UNA COPIA DEL PERDUTO AUTOGRAFO DEL - DE MONTIBUS E LA COSTITUZIONE DEL TESTO CRITICO
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VALENTINA ROVERE UNA COPIA DEL PERDUTO AUTOGRAFO DEL DE MONTIBUS E LA COSTITUZIONE DEL TESTO CRITICO ESTRATTO da STUDI SUL BOCCACCIO 2021 ~ n. 49
STUDI SUL BOCCACCIO Volume quarantanovesimo Leo S. Olschki Editore 2021
Direzione GINETTA AUZZAS CARLO DELCORNO MANLIO PASTORE STOCCHI (†) STEFANO ZAMPONI Redazione MONICA BERTÉ ATTILIO BETTINZOLI (†) FABIO GIUNTA MARIA GOZZI NICCOLò GENSINI ANNA PEGORETTI PIERMARIO VESCOVO Direttore responsabile CARLO OSSOLA Comitato scientifico Claude Cazalé Bérard (Paris X - Nanterre) Marco Cursi (Università di Napoli Federico II) Maurizio Fiorilla (Università Roma Tre) Giovanna Frosini (Firenze, Accademia della Crusca - Siena, Università per stranieri) Robert Hollander (Princeton University) (†) Laura Lepschy Momigliano (University of London) Carlo Ossola (Parigi, Collège de France) Michael Papio (University of Massachusetts Amherst) Marco Petoletti (Milano, Università Cattolica del Sacro Cuore) Marco Veglia (Università di Bologna) Michelangelo Zaccarello (Università di Pisa) Manoscritti e libri per recensione e quanto riguarda la redazione vanno indirizzati a Carlo Delcorno, Viale Carducci 14, 40125 Bologna (carlo.delcorno@unibo.it). I saggi sottoposti alla rivista saranno accompagnati da un sommario in italiano e in inglese. I contributi ritenuti pubblicabili saranno valutati in ‘doppio cieco’ (peer review).
STUDI SUL BOCCACCIO Fondati da Vittore Branca Direzione: Ginetta Auzzas, Carlo Delcorno, Manlio Pastore Stocchi (†), Stefano Zamponi Volume quarantanovesimo Editi sotto gli auspici dell’Ente Nazionale Giovanni Boccaccio Leo S. Olschki Editore 2021
Tutti i diritti riservati Casa Editrice Leo S. Olschki Viuzzo del Pozzetto, 8 50126 Firenze www.olschki.it Con il contributo di
UNA COPIA DEL PERDUTO AUTOGRAFO DEL DE MONTIBUS E LA COSTITUZIONE DEL TESTOCRITICO * 1. Riflessioni preliminari Il repertorio geografico erudito De montibus composto da Boccaccio nella seconda metà del Trecento e non conservatosi in alcun manoscritto autografo attende ancora oggi di essere restituito in edizione critica. Sullo scorcio del secolo scorso Manlio Pastore Stocchi ne procurò il testo per la collana diretta da Vittore Branca, presentandolo tuttavia nella sua for- ma vulgata, ricostruita tramite la comparazione di sei manoscritti ritenuti maggiormente rappresentativi della tradizione.1 Recentemente il diziona- rio toponomastico è tornato al centro dell’interesse degli studiosi che si sono interrogati sul ruolo e sul valore dell’opera all’interno del comples- sivo disegno culturale di Boccaccio, sulla sua circolazione e sul suo testo.2 University of Helsinki - valentina.rovere@helsinki.fi This project has received funding from the European Union’s Horizon 2020 research and innovation programme under grant agreement No 716538 (MedPub, Medieval Publishing from c. 1000 to 1500). * Alla memoria di Manlio Pastore Stocchi siano dedicate queste riflessioni. 1 G. Boccaccio, De montibus, silvis, fontibus, lacubus, fluminibus, stagnis seu paludibus et de di- versis nominibus maris, a cura di M. Pastore Stocchi, in Tutte le opere di Giovanni Boccaccio, VIII/2, Milano, Mondadori, 1998 (d’ora in avanti = Mont.). Come segnalato alle pp. 2033-2034, l’editore si servì in particolare di: Berlin, Staatsbibliothek-Preußischer Kulturbesitz, lat. fol. 264; London, British Library, Harl. 5387; Oxford, New College Library, 262; Città del Vaticano, Biblioteca Apostolica Vaticana, Barb. lat. 330; Città del Vaticano, Biblioteca Apostolica Vaticana, Reg. lat. 1477; Città del Vaticano, Biblioteca Apostolica Vaticana, Urb. lat. 452. 2 Una visione d’insieme sull’opera nonché una retrospettiva sulla non abbondante biblio- grafia precedente è stata recentemente offerta da C.M. Monti, De montibus, in Boccaccio autore e copista (Firenze, Biblioteca Medicea Laurenziana, 11 ottobre 2013-11 gennaio 2014), a cura di T. De Robertis, C.M. Monti, M. Petoletti, G. Tanturli, S. Zamponi, Firenze, Mandragora, 2013, pp. 181-184. Questo contributo va ad aggiungersi al primo studio moderno interamente dedicato all’opera da M. Pastore Stocchi, Tradizione medievale e gusto umanistico nel “De montibus” del Boc- caccio, Padova, Cedam, 1963; alcune significative indicazioni sul repertorio geografico si trovano già nel datato ma ancora utile A. Hortis, Studj sulle opere latine del Boccaccio, Trieste, Dase, 1879. — 101 —
VALENTINA ROVERE In questo generale clima di rinnovata attenzione per l’opera geogra- fica è stata avviata negli scorsi anni da Michael Papio e Albert Lloret una nuova edizione del De montibus basata sulla collazione di tutti i testimoni dell’opera sopravvissuti.3 A partire dalle ricerche svolte per la mia tesi di dottorato sto parimenti approntando un’edizione del De montibus, basata su considerazioni e criteri in parte diversi da quelli degli studiosi americani: constatata la non completa affidabilità del metodo ricostruttivo per l’opera di geografia poetica di Boccaccio, ho preso in considerazione la complessi- va tradizione manoscritta alla ricerca di eventuali testimoni che mostrasse- ro un rapporto con il perduto autografo del De montibus, così da aggirare quanto più possibile i problemi di lineare applicazione dei dettami del me- todo stemmatico che quest’opera, a mio avviso, pone.4 La natura intrinseca del repertorio geografico e i criteri adottati da Boc- caccio nel realizzarlo rendono infatti estremamente complesso, se non in molti casi impossibile, stabilire la presenza di errori sicuri che possano fare da guida nello studio della folta tradizione manoscritta. L’opera è pensata come pratico strumento di lettura dei testi classici: «assumpsi loco iocosi laboris studentibus poetarum illustrium libros aut antiquorum hystorias re- 3 Sta per essere pubblicata per la Cambridge University Press l’edizione critica curata dai due studiosi, corredata da traduzione inglese e commento. I criteri seguiti sono stati presentati in M. Papio – A. Lloret, Notes for a critical edition of the “De montibus” and a few observations on “Rupibus ex dextris”, «Studi sul Boccaccio», XLVI, 2018, pp. 13-50. Oltre al focus sulla bibliogra- fia più recente e oltre a una valutazione generale dell’edizione Pastore Stocchi, Papio e Lloret offrono in quella sede i primi risultati delle ricerche. Servendosi del software Juxta 1.7 hanno effettuato una «complete collation of all the extant witnesses» avvicinandosi a un’idea accurata «of the whole stemma codicum» (ivi, p. 14). L’elenco dei manoscritti considerati e delle rispettive sigle identificative è fornito in calce al testo e conta sessantasette testimoni. Rispetto a tale cen- simento, mi attengo alle sigle lì assegnate (riprese dagli studiosi dai due volumi sulla tradizione delle opere di Boccaccio messi a punto da Vittore Branca), ma non includo nel computo i codici latori di soli excerpta del De montibus o del solo carme sull’Arno (Bu, L4, Vb1), ottenendo così un totale di sessantaquattro testimoni. Nelle mie analisi non considero per ora né la tradizione a stampa del De montibus né la traduzione castigliana dell’opera e il volgarizzamento di Niccolò Liburnio (inclusi tutti invece nelle collazioni di Papio e Lloret). Rispetto ai manoscritti indicati nel recente studio (ivi, pp. 49-50), mi limito a segnalare alcune sviste relative alle segnature di tre codici che devono così essere corrette: Ce1, Cesena, Biblioteca Malatestiana, S.XVII.4 (http:// catalogoaperto.malatestiana.it/ricerca/?oldform=mostra_codice.jsp?CODICE_ID=254 ulti- ma consultazione 5/5/2021); Co, Como, Biblioteca Comunale, 1.4.38 (https://manus.iccu. sbn.it/opac_SchedaScheda.php?ID=114269 ultima consultazione 5/5/2021); Gl, Glasgow, University Library, GB 247 MS Hunter 396 (http://collections.gla.ac.uk/#/details/ecatalogue/ 296766 ultima consultazione 5/5/2021). 