L'eccidio del pane a Sesto Fiorentino. Il 5 maggio del 1898 - Un evento né casuale né senza conseguenze

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L'eccidio del pane a Sesto Fiorentino. Il 5 maggio del 1898 - Un evento né casuale né senza conseguenze
Fabio Bertini

L’eccidio del pane
a Sesto Fiorentino.
Il 5 maggio del 1898
Un evento né casuale né senza conseguenze
L'eccidio del pane a Sesto Fiorentino. Il 5 maggio del 1898 - Un evento né casuale né senza conseguenze
L'eccidio del pane a Sesto Fiorentino. Il 5 maggio del 1898 - Un evento né casuale né senza conseguenze
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Fabio Bertini

L’eccidio del pane
a Sesto Fiorentino.
Il 5 maggio del 1898
Un evento né casuale né senza conseguenze
L'eccidio del pane a Sesto Fiorentino. Il 5 maggio del 1898 - Un evento né casuale né senza conseguenze
Pubblicazione realizzata
             dal Comune di Sesto Fiorentino
              in occasione dell’inaugurazione
       della nuova Sala consiliare “5 maggio”

       In memoria di Anilina Banchelli,
      Delio Contini, Raffaello Mannini e
  Odoardo Parigi, uccisi a Sesto Fiorentino
        durante i moti del 5 maggio 1898

                            Fabio Bertini
      L’eccidio del pane a Sesto Fiorentino.
                       Il 5 maggio del 1898
 Un evento né casuale né senza conseguenze

              Comune di Sesto Fiorentino
                 piazza Vittorio Veneto 1
                  50019 Sesto Fiorentino
                              tel. 055 055
          www.comune.sesto-fiorentino.fi.it

           Progetto grafico e impaginazione:
                               Alfio Tondelli

Finito di stampare nel mese di novembre 2013
     da Tipografia Francesconi s.n.c. (Lucca)
L'eccidio del pane a Sesto Fiorentino. Il 5 maggio del 1898 - Un evento né casuale né senza conseguenze
Indice
1898: un 5 maggio di sangue per chi chiedeva pane e lavoro
di Gianni Gianassi, Sindaco di Sesto Fiorentino                                 pag. 5

L’eccidio del pane a Sesto Fiorentino. Il 5 maggio del 1898
di Fabio Bertini, Università degli Studi di Firenze                             pag. 9

            Il Palazzo Comunale, da poco inaugurato, alla fine dell’Ottocento
L'eccidio del pane a Sesto Fiorentino. Il 5 maggio del 1898 - Un evento né casuale né senza conseguenze
Sesto Fiorentino, Largo 5 Maggio, lapide del monumento in ricordo dei
«sestesi che domandavano pane e lavoro», vittime della repressione umbertina
L'eccidio del pane a Sesto Fiorentino. Il 5 maggio del 1898 - Un evento né casuale né senza conseguenze
1898:
un 5 maggio di sangue
per chi chiedeva
pane e lavoro

  S
              criveva un cronista del tempo: «Ad un tratto si odono dei colpi,
              delle detonazioni: i soldati, che si sono un po’ sparpagliati, fanno
              fuoco, qualcuno in aria, ma qualche altro, purtroppo, sulla folla,
              che fugge spaventata, atterrita. Il fuoco di fucileria dura qualche
secondo; ai colpi dei wetterly si frammischiano quelli delle rivoltelle. Il rumore
delle esplosioni è rotto dai gridi strazianti, dagli urli, dai pianti delle donne,
dal mormorio della folla, che, allibita, fugge per la via Tonietta, per via delle
Fornaci, per via del Municipio».
    Queste parole, scarne e drammatiche, riportate nel bell’intervento di Fabio
Bertini che segue questa breve introduzione, dicono con chiarezza cosa trova-
rono ad attenderli, in quel lontano 5 maggio 1898, coloro che manifestavano
chiedendo pane e lavoro: il piombo del regio esercito del neonato stato unitario.
    L’antefatto nazionale è noto. Nel maggio 1898, in occasione dei gravi
tumulti milanesi, che Napoleone Colajanni definì pochi anni dopo come la
«protesta dello stomaco», il Governo guidato da Antonio di Rudinì proclamò
lo stato d'assedio e il generale Bava Beccaris, in qualità di regio commissario
straordinario, ordinò di cannoneggiare la folla provocando una strage, in cui
furono uccisi 80 cittadini e altri 450 rimasero feriti.
    A quella giornata tragica, che tinse di sangue le piazze di un’Italia da poco
unita, Sesto Fiorentino pagò il proprio tributo di vite e di vittime innocenti.
Odoardo Parigi, operario della manifattura Ginori, fu colpito alla testa da un
proiettile. La trecciaiola Anilina Banchelli fu presa all’addome. Il mugnaio
Raffaello Mannini, colpito in piazza, moriva la mattina seguente. Il piccolo
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Delio Contini, di 9 anni, colpito di fronte al municipio da un proiettile moriva
pochi minuti dopo. Quattro furono le vittime e quattro sono le “ferite” che,
all’interno della nuova sala consiliare, ricordano simbolicamente quel sacrificio.
    I moti del 5 maggio 1898, nella loro tragicità e durezza, mettono a
nudo uno Stato incapace di misurarsi, per vocazione autoritaria e deficit di
partecipazione civile e democratica, con l’urgenza del conflitto sociale e il
crescente protagonismo delle masse lavoratrici. Lo Stato umbertino sa dare una
sola risposta: la repressione.
    Il 1º dicembre 1897 il ministro dell'economia Luigi Luzzatti aveva
annunciato la chiusura dei conti di fine anno con un avanzo di 17 milioni di
lire. Il risultato veniva raggiunto grazie ai pesanti tagli della spesa pubblica, ma
invece di impiegare tali fondi per l’urgenza sociale di un Paese in cui era enorme
la disparità delle condizioni di vita, l’attenzione del Governo si concentrò sul
sostegno agli apparati burocratici e di credito. I tempi sono profondamente
mutati da allora, ma le assonanze fra quei giorni lontani ed il nostro presente
non possono sfuggire.
    Quel tragico 1898 segnò nel profondo la comunità sestese. Pilade Biondi,
che soltanto un anno dopo diverrà il primo sindaco socialista di Sesto
Fiorentino, da consigliere comunale affrontò la vicenda dei moti con decisione
e pacatezza, chiedendo, atto quasi inaudito per l’epoca, l’avvio di un’inchiesta
che consentisse di approfondire le responsabilità dello Stato.
    A quell’inchiesta furono frapposti continui ostacoli ma essa segnò, in
quell’alba tragica lungo la via della democratizzazione delle istituzioni, un
momento alto, che fa ben comprendere come i tempi fossero cambiati e come
la cultura elitaria della destra liberale fosse insufficiente a gestire una nuova
stagione, che vedeva l’irruzione delle masse operaie sul palcoscenico della
storia e il costituirsi di un nuovo e più articolato tessuto sociale, con la nascita
di Società di Mutuo Soccorso, di Fratellanze Artigiane, di Leghe Cooperative
e di Case del Popolo. