MXGP 2019, Milestone fa felici gli appassionati di motocross
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MXGP 2019, Milestone fa felici gli appassionati di motocross Come ogni anno, anche per questo 2019 è finalmente arrivata l’ora di MXGP 2019: il titolo Milestone per Pc, Xbox One e Ps4 dedicato all’adrenalinico mondo del motocross che arriva, con questa edizione, alla sua quinta apparizione sul mercato. MXGP 2019, differentemente da quello che i più potrebbero pensare, non è affatto un prodotto di nicchia: la grande cura dei dettagli che la software house milanese riversa in ogni sua produzione, specialmente in quelle più recenti, rende il titolo un qualcosa di godibile per ogni giocatore, dai casual gamers fino ai piloti più esperti. C’è da dire che già dal primo avvio del gioco è difficile non rimanere colpiti da ciò che si vede sullo schermo. Non c’è componente di MXGP 2019 che non abbia ricevuto limature consistenti, ed i frutti del lavoro di miglioramento si possono notare fin dal primo momento in cui ci si confronta con i menù, i tutorial, l’interfaccia e la colonna sonora, tutti protagonisti di un
evidente e notevole balzo qualitativo. Ciascun elemento appare curato fin da principio, e questa piccola attenzione tecnica si riflette nella caratterizzazione di tutte le moto e delle componenti, che siano le finiture in carbonio di una marmitta della Arrow o le saldature sul metallo dell’Akrapovich. La licenza ufficiale del campionato Motocross ha permesso, come è ovvio, di riprodurre fedelmente piloti, livree, sponsor e tracciati, per una modalità carriera che ricalca le sequenze della stagione in corso. Ad ogni modo, è possibile anche “saltare” l’ostacolo, almeno in termini di personalizzazione dell’esperienza, affidando le fortune del pilota virtuale, creabile attraverso un editor, ad uno sponsor piuttosto che ad un altro. Si tratta, è bene precisarlo, di un’opportunità prettamente estetica, che garantisce all’utente di gestire a proprio gusto i “colori” e lo stile di moto, abbigliamento e accessori. Il vero modificatore dell’esperienza risiede però nella scelta di approccio. In pratica, è possibile tanto affrontare la campagna in modalità Standard, per un gameplay evidentemente arcade, quanto giocare di “fino” e, quindi, in modalità Realismo, per una fisica, specie quella legata ai pesi di moto e pilota, ben più intransigente. Proprio per queste ragioni, come accennavamo prima, il titolo può essere giocato e apprezzato da qualsiasi tipo di gamer. Ovviamente trattandosi di un gioco di motocross in gara bisogna badare non certo solo alla velocità, ma alla gestione dei salti e, quindi, al posizionamento del bolide piuttosto che del pilota. Insomma, la conoscenza dei tracciati, ma anche la corretta lettura delle varie situazioni, tra piloti avversari e ostacoli presenti a bordo pista, è essenziale per il raggiungimento delle prime posizioni. Anche ai livelli di difficoltà più bassi. Oltre alla modalità Carriera MXGP 2019 offre anche un simpatico editor dei tracciati. Imparando a utilizzarlo è quindi possibile creare la pista dei propri sogni sfruttando una serie di strumenti e preset
estremamente semplici ed efficaci, ma il risultato finale corrisponde raramente alle aspettative, perché la totale assenza di dislivelli e piccoli “fronzoli” estetici finisce per disegnare piste eccessivamente piatte e prive di una reale varietà. Per testare la propria moto poi esiste l’area Playground dove è possibile correre in una zona collinare della Provenza. Qui non solo è possibile confrontarsi con una simpatica serie di challenge capaci di toccare la destrezza in sella, l’abilità nel trial e la pura velocità, ma addirittura creare piccole gare “waypoint” artigianali attraverso le quali sfidare altri membri della community. Insomma, il Playground si è rivelato quella tavolozza che mancava all’editor dei tracciati, e risulta particolarmente affascinante perché riesce a deviare efficacemente dall’esperienza tradizionale, consentendo di scalare il fianco delle colline o di lanciarsi a tutto gas in un downhill suicida. La ciliegina sulla torta, poi, sta nella presenza di una “modalità finale” destinata esclusivamente a coloro che riuscissero a completare ogni sfida presente fra boschi e laghetti. Oltre a quanto elencato fino a ora, sono presenti altre modalità: dalla classica prova a tempo alla gara veloce, dove si potrà decidere se utilizzare il proprio pilota o uno dei campionati MXGP e MXGP 2. Insomma, a livello di offerta ludica il titolo non delude. A livello
tecnico ed estetico, MXPG 2019 è il titolo di Milestone con la caratterizzazione del rider più convincente in assoluto, e le decine di piccoli movimenti pensati per accompagnare ciascun sobbalzo in gara fanno un ottimo servizio al realismo. Realismo che si ritrova nell’estetica dei circuiti, ormai divenuti visivamente impeccabili, impreziositi da un gradevole sistema d’illuminazione e da immancabili effetti particellari. Gli skybox e gli sfondi regalano un’identità ed una palette cromatica proprie a ciascuna location, dai monti di Pietramurata, passando per le sterpaglie della Turchia, per arrivare infine alle piccole superfici acquatiche che fanno capolino fra i dossi di Shangai ed in Lettonia. Anche gli elementi storicamente più spigolosi, come le comparse fra il pubblico ed i modelli scenografici, sono arrivate a presentarsi in forma smagliante. La fase di gara scorre discretamente liscia, e non solo per merito dell’ottimo comparto visivo; al di là degli spigoli, abbiamo particolarmente apprezzato la marcia indietro fatta sul reset istantaneo al momento dell’uscita dal tracciato, sistema che penalizzava l’immersione e che ha finito per essere sostituito da un pratico timer. Le tanto discusse collisioni, invece, sembrano aver trovato finalmente la quadra, e capita molto raramente di trovarsi con la faccia nel fango senza una ragione precisa. Tirando le somme, si può senza
dubbio affermare come MXGP 19, al netto di qualche imperfezione come un frame rate non sempre stabilissimo (unica vera pecca del gioco), risulti un titolo più che godibile figlio di anni e anni di esperienza da cui Milestone è riuscita a imparare dai propri errori. Lo specializzarsi in un genere perfezionandolo sempre di più è ciò che, da sempre distingue l’azienda milanese da molte altre presenti sul mercato. Grande varietà, possibilità di essere goduto sia dai casual gamers, ma anche da chi cerca un’esperienza realistica, un editor di mappe e la possibilità di affrontare sfide nel Playground fanno sì che questo MXGP 2019 sia un titolo da tenere da conto. Fango, salti, velocità e adrenalina vi aspettano. GIUDIZIO GLOBALE: Grafica: 8,5 Gameplay: 8 Sonoro: 8 Longevità: 7,5 VOTO FINALE: 8 Francesco Pellegrino Lise