4 V. Rovere, Il “De montibus” di Giovanni Boccaccio: testo, traduzione, commento, Dottorato di ricerca in Civiltà e culture linguistico-letterarie dall’antichità al moderno, tutor M. Fiorilla, Uni- versità degli Studi di Roma Tre, ciclo XXX, 2018. La nuova edizione del De montibus è in corso di realizzazione con il sostegno dell’Ente Nazionale Giovanni Boccaccio e il contributo del progetto ERC MedPub, Medieval Publishing from c. 1000 to 1500. — 102 —
UNA COPIA DEL PERDUTO AUTOGRAFO DEL DE MONTIBUS volventibus in aliquo levi opere, si possem, velle prodesse» (Mont., p. 1827). Circa duemila sono i toponimi che Boccaccio raccoglie, suddivide all’in- terno delle sette sezioni indicate dal titolo e quindi indicizza in ordine al- fabetico, corredando poi ogni lemma con la relativa descrizione naturale e la rispettiva collocazione geografica. Essendo nomi propri quelli degli enti naturali indicizzati e nomi propri quelli presenti nelle voci toponomastiche, il De montibus risulta costituito pressoché nella sua totalità da toponimi e, in misura minore, da etnonimi e nomi di personaggi storici o mitologici.5 Per la verifica dell’attendibilità di queste lezioni sono estremamente li- mitati, per non dire nulli, gli appigli forniti dalla geografia reale: concepito come sussidio allo studio dei testi classici, il De montibus ha come oggetto la geografia storica trasmessa dagli auctores e non la descrizione del mon- do fisico contemporaneo a Boccaccio, e non può essere dunque questa la strada per discriminare tra varianti ed errori.6 Ogni lemma è costruito per accumulo progressivo di fonti, che Boccaccio giustappone l’una all’altra generalmente con una minima rielaborazione autoriale, perlopiù attiva nella scomposizione e poi nel ri-assemblaggio delle fonti secondo un ordi- 5 Del medesimo avviso si diceva già Pastore Stocchi: «è proprio la fisionomia stessa dell’o- pera, e con essa il metodo e i criteri seguiti da Boccaccio nel comporla, che rende inevitabile questa sconsolata conclusione. [...] in pratica nessun apparente locus criticus nella tradizione manoscritta del nostro dizionario geografico dà affidamento per le esigenze stemmatiche né, in caso disperato, autorizza a interventi risanatori anche ovvii» (Mont., pp. 2033-2034). Al con- trario, è proprio questo assunto di base a essere revocato in dubbio da Papio e Lloret (Papio – Lloret, Notes, cit., pp. 17, 22). Per un’analisi più estesa di queste problematiche si veda V. Rove- re, Lacune, assenze e silenzi nel “De montibus” di Giovanni Boccaccio, in Spazi bianchi. Le espressioni letterarie, linguistiche e visive dell’assenza, a cura di A. Buoniconto, R. Cesaro, G. Salvati, Soveria Mannelli, Rubbettino, 2019, pp. 375-385. 6 È Boccaccio stesso a definire programmaticamente oggetto e funzione dell’opera all’in- terno del prologo generale: «Ad evitationem quorum (errori di collocazione e quindi di interpre- tazione) et indebite existimationis amovendos errores, celebres inter auctores quoscunque et potissime gentiles montes, silvas, fontes, lacus, fluvios, stagna seu paludes et maria et quo sub celo effluant et consistant ut comperi scribere mens est» (Mont., pp. 1827-1828). Sebbene di tanto in tanto la geografia contemporanea si affacci nelle voci toponomastiche, tali incursioni sono da considerarsi un’eccezione alla norma e, sebbene particolarmente interessanti per co- gliere la voce viva di Boccaccio che in quest’opera resta normalmente nascosta dietro le quinte della regia, agli occhi dell’editore tali riferimenti risultano quantitativamente in un numero estremamente irrisorio a fronte delle circa duemila entrate di cui si compone l’opera. Tali aperture alla realtà contemporanea sono normalmente associate a luoghi particolarmente cari o familiari a Boccaccio stesso e generalmente legati a reminiscenze o eventi personali: si con- sideri ad esempio il ricordo del fiume di Certaldo (Elsa fluvius, ivi pp. 1932-1933), la notazione personale relativa al Sebetus fluvius (ivi, p. 1971) e quanto messo in luce rispetto ai sempre cari luoghi napoletani da C.M. Monti, Il “De montibus” e i luoghi campani, in Boccaccio e Napoli. Nuovi materiali per la storia culturale di Napoli nel Trecento. Atti del Convegno “Boccaccio angioino” (Napoli-Salerno, 23-25 ottobre 2013), a cura di G. Alfano, E. Grimaldi, S. Martelli, A. Mazzuc- chi, M. Palumbo, A. Perriccioli Saggese, C. Vecce, Firenze, 2015, pp. 175-188. — 103 —
VALENTINA ROVERE ne e una struttura nuovi.7 Le fonti utilizzate non sono tuttavia mai espli- citate e le informazioni fornite sono genericamente riferite da Boccaccio all’autorità vaga di alii, aliqui, quidam, plures.8 Il riconoscimento dei testi compulsati dall’autore è dunque affidato in toto all’editore che si trova però spesso nella difficoltà di discernere se la fonte primaria sia stata il testo la- tino originario, come Boccaccio dichiara nell’epilogo all’opera («maiorum monumenta et potissime poetarum illustrium» (Mont., p. 2027), o, se, al contrario e come molte voci del repertorio dimostrano, si sia servito dei commenti e delle varie compilazioni medievali a sua disposizione.9 Pur tut- tavia, anche riconosciuta con buon margine di sicurezza la fonte specifica utilizzata dal Certaldese (e in quest’ottica la minima rielaborazione subita dalle fonti permette felici acquisizioni), la bontà delle lezioni da restituire a testo varia grandemente a seconda dell’esatto manoscritto effettivamente utilizzato da Boccaccio nel preciso momento della schedatura in vista del 7 Proprio la limitatezza del rimaneggiamento delle fonti da parte di Boccaccio si rivela uno dei fattori di maggior interesse per il De montibus. Come rilevava l’editore Pastore Stocchi infatti, «il De montibus mostra, ancor più di altre opere latine di Boccaccio, il nostro autore nel vivo del suo lavoro erudito maturo, lasciando allo scoperto i singolari meccanismi della sua ricerca di notizie e quelli della loro elaborazione secondo una tecnica non puntualmente cento- naria ma paragonabile semmai a quella di un meticoloso intarsio» (Mont., p. 2035). 