La Ricetta: Il babà o babbà

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La Ricetta: Il babà o babbà
La Ricetta: Il babà o babbà
Il babà o babbà è un dolce da forno a pasta lievitata con
lievito di birra di origine francese, divenuto tipico della
pasticceria napoletana.
Il babà è la derivazione di un dolce a lievitazione naturale
originario della Polonia (babka ponczowa) e di altri paesi
slavi. Perfezionato dai cuochi francesi assunse il nome
di babà. Vide poi trasformato il proprio nome in “babbà” dai
pasticceri napoletani.
Ingredienti per il babà: 300 gr di farina manitoba, 45 gr di
zucchero, 4 uova, 100 gr di burro a temperatura ambiente, 1
cubetto di lievito di birra sciolto in un po’ di acqua calda,
un pizzico di sale, latte q.b.
Per lo sciroppo: 600 gr di acqua, 300 gr di zucchero, 300 gr
di rum bianco (io creola bum) e la buccia di un limone.
Preparazione: impastare bene ed energicamente tutti gli
ingredienti per il babà con lo sbattitore elettrico con le
fruste a spirale, sciogliendo il lievito di birra in un poco
di acqua tiepida. L’impasto tenderà ad avvolgersi tutto
intorno alle fruste, quindi ogni volta farlo scendere con le
mani ed aiutarsi aggiungendo quando serve un goccio di latte
per impastare meglio. Dopodiché inizierà a non attaccarsi più
alle fruste. Una volta impastato bene per un po’ di tempo
(almeno un quarto d’ora – 20 minuti), mettere in una teglia
per babà imburrata aiutandosi con le mani leggermente bagnate
per far scendere l’impasto e sistemarlo bene nella teglia.
Lasciare lievitare (almeno 3 ore) in forno precedentemente
riscaldato e poi spento (da fare in inverno perché con il
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calore del forno lievita meglio, invece in estate basta
lasciarlo lievitare fuori con un canovaccio sopra) senza
nemmeno toccarlo con un dito altrimenti si sgonfia subito e
poi è da buttare. Anche se lo si vede storto, tipo da un lato
alto e dall’altro basso, lasciarlo stare perché poi si
aggiusterà da solo in forno. Una volta che è lievitato fino
alla superficie della teglia, accendere il forno a 180 gradi e
cuocere per 30 minuti.
Nel frattempo preparare la bagna amalgamando in un pentolino
sul fuoco l’acqua, lo zucchero, la buccia intera del limone
(che poi andrà tolta) e rum. E lasciar raffreddare.
Una volta sfornato il babà, bagnarlo un po’ con la bagna
quando è ancora nella teglia caldo, lasciando altra bagna da
parte che servirà per mettere su ogni fetta di babà che si
serve. Poi lasciarlo raffreddare.
Togliere il babà dalla teglia, prendere un piatto grande,
metterlo sulla teglia e capovolgere pian piano senza farlo
rompere.
                                                  Annamaria Leo

Nasce Meeto, incontri di
gusti tra Campania e Sicilia
Caivano. “Meeto, un naming volutamente concepito per il
raccontare il Mito sacro e profano cullato da secoli di
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storia”. Una pizzeria caratterizzata dall’unicità degli
ambienti e dalle pietanze dai sapori originali legati ai
territori della Campania e della Sicilia.

Il progetto Meeto prevede un protocollo salutare che utilizza
prodotti accuratamente selezionati con certificazioni e nitida
filiera garantita, dove le stagioni cadenzano l’utilizzo dei
prodotti dell’orto e del territorio campano.
La pizzeria Meeto si presenta con una proposta culinaria
concreta e genuina, con un solo percorso a doppio binario,
materia prima e pietanze espresse in pizze e fritti che
portano in tavola la tradizione partenopea e della Campania,
insieme a quella della Sicilia. Selezionati i fornitori.

Meeto si presenta agli ospiti anche come To Meet ovvero la
location dove incontrare e condividere momenti conviviali.
A firmare il progetto sono tre giovani imprenditori: Giovanna
classe 89’, Giovanni e Michele classe 94’, forti della volontà
di dare risalto e voce al proprio paese natio “Caivano”, con
una nuova concezione di pizza, dai tratti innovativi ma
fortemente legata alla tradizione napoletana.

Le grandi vetrate di Meeto mettono in bella mostra gli interni
moderni con finiture tra il vintage e l’industrial; i colori
verde, nero e oro sono predominanti, esaltati abilmente da un
mirato gioco di luci.
Il forno realizzato artigianalmente dal Maestro Florio, è di
un oro smagliante, con la cupola verde, a vista.
Gli arredi raffinati, tavoli circolari e rettangolari con
piano in marmo, ispirati alle pizzerie di un tempo, conviviali
e intimi, soni stati appositamente scelti quali espressioni di
condivisione e costituiscono una parte fondamentale dei
raffinati arredi, completati da comode sedute che si alternano
tra divaneria e poltroncine dai tessuti in pelle e velluto.
Il risultato è di una calda accoglienza, esaltata dal tocco di
napoletanità della sala dedicata a San Gennaro, patrono di
Napoli, originalmente definita da led illuminati a formare
frasi per i patiti di foto e di social.
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In esterno, la terrazza stellata, curata nei dettagli; nella
quale spiccano i tavoli interamente realizzati a mano,
stilisticamente riportano agli interni, mentre le sedie di
pelle in stile vintage, accolgono i clienti sotto un manto di
luminarie che riproducono un cielo scintillante di stelle.
“Non avere fretta, il Meeto sta per avverarsi”: a tavola, la
scritta impressa sulla tovaglietta trasmette la filosofia del
progetto Meeto, di una cucina da gustare senza fretta, per
assaporare la qualità degli ingredienti, lavorati in modo da
preservarne caratteristiche e profumo originario.

