La musica strumentale nel XVII secolo

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La musica strumentale
    nel XVII secolo
Girolamo Frescobaldi (1583– 1643) è il primo compositore
di rilievo ad aver legato la propria fama ad una produzione
quasi esclusivamente strumentale (la sua prima
pubblicazione, però, consistette in un volume di madrigali
polifonici, secondo le consuetudini dell’epoca).
Gli impieghi stabili da lui ricoperti lo videro sempre alla
tastiera dell’organo: organista a Ferrara, poi a Roma dove
nel 1608 venne assunto come organista della Cappella
Giulia in San Pietro, incarico che mantenne fino alla morte.

La produzione di Girolamo Frescobaldi per strumenti a
tastiera si distribuisce su tre versanti:
a) quello più strettamente contrappuntistico (fantasie,
    canzoni, ricercari), riconducibile a quello della prima
    pratica;
b) quello toccatistico, ovvero improvvisativo,
c) quello basato su bassi ostinati (sopra i quali Frescobaldi
    costruisce affascinanti serie di variazioni, chiamate
    Partite) o forme di danza, riconducibili entrambi alla
    seconda pratica.
L’apporto più decisivo di Frescobaldi è stato però nel
genere della toccata, al quale Frescobaldi dedicò
due libri: il primo del 1615 (Toccate e partite
d’intavolatura di cimbalo), il secondo del 1627.

Con le Toccate il progetto di Frescobaldi era quello
di ricreare con uno strumento a tastiera quei
molteplici “affetti cantabili” che i “madrigali
moderni” producevano con tanta efficacia e varietà;
in altre parole si trattava di introdurre la rivoluzione
monteverdiana della “seconda prattica” anche
all’interno della musica strumentale.
Avvertimenti alla seconda edizione del Primo
Libro di Toccate (1616)
Ecco gli
“Avvertimenti”
completi
Audio
La prima edizione (1615) delle Toccate di Frescobaldi
comprendeva, oltre a dodici Toccate, otto Partite sopra Rugiero e
dodici sopra la Romanesca e sei sopra la Monicha. Si tratta di
serie di variazioni in cui affiora una peculiarità frescobaldiana
nell’uso della tecnica variativa: ossia non più semplice
arricchimento melodico del tema (addizione) ma struttura
cumulativa in cui ciascuna comparsa del tema è funzionale a un
progetto architettonico più ampio.
Tale concezione si concretizzerà compiutamente con le Cento
partite sopra gli passacagli uno dei vertici della letteratura
clavicembalistica di ogni tempo.
Frescobaldi sembra essere il primo autore ad aver basato
interamente una composizione strumentale autonoma su bassi
ostinati.
L’ultima delle raccolte complete pubblicate durante la vita di
Frescobaldi fu quella dei Fiori Musicali (1635).
Si tratta di un compendio di tutti i generi di musica tastieristica
che il ferrarese aveva coltivato lungo l’intera vita: toccata,
canzone, capriccio, ricercare e versetti per organo.
I Fiori contengono musiche organistiche destinate all’uso
liturgico distribuite in tre messe: della domenica, degli apostoli
e della Madonna.
Lo schema che segue mostra il contenuto e la collocazione
liturgica delle composizioni comprese nella Messa degli
apostoli.

Nelle sezioni Kyrie/Christe di ciascuna delle tre messe l’autore
utilizza le melodie gregoriane relative o come cantus firmus a
valori lunghi, oppure come fonte del materiale tematico
imitativo (vedi schema seguente).
Altri generi di musica strumentale

Abbiamo visto come la musica strumentale del Cinquecento fosse tendenzialmente
legata a quella vocale.
Già però nel corso dello secolo vediamo numerosi esempi svincolati da questa, quali
le Danze e la Sonata.