8 Si tenga presente a tal proposito l’atteggiamento diametralmente opposto tenuto da Boccaccio nella Genealogia deorum gentilium, opera per molti versi accostabile al De montibus (C.M. Monti, “Genealogia” e “De montibus”: due parti di un unico progetto, «Studi sul Boccac- cio», XLIV, 2016, pp. 327-366). Nelle trattazioni mitografiche, ogni versione del mito narrato, ogni interpretazione allegorica fornita o almeno la loro stragrande maggioranza, sono ri- condotte all’autore specifico che le ha proposte e discusse (G. Boccaccio, Genealogie deorum gentilium, a cura di V. Zaccaria, in Tutte le opere di Giovanni Boccaccio, VII-VIII, Milano, Mon- dadori, 1998, d’ora in avanti = Gen.). A fronte dell’intento dichiarato da Boccaccio in aper- tura al De montibus di volere essere d’aiuto ai lettori degli auctores, la non esplicitazione delle fonti risulta ancora difficilmente spiegabile: se l’obiettivo è infatti quello di permettere una corretta interpretazione dei testi classici (Mont., p. 1827), non segnalare a chi vadano riferite le diverse collocazioni geografiche non esclude ma in parte aumenta il rischio di cadere in erronee valutazioni; quale che sia la motivazione, resta il fatto che nel testo tali rimandi non siano mai dichiarati. 9 Le indicazioni sui criteri seguiti per la composizione del De montibus sono segnalate da Boccaccio stesso nell’epilogo all’opera (Mont., pp. 2025-2029), in pagine teoriche «tra le più felici che egli abbia scritto su questioni filologico-erudite» (Mont., p. 1819). Per la traduzione e il commento dell’epilogo si consideri M. Berté – M. Petoletti, La filologia medievale e uma- nistica, Bologna, il Mulino, 2017, pp. 205-212. Per una visione d’insieme relativa all’approccio storico-filologico di Boccaccio si veda invece V. Fera, Storia e filologia tra Petrarca e Boccaccio, in Petrarca, l’Umanesimo e la civiltà europea. Atti del convegno internazionale (Firenze, 5-10 dicem- bre 2004), a cura di D. Coppini e M. Feo, Firenze, Le Lettere, 2012 («Quaderni petrarcheschi», XV-XVIII, 2005-2008), pp. 369-389 e, più recentemente, C.M. Monti, I danni della tradizione, l’umiltà dell’imperfezione. Boccaccio, la filologia e il pubblico, in Filologia e società. Episodi e contesti lungo la storia, a cura di S. Costa, F. Gallo, S. Martinelli Tempesta, M. Petoletti, Milano, Biblio- teca Ambrosiana-Centro Ambrosiano, 2020, pp. 133-152. — 104 —
UNA COPIA DEL PERDUTO AUTOGRAFO DEL DE MONTIBUS De montibus.10 E non è risolutivo o sufficiente nemmeno il confronto inter- testuale con le altre opere latine: sebbene infatti uno stesso episodio possa trovarsi anche in altre opere (in particolare accade spesso che il medesimo evento mitologico sia trattato sia nel De montibus – ninfe trasformate in fiumi, eventi mitici che accadano nelle selve o in particolari laghi e sor- genti – sia nella Genealogia deorum gentilium), si può verificare un cambio di fonte o, come è altrettanto dimostrabile, Boccaccio può essersi servito della medesima fonte derivandola però da manoscritti diversi.11 E ancora, nulla permette di escludere per Boccaccio autore e copista di sé stesso la probabilità di oscillazioni grafiche, attestate in casi di autografo conservato anche all’interno dei confini di uno stesso testo.12 A questo quadro già viziato da costante incertezza, vanno poi ad ag- giungersi tutti gli errori e le variazioni introdotte dai diversi copisti che nel tempo hanno trascritto il repertorio geografico: miglioramenti del te- sto messi in atto da copisti intelligenti – in parte autorizzati dallo stesso Boccaccio che nell’epilogo all’opera chiede ai suoi lettori di emendare il De montibus qualora fossero ad essi disponibili manoscritti delle fonti più corretti 13 – insieme all’usuale casistica di tutti gli errori che intervengono 10 Si consideri almeno quanto messo in luce relativamente alla Naturalis Historia di Plinio, fonte tra le più utilizzate all’interno del De montibus e disponibile a Boccaccio in diversi testimo- ni: M.D. Reeve, The Text of Boccaccio’s Excerpts from Pliny’s “Natural History”, «Italia medioevale e umanistica», LIV, 2013, pp. 135-152; G. Perucchi, Boccaccio geografo lettore del Plinio petrarche- sco, «Italia medioevale e umanistica», LIV, 2013, pp. 153-211; M. Petoletti, Boccaccio e Plinio il Vecchio: gli estratti dello “Zibaldone Magliabechiano”, «Studi sul Boccaccio», XLI, 2013, pp. 257-293. 11 Notava tale peculiarità già Pastore Stocchi: «Dove è possibile il confronto diretto (tra “Genealogie” e “De montibus”), come per esempio nel rispettivo racconto dei medesimi miti, ci si accorge con una lieta meraviglia non solo che Boccaccio evita di ripetersi e varia la sua narra- zione riscrivendola ex novo, ma che di regola la versione del De montibus, non preordinata ai fini dell’esegesi morale o fisica o razionalistica verso cui gravita quella delle Genealogie, riesce più sciolta e più chiara» (Mont., p. 1823). 12 Basti a tal proposito un’escussione del codice 52.9 della Biblioteca Medicea Laurenziana di Firenze, latore della prima redazione autografa della Genealogia deorum gentilium: non solo i nomi delle divinità e dei personaggi citati, ma più in generale la resa delle diverse forme grafi- che varia costantemente. Per la scrittura e gli usi del Certaldese nei suoi autografi si consideri- no M. Cursi, La scrittura e i libri di Giovanni Boccaccio, Roma, Viella, 2013 e M. Cursi – M. Fioril- la, Giovanni Boccaccio, in Autografi dei letterati italiani. Le origini e il Trecento, a cura di G. Brunetti, M. Fiorilla, M. Petoletti, Roma, Salerno Editrice, 2013, vol. I, pp. 43-103. 13 «Quod si correctioribus libris quam quos viderim usi lectores advertant, sint, queso, ad indulgentiam faciles et emendent» (Mont., p. 2027). Il topos di ascendenza classica della richiesta di correzione degli errori da parte dei lettori è disseminato in tutta la produzione di Boccaccio con chiaro carattere retorico (C. Ceccarelli, Prologhi ed epiloghi nella produzione di Giovanni Boc- caccio, Laurea magistrale in Filologia moderna, Prof. C.M. Monti, Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano, a.a. 2018). All’interno del De montibus tale appello assume però una diversa connotazione, ponendosi come reale richiesta di miglioramento di un testo in cui l’autore è — 105 —