Giovanna, appassionata conoscitrice della cucina e delle
tipicità siciliane, con solida formazione presso una delle più
rinomate strutture storiche catanesi, ha ideato un itinerario
di gusto, tutto made in Sicilia, che affianca il percorso
campano, con la materia prima, le pizze e i fritti tipici.
Lo chef realizza antipasti tradizionali siciliani e napoletani
rivisitati in veste originale: Arancino Classico, dalla nota
delicata dati dai pistilli di zafferano di Canicattì; Arancino
alla Norma, dalla tipica ricetta siciliana; Arancino Sceccu,
prelibatezza realizzata con mortadella di Asino ragusano
presidio slow food, Pistacchio di Bronte, Crema Segreta e
Panatura al pistacchio; le Frittatine stagionali e dai gusti
intriganti sono preparate in versione panata e in croccante
pastella; il Filetto di baccalà è avvolto in mozzarella di
bufala; il Crocchettone siciliano con crema al pistacchio; la
Parmigiana di melanzane e la napoletanissima “Mulignana alla
pullastiello”; ancora, tante proposte gustose, in primis la
Pizza, leggera, digeribile e gustosa che valorizza i sapori
della Campania e della Sicilia. I pizzaioli Giovanni e Michele
dalla postazione di stesura e forno a vista, stabiliscono un
contatto diretto con il cliente, e diffondono le gestualità e
i piccoli segreti dei pizzaioli, sottolineando la scelta di
una materia di prima scelta, tra Dop e Presidi Slow Food.
Con il mugnologo e tecnologo alimentare Enzo Paciello è stato
definito l’acquisto diretto del grano migliore e macinarlo,
per ottenere una farina dagli alti standard qualitativi, ad un
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giusto rapporto qualità/prezzo.
Impasti unici del maestro Paciello (in fase di brevettazione);
a scelta, nella linea “Healty”, un impasto proteico, con basse
calorie.

La   Ricetta:                      i       biscotti
Canestrelli
Questa è la storia di un dolce che fu moneta, una lunga storia
che narra di tempi in cui in Alta Valle e in tutta la Val
Trebbia, lontano dal mare, le farine in generale, sia di
segale che di frumento scarseggiavano, e la farina bianca era
un lusso per pochi, certo da non sprecare per qualcosa di
superfluo come un dolce. Un giorno però, pare che dei
produttori di ostie, che all’epoca erano sicuramente
commercianti benestanti, cominciarono a sfornare dei biscotti
a forma di margherita prodotti con farina bianca e burro, il
massimo dell’abbondanza per l’epoca, questi biscotti furono
chiamati Canestrelli. La vendita di queste “primizie” cominciò
sui sagrati delle chiese per finire poi su mercati ed arrivare
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a Genova “La Superba” la quale, decise di rappresentarli sul
Genovino, la moneta d’oro coniata dai Genovesi, di fatto la
prima moneta della storia.

Storie e leggende a parte, una cosa è certa, nel 1829 nel Bar
Caffè di Torriglia gestito da una certa “Pollicina” nome
d’arte di Maria Avanzino che insieme al marito gestiva il
famoso bar, cominciarono ad essere commercializzati diciamo
ufficialmente i primi Canestrelli. Da quel periodo in poi fino
ai giorni nostri, il successo del dolce che fu moneta non si
fermò più, tanto che ogni anno all’inizio del mese di giugno
vi è un festival del Canestrelletto di Torriglia a celebrarne
la bontà.

Ingredienti: 2 uova, 150 gr di farina 0, 100 gr di amido di
mais, 75 gr di zucchero a velo + quello che serve alla fine
per spolverare, buccia grattugiata di un limone, 150 gr di
burro freddo, 2 bustine di vanillina.

Preparazione: per prima cosa mettere a bollire le uova. Appena
l’acqua inizia a sobollire calcolare 7 minuti. Sbucciarle e
ricavare solo il tuorlo sodo. Passare i tuorli (o schiacciati
benissimo con una forchetta o con uno spremiaglio) e tenere da
parte. In una ciotola mescolare la farina e l’amido di mais,
aggiungere lo zucchero a velo, la buccia grattugiata del
limone, il burro freddo a tocchetti (mi raccomando deve essere
freddo di frigo), la vanillina (o aroma vaniglia) e i tuorli
passati. Impastare tutto fino ad ottenere un composto morbido
e molto chiaro. Bisogna avere pazienza perché sembra che non
si compatti, ma lavorandolo per un po’ il burro inizierà ad
amalgamarsi alle farine e si otterrà così un bell’impasto
morbido e liscio! Compattarlo bene, avvolgerlo in pellicola e
mettere in frigo a riposare per circa un’ora. Trascorso il
riposo, stendere la pasta tra due fogli di carta forno,
all’altezza di circa 1 cm e, con una formina a fiore, ricavare
i canestrelli. Metterli su una leccarda da forno ricoperta con
carta forno e, con l’aiuto di un attrezzo cavo, ricavare anche
i fori centrali (io ho usato una bocchetta della siringa per
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dolci). Con queste dosi ho ricavato 28 canestrelli! Cuocere in
forno statico già caldo a 170 gradi per circa 15 minuti (con
il mio forno ci sono voluti 13 minuti): bisogna fare molta
attenzione perché i canestrelli non devono scurire, bisogna
sfornarli ancora chiarissimi e poi tirarli dal forno e farli
raffreddare senza toccarli. Solo quando saranno poi
completamente freddi, spolverare con zucchero a velo. Se non
si consumano subito, conservare in un contenitore di latta per
biscotti o in un contenitore che si chiude ermeticamente.

                                                 Leo Annamaria
         Pagina instagram cuciniamobyanna (le ricette di Anna)

Nasce OrigoFood: La piazza
virtuale delle eccellenze
Made in Italy
Dall’esperienza e dalla passione di un gruppo di
professionisti attivi in diversi settori della vita economica
e culturale (in particolare nel comparto agroalimentare) nasce
Origo Food, una piattaforma online che ha lo scopo di proporre
un paniere di prodotti locali in grado di trasmettere i valori
della tradizione e del territorio nazionale.

È online il sito OrigoFood.com , una grande piattaforma che dà
la possibilità di ordinare le eccellenze enogastronomiche
italiane
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Le abitudini dei consumatori negli ultimi anni sono cambiate e
le persone sono sempre più attente alla qualità e alla
provenienza dei prodotti. Per dare la possibilità a tutti di
conoscere le tipicità dei meravigliosi territori regionali
italiani, è nato Origo Food, una di piazza virtuale che
riunisce i prodotti di eccellenza Made in Italy.

«La nostra mission è evidente già dal nome della piattaforma:
“origo” in latino signi?ca “origine”» spiega Giancarlo
Gentile, CEO di Origo, che continua; «ed è proprio
sull’origine e sulla lavorazione dei prodotti che abbiamo
deciso di puntare. L’obbiettivo di Origo Food è la promozione
del Bel Paese e del suo elevato potenziale produttivo espresso
dalle preziose diversità e dalle insuperabili capacità di
tanti piccoli produttori che rispettano il territorio,
conservano la tipicità e fondano le loro aziende su valori
etici del lavoro».

I prodotti selezionati e raccomandati da Origo non solo si
contraddistinguono per aspetto, sapore, profumo e consistenza
ma sono in grado di trasmettere valori spesso sottovalutati
nel settore alimentare.