Bloodstained Ritual of The Night, l’erede indiscusso di Castlevania Bloodstained Ritual of The Night venne concepito nel 2014 quando il celebre producer Koji Igarashi, lasciato Konami, fu subissato di richieste di fan che chiedevano a gran voce un nuovo gioco in stile Castlevania. Non potendo usare però il brand, essendo di proprietà di Konami, Koji si ritrovò nella difficile situazione di dover trovare una maniera per reinventare il genere di cui per anni fu considerato il padre spirituale. Appoggiandosi quindi al crowfunding, e di fatto all’aiuto di quei fan che tanto volevano un degno successore dell’intramontabile Symphony Of The Night, Igarashi cominciò il lungo, e altri, travagliato, sviluppo di quello che a oggi
possiamo considerare il gioco che in molti avrebbero desiderato da moltissimo tempo. Inutile dire che se si è fan accaniti dell’originale Symphony of The Night è obbligatoriogiocare al più presto alla nuova opera di Koji Igarashi perché Bloodstained Ritual of The Night. Vi diciamo questo in quanto il titolo, disponibile su Pc, Xboxc One, Ps4 e Switch, altro non è che la summa di tutto ciò che è stato il ciclo di Castlevania negli anni in cui Iga lo ha diretto. Quindi non ci si trova solo di fronte a un seguito spirituale ma a una vera e propria autocelebrazione di un genere per mano del suo stesso produttore, ritrovatosi orfano della sua creatura ma non per questo deciso a rifulgere il proprio, storico, passato o a voltare le spalle alla sua fanbase. Se, invece, si è tra quella schiera di persone che non ha mai potuto o voluto affrontare l’immortale avventura di Alucard, potete prepararvi a comprendere l’arcana alchimia che permette a una produzione quale Bloodstained Ritual Of The Night, di risaltare in mezzo a un panorama ricolmo di titoli pregni di grafiche incredibili e narrazioni accattivanti, basandosi solo su un gameplay che dal 1997 a oggi ha caratterizzato un intero genere videoludico. Ma veniamo alla trama: alla fine del settecento, nel 1783 per la precisione, nel pieno della Rivoluzione Industriale, un gruppo di demoni attacca l’Inghilterra, compiendo dei terribili massacri. Per
fermarli, una gilda di alchimisti crea gli shardbinder, ossia degli esseri umani con impiantati dei cristalli imbevuti di potere demoniaco. La gilda, in collaborazione con la chiesa, riesce a fermare i demoni, ma al prezzo di migliaia di vittime. Gli shardbinder infatti muoiono tutti nel rito di purificazione dei cancelli demoniaci. Solo due sono riusciti a sopravvivere: Gebel, uscito illeso dal rito, e Miriam, addormentatasi poco prima che questo iniziasse. Da allora sono passati dieci anni e i demoni sono tornati sotto la guida di Gebel, ormai quasi completamente cristallizzato. L’unica che può fermarlo è Miriam, perché capace di sfruttare i poteri dei cristalli demoniaci presenti nel suo corpo. Ad aiutarla il fido Johannes, un ex- alchimista redento, l’esorcista Dominique e il guerriero Zangetsu, il protagonista di Bloodstained: Curse of Moon (spin-off stile NES della serie), utilizzabile anche in Ritual of the Night. Pad alla mano, sin dalle prime stanze si avverte tutta l’esperienza di Igarashi. I movimenti di Miriam sono molto simili alle movenze di Alucard (Il protagonista di Castevania Symphomy of the Night), c’è persino la scivolata tattica all’indietro e quella d’attacco in avanti. Il sistema di assorbimento dei cristalli è semplice ma intelligente: ogni volta che si incontra un nuovo nemico, dopo averlo sconfitto c’è una chance di ottenere un cristallo
che si potrà assorbire acquisendo le sue abilità specifiche. Ci sono tanti tipi di cristalli, di attacco, di difesa, di supporto e via discorrendo. Essi vanno equipaggiati e hanno un consumo di MP variabile in base al tipo stesso al grado. Grado che aumenta in base al numero di cristalli dello stesso demone che verranno trovati, con un meccanismo simile a un incremento del livello delle abilità. Nelle prime aree di gioco c’è una grande sensazione di gratificazione, in quanto si potranno incontrare nemici quasi sempre diversi ogni due tre stanze e si potranno trovare tanti cristalli, in maniera tale da poter provare tutte le abilità ad essi connesse. Uccidendo i nemici si potranno trovare come loot anche tanti materiali e ingredienti che inizialmente non è chiaro come utilizzare, salvo poi capirne meglio i meccanismi dopo aver incontrato compagni della Gilda e personaggi che si offrono di aiutare la protagonista nella missione, che spiegano come combinare gli oggetti e craftarne di nuovi. In Bloodstained Ritual of The Night, come anche accadeva in Castlevania SotN, consultare la mappa è sempre essenziale per capire dove bisogna andare, per comprendere la conformazione delle stanze alte e per trovare punti chiave e stanze segrete. Queste contengono quasi sempre equip potenti, oggetti per aumentare il cap di HP ed MP o anche NPC. Tra le diverse aree si trovano, come in ogni Castlevania che si rispetti, dei corridoi separatori, e ad ogni nuova area
corrisponde anche un cambio di musica in background e set di nemici. Talvolta potrà capitare di poter accedere contemporaneamente a più aree diverse, e generalmente il modo migliore per capire se si è scelto la strada giusta è saggiare la forza dei nemici: se servono più di quattro o cinque attacchi per eliminarli, generalmente è meglio battere in ritirata in quanto è richiesto un livello di potere più alto e si andrebbe incontro a morte certa. Man mano che si andrà avanti nell’avventura ci si dovrà scontrare con mini-boss e boss di livello. Questi ultimi sono quasi sempre accompagnati da delle cut-scene e richiedono una buona dose di run ed eventuali morti per trovare la tecnica giusta per superarli. Il backtracking è presente in maniera preponderante, ma fortunatamente ci sono i ben noti portali che permettono, una volta trovati e attivati, di viaggiare velocemente tra gli angoli più remoti della mappa. E quindi, ogni qualvolta si sblocca una nuova abilità che permette di eseguire nuove mosse, quasi sempre bisognerà tornare indietro per accedere alle parti della mappa inizialmente precluse. In Bloodstained Ritual of The Night però c’è anche spazio per qualche piccola novità. Infatti, strada facendo si potranno trovare diversi NPC che propongono tante missioni secondarie, come la vendetta del marito ucciso da un particolare tipo di demone, o la raccolta di ingredienti e oggetti specifici. Queste missioni aggiungono
ulteriore backtracking e quando se ne accettano più di una sarà facile confondersi o perdere di vista gli obiettivi. Fortunatamente gli sviluppatori hanno inserito un sistema di tracking che viene in aiuto con dei segnalini da posizionare sulla mappa. Bloodstained Ritual of The Night offre poi la possibilità di eseguire tante abilità e mosse speciali legate al tipo di arma brandita. E di armi ne esistono di varie categorie: spade corte e lunghe, pugnali, fruste, pistole mazze chiodate e persino opzioni per il combattimento a mani nude; e strada facendo troveremo delle librerie che ci svelano mosse segrete che aggiungono profondità al combattimento. Tra le novità implementate è bene evidenziare anche un sistema di assegnazione veloce delle abilità legate ai cristalli, che permette di cambiare rapidamente set di skill, pratica particolarmente utile nelle parti più avanzate del gioco quando i nemici si fanno più duri da abbattere e sfruttare le loro vulnerabilità diventa vitale. Da questo punto di vista il combattimento risulta più tattico e meno piatto rispetto al passato. C’è ampio margine anche nella customizzazione del personaggio, con armi, mantelli e accessori che hanno un impatto cosmetico ben visibile su Miriam. Inoltre, in un punto preciso del castello è presente anche un barbiere in grado di modificare l’acconciatura ed altri aspetti del look della