VALENTINA ROVERE nella normale trascrizione di un testo. Simili considerazioni valgono certo per la trasmissione di una qualsiasi opera, ma nel caso del De montibus la sua natura di enciclopedia ordinata alfabeticamente e il numero elevatissimo di nomi propri, fanno sì che simili errori si moltiplichino quasi in proporzio- ne geometrica in ogni fase di copia: esponenziali sono il salto, l’unione o la scissione di voci (specialmente se omografe, omofone o semplicemente somiglianti tra loro), lo spostamento di toponimi o di gruppi di lemmi, insieme soprattutto alla trascrizione dei nomi propri secondo gli usi grafici peculiari dello scrivente, spesso di pari passo alla deformazione causata dal- le interferenze linguistiche specifiche di ogni copista. In questa selva fittissima di insidie e di veri e propri monstra testuali vengono in definitiva a frastagliarsi i confini entro cui definire con buon margine di sicurezza cosa sia da considerare un errore e cosa una variante, quanto sia da interpretare come un errore d’autore o cosa sia invece da ascrivere agli auctores utilizzati da Boccaccio, cosa ritenere un errore dei molti copisti del De montibus e cosa eventuale contaminazione orizzontale da collazione con altri testimoni. Per avere una riprova pratica di queste difficoltà teoriche, ho ugualmen- te compiuto un tentativo di studio della tradizione del De montibus secondo un approccio lachmanniano, al fine di constatarne l’effettivo margine di ap- plicabilità in termini effettivi, almeno rispetto alle risorse e alle tempistiche a me disponibili. Una volta definita l’attuale consistenza del testimoniale manoscritto,14 ho scelto di analizzare nel dettaglio la macrostruttura dell’o- pera (numero e ordine delle sezioni, rubriche, prologhi ed epilogo) e la sola struttura interna del De montibus, ovvero l’insieme dei quasi duemila lemmi indicizzati secondo ordine alfabetico nelle sette sezioni. A tale scopo ho rea lizzato delle tavole comparative prendendo come termine di riferimento la forma grafica e l’ordine dei lemmi così come fissati nell’edizione Pastore certo di aver introdotto degli errori: come dichiara lui stesso sempre nell’epilogo, Boccaccio sa di aver lavorato su codici scorretti spesso portatori di varianti ed errori e sa di non aver potuto raddrizzare ogni menda: siano perciò gli indulgenti lettori a intervenire e correggere. 14 Oggetto della mia tesi magistrale (V. Rovere, Il “De montibus” di G. Boccaccio. Tradizione, fortuna e fonti, Laurea magistrale in Filologia moderna, Prof. C.M. Monti, Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano, a.a. 2014), la tradizione manoscritta del De montibus è stata oggetto di ulteriori studi negli anni successivi, fino ad approdare a un censimento e a un catalogo comple- to offerto all’interno della tesi di dottorato. Prime indicazioni dei risultati ottenuti si possono leggere in V. Rovere, La struttura e la tradizione manoscritta del “De montibus” di Giovanni Boccac- cio. Prime indagini, in Nella moltitudine delle cose, Atti del Convegno internazionale (Copenaghen, 04 ottobre 2013), a cura di D. Capasso, Aonia Edizioni, 2016. Si consideri in aggiunta quanto segnalato da Papio – Lloret, Notes, cit., pp. 19-33 rispetto ai primi accertamenti su specifici rapporti tra i manoscritti e su precisi luoghi testuali problematici dell’opera. — 106 —
UNA COPIA DEL PERDUTO AUTOGRAFO DEL DE MONTIBUS Stocchi. In ogni manoscritto considerato ho preso in esame: l’ordine dei toponimi, la caduta di voci, la loro concrezione o il loro raddoppiamento, gli eventuali spostamenti all’interno delle sezioni di appartenenza di singoli lemmi o di gruppi più consistenti e infine le grafie con i quali i toponimi sono stati di volta in volta trascritti.15 Relativamente a fenomeni più generali, i manoscritti mostrano – co- me era prevedibile – l’intera casistica di possibili inf razioni. Sebbene una singola omissione o lo spostamento di un’unica voce toponomastica o anche l’unione di più lemmi non possano da soli essere considerati ele- menti congiuntivi (anche a f ronte di antigrafi diversi due diversi copisti potrebbero aver saltato la trascrizione della medesima voce, o potrebbe- ro averne unite due quasi omografe indipendentemente l’uno dall’atro, aiutati in questo dalla struttura e dall’ordine alfabetico), se considerati nel loro insieme, tali dati permettono di constatare l’esistenza di alcune linee di demarcazione utili per raggruppare in famiglie coerenti i testimo- ni considerati. Rispetto alle grafie i copisti sembrano essersi mossi in due direzioni divergenti e complementari (anch’esse pienamente comprensibili): da un lato si registra la tendenza a modificare la forma dei toponimi in modo idiosincratico, la tendenza ad allineare la grafia del nome alle proprie abitu- dini scrittorie e fonetiche (ad esempio secondo una generale tendenza allo scempiamento o viceversa al raddoppiamento consonantico, con un pecu- liare scioglimento delle abbreviazioni in caso di nessi consonantici nasali, con la tendenza a grafie antichizzanti o classicheggianti, con la reintrodu- zione dei dittonghi); dall’altro, la tendenza al conservativismo più acceso anche a fronte di antigrafi con lezioni palesemente inaccettabili (questo si verifica per lo più nei casi di toponimi stranieri, peregrini o comunque lontani dall’orizzonte culturale del copista). 15 Si tenga presente il diverso approccio seguito da Papio e Lloret, che non si sono limitati a considerare i toponimi lemmatizzati da Boccaccio, ma che hanno collazionato integralmente e per esteso l’intero testo del De montibus in ognuno degli oltre sessanta manoscritti dell’opera conservati (Papio – Lloret, Notes, cit., p. 14), approdando a una ricostruzione più dettagliata e affidabile dei rapporti tra i diversi testimoni. Un simile sforzo, compiuto anche grazie all’appor- to dei nuovi software informatici (i cui risultati sono però sempre stati controllati manualmen- te perché ne fosse assicurata l’accuratezza), permetterà notevoli acquisizioni rispetto alla storia del testo: «the simple fact that no complete collation had ever before been carried out meant that even some of the most heartfelt convictions of previous scholars could be neither proven or disproven» (ibid.). Quando entrambe le ricerche saranno portate a compimento si darà così l’eccezionale circostanza di poter confrontare i risultati di una completa collazione dell’intero testimoniale (mai tentata prima per il De montibus), insieme a quanto emerso dallo studio della tradizione manoscritta secondo la prospettiva storica, in una applicazione quanto mai rigorosa del virtuoso connubio di critica testuale e storia della tradizione. — 107 —