Il primo tra questi valori è la tradizione. L’idea che Origo
 ha della tradizione tuttavia, non esclude la tecnologia e le
moderne conoscenze, Quest’ultime, se ben utilizzate, possono
rappresentare strumenti utili capaci di trasmettere la vera
tradizione nostrana.

Fondamentale per Origo è, inoltre, la sostenibilità. Tale
“qualità” si manifesta sotto forma di particolari aspetti che
di volta in volta risultano apprezzati dai consumatori e si
riferiscono al prodotto, al modo “virtuoso” con cui è stato
ottenuto, all’attenzione per l’ambiente da cui proviene.
Nonché alla sua confezione (biodegradabile o compostabile,
riutilizzabile, etc.); alle persone che operano nella ?liera
(cui viene garantito un equo trattamento). Per Origo il valore
della sostenibilità tiene conto anche della provenienza del
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prodotto e su questo Origo si avvale di consulenti importanti
come chef stellati e docenti delle accademie di cucina più
affermate. Molti dei prodotti disponibili su Origo Food
arrivano da aree caratterizzate da elevato pregio
naturalistico, marginali e a rischio di spopolamento e qui
l’impegno sociale dell’azienda nel mettere in vetrina “piccole
grandi aziende” e dar loro visibilità.

Origo ha un profondo legame con il territorio. È questo un
valore imprescindibile sul quale poggia la realtà della
startup campana. Molte eccellenze di Origo Food non solo
arrivano dal territorio nazionale ma vengono interamente
lavorate in zone ben delimitate. Esse esprimono la
sorprendente e affascinante varietà ambientale e culturale che
rende l’Italia un luogo unico al mondo.

«Il portale Origo Food è una importante realtà virtuale
enogastronomica che permette ai suoi utenti non solo di
acquistare i prodotti di nicchia ma anche di rimanere
aggiornati sulle ultime news del settore. Insomma
OrigoFood.com è un punto di riferimento per chiunque sia
interessato ad apprezzare prodotti gourmet del territorio
italiano e le migliaia di visite giornaliere al nostro sito lo
confermano», è quanto afferma Antonio Gnassi, direttore
Marketing e Comunicazione di Origo, che prosegue: «Nella
sezione blog è infatti possibile guardare le videoricette di
chef stellati e di giovani foodblogger, leggere le interviste
ai fondatori delle aziende, la storia delle aziende stesse e
tanto altro ancora. Oltre questo, Origo Food dispone di un
sistema di marketing intelligence e un attento servizio di
assistenza clienti».
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La Ricetta: “Pane cafone”

                      Detto anche senza impasto! Prima di
                      tutto per fare questa ricetta, l’ideale
                      sarebbe il forno a legna ma, siccome in
                      casa non lo si ha, la si può fare solo
                      se si possiede un tegame di terracotta
                      (come l’ho usato io) oppure di ghisa!
                      La peculiarità del pane cafone è la
                      mollica alta di colore paglierino
                      perfettamente alveolata e la crosta
                      piuttosto spessa e croccante.

Importante: affinché l’alveolatura sia perfetta, il tegame
deve essere sufficientemente ampio e soprattutto
sufficientemente alto così che, il pane in cottura,
lievitando, non trovi ostruzione una volta arrivato sotto il
coperchio (ciò potrebbe accadere con un tegame troppo basso).

Un pane detto cafone poiché era il pane che il popolo mangiava
in contrapposizione alle baghette francesi consumate dai
nobili. Un prodotto noto anche come pane a ott’ perché è buono
da mangiare fino a otto giorni. Le origini di questo pane sono
incerte, alcuni lo identificano con il pane dei Camaldoli,
area nord di Napoli, altri lo riconducono alle province di
Avellino e Benevento, ma più probabilmente il pane cafone
nasce nel settecento ai piedi del Vesuvio a San Sebastiano,
paesino ai confini tra Torre del Greco e Napoli.

La lunga lievitazione permette alla mollica di essere molto
alveolata e con una percentuale di acqua medio bassa. Questo è
il segreto che permette al pane cafone di conservarsi così a
lungo. Inoltre, la crosta è croccante, ma poco friabile e ha
uno spessore notevole: circa un centimetro. Anche questo è un
elemento che contribuisce alla conservazione perché permette
di mantenere la giusta umidità all’interno della pagnotta.

La parte più sfiziosa del pane cafone è O’ Cuzzetiell,
l’estremità dalla consistenza croccante e dalla forma
tondeggiante che si intinge nel pentolone dove il ragù sta
ancora “pippiando” o che, svuotata dalla mollica e farcita con
i condimenti più disparati, diventa la classica marenna da
portare con sé sempre ed ovunque (ma questa è un’altra
storia).

Ingredienti: 600 gr di farina manitoba, 400 gr di farina 00
(più quella che serve per la spianatoia), 6 gr di lievito di
birra, 700 ml di acqua tiepida, 1 cucchiaino di zucchero, 1
cucchiaino di sale.

Preparazione: in una ciotola mettere le farine, il lievito
sciolto nell’acqua, lo zucchero ed il sale. Mescolare per 5
minuti con un cucchiaio di legno, coprire con pellicola la
ciotola e mettere in forno spento e chiuso a lievitare per 18
ore.
A lievitazione avvenuta, l’impasto dovrà risultare alto,
appiccicoso e pieno di bolle in superficie. Dopo questo tempo,
mettere abbondante farina su un piano da lavoro, versare
l’impasto e ripiegare a mo’ di fagotto realizzando 4
piegature: da destra verso sinistra, da sinistra verso destra,
dall’alto verso il basso, dal basso verso l’alto (in pratica
l’impasto va ripiegato come un fazzoletto ottenendo un
riquadro di pasta). Ripiegare su sé stesso ancora una volta il
“riquadro di pasta” ottenuto cercando di dargli la forma di
una “palla”. Spolverare abbondantemente di farina un
canovaccio e poggiarci sopra l’impasto (che risulterà
morbidissimo). Spolverare di farina anche l’impasto in
superficie e coprirlo con un altro canovaccio. Lasciar
lievitare per altre 2 ore. Poi, 30 minuti prima di cuocere,
preriscaldare il forno a 180 gradi mettendo all’interno il
tegame incoperchiato (solo se il tegame sarà rovente, il pane
non si attaccherà alle pareti).

Rovesciare quindi con cura il pane nel tegame rovente,
incoperchiare e cuocere per 60 minuti a 180 gradi con
coperchio poi 15 minuti a 200 gradi con coperchio poi 10
minuti a 200 gradi senza coperchio. Poi, tirare dal forno,
incoperchiare di nuovo e far raffreddare a temperatura
ambiente per mezz’ora, poi continuare a farlo raffreddare
completamente senza coperchio. Poi, togliere eventuale farina
in eccesso, metterlo su una placca e ripassarlo in forno alla
massima temperatura per altri 30-35 minuti (controllando la
cottura). Se lo si mangia il giorno dopo riposato ancora
meglio: conservare in un panno da cucina oppure, volendo, può
anche essere conservato in freezer.