protagonista. Come da tradizione poi, non manca nemmeno una vasta enciclopedia che abbraccia personaggi, luoghi e mostri che appagherà la sete di conoscenza dei puristi del genere. Immancabili inoltre gli shop di armi e oggetti ed il mitico barcaiolo in stile Caronte. In termini di esplorazione e progressione, Bloodstained: Ritual of The Night è costruito in modo molto simile ad alcuni dei titoli della serie Castlevania già citati: c’è un’unica grande mappa, di cui molte zone diventano accessibili solo dopo aver sbloccato alcuni poteri specifici o dopo aver ottenuto certi oggetti, come il già citato doppio salto. Paradossalmente più si esplora, più la mappa sembra ampliarsi. Igarashi e i suoi hanno ottenuto questo effetto aumentando le diramazioni in modo graduale: non si arriva mai a sentirsi persi come accade in un Hollow Knight, ma in certi momenti non manca del sano disorientamento. Il tempo necessario per finire il gioco a livello Normal è noto, perché dichiarato dallo stesso Igarashi: una decina di ore. Si tratta in realtà di un abbaglio, nel senso che Bloodstained è costruito per essere esplorato in lungo e in largo e per essere finito più volte a diversi livelli di difficoltà. Parlando ora del comparto tecnico, il gioco ha fatto netti passi avanti durante il suo lungo sviluppo. Non poche erano le polemiche insorte per animazioni legnose, uno stile grafico vecchio ed effetti grafici
non all’altezza della generazione attuale. Igarashi ha però saputo rispondere bene a queste critiche cambiando tutto a poche settimane dal lancio, presentando un cambiamento radicale quasi da notte a giorno per effetti e stile grafico. Alcune aree sono veramente belle a vedersi, con tanti effetti particellari e oggetti in movimento in background che danno decisamente vita e spessore allo stile 2.5D. La colonna sonora è chiaramente ispirata a quella dei precedenti Castlevania ed è sicuramente uno dei punti di forza dell’intera produzione. Unica nota veramente negativa è da associare alla traduzione in italiano, davvero di mediocre fattura. Sicuramente farà contenti tutti quei giocatori che non conoscono altre lingue, ma doversi andare a rileggere dei testi in inglese per capirli fino in fondo non è affatto una cosa buona. Tirando le somme, Bloodstained Ritual of The Night non è solamente il successore spirituale di Symphony Of The Night, o del filone dei Castlevania in due dimensioni che hanno popolato le console portatili nel primo decennio degli anni 2000, ma è soprattutto una produzione coraggiosa, fede delle proprie radici e in gradi di dimostrare che il genere ha ancora molto da dire, specialmente se al timone c’è uno dei suoi storici fondatori. Con un solido gameplay in grado di divertire oggi come ventidue anni fa e un level design sopraffino, l’ultima creazione di Igarashi non solo riesce a
tenere testa a tutti i titoli usciti negli anni precedenti ma anche a ridefinire le basi del genere così come fu nel 1997 con la storia di Alucard. Se siete fan di Catlevania non giocare a questo titolo sarebbe un vero peccato in quanto incarna quanto di buono già visto in passato e lo eleva con alcune buone novità, con un gameplay fluido e con una trama avvincente. GIUDIZIO GLOBALE Grafica: 8,5 Sonoro: 9 Gameplay: 9,5 Longevità: 9 VOTO FINALE: 9,5 Francesco Pellegrino Lise Spyro Reignited Trilogy, il draghetto torna in HD
Spyro, il famosissimo draghetto viola presente nelle case di tutto il mondo a fine anni ’90, fa un epico ritorno con l’uscita di Spyro Reignited Trilogy. Il videogioco, regala agli appassionati una collezione di giochi completamente rivista, con nuovi personaggi, animazioni, ambienti, luci e filmati, tutto rigorosamente in HD. Con la sua uscita gli appassionati della serie potranno rivivere i tre capitoli che hanno reso il personaggio una vera e propria icona del gaming, ma anche volare verso nuove vette, scatenare terribili attacchi di fuoco ed esplorare oltre di 100 nuove ambientazioni piene di dettagli in grado di far rivivere Dragon Realms e Avalar come mai prima. La trilogia è disponibile per PlayStation 4, e Xbox One al prezzo di 39.99 euro. Con Spyro Reignited Trilogy, quindi sarà possibile giocare a una versione ampliata di Spyro the Dragon, Spyro 2: Ripto’s Rage! e Spyro: Year of the Dragon, i tre titoli originali, migliorati con un tocco moderno che li rendono più freschi, divertenti, ma soprattutto più adatti ai giocatori di oggi. In aggiunta, il doppiatore e attore Tom Kenny fa il suo ritorno nel franchising come voce di Spyro in tutti e tre i giochi. In questa nuova versione firmata Toys For Bob, i fan storici potranno inoltre godersi le colonne sonore originali,
e una nuovissima sinfonia del noto compositore Stewart Copeland. Il gioco offre inoltre una funzionalità audio in- game che consente di passare dalla colonna sonora originale a quella rimasterizzata, per coloro che desiderano un’esperienza di gioco più classica. Basterà selezionare tale feature nel “menu delle opzioni” in qualsiasi momento durante il gioco e dar sfogo al loro mood, sia esso nostalgico o eccitato, e tornare poi nel vivo dell’azione senza perdere i dati di gioco salvati. Con Spyro Reignited Trilogy ci si trova quindi dinanzi a tre grandi classici, tre diverse avventure, simili ma allo stesso tempo diverse, con ogni capitolo che di fatto è l’upgrade del precedente (proprio come è accaduto con Crash Bandicoot, qui la nostra recensione). Una formula vincente impostasi negli anni ’90 che ci portiamo dietro ancora oggi, soprattutto parlando di saghe che devono mantenere uscite annuali o poco più. Ma veniamo all’analisi dei singoli titoli: in Spyro the Dragon, che nel 1998 ha dato inizio a tutto,il perfido Nasty Norc, un essere malvagio a cui è impedito l’accesso al Regno dei Draghi, è stufo di essere insultato in TV da questa razza leggendaria e con un incantesimo li trasforma tutti in statue. Ma il suo incantesimo non riesce del tutto in quanto il piccolo Spyro viene risparmiato e tocca proprio a lui ritrovare tutti i draghi mutati in pietra e liberarli. Per potere accedere ai vari mondi Spyro deve raccogliere un numero di gemme ben preciso con cui letteralmente pagarsi un viaggio in mongolfiera dato che è ancora troppo piccolo per coprire lunghe distanze volando. E nonostante la situazione di emergenza, il pilota non è interessato a far viaggiare Spyro gratis, che gli affari sono affari. Le gemme colorate sono sparse per i vari livelli, a cui si accede attraverso dei portali e che ci faranno attraversare l’intero Regno dei Draghi, fatto di vaste pianure, picchi altissimi, aree desertiche o innevate. Un look fiabesco e coloratissimo, che grazie al lavoro di restyling operato in questa collection,