VALENTINA ROVERE Nonostante l’evidente produttività di questo tipo di analisi, tali indagi- ni non mi sono tuttavia sembrate risolutive ai fini della ricostruzione del testo del De montibus secondo la forma più vicina a quella fissata su per- gamena dalla penna di Boccaccio. L’insieme delle lezioni caratterizzanti relative ai toponimi, le peculiarità e le anomalie relative all’ordine alfabe- tico che si verificano nei manoscritti sono infatti certo utili a corroborare le linee di parentela tra i codici e permettono un buon orientamento tra i numerosi testimoni, ma non mi sembrano indicare una via sicura per la messa a punto di uno stemma e quindi per la successiva constitutio textus. Soprattutto se si considera come, anche avendo a disposizione uno stem- ma solido e affidabile, la restituzione dei nomi propri costituisca sem- pre un nodo problematico e difficilmente risolvibile tramite la sola via stemmatica. 2. Una copia del perduto autografo Sulla base di tali considerazioni la mia scelta è stata dunque quella di analizzare estensivamente e in maniera approfondita i sessantatré codici e il foglio sciolto latori dell’opera geografica: oltre alla descrizione codicolo- gica (caratteristiche esterne, decorazione, legatura, scrittura), all’aggiorna- mento di datazione e localizzazione, oltre alla ricostruzione della storia di ogni manoscritto alla ricerca di committenti, copisti, miniatori, possessori e lettori, ho cercato di riconoscere all’interno del testimoniale l’eventuale esistenza di manoscritti legati al convento di Santo Spirito a Firenze.16 Come è infatti noto, Boccaccio legò tramite disposizione testamentaria omnes suos libros (con l’eccezione del solo breviario) a Martino da Signa, fra- te agostiniano del convento d’Oltrarno; alla sua morte, Martino li avrebbe a sua volta dovuti lasciare ai banchi di Santo Spirito (di cui nel frattempo 16 I primi risultati di questa indagine possono leggersi in V. Rovere, Il ruolo di Santo Spirito nella tradizione del “De montibus”: alcune ipotesi, in Intorno a Boccaccio. Boccaccio e dintorni, Atti del Seminario internazionale (Certaldo, 25 giugno 2014), a cura di G. Frosini e S. Zamponi, Firen- ze, Firenze University Press, 2015, pp. 103-114. Già Vittore Branca aveva sottolineato come «la tradizione degli scritti latini del Boccaccio risalga, almeno in parte, agli esemplari già apparte- nuti alla sua libreria; e che la sua raccolta di S. Spirito rappresenti un elemento di primaria im- portanza nella diffusione e nella circolazione di tali opere, proprio secondo la esplicita volontà del Boccaccio stesso». Ancora nel 1991 si rammaricava però della poca attenzione prestata a tali indagini da parte degli studiosi e degli editori delle opere latine: ad eccezione del Massèra per il Buccolicum carmen, «essi l’hanno completamente trascurato» (V. Branca, Tradizione delle opere di Giovanni Boccaccio, II. Un secondo elenco di manoscritti e studi sul testo del “Decameron” con due appendici, Roma, Edizioni di Storia e Letteratura, 1991, p. 186). — 108 —
UNA COPIA DEL PERDUTO AUTOGRAFO DEL DE MONTIBUS dal 1385 era diventato priore) sine aliqua diminutione.17 Sebbene gli inventari delle librariae realizzati a metà del Quattrocento non abbiano registrato al- cuna copia del De montibus,18 pareva improbabile che proprio il repertorio toponomastico fosse stato escluso dal nucleo originario dei libri di Boccac- cio passati da Certaldo a Martino e quindi al convento fiorentino dopo la morte dell’agostiniano. In effetti, mi è stato possibile isolare due manoscrit- ti che testimoniano la presenza dell’opera geografica di Boccaccio tra le mura di Santo Spirito almeno entro il primo decennio del Quattrocento.19 Si può infatti esser certi che un testimone del De montibus fosse dispo- nibile alla copia in quegli anni dato che il frate agostiniano tedesco Simone de Grymmis, trascrisse tra il 1411 e il 1412 in conventu Sancti Spiritus il codice oggi alla Biblioteca Classense di Ravenna con segnatura 397 (Ra1): Explicit liber De montibus, silvis, fontibus, lacubus, fluminbus, stagnis seu paludibus et ultimo de nominibus mari Iohannis Boccaccii de Certaldo feliciter. Finitus est liber iste per me fratrem Symonem de Grymmis ordinis heremitarum sancti Augustini de provincia Saxonie et Thuringie, in studio florentino, in con- ventu Sancti Spiritus sub anno Domini MCCCCXI° in vigilia annucaacionis (sic) Dei genitricis Marie, pro illustrissimo ac magnifico domino domino (sic) Karolo Aryminensi principe, amacori (sic) et protectori ordinis sancti Augusti (sic) per conventum reverendi magistri Marci de Arymino ordinis supradicto, tunc predi- catore existente Florentie. (f. 54rb) 20 17 L. Regnicoli, I testamenti di Giovanni Boccaccio, in Boccaccio autore e copista, cit., pp. 387- 393. Sono in corso di pubblicazione i risultati delle ricerche svolte all’interno del progetto ERC MedPub, Medieval Publishing from c. 1000 to 1500, che hanno ricostruito la prima circolazione delle opere latine di Boccaccio entro il primo quarto del XV secolo a partire dal convento agostinia- no, rilevando l’effettiva accessibilità dei materiali boccacceschi depositati presso Martino prima e quindi a Santo Spirito dopo la morte dell’agostiniano avvenuta nel 1387. Per la ricostruzione della biografia del frate si veda almeno P. Falzone, da Signa, Martino, in Dizionario Biografico degli Italiani, Roma, Istituto della Enciclopedia Italiana, LXXI, 2008, pp. 302-304. 18 Nel 1451 a Santo Spirito si trovavano ancora una copia del De casibus virorum illustrium, due codici della Genealogia deorum gentilium, due manoscritti del De mulieribus claris e ancora due testimoni del Buccolicum carmen (T. De Robertis, L’inventario della “parva libraria” di Santo Spirito, in Boccaccio autore e copista, cit., pp. 403-409). Il manoscritto dell’opera mitografica in- ventariata al primo posto del terzo banco corrisponde all’autografo della prima versione dell’o- pera, Firenze, Bibl. Laurenziana, Plut.52.9; il Buccolicum carmen indicato invece al dodicesimo posto del quinto banco corrisponde all’autografo Firenze, Bibl. Riccardiana, 1232. 19 Rovere, Il ruolo di Santo Spirito, cit. 20 Ad oggi non sono ancora state effettuate indagini archivistiche per identificare il predi- catore Marco da Rimini citato in conclusione della sottoscrizione né il frate tedesco responsa- bile della copia. Si deve tuttavia aggiungere ai codici trascritti da questo copista il manoscritto Ottoboniano latino 1771 della Biblioteca Apostolica Vaticana, affine per argomento al Raven- nate e concluso parimenti entro il 1411, come indica la sottoscrizione a f. 270v: «Finitus est liber iste per me Symonem de Grymmis ordinis heremitarum Sancti Augustini de provincia — 109 —
