IGIENE SCOLASTICA DISPENSA SFP - Unisalento

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IGIENE SCOLASTICA DISPENSA SFP - Unisalento
Prof Gabriele Devoti

         Professore Associato di Igiene
      Dipartimento di Scienze e Tecnologie
            Biologiche ed Ambientali
         Università del Salento - Lecce

IGIENE SCOLASTICA

        DISPENSA SFP

 Dispensa dell'Insegnamento di Igiene Scolastica
      per gli Studenti del Corso di Laurea in
       Scienze della Formazione Primaria
 Dipartimento di Storia, Società e Studi sull’Uomo
          Università del Salento - Lecce

                                Anno Accademico 2020-2021
INDICE

Capitolo 1    Igiene e salute

Capitolo 2    Età evolutiva - Igiene scolastica

Capitolo 3    La malattia - Fattori di rischio

Capitolo 4    Alimentazione

Capitolo 5    Sedentarietà

Capitolo 6    Obesità

Capitolo 7    Prevenzione

Capitolo 8    Educazione Sanitaria

Capitolo 9    Carie dentaria

Capitolo 10 Deviazioni colonna vertebrale

Capitolo 11   Difetti della vista
Capitolo 1
IGIENE

1.1    IGIENE

       Il termine “Igiene” deriva da una parola greca che significa “buona salute”. Nella mitologia
greca il dio Asclepio (adattato poi in latino con il nome Esculapio) veniva venerato come il dio della
medicina. Asclepio ebbe diversi figli tra i quali Panacea e Igea. Panacea aveva il dono di curare
tutte le malattie e a questa dea si rivolgevano i malati per ottenere la guarigione. Igea invece era la
dea della salute, cui si rivolgevano i sani per mantenere la loro condizione di benessere. E ancora ai
giorni nostri nella concezione della “scienza medica” coesistono le due componenti fondamentali
ovvero la prevenzione e la cura. La definizione completa di Igiene può essere la seguente:
“disciplina appartenente alle scienze bio-sanitarie che, attraverso il potenziamento dei fattori utili
alla salute e l’allontanamento o la correzione dei fattori responsabili delle malattie, tende a
conseguire uno stato di completo benessere fisico, mentale e sociale dei singoli e delle
collettività” (Meloni), mentre la medicina clinica ha i compiti di diagnosi e cura delle malattie,
ovvero di arrivare ad una corretta identificazione delle malattie e instaurare adeguate ed efficaci
terapie.
       Nei confronti delle discipline cliniche (clinica medica, chirurgica, ginecologica,
otorinolaringoiatrica etc.) l’Igiene presenta tre particolari caratteristiche. La prima riguarda
l’oggetto del proprio interesse, che non è l’uomo malato bensì quello sano; la seconda riguarda
l’ambito di intervento che risulta essere non limitato soltanto all’individuo singolo bensì esteso
all’intera collettività; la terza caratteristica riguarda la tipologia degli interventi non limitati solo
all’uomo bensì estesi anche all’ambiente fisico, biologico e sociale nel quale esso si trova inserito.

1.2    LA SALUTE

       Nel linguaggio comune il termine salute è utilizzato per indicare l’assenza di malattia, o
piuttosto il soggetto malato è il soggetto che non è più in salute. Questa definizione al negativo dice
in realtà cosa non è la salute, ed è stata normalmente accettata nel passato. Con il miglioramento
delle conoscenze nel campo della scienza medica, la linea di demarcazione tra salute e malattia si è
fatta più sfumata, con il riconoscimento di fasi progressive di passaggio che risalgono addirittura
alla identificazione di condizioni a rischio che possono minare la salute in modo incognito. Inoltre è
stato affrontato il problema della malattia mentale, cioè dei disturbi psichici rimasti a lungo
qualcosa di diverso da una vera e propria malattia, in quanto non direttamente assimilabili o
riferibili ad alterazioni organiche in senso lato. Inoltre l’evidenza della forte interazione di fattori di
tipo sociale (livello culturale, classe socio-economica, ecc.) sulla salute ha assegnato anche a loro
una giusta considerazione.
L’evoluzione del concetto di salute attraverso queste tappe ha portato, nel 1948,
l’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS), agenzia dell’Organizzazione delle Nazioni Unite
(ONU), ha inserire nel preambolo del suo atto di fondazione la definizione, universalmente
accettata, di salute intesa come “uno stato di completo benessere fisico, mentale e sociale, e non
semplice assenza di malattia o di difetti”. Questa definizione ha un grande significato sociale e
politico, perché attribuisce alla salute la dignità di valore, che pertanto merita di essere perseguito
per sé, per quanto ha di positivo. In questo senso la salute rappresenterebbe la pre-condizione
perché una persona abbia piena capacità di misurarsi con la realtà, al fine di realizzare se stessa in
modo proporzionale ai valori, ai compiti, ai bisogni, alle aspirazioni, alle potenzialità individuali
che essa si pone, all'interno di un contesto sociale che pone delle domande e introduce dei vincoli
che la persona deve poter negoziare efficacemente. Dunque promuovere la salute significherebbe
promuovere questa capacità della persona di vivere in un particolare contesto sociale in modo
soddisfacente rispetto alle sue possibilità e ai suoi obiettivi.
        Un’altra definizione può essere: “La salute è una condizione di armonico equilibrio
funzionale, fisico e psichico, dell’individuo dinamicamente integrato nel suo ambiente naturale e
sociale”.
        Il termine “stato” della definizione dell’OMS, può essere infatti limitativo con il concetto
stesso di vita, intesa come un divenire in continua evoluzione e modificazione. Gli stimoli del
mondo esterno, fisico e psico-sociale , con il quale siamo in sintonia provoca un continuo
riadattamento interno fino a raggiungere un nuovo equilibrio. La salute è pertanto un bene
dinamico da conquistare, da difendere e da ricomporre senza sosta durante il corso della propria
vita. Investe sia l’idea di interazione dinamica tra l’individuo e il suo ambiente, sia l’idea di
sviluppo pieno delle potenzialità fisiche, mentali e sociali dell’individuo.
        Se l’input di stimoli è maggiore o minore rispetto alle possibilità di adattamento del singolo
organismo, allora l’eccesso o la mancanza di stimoli può essere considerato come stress. La salute,
che è un equilibrio organico, può essere modificato dallo stress con il risultato di uno squilibrio che
può essere temporaneo e reversibile, o può progredire sino a una patologia funzionale o strutturale.
        La salute è un fondamentale diritto umano ma anche un importante investimento sociale.
Finalità principale di sana politica per la salute è pertanto creare un ambiente che favorisca la
possibilità di vivere in un mondo sano o fare si che, per i cittadini, fare delle scelte di vita “sane” sia
possibile e coincida con le scelte più facili.
      Il bene salute è il solo diritto che la Costituzione definisce fondamentale, il che sta a
testimoniare come esso venga concepito quale presupposto per il pieno godimento di tutti gli altri
diritti costituzionali.

        Parlando di salute fisica, psichica e sociale, non si può non parlare anche di salute sessuale.
Nella difficoltà di definire il concetto assai complesso di salute sessuale si può fare riferimento,
anche in questo caso, alla relazione finale di un gruppo di esperti costituito dalla Organizzazione
Mondiale della Sanità nel 1964, dove si legge che una sessualità sana genera un benessere
differenziabile da quello fisico, mentale e sociale. La salute sessuale è definita come :
“l’integrazione degli aspetti somatici, emozionali, intellettuali e sociali dell’essere umano sessuato,
compiuta con modalità tali da essere emotivamente arricchenti e da esaltare la personalità umana, la
comunicazione e l’amore”. L’accento dell’OMS vuol sottolineare l’aspetto globale della persona,
cioè non solo la fisicità, ma anche l’emotività, l’aspetto relazionale, il rapporto con il proprio
mondo interno e con quello esterno. La salute sessuale è dunque l’integrazione di aspetti diversi di
un individuo sessuato.

1.3     I DETERMINANTI DELLA SALUTE

        I determinanti della salute in una popolazione sono riconducibili a quattro categorie:
l'impronta genetica, i comportamenti individuali, l'assistenza sanitaria e le condizioni socio-
ambientali.

      La componente biologica, o impronta genetica, determina un numero molto alto di patologie
molto rare che sono ad esempio generate direttamente da un singolo gene; essa inoltre può agire per
via ereditaria creando condizioni individuali di suscettibilità o predisposizione. Per molte patologie
l’influenza della componente genetica è accertata, in altre molto probabile, e in quest’ultime
saranno le future conoscenze scientifiche a determinare il peso di questa impronta. Grosso modo si
potrebbe stimare che questi meccanismi sono in grado oggi di spiegare una quota della prevalenza
delle patologie umane intorno al 5%. Non si dovrebbero osservare differenze sociali nell'occorrenza
delle patologie legate a questi fattori.

      I comportamenti personali legati alla salute sono in grado di spiegare una quota consistente di
morbosità. Usando il caso delle malattie cardiovascolari, si può constatare che il 60% della
mortalità per queste patologie sarebbe evitabile riducendo la concentrazione dei fattori di rischio
individuali (come il fumo, la dieta ricca di grassi e povera di fibre, etc); un 25% delle differenze
sociali nella mortalità cardiovascolare sarebbe evitabile eliminando le differenze sociali negli stessi
fattori di rischio.

      L’assistenza sanitaria interviene in una fase della malattia nella quale essa può avere solo
modesti effetti sulla prevalenza e sulla mortalità delle malattie stesse. Recenti valutazioni portano a
stimare intorno al 15% il contributo che l'assistenza sanitaria avrebbe dato nel miglioramento di
circa trent'anni nella speranza di vita delle popolazioni nel mondo occidentale avvenuto in questo
secolo. Che la medicina non possa giocare un ruolo decisivo nel determinare i caratteri
fondamentali del profilo epidemiologico di una popolazione, come la speranza di vita, non significa
che la medicina debba essere trascurata. Infatti la sua capacità di agire sulla qualità della vita può
essere molto alta. Le discriminazioni sociali nell'accesso a cure appropriate e di qualità può quindi
generare delle diseguaglianze nella sopravvivenza e nella qualità della sopravvivenza.
L'ultima categoria di determinanti della salute è rappresentata dalle circostanze socio-
ambientali, quelle che in tutta la storia della civiltà umana hanno segnato in forme diverse il profilo
di salute delle popolazioni, dai problemi di fame e di riparo dalle avversità tipici delle società
nomadi alle epidemie legate all'igiene degli alimenti e degli ambienti di vita tipici della vita
stanziale in comunità, al prevalere delle malattie croniche legate allo sviluppo industriale ed
economico moderno, alle patologie conseguenti alle modificazioni dell’ambiente ad opera di fattori
di ordine fisico, chimico e biologico fino alle differenze sociali nella salute legate alla diversa
vulnerabilità alla malattia dei soggetti, in ragione della loro posizione sociale.

    Le influenze sociali intorno al nucleo della salute dell'individuo si possono descrivere come tre
anelli concentrici. Nel primo anello si esercitano le influenze dell'ambiente immediatamente
circostante la persona: rete familiare e amicale, casa, quartiere e vicinato, norme di comportamento
del gruppo. Nel secondo anello trovano collocazione le influenze della comunità o dell'area
residenziale, come la scuola, la chiesa, il luogo di lavoro, l'economia locale e la disponibilità di
lavoro, le risorse naturali, la qualità dell'ambiente fisico, la bontà dell'amministrazione locale e dei
suoi servizi e il sentimento di appartenenza alla comunità locale che può influenzare la qualità della
vita. Il terzo anello raggruppa le influenze macrosociali, quelle del sistema economico e politico, le
norme e i regolamenti, le priorità nazionali, gli standard nel mondo del lavoro e dell'economia, le
politiche fiscali, gli investimenti nelle infrastrutture, il senso di sicurezza, equità e giustizia nella
società, l’eguaglianza nella distribuzione delle risorse e delle opportunità. Questi fattori agiscono
sulla salute non solo in modo indipendente l'uno dall'altro ma si influenzano reciprocamente.
Capitolo 2
ETA' EVOLUTIVA - IGIENE SCOLASTICA

2.1    ETA' EVOLUTIVA O SCOLARE

Per “età evolutiva” si intende il periodo che va dai 3 ai 18 anni, ovvero dalla prima infanzia all’età
di maturità. Poiché questo periodo corrisponde all’incirca al periodo durante il quale l’individuo
frequenta la scuola, in un primo tempo quella materna, poi quella dell’obbligo e poi quella
superiore, un’altra definizione che viene utilizzata per indicare questo periodo è “età scolare”.
Questa età corrisponde ad una fase della vita in cui l’organismo va incontro ad una serie di
trasformazioni fisiche (crescita, pubertà) accompagnate da altrettante trasformazioni psichiche che
conducono l’individuo ad uno sviluppo fisico definitivo e ad una organizzazione mentale
caratteristiche dell’individuo adulto. Naturalmente, come per tutti i fenomeni biologici, bisogna
sempre tenere presente che esiste una notevole variabilità individuale nel raggiungere, attraverso
varie tappe, il livello di piena maturità psicofisica propria dell’età adulta.

Nei primi anni di vita l’infante ha praticamente solo rapporti costanti con i componenti della propria
famiglia, più o meno allargata (genitori, fratelli, nonni, babysitter, partner dei genitori) la quale
esercita una fondamentale influenza sulla crescita sia fisica che psichica dell’individuo tale da
condizionare in modo determinante per tutta la vita la sua condizione di persona adulta,
indipendente, consapevole e responsabile. Sebbene nei primi anni di vita l’ambiente famigliare sia
in pratica il solo a condizionare il soggetto in crescita, questo rapporto continua anche negli anni
successivi, continuando ad influenzare con le proprie scelte e decisioni l’andamento dello sviluppo
del ragazzo/adolescente.

