IL PARADOSSO DI ANNA KARENINA

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IL PARADOSSO DI ANNA KARENINA
             RIFLESSIONI   SUL MERCATO DEI LIBRI ILLUSTRATI IN   ITALIA

                               di Giovanna Zoboli

Cinque anni fa, insieme a Paolo Canton, ho fondato la casa editrice
Topipittori, specializzata in libri illustrati per bambini e ragazzi.
Quest’anno, in verità questa specializzazione è stata “tradita”. Infatti,
abbiamo voluto festeggiare i primi cinque anni di attività inaugurando
una collana di narrativa, Gli anni in tasca http://www.topipittori.it/it/gli-
anni-tasca (dal titolo italiano del film di Truffaut), dedicata ad
autobiografie di infanzia e di adolescenza. In un’intervista, François
Truffaut, quando gli fu chiesto per quale ragione avesse dedicato un
cospicuo numero di film a bambini e ragazzi, rispose: «Non si finisce mai
con l’infanzia come non si finisce mai con le storie d’amore. Non è mai la
stessa cosa. E poi mi sembra di rimediare a una certa ingiustizia perché
non vi è proporzione fra l’importanza [dell’infanzia] nella vita e il poco
spazio che il cinema le concede.».
   Questi cinque anni da editore, mi hanno portato a contatto con una
gran quantità di persone, istituzioni, situazioni che hanno a che fare con i
bambini, facendomi capire quanto questa osservazione sia giusta. Non c’è
proprio proporzione fra l’importanza che ha l’infanzia nella vita e il poco
spazio, il pochissimo tempo che non solo il cinema, ma tutto il mondo
adulto gli dedica, veramente. Penso che ognuno di noi possa riscontrarlo,
guardandosi attorno e accorgendosi di quanto poco i bambini facciano
parte dell’orizzonte adulto: luoghi e tempi sono organizzati sempre su
misura di esigenze adulte. I bambini entrano nelle decisioni di politici,
amministratori, imprenditori, solo in quanto figli di qualcuno. I genitori
votano e comprano, e ci si rivolge a loro, parlando di bambini, in cerca di
consenso o mercato. In se stessi, i bambini, svincolati dalla proprietà di
qualcuno, non interessano a nessuno o quasi.
   Invece, credo che a fare di una nazione un paese civile sia proprio
l’attenzione riservata all’infanzia in se stessa, in termini di responsabilità
educative e pedagogiche assunte tout court dal mondo adulto,
complessivamente, e penso alle più varie categorie professionali:
urbanisti, architetti, medici, scienziati, intellettuali, artisti, imprenditori,
politici, amministratori, sportivi, operatori culturali, ma anche operai,
impiegati, commercianti eccetera. Fra l’altro, credo sia proprio
dall’impegno di tutti nei confronti dell’infanzia che si misuri la capacità di
un paese di progettare il proprio futuro. E va detto che se gli adulti
prestassero attenzione alle esigenze dei bambini nella loro attività, senza
ombra di dubbio migliorerebbe il benessere di tutti.
   Credo che nel nostro paese, l’indifferenza ai bambini sia molto diffusa.
Tutto ciò che attiene ai piccoli è sentito come facente parte di ambiti
specialistici, e quindi appannaggio di “personale addetto”. A questi
addetti, - puericultori, insegnanti, educatori, pediatri, psicoterapeuti,
nutrizionisti, imprenditori specializzati in prodotti per l’infanzia eccetera -
la società sembra ben contenta di delegare la relazione con l’infanzia fino
al momento in cui i bambini, una volta cresciuti e trasformatisi in giovani
uomini e donne, entrano a far parte del sistema adulto, con le sue regole,
le sue abitudini, la sua cultura.