VALENTINA ROVERE A questo testimone si può affiancare il manoscritto Barberiniano lati- no 330 della Biblioteca Apostolica Vaticana (Vb), apografo del De montibus appartenuto a Coluccio Salutati e collocabile su base paleografica entro i primi quindici anni del XV secolo: il non ancora identificato notaio di Todi che si sottoscrive a f. 54rb fu tanto scrupoloso nella sua operazione di copia da trascrivere nella prima parte della subscriptio quanto leggeva nell’antigrafo salutatiano, aggiungendo solo di seguito il proprio nome: «Liber Colucii Pyerii Cancellarii Florentini reddatur ei | Et scriptus per me Antonium ser Hectoris de Astancollibus de Tuderto in civitate Floren- tie».21 Se a fronte dei noti contatti di Salutati con il cenacolo umanistico di Santo Spirito era ragionevole aspettarsi che il cancelliere vi si rivolges- se anche per acquisire alla sua biblioteca il De montibus di Boccaccio,22 Saxonie et Turigie sub anno domini M. CCC. XI in octava corporis [segue rasura]». Il codice è costituito da due unità codicologiche e trasmette ai ff. 1r-58r i libri geografici III-VI della Naturalis Historia di Plinio (testo su due colonne privo di decorazione) e ai ff. f. 61r-270v la Cosmographia di Tolomeo nella traduzione latina di Jacopo Angeli (testo su un’unica colonna, spazi riservati per le iniziali maggiori); cfr. D.W. Marshall, A List of Manuscript Editions of Ptolemy’s Geographia, «Bulletin. Special library Association. Geography and map Division», LXXXVIII, 1972, pp. 17-38; J. Fohlen, Colophons et souscriptions de copistes dans les manuscrits classiques latins de la Bibliothèque Vaticane (XIVe et XVe s.), in Roma, magistra mundi: Itineraria culturae medievalis. Mélanges offert au Père L.E. Boyle à loccasion de son 75e anniversaire, édités par J. Hamesse, I, Louvain-La-Neuve, Federation Internationale des Instituts d’études medievales, 1998, pp. 233-264; E. Azzini, Domizio Calderini e la “recognitio tabularum Ptolemaei”. Indagini critiche e paratestuali sulla prima edizione romana della Cosmographia (1478), Tesi di Dottorato in Archivistica, Bibliografia e Biblioteconomia, Prof.ssa D. Coppini, Università degli Studi di Firenze, XXII ciclo, p. 87. Rispetto al codice Ravennate merita di essere sottolineata anche la commit- tenza di Carlo Malatesta (1368-1429), signore di Rimini e, dal 1417, signore di Cesena (nella sottoscrizione del codice di Ravenna, copiato sei anni prima, è infatti apostrofato solo come Aryminensis princeps). L’interesse dei Malatesta per l’opera geografica di Boccaccio fu tale che anche i due codici S. I. 12 e S. XVII. 4 della Malatestiana di Cesena vennero realizzati per la medesima destinazione. Relativamente alla diffusione delle opere di Boccaccio in Emilia- Romagna si veda Boccaccio in Romagna: manoscritti, incunaboli e cinquecentine nelle biblioteche romagnole, a cura di P. Errani, C. Giuliani e P. Zanfini, Bologna, 2013 e, per un quadro più gene- rale della questione, Boccaccio e la Romagna. Atti del Convegno di studi (Forlì, 22-23 novembre 2013), a cura di G. Albanese e P. Pontari, Ravenna, Longo, 2015. 21 Anche relativamente a questo scriba e al notaio di cui era figlio non sono finora state rintracciate altre notizie, né è stato individuato il legame che poteva esistere con Coluccio Sa- lutati (si noti che il manoscritto è detto copiato in civitate Florentie). Una traccia che dovrà forse seguirsi, insieme alle ricerche d’archivio almeno per il padre Ettore Astancolli, è la presenza di Coluccio a Todi in qualità di cancelliere e notaio delle Riformagioni tra l’agosto 1367 e l’aprile 1368. 22 Coluccio possedeva una copia del De mulieribus claris, oggi conservato a Oxford, Bodleian Library, Canon. Misc. 58-O1 (la descrizione a cura di F. Pasut può leggersi in Coluccio Salutati e l’invenzione dell’umanesimo, Catalogo della mostra, a cura di T. De Robertis, G. Tanturli, S. Zamponi, Firenze, Mandragora, 2008, pp. 296-298), e una copia della Genealogia deorum gentilium (Chicago, University Library, PQ.4271). Per entrambi i codici sto procedendo alla — 110 —
UNA COPIA DEL PERDUTO AUTOGRAFO DEL DE MONTIBUS i legami testuali che il Barberiniano mostra con il Ravennate confermano testualmente tale ipotesi.23 Per quanto significativi, tali elementi non erano tuttavia sufficienti a confermare la natura del manoscritto del De montibus conservato a Santo Spirito all’inizio del XV secolo: sebbene si potesse ragionevolmente ipotiz- zare si trattasse del manoscritto autografo di Boccaccio o al limite di una sua copia, il codice da cui il Ravennate e l’antigrafo del Barberiniano sono stati tratti avrebbe potuto appartenere, secondo un’ipotesi meno probabile ma non per questo impossibile, a un ramo di tradizione diverso da quello dell’autografo, eventualmente persino distante dal testo messo a punto da Boccaccio. Il recente riconoscimento della mano di Lorenzo Ridolfi da par- te di Teresa De Robertis emerso in fase di revisione della mia tesi di dotto- rato ha finalmente permesso di avanzare in sicurezza rispetto a quella che si configurava come un’ipotesi di lavoro, certo promettente, ma pur sempre passibile di dubbio.24 Nei primi anni Ottanta del Trecento venne messo a punto da due co- pisti attivi a Firenze il codice attualmente conservato presso la Biblioteca valutazione dell’effettivo rapporto con i rispettivi autografi boccacceschi (Firenze, Biblioteca Medicea Laurenziana, Plut. 90 sup. 981, autografo della compilazione sulle donne famose; Plu- teo 52.9, autografo della prima redazione della Genealogia). Particolarmente interessante si sta rivelando anche il confronto tra il manoscritto di Chicago e il De laboribus Herculis, il cui debi- to con l’enciclopedia mitografica di Boccaccio è chiaro fin dalla scelta del tema trattato (alle fatiche di Ercole è infatti dedicato interamente il tredicesimo libro della Genealogia): il testo di Coluccio è intervallato da molte citazioni esplicitamente ricondotte all’autorità di Genealogia e De montibus e poiché la sua stesura si colloca in anni molto prossimi alla morte di Boccaccio (al- meno per la prima fase redazionale si considera un arco cronologico esteso tra il 1375 e il 1383) il De laboribus può qualificarsi a pieno titolo come una delle più precoci attestazioni dell’uso erudito delle opere latine del Certaldese da parte della prima generazione di umanisti. Per una scheda sull’opera e sul suo rapporto con i testi di Boccaccio si veda C.M. Monti, “De laboribus Herculis”: l’‘opus ingens’ di una vita, in Coluccio Salutati, cit., pp. 117-122. 23 Sebbene non sia ancora in grado di stabilire in quale preciso rapporto i due manoscritti si collochino tra loro, ossia se siano collaterali (ipotesi che ad oggi mi pare più probabile) o l’uno copia dell’altro, le collazioni effettuate mi sembrano mostrare uno stretto legame testua- le. Le collazioni integrali dei due codici, avviate sin dall’inizio delle ricerche sul De montibus proprio in virtù della loro relazione con Santo Spirito, evidenziano infatti numerose peculiarità comuni tanto relativamente a elementi strutturali come l’ordine e il numero delle voci topo- nomastiche, quanto nella facies testuale; il copista tedesco del Ravennate sembra tuttavia poco affidabile rispetto alle grafie dei toponimi (forse per la comprensibile interferenza linguistica della lingua d’origine nella trascrizione degli innumerevoli nomi geografici). 24 Le indicazioni paleografiche, una dettagliata descrizione del testimone e una prima ricostruzione dei rapporti del giurista Ridolfi con Boccaccio, con la sua biblioteca e con il per- duto autografo del De montibus possono leggersi in T. De Robertis – V. Rovere, Il “De montibus” di Boccaccio nella biblioteca di Santo Spirito, «Italia medioevale e umanistica», LIX, 2018, pp. 277- 303: T. De Robertis, Lorenzo Ridolfi nel codice New College 262, pp. 277-284; V. Rovere, Il codice New College 262 e la tradizione del “De montibus” di Boccaccio, pp. 285-300. — 111 —