Durante l’età evolutiva il soggetto (bambino, ragazzo, adolescente) viene a doversi raffrontare
anche con un altro contesto sociale che avrà notevoli influenze sul suo affermarsi come individuo:
questo ambiente sociale è la scuola, di ogni ordine e grado, come si è soliti dire.
E’ nella scuola che il soggetto deve/dovrebbe trovare le migliori condizioni possibili per potersi
impegnare nello studio e poter accedere, utilizzare ed approfittare di tutto quello (persone,
ambiente, capacità, competenze, mezzi, strumenti, etc) che può essere utile per diventare, in primo
luogo, un “soggetto educato e civile” intendendo con questa definizione una persona adulta
responsabile, un portatore di conoscenze, anche sanitarie, almeno basilari, un cittadino non solo del
suo territorio ma del mondo intero.

Oltre all’ambiente famigliare e all’ambiente scolastico anche l’ambiente sociale collettivo che il
soggetto frequenta è in grado di esercitare una influenza condizionante importante, spesso
purtroppo negativa. Mentre nel passato l’influenza che l’ambiente sociale circostante poteva
esercitare sull’individuo avveniva per un rapporto diretto e una frequentazione personale, e quindi
anche i comportamenti imitativi di gruppo erano sperimentati spesso con un vero contatto fisico,
negli ultimi decenni il condizionamento è molto spesso solo virtuale, derivante dall’azione dei
mass-media (giornali, radio, televisione, internet), attraverso l’utilizzo dei supporti informatici
(smartphone, tablet, computer), la frequentazione dei social media (Facebook, Twitter, Instagram,
YouTube, Second Life); pertanto anche i comportamenti imitativi di gruppo sono spesso mediati da
una piattaforma virtuale. L’utilizzo di questi mezzi spesso fa sentire gli individui “protagonista
unico” e/o “spettatore unico” avendo la sensazione di poter decidere autonomamente come gestire
questi mezzi, o la propria giornata o più in generale la propria vita; in realtà il desiderio di essere
costantemente sempre “connessi” con gli altri sottolinea la dipendenza che questi soggetti hanno nei
confronti di queste tecnologie e la loro incapacità di coglierne gli aspetti negativi della loro
influenza.

In questo senso la scuola, con i suoi interventi educativi, nel senso più ampio del termine
(educazione letteraria, storica, civica, alimentare, sanitaria, sessuale etc etc) assume una importanza
fondamentale per la formazione dell’uomo adulto del domani. Considerando solo gli aspetti
prettamente sanitari, sono numerosi e complessi gli interventi di promozione della salute e di
prevenzione delle malattie che possono essere attuati in questa fase della vita.

2.2     IGIENE SCOLASTICA

Per "Igiene scolastica" si intende quella parte della disciplina Igiene che si occupa della salute
dell'individuo in età evolutiva. Più in dettaglio possiamo suddividere il periodo evolutivo secondo
questo schema:
da 0 a 3 anni e parleremo più propriamente di igiene dell'infanzia; da 3 anni a 18 anni e parleremo
di igiene scolastica.
In Italia la popolazione in età scolastica trascorre da 4 a 8 ore al giorno per almeno 10 anni nelle
strutture educative scolastiche, con un’esposizione protratta di organismi estremamente suscettibili
ai rischi ambientali.

Le competenze del Medico Scolastico, figura definita ai sensi del DPR n. 264/1961, con l’avvio del
SSN (dal 1978) furono trasferiti ai servizi materno-infantili delle ASL, abitualmente non operanti
all’interno delle istituzioni scolastiche. Col tempo tale figura si è nei fatti estinta.
I Servizi di Medicina Scolastica gestiti dai Comuni sono stati progressivamente disattivati
nell’errato convincimento che avendo le famiglie acquisito un sufficiente livello educativo potevano
esercitare loro stesse attività di prevenzione con l’ausilio del pediatria di libera scelta.
I pediatri di libera scelta, ai quali erano state attribuite le funzioni già del medico scolastico, hanno
dimostrato di non essere nelle condizioni adeguate per attuare le strategie di prevenzione primaria e
secondaria proprie della medicina di comunità.

Già il Piano Sanitario Nazionale 2006-2008
• incentrava l’attenzione sulla protezione dei gruppi più vulnerabili, tra cui i bambini, dai fattori di
  rischio presenti negli ambienti indoor e outdoor.

Legge 8.10.2010, n. 170
• Per combattere i disturbi dell’apprendimento in ambito scolastico dovuti a dislessia, disgrafia,
  disortografia e discalculia, le diagnosi precoci specialistiche, su segnalazione degli insegnanti,
  sono attribuite al SSN o a specialisti e strutture sanitarie private accreditate (Tipico esempio di
  settorializzazione in netta controtendenza alla necessità di disporre di un organico sistema, quale è
  prefigurato dall’Accordo per la promozione e la tutela della salute in ambito scolastico).

In alcuni territori ci sono servizi di Igiene scolastica, in altri territori la denominazione è quella di
Medicina scolastica oppure di Medicina delle comunità o, ancora in altri contesti, il servizio che si
fa carico degli interventi di Igiene scolastica fa capo al Dipartimento di prevenzione nelle comunità.

La promozione della salute nel contesto scolastico può essere definita come “qualsiasi attività
intrapresa per migliorare e/o proteggere la salute di tutti gli utenti della scuola”, ed include
“interventi appropriati per realizzare politiche per una scuola sana, ambienti scolastici come luoghi
di benessere fisico, psichico e sociale, curricula educativi per la salute, collegamenti e attività
comuni con altri servizi rivolti alla cittadinanza e con i servizi sanitari".