risplende più che mai. Spyro è animato in maniera eccezionale, è pratico da controllare e certe legnosità dell’originale sono state limate. Resta comunque un quadrupede nano, con una visibilità sicuramente ridotta rispetto a chi sa ergersi su due gambe, ma la telecamera è stata sistemata rispetto al passato e quindi non sono presenti tutti quei problemi che affliggevano il titolo nella sua formula originale. In questo primo capitolo della saga si salta, si sputa fuoco, si plana e in alcuni livelli speciali si può persino volare grazie al potere delle fatine amiche di Spyro. Però non si nuota, anzi si affoga malamente dopo aver toccato l’acqua, quindi è necessario fare molta attenzione a dove si poggiano le zampe. Per poter nuotare liberamente sarà necessario giocare alla seconda avventura del draghetto, Spyro 2: Ripto’s Rage, che vede il protagonista giocarsi le vacanze perché risucchiato nel mondo di Avalar da parte del Professore, che ha bisogno di lui per salvare il suo mondo dall’invasore multidimensionale Ripto. Antagonista sopra le righe che fra le altre cose odia i draghi a morte. Chi quindi meglio di Spyro per sconfiggerlo? Mondo diverso, stessa storia. Ci sono i portali da attivare per poter proseguire e raggiungere il covo di Ripto, stavolta raccogliendo sfere magiche invece che liberare draghi, senza dimenticare le gemme. Queste vanno accumulate per poter pagare Riccone, ossia un grasso e peloso signore che donerà a Spyro abilità particolari come la possibilità di arrampicarsi o di nuotare sott’acqua. A volte questo npc semplicemente si farà pagare per abbassare un ponte o per noleggiare un mezzo di trasporto, per la solita regola presente in molti videogames che vede il vil denaro venir prima della salvezza del mondo. A differenza del primo Spyro, dove i livelli sono completabili al 100% sin da subito, il secondo capitolo introduce il backtracking, costringendo i perfezionisti a tornare nelle zone già visitate una volta ottenute le abilità necessarie per raggiungere il completamento perfetto. Il tutto inizialmente viene presentato in modo un po’ confusionario, ma andando avanti nel gioco ci si fa presto l’abitudine, anche se, a nostro avviso, la semplicità del primo capitolo è la formula
migliore e meno stressante per godersi l’avventura. Nella terza avventura presenti in questa prestigiosa raccolta, Spyro e la sua amica libellula Sparx devono esplorare i Regni Dimenticati, dove un tempo pare vivessero i Draghi. Queste terre sono governate da una temibile quanto crudele draghessa, la Maga, che per vendetta per l’esilio manda il suo esercito di mostri a rubare le uova di drago dal mondo di Spyro. Il protagonista viene ovviamente chiamato a esplorare in lungo e in largo questo nuovo mondo per recuperare tutte e 150 le uova rubate e sconfiggere la perfida Maga. Grande aggiunta del terzo capitolo è quella che vede l’eroe non più come unico protagonista. In alcuni livelli speciali, infatti, si controlleranno nuovi personaggi come il canguro Sheila, il pinguino soldato Sergente Byrd, lo yeti Bentley, la scimmia Agente 9 o Hunter, felino cacciatore conosciuto nel secondo episodio. Questi personaggi hanno abilità uniche, dai poderosi salti alla forza bruta, passando per il volo. C’è persino la possibilità di controllare la libellula Sparx, in labirinti in miniatura creati apposta per lei. I livelli pensati per i nuovi personaggi sono interessanti, ma oggi come allora appaiono a volte meno curati rispetto al mondo di gioco, e un po’ più imprecisi. Dopo ore passate a controllare il solo Spyro può disorientare trovarsi davanti qualcosa di completamente diverso, ma resta apprezzabile la varietà che Insomniac cercò di infondere in questa terza parte della saga. A livello tecnico e grafico, le animazioni di Spyro sono solo uno degli aspetti che Toys for Bob ha curato nella ricostruzione del gioco e forse non è il primo che salta all’occhio quando ci si trova all’interno dei livelli. Tutto è stato rifatto da zero e con una precisione maniacale: è stato rivisto il design di ogni singolo personaggio, nemico e animaletto che popola i mondi di gioco mentre gli scenari sono stati arricchiti da numerosi particolari ma senza diventare irriconoscibili. Quello che segna però realmente l’aspetto del gioco sono le luci e l’acqua, perfettamente gestiti
dall’Unreal Engine 4. Per quanto Spyro sia sempre stato un gioco molto colorato, e in questo la Reignited Trilogy non si smentisce, quello che mancava totalmente ai tempi era la profondità data dalle ombre, inesistenti. Ora i giochi di luce sono parte integrante dell’ambiente, ricreando non solo un’atmosfera davvero suggestiva ma interagendo con l’acqua in un modo mai visto in Spyro. Immergendosi in acqua si percepisce la consistenza del fluido e la quantità di luce presente nel livello influisce sulla visibilità. Il lavoro di aggiunta e perfezionamento influenza tanto il lato grafico quanto il comparto audio. Gli effetti sonori già presenti nei vecchi titoli sono leggermente diversi ma tutti ben riconoscibili mentre molti altri sono stati aggiunti: tendendo l’orecchio si può sentire il battito d’ali di Sparx, il ticchettare degli artigli di Spyro sulle superfici dure o il rumore di zoccoli del fauno Elora. Perfetta poi la riproposizione delle musiche originali di Stewart Copeland, curate per l’occasione proprio dal compositore. Noi italiani poi ci troviamo, finalmente, di fronte ad una localizzazione efficace con doppiatori all’altezza del ruolo. Tirando le somme, questa Spyro Reignited Trilogy rappresenta un lavoro di grandissimo pregio da parte di Toys for Bob, sottolineato dal fatto che l’intera opera di rimasterizzazione è stata realizzata partendo da zero, senza avere una base sulla quale appoggiarsi. Sebbene per il primo capitolo rappresenta fra i tre il più debole, non c’è davvero nulla da recriminare agli altri due giochi presenti nella collezione, delle piccole perle riproposte con uno stile grafico e tecnico che si esalta al punto tale da volerne sempre di più. Spyro è un platform che merita di essere riscoperto oggi per chi vent’anni fa non ne ebbe l’opportunità, va fatto conoscere alle nuove generazioni e merita di essere rigiocato da tutti quei giocatori nostalgici che rimpiangono i giochi di quegli anni. A Toys for Bob va un plauso per aver saputo gestire un compito per niente facile: donare alle console di attuale generazione un platform dal sapore old-school capace di inserirsi perfettamente al giorno d’oggi. Il prezzo davvero invitante
per tre giochi di questo calibro è poi la ciliegina sulla torta! Lasciarsi sfuggire Spyro Reignited Trilogy sarebbe davvero un grave errore. GIUDIZIO GLOBALE: Grafica:8,5 Sonoro: 8,5 Longevità: 8 Gameplay: 8,5 VOTO FINALE: 8,5 Francesco Pellegrino Lise Mega Man 11, l’eroe di Capcom non passa mai di moda