VALENTINA ROVERE New College di Oxford con segnatura 262 (O2), probabilmente il più antico testimone del De montibus conservatosi. Il manoscritto membranaceo, ace- falo per la caduta meccanica del primo foglio e attualmente composto da 60 carte di medie dimensioni (mm 251 × 180), trasmette ai ff. 1ra-56rb il De montibus di Boccaccio, seguito al f. 57r dal carme di Zanobi da Strada Quid faciam, que vita michi destinato allo stesso Certaldese e incentrato sulla lau- rea poetica pisana.25 È merito della studiosa aver riconosciuto la mano prin- cipale che vergò le pergamene del manoscritto Oxoniense, corrispondente a quella del giurista fiorentino Lorenzo di Antonio Ridolfi (1363-1443).26 Alla sua mano sono da assegnare la trascrizione dei ff. 1ra-7vb; 10va-12va fino a riga 9; 17ra-29rb alle righe 1-2; 30va-56rb e 57r, il sistema paratestuale delle rubriche di sezione, i titoli correnti e le (poche) correzioni al testo po- ste nei margini. Ad una mano B corsiva di matrice notarile ma non ancora identificata sono invece da ricondurre i rimanenti (e non numerosi) ff. 9ra- 10rb, 12va (da riga 10)-16vb, 29rb (da riga 3)-30rb. Il nome di Lorenzo Ridolfi era già noto agli studiosi di Boccaccio per due diverse ragioni. Da un lato per la preziosa testimonianza della sua visita alla biblioteca di Martino da Signa, il cui ricordo è contenuto in un’e- pistola inviata al vescovo di Narni Iacopo Sozzini Tolomei da collocarsi probabilmente tra il 1380 e il 1381.27 In seconda battuta per il suo ruolo 25 Oltre che dal codice Oxoniense, il testo di Zanobi è trasmesso dai soli manoscritti Firen- ze, Bibl. Medicea Laurenziana, Redi 155, f. 128v e Città del Vaticano, Bibl. Apostolica Vaticana, Vat. lat. 5223, f. 69r-v (M. Baglio, “Avidulus glorie”: Zanobi da Strada tra Boccaccio e Petrarca, «Italia medioevale e umanistica», LIV, 2013, pp. 343-95; Id., Zanobi da Strada, in Autografi dei letterati italiani, cit., pp. 321-340). 26 Scarse sono ad oggi le notizie sulla figura di questo giurista. Si considerino a tal pro- posito almeno F. Martino, Umanisti, giuristi, uomini di stato a Firenze fra Trecento e Quattrocen- to. Lorenzo d’Antonio Ridolfi, in Studi in memoria di Mario Condorelli, III, Milano, Giuffrè, 1988, pp. 183-200; G. Murano, Lorenzo Ridolfi (1362/63-1443), in Autographa, a cura di G. Murano, Bologna, CLUEB, 2012, pp. 136-144; G.G. Mellusi, Ridolfi, Lorenzo, in Dizionario biografico dei giuristi italiani (XII-XX secolo), II, Bologna, il Mulino, 2013, p. 1690; Id., Ridolfi, Lorenzo, DBI, LXXXVII, 2016, pp. 455-457. 27 Di questo testo venne data notizia da E. Garin, La cultura filosofica del Rinascimento ita- liano, Firenze, Sansoni, 1961, pp. 29-32; fu nuovamente analizzato in alcune sue parti da G. Bil- lanovich, Petrarca e i retori latini minori, «Italia medievale e umanistica», V, 1962, pp. 103-164 e quindi in Id., Ancora dall’antica Ravenna alle biblioteche umanistiche, in Id., Dal Medioevo all’Uma- nesimo, a cura di P. Pellegrini, Milano, CUSL, 2001, pp. 25-95. L’epistola è trasmessa insieme ad un corpus di altre tredici lettere dallo zibaldone autografo di Ridolfi, Firenze, Biblioteca Nazionale Centrale, Panc.147 (I codici panciatichiani della Biblioteca nazionale centrale di Firenze, a cura di S. Morpurgo, P. Papa, B. Maracchi Biagiarelli, Roma, Istituto poligrafico dello Stato, 1887, pp. 229-232). In un passaggio centrale del testo (f. 16v dello zibaldone), Ridolfi ricorda di aver avuto accesso al lascito librario di Boccaccio depositato presso l’agostiniano e di aver visto tra i molti libri conservati «in biblioteca clarissimi preceptoris mei ac patris spiritalis Ma- gistri Martini ordinis heremitarum gloriosissimi Augustini, ubi tanta in morem silve librorum — 112 —
UNA COPIA DEL PERDUTO AUTOGRAFO DEL DE MONTIBUS nella messa a punto del manoscritto Plut. 34.49 della Laurenziana di Fi- renze.28 Il codice trasmette il Buccolicum carmen dello stesso Boccaccio e, come il manoscritto di Oxford, risulta trascritto da due mani diverse: la mano principale è quella di frate Maurizio Massi, anch’egli agostiniano di Santo Spirito, mentre Ridolfi interviene corredando il testo dell’apparato di rubriche e dei nomi degli interlocutori, aggiungendo a f. 35v la sotto- scrizione finale e la propria nota di possesso e trascrivendo ai ff. 36v-38r l’epistola explanatoria a Martino da Signa, che aveva richiesto a Boccaccio delucidazioni sull’opera bucolica. Non solo il testo del Buccolicum carmen discende direttamente dall’autografo Riccardiano 1232, manoscritto che ancora nel 1451 era conservato al dodicesimo posto del quinto banco della parva libraria di Santo Spirito; 29 ma soprattutto il testo dell’epistola a Mar- tino, quello della lettera con cui Boccaccio svela l’identità dei collocutores delle varie egloghe, corrisponde alla prima stesura della lettera, datata al 5 maggio 1374 ed effettivamente inviata al frate agostiniano, e non a quel- la rivista e ritoccata da Boccaccio il successivo 10 di ottobre. Se dunque questo manoscritto conferma quanto già si poteva dedurre dall’epistola al vescovo di Narni sugli stretti rapporti di Ridolfi con Martino da Signa, il Pluteo 34.49 mostra allo stesso tempo l’effettivo libero accesso ai libri di Boccaccio depositati presso l’agostiniano e la concreta possibilità per gli condensio» alcuni manoscritti autografi del Certaldese, tra cui il codice con Pomponio Mela e l’Aulularia Plauti «manu sua serenissime ac ornatissime scriptus» e quello con la traduzione di Leonzio Pilato del trattato pseudoaristotelico De mirabilibus auscultationibus. L’epistola in que- stione tratta in realtà di alcune vicende legate al De casibus di Boccaccio, richiesto da vescovo di Narni ma non ancora ricevuto: «Petiisti an haberem librum De casibus virorum illustrium Iohan- nis Boccaccii, cui et quod verum censui respondere; denique, ut ne verbis insistam, accessi ad fratrem Benedictum ordinis beate Marie Sancti Sepulcri et ex parte mei patris ac preceptoris vobis autem amicissimi magistri Martini ordinis Heremitarum, cuius est prefatum librum, re- quisivi, unde respondit illico alteri his diebus prestitisse, demum bona fide promisit confestim procuraturum rehabere. Idcirco, cum habuero, non lento passu trasmictam at celerrimo» (Panc. 147, f. 16r, corsivo mio). Resta da capire se Ridolfi si riferisca a una copia generica del De casibus o all’originale di Giovanni Boccaccio: se si potesse dimostrare che il liber menzionato da Ridolfi corrispondesse al codice della biblioteca boccaccesca, risulterebbe attestata una precocissima circolazione degli originali di Boccaccio fuori dalle mura del convento, secondo una pratica di prestito librario che potrebbe aiutare a spiegare la dispersione degli autografi. Si può invece sottolineare come il manoscritto nominato appartenesse a tutti gli effetti a Martino da Signa (cuius est prefatum librum) e come rispetto ad esso Ridolfi sarebbe stato solo mediatore (e non copista), recuperandolo dalle mani di frate Benedetto per trasmetterlo celermente al vescovo che l’aveva richiesto. 28 Per una descrizione dettagliata del codice si veda T. De Robertis, Boccaccio ritratto fra gli agostiniani di Santo Spirito, in Boccaccio autore e copista, cit., pp. 213-214, con indicazioni sulla bibliografia precedente. 29 De Robertis, L’autografo del “Buccolicum carmen”, ivi, p. 211. — 113 —