La scuola è il luogo dove programmi didattici e interventi di educazione alla salute possono
integrarsi per una reale promozione della salute e del benessere di tutta la comunità scolastica.
È dimostrato che ragazzi e ragazze in buona salute e che si trovano bene a scuola imparano meglio.
Compito dell'Igiene Scolastica (o Medicina Scolastica) è dunque promuovere e tutelare la salute
della popolazione scolastica attraverso la diagnosi precoce di patologie proprie dell'età evolutiva
(attività di screening) e la prevenzione di malattie correlate a stili di vita non corretti (interventi di
educazione alla salute).
L'attività di Igiene Scolastica si svolge prevalentemente in ambito scolastico e consiste in :

1. Attività di screening

- screening auxologico (peso, altezza, calcolo del BMI) al fine di individuare gli alunni in stato di
sovrappeso-obesità o sottopeso o di bassa statura

- screening visivo per individuare precocemente difetti visivi

- screening ortopedico per individuare alterazioni dell'apparato muscolo-scheletrico (scoliosi,
ipercifosi)

- screening odontoiatrico per la prevenzione delle imperfezioni e malattie dentarie

- screening per l'adenoidismo e malattie otorinolaringoiatriche

- screening per la prevenzione delle parassitosi, in particolare della pediculosi del capo
-
- screening ortottico (scuola dell'infanzia) per individuare precocemente alterazioni della motilità
    oculare

Gli screening vengono eseguiti sugli alunni delle "classi filtro" 1a - 3a - 5a elementare - 1a - 3a
media inferiore previo consenso informato dei genitori.
E' di notevole rilevanza che gli alunni positivi agli screening possono accedere ai poliambulatori
aziendali per effettuare gli approfondimenti clinico-diagnostici GRATUITAMENTE, in regime di
esenzione dal ticket sanitario.

2. Sorveglianza sanitaria malattie infettive

3. Controlli, su segnalazione, delle condizioni igienico-sanitarie degli ambienti scolastici

4. Controlli periodici e su segnalazione del rispetto delle tabelle dietetiche adottate nelle mense
scolastiche

5. Interventi di educazione sanitaria rivolti agli alunni, ai genitori ed agli insegnanti per
promuovere comportamenti e stili di vita idonei al mantenimento della salute.
Capitolo 3
MALATTIA - FATTORI DI RISCHIO

3.1     FATTORI DI SALUTE

        Esistono numerosi fattori che hanno una valenza positiva nei confronti della salute e sono
considerati fattori positivi o utili per il mantenimento o il ripristino del benessere.
        Ne possiamo elencare diversi, alcuni in relazione alla persona, altri in relazione
all’ambiente di vita o al sistema socio-culturale o al comportamento:
        buono stato nutrizionale, sufficiente protezione immunitaria, identità affermata, adeguata
informazione sanitaria, stabilità emotiva, situazione affettiva soddisfacente, apporto di cibo in
quantità adeguate e di buona qualità, abitazioni adeguate, acqua e aria non inquinate, trasporti
sicuri, razionale smaltimento dei rifiuti, clima confortevole, integrazione sociale, relazioni
interpersonali stabili, disponibilità di lavoro, soddisfazione lavorativa e professionale, servizi
sanitari e sociali adeguati in quantità e in qualità, sicurezza sociale, abitudini di vita corretti, stile di
vita soddisfacente, sonno e svago sufficienti.
        Occorre sottolineare che la presenza talvolta di menomazioni, deficienze, handicaps,
disabilità o altro, benché inducano a pensare ad una perdita della salute, possono coesistere con un
livello di benessere adeguato.

3.2     LA MALATTIA

        Così come numerosi fattori “positivi” concorrono a potenziare le condizioni di benessere,
altrettanti numerosi fattori “negativi” tendono a ridurre il grado di salute conducendo alla malattia.
        La malattia può essere definita genericamente come una anormale condizione
dell’organismo causata da alterazioni organiche o funzionali. In altre parole la malattia consiste in
qualsiasi alterazione o interruzione della normale struttura o funzione di una parte, di un organo o di
un sistema (o di una combinazione di essi) del corpo, che si accompagna ad un caratteristico gruppo
di segni e sintomi, non sempre ben manifesti, e la cui eziologia, patologia e prognosi possono essere
note o sconosciute.
        I fattori negativi, genericamente definiti fattori di malattia, sono in parte ancora
sconosciuti. Tali fattori sono suddivisibili in tre gruppi principali : genetici, ambientali e
comportamentali. Tra i fattori ambientali rientrano sia i fattori attinenti all’ambiente fisico che
all’ambiente socio-culturale. Ci possono essere interazioni tra i fattori di uno stesso gruppo, ma più
frequentemente le interazioni avvengono tra fattori di gruppi diversi. I fattori di malattia sono
indicati con due termini di diverso significato: fattori di rischio e fattori causali.
Per comportamento personale possiamo considerare la nostra condotta nei confronti degli
altri e di noi stessi. Prendendo spunto dalla definizione di “salute”, si possono con pertinenza
mutuare i termini connessi al benessere, cioè “fisico, psichico e sociale”, e assegnarli ai diversi
aspetti del comportamento, avremo così un “comportamento fisico”, un “comportamento psichico”
ed un “comportamento sociale”. Allora, così come per essere in “buona salute” occorre aspirare al
completo benessere nei suoi diversi aspetti, così un “comportamento fisico” corretto non determina
necessariamente uno “stile di vita” corretto in mancanza degli altri due aspetti, psichico e sociale,
non meno importanti.

         Considerando a questo punto la definizione data di “Igiene”, possiamo concludere che, così
come gli interventi di questa disciplina non sono rivolti esclusivamente all’individuo ma anche alla
collettività nel suo insieme, uno stile di vita può essere considerato corretto quando a beneficiarne
non sia solo il singolo ma tutta la comunità.

         Il comportamento personale esercita un ruolo determinante sulle condizioni di salute. Infatti
i fattori di rischio maggiori per le patologie cronico-degenerative non infettive, che oggi
costituiscono la patologia prevalente, e che riconoscono un modello etiologico pluricausale, sono da
ricercare soprattutto tra i fattori dipendenti dallo stile di vita.

3.3      FATTORI DI RISCHIO

         Un fattore di rischio è quel fattore la cui presenza è associata ad una maggiore probabilità
(o rischio) di insorgenza di una malattia. Cioè se il fattore è presente ed attivo aumenta la
probabilità che l’effetto, cioè la malattia, si verifichi.
      Una qualunque variabile genetica, ambientale o comportamentale, dotata di potenzialità
negative per l’uomo e che sia attiva nel soggetto, da un punto di vista temporale, prima che questo
si ammali, può essere considerata fattore di rischio se diversi studi epidemiologici abbiano,
costantemente o comunque frequentemente, confermato una sua forte associazione con quella
determinata malattia e quindi ne incrementi la probabilità di comparsa.
         Il fattore di rischio è, pertanto, una condizione che può essere associata ad una malattia; ma
non necessariamente un qualsiasi fattore associato ad una condizione morbosa è sempre da
considerarsi un fattore di rischio. Non si deve infatti confondere il concetto di associazione con il
concetto di causa. I metodi statistici non costituiscono da soli la prova di una relazione causale tra
fattore e malattia. La dimostrazione di una associazione statistica tra fattore e malattia rappresenta
solo il primo passo, cui devono seguire altri tipi di conferme per poter conferire a quella variabile la
qualifica di fattore di rischio e/o fattore causale.
I fattori di rischio possono essere suddivisi in :

-     predisponenti, che creano le condizioni di suscettibilità dell’individuo per una malattia;
-     precipitanti, che innescano o facilitano il manifestarsi della malattia:
-     rinforzanti, che tendono a perpetuare o aggravare la presenza della malattia.

