Le domus de Janas della Sardegna - Progetto realizzato da Rita Spiga Docente di Lettere presso il Liceo Pitagora di Selargius, Cagliari Anno ...
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Le domus de Janas della Sardegna S’acqua ‘e is dolus Settimo San Pietro Progetto realizzato da Rita Spiga Docente di Lettere presso il Liceo Pitagora di Selargius, Cagliari Anno Scolastico 2017/2018
Le domus de Janas della Sardegna leggenda schedature etimologia riutilizzo cronologia Oschiri - Malghesi simbologia tipologie realizzazione orientamento riti funebri
La leggenda Nelle leggende che parlano dell’origine del tempo e della selvatica Ichnusa, la più antica terra emersa del Mar Mediterraneo, isola a forma di piede adagiata sul mare, non mancano le piccole figure femminili chiamate Janas. Sono le Vestali del pantheon fantastico sardo, fate leggiadre che abitano la roccia scavata. Sono minute donne sacre, adoratrici della luna, che derivano il proprio nome da Diana (in latino è il nome dato alla luna), dea dei boschi, vendicatrice di ingiustizie, regina della nascita e della crescita, che, fino al IV sec., era onorata con una processione di sole donne, la notte del 13 Agosto. Le Janas potrebbero anche derivare il proprio nome da Giano, il dio bifronte guardiano del mondo dei viventi e dell’aldilà. In sardo «gianna» significa «porta». Infatti le Janas (o gianas) aprono l’immaginazione ad un mondo incantato. Nate da una scintilla scappata ad un dio distratto, il Sardus Pater, furono le prime abitatrici della Sardegna. Esse accolsero il popolo del mare, giunto a popolare l’isola, e alle donne insegnarono a tessere tessuti bellissimi nei loro telai d’oro. Esse stesse realizzavano bellissimi scialli ricamati in oro, che stendevano sulle rocce, al plenilunio. Le Janas erano capaci di segnare il destino degli uomini donando fortuna e disgrazia. Esse entravano di notte dai pertugi delle serrature e, mentre il vento ululava tra gli alberi, si avvicinavano alle culle dei neonati per sussurrare loro parole incantate, che avevano il potere di segnare il destino. Chi aveva la fortuna di essere benedetto trascorreva la vita in modo tranquillo, mentre chi veniva «male fadado» viveva un’esistenza affannata. Queste bellissime creature della notte, avevano una pelle delicata e evanescente, che nessun raggio di sole poteva sfiorare. Ritrose e irriverenti si rincorrevano tra le selve giocando a nascondino, vestite di lino e veli di colore rosso e ricolme di gioielli in filigrana (che esse stesse realizzavano), oppure giocavano nella sabbia sconfinata davanti al mare illuminato dall’oscurità. Avevano il dono della profezia oracolare, dominavano il fuoco, potevano far guarire dalle malattie ed erano in contatto con il mondo degli spiriti, perché brave nella preparazione di unguenti con le erbe, capaci di fare entrare in trance. Il mito esoterico delle fate giunse fino agli albori del Cristianesimo, che non ammetteva culti pagani, e così le Janas diventarono demoniache, vampire e orrende creature che popolavano le rocce. Secondo gli archeologi in queste figure mitologiche ci sarebbe traccia del ruolo sacerdotale che le donne avevano fin dall’epoca pre-nuragica. Le grotte e gli antri scavati nella roccia, che nascondevano segreti incomprensibili che solo il sovrannaturale poteva giustificare, secondo la tradizione, erano le case delle Janas. Dopo che gli scavi e gli studi archeologici hanno appurato che le domus de Janas sono state aree sepolcrali sotterranee, questi luoghi, dove cultura, tradizione e immaginazione si mescolano, si sonno arricchiti di fascino. Ci piace pensare che le piccole Janas ancora vigilino sui territori selvaggi della Sardegna, perché mai vada perso il legame supremo che i nostri antenati avevano con la loro grande Dea Madre Terra.
Le sepolture neolitiche della Sardegna La consuetudine di restituire i corpi dei defunti alla terra entro sepolture a fossa risale almeno agli albori della specie Sapiens Sapiens. Con la «rivoluzione neolitica», con la quale l’uomo si fa artefice della produzione degli alimenti tratti dall’agricoltura e dall’allevamento, subentra, presso molti gruppi umani, il desiderio di conservare le spoglie mortali dei propri cari in tombe ipogeiche (= sotterranee) scavate nella roccia. Era necessario uno spazio di permanenza del defunto nel «regno delle ombre», in attesa di essere rigenerato ad una nuova vita. Il corpo materiale diventa seme nel grembo della Madre Terra e nelle tombe, che nella forma più semplice sono di pianta ovale (richiamo esplicito alla rotondità del ventre materno nella gravidanza), viene spesso deposto in posizione fetale. Anche in Sardegna l’ipogeismo, con sepolture monosome, nacque nel Neolitico, nella sua fase intermedia contrassegnata dalla Cultura di Bonu Ighinu (4700 - 4000 a.C.) Allo stato attuale degli studi le più antiche sepolture di questo tipo sono quelle della necropoli di Cuccuru is Arrius di Cabras. Ma è nel Neolitico recente (4000 - 3200 a.C.) che esso trova il pieno sviluppo con la Cultura di Ozieri, con sepolture collettive, per continuare anche nella prima Età del rame dalle Culture di Filigosa e Abealzu (3200 – 2700 a.C.). L’utilizzo di Pimentel - S’acqua salida queste sepolture è proseguito, però, tra ristrutturazioni e cambiamenti d’uso, in molti casi fino all’Età Medievale e anche oltre. Domus de Janas (= case delle fate o delle streghe) è il nome con il quale vengono denominate le numerosissime tombe ipogeiche presenti in varie parti della Sardegna. Esse sono note anche come concas o concheddas (= teste, grotte o conchiglie), o come forrus, forreddus o furrighesus (forni, anfratti). Queste sepolture (circa 3500) si trovano talvolta isolate, ma generalmente in necropoli più o meno estese. Nella maggior parte dei casi sono state realizzate nelle pareti rocciose e in pianori rocciosi. Gli ingressi sono «a pozzetto» nei tipi più antichi, a dromos (= corridoio) anche molto lungo, e talvolta presentano «un padiglione» (una sorte di tettoia piana risparmiata sopra la roccia sopra il portello d’accesso), in monumenti complessi. All’ingresso possono essere presenti anche aggiunte megalitiche, come un corridoio dolmenico con lastre verticali oppure una sorta di recinto antistante con un ingresso molto ben visibile. Le dimensioni sono varie: alcune sono estese pochi metri quadri, altre, molto grandi, superano i cento metri quadri. Possono avere un solo vano (monocellulari) o più vani (pluricellulari) fino ad una ventina. Villanovamonteleone – Monte Minerva
Le diverse tipologie delle domus de Janas Sorradile - Prunittu (a portello) Alghero - Anghelu Ruju (con dromos e gradini) Pimentel – S’acqua Salida (a pozzetto) Villa sant’Antonio - Genna Salixi (a corridoio) Perfugas - Niedda (con corridoio dolmenico) Macomer – Filigosa (corridoio e portello coperto)
La realizzazione delle domus de Janas Le tombe ipogeiche sono state scavate nella nuda roccia con strumenti primitivi, sicuramente litici, non essendo conosciuti i metalli all’epoca in cui furono realizzate. Nelle stesse tombe sono stati spesso rinvenuti strumenti in pietra, con forma a mandorla, grossolanamente appuntiti, con una sagomatura tale da permettere l’impugnatura, chiamati «picchi di scavo». Questi strumenti, ritrovati in gran numero all’interno delle domus, probabilmente venivano realizzati in loco, utilizzati per lo scavo e lasciati sul posto a fine lavori. A seconda della natura geologica dell’area nella quale venivano realizzate, le domus venivano scavate procedendo in verticale in banchi rocciosi orizzontali e orizzontalmente in pareti di Sassari – Ponte Secco roccia verticali. La maggior parte delle domus de Janas è stata scavata nell’arenaria (molto friabile e di facile scavo), ma anche nel granito, nella trachite e nella marna. Meno frequentemente sono scavate nel basalto e nel calcare. Nelle aree caratterizzate dalla presenza di rocce molto dure, come i graniti, le domus si presentano in forme semplici entro grandi massi isolati. La concentrazione delle tombe nel territorio è direttamente connessa con la tipologia di roccia: essa, oltre ad aver influenzato la concentrazione delle domus nel territorio isolano, ne ha anche influenzato l’estensione interna. Infatti le più estese sono scavate nell’arenaria. Per esempio, nel territorio di Bonorva, dove l’arenaria è la tipologia di roccia predominante, si trovano moltissime sepolture. Poiché le domus de Janas sono state realizzate e usate continuativamente per circa 1500 anni da diverse culture e, poiché prima degli archeologi quasi sempre sono arrivati i tombaroli, nella maggior parte delle tombe i materiali sono confusi e mischiati tra di loro. Le tombe non venivano scavate in un’unica fase. Ciò si deduce dalle tante celle che presentano tracce di lavorazione non completate o dalle nicchie di deposizione appena Bonorva – Sant’Andrea Priu abbozzate. Le tombe erano provviste di chiusura con lastre di pietra (chiusino) e in molte cornici esterne sono presenti decorazioni in rilievo. La planimetria delle tombe è molto varia. La più semplice è a unica cella, nelle più complesse la disposizione può essere a celle concentriche con una cella centrale, a croce o a T, con corridoio. Nelle tombe con ingresso a parete è quasi sempre presente un corridoio che conduce alla cella centrale, con un passaggio in una anticella. Gli agglomerati maggiormente significativi in Sardegna sono: Montessu a Villaperuccio, Santu Andrea Priu a Bonorva e Anghelu Ruju ad Alghero. Bonorva – Sant’Andrea Priu
Le tombe come le case dei vivi Ossi - Neoddale Putifigari – S’Incantu Ricostruzione di capanna L’impianto planimetrico delle Domus de Janas è caratterizzato da un forte senso della geometria e della simmetria. In alcune è evidente che si sia voluta riprodurre la casa dei vivi e ciò ci permette di immaginare come fossero le abitazioni dei Sardi di 5000 anni fa. Infatti, poco conosciamo delle capanne delle genti della cultura di Ozieri, in quanto erano costruite con il legname posizionato su una zoccolatura in pietra. Nella rappresentazione fedele delle abitazioni possiamo trovare, oltre al portello che ne permette l’accesso, il pilastro centrale o più pilastri che reggono il tetto, sostegni laterali, zoccolatura perimetrale, architravi, porte rettangolari, false porte e false finestre, armadietti, tavoli, sedili, nicchie ricavate nello spessore delle pareti, e talvolta il focolare. Il tetto lo vediamo rappresentato sia in forma rotonda leggermente concava, decorato con scanalature radiali che partono da un rilievo a semicerchio della trave centrale, oppure rettangolare a doppia falda con la trave centrale e i travicelli che partono dalla trave centrale. Le domus de Janas sono costituite da una o, molto frequentemente, da più stanze circolari o quadrangolari, comunicanti fra loro con una sala centrale a cui si accede attraverso un androne e hanno ambienti piccoli, ma spesso anche vasti e monumentali. I particolari architettonici, che riproducendo le dimore dei vivi, dimostrano inequivocabilmente la fede in una vita ultraterrena, nella quale i defunti avevano bisogno di tutto ciò che di meglio possedevano durante la vita terrena, e nella rinascita del defunto. Non sappiamo con certezza se nella società di cultura «Ozieri» si fosse già arrivati ad una stratificazione sociale (ceto dominante e ceti subalterni), ma è poco probabile. In una società democratica le tombe riprodurrebbero le capanne comuni, in una società aristocratica la casa regale o del gruppo dominante. Probabilmente gli ipogei decorati riproducono una capanna collettiva riservata al culto.
L’orientamento delle domus de Janas L’analisi archeoastronomica svolta su circa 600 ipogei ha dato informazioni molto interessanti sull’orientamento delle domus de Janas. Dall’esame emerge che gli ipogei del settentrione e del meridione dell’Isola possono ricondursi al medesimo costume di orientamento. Considerando che l’intenzionalità dei costruttori ha certamente risentito della natura della parete rocciosa e che doveva esistere una certa tolleranza nello scegliere l’orientamento ideale delle sepolture, è emerso che solo il 5% degli ingressi non guarda verso l’arco dell’orizzonte che il Sole non attraversa mai. Il 95% degli ingressi guarda, in quantità decrescente, verso il sorgere del Sole, verso l’arco di orizzonte in cui esso sale in cielo, verso il suo culminare, verso l’arco di orizzonte in cui discende e verso il Villa Sant’Antonio - Genna Salixi suo tramonto. Le tombe orientate in modo anomalo guardano Monastir – Monte Oladiri probabilmente verso un luogo dove si svolgevano pratiche rituali. La «Tomba del capo» a Bonorva presenta nell’anticella (o nartece) un sole scolpito a bassorilievo nella volta, perfettamente orientato col punto in cui tramonta il sole nel solstizio d’inverno (21 dicembre), quando i raggi riflettono dall’acqua versata nelle coppelle per le offerte, un fascio luminoso capace di irradiare i vani più lontani e formare l’immagine delle corna taurine (assenti come iconografia), sopra la falsa porta. Nelle domus de Janas vi sono anche degli indizi che consigliano di tenere in forte considerazione anche la Luna. Nella cultura e nella spiritualità delle genti di Ozieri la Luna doveva rivestire un ruolo importante, attestato dalla presenza dell’iconografia del crescente lunare. Sorradile - Prunittu Oniferi – Sas concas
La protome e il crescente lunare Gli ambienti delle domus de Janas sono talvolta impreziositi da motivi iconografici, naturalistici o stilizzati, legati al culto dei defunti. Sulle pareti compaiono spesso motivi corniformi, scolpiti o dipinti, isolati o in coppie, che variano in un’ampia casistica che va dalla protome taurina al crescente lunare. Professor Lilliu ipotizzò che il toro fosse il paredro della Dea Madre e che la simbologia, comune in tutta l’arte neolitica, fosse magica e protettiva del defunto. Nelle domus de Janas la rappresentazione realistica della protome taurina è accompagnata da una forma più schematica, che è stata interpretata come il crescente lunare. La luna, astro mutante corniforme, che muore e che rinasce, che segna il ciclo mensile femminile e che comanda le acque, è anch’essa simbolo di rinascita. Del resto anche la festività che celebra la resurrezione di Cristo o i tempi della religione musulmana sono dettati dai ritmi della luna. La luna, l’astro notturno più evidente, attirò con i suoi cicli l’attenzione degli uomini preistorici. Essa venne consideratala personificazione in cielo della Madre Terra, per la sua influenza sulle acque e in particolare sulla crescita delle piante e sul risultato delle messi. Infatti è ancora consuetudine presso i contadini non arare, non mietere e non trapiantare se non con la luna nuova. Le fasi crescenti della luna richiamavano alla mente delle antiche popolazioni i periodi di fecondità e gravidanza sia del bestiame sia delle donne del clan, influenzate dalla luna anche nel loro ciclo mensile. I nostri antenati devono aver pensato che la Grande Madre regolasse anche la vita dell’oltretomba. Ma chi dava ad essa la forza per generare tutte le cose? Evidentemente il Sole, identificato col toro. Alla base vi era la speranza, da parte dei vivi, in una rinascita dopo la morte, grazie al potere fecondatore della divinità maschile, il Dio Toro (il Sole) e di quella femminile, la Dea Madre (la Luna). Ossi - S’adde ‘e Asile (protome realistica) Portotorres – Su crocifissu mannu (protome stilizzata) Villaperuccio - Montessu (crescente lunare)