Musica per la danza

Per secoli la musica per la danza era stata trasmessa oralmente, essendo affidata a
esecutori che improvvisavano su moduli musicali tradizionali.
Nel corso del Cinquecento si fa strada la tendenza ad abbinare danze lente e veloci,
come nel caso della pavana e della gagliarda.
Questa tendenza si acutizzò nel corso del Seicento fino alla nascita di vere e proprie
Suites ossia “successioni” di danze (generalmente tre o più), alternativamente lente
e veloci o viceversa, unificate dall’uso di una medesima tonalità.
Fino a pochi anni fa si attribuiva al compositore tedesco, allievo di Frescobaldi,
Johann Jakob Froberger (Stoccarda, 18 maggio 1616 – Héricourt, 7 maggio 1667) il
merito di aver ordinato le danze della Suite nello schema divenuto classico:

                                      Allemanda
                                       Corrente
                                      Sarabanda
                                         Giga

In realtà oggi sappiamo che non è così: basti dire che nelle sue trenta Suites solo in
una l’organista tedesco ha disposto le quattro danze nell’ordine che abbiamo visto.
Lo schema si affermerà solo dopo la morte del compositore.

L’altro fattore importante è che nel corso del Seicento la Suite iniziò a suscitare
l’interesse dei più importanti compositori : in tal senso è indicativo l’interesse
dimostrato nei suoi confronti da Frescolbadi e Froberger.
Ciò si spiega col fatto che in epoca barocca anche le classi più elevate si
dimostravano interessate alla musica di danza. Il loro interesse, però, non si
fermava alla sola musica scritta in funzione delle danze ma era esteso anche un uso
più astratto della Suite, limitato cioè al solo ascolto. Nacque allora la suite artistica,
svincolata cioè da un uso pratico ma in funzione di un nobile passatempo.
Cenni storici sulle principali danze della Suite
ALLEMANDA Danza di probabile origine tedesca, di carattere processionale (il
termine viene probabilmente dal tedesco Alewandler, “tutti marciano”), in tempo
pari e moderato. In età barocca entrò a far parte della suite, della partita e della
sonata da camera.
L’allemanda viene solitamente danzata da una o più coppie (fino a quattro) in
quadrato.

COURANTE o CORRENTE Danza di origine italiana, in voga nei secoli XVI e XVII. Di
carattere vivace, dapprima era in tempo binario, poi ternario, ed entrò a far parte
della suite e della partita strumentale.
Si distinsero un tipo di corrente francese, più contenuto nell’andamento, e uno
italiano, di carattere più rapido ed impetuoso.
SARABANDA Danza di probabile origine orientale, apparsa in Spagna e poi diffusasi in
Europa alla fine del secolo XVI.
In tempo ternario, ebbe dapprima carattere sfrenato e licenzioso ed era ballata da sole
donne, ma nel secolo XVII venne stilizzandosi in Francia e in Germania in una danza
d’andamento lento e severo, sopra un caratteristico ritmo ternario che finì per imporsi
come uno dei tempi della suite strumentale. Il carattere lento di questa danza favorì la
nascita del double, ossia ripetizione fiorita di una stessa danza.

GIGA o JIG Danza in tempo ternario e di andamento veloce, in uso nei secoli XVII e XVIII.
Di origine forse irlandese (celtica), ebbe larga diffusione in tutta Europa, entrando a far
parte della suite strumentale, di cui costituiva il tempo mosso finale.
Dal tempo originale di 3/8 veloce derivarono in seguito le gighe nei tempi composti di
6/8 e 12/8, i cui peraltro rimase caratteristica la suddivisione ternario del tempo.
Una danza popolare denominata giga - e che non ha nulla a che fare con la forma colta -
era diffusa nell’Appennino settentrionale, e sopravvive sporadicamente nell’Appennino
pavese e bolognese.
A seconda dei Paesi la Suite venne denominata in modi diversi: in Germania è
detta partiten (da "forma divisa in sezioni" oppure forma "ripartita") o anche
partien; in Francia la Suite è detta anche ordre; in Inghilterra si parla di lessons o
suites of lessons; in Italia sovente coincide con la Sonata da camera.

In Francia prevalgono le suites di danze destinate a uno strumento solista: liuto o
clavicembalo.
Il più antico compositore di rilievo fu Champion de Chambonnières (1602 ca.-
1672) al quale seguiranno alcuni tra i più brillanti clavicembalisti del tempo,
come Louis Couperin (1626-1661) e Jean-Henri d'Anglebert (1628 ca. - 1691).

François Couperin (1668-1733) fu il massimo compositore francese. L'originalità
di Couperin (che con Rameau e Daquin (1694-1772) resero grande la fama della
scuola clavicembalistica francese) risiede nelle opere per clavicembalo. In questo
campo acquistò fama immediata. Couperin ha scritto in tutto 27 ordres, ossia
raccolte assai estese di pezzi, che, accanto alle danze tradizionali della Suite,
presentano brani descrittivi, riccamente ornati di appoggiature, trilli ecc. uniti dal
vincolo dell'unica tonalità.
F. Couperin
Premier livre (1713): Ordres 1 - 5
     1er ordre, sol m/sol M: Allemande L’auguste; Première courante; Seconde
     courante; Sarabande La majestueuse; Gavotte; La Milordine, gigue;
     Menuet (et double); Les silvains; Les abeilles; La Nanète; Les sentimens,
     sarabande; La pastorelle; Les nonètes (Les blondes, Les brunes); La
     bourbonnoise, gavotte; La Manon; L’enchanteresse; La fleurie, ou La
     tendre Nanette; Les plaisirs de St Germain en Laÿe

    2e ordre, re m/re M: Allemande La laborieuse; Premiere courante;
    Seconde courante; Sarabande La prude; L’Antonine; Gavote; Menuet;
    Canaries (avec double); Passe-pied; Rigaudon; La Charoloise; La Diane;
    Fanfare pour la suitte de la Diane; La Terpsicore; La Florentine; La Garnier;
    La Babet; Les idées heureuses; La Mimi; La diligente; La flateuse; La
    voluptueuse; Les papillons

    3e ordre, do m/do M: La ténébreuse, allemande; Premiere courante;
    Seconde courante; La lugubre, sarabande; Gavotte; Menuet; Les pélerines;
    Les laurentines; L’Espagnolète; Les regrets; Les matelotes provençales; La
    favorite, chaconne; La lutine
Audio
Couperin – Ascolti

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 Le Tich– Toch – Choc pdf

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In Germania durante tutto il XVII secolo si produce molta musica per danza.

Una delle più importanti raccolte di danze fu il Banchetto musicale di J.H.
Schein (1586-1630) pubblicato a Lipsia nel 1617. Il Banchetto Musicale
contiene venti suites in cinque parti: ogni suite consiste di una padouana,
una gagliarda, una corrente e una allemanda con una tripla (una variazione
in ritmo ternario dell'allemanda).
Alcune Suite sono costruite su un'idea melodica che ricorre in ogni danza in
forma variata; in altre suite invece, l'idea melodica vi compare solo come un
accenno.
Tutte le danze di una Suite sono legate fra loro dal vincolo della tonalità.
Altri compositori: Isaac Posch compone Suites di 4 e 5 danze; Neubaur
adotta invece una Suite a 6 movimenti, oltre al già citato Froberger.
La Sonata

Fin dal 1500 il termine Sonata s’impone per tutto quel repertorio musicale
destinato agli strumenti.
Un brano da “sonar” è, nello specifico, un brano la cui destinazione esula
completamente dall’ambito vocale. Paradossalmente, però, questo termine
risulta interscambiabile con l’espressione – per noi più ambigua – di canzona
o canzone da sonar.

Verso il 1600 – 1630, però, canzona da sonar e Sonata, andarono sempre più
differenziandosi poiché divennero appannaggio di due diverse categorie di
compositori: la canzona da sonar era preferita dai compositori organisti,
mentre la Sonata dai compositori violinisti. Sicché la canzona da sonar, pur
nella sua declinazione strumentale, mantenne contatti con la polifonia
barocca, diventando un diretto antecedente della fuga per via della sua
trama polifonica.
La Sonata, invece, proprio perché libera da vincoli compositivi forti, divenne
terreno privilegiato per lo sviluppo del virtuosismo strumentale con
particolare riguardo alle tecniche violinistiche.
Nel corso del Seicento prende particolarmente piede la Sonata a tre, così
chiamata in quanto scritta su tre pentagrammi: due per le parti acute, uno per il
basso continuo.
Di solito queste Sonate erano destinate a due violini e a una viola da gamba, che
poteva essere raddoppiata o sostituita da uno o più strumenti per il basso
continuo (arciliuto, cembalo ecc). Sappiamo tuttavia che non solo i tre archi
potevano essere sostituiti da flauti, cornetti, oboi e fagotti ma che le singole
parti potevano essere raddoppiate fino a prevedere una destinazione per
piccola orchestra di questi brani.

A fianco della Sonata a tre si sviluppa parallelamente la Sonata a due, ossia per
strumento solo e basso continuo, detta anche Sonata a solo. Soprattutto questo
tipo di Sonata diverrà terreno d’approfondimento del virtuosismo strumentale.

Fra i primi compositori di Sonate all’inizio del Seicento ricordiamo Giovanni
Paolo Cima e Biagio Marini che attraverso la loro produzione hanno sottolineato
l’importanza della Lombardia e del Veneto nello sviluppo di questo genere.
Più tardi (intorno alla metà del Seicento), avranno un ruolo guida le città di
Modena e Bologna con Cazzati, Vitali, Bononcini, Torelli e soprattutto Arcangelo
Corelli.
Verso la fine del Seicento e l’inizio del Settecento, si affermano due modelli di
Sonata, distinti sulla base di una diversa destinazione sociale:

                             la Sonata da chiesa
                            la Sonata da camera
La Sonata da chiesa e quella da camera si distinguono, oltre per il fatto d’essere
destinate rispettivamente alla chiesa e alla corte, anche per il numero di
movimenti, per l’organico e per le tecniche compositive impiegate.

Numero di movimenti

La Sonata da chiesa è in quattro movimenti:
a) un movimento lento
b) un movimento veloce
c) un movimento lento
d) un movimento veloce

esempio: Grave – Allegro – Adagio – Allegro
La Sonata da camera, invece, è in un numero variabile di movimenti, e questi
movimenti ricalcano, assai liberamente, la struttura della Suite.

Esempio: Allemanda – Corrente – Giga
oppure: Allemanda – Gavotta – Giga
o altri schemi possibili

Organico

L’organico varia soprattutto nello strumento impiegato per il basso continuo: nelle
Sonate da chiesa questo strumento è l’organo, mentre in quelle da camera è di
norma il clavicembalo.

Tecniche compositive

Le Sonate da chiesa presentano generalmente una scrittura più severa rispetto a
quelle da camera. Le Sonate da chiesa mostrano infatti una ricchezza di spunti
contrappuntistici assenti in quelle da camera. Va però sottolineato che, a dispetto
della maggior severità di quelle da chiesa su quelle da camera, non è infrequente
trovare anche nelle prime, dei veri e propri movimenti di danza non dichiarati
(per es. dei rapidi movimenti finali in tempo composto, indicati con Presto o
Allegro ma che nella realtà sono vere e proprie gighe).
Arcangelo Corelli (1653– 1713) costituisce un punto di riferimento imprescindibile
sia riguardo al repertorio della sonata, sia per ciò che concerne il concerto grosso.

La sua produzione è numericamente limitata e molto regolare nella sua
organizzazione interna.

1.   sonate da chiesa op.1                                             1681
2.   sonate da camera op.2                                             1685
3.   sonate da chiesa op.3                                             1689
4.   sonate da camera op.4                                             1694
5.   sonate a violino e violone o cembalo op.5                         1700

6. concerti grossi op.6                                                1714
Sonata op. 2 n. 6
Audio
Audio
Corelli Sonata da chiesa op. 3 n. 2   Audio
Audio
Adagio
Allegro
Audio
        Corelli, Sonata op. 2 n. 1
        Gavotta finale (la variazione è implicita)
Corelli op. V n 12 Spartito completo
Audio – Folia
I Concerti Grossi

E’ a Roma che vanno rintracciate le origini di un altro genere che dominò a
fianco della sonata fra Sei e Settecento: il concerto grosso.