3.4      FATTORI CAUSALI

         Per fattore causale si intende invece un fattore o una condizione direttamente implicati nel
determinismo della malattia e capaci di partecipare direttamente alla sua formazione.
         La causalità di un fattore può essere ipotizzata, con crescente grado di probabilità, tramite la
verifica, con studi epidemiologici, dei seguenti requisiti :

-     la plausibilità biologica, cioè la compatibilità biologica, secondo le conoscenze scientifiche in
      possesso, degli effetti sull’organismo umano, attribuiti al fattore stesso;
-     il gradiente biologico degli effetti, cioè la corrispondenza dose/risposta (all’aumentare della
      dose deve corrispondere un aumento degli effetti);
-     la forza dell’associazione, espressa dal valore del Rischio Relativo;
-     la specificità dell’associazione, espressa dal valore del Rischio Attribuibile (o Frazione
      Eziologica del Rischio, FER).

         Un fattore causale è definito sufficiente quando produce inevitabilmente un particolare
effetto, cioè se il fattore (causa) è presente, l’effetto (malattia) si verifica sempre (ciò che accade, ad
esempio, nelle malattie genetiche).

         Un fattore causale è definito necessario quando un determinato effetto deve essere sempre
preceduto da una particolare causa, cioè se il fattore (causa) è assente, l’effetto (malattia) non può
verificarsi (ciò che accade, ad esempio, nelle patologie infettive).

         Avremo modo di vedere come nelle patologie infettive le cause necessarie sono la regola,
non così per le patologie non infettive cronico-degenerative, dove i singoli fattori in gioco non sono
normalmente né necessari né sufficienti, ed appunto anche per questo che sono detti fattori di
rischio, secondo la definizione sopra riportata.

         Alcuni fattori causali possono essere definiti fattori causali maggiori, per distinguerli da
altri che pur essendo in grado di intervenire nella genesi di una malattia, hanno un ruolo secondario,
seppur importante, e vengono pertanto definiti fattori causali minori o fattori concausali.
Indicatori di rischio

         Con questo termine vengono per lo più definite condizioni associate, non in modo causale
diretto, alla insorgenza di una patologia, quali l’età, il sesso, la razza, ecc..
         Tali condizioni, di solito geneticamente determinate e generalmente non modificabili,
caratterizzano le categorie di soggetti entro le quali dovrebbe essere effettuata la ricerca
dell’esposizione ai fattori di rischio ambientali e comportamentali.

3.5      STORIA NATURALE DELLE MALATTIE

         La presenza di uno o più fattori di rischio o causali in un soggetto può determinare una
modificazione progressiva delle sue condizioni di benessere, fino ad arrivare all’insorgenza della
malattia.

         Esistono numerosi fattori e numerose malattie, ma il modello eziologico, cioè il modello che
spieghi l’insorgenza della maggior parte delle patologie può essere ricondotto ad uno solo: il
modello pluricausale, nel senso che non è quasi mai un unico fattore a poter determinare
l’insorgenza di una malattia senza che non ci sia il concorso con altri fattori, più o meno decisivi,
più o meno noti.

         Nel caso delle patologie cronico-degenerative sono implicati certamente numerosi fattori,
che non possiedono tutti la stessa forza di azione, ma alcuni di essi hanno una intensità maggiore
rispetto a quella degli altri. Ciò è ancora più vero nel caso delle malattie infettive, nelle quali il
microrganismo assume un ruolo causale preminente da apparire quasi esclusivo, sebbene anche in
questo caso il modello è comunque pluricausale.

         Nel soggetto sano, l’azione dei fattori negativi, determina il costituirsi di una condizione di
rischio che può avere tre diverse evoluzioni:

-     con l’eliminazione dei fattori negativi, si può avere la regressione del rischio, con il ripristino
      della condizione di salute;

-     con la permanenza dei fattori negativi, si può avere la persistenza della condizione di rischio;

-     in alcuni casi, la persistenza dell’azione negativa può sfociare nella insorgenza della malattia.

         In questo modello il passaggio tra una fase e l’altra dipende da variabili inerenti sia
l’individuo che i fattori stessi. Le variabili inerenti l’individuo possono essere : le caratteristiche
genetiche, le condizioni immunitarie, lo stato di nutrizione, lo stato psicologico, ecc. Le variabili
inerenti i fattori di malattia possono essere di tipo quantitativo (esempio variazioni delle
concentrazioni di sostanze chimiche, di effetti fisici, o di materiali biologici) e qualitativo
(variazioni delle condizioni ambientali o comportamentali).

       Le malattie possono essere distinte in base ad alcune caratteristiche della loro storia
naturale.

       La prima riguarda la durata del periodo di latenza e/o di incubazione. Questo periodo può
essere breve (giorni o settimane) o lungo (anni o decenni). Si utilizza di preferenza il termine
incubazione parlando di patologie infettive, mentre nel caso di patologie non infettive il termine più
utilizzato è latenza.
       La seconda caratteristica riguarda l’esordio clinico della malattia, che può essere clamoroso
e drammatico, tale da richiamare l’attenzione del paziente, oppure subdolo e graduale, tale da
passare inosservato al paziente stesso.
       La terza caratteristica riguarda il decorso che può essere rapido (giorni o settimane) o lento
(anni o decenni), in altre parole il decorso può essere acuto o cronico.
       La quarta concerne l’esito della malattia, che in alcuni casi può essere rappresentato da una
rapida guarigione, o dalla morte del paziente in tempi stretti, in altri casi si può avere la
stabilizzazione per lungo tempo, oppure un progressivo peggioramento, e la morte a distanza di anni
o decenni.

       Tra le quattro caratteristiche, è il tipo di decorso che ci permette di distinguere le patologie
cosiddette acute da quelle croniche. In senso generale molte delle patologie infettive, non tutte,
possiedono le caratteristiche del primo gruppo, mentre le patologie cronico-degenerative
possiedono, di solito, le caratteristiche del secondo.
Capitolo 4
ALIMENTAZIONE

4.1    APPARATO DIGERENTE

       L’apparato digerente è costituito da un lungo condotto o canale detto anche tubo digerente,
che inizia sulla faccia con la rima orale e termina nel bacino con l’ano. Nel tubo digerente si
distinguono, procedendo dall’alto in basso: la cavità orale o bocca, cui sono annesse le ghiandole
salivari maggiori; la faringe; l’esofago; lo stomaco; l’intestino, suddiviso in intestino tenue, a sua
volta suddiviso in duodeno, digiuno e ileo, con annessi il fegato e il pancreas, e nell’intestino
crasso, a sua volta suddiviso in cieco, colon e retto. L’apparato digerente ha il compito di introdurre,
digerire e assorbire i principi nutritivi contenuti negli alimenti, eliminando i residui non utilizzati.
La struttura generale del tessuto che forma il tubo digerente è costituito da uno strato di muscolatura
liscia, involontaria, che circonda la parte che riveste internamente questo tubo che è la mucosa, che
è la parte che viene a trovarsi in diretto contatto con i cibi. Le cellule della mucosa, che variano a
seconda della funzione dei singoli tratti del tubo, svolgono le funzioni di secrezione e di
assorbimento.

4.2    ALIMENTAZIONE

       L’alimentazione ha il compito di fornire all’organismo le sostanze e l’energia necessarie
alla costituzione dei tessuti in accrescimento ed alla sostituzione dei materiali consumati, eliminati o
perduti nel corso delle varie funzioni organiche.
       Per nutrizione possiamo intendere l’insieme di tutti i processi coinvolti nella assimilazione
ed utilizzazione delle sostanze nutritive.
       Si definisce dieta la quantità abituale di cibi e bevande ingerita giornalmente da una
persona, in particolare uno schema alimentare pianificato per soddisfare le richieste specifiche di un
individuo, aggiungendo o escludendo alcuni tipi di alimenti secondo le necessità.

4.3    FABBISOGNO ENERGETICO O CALORICO DI UNA DIETA

       L’energia necessaria ad esplicare le nostre attività organiche deriva dai processi metabolici
di ossidazione, a livello dei tessuti, delle sostanze nutritive ingerite. Per metabolismo si intendono
tutte le trasformazioni chimiche ed energetiche che avvengono nell’organismo. Noi introduciamo
alimenti composti, ovvero alimenti che contengono in varie proporzioni gli alimenti semplici
fondamentali, detti anche principi alimentari, o anche nutrienti.
       I nutrienti sono sei gruppi di sostanze: proteine (o protidi), carboidrati (o glucidi),
grassi (o lipidi), sali minerali, vitamine e acqua.
L’organismo ossida carboidrati, proteine e grassi, producendo principalmente acqua e
anidride carbonica e l’energia necessaria per i processi vitali. Esiste una differenza sostanziale tra i
primi tre (protidi, glucidi e lipidi) e gli altri tre. Infatti i primi sono nutrienti che apportano una certa
quantità di energia, una volta assorbiti, digeriti e ridotti, mediante i processi metabolici, a
componenti più semplici; gli altri (sali minerali, vitamine e acqua) sono nutrienti non energetici,
ovvero non apportano calorie.
        I cosiddetti valori termodinamici o calorici, ovvero la quantità di energia (misurata in
Kilocalorie) che viene liberata per ogni grammo di sostanza metabolizzata, sono rispettivamente:
per le proteine circa 4 Kcal, per i grassi circa 9 Kcal e per i carboidrati circa 4 Kcal.
        Pertanto se noi conosciamo, attraverso analisi chimiche, le percentuali di nutrienti che
costituiscono gli alimenti composti, possiamo calcolare il loro potere energetico complessivo.
        Il fabbisogno energetico viene definito come la quantità di energia necessaria a mantenere a
lungo termine un buon stato di salute, ed un “appropriato” livello di attività fisica.
        La proporzione maggiore del dispendio energetico è generalmente rappresentata dal
metabolismo basale (MB). Per metabolismo basale si intende il dispendio energetico necessario
per mantenere l’attività delle nostre funzioni vitali (attività del cuore, attività dei muscoli
respiratori, ecc.). Si ha quindi un continuo dispendio energetico anche quando siamo nel più
completo riposo. L’altra quota di energia, di cui noi abbiamo bisogno, è legata all’energia muscolare
sviluppata per l’attività fisica.
        Sia il MB che il dispendio per l’attività fisica sono correlati con età, sesso e peso. Poiché si è
detto che il dispendio energetico è influenzato dall’età e dal sesso, è necessario differenziare il
fabbisogno energetico delle varie fasce di età nei due sessi. E ovviamente il fabbisogno calorico
giornaliero varia a seconda dei diversi tipi di attività fisica (leggera, moderata, pesante) svolta nella
giornata.
        La crescita del bambino e dell’adolescente, la gravidanza e l’allattamento completano
l’elenco delle voci che contribuiscono al dispendio energetico. In gravidanza un incremento di 200
Kcal/giorno oltre il normale fabbisogno (per il MB e l’attività fisica), è sufficiente a garantire, in
donne sane che riducono l’attività fisica durante la gravidanza, la copertura del costo energetico
della gestazione, e dell’accumulo delle riserve adipose necessarie per il successivo allattamento.
Anzi nelle condizioni di vita moderna, tale incremento è probabilmente di gran lunga superiore al
reale fabbisogno. Per la donna che allatta si ritiene più che sufficiente aggiungere 500 Kcal/giorno
al normale fabbisogno.
        Senza entrare nel dettaglio, e giusto per dare dei valori molto indicativi, una persona adulta,
sana, di peso ideale, che svolga nella sua giornata una leggera attività fisica, necessita di circa
2000-2500 Kcal. se donna, mentre circa 2500-3000 Kcal. se uomo. La variazione, entro i sessi, è
dovuta alla diversa costituzione fisica, mentre la differenza tra i sessi, a parità di età, altezza e
attività fisica, è soprattutto dovuta alla diversa entità della massa muscolare fra i due sessi.
4.4     I NUTRIENTI O PRINCIPI ALIMENTARI FONDAMENTALI

        Ogni principio alimentare ha una sua funzione fisiologica più specifica rispetto alle altre,
pertanto possiamo in generale considerare fattori ad azione prevalentemente energetica i glucidi e i
lipidi; ad azione plastica, soprattutto i protidi, i sali e l’acqua; ad azione regolatrice i processi
metabolici le vitamine e alcuni sali minerali.

4.5     CARBOIDRATI O GLUCIDI

        I carboidrati costituiscono un gruppo molto vasto di composti chimici denominati anche con
altri termini come glucidi o zuccheri.
I principali carboidrati alimentari sono i monosaccaridi (glucosio, fruttosio e galattosio) i
disaccaridi (saccarosio, lattosio e maltosio) e i polisaccaridi (amido e fibra alimentare). In realtà
con il termine di fibra alimentare si comprende oltre la cellulosa, l’emicellulosa, le pectine e una
varietà di gomme vegetali, la lignina, che hanno in comune la proprietà di non essere digerite dagli
enzimi presenti nel tratto gastrointestinale.
        I monosaccaridi e i disaccaridi si trovano nella frutta, nel latte, nelle bevande dolci
analcoliche, nelle marmellate, nelle caramelle e nei dolci. Gli amidi si trovano soprattutto nelle
farine, nel pane, nelle paste e altri prodotti a base di cereali, nei legumi e in poche verdure e ortaggi
(patate).
        Essendo i costituenti principali degli alimenti vegetali, i carboidrati hanno rappresentato da
sempre la fonte più abbondante e importante di energia per l’uomo. Anche lo zucchero (ricavato
dalla canna) è conosciuto fin dai tempi di Alessandro Magno, ma il suo uso nei prodotti che oggi
conosciamo è divenuto comune solo nel secolo scorso.
        Direttamente utilizzata come fonte energetica da parte dei tessuti dell’organismo è però solo
la molecola del glucosio. Questo implica che per poter essere utilizzati a scopo energetico i vari
carboidrati debbono fornire glucosio all’organismo, per scissione o trasformazione metabolica.
Perciò anche se da un punto di vista fisico tutti i carboidrati sono energeticamente equivalenti,
essendo in grado di fornire circa 4 Kcalorie/grammo, da un punto di vista fisiologico-nutrizionale
possono differire per prontezza e livello di utilizzazione. Così infatti, mentre la complessità degli
amidi richiede una più lunga digestione enzimatica intestinale, con demolizione delle molecole di
polisaccaridi, la struttura degli zuccheri semplici non richiede in genere tale digestione, e sono più
prontamente disponibili.