                                                 Annamaria Leo
         Pagina instagram cuciniamobyanna (le ricette di Anna)
La Ricetta:”                     E     Biscuttin”
della Nonna
Questa ricetta non so quanti anni si ricorda! Li faceva sempre
mia nonna, deliziando figli, nipoti e pronipoti! Non sono mai
mancati né per le festività natalizie né per quelle pasquali.
Li chiamava biscottini…non so perché visto che hanno più la
consistenza di un pan di spagna e non di biscotti, e non
conosco nemmeno il loro reale nome!
Ma sono buoni e per me hanno una storia!
Ingredienti: 500 gr di farina 00, 5 uova, 300 gr di zucchero,
3 bustine di vanillina, un filo di olio di semi, 3 cucchiaini
di vermut, un pizzico di sale,buccia grattugiata di un limone,
16 gr di bicarbonato, un cucchiaino di strutto, latte quanto
basta (circa un bicchiere), un uovo per spennellare e granella
di zucchero colorata per decorare.
Preparazione: in una ciotola mettere tutti gli ingredienti,
amalgamare bene con una frusta a mano, dovrà essere un
composto né troppo duro né troppo liquido. Rovesciarlo in una
teglia con carta forno. Livellare bene, spennellare con un
l’uovo sbattuto e cospargere con granella di zucchero
colorata. Cuocere in forno già caldo a 180 gradi per 20 minuti
(fare prova spaghetto). Poi far raffreddare bene e tagliare in
pezzi.
                                        A cura di Annamaria Leo
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                           cuciniamobyanna (le ricette di Anna

La Forneria di Massimiliano
Maiorano, dal Lievito madre
per passione a eccellenza
Flegrea
                             La sua Forneria ha da poco
                             compiuto 17 anni di attività, ma
                             la sua   storia inizia molto
                             prima,   da  quando,  appena
                             adolescente,     decise    di
                             intraprende questo mestiere.

Parliamo di Massimiliano Maiorano e della sua attività, La
Forneria di Via Giorgio dè Grassi a Pianura – Napoli. Sita in
una zona centrale del quartiere nello storico Palazzo
Varchetta a pochi metri dalla Casa della cultura e della sede
municipale.

Premiato da varie associazioni tra cui la Stampa Campana –
Giornalisti Flegrei.
Vincitore del 2° Premio per il miglior panettone artigianale.
1° Premio Dolce per Don Giustino con la torta “La penitenza”,
organizzato dal Corriere di Pianura.
Medaglia di bronzo Migliore Colomba d’Italia.

Membro della Federazione Internazionale Pasticceria Gelateria
Cioccolateria

Massimiliano ci racconta il suo percorso:

Come è ’ nata la passione per il pane e i suoi derivati,
focacce, dolci, torte e pasticcini?
All’età di.10. anni, parlando con un amico sul percorso da
intraprendere dopo le scuole medie, ho preso per la prima
volta in considerazione la possibilità di frequentare un corso
per artigiani e in particolare il corso dedicato alla
pasticceria. Non sono un golosone – spiega Massimiliano – però
la parola fornaio/pasticcere mi suscitava curiosità, lo vedevo
un mestiere giusto per me. Mi affascinava tutto il mondo delle
ricette legate al pane, rustici, dolci e la possibilità di
esprimere me stesso attraverso un lavoro artigianale e
creativo come questo.

La tua formazione:
Mi piace definirla formazione dei miei tempi perchè durante
l’anno di studio del Corso ho avuto l’occasione di fare un
tirocinio in un laboratorio: La forneria di Remigio Coppola a
Pianura, il mio maestro. È stato un periodo molto importante
per la mia crescita perché ciò che imparavo la mattina, potevo
poi metterlo in pratica. Avere fin da subito le mani in pasta
è stata una fortuna di cui ho approfittato rimanendo in questo
laboratorio per i 3 anni successivi alla fine della
formazione. Durante questa esperienza ho acquisito le basi
fondamentali del mestiere e grazie agli insegnamenti di chi mi
circondava ho fatto miei anche molti segreti. Subito dopo ho
iniziato un nuovo percorso lavorativo, durato circa 20 anni,
in un altro laboratorio/forno. Qui oltre alla conoscenza di
nuove tecniche di lavorazione e l’uso di ingredienti diversi,
ho iniziato pian piano ad occuparmi di altri aspetti
riguardanti questo lavoro, arrivando a gestire in autonomia il
laboratorio, grazie alla grande fiducia che negli anni mi è
stata data. La mia curiosità, però, non si è mai fermata e
sentivo l’esigenza di sperimentarmi in altri ambiti. Così ho
provato ad inserirmi nella realtà locale, facendomi conoscere
ed apprezzare e con il desiderio di cimentarmi in nuovi sfide
e ampliare così il mio bagaglio di conoscenze con un tipo di
pasticceria diversa: presentazioni, condivisione del lavoro,
preparazioni di eventi, feste, cerimonie…
Nel settore ho iniziato a Pianura ma poi ho allargato i miei
orizzonti sull’intera area flegrea e oltre. Il mio territorio
è fatto di luoghi dove ho avuto la possibilità di confrontarmi
con realtà completamente diverse, dalle quali ho imparato
tanto e nei quali sto ottenendo significativi riconoscimenti e
grandi soddisfazioni.

Che consiglio daresti ai giovani che vogliono diventare
fornai-pasticcieri?
Il mio consiglio ai giovani che vogliono intraprendere questo
meraviglioso mestiere è di avere la voglia di imparare il più
possibile dai propri maestri e acquisire una conoscenza
approfondita del mestiere. Allo stesso tempo, però, dovrebbero
curare anche altri aspetti della propria formazione diventati
altrettanto importanti, come la conoscenza dell’ imprenditoria
e anche delle lingue, inglese in testa. Questo perché il
nostro mestiere si è evoluto e non basta più rimanere chiusi
in un laboratorio se si vuole crescere professionalmente e
raggiungere alti livelli. Secondo me, inoltre, i passi
iniziali di un giovane fornaio-pasticciere sono fondamentali e
bisogna per questo puntare fin da subito ad inserirsi in
ambienti di lavoro importanti che puntano alla crescita e al
miglioramento continuo, per evitare così il rischio di
fossilizzarsi rimanendo indietro mentre il mondo della
forneria-pasticceria cambia e si evolve.