   In particolare, per ciò che riguarda la trasmissione culturale, ambito
cruciale per la crescita delle nuove generazioni, gli addetti ai lavori sono
considerati, oltre che gli insegnanti e gli educatori, i bibliotecari, i librai e
gli editori specializzati. Costoro, mi sono resa conto nel corso della mia
esperienza, fanno parte di una sorta di riserva indiana che opera nella
disattenzione e nell’indifferenza. Socialmente si tratta di categorie
professionali che godono di un prestigio limitato, verso le quali mancano
curiosità e interesse, e questo a livello individuale, collettivo e
istituzionale, e direi trasversalmente, da parte di tutte le fasce sociali,
dalla più disagiate alle più agiate, dalle più incolte alle più colte. Questo
fenomeno è abbastanza singolare, se pensiamo all’importanza che
dovrebbe avere l’investimento sulle giovani generazioni nel futuro di un
paese. Tuttavia, chi, come noi, frequenta questo mondo, si imbatte in
questa realtà, direi, quotidianamente. Detto in parole povere,
dell’educazione si tende a occuparsi nel momento in cui si ha a che fare
con la scuola o l’insegnante che toccheranno ai propri figli, ma
difficilmente si allargherà lo sguardo a tutto quello che riguarda l’ambito
educativo.

   Il mio punto di vista specifico è quello di editore, quindi tratterò della
disattenzione e della trascuratezza, dell’indifferenza e della latitanza degli
adulti verso i bambini intesi come lettori.
   In generale, la prima osservazione è che nelle scelte di acquisto
relative ai bambini i libri, in media, sono decisamente poco presenti. Se i
genitori sono molto attenti alla selezione e all’acquisto di alimenti, capi di
vestiario, giocattoli, nuove tecnologie, i libri appartengono a una tipologia
di merce avvertita come superflua. Non, però, voluttuaria: molti beni
voluttuari, infatti, oggi, nella rivoluzionata scala di priorità del nostro
tempo, e persino in tempi di crisi, sono percepiti come essenziali per il
benessere non tanto materiale, ma, ben più fondamentalmente,
esistenziale, necessari cioè all’identità stessa degli individui. A pochi anni
i bambini sono destinatari di accessori come occhiali da sole e linee di
mini gioielli, posseggono numerose apparecchiature tecnologiche
personali (come televisori, cellulari, I-Pod, computer ecc.), scelgono fra
linee di abbigliamento e di biancheria intima firmate, cosmetici come
trousse per il make up, prodotti per l’igiene dedicati e via discorrendo. Si
tratta di merci costose che gli adulti comprano spesso su espressa
richiesta dei bambini e che affermano di sentirsi in dovere di acquistare
per evitare che i loro figli soffrano nel confronto con i bambini di altre
famiglie incontrati a scuola o durante le innumerevoli attività
extrascolastiche praticate.
    In generale, gli adulti sono molto preparati sulle merci destinate ai
bambini: che siano amate e richieste dai bambini stessi o non lo siano.
Per esempio, conoscono bene gli alimenti che le aziende propongono alle
fasce di piccoli consumatori – biscotti, merende, bevande, surgelati, tipi
di pasta, gelati, yogurth e via discorrendo. Altrettanta competenza
dimostrano nel settore dell’abbigliamento: marche, modelli, colori,
materiali… È ormai noto, fra l’altro, che nel settore della moda, sono le
linee destinate a bambini e ragazzi, addirittura quelle dedicate ai neonati,
a registrare la crescita maggiore, e con un giro di affari tale da tenere
letteralmente in piedi l’intero comparto.
    Riguardo ai libri, le cose cambiano completamente: in generale la
disinformazione è totale, la competenza, nulla. A guidare nella scelta
sono fenomeni legati a eventi mediatici come grandi operazioni di
marketing, colossal cinematografici, lungometraggi animati, best seller
planetari. Si acquistano libri che per una ragione o per l’altra sono
diventati famosi: la serie completa di Harry Potter, Le cronache di Narnia,
i libri di Geronimo Stilton, le storie delle Winx edite in fumetti e libri
illustrati che sono parte però di un vastissimo merchandising che
comprende conti bancari, astucci, rossetti, scarpe, zainetti…
    Tutto il resto, cioè, specificamente, l’intera produzione libraria dedicata
ai ragazzi e ai bambini è pressoché sconosciuta e ignorata. Con questi
libri un adulto medio entra in contatto unicamente nel momento in cui,
per qualche ragione, si trova nella necessità di acquistare un libro per
bambini che non appartiene alle categorie sopra descritte. Quali sono
allora i criteri che lo guidano nella scelta? Le opzioni sono varie e tutte
abbastanza approssimative, nel senso che possono condurre, in egual
modo, a scelte buone ma anche cattive: si va a naso e a caso; si cercano
i consigli di un libraio, nella maggior parte dei casi non specializzato, e
quindi spesso impreparato sul tema; ci si affida all’autorità dei “classici”,
cioè quei libri garantiti dalla tradizione; si ricorda quali libri si leggevano
nella propria infanzia, e li si adotta, per analogia o simpatia, come
possibili letture proponibili (per esempio, si fonda su questo meccanismo
l’attuale successo dei Barbapapà, peraltro celebri negli anni Settanta per i
cartoni animati, o della datatissima serie di Martina). C’è poi un ulteriore
criterio di cui tratterò più estesamente in seguito.