4.6     GRASSI O LIPIDI

        I grassi alimentari rappresentano una quota importante della razione alimentare nell’uomo. Il
loro ruolo, una volta assorbiti nell’organismo, è vario, ma può essere schematicamente così distinto:
a) ruolo di deposito di riserve energetiche; b) ruolo strutturale e funzionale in tutte le cellule,
soprattutto a livello della membrana; c) ruolo speciale a livello cerebrale specie nella fase dello
sviluppo. I grassi alimentari sono importanti veicoli di alcune vitamine liposolubili (A e D).
       I grassi alimentari vengono usualmente ingeriti sotto forma di trigliceridi e vengono
classificati in base alle caratteristiche degli acidi grassi in essi contenuti. A seconda del numero dei
doppi legami presenti nella catena di atomi avremo grassi saturi, mono-insaturi e poli-insaturi.
       In genere nei grassi di origine animale prevalgono gli acidi grassi saturi (che di solito hanno
una consistenza solida); in quelli di origine vegetale quelli insaturi (generalmente con consistenza
liquida). L’olio di oliva è prevalentemente mono-insaturo; mentre l’olio di palma contiene larghe
componenti di grassi saturi; invece i grassi degli animali marini sono largamente poli-insaturi.

4.7    PROTEINE O PROTIDI

       Gli organismi viventi hanno una notevole flessibilità metabolica che consente loro di
adattarsi alla qualità e quantità dei vari nutrienti di volta in volta disponibili. La flessibilità dipende
dalla caratteristica peculiare che hanno le proteine dell’organismo di andare soggette ad un continuo
processo di demolizione e sintesi conosciuto come “turnover”. Il turnover consente all’organismo
di modulare la sintesi delle proteine in dipendenza dell’evolversi delle sue esigenze. La velocità del
turnover varia da tessuto a tessuto.
       Teoricamente sono disponibili delle metodologie per valutare il bisogno in proteine, tra le
altre quello del “metodo del bilancio dell’azoto” (l’azoto è un componente caratteristico delle
proteine). Il bisogno in proteine di un individuo, di conseguenza, non può che essere definito sulla
base del più basso livello di assunzione di proteine, di elevato valore biologico, capace di mantenere
l’equilibrio dell’azoto. Il livello di proteine così calcolato è quello che corrisponde ad un consumo
di sicurezza in proteine.

       Le proteine della dieta sono tanto più utilizzabili dall’organismo quanto più il loro contenuto
in aminoacidi, in particolare quelli essenziali, corrisponde a quello necessario per la sintesi delle
proteine corporee.

4.8    SALI MINERALI

Macroelementi.
       La loro presenza ha significato plastico e/o catalitico, ovvero regolatore dei processi
metabolici.
       Calcio. La funzione plastica del calcio riguarda principalmente il tessuto osseo. La piccola
quantità che non fa parte delle strutture scheletriche si trova nei liquidi organici: ha grande
importanza nella coagulazione del sangue, nella funzione del cuore, dei muscoli e dei nervi.
       Fosforo. Ha funzione plastica come costituente del tessuto osseo e dei fosfolipidi presenti in
tutte le cellule e specialmente nel tessuto nervoso.
Magnesio. Insieme al calcio e al fosforo partecipa alla costituzione dello scheletro, tant’è
che il 70% del magnesio presente nell’organismo si trova nelle ossa.
       Sodio e potassio. Sodio e potassio sono presenti negli organismi quasi esclusivamente in
forma ionica, ovvero in soluzione (il potassio predomina nell’interno delle cellule, il sodio si
riscontra di preferenza nei liquidi extracellulari). Importanti funzioni del sodio sono il
mantenimento della pressione osmotica dei liquidi corporei, la protezione dell’organismo contro
eccessive perdite idriche, la regolazione della normale eccitabilità dei muscoli. La funzione
intracellulare del potassio corrisponde a quella del sodio nei liquidi extracellulari (equilibrio acido-
base, pressione osmotica, ritenzione idrica).
       Cloro. E’ presente nell’organismo soprattutto come cloruro di sodio; e analogamente al
sodio ha funzioni di regolazione del bilancio idrico, della pressione osmotica e dell’equilibrio acido-
base. E’ presente nel succo gastrico in cui si trova sotto forma di acido cloridrico (HCl).

Microelementi (o oligoelementi)
       Ferro, Iodio, Zinco, Rame, Manganese, Selenio, Cromo, Fluoro, ecc.. Ognuno di questi
elementi svolge funzioni specifiche e insostituibili, pertanto una loro carenza nella dieta può essere
responsabile di particolari situazioni morbose.

4.9    VITAMINE

       Le vitamine liposolubili possono essere depositate ed accumulate nei lipidi di organi e
tessuti dando luogo a possibili effetti di ipervitaminosi, mentre le idrosolubili vengono facilmente
sciolte ed escrete con le urine e non presentano quindi pericoli da eccesso di consumo.

Vitamine liposolubili
       Vitamina A. La vitamina A è essenziale per la visione, la crescita e la differenziazione
cellulare, la riproduzione e l’integrità del sistema immunitario. Sono biologicamente attivi come
vitamina A sia il retinolo che vari carotenoidi, fra i quali il più attivo è il beta-carotene.
       Vitamina E. In generale viene comunemente accettato che la funzione principale della
vitamina E è quella di proteggere l’integrità delle membrane cellulari, probabilmente a causa della
azione antiossidante esplicata.
       Vitamina D. La vitamina D promuove l’assorbimento del calcio dall’intestino e riveste un
ruolo importante nel meccanismo di mineralizzazione delle ossa. Non è un componente della dieta
assolutamente essenziale, perché può essere sintetizzata dal 7-deidro-colesterolo nella pelle tramite
esposizione ai raggi ultravioletti.
       Vitamina K. La vitamina K è essenziale per la formazione di fattori proteici coinvolti nel
processo di coagulazione del sangue.
Vitamine idrosolubili
       Vitamine del gruppo B, vitamina C, ed altre, che sono indispensabili per il normale
svolgimento di svariate reazioni metaboliche. Una loro deficienza si ripercuote, in vario modo, sul
livello di salute dell’individuo. Sono peraltro ben diffuse in natura, soprattutto negli alimenti di
origine vegetale.