La spirale Un altro simbolo molto ricorrente nelle domus de Janas è il motivo a spirale. Alcuni studiosi lo hanno interpretato come la rappresentazione del ciclo solare, altri di quello della luna e ancora altri come un simbolo archetipo facente parte del nostro inconscio collettivo. La spirale che tante persone disegnano mentre riflettono, ascoltano musica o una conferenza, potrebbe infatti rappresentare un’emersione inconscia dello scorrere del tempo, del divenire, del movimento. Chi scolpiva o dipingeva spirali nelle tombe si interrogava certamente sugli astri e sul senso dell’Universo in cui era immerso. Oggi sappiamo che la Terra in cui abitiamo ruota su se stessa ad una velocità pazzesca, come una trottola. Potrebbe essere possibile che questo movimento reale, che non viene percepito dai sensi, emerga attraverso la spirale a livello inconscio? I costruttori delle domus de Janas certamente immaginavano che la terra fosse piatta, a forma di cerchio, sovrastata dalla cupola celeste. Le spirali potrebbero rappreentare gli occhi della Dra Madre Terra. Villaperuccio - Montessu Bonorva – Sa pala larga
Il capovolto, la losanga e la clessidra Sulle pareti delle domus de Janas spesso colorate con ocra rossa (che richiama il colore del sangue e della rigenerazione) sono presenti vari altri motivi simbolici: incisioni a zig zag, chevron graffiti e disegni pettiniformi. Questi segni di consacrazione dovevano servire per proteggere il sonno dei defunti. La figura umana capovolta di Oniferi ancoriforme o «a candelabro» in schema rigidamente geometrico, che reca la raffigurazione di una testa, di braccia e di gambe (simile a quella dei menhir di Laconi), dovrebbe rappresentare l’anima del defunto che ritorna alla sua Madre Terra. La decorazione a losanghe di Ossi potrebbe riprodurre un tessuto d’ornamento in uso nella casa dei vivi. Oltre alla raffigurazione delle doppie corna a barca, a Mesu ‘e Montes è rappresentato il motivo della «clessidra», che potrebbe essere l’evoluzione stilistica della figura antropomorfa. Oniferi – Sas Concas (il capovolto) Ossi – S’adde ‘e Asile (losanga) Ossi – Mesu ‘e Montes (doppie corna a barca e clessidra)
I riti funebri Negli ipogei funerari, soprattutto in quelli di maggiori dimensioni, le inumazioni erano accompagnate da riti funebri. Le condizioni precarie di una società preistorica, come quella di Ozieri, mettevano l’uomo in una situazione di continua lotta contro i motivi quotidiani di crisi, tra cui l’evento della morte, il più temuto. Essenza di tale lotta erano i riti, le danze, le cerimonie con le quali invocavano lo spirito del defunto e le divinità. Le sculture, le pitture e le incisioni sulla roccia assicuravano anche la salvezza e la continuità del gruppo. Nonostante gli sconvolgimenti subiti nel tempo a causa del riutilizzo dei sepolcri, del saccheggio dei tombaroli e del vandalismo, nelle domus de Janas si possono individuare alcuni aspetti legati alle cerimonie funebri e ai seppellimenti, di cui restano vari indizi, privi, purtroppo, di dati sicuri che ne consentano una precisa attribuzione cronologica. Numerose valve di conchiglia miste a cenere e a carbone, ritrovate nei dromoi (= corridoi di ingresso), all’interno e sopra le sepolture, attestano l’uso di consumare pasti in onore del defunto. Le coppelle raggruppate all’interno di un cerchio, scavate nel pavimento di alcune anticelle e i vasi rinvenuti in alcuni casi presso il portello esterno delle tombe fanno pensare ad offerte periodiche di cibi solidi o liquidi. Vicino alle spoglie venivano deposti vari oggetti di uso comune facenti parte del corredo terreno del defunto e forse veniva lasciato del cibo per il viaggio ultraterreno. Talvolta il cadavere veniva sistemato in una sorta di lettuccio, ottenuto con una sostanza gessosa, e ricoperto di ocra rossa (simbolo di rigenerazione). I grumi di ocra ritrovati accanto ai defunti fanno anche pensare ad un altro rito, che prevedeva il solo «corredo» di ocra e non la completa copertura del cadavere. Però è da considerare anche il fatto che alcuni grumi di ocra potrebbero essere il resti di colore utilizzato per dipingere le pareti. Quanto ai tipi di seppellimento, sembra prevalere l’inumazione, con i corpi distesi in posizione supina o fetale, rispetto alla deposizione secondaria (deposizione del cranio e delle ossa lunghe dopo la scarnificazione del corpo o esposizione agli agenti atmosferici). Rari sono i casi di semicremazione, con le ossa collocate dentro apposite nicchie. In alcuni casi, però, gli ipogei potevano essere «disinfettati» attraverso il fuoco. Ciò giustificherebbe le tracce di bruciatura presenti nelle ossa. Tenendo conto del lungo periodo di vita delle necropoli, i riti funebri saranno stati certamente diversi a seconda della cultura di appartenenza delle persone che le hanno utilizzate. I defunti non rimanevano sempre nella tomba, ma venivano rimossi per permettere nuove sepolture e, con essi, i corredi funebri annessi. Se così non fosse stato avremmo avuto molte più tombe oppure le tombe avrebbero avuto al loro interno cataste di ossa. Oniferi Asinara Is Concas Santu Perdu