Chi è cresciuto negli anni 80’ ed era un fortunato possessore del NES (Nintendo Entertainment System) ha sicuramente giocato a uno dei capitoli di Mega Man. La serie a scorrimento laterale di Capcom ha avuto un successo talmente grande in quegli anni che il titolo ebbe ben cinque sequel per la stessa piattaforma, una cosa mai vista a quei tempi. Con il passare degli anni, però, la serie non è morta, ma anzi, attraverso nuove idee, lanciando una serie parallela chiamata Mega Man X su SNES, poi proseguita su console a 32-bit, e provando esperimenti con Battle Network e Legends, per finire con le immancabili collection per piattaforme moderne e dispositivi mobile, il Blue Bomber non ha mai smesso di essere presente nelle varie epoche del gaming. La serie principale in 2D in stile 8-bit è però rimasta sempre la più apprezzata dai fan e il ritorno alle origini con Mega Man 9 del 2008 prima, e Mega Man del 2010 poi, ne sono una prova inconfutabile. Per celebrare il trentesimo anniversario della serie, Capcom ha realizzato Mega Man 11, che arriva su PS4, Xbox One, Windows e Switch. Testando quest’ultima versione possiamo dire che nonostante l’età, dopo trent’anni di onorato servizio Mega Man ha ancora una grinta da vendere e si rende un titolo appetibile sia per il pubblico odierno, sia per gli amanti del
retrogaming e delle console vintage. Ma facciamo un passo indietro, con il nono capitolo della serie Capcom ha segnato un ritorno alle origini, proponendo tale e quale lo stile grafico e di gameplay 8-bit dei capitoli 1-6 per NES, con tanto di colonna sonora in chip-tune. Tale idea ha letteralmente mandato i fan di vecchia data in visibilio poi, sulla scia di quell’entusiasmo, nel 2010 il publisher ha lanciato il decimo capitolo, che sostanzialmente non cambiava le carte in tavola proponendo un titolo esteticamente parlando identico. Con Mega Man 11 però Capcom ha voluto segnare un punto di rottura con il passato. Viene abbandonato l’approccio degli ultimi capitoli e per la prima volta in tanti anni arriva qualcosa di concreto che tenta di svecchiare la formula classica del gioco a livello estetico. Lo stile grafico di questo undicesimo capitolo, infatti, è 2.5D, ovvero personaggi poligonali su uno schermo bidimensionale con sfondi e animazioni disegnati completamente a mano, una vera gioia per gli occhi, credeteci. Mega Man ora può anche eseguire scivolate, una mossa caratteristica della serie X, e c’è una grandissima novità che riguarda il gameplay: Mega Man ora monta un sistema chiamato Double Gear, idea progettata dal perfido Dr.Wily quando studiava all’università, ma bocciata dal suo collega “buono”, il Dr. Light, in quanto esso riteneva potesse essere una minaccia se fosse caduta in mani sbagliate. Questa feature in sostanza è un sistema che funziona a due vie e che permette alternativamente di aumentare la potenza di fuoco o di velocizzare i movimenti rallentando tutto quel che si muove attorno al protagonista. L’attivazione ha una durata limite e necessita di un cooldown, il sistema inoltre andrà in sovraccarico se utilizzato troppo a lungo, risultando indisponibile per un tempo abbastanza lungo, e in determinate situazioni tale situazione diventa spesso fatale. Una scelta fatta per impedirne l’abuso e facilitare troppo il gameplay. Il Double Gear apre quindi la strada a un modo completamente
nuovo di giocare a Mega Man, che si avvicina sempre più a una fluidità d’azione e a feature presenti nei titoli più moderni. Per i puristi della saga sicuramente ci vorrà un po’ di tempo per abituarsi a questo nuovo meccanismo, ma una volta imparato ad usarlo è un vero e proprio spasso. Oltre a risultare decisamente divertente e appagante infatti, andando avanti nei livelli, specialmente in quelli più difficili, il Double Gear diventa indispensabile per non incorrere in morti certe e a ripetizione, alternando con saggezza potenza di fuoco e velocità nei movimenti il protagonista diventa una vera macchina inarrestabile in grado di compiere azioni estremamente difficili ed esaltanti. Uccidendo nemici e sparsi qua e là nella mappa possono essere trovate delle viti che hanno la funzione dei classici crediti, accumulando questi oggetti, prima di iniziare una missione il protagonista potrà acquistare vite, moduli potenziamento e oggetti utili per facilitare il cammino verso la sconfitta del perfido Dr. Wily. Per quanto riguarda il resto, Mega Man 11 mantiene sempre lo stesso DNA: otto livelli, ognuno presieduto da un boss di fine livello dotato di un’arma particolare e possibilità di affrontarli nell’ordine in cui l’utente preferisce. Una volta sconfitto un boss (e credeteci non è affatto facile anche difficoltà normale) ci si impossessa della sua arma caratteristica, avendo la possibilità di utilizzarla a proprio piacimento negli stage seguenti. Come sempre ogni potere conquistato rappresenta un punto debole per uno dei boss, quindi sta al giocatore scoprire in che ordine conviene proseguire nella storia dopo aver compiuto il primo livello. Vista l’elevata difficoltà che contraddistingue la serie, gli sviluppatori hanno inserito quattro livelli di difficoltà: principiante, facile, normale e Supereroe. Normale è quello standard, da scegliere se si è veterani della serie, visto che è duro da affrontare, molto duro credeteci. Scegliendo questo livello di sfida è un numero limitato di vite per provare a superare un livello, dopo il quale appare uno spietato game
over che riporta alla schermata di selezione del robot master da affrontare (senza perdere i progressi fatti). Ogni livello ha pochissimi checkpoint ed è costellato di passaggi che richiedono memoria e precisione tecnica. Insomma, come accadeva negli anni ‘80, i livelli vanno imparati ed eseguiti. Il DNA della serie, del resto prevede una sfida sempre uguale a se stessa, senza gli elementi aleatori e dinamici di Super Mario e soci. Anche in questo caso, Mega Man 11 è un seguito corretto, che dà ai fan esattamente quello che hanno amato nelle vecchie avventure del Blue Bomber. Il livello facile mantiene tutto ciò che rende speciale Mega Man, ma velocizza il processo di apprendimento con una lieve diminuzione dei danni e l’aggiunta di una manciata di checkpoint nei posti giusti. Non è una sfida annacquata, e anzi tutta la soddisfazione della vittoria rimane intatta. Semplicemente, invece che perdere un intero pomeriggio per superare un livello, se siete bravi, riuscirete agevolmente a farne due o tre, salvandovi dalla ripetizione e dalla frustrazione dell’era NES. C’è anche una modalità principianti, resa quasi banale dall’impossibilità di cadere nei fossi e dalle vite infinite, e una modalità difficile al di là di ogni possibile concetto di sfida, ma in ogni caso può essere utile per i giocatori più piccoli o per chi non ha mai avuto a che fare con il Blue Bomber. La modalità supereroe è consigliata solo ed esclusivamente per chi vuole una sfida crudele e che ha piena consapevolezza del fatto che ogni errore, anche il più piccolo, si può pagare con il fallimento. Insomma in Mega Man 11 c’è qualcosa per tutti, dai fan accaniti (che troveranno anche una ricca gamma di challenge separate dalla campagna principale e una modalità time attack dedicata a tutti gli speedrunner) ai retrogamer della domenica. Graficamente parlando il gioco è una vera gioia per gli occhi, coloratissimo, sempre fluidissimo e bello da vedere. E’ un po’ quello che i nati degli anni ’80 sognavano giocando ai vecchi capitoli, ma che non era possibile realizzare a causa della tecnologia di quei tempi. Gradevole anche la colonna sonora che con i suoi toni un po’ metal e un po’ techno si adattano
al ringiovanimento della saga. Purtroppo non ci sono brani che sono destinati a restare impressi nella memoria, ma nel complesso, assieme ai suoni di gioco, il comparto audio si difende abbastanza bene. Tirando le somme, Mega Man 11 a nostro avviso è quello che serviva per svecchiare una serie icona del mondo del gaming. Questa trasposizione per Pc, Xbox One, Ps4 e Switch farà la gioia dei vecchi appassionati, ma siamo certi che avvicinerà anche tantissimi nuovi gamers al magico universo del personaggio inventato da Capcom. GIUDIZIO GLOBALE: Grafica: 8,5 Sonoro: 7,5 Gameplay: 8 Longevità: 8 VOTO FINALE: 8 Francesco Pellegrino Lise Hitman 2, l’agente 47 è tornato
Hitman 2, il sequel dell’acclamato videogioco dedicato al sicario più famoso dell’universo videoludico, è ora disponibile per PlayStation 4, Xbox One e PC. Sviluppato da IO Interactive, il titolo perfeziona l’esperienza da assassino in ambiente sandbox, dando ai giocatori una libertà senza paragoni per pianificare e completare le loro missioni, scegliendo in modo creativo strumenti, armi, travestimenti e tecniche furtive, sarà possibile scatenare sequenze di eventi sempre nuove e imprevedibili. Hitman 2 porta i giocatori in un’avventura a livello globale dentro sei intricate location sparse per il globo: Hawke’s Bay (Nuova Zelanda), Miami (Florida/U.S.), Santa Fortuna (Colombia), Mumbai (India), Whittleton Creek (Vermont/U.S.) e la misteriosa Isola di Sgàil (Atlantico del Nord). Tali luoghi si differenziano da quanto visto in passato in quanto sono dei veri e propri ambienti vivi, ricchi di angoli vibranti di vita, pieni di luoghi da esplorare e che offrono ai giocatori la libertà di pianificare l’assassinio perfetto. A due anni dal suo ultimo incarico, l’Agente 47 scende di nuovo in campo con un sequel che migliora quasi ogni aspetto del predecessore: Hitman 2 abbandona la formula episodica per proporre una soluzione più tradizionale, con un pacchetto completo di missioni da giocare tutte al lancio. L’Agente 47 e la sua fida “socia in affari” Diana Burnwood tornano in azione esattamente dopo gli eventi
del primo capitolo: sono sulle tracce di una pericolosissima élite segreta che affonda le proprie radici nell’alta società e governa nell’ombra il destino del mondo. Ma in questo caso la vicenda globale si intreccia con quella privata del famoso Killer dallo sguardo di ghiaccio. Il passato di 47 emerge dalla nebbia, ed i suoi ricordi si fanno sempre più nitidi facendo così luce sul passato di uno dei protagonisti dei videogame più oscuri di sempre. Ovviamente la trama del gioco non brilla in maniera eccelsa in quanto gli sviluppatori hanno voluto dare una corsia preferenziale al gameplay. Il comparto narrativo infatti si riduce a un mero contorno di una produzione assolutamente sensazionale che è in grado di regalare ore e ore di forti emozioni. Il tentativo di voler mostrare il lato “umano” dell’agente 47 resta comunque uno spunto che meriterebbe un approfondimento superiore, affiancato da uno storytelling più dinamico ed avvincente. Ma veniamo al dunque, come già detto, IO Interactive ha scelto di focalizzarsi soprattutto sul gameplay. Hitman 2 è una prosecuzione del primo episodio, di cui recupera integralmente la formula ludica, ampliandola e affinandola. Quel che vien fuori è uno stealth game rigoroso e solidissimo, un sandbox d’ampio respiro dove la creatività del giocatore viene non soltanto assecondata, ma anche fortemente incentivata dalla grandissima rosa di possibilità di azioni da svolgere e di soluzioni disponibili. Lo scopo principale del gioco non è tanto quello di eliminare il più in fretta possibile i bersagli, ma di farlo nel modo più intelligente, originale e silenzioso. La regola numero uno di qualsiasi assassino professionista è la discrezione, e in Hitman 2 le abilità di camuffamento e sfruttamento dell’ambiente circostante che il giocatore metterà in campo valgono più di qualsiasi pistola silenziata o di qualunque garrota. Ed ecco che, ancora una volta, ci si trova ad operare in luoghi dalle dimensioni molto vaste, intricate e stratificate, piene di vicoli ciechi, di stradine secondarie, ingressi nascosti e
stanze segrete. Sarà quindi compito di chi sta dinanzi lo schermo, per mantenere alto il buon nome dell’Agente 47, conoscere a menadito non solo le routine delle prede, ma anche la conformazione dell’area di gioco, in modo da scovare il percorso più silenzioso, originale o spettacolare che conduce sulla strada dell’omicidio perfetto. Tutte le ottime idee saggiate nello scorso capitolo tornano in questo sequel con una marcia in più: così facendo IO Interactive ha dato alla luce un titolo davvero appagante sul fronte del gameplay, a patto di avere la giusta pazienza per spulciare a menadito ogni approccio a disposizione. Lo ricordiamo ancora una volta, Hitman 2 non è uno shooter frenetico, ma una raffinata e dettagliatissima avventura nel quale silenzio, discrezione nelle azioni e sangue freddo sono le uniche chiavi per vincere. Come detto in apertura, in Hitman 2 sono presenti ben sei location differenti, ciascuna caratterizzata da una planimetria piuttosto articolata, e non certo di immediata lettura: spetterà al giocatore, dopo diversi tentativi, memorizzare le scorciatoie, le vie di fuga, i nascondigli ideali e i movimenti delle guardie, così da muoversi nella maniera più “pulita”, senza destare sospetti. Le variabili, a tal proposito, sono innumerevoli, tanto da lasciare sbalorditi i giocatori più fedeli della saga e un po’ spaesate le persone più inesperte. Il peggiore errore che si può fare in Hitman 2 è lasciarsi scoraggiare dagli insuccessi. La perfezione deriva solo da un lungo e costante allenamento, quindi il titolo è assolutamente sconsigliato a chi non ha pazienza, a chi vuole esperienze che diano risultati immediati o a chi ha poco tempo per giocare e vuole rilassarsi. In ogni caso per favorire una giocabilità in grado di appagare sia i gamer più skillati che quelli che non conoscono bene il genere, il team ha messo in campo le cosiddette “Storie”: si tratta di soluzioni suggerite direttamente dal gioco, attraverso alcuni indizi ed icone, che guideranno chi sta dinanzi lo schermo verso il completamento dell’incarico, proponendo una serie di passaggi ben scanditi.