    Del resto, va detto che gli adulti, oggi, nel nostro paese, anche volendo
informarsi più approfonditamente su quanto accade in questo settore
editoriale, avrebbero non poche difficoltà. I giornali, riviste e quotidiani a
larga diffusione, esclusa qualche lodevole eccezione, perseguono una
politica di sistematico disinteresse verso i libri per bambini e ragazzi.
Soprattutto, va sottolineato, proprio le testate più colte, quelle che
dedicano molta attenzione alla vita culturale e hanno gli inserti culturali
più significativi e consistenti. Perciò, a meno di ricorrere alla stampa
specializzata, sconosciuta fuori dall’ambito di scuole e biblioteche e perciò
preclusa ai più, la battaglia è persa in partenza.
   Come fare allora?
   A mio avviso l’unica soluzione disponibile è scovare una libreria
specializzata e dedicare un po’ del proprio tempo ai libri per approfondire
la loro conoscenza (in questo caso, la consulenza da parte del libraio può
essere preziosa). Questo tipo di atteggiamento da parte degli adulti è, in
generale, abbastanza raro, benché, fortunatamente, in crescita. E questa
è la vera novità, oggi, nel nostro settore. Una novità che è il segno di un
piccolo cambiamento nel mercato che però sta dando la possibilità di
svilupparsi a realtà alternative molto interessanti.
   In crescita, è anche l’interesse dei librai generici verso un certo tipo di
libri per ragazzi, quelli illustrati, che da un po’ di tempo stanno attirando
l’attenzione. E in crescita è anche il numero delle librerie specializzate
che hanno aperto un po’ dovunque, in Italia.

   Direi che sono questi tre fenomeni a garantire la sopravvivenza di una
casa editrice come la nostra. Per un piccolo editore attento alla qualità
della proposta e dei progetti, sarebbero un ottimo sostegno anche scuole
e biblioteche (in esse fra l’altro si trovano numerose persone molto
attente, appassionate e competenti sulla letteratura, illustrata e non, per
ragazzi), se queste non fossero talmente prive di risorse da essere
impossibilitate a consistenti acquisti, e questo a causa dei continui tagli
perseguiti da tutte le manovre finanziarie degli ultimi anni, varate da
governi per cui l’investimento in cultura ed educazione è accessorio e
dunque sacrificabile. In questo, il governo, va detto, esprime i bisogni di
larghe fasce di elettori per cui sono i beni voluttuari a essere
indispensabili e quelli culturali o legati all’educazione, a risultare
superflui.
   In tutto ciò, si tenga sempre presente che stiamo parlando di un
paese, l’Italia, che ha statistiche non esaltanti relative a numero di
lettori, frequenza di lettura, quantità e qualità dei libri presenti nelle case,
con numeri che ci pongono sempre agli ultimi posti nelle classifiche
europee, e addirittura mondiali. Insomma, va sottolineato che il nostro
specifico settore si va a innestare su un mercato librario già debole e
difficile di suo.
   Fatte queste considerazioni, il mio lavoro mi porta spesso a
interrogarmi sul perché gli adulti siano così perplessi, disorientati,
impreparati, privi di strumenti, distratti e approssimativi riguardo alla
scelta di un libro per bambini ed è questa una delle ragioni per cui, fra
l’altro, la nostra casa editrice dedica tempo ed energie alla formazione
degli adulti, con incontri sui libri illustrati rivolti specificamente non solo a
genitori, insegnanti, bibliotecari, ma anche semplicemente a curiosi [oggi
a questa attività si sono affiancati la pubblicazione a diffusione gratuita,
ormai                quinquennale,                del             Catalogone,
http://www.topipittori.it/it/catalogoni e da settembre 2010, il blog -
http://topipittori.blogspot.com/ - che tratta temi legati a tutti gli ambiti di
produzione culturale che vedono implicati bambini e ragazzi].