Tradizione e/o innovazione? Il tuo pensiero.
La tradizione, a mio modo di vedere, non va abbandonata
soprattutto se parliamo di preparazione, di tecnica e di
ricette classiche. L’innovazione può esserci per quanto
riguarda altri aspetti, come la presentazione, l’immagine e la
misura.

Quali sono state le soddisfazioni più grandi in tanti anni di
lavoro?
Per l’esattezza 37… Ad essere sincero è difficile parlare di
una cosa in particolare, mi piace piuttosto guardare con
soddisfazione alla crescita e al percorso che ho fatto nella
mia vita lavorativa. Riuscire nel tempo ad avviare una mia
attività, vederla crescere e soprattutto conquistare a piccoli
passi la fiducia dei miei clienti e il compiacimento di
quanti, anche turisti, vengono a gustare le mie preparazioni,
mi dà ogni giorno conferma che la direzione è quella giusta.

Oggi c’è molta cucina in Tv e diversi chef stellati
partecipano a programmi e Talent . Tu cosa ne pensi? Hai
qualche punto di riferimento tra questi personaggi?
Negli ultimi anni il boom di programmi di cucina in TV ha
portato sicuramente alla diffusione di più informazione e una
maggiore conoscenza degli ingredienti, delle materie prime,
della loro lavorazione e delle particolari tecniche di
decorazione. Il lato negativo di tutto questo è che il cliente
si è abituato ad una realtà televisiva che ovviamente ha
tempistiche diverse e presenta una perfezione che nella realtà
necessita di preparazioni più lunghe che non vengono trasmesse
in Tv. Questa disponibilità immediata di novità, attraverso
non solo la televisione ma anche le nuove tecnologie, rischia
inoltre di eliminare l’effetto sorpresa. Credo che oggi
accontentare un cliente sia diventato un po’ più difficile che
nel passato. I prodotti che produco, dal pane alle focacce,
dai taralli al panettone natalizio, dalla schiacciata romana
(pane focaccia) alla colomba pasquale, dal tortano al
casatiello napoletano, quello a cui sono particolarmente
legato è sicuramente la pizza dolce, tipica della Pianura che
fu.
Torta farcita con crema ed amarene dal sapore unico e
delicato. Un tempo a Pianura si faceva in ogni casa e si
infornava nei famosi forni dei cortili. Anche nel palazzo dove
sorge la mia attività c’è un antico forno, storico di
proprietà della famiglia Varchetta, ormai purtroppo dismesso.

Come giudichi la pasticceria-rosticceria napoletana rispetto a
quella italiana o di altri paesi? Essere napoletano, secondo
te, ti dà una marcia in più?
Per me è una fortuna essere nato a Napoli e in particolare a
Pianura e lavorare qui come fornaio perché la nostra terra
offre materie prime di grandissima qualità. I nostri punti di
forza sono sicuramente la farina, la mozzarella, il pomodoro,
le mandorle ed altri prodotti conosciuti e apprezzati in tutto
il mondo, ma anche per esempio l’ottima ricotta e i buoni
salumi. La vera specialità è il lievito madre di cui vado
molto fiero. Ovviamente ogni regione ha i suoi dolci tipici,
ma ciò che distingue Napoli, i suoi straordinari territori
flegrei e la Campania dagli altri luoghi d’Italia e del mondo
sono appunto le sue materie prime, capaci di offrire un
eccezionale punto di partenza da cui poter ricavare ottimi
risultati, lavorando con passione e competenza.

Qual è il tuo dolce/torta preferito? E quale ti piace di più
preparare?
Sembra strano ma non ho un dolce preferito, anche se prima ho
scherzato parlando della pizza dolce: con il mio lavoro
assaggio sempre tutto, ogni giorno mi piace preparare tante
torte, dolci e rustici diversi perché amo che le vetrine della
mia Forneria siano sempre piene, colorate e invitanti.

                    Non solo pane e dolci, possiamo dire che
                    sei un imprenditore oltre che maestro
                    fornaio-pasticciere?
                    Assolutamente d’accordo perché crescere e
                    migliorarsi porta inevitabilmente a
                    occuparsi di molti altri aspetti che
                    vanno  al  di        là  della  semplice
                    preparazione         del   prodotto   da
                    vendere. Diciamo che a piccoli passi si
                    cerca sempre di offrire di più,
                    individuando altri stimoli per vivere
                    nuove esperienze.

Quali sono i tuoi progetti futuri?
Dopo aver dato vita alla mia piccola Forneria, il mio gioiello
da 17 anni, e aver creato un laboratorio creativo, credo che
il passo logico successivo sarà aprire magari un altro punto
vendita. Una vetrina, un fiore all’occhiello, magari sulla
strada principale di una bella città dove tutti i turisti
fanno la loro passeggiata e ammirano le bellezze del
territorio: chissà se riuscirò a realizzare questo sogno…

Massimiliano Maiorano e il suo staff vi aspettano ogni giorno
in Forneria per deliziarvi con le loro preparazioni e le loro
prelibatezze.

È   possibile   anche   acquistare   i    prodotti   ordinando
telefonicamente. Per rimanere costantemente aggiornati sulle
continue novità della Forneria Maiorano di Pianura basta
seguire i canali social.

                  Intervista a cura di Ennio Silvano Varchetta

La Colomba di Pasqua: dai
forni   antichi a  quelli
moderni
Il dolce tipico pasquale che riunisce tutte le regioni
italiane, è lei: La Colomba!

Chi l’abbia creata, non si sa e incerte sino le sue origini
che si fanno comunque risalire a tre circostanze leggendarie,
a sfondo storico. Sono tutte legate al territorio lombardo e
al periodo pasquale.

Per la prima, i suoi natali risalirebbero al 572 nella Pavia
longobarda, durante l’assedio del re Alboino. Valicate le
Alpi, egli mosse guerra all’Italia bizantina assediando la
città che, dopo tre anni di assedio fu vinta dai barbari. Per
evitarne le notoria furia e ferocia, le donne pavesi
regalarono loro dei soffici dolci a forma di colomba: un gesto
di pace che, a quanto narra la leggenda, fu tanto apprezzato
da evitare il saccheggio e inoltre valse a Pavia il titolo di
capitale del neonato regno.

