogni anfratto sono tutte attività che non vanno quindi
assolutamente trascurate, pena un drastico calo delle
performance a fine prova e un guadagno di punti XP ridotto.
Nel menù di gioco è presente anche una modalità chiamata
Sniper Assassin, in cui il protagonista verrà incaricato di
eliminare tre bersagli all’interno di un’enorme villa, armato
unicamente del suo fucile. Che si tratti di un’attività
accessoria lo si intuisce sin da subito, considerata la
limitatezza dell’offerta, ma comunque è un ottimo passatempo.
In questa tipologia di gioco c’è una sola mappa da analizzare
dalla distanza, e 15 minuti di tempo per mettere a segno gli
omicidi, evitando che i bersagli fuggano e provando ad
eliminare il maggior numero di guardie del corpo. Anche in
questo caso, non mancano certo le uccisioni creative, sotto
forma di sfide che il team ci invoglia a completare, ma nel
complesso l’insieme ci è parso soltanto un fugace passatempo,
da giocare in solitaria o in cooperativa, che si esaurisce in
un lampo. A poco vale l’incentivo di sbloccare nuovi fucili e
potenziamenti ad ogni passaggio di livello, perché la presenza
di una singola mappa – almeno al momento – diminuisce
notevolmente la rigiocabilità. In ogni caso Sniper Assassin è
un ottimo modo per allenarsi nel mondo di gioco.

Hitman 2 offre anche un’altra inedita modalità, ossia la
Modalità Fantasma. Essa è una modalità multiplayer in cui due
giocatori si confrontano sulla stessa mappa, chiamati ad
uccidere il medesimo bersaglio. Il primo dei due assassini che
raggiunge 5 omicidi, si porta a casa l’attestato di miglior
killer. Ciascuna preda dovrà essere eliminata senza che il
cadavere venga rinvenuto nell’arco di circa 20 secondi, pena
l’annullamento del punto conquistato. Benché si muovano in
contemporanea, i giocatori che si sfidano agiscono nel proprio
mondo, che non viene influenzato in alcun modo dalle azioni
del rivale: nel corso della missione, però, sarà visibile il
“fantssma” dell’avversario molto simile per intenderci al
ghost che si vede nei giochi di macchine. Una simile scelta è
pensata per suscitare un pizzico di ansia durante i tentativi
di assassinio, acuita da un messaggio vocale che informa il
giocatore di ogni azione compiuta dal nemico, che sia un
cambio di vestiti o un omicidio messo a segno. Quindi c’è da
aspettarsi tanta adrenalina e forti emozioni. A livello
tecnico il gioco è nel complesso davvero ben fatto. Il colpo
d’occhio offerto dal motore di gioco è piacevole, soprattutto
per quanto riguarda i riflessi sulle superfici, i modelli
tridimensionali ben strutturati e le texture abbastanza
definite, nonostante ci sia qualche lentezza durante i
caricamenti delle stesse. Ci sono però dei grossi compromessi
in altri campi, soprattutto per quanto riguarda la scarsa
qualità delle ombre, che non sono proiettate dalle svariate
fonti di luce presenti nell’ambiente, i volti delle persone,
la cui pelle appare poco realistica, e le interazioni nulle
con piante o certi oggetti, attraversati come fossero
invisibili dall’Agente 47. Si tratta in ogni caso di
piccolezze che non minano per nulla l’esperienza di gioco che
ve lo ripetiamo ancora è veramente incredibile. Tirando le
somme, Hitman 2 è uno dei migliori videogiochi stealth
dell’intero panorama videoludico. Offre un ampio numero di
attività, sfide, arsenale e travestimenti per poter portare a
compimento i contratti dell’Agente 47, dando il meglio di sé
se giocato senza aiuti e alla massima difficoltà. Se si è alla
ricerca di un titolo che offra un buon livello di sfida e che
sia in grado di garantire situazioni adrenaliniche in un mondo
di gioco vasto e ben strutturato, questo gioco rappresenta un
vero e proprio gioiello.

GIUDIZIO GLOBALE:

Grafica: 9
Sonoro: 9
Gameplay: 8,5
Longevità: 9

VOTO FINALE: 9

Francesco Pellegrino Lise
Okami HD, il classico senza
tempo non smette mai di
stupire

A più di un decennio dal suo lancio su PlayStation 2, Okami
arriva su PC, PlayStation 4, Xbox One e Nintendo Switch con
una riedizione in Full HD e 4K. Prima di passare alla
recensione vera e propria del titolo è bene fare una breve
premessa per tutti coloro che si stanno chiedendo perché
questo titolo sia tutt’ora in grado di incantare nonostante
non si possa paragonare alle produzioni tripla A che
attualmente invadono il mercato videoludico? Bene, la risposta
è molto semplice. Esattamente come tanti altri classici senza
tempo, produzioni che in un modo o nell’altro sono riusciti a
far breccia e hanno fatto la storia segnando in maniera
indelebile tappe importanti nell’evoluzione dei videogiochi,
Okami basa la sua fortuna su caratteristiche che non
invecchiano, efficaci ed efficienti oggi come allora. Da
titolo di nicchia, soprattutto in Europa, il capolavoro che
narra dell’epopea della dea Amaterasu, nel corso degli anni ha
beneficiato di numerosi porting e rimasterizzazioni, entrando
a far parte della collezione di molte console a cavallo di più
generazioni. Dopo aver goduto di una seconda giovinezza su
Wii, Okami, nella sua edizione in alta definizione, torna a
calcare il palco delle piattaforme di nuova generazione
offrendo le stesse emozioni di un tempo ma in un contesto
grafico e tecnico sicuramente migliore. La produzione nasce da
un’idea di Hideki Kamiya, il genio dietro a titoli come
Viewtiful Joe, God Hand, Resident Evil, Bayonetta e Devil May
Cry. Racconta la storia di un Giappone antico, feudale e
fiabesco, dove le forze del bene hanno riportato l’ordine in
un mondo flagellato da demoni e oscurità. I vincitori di
questo scontro, dapprima celebrati, vengono in seguito
dimenticati, complice un periodo di pace secolare. Accade così
che la storia si trasforma in mito e che la fede finisca per
sbiadire poco alla volta: in questo modo, il sigillo di
confinamento di ogni possibile nefandezza viene ingenuamente
spezzato. Aprire il vaso di Pandora del Sol Levante getta
nuovamente il mondo nel caos. I guardiani del Giappone
invocano l’intervento divino di Amaterasu, dea del Sole e
madre di tutte le cose. Incarnata nel lupo bianco Shiranui,
dovrà riportare la pace nei quattro angoli dell’isola di
Nippon riabilitando il suo potere divino e riaccendendo la
fede nel cuore delle persone.