Ogni capitolo ne contiene diverse, alcune più creative ed altre più spettacolari: in entrambi i casi, ad una prima run, Hitman 2 induce a terminare gli obiettivi seguendo simili occasioni, permettendo quindi di familiarizzare con il contesto e scoprire anche ulteriori dettagli sul background narrativo. In ogni caso, se si è amanti delle sfide veramente dure il gioco dà la possibilità di affidarsi interamente alla fantasia in quanto è possibile scegliere di non seguire alcun aiuto. Ed è proprio sotto questo punto di vista che Hitman 2 mostra la sua grandezza in quanto lascia all’utente una libertà con pochi paragoni. Ci si può infatti travestire in qualunque modo, creare distrazioni di ogni genere, provocare cortocircuiti, incidenti automobilistici, avvelenare le vittime o attirarle in disparte per poi eliminarle in maniera silenziosa. Prima di agire, occorrerà sempre procedere con cautela, origliando le conversazioni, raccogliendo i documenti, aspettando il momento più propizio per colpire. Il tutto, chiaramente, dovrà avvenire senza destare il benché minimo sospetto in quanto generare il minimo sospetto può rivelarsi una scelta fatale. In quanto produzione di altissimo livello ogni mappa potrà richiedere anche diverse ore prima di essere completata con un punteggio dignitoso. Proprio a riguardo è bene sottolineare che maggiori XP si guadagnano alla fine della missione e più velocemente si salirà di livello, e questo a sua volta servirà a sbloccare inedite possibilità d’azione, come nuove armi e location da cui cominciare l’incarico. La rigiocabilità infatti è l’arma più potente nella produzione di IO Interactive, e stimola il giocatore a dare sempre il meglio sia per battere i propri record, sia per confrontarsi con gli altri assassini sparsi per il globo. Ovviamente, a fare la differenza è soprattutto la meticolosità, la precisione, l’inafferrabilità. Non uccidere innocenti, nascondere bene i corpi, esplorare fino in fondo ogni anfratto sono tutte attività che non vanno quindi assolutamente trascurate, pena un drastico calo delle performance a fine prova e un guadagno di punti XP ridotto. Nel menù di gioco è presente anche una modalità chiamata
Sniper Assassin, in cui il protagonista verrà incaricato di eliminare tre bersagli all’interno di un’enorme villa, armato unicamente del suo fucile. Che si tratti di un’attività accessoria lo si intuisce sin da subito, considerata la limitatezza dell’offerta, ma comunque è un ottimo passatempo. In questa tipologia di gioco c’è una sola mappa da analizzare dalla distanza, e 15 minuti di tempo per mettere a segno gli omicidi, evitando che i bersagli fuggano e provando ad eliminare il maggior numero di guardie del corpo. Anche in questo caso, non mancano certo le uccisioni creative, sotto forma di sfide che il team ci invoglia a completare, ma nel complesso l’insieme ci è parso soltanto un fugace passatempo, da giocare in solitaria o in cooperativa, che si esaurisce in un lampo. A poco vale l’incentivo di sbloccare nuovi fucili e potenziamenti ad ogni passaggio di livello, perché la presenza di una singola mappa – almeno al momento – diminuisce notevolmente la rigiocabilità. In ogni caso Sniper Assassin è un ottimo modo per allenarsi nel mondo di gioco. Hitman 2 offre anche un’altra inedita modalità, ossia la Modalità Fantasma. Essa è una modalità multiplayer in cui due giocatori si confrontano sulla stessa mappa, chiamati ad uccidere il medesimo bersaglio. Il primo dei due assassini che raggiunge 5 omicidi, si porta a casa l’attestato di miglior killer. Ciascuna preda dovrà essere eliminata senza che il cadavere venga rinvenuto nell’arco di circa 20 secondi, pena l’annullamento del punto conquistato. Benché si muovano in contemporanea, i giocatori che si sfidano agiscono nel proprio mondo, che non viene influenzato in alcun modo dalle azioni del rivale: nel corso della missione, però, sarà visibile il “fantssma” dell’avversario molto simile per intenderci al ghost che si vede nei giochi di macchine. Una simile scelta è pensata per suscitare un pizzico di ansia durante i tentativi di assassinio, acuita da un messaggio vocale che informa il giocatore di ogni azione compiuta dal nemico, che sia un cambio di vestiti o un omicidio messo a segno. Quindi c’è da
aspettarsi tanta adrenalina e forti emozioni. A livello tecnico il gioco è nel complesso davvero ben fatto. Il colpo d’occhio offerto dal motore di gioco è piacevole, soprattutto per quanto riguarda i riflessi sulle superfici, i modelli tridimensionali ben strutturati e le texture abbastanza definite, nonostante ci sia qualche lentezza durante i caricamenti delle stesse. Ci sono però dei grossi compromessi in altri campi, soprattutto per quanto riguarda la scarsa qualità delle ombre, che non sono proiettate dalle svariate fonti di luce presenti nell’ambiente, i volti delle persone, la cui pelle appare poco realistica, e le interazioni nulle con piante o certi oggetti, attraversati come fossero invisibili dall’Agente 47. Si tratta in ogni caso di piccolezze che non minano per nulla l’esperienza di gioco che ve lo ripetiamo ancora è veramente incredibile. Tirando le somme, Hitman 2 è uno dei migliori videogiochi stealth dell’intero panorama videoludico. Offre un ampio numero di attività, sfide, arsenale e travestimenti per poter portare a compimento i contratti dell’Agente 47, dando il meglio di sé se giocato senza aiuti e alla massima difficoltà. Se si è alla ricerca di un titolo che offra un buon livello di sfida e che sia in grado di garantire situazioni adrenaliniche in un mondo di gioco vasto e ben strutturato, questo gioco rappresenta un vero e proprio gioiello. GIUDIZIO GLOBALE: Grafica: 9 Sonoro: 9 Gameplay: 8,5 Longevità: 9 VOTO FINALE: 9 Francesco Pellegrino Lise
Okami HD, il classico senza tempo non smette mai di stupire A più di un decennio dal suo lancio su PlayStation 2, Okami arriva su PC, PlayStation 4, Xbox One e Nintendo Switch con una riedizione in Full HD e 4K. Prima di passare alla recensione vera e propria del titolo è bene fare una breve premessa per tutti coloro che si stanno chiedendo perché questo titolo sia tutt’ora in grado di incantare nonostante non si possa paragonare alle produzioni tripla A che attualmente invadono il mercato videoludico? Bene, la risposta è molto semplice. Esattamente come tanti altri classici senza tempo, produzioni che in un modo o nell’altro sono riusciti a far breccia e hanno fatto la storia segnando in maniera indelebile tappe importanti nell’evoluzione dei videogiochi, Okami basa la sua fortuna su caratteristiche che non