Sono protagonisti San Colombano e la regina Teodolinda nella
seconda versione che ribadisce l’origine Pavese di questo
lievitato. Si narra che nel 610 circa, a Pavia, capitale dei
Longobardi, la regina Teodolinda avesse ospitato un gruppo di
pellegrini irlandesi, guidati da San Colombano. La sovrana
offrì agli ospiti un ricco banchetto a base di selvaggina, ma
il santo rifiutò, essendo periodo di Quaresima – in cui i
fedeli non mangiano carme – ma Teodolinda e il marito
Agilulfo, interpretarono questo gesto come una grave offesa
personale. Colombano, allora, benedisse la selvaggina
trasformandola in un evidente simbolo di pace: bianche colombe
di pane.

Nel 1176, è invece ambientata la terza versione, durante la
battaglia di Legnano con la clamorosa vittoria dei Comuni
della Lega Lombarda sull’Imperatore germanico Federico
Barbarossa. Un condottiero del carroccio scorse due colombi
posarsi sopra le insegne della Lega, nonostante lo scontro
fosse imminente. Colpito da questa immagine, ordinò ai cuochi
di preparare dei pani a forma di colomba, a base di uova,
farina e lievito, riuscendo così a infondere coraggio nei suoi
uomini.

La colomba moderna che noi conosciamo risale alla Milano degli
anni ’30. L’idea venne all’artista e pubblicitario mantovano
Dino Villani, autore anche del concorso che si chiamò poi
“Miss Italia”. Villani, direttore della pubblicità della ditta
milanese Motta, già nota per i suoi panettoni, derivati
dall’antico “pan de Toni”, negli anni ‘30 del secolo scorso,
per utilizzare gli stessi macchinari, ideò un dolce con pasta
molto simile al lievitato natalizio, destinato alla Pasqua. La
ricetta venne ripresa da Angelo Vergani che 1944 fondò la
Vergani a Milano.

La colomba pasquale si è diffusa rapidamente anche nelle altre
regioni, diventando il dolce caratteristico della Pasqua
italiana e varcando i confini nazionali.

L’impasto originale è a base di farina, burro, uova, zucchero,
buccia d’arancia candita, e porta una ricca glassa alle
mandorle. Successivamente sono state ideate tante varianti e
tuttora ne vengono proposte sempre altre, in considerazione
del l’evolversi del gusto.

La colomba di Pasqua moderna, dalle tre lievitazioni, è andata
ad affiancare l’uovo di cioccolato, commercializzato con
successo a Torino qualche anno prima, che rappresenta la
Resurrezione.

                                      Armando Giuseppe Mandile

I sapori della Campania nelle
colombe di Caldarelli
                        La classica è richiesta soprattutto
                        dagli amanti della tradizione, mentre
                        le innovative conquistano i palati più
                        esigenti. Donazioni Charity nella
                        Mission di #InsiemeperilTerritorio
                        Le preparazioni d’eccellenza         si
                        riconoscono così...

I profumi e i sapori della Pasqua in Campania arrivano ovunque
ovunque, grazie alle colombe di Raffaele Caldarelli
Pasticciere, giovane e valente maestro degli impasti.

Le sue specialità sono sempre più apprezzati è richiesto da un
pubblico di esperti e appassionati del buon mangiare e del
buon vivere.

Una serie di percorsi sensoriali tra i sapori del mondo,
quello che il pasticciere nolano suggerisce agli intenditori
del gusto, attraverso le sue creazioni che riescono a
stimolare e a coinvolgere anche i più pretenziosi.

COLOMBE PER LA MISSION SOLIDALE DI PASQUA

Nella Squadra di eccellenza di #InsiemeperilTerritorio,
fondata dalla giornalista enogastronomica Teresa Lucianelli,
Raffaele partecipa con una donazione di colombe di alta
qualità, alla Mission di Pasqua promossa dalla stessa
formazione benefica.

La nota giornalista napoletana ha infatti organizzato insieme
ai tanti amici chef, produttori, artisti, professionisti della
salute, del benessere e dell’informazione, che fanno parte
appunto della squadra di #InsiemeperilTerritorio, una raccolta
alimentare a favore dei piccoli di Padre Massimo Ghezzi –
orfani, senzatetto, vittime di gravi problematiche – dei
clochard nel Progetto AbitiAmo e delle famiglie in gravi
difficoltà, della Campania, che sono assistiti dai volontari
della Parrocchia di San Gennaro al Vomero (via Bernini,
Napoli), dove è sempre attiva – e lo è stata anche in pieno
lockdown – la Mensa solidale.

Un’iniziativa che va a supportare concretamente l’attività
della struttura religiosa impegnata in prima linea a favore
degli “ultimi”.

OCCHIO ALLA QUALITÀ

Per Caldarelli “conta innanzitutto la qualità, quella degli
ottimi prodotti campani” puntualmente utilizzati. Poi, “la
sapienza degli impasti preparati con cura e nel rispetto dei
giusti tempi. E, ancora, l’amore per il proprio lavoro”.

Di colombe ce ne sono tante, ma non tutte corrispondono ai
requisiti fondamentali di genuinità, gustosità, freschezza,
che solo un prodotto artigianale al top può garantire… e non
tutte le colombe presentate come artigianali lo sono
veramente. Inoltre, non tutte quelle realmente artigianali
raggiungono risultati di alto livello.

Il consumatore dovrebbe quindi sempre verificare cosa sta
acquistando, tenendo gli occhi bene aperti, per non cadere in
trappole, attirato dai soliti specchietti per le allodole.

“Per essere certi se il dolce simbolo di pace per la
tradizione religiosa cattolica è di produzione industriale o
artigianale, va verificato il tipo di ingredienti utilizzati,
oltre al luogo di produzione e di distribuzione: devono essere
riportati sulla confezione. Capita, però, a volte, che venga
commercializzata una colomba industriale per artigianale,
cambiando l’incarto”.
Perciò, è fondamentale indirizzarsi su dolci prodotti da
laboratori di serietà certa.

“La colomba di autentica qualità superiore, richiede una
lievitazione lunga che le conferisce una struttura soffice,
ottenuta per fermentazione naturale con lievito madre. È
realizzata con ingredienti naturali, genuini, esclusivamente
di alta qualità e si presenta con glassatura superiore ed una
decorazione composta da granella di zucchero e mandorle.
Esistono una serie di squisite varianti, di questo dolce
tipico da forno, ideate con grande impegno e competenza, per
soddisfare ogni gusto. Ciascuna proposta è stata studiata con
grande cura per esaltare la delicatezza dell’impasto e gli
abbinamenti golosi sono stati pensati e perfezionati per
sorprendere il palato e donare soddisfazione e gioia a chi
degusta questa specialità di autentica eccellenza”.