Forse la sua origine va ricondotta alla pratica di eseguire gli oratori con
compagini strumentali sempre più ampie, fin dal 1670. Gli oratori del
compositore Alessandro Stradella, ci mostrano una divisione dell’organico in
concertino (soli) e concerto grosso (tutti). Gli strumenti del concertino sono i
medesimi di quelli della Sonata a tre, ovvero due violini e basso continuo; il
concerto grosso, invece, ha una struttura a quattro parti destinate a violino,
viola contralto, viola tenore e basso continuo.
Al gruppo del concertino, polarizzato sulla tessitura più acuta, spettarono
sempre più compiti virtuosistici. Inoltre, proprio la diversa consistenza numerica
dei due gruppi, determinava un contrasto dinamico del tipo forte – piano già
applicato alle canzoni policorali di Gabrieli.
Fra i più importanti compositori del tempo figura
anche Arcangelo Corelli i cui dodici concerti grossi
op. VI rispecchiano altresì la divisione sociologica
imperante nella sonata a tre: i primo otto, infatti,
sono da chiesa (con movimenti di carattere fugato),
mentre gli ultimi quattro sono da camera (con
movimenti in ritmo di danza).
1. Largo – 2. Allegro – 3. Grave
Corelli, concerto grosso op. 6 n 3   4. Vivace – 5. Allegro
La musica strumentale nell’età del barocco

VIVALDI E IL CONCERTO SOLISTICO
Antonio Vivaldi (Venezia, 4 marzo 1678 – Vienna, 28 luglio 1741)

La vita di Vivaldi è scarsamente documentata poiché nessun biografo si è
occupato di ricostruirne gli episodi salienti prima del XX secolo. Numerose
lacune ed inesattezze falsano ancora la sua biografia; alcuni periodi della sua
vita rimangono completamente oscuri, come i molti viaggi supposti o
realmente intrapresi in Italia e in Europa. Si è fatto riferimento dunque alle
rare testimonianze dirette dell'epoca, in particolare quelle di Charles de
Brosses, di Carlo Goldoni, dell'architetto tedesco Johann Friedrich Armand
von Uffenbach che incontrarono il compositore.
Altre notizie biografiche provengono da alcuni manoscritti e dai documenti di
altra natura ritrovati in diversi archivi in Italia e all'estero. Per dare due
esempi concreti: è soltanto nel 1938 che si è potuta determinare con
esattezza la data della sua morte, sull'atto ritrovato a Vienna e nel 1963,
quella della sua nascita identificando il suo atto di battesimo (prima, l'anno di
nascita 1678 era soltanto una stima dedotta dalle tappe conosciute della sua
carriera ecclesiastica).
All'età di dieci anni era stato indirizzato verso la vita ecclesiastica frequentando la
scuola della sua parrocchia. Da questo momento in poi non abbiamo più notizie del
giovane Antonio fino al 18 settembre 1693, quando raggiunse l'età minima per
avere la tonsura (rito tramite il quale il fedele diventava chierico) per mano del
Patriarca di Venezia Cardinal Badoaro. Iniziò quindi a studiare teologia nella chiesa
di San Geminiano e nella chiesa di San Giovanni in Oleo; in questo periodo viveva
con la sua famiglia nella parrocchia di San Martino.
Non abbandonò la musica; anzi l'abilità con cui suonava il violino fece sì che già nel
1696 fosse violinista soprannumerario durante le funzioni natalizie presso la
cappella della basilica di San Marco; questa fu la sua prima apparizione in pubblico
come violinista. Contemporaneamente faceva parte del gruppo Arte dei sonadori. Il
4 aprile 1699 ebbe gli ordini minori del suddiaconato nella chiesa di San Giovanni
in Oleo, e il 18 settembre 1700 il diaconato. Il 23 marzo 1703 fu ordinato sacerdote
e fu subito soprannominato il prete rosso per il colore della sua capigliatura;
continuò a vivere con la sua famiglia ed a lavorare strettamente con il padre. Nel
1704 ottenne una dispensa per motivi di salute dalla celebrazione della Santa
Messa; soffriva infatti di quella forma d'asma della quale aveva presentato i sintomi
sin dalla nascita.
Anonimo: Ritratto di Antonio
Vivaldi (1700 circa) - Bologna,
Museo Bibliografico Musicale
L’attività presso l’Ospedale della Pietà

Benché giovane la sua fama iniziava a diffondersi e nel settembre 1703
fu ingaggiato come maestro di violino dalle autorità del Pio Ospedale
della Pietà, dove iniziò la sua attività il 1° dicembre 1703 con uno
stipendio di 60 ducati annuali; qui rimase sino al 1740. Fondato nel
1346 era il più prestigioso dei quattro istituti religiosi veneziani dove, a
somiglianza degli ospedali napoletani, trovano assistenza per lo più
gratuita orfani, figli illegittimi, bambini di famiglie molto povere,
bambini malati. I ragazzi imparavano un mestiere e lasciavano l'istituto
all'età di 15 anni, mentre le ragazze ricevevano un'educazione
musicale; quelle dotate di maggior talento rimanevano e diventavano
membri dell'ospedale.
Vi era una gerarchia fatta dalle differenti capacità tra le ragazze
musicanti, dalle inferiori figlie di coro, alle più esperte dette privilegiate
di coro, fino alle maestre di coro che svolgevano attività
d’insegnamento.
Gabriele Bella: La cantata delle putte delli Ospitali (1720 circa) -
Venezia, Palazzo Querini Stampalia
L’Ospedale della Pietà sulla Riva degli Schiavoni
Impresario d’opera al Teatro S. Angelo

Nella Venezia del primo XVIII secolo l'opera era l'intrattenimento musicale più
popolare e più redditizio per i compositori. C'erano parecchi teatri in concorrenza fra
loro. Vivaldi iniziò la sua carriera operistica in sottotono: il suo primo lavoro teatrale,
Ottone in villa (RV 729), fu rappresentato al Teatro delle Grazie di Vicenza nel maggio
del 1713. L'anno seguente Vivaldi divenne sia impresario che direttore delle musiche
al Teatro Sant'Angelo di Venezia, dove allestì la sua seconda opera, l'Orlando finto
pazzo (RV 727). Tuttavia il dramma sembra non aver avuto il successo sperato e per
"salvare" la stagione Vivaldi presentò l' Orlando di Giovanni Alberto Ristori, già dato
l'anno precedente, con ulteriori ritocchi e aggiunte di propria mano. Nel 1715 mise in
scena un pasticcio, il Nerone fatto Cesare (RV 724, perduto), con le musiche di vari
compositori e 11 arie dello stesso Vivaldi. Il lavoro ebbe successo e per la stagione
seguente Vivaldi pianificò di rappresentare un'opera completamente scritta di suo
pugno: Arsilda, regina di Ponto (RV 700). Però il censore di stato bloccò la messa in
scena dello spettacolo; la causa della censura fu l'oggetto della trama: Arsilda, il
personaggio principale, s'innamora di un'altra donna, Lisea, la quale finge di essere
un uomo. Vivaldi riuscì comunque ad allestire il dramma l'anno successivo mentre il
Teatro San Moisè gli commissionava un'altra opera, La costanza trionfante degli amori
e degl'odii (RV 706).
In quanto rappresentante più in vista del moderno stile operistico, Vivaldi fu
uno dei bersagli del pamphlet satirico Il teatro alla moda, pubblicato
anonimo nel 1720 ma notoriamente scritto dal musicista e letterato
Benedetto Marcello. Benedetto Marcello, patrizio e magistrato veneziano,
nonché musicista stimato da molti suoi contemporanei (incluso Johann
Sebastian Bach), era sostenitore di una visione aristocratica ed elitaria della
musica, ed era poco incline ad apprezzare gli aspetti più "popolari" della
produzione operistica della sua epoca. L'unico riferimento esplicito a Vivaldi
nel Teatro alla moda, peraltro, è nascosto nel frontespizio, dove una serie di
anagrammi celano i nomi di personaggi ben noti all'epoca: fra questi,
"ALDIVIVA" si riferisce chiaramente a Vivaldi. Nello stesso frontespizio è
rappresentato un gruppo di personaggi su una peata, e la figuretta alata che
indossa un cappello da prete e suona il violino potrebbe essere una
caricatura di Vivaldi. Per il resto, l'opera si propone di criticare e ridicolizzare
aspetti del teatro musicale che erano estremamente diffusi all'epoca (come
attestato, ad esempio, dalle Memorie di Carlo Goldoni) e non sono
specificamente riconducibili all'attività di Vivaldi.
Frontespizio del Teatro alla Moda di
Benedetto Marcello
La vita di Vivaldi, come quelle di molti compositori del suo tempo, finì con non
poche difficoltà finanziarie. Le sue composizioni non venivano più particolarmente
stimate a Venezia; i veloci cambiamenti dei gusti musicali lo posero fuori moda e
Vivaldi, in risposta a tutto questo, scelse di vendere un considerevole numero dei
suoi manoscritti a prezzi insignificanti per finanziare una sua migrazione a Vienna.

È alquanto probabile che Vivaldi andò a Vienna per mettere in scena alcune sue
opere al Kärntnertortheater. Ma l’esplodere della Guerra di successione austriaca,
oltre ad aver portato all'immediata chiusura di tutti i teatri viennesi sino all'anno
successivo, lasciò il compositore senza protezione reale e fonte di reddito.
Forse perché troppo malato e troppo povero, Vivaldi decise di non tornare a
Venezia e di rimanere a Vienna. Per tirare avanti dovette quindi svendere altri suoi
manoscritti e infine tra la notte del 27 e il 28 luglio 1741 morì d' infezione
intestinale (o forse a causa di asma bronchiale, forma della quale aveva sempre
sofferto) nell'appartamento affittato presso la vedova Maria Agate Wahlerin. La
casa, situata strategicamente vicino al Kärntnertortheater, era conosciuta anche
come Satlerisch Haus; fu distrutta nel XIX secolo.
Il 28 luglio fu sepolto in una fossa comune al Spettaler Gottesacker di Vienna
Il catalogo delle opere di Vivaldi

Il catalogo delle opere di Vivaldi è particolarmente vasto e complesso. La grande fama di
cui godette in tutta Europa portò alla dispersione dei suoi manoscritti fino agli angoli più
remoti del vecchio continente. Non è quindi raro che, in seguito al riordino delle
collezioni di manoscritti di una biblioteca si rintraccino composizioni inedite delle quali si
era persa notizia da secoli, come accaduto recentemente a Dresda.
Altro elemento di confusione è l'esistenza di diversi cataloghi delle sue opere, del tutto
discordanti fra loro per ciò che riguarda la numerazione e la cronologia delle opere, fra i
quali, solo di recente il Catalogo Ryom (contraddistinto dalla sigla RV) sembra aver
raggiunto lo status di riferimento universale. Non è tuttavia raro imbattersi tuttora in
pubblicazioni musicali che fanno riferimento ad una catalogazione diversa.
Il "corpus" delle composizione vivaldiano consta in circa 600 fra concerti e sonate, quasi
300 dei quali per uno o più violini, 30 circa per violoncello, 39 per fagotto, 25 per flauto,
25 per oboe etc. fino a toccare strumenti come il liuto, il mandolino ed altri strumenti
molto raramente utilizzati in funzione concertistica, all'epoca.
Alle composizioni strumentali, si affianca una notevole produzione di musica sacra, che
consta di poco meno di un centinaio di composizioni; notevole anche la produzione di
musica vocale, comprendente oltre cento cantate ed arie.
Infine la sua attività di operista è stata recentemente riscoperta. Essa si compone di circa
45 titoli, di molti dei quali, purtroppo, si è perduta la parte musicale.
Opere
Attualmente di Vivaldi ci giungono, parziali o complete, 21 opere, tutti drammi per musica, le quali
dal punto di vista drammatico seguono i tipici canoni dell'opera seria dell'epoca. Inoltre non è raro
trovare in alcuni "pasticci" della tarda maturità del Prete Rosso arie di altri compositori
contemporanei, come Leonardo Leo, Geminiano Giacomelli, Johann Adolf Hasse e Giovanni
Battista Pergolesi.
Antonio Vivaldi