invecchiano, efficaci ed efficienti oggi come allora. Da titolo di nicchia, soprattutto in Europa, il capolavoro che narra dell’epopea della dea Amaterasu, nel corso degli anni ha beneficiato di numerosi porting e rimasterizzazioni, entrando a far parte della collezione di molte console a cavallo di più generazioni. Dopo aver goduto di una seconda giovinezza su Wii, Okami, nella sua edizione in alta definizione, torna a calcare il palco delle piattaforme di nuova generazione offrendo le stesse emozioni di un tempo ma in un contesto grafico e tecnico sicuramente migliore. La produzione nasce da un’idea di Hideki Kamiya, il genio dietro a titoli come Viewtiful Joe, God Hand, Resident Evil, Bayonetta e Devil May Cry. Racconta la storia di un Giappone antico, feudale e fiabesco, dove le forze del bene hanno riportato l’ordine in un mondo flagellato da demoni e oscurità. I vincitori di questo scontro, dapprima celebrati, vengono in seguito dimenticati, complice un periodo di pace secolare. Accade così che la storia si trasforma in mito e che la fede finisca per sbiadire poco alla volta: in questo modo, il sigillo di confinamento di ogni possibile nefandezza viene ingenuamente spezzato. Aprire il vaso di Pandora del Sol Levante getta nuovamente il mondo nel caos. I guardiani del Giappone invocano l’intervento divino di Amaterasu, dea del Sole e madre di tutte le cose. Incarnata nel lupo bianco Shiranui, dovrà riportare la pace nei quattro angoli dell’isola di Nippon riabilitando il suo potere divino e riaccendendo la fede nel cuore delle persone. Giocando a Okami HD il colpo d’occhio è assolutamente mozzafiato, soprattutto se si nutre una certa ammirazione per l’arte classica nipponica. Il regno che bisognerà esplorare è reso attraverso campiture monocrome, separate da contorni spessi e vistosi. Personaggi e scenari vibrano di vita, costantemente scossi da un incessante vento, da animazioni fluide e da colori brillanti che non sono mai utilizzati in maniera superficiale. Si resta spesso e volentieri incanti di
fronte ai panorami offerti dal regno di Nippon, soprattutto quando i giocatori li strapperanno dall’oscurità, ridonandogli uno splendore dovuto alla natura rigogliosa e brillante. Insomma, con Okami HD è davvero difficile non rimanere estasiati dal particolarissimo art design che, come già accennato in precedenza, non conosce l’incedere del tempo, ma resta sempre attuale perché frutto di uno sforzo creativo notevole. Il discorso è ugualmente valido anche dal punto di vista prettamente ludico. Il titolo è tutt’ora in grado di appassionare, forte di una formula che fa di tutto per premiare il videogiocatore ad ogni azione compiuta, per ogni piccolo compito svolto con successo. Il termine di paragone, per chi non conoscesse il gioco, è The Legend of Zelda. Similmente alla serie di Nintendo, nei panni della dea lupa bisognerà esplorare varie aree, addentrarsi in pericolosi dungeon, risolvere enigmi, e abbattere demoni pronti a mettere i bastoni tra le ruote per impedire il cammino del protagonista verso la vittoria. Tuttavia, a differenza di quanto accade controllando Link, il focus è incentrato quasi esclusivamente sull’esplorazione. I combattimenti, oltre ad essere relativamente rari, si fondano su un combat system non particolarmente profondo, né gli avversari sono dotati di tattiche e mosse così ricercate, tali da mettere in difficoltà chi si trova dinanzi lo schermo. Giocare a Okami HD il più delle volte significherà cercare la strada giusta da imboccare e spianare il sentiero sfruttando i poteri del Celestial Brush, feature che permette di disegnare sullo schermo oggetti o item utili alla causa. Si può, per esempio, riparare un ponte interrotto, creare una bomba con cui far saltare in aria un muro, spegnere un incendio con una brezza di vento, ma anche alternare gli attacchi fisici di Amaterasu a fendenti letteralmente dipinti sullo schermo. Per utilizzare questo portentoso strumento, che ovviamente amplierà le sue possibilità nel corso dell’avventura, rendendo progressivamente raggiungibili nuove zone del regno di Nippon, si può sia utilizzare lo stick analogico, come accadeva nella versione originale del titolo, sia, nel caso in cui lo stiate
giocando su Switch, affidarsi agli accelerometri di uno dei due Joy-Con, sia nel caso si stia giocando sulla TV di casa o in modalità tablet. Nonostante l’idea sia stuzzicante, alla prova dei fatti si tratta di un sistema piuttosto scomodo, poco preciso, anche se con la pratica si possono ottenere risultati accettabili. Al di là degli enigmi, piuttosto semplici da risolvere, e della progressione dell’avventura, classica e solo marginalmente vivacizzata da meccaniche prese in prestito dai giochi di ruolo, Okami HD tiene alto l’interesse del videogiocatore regalandogli continuamente piccole e grandi soddisfazioni. Sconfiggere un gruppo di demoni, utilizzare il Celestial Brush per benedire una porzione di mappa, ricostruire un oggetto distrutto, sono tutte azioni che ridoneranno splendore alle ambientazioni che si esplorano. Allo stesso tempo, ci si imbatterà con una certa frequenza in sentieri nascosti, tesori da dissotterrare, gruppi di animali che in cambio di cibo forniranno utilissimi punti esperienza. Insomma, a oltre un decennio dal suo debutto su PlayStation 2, grazie ad una trama che amalgama armoniosamente sacro e profano, momenti aulici ad altri assolutamente demenziali, un design assolutamente maestoso, un gameplay vario ed intrigante al punto giusto, Okami HD è ancora oggi un gioco in grado di stupire e divertire una fascia molto ampia di appassionati. Il titolo era ed è tutt’ora una pietra miliare della storia del gaming, un’avventura avvincente, visivamente strepitosa e ricca di elementi singolari e unici nel loro genere. Epici scontri, profezie e leggende ancora una volta potranno fare da contorno a una storia leggendaria in grado di catturare il cuore di chi si appresta a giocare. Okami HD è un’esperienza da provare, unica nel suo genere ed estremamente valida. GIUDIZIO GLOBALE: Grafica: 8,5
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