TANTE INVITANTI PROPOSTE GOLOSE

Raffaele Caldarelli Pasticciere anche per questa Pasqua,
accanto al must tradizionale, propone tante irresistibili
colombe innovative, tutte a base di selezionati ingredienti
genuini territoriali. Tra esse la “Costa d’Amalfi”, un vero e
proprio itinerario sensoriale nella “Grande Bellezza d’Italia”
famosa in tutto il Mondo. Poesia di gusto, fantasia di aromi,
bouquet suadente, armonia di sapori mediterranei, per un
risultato irresistibile, di successo.

“Il giallo dei limoni, il verde intenso delle campagne, il blu
cristallino del mare.

La bellezza favolosa delle sue località, i suoi tesori d’arte
hanno un sottofondo di sapori, aromi e profumi che diventano
parte integrante di questo incanto.

I limoni segnano in maniera unica il paesaggio della Costiera
Amalfitana, diventando così i protagonisti indiscussi di
questa mia ultima creazione”: parla così della sua riuscita
creazione ispirata alla celebre Costiera.
Tra le campionesse della Pasqua italiana all’insegna dei
sapori campani e del caldo sole mediterraneo, ecco la “Colomba
fichi, caramello e arachidi”.

“Abbiamo recuperato un carico prezioso per questo dolce. I
fichi secchi quelli della nostra tradizione. Quanti ne hai
visti essiccare da bambino, sui graticci di legno, esposti al
sole di agosto, dalla mattina fino all’imbrunire? Allora li
snobbavi, per il loro aspetto poco invitante, adesso hai
finito per trovarli assolutamente irresistibili! E poi le
arachidi, golose. 72 ore di lenta lievitazione e tanto amore
ed ecco pronta la colomba con fichi secchi e arachidi,
ricoperta con caramello!”

Poi c’è la “Cocco di Mamma”, con cioccolato al latte, cubetti
di cocco, limone, arancia, miele d’acacia; la “Trilogy” con
tre tipi di finissimo cioccolato: bianco, al latte e fondente,
arancia, linone e vaniglia Bourbon; la “Bosco Bianco”, con
frutti di bosco e cioccolato bianco.

“La ‘Pellecchiella’ è una colomba che nasce con l’intento di
sottolineare il cambio di stagione e la dolcezza di questo
periodo, infatti il suo sapore vellutato ci fa dimenticare
quelli tipici dell’inverno – continua Raffaele Caldarelli –
L’ho creata pensando a un pomeriggio d’estate, un’albicocca
succosa e profumata immersa nel migliore cioccolato bianco e
immaginando un leggero vento rinfrancante tra i capelli”.

Ancora, la “Colomba alla Nocciola” “caratterizzata dal gusto
unico della nostra crema alle nocciole avellane: intensa,
croccante e golosa”.

La “Coffee White” con caffe Kenon, dall’aroma avvolgente,
deliziosa crema spalmabile al cioccolato bianco e stuzzicanti
chicchi di caffe?, per un momento di piacere assoluto e
rigenerante.

Con orgoglio, Raffaele Caldarelli presenta le sue rinomate
colombe realizzate con ingredienti eccellenti.
Il giovane pasticciere nolano, per questa Pasqua, ha
realizzato anche tanti altri prodotti legati alla tradizione,
come le uova di finissimo cioccolato, all’interno delle quali
è possibile inserire, a richiesta, una sorpresa
personalizzata, la classica pastiera napoletana, che fa
impazzire gli estimatori, e tanto altro ancora per rendere
piacevole la Pasqua 2021, anche se in zona rossa e limitata a
pochi commensali.

                                      Valerio Giuseppe Mandile

Pozzuoli:          Istituto
alberghiero dona pastiere e
dolci pasquali per famiglie
bisognose
Il dirigente scolastico Filippo Monaco: “un piccolo gesto per
chi è in difficoltà”

“Anche a Pasqua abbiamo voluto dare il nostro contributo per
le famiglie bisognose”. Così il dirigente scolastico professor
Filippo Monaco ha voluto annunciare la nuova iniziativa
solidale della scuola che preside, l’Ipseoa Petronio di
Pozzuoli.

“Devo ringraziare i docenti, il personale tecnico e i
collaboratori che hanno contribuito alla realizzazione di
questa iniziativa – continua Monaco – nonostante le difficoltà
che la nostra scuola, come tutte le istituzioni scolastiche,
sta affrontando a causa delle restrizioni sanitarie. Le
pastiere sono state consegnate nelle mani dei volontari
dell’associazione Nuovi Orizzonti e saranno distribuite alle
famiglie bisognose di Pozzuoli. In questo modo vogliamo dare
un’attenzione. È un piccolo ma significativo gesto di
vicinanza”.

Non è la prima volta che il Petronio di Pozzuoli ha realizzato
iniziative di solidarietà per le famiglie bisognose. A
dicembre l’esperienza con i panettoni e i dolci natalizi in
collaborazione con le associazioni di volontariato.

La Ricetta: Pastiere di Grano
La leggenda narra della sirena Partenope che aveva scelto come
dimora il Golfo di Napoli da dove spandeva la sua voce
melodiosa e dolcissima. Per ringraziarla, si celebrava un
misterioso culto durante il quale la popolazione portava alla
sirena 7 doni: la farina, simbolo di ricchezza; la ricotta,
simbolo di abbondanza; le uova, simbolo di fertilità; il grano
cotto nel latte, simbolo della fusione tra il regno vegetale
ed animale; i fiori di agrumi, molto limitati a dire il vero,
simbolo del profumo della terra Campana; le spezie, omaggio a
tutti i popoli del mondo e lo zucchero per celebrare la
dolcezza del canto della sirena. Partenope gradì questi doni
ma li mescolò creando questo prodotto unico. Questa è solo una
leggenda, invece è sicuro che per celebrare il ritorno della
primavera, le sacerdotesse di Cerere portassero in processione
l’uovo simbolo di vita nascente mentre il grano misto alla
morbida crema di ricotta si usava molto in epoca romana. Con
ogni probabilità, questo dolce nacque molto più tardi, nel XVI
secolo in un convento come quasi tutti i dolci napoletani.
Probabilmente il convento di San Gregorio Armeno dove una
suora volle preparare un dolce in grado di associare il
simbolismo cristianizzato delle uova, ricotta e grano con le
spezie provenienti dall’Asia ed i fiori d’arancio del giardino
conventuale. Le suore preparavano questo dolce per le famiglie
aristocratiche in cambio di benefit vari.

Per 3 pastiere medie.

Ingredienti per la pasta frolla: 600 gr di farina 00, 200 gr
di zucchero, 230 gr di burro (+ quello che serve per imburrare
le teglie), 3 uova, buccia grattugiata di un’arancia.