I CONCERTI E LA FORMA A
RITORNELLO
Il rapporto tematico tra il "solo" e il "tutti" può assumere una varietà di soluzioni formali che si
possono riassumere nei seguenti punti:
1. il solista introduce un'idea totalmente nuova senza alcun rapporto con i temi proposti nel
ritornello
2. la parte solistica espone un'idea totalmente nuova, ma torna poi ai motivi del gruppo principale
3. il solista ripropone il motivo iniziale, spesso ornato, del ritornello e quindi lo sviluppa liberamente

Inoltre: aumenta, con Vivaldi, il contrasto fra i tempi veloci e tempi lenti (i tempi veloci sono più
veloci di quelli della media del suo tempo, mentre i tempi lenti sono più lenti); impiego sistematico
del processo detto Fortspinnung; impiego di effetti violinistici (sordina, pizzicato ecc.) soprattutto
nei concerti delle Stagioni.
Estro Armonico op. III n.2 – Primo movimento
Vivaldi, Concerto op. III (Estro Armonico) n. 8
Allegro 1
                                                                       Larghetto 2
                                                  Partitura completa   Allegro 3
Vivaldi, Concerto op. III (Estro Armonico) n. 8
Concerti delle Stagioni: La Primavera
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Musica strumentale nel XVIII secolo

LA SONATA CLAVICEMBALISTICA IN
ITALIA
La musica clavicembalistica italiana

In Italia il campo della musica clavicembalistica è dominato (sino agli anni Venti), dalle
personalità di Alessandro Scarlatti e di Bernardo Pasquini. Alessandro Scarlatti
predilesse il genere della toccata.
Il principale protagonista resta comunque Domenico Scarlatti (1685-1757), figlio di
Alessandro, attivo prevalentemente in Spagna e Portogallo. Scarlatti è per eccellenza il
compositore di sonate per cembalo: 555 ne conta il suo catalogo, ma stranamente
poche furono stampate ai suoi tempi. Il problema capitale dell'esegesi scarlattiana è il
problema della forma. E' fatto rilevante che il musicista eserciti la propria fantasia quasi
a contatto con un'unica dimensione formale: la sonata bipartita in un sol movimento,
nell'ambito della quale Scarlatti persegue il principio della sistemazione delle idee in
zone tonali ben precise. Fattore emergente in questa sensibilità delle relazioni tonali è
l'arco della modulazione dalla tonica alla dominante e del successivo ritorno alla tonica.

Se le sonate bipartite in un solo tempo costituiscono la norma, non per questo si deve
pensare alla mancanza di idee formali. Ma è sorprendente, ad esempio, che Scarlatti
scarti il principio della variazione, così diffuso ai suoi tempi. Non mancano esempi di
rondò né esempi di sonate in più movimenti.
L'elemento coloristico ha importanza determinante; frequentissimi sono l'impiego di
maniere proprie del folklore spagnolo, l'imitazione di strumenti popolari e non, gli
effetti di eco, le note ribattute ecc.
La sonata scarlattiana può essere così riassunta:

Questo schema corrisponde alla caratterizzazione tonale della struttura compositiva settecentesca. La
fusione tonica-dominante si prospetta, in quel tempo, come una conquista dialettica, ma è soltanto
con Scarlatti che questo tipo di organizzazione s'impone superando i limiti di un rigido schematismo;
basta prestare attenzione all'inizio della seconda parte, dal momento che quanto viene esposto dopo
il segno di replica è cosa nuova e svolge un'idea nuova o presenta un'elaborazione del tema iniziale
talmente libera da introdurre l'ascoltatore in un'atmosfera del tutto diversa. E' proprio questo il
momento di maggiore tensione della sonata di Scarlatti: si sviluppa qui un ampio giro di modulazioni
che riconducono il movimento alla tonalità fondamentale. Naturalmente non si parla di un vero e
proprio sviluppo, né il processo può essere avvicinato a quelle tecniche della progressione,
dell'espansione, della sequenza tipiche dei suoi predecessori, bensì si tratta di una trasformazione
tematica, ed espressiva, che se da un lato rivela il gusto per la bizzarria, dall'altro lato è l'immagine di
un profondo ripensamento che conduce alle soglie del sonatismo moderno.
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