   Le questioni, a mio avviso, sono varie. Di una, fondamentale, ho
parlato poc’anzi: gli adulti ritengono che quello della letteratura per
ragazzi sia un ambito “specialistico”, nel quale è necessario farsi guidare
“da esperti”. Pertanto, pensano di non poter contare su quei criteri di
scelta maturati nella propria storia di lettori (chi si prende la briga di
scegliere e acquistare un libro per ragazzi è nel 99% dei casi un lettore):
quei criteri, cioè, anche molto complessi, ma “spontanei”, che si
applicano nello scegliere un libro per sé o per un amico. In qualche modo,
cioè, le persone, per la maggior parte, sono convinte che un libro per
bambini sia una specie di strano “utensile” che ha a che fare con una
crescita “corretta”, sorta di alimento o di farmaco: deve corrispondere a
una certa fascia di età, per risolvere un certo problema, per ottenere un
certo scopo, per divertire in un certo modo, per far apprendere certe
nozioni, per trasmettere idee corrette e contenuti messi a punto su basi
'scientifiche' (pedagogia, psicologia ecc.).
   Dunque, per giudicare “adatto” un siffatto libro, i normali criteri sono
evidentemente inservibili: vale a dire, è escluso che per valutare un buon
libro per ragazzi si debba semplicemente essere in grado di giudicare che
sia all’altezza dei criteri estetici e letterari correntemente e
personalmente praticati. Dico questo perché in questi anni ho scoperto
che, curiosamente, per molti adulti dotati di sofisticati gusti artistici e
letterari, quello che si definisce un “buon libro per ragazzi” può anche
essere caratterizzato da testi molto approssimativi e immagini scadenti.
Non sono questi, infatti, a essere percepiti come determinanti per
stabilire la qualità di un libro: un libro si percepisce come valido quando
si configura come strumento efficace, la cui lettura è finalizzata a scopi
diversi dalla lettura stessa.
   Ma allora, in questo senso, se le mie nozioni di lettore sono insufficienti
a valutare l’efficacia del libro, a che tipo di competenza devo fare ricorso
per riconoscerla?
   Evidentemente, a una competenza che si potrebbe definire “tecnica”.
   È questa la ragione per cui, quando un adulto si trova a dover scegliere
un libro per bambini, tende ad assumere un approccio “tecnico” che
prescinde dal bambino particolare cui il libro è destinato, dalla
conoscenza che ha di esso, dalla propria competenza di lettore e dai
personali criteri di giudizio. L’adulto, insomma, si sente insicuro. E se non
ha a disposizione un esperto a suggerirgli la scelta opportuna, ne veste
spontaneamente i panni, addentrandosi in una serie di considerazioni
come: “sarà questo un libro giusto per un bambino che sta imparando a
usare il vasino/ sta perdendo i denti/ a cui non piacciono le verdure/a cui
è morto il nonno/che è vessato da un compagno bullo/che soffre di
gelosia verso il fratello neonato?”
   Per fare un esempio, sarebbe un po’ come se, davanti allo scaffale dei
classici, valutassimo la bontà di Anna Karenina o di Madame Bovary sulla
base del contributo positivo e dei buoni consigli elargiti per la soluzione di
eventuali crisi matrimoniali. La sola idea è sufficiente a scatenare l’ilarità.
   Questo risulta invece del tutto accettabile con gli albi illustrati. Nel
nostro paese, infatti, i libri per ragazzi sono ancora pesantemente
vincolati a un’idea di letteratura e di cultura per l’infanzia subordinate a
ruolo di strumenti didattici e quindi governati da prescrittivi e rigidi
principi di fondo riguardo a ciò che debbono contenere in termini di temi,
testi, immagini. Così, non è affatto strano che i criteri correntemente
utilizzati per valutare un libro, come la qualità estetica, letteraria,
artistica e narrativa, di testi e immagini (caratteristiche fondamentali per
la trasmissione della cultura e del pensiero), risultino secondari rispetto
all’efficacia del libro quale strumento finalizzato al perseguimento di altri
obiettivi: fare in modo che i bambini apprendano certe conoscenze, siano
indotti a fare certe esperienze o siano avviati a “corrette” modalità di
pensiero. E qui le domande che sorgono sono numerose. Fra queste, per
citarne qualcuna: se la qualità della forma è secondaria rispetto alla sua
efficacia nel veicolare contenuti (ammesso e non concesso che le due
cose viaggino disgiunte), non è possibile che la sua eventuale scarsa
qualità possa condizionare la percezione del contenuto stesso, o
addirittura danneggiarne la trasmissione, alterandolo?