Giocando a Okami HD il colpo d’occhio è assolutamente
mozzafiato, soprattutto se si nutre una certa ammirazione per
l’arte classica nipponica. Il regno che bisognerà esplorare è
reso attraverso campiture monocrome, separate da contorni
spessi e vistosi. Personaggi e scenari vibrano di vita,
costantemente scossi da un incessante vento, da animazioni
fluide e da colori brillanti che non sono mai utilizzati in
maniera superficiale. Si resta spesso e volentieri incanti di
fronte ai panorami offerti dal regno di Nippon, soprattutto
quando i giocatori li strapperanno dall’oscurità, ridonandogli
uno splendore dovuto alla natura rigogliosa e brillante.
Insomma, con Okami HD è davvero difficile non rimanere
estasiati dal particolarissimo art design che, come già
accennato in precedenza, non conosce l’incedere del tempo, ma
resta sempre attuale perché frutto di uno sforzo creativo
notevole. Il discorso è ugualmente valido anche dal punto di
vista prettamente ludico. Il titolo è tutt’ora in grado di
appassionare, forte di una formula che fa di tutto per
premiare il videogiocatore ad ogni azione compiuta, per ogni
piccolo compito svolto con successo. Il termine di paragone,
per chi non conoscesse il gioco, è The Legend of Zelda.
Similmente alla serie di Nintendo, nei panni della dea lupa
bisognerà esplorare varie aree, addentrarsi in pericolosi
dungeon, risolvere enigmi, e abbattere demoni pronti a mettere
i bastoni tra le ruote per impedire il cammino del
protagonista verso la vittoria. Tuttavia, a differenza di
quanto accade controllando Link, il focus è incentrato quasi
esclusivamente sull’esplorazione. I combattimenti, oltre ad
essere relativamente rari, si fondano su un combat system non
particolarmente profondo, né gli avversari sono dotati di
tattiche e mosse così ricercate, tali da mettere in difficoltà
chi si trova dinanzi lo schermo. Giocare a Okami HD il più
delle volte significherà cercare la strada giusta da imboccare
e spianare il sentiero sfruttando i poteri del Celestial
Brush, feature che permette di disegnare sullo schermo oggetti
o item utili alla causa. Si può, per esempio, riparare un
ponte interrotto, creare una bomba con cui far saltare in aria
un muro, spegnere un incendio con una brezza di vento, ma
anche alternare gli attacchi fisici di Amaterasu a fendenti
letteralmente dipinti sullo schermo. Per utilizzare questo
portentoso strumento, che ovviamente amplierà le sue
possibilità     nel    corso   dell’avventura,      rendendo
progressivamente raggiungibili nuove zone del regno di Nippon,
si può sia utilizzare lo stick analogico, come accadeva nella
versione originale del titolo, sia, nel caso in cui lo stiate
giocando su Switch, affidarsi agli accelerometri di uno dei
due Joy-Con, sia nel caso si stia giocando sulla TV di casa o
in modalità tablet.

Nonostante l’idea sia stuzzicante, alla prova dei fatti si
tratta di un sistema piuttosto scomodo, poco preciso, anche se
con la pratica si possono ottenere risultati accettabili. Al
di là degli enigmi, piuttosto semplici da risolvere, e della
progressione dell’avventura, classica e solo marginalmente
vivacizzata da meccaniche prese in prestito dai giochi di
ruolo, Okami HD tiene alto l’interesse del videogiocatore
regalandogli continuamente piccole e grandi soddisfazioni.
Sconfiggere un gruppo di demoni, utilizzare il Celestial Brush
per benedire una porzione di mappa, ricostruire un oggetto
distrutto, sono tutte azioni che ridoneranno splendore alle
ambientazioni che si esplorano. Allo stesso tempo, ci si
imbatterà con una certa frequenza in sentieri nascosti, tesori
da dissotterrare, gruppi di animali che in cambio di cibo
forniranno utilissimi punti esperienza. Insomma, a oltre un
decennio dal suo debutto su PlayStation 2, grazie ad una trama
che amalgama armoniosamente sacro e profano, momenti aulici ad
altri assolutamente demenziali, un design assolutamente
maestoso, un gameplay vario ed intrigante al punto giusto,
Okami HD è ancora oggi un gioco in grado di stupire e
divertire una fascia molto ampia di appassionati. Il titolo
era ed è tutt’ora una pietra miliare della storia del gaming,
un’avventura avvincente, visivamente strepitosa e ricca di
elementi singolari e unici nel loro genere. Epici scontri,
profezie e leggende ancora una volta potranno fare da contorno
a una storia leggendaria in grado di catturare il cuore di chi
si appresta a giocare. Okami HD è un’esperienza da provare,
unica nel suo genere ed estremamente valida.

GIUDIZIO GLOBALE:
Grafica: 8,5
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