4.10 ACQUA

       Tutti i processi metabolici e le varie reazioni chimiche dell’organismo avvengono in un
mezzo fluido il cui componente principale è l’acqua.
       Se si considera un maschio adulto normale, giovane, il 18% del peso corporeo è costituito da
proteine e sostanze affini, il 7% da minerali e il 15% da grassi. Il rimanente 60% è acqua (40%
acqua intracellulare e 20% extracellulare). Tutto ciò spiega l’importanza fondamentale di questo
“elemento-alimento”.

4.11 ALCOOL

       Per l’alcool non si può parlare di fabbisogno perché esso non risponde ad una esigenza
specifica dell'organismo (non è un nutriente), ma come diversi altri principi nutritivi concorre alla
copertura del fabbisogno energetico. L’alcool è una sostanza ad alto contenuto energetico, infatti un
grammo di alcool apporta 7 Kcal. L’alcool è anche una sostanza che svolge un’intensa e specifica
azione farmacologica sul sistema nervoso e come tutte le sostanze farmacologiche, oltre una certa
dose, risulta chiaramente tossica.

4.12 DIETA EQUILIBRATA

       Dieta adeguata o ottimale è la dieta che determina il miglior accrescimento, la migliore
riproduzione, e il mantenimento del miglior stato di salute possibile.
       Una volta stabilita la quantità di energia necessaria per un individuo, non è indifferente sotto
quale forma queste calorie vengono somministrate; per evitare conseguenze dannose dovute ad una
alimentazione inadeguata, occorre che tutti i sei nutrienti siano presenti nella dieta.
       Per dieta equilibrata si intende pertanto uno schema alimentare che contiene tutti i fattori
nutritivi nelle proporzioni giuste per una nutrizione corretta e adeguata.
       Non esiste, né come prodotto naturale né come trasformato, ”l’alimento completo” che cioè
contenga tutti i principi nutritivi nella giusta quantità e che sia quindi in grado di soddisfare da solo
tutte le nostre necessità nutritive. Di conseguenza, il modo più semplice e sicuro per garantire, nella
misura più adeguata, l’apporto di tutte le sostanze indispensabili, rimane quello di ricorrere alla più
ampia varietà possibile di scelta e alla opportuna combinazione di alimenti diversi.
La quota energetica da introdurre con la dieta giornaliera dovrebbe essere distribuita nel
seguente modo:

       Proteine 10-12%        Grassi 20-25%      Carboidrati 65-70%

       Le proteine dovrebbero essere per due terzi di origine vegetale e per un terzo di origine
animale.
       Dal punto di vista quantitativo l’apporto lipidico ritenuto adatto per la popolazione italiana è
del 30% delle calorie totali della dieta nell’infanzia e adolescenza, e del 20-25% nell’età adulta. I
grassi dovrebbero essere così ripartiti: < 10% saturi, 10-15% mono-insaturi e 5% poli-insaturi.
Il colesterolo alimentare non dovrebbe superare i 300 mg al giorno.
       Gli zuccheri semplici non dovrebbero superare il 10% della razione energetica giornaliera.
       Il consumo di fibra alimentare dovrebbe essere di 30-35 grammi/giorno. L’obiettivo
dell’aumento del consumo di fibra dovrebbe essere raggiunto attraverso il maggior consumo di
frutta, verdura, ortaggi, legumi e cereali integrali (che forniscono anche minerali e vitamine) e non
attraverso il consumo di concentrati di fibra.
Capitolo 5
SEDENTARIETÀ

5.1     SEDENTARIETÀ

La sedentarietà, ovvero la scarsa attività fisica, rappresenta uno dei principali fattori di rischio per la
salute relativi allo stile di vita.
Secondo alcuni Studiosi l'inattività fisica sarebbe al quarto posto tra i principali fattori di rischio
delle patologie croniche. Alcune ricerche riportano che il 30% delle morti premature totali sono
correlate con il sovrappeso e la sedentarietà; un terzo delle morti per cancro dipendono da cattiva
alimentazione, sedentarietà e sovrappeso; la sedentarietà riduce l'aspettativa di vita mediamente di 4
anni; mentre secondo altre ricerche la sedentarietà ha superato il fumo come causa di patologia:
infatti ucciderebbe nel mondo 5,3 milioni di persone all'anno rispetto ai 5 milioni di morti del fumo.
E in conseguenza di tutto questo la sedentarietà avrebbe un forte impatto economico, in relazione ai
costi diretti della assistenza sanitaria, inoltre un forte impatto sulla produttività in relazione agli anni
di vita passati in buona salute.
Le cause che hanno portato ad aumento della sedentarietà sono varie, ad esempio l'aumento del
lavoro di tipo sedentario (meccanizzazione industriale crescente, uso del computer), l'aumento della
urbanizzazione e dei mezzi di trasporto (in Europa nel 50% degli spostamenti l'automobile viene
usata per distanze inferiori ai cinque chilometri, ovvero distanze che potrebbero essere coperte di
buon passo in 30-50 minuti o in bicicletta in 15-20 minuti), l'uso dell'ascensore al posto delle scale,
l'aumento delle ore passate davanti allo schermo del televisore o del computer, la diminuzione della
pratica di sport o di giochi all'aperto, la carenza di spazi dove praticare attività fisica all'aperto o di
piste ciclabili, l'aumento degli elettrodomestici e la diminuzione dell'attività domestica: tutti questi
fattori hanno contribuito all'aumento dei soggetti sedentari.
Nonostante i "colossali danni" della sedentarietà questa non è sufficientemente percepita come
importante fattore di rischio. Molte campagne di promozione basate sui benefici di una vita attiva
trasmettono il messaggio che l'attività è utile ma non essenziale per la salute. Mentre secondo
diversi Ricercatori è necessario sviluppare un approccio alla sedentarietà analogo a quello
impiegato nelle strategie di lotta contro il fumo, ovvero fare in modo che la comunità medica
intervenga efficacemente su questo fattore di rischio. Occorre sottolineare non solo i rischi
conseguenti alla sedentarietà ma anche i benefici conseguenti all'attività fisica.

5.2     ATTIVITÀ FISICA

Secondo l’Organizzazione Mondiale della Sanità, per attività fisica si intende “qualunque sforzo
esercitato dal sistema muscolo-scheletrico che si traduce in un consumo di energia superiore a
quello in condizioni di riposo”. In questa definizione rientrano quindi non solo le attività sportive
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