Il riutilizzo delle domus de Janas Le domus de Janas in tutta la Sardegna vennero utilizzate molto dopo il periodo in cui si sviluppò il fenomeno. In epoca nuragica si riutilizzarono senza costruirne di nuove. Solo nella Sardegna settentrionale le pareti rocciose che le ospitano vennero modellate scolpendo una sorta di stele centinata (con listello a forma di arco in rilievo), che caratterizza il frontone delle tombe di giganti. Le domus de Janas furono riadattate e riusate con continuità dalla preistoria all’età storica ed anche modificate e riusate in epoca medievale. Il sepolcreto di Puttu Codinu a Villanova Monteleone non è stato riutilizzato in epoca nuragica, mentre il suo utilizzo riprese in età cartaginese (come attesta una moneta bronzea databile al 241 – 238 a.C.) e in età romana (attestato da ceramiche del II sec. a.C.) Un esempio di continuità d’uso lo si può riscontrare negli ipogei di Sant’Andrea Priu a Bonorva. Una delle tombe, chiamata «la tomba del capo», in epoca romana e poi bizantina venne trasformata in una chiesa rupestre. Il luogo di culto fu più volte intonacato e dipinto con affreschi dedicati alla storia della Vergine (annunciazione e visitazione), della vita di Cristo (nascita, adorazione dei Re Magi, presentazione al Tempio, strage degli innocenti) e degli apostoli, di San Giovanni Battista e degli evangelisti. A quell’epoca risale una lettera in cui Papa Gregorio Magno raccomandava al clero di prodigarsi nel diffondere il Cristianesimo, perché i Sardi ancora adoravano le pietre e il legno. Dai documenti d’archivio si apprende che la chiesa fu riconsacrata nel 1313 dal Vescovo di Sorres Guantino di Farfara e intitolata a Sant’Andrea. Essa accolse ambienti utilizzati come nartece per i catecumeni, aula per i fedeli battezzati e presbiterio (o bema) per i sacerdoti che officiavano i riti religiosi. Questa è considerata una delle prime chiese al tempo delle persecuzioni: un tempio cristiano che ha riadattato un ambiente funerario e un luogo di culto preistorico.
L’uso ininterrotto delle domus de Janas La domus de Janas chiamata «La Rocca», definita anche «la cattedrale delle domus de Janas», si trova nel centro storico di Sedini, sul ciglio del vallone di Baldana, tra costruzioni moderne. La sua forma ricorda le abitazioni degli gnomi o dei puffi, le casette di marzapane con la classica strega che tiene prigionieri i bambini disubbidienti o le sedi di fatine buone che prodigano consigli a chi bussa alla loro porta, viste su tanti libri di fiabe. Essa, realizzata in un enorme masso che si trova completamente in superficie, è unica nel suo genere perché non si trova in campagna o in un luogo difficilmente raggiungibile, come la maggior parte delle tombe rupestri. Ma in un luogo accessibile e anche perché il sito è stato utilizzato senza soluzione di continuità per millenni. Originariamente l’accesso avveniva a Sud, attraverso un altro masso calcareo, ora rotolato più a valle e ancora visibile. L’ipogeo, pur avendo mantenuto parte delle sue caratteristiche originali, nei secoli ha subito diverse trasformazioni, diventando parte integrante della vita del paese. Esso è stato utilizzato come ricovero per animali, negozio, prigione, sede di partito e abitazione privata. Dagli anni Novanta accoglie il Museo di tradizioni etnografiche di Sedini e dell’Anglona. Oggi si presenta con una serie di ambienti di varie epoche (Neolitico, Medioevo, Ottocento) ricavati nella roccia viva, separati e integrati fra loro con solai e muratura, per un totale di 129 mq distribuiti su tre livelli. Le tombe costituiscono il livello più antico e vi si accede dalla sala principale d’ingresso attraverso una scala in legno. L’ipogeo è costituito da sei celle, due delle quali sono state completamente allargate e fuse in un unico ambiente. Nel Medioevo la tomba è stata modificata con vari interventi, sono stati scavati altri ambienti e un focolare. Nell’Ottocento sono stati fatti gli interventi più radicali e invasivi: la roccia è stata utilizzata come cava. Risultato di tale attività di sventramento sono gli ambienti ampi e perfettamente abitabili, che oggi si vedono, sia scavati, sia integrati con mirature e solai. Questi ambienti sono disposti su due piani.
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