VALENTINA ROVERE interessati di trarne copia, precisamente come disposto dall’autore nel suo testamento. Ma non basta. Analizzando il testo trascritto da Lorenzo Ridolfi nel ma- noscritto Laurenziano, è possibile stabilire un rapporto diretto con l’auto- grafo bucolico di Boccaccio anche nella realizzazione imitativa di alcune lettere: «suggestionato dall’autografo, ecco che il Ridolfi dissemina rubri- che e didascalie di quelle stesse maiuscole di ispirazione capitale – così ti- piche di Boccaccio, inusitate, anticipatrici di tempi che sarebbero venuti».30 Quelle stesse maiuscole tipicamente boccaccesche si ritrovano nel codice Oxoniense con il De montibus: «se sono corrette le osservazioni fatte in merito alla scrittura del codice Laurenziano del Buccolicum carmen, ovve- ro che alcune varianti di lettera usate dal Ridolfi non sono invenzioni sue ma di Boccaccio, in sostanza prestiti ricavati direttamente dall’autografo R, altrettanto si potrà dire della presenza delle medesime forme nel codice Oxford, Bodleian Library, New College 262 e del rapporto che lo lega al suo modello».31 Anche per la copia del De montibus Lorenzo Ridolfi deve insomma aver attinto all’autografo di Boccaccio, trascrivendolo a stretto giro dalla sua morte – siamo nei primi anni Ottanta del Trecento – quando ancora il codi- ce del Certaldese era in possesso del primo depositario dei suoi libri, Mar- tino da Signa. Non abbiamo elementi certi per stabilire la destinazione del codice: se la materia scrittoria e la mancanza di sottoscrizione o di note di possesso (presenti invece negli altri manoscritti riconducibili a Ridolfi) 32 potrebbero far propendere per una committenza esterna, non abbiamo di contro ad oggi elementi che collochino il giurista nel ruolo di copista su commissione mentre abbiamo attestato nel suo Zibaldone Panciatichiano un uso del De montibus e più in generale di Boccaccio come fonte a com- 30 De Robertis, Lorenzo Ridolfi, cit., p. 280. 31 Ibid. 32 De Robertis, ivi, pp. 280-281 riporta il consuntivo completo dei codici ad oggi ricondu- cibili a Ridolfi: oltre all’Oxoniense, al Laurenziano 34.49 con il Buccolicum carmen e allo Zibal- done Panciatichiano 147, si conservano quattro codici legati all’attività di Ridolfi come giurista: l’autografo del De usuris, datato 1404 (Firenze, Bibl. Nazionale Centrale, II III 366); un Reperto- rium iuris per alphabetum (Firenze, Bibl. Nazionale Centrale, Magl. XXIX 171); una raccolta di consilia (Firenze, Bibl. Nazionale Centrale, II III 370) e una di repetitiones e questiones disputatae databile tra 1386 e 1393 (Università di Messina, Bibl. di Scienze giuridiche, A.1). A questi si de- vono aggiungere tre manoscritti che gli sono appartenuti: Vita e transito di san Girolamo (Firen- ze, Bibl. Riccardiana, 1667) e Prato, Bibl. Roncioniana, Q.V.2 e Q.V.3, un tempo raccolta unica di vari sermoni. Vista la frequentazione assidua della biblioteca boccaccesca andrà cercata la sua mano anche nelle tradizioni più alte delle altre opere di Boccaccio – quantomeno di quelle latine – e, considerando i dati che si ricavano dallo zibaldone, anche nei manoscritti con opere di Petrarca. — 114 —
UNA COPIA DEL PERDUTO AUTOGRAFO DEL DE MONTIBUS mento dei propri componimenti, insieme a Petrarca e alle sue opere. A fronte di questi dati, propenderei dunque per ritenere questo manoscritto un codice allestito per la propria biblioteca privata. 3. Il codice Oxoniense e la costituzione di un nuovo testo critico In virtù di questa vicinanza con il perduto autografo, il codice di Oxford acquista una posizione di rilievo assolutamente centrale per la messa a pun- to dell’edizione del De montibus: di primaria importanza risulta quindi valu- tarne il grado di fedeltà rispetto all’originale di Boccaccio che ne è stato con ogni probabilità l’antigrafo. – Forma-libro, mise en page e paratesto Relativamente al suo aspetto materiale, il codice appare del tutto com- patibile tanto con le scelte generalmente operate da Boccaccio negli ultimi anni di riscrittura delle sue opere,33 quanto in linea con la tradizione più alta del testo, da ritenersi con ogni probabilità abbastanza conservativa anche riguardo alla mise en page.34 Sebbene non si possa esser certi che il formato medio del codice rispecchi quello dell’autografo, la struttura dell’impagina- zione (testo su due colonne per 43/45 righe di scrittura con inizio del testo sotto la prima riga) può forse essere fatta risalire all’autore. 33 All’inizio degli anni Settanta si trovano insieme sullo scrittoio di Boccaccio sia alcu- ne delle opere latine (si veda ad esempio quanto segnalato per le due raccolte biografiche da C.M. Monti, Luoghi liminari e conclusivi di ‘De mulieribus claris’ e ‘De casibus virorum illustrium’, «Studi sul Boccaccio», XLVIII, 2020, pp. 77-98), sia alcuni testi in volgare, sia testi di altri au- tori classici e contemporanei a Boccaccio: guardando ai soli autografi conservati, al 1370-72 risalgono il manoscritto Laurenziano 90 sup 981 con la seconda redazione del De mulieribus claris, l’Hamilton 90 con l’ultima stesura del Decameron, e, almeno secondo una delle possibili datazioni, il Marziale Ambrosiano C 67 sup. Per tutti questi manoscritti (cui si può aggiungere per conferma anche il 52.9 della Laurenziana con la redazione A autografa della Genealogia, che risale però a un decennio prima) è possibile verificare la medesima mise en page attestata dal codice Oxoniense. 34 Dei nove codici copiati entro la fine del Trecento o nei primissimi anni del Quattrocento (Cr - Cremona, Bibl. Statale, Civ. 4; C - København, Kongelige Bibl., Gl. Kgl. S. 2092; Lo1 - Lon- don, British Library, Harl. 5387; LoL - Oxford, Bodleian Library, Lawn, Medieval and Renaissance Mss., 18/9; PM - Paris, Bibl. Mazarine, 1526; P - Paris, Bibl. National de France, lat. 8946; P3 - Paris, Bibl. Nationale de France, Nouv. Acq. lat. 345; RV - Roma, Bibl. Vallicelliana, D. 55; Vre - Vaticano (Città del), Bibl. Apostolica Vaticana, Reg. lat. 1477) solo Cr, C, Lo1, tutti manoscritti a diverso titolo legati agli ambienti settentrionali della corte visconteo-sforzesca o a territori d’Oltralpe (e i cui rapporti di parentela andranno quindi quantomeno vagliati), sono trascritti a piena pagi- na. Anche il Ravennate e il Barberiniano presentano un’impaginazione a due colonne. — 115 —
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