   È davvero possibile trattare separatamente di contenuti e forme,
acquisendo come dato di fatto che nel corso del processo creativo questi
appartengano ad ambiti separati?
   Perché la nostra cultura ha da sempre attribuito la costruzione e la
valutazione delle forme attraverso cui si esprime il pensiero dell’uomo al
dominio dell’estetica cioè allo studio di quella che è definita la “bellezza”
e della capacità umana di percepirla?

   Ritornando, comunque, alla nostra specifica questione - “come si fa a
scegliere un albo illustrato” - a mio avviso, il problema, forse sta nella
presunzione di trovare il libro giusto e non quello adatto: dove il libro
giusto è tale perché universalmente valido per ogni bambino di quell’età
e con quel problema. E il libro adatto, invece, è quello che va bene per
quel bambino lì, proprio lui: con i suoi gusti, le sue passioni, le sue
specifiche capacità, la sua sensibilità, la sua competenza linguistica e
visiva, il suo immaginario. E, soprattutto, con il suo orizzonte esistenziale
completo che non implica ambiti a compartimenti stagni, ma una
dimensione di complessità che poco si presta a essere interpretata
attraverso formule prestabilite certamente rassicuranti per un adulto, ma
del tutto insufficienti per un bambino.
   Mettiamoci il cuore in pace, per trovare il libro adatto, nessun esperto,
per quanto avveduto e competente, potrà soccorrerci. Dovremo essere
noi, da soli, a scegliere, facendo a appello tutte le nostre risorse di
intuito, cultura, sensibilità e conoscenza perché il lettore bambino ha pari
dignità di quello adulto e per soddisfarlo bisognerà rispettarne
l’individualità e l’intelligenza.
    L’editoria italiana di settore, tuttavia, in generale non suggerisce al
pubblico un’idea molto diversa da quella di libri “giusti”. Se paragonata
all’editoria europea e in particolare a quella francese, fra le migliori e più
evolute nel mondo, con punte di splendore quasi inarrivabili, si capisce
bene di cosa si stia parlando.
    Negli anni Ottanta, in Francia, il settore editoriale rivolto all’infanzia è
stato protagonista di una straordinaria rivoluzione culturale, innestatasi
peraltro su alcune esperienze forti precedenti che hanno rappresentato
per l’intera collettività un modello fondamentale e di eccezionale spessore
culturale. La vitalità dell’editoria francese ha dato luogo negli anni al
moltiplicarsi di nuove case editrici rivolte ai bambini; a una ricerca
continua e di altissimo livello relativa alle potenzialità del libro come
oggetto; alla sperimentazione inesauribile di stili, forme, linguaggi; allo
studio approfondito e sistematico della letteratura per ragazzi come
branca fondamentale della letteratura tout court e delle arti visive; alla
formazione e costruzione di talenti - autori, grafici, illustratori -
attraverso scuole qualificate; al formarsi di una rete culturale solidissima
formata da istituzioni pubbliche, biblioteche, scuole, librerie, editori,
lettori, operatori culturali, musei.
    In particolare, se l’Italia ha conosciuto una stagione di rinnovamento
relativamente alla narrativa per ragazzi, con alcune case editrici, come
Mondadori e Salani, che hanno lavorato con ottimi risultati alla
realizzazione di cataloghi di livello internazionale, si può dire che nel
settore dei libri illustrati sia rimasta clamorosamente indietro rispetto a
quanto avveniva, non solo in Francia, ma nel resto del mondo. E questo
nonostante alcune esperienze editoriali molto significative che, però, si
può dire siano rimaste delle isole felici, degli unicum legati alla
personalità dei loro creatori, senza dare luogo a un processo collettivo di
ripensamento, maturazione e sviluppo: penso alla grande lezione di
Munari, a Emme Edizioni di Rosellina Archinto, alle Edizioni C’era una
volta di Alfredo Stoppa, a Stepan Zavrel e alla sua collaborazione con
Edizioni Arka.