Ingredienti per la crema: un barattolo di grano, 300 ml di
latte, un cucchiaio di strutto, 700 gr di ricotta di bufala (o
di pecora), 600 gr di zucchero, 7 uova intere + 3 tuorli, 2
bustine di vanillina, una fiala di fior d’arancio, 50 gr di
cedro.

Preparazione della pasta frolla: la sera prima impastare la
farina con lo zucchero, il burro morbido a temperatura
ambiente, le uova e la buccia grattugiata dell’arancia.
Lavorare l’impasto, ma non troppo, formare una palla ed
avvolgerlo con la pellicola e lasciarlo in frigo tutta la
notte. La mattina dopo, tirarlo dal frigo almeno 2 ore prima
di usarlo e stendere in teglie imburrate, lasciando un po’ di
frolla da parte che servirà per far le strisce per la
decorazione.

                                      A cura di Annamaria Leo

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                          cuciniamobyanna (le ricette di Anna)

#InsiemeperilTerritorio     e
Vesuvio’s Shadow: dal Mondo,
Gusto & Charity in Maschera
Votato al Gusto e al Bene, l’originale Contest con sezione
benefica dedicata ai bimbi di AbitiAmo. Domani, domenica 21
febbraio, in occasione della “Morte di Carnevale” la
conclusione come da calendario, alle ore 20. Competizione tra
i migliori piatti italiani e stranieri del Carnevale,
presentati da concorrenti di ogni eta? e nazionalita?, che si
affrontano ciascuno da casa propria ai forni e ai fornelli,
nelle tre sezioni: “Cuore d’Oro”, Social e “Critica”

Già tutti raggiunti gli obiettivi del Contest internazionale
“I piatti del Carnevale: Chiacchiere, Sanguinaccio e.. a
tavola tra stelle filanti e coriandoli”. Sono tante e
variegate le proposte dalle varie regioni d’Italia e dalle
altre nazioni, che sono state presentate e chiunque può
realizzarle a casa, seguendo semplice te le descrizioni e
ricette accluse alle foto in gara nelle tre sezioni, di cui
una solidale: quella del Cuore d’Oro.

L’iniziativa, che si conclude domani sera, domenica 21
febbraio, con la tradizionale “Morte di Carnevale”, è
organizzata da #InsiemeperilTerritorio, rassegna itinerante di
eventi d’eccellenza, firmata dalla giornalista enogastronomica
napoletana Teresa Lucianelli, insieme alla sua grande squadra
solidale, sempre prodiga di iniziative benefiche concrete, e
dal blog ercolanese specializzato Vesuvio’s Shadow del
foodblogger Mario D’Acunzo, in rapida ascesa.

La sezione benefica “Cuore d’Oro” – promossa più volte negli
eventi realizzati già da diversi anni in magnifiche location
della Campania da #InsiemeperilTerritorio – è dedicata
essenzialmente ai bimbi e ragazzi senzatetto, orfani e vittime
di conflitti e gravi problematiche, assistiti nel “Progetto
Abitiamo”, Parrocchia di San Gennaro al Vomero, Napoli –
guidata dall’infaticabile Padre Massimo Ghezzi – i cui
volontari operano sia sul territorio campano che nella
missione in Albania, ed anche alle famiglie in difficoltà
economica, ai tanti indigenti che nella stessa parrocchia
hanno un sicuro punto di riferimento.

Sono stati donati nel frattempo, per tutti i bimbi e i ragazzi
seguiti con impegno e amore: abiti di carnevale e maschere,
chiacchiere, specialità e provviste alimentari, ed è in
distribuzione la seconda Lasagnata, dopo quella del Giovedì
Grasso, preparata dai volontari con prodotti di alta qualità,
grazie al supporto della grande Squadra di eccellenza di
#InsiemeperilTerritorio e ai nuovi sostenitori: da Napoli,
Arfe? Gastronomia da 150 anni, Ristorante Pizzeria Mattozzi
dal 1833, Pizzeria Ristorante Donna Luisella – “storici e
colonne del gusto” – e Cantine Mediterranee di Vincenzo
Napolitano, Anna Pezone Nexyiu, Carla De Ciampis, Fulvio
Mastroianni; da Ercolano, l’emergente e già ampiamente
apprezzata Cornetteria Bambolino; da Castellammare di Stabia,
l’autentica Chefmania e Francesco & Co, erede del mitico
Ciccio di Pozzano; da Portici, la consolidata Antica
Panetteria con le sue specialità; da Vico Equense, Ristorante
Cerase?, regno della Pizza a metro e Pizza Therapy; da
Positano, la “mondiale” Paola Fiorentino Arti; da Casoria,
Ileana Mandile Estetica e Benessere, top nel settore; da Nola,
gli inconfondibili Sapori di Napoli; da Nocera Inferiore,
Solania srl, pomodori San Marzano dop; da Lauro, Caseificio
Caracciolo con i suoi squisiti latticini; da Brusciano,
Ristorante italiano di qualità Amor Mio; da Monticchio,
Ristorante Pizzeria Lago Grande con le sue specialità
salutari; da Ripacandida, la rinomata Agricola Donatello
Chiarito.

Si può ancora partecipare al Contest fino a domani, domenica,
alle            ore           20.           Info            :
https://m.facebook.com/story.php?story_fbid=739561686696932&id
=186529142000192 : basta pubblicare sulla pagina di
riferimento Facebook, una foto raffigurante il proprio piatto,
meglio se con ricetta o con breve presentazione.

Nella giuria degli esperti, con Teresa Lucianelli: Valerio
Giuseppe Mandile, chef d’eccellenza e giornalista
gastronomico; Raffaele Carlino, direttore editoriale Campania
Felix Tv; Marcello Affuso, direttore responsabile Eroica
Fenice; Ersilia Cacace, foodblogger, Rosalia Ciorciaro,
nutrizionista.

Donazioni: Postepay 5333 1711 1071 6343, c.f. FRNPLA73E61L845V
E’ attivo, fino al 26 febbraio, il punto raccolta generi
necessari (abiti, scarpe, provviste alimentari, ecc) a Villa
Domi, Salita Scudillo,19 – 80131 – Napoli. Tel. 081 5922233

Da parte del pubblico Facebook internazionale, adesione ampia
e qualificata: in molti stanno partecipando, inviando foto e
ricette di succulente pietanze tradizionali e innovative,
dolci e rustiche.
L’iniziativa diffonde la migliore cultura eno-gastronomica del
Carnevale, evidenziando peculiarità e caratteristiche delle
svariate provenienze, alla scoperta di sfumature di gusto
inedite, particolari, e alla riscoperta di antichi sapori
ormai dimenticati da molti.

                                      Armando Giuseppe Mandile
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