    Da circa una decina d’anni, però, qualcosa sta cambiando. In Italia
sono sorte numerose, piccole realtà editoriali che hanno puntato
precisamente sulla realizzazione e la proposta di albi illustrati concepiti
sulla base di criteri molto diversi da quelli dominanti: editori nuovissimi,
molto agguerriti e preparati, connotati da background eclettici e spesso
molto distanti dagli ambiti specialistici – pedagogici, pediatrici, didattici -
tradizionalmente preposti alla realizzazione di libri illustrati per bambini.
La ricaduta sociale del lavoro di queste realtà editoriali, benché piccole, si
fa sentire concretamente, poiché la loro presenza porta con sé il formarsi
di realtà e di profili professionali nuovi; il sorgere di nuovi talenti, non
solo italiani, ma anche stranieri; il crearsi di relazioni internazionali che
qualificano la proposta e lo spessore della cultura italiana nel mondo.
    Che ambiti estranei ai settori specializzati delegati all’infanzia, abbiano
fatto il loro prepotente ingresso in questo mondo, è, a mio avviso, un
segnale di vitalità sociale e culturale di grande interesse e importanza. E
questo perché, come dicevo prima, una nazione può dirsi un paese civile
quanto più nel suo complesso si assume la responsabilità educativa delle
generazioni più giovani. Naturalmente, la cosa non avviene senza
scossoni, soprassalti, malumori e conflitti, perché è normale che un
ordine costituito, una classe di “addetti ai lavori” si trovi spiazzata e
confusa da un’evoluzione che avviene rapidamente e senza troppo
preoccuparsi delle possibili conseguenze sulle realtà consolidate preposte
dalla società alla realizzazione e diffusione dei libri per ragazzi.
    Parallelamente alla nascita di queste nuove case editrici, l’altro
fenomeno nuovo è il formarsi di una fascia di pubblico interessata ai libri
illustrati estremamente curiosa e flessibile, attenta, mobile e vivace,
propensa alla ricerca, alla sperimentazione e all’innovazione. Si tratta di
un pubblico che trova la sua ragione d’essere nella grande possibilità
odierna di attuare, attraverso le tecnologie a disposizione, una pressoché
infinita quantità di scambi e contatti con realtà e culture anche molto
lontane e distanti, sentite come valide alternative ai modelli dominanti.
La cosa interessante è che, perfino in questo caso, siamo di fronte a
fasce di pubblico estranee ai settori specializzati: chi si avvicina agli albi
illustrati, oggi, non è, per forza, un insegnante, un educatore, un
bibliotecario, un genitore, uno studioso.
    Sta avvenendo, insomma, quanto è accaduto in altri paesi del mondo:
gli albi illustrati, il loro linguaggio, la loro forma, la loro evoluzione e
modalità di comunicazione, stanno cominciando a interessare la comunità
dei lettori in generale, come un ambito culturale vero e proprio degno di
ricevere da parte della società intera riconoscimento e legittimazione.
    Che una società smetta di delegare in toto a ristrette categorie di
operatori la fondamentale funzione della trasmissione culturale alla
generazioni più giovani, per allargarla a fasce più ampie della società, mi
sembra un segnale di grande interesse. Credo che questo possa portare a
un’evoluzione estremamente positiva: per esempio, nella qualità e nella
ricchezza dei prodotti dedicati ai bambini; per esempio, nel contatto e
nello scambio fra nuovi attori del mercato librario e operatori tradizionali
del settore dell’educazione, dotati entrambi di competenze ed esperienze
preziose per allargare l’orizzonte teorico da cui guardare all’infanzia; per
esempio, accrescendo il riconoscimento sociale, professionale e culturale
del lavoro di coloro che la società ha tradizionalmente delegato alla cura
e all’educazione dei piccoli.
    Insomma: questa situazione nuova è, a mio avviso, uno di quei piccoli
miracoli che accadono e che bisogna stare molto attenti a riconoscere e a
valorizzare, per non perderne la preziosa vitalità in un paese che fa
sempre molta fatica a cambiare, a evolversi, a pensare al proprio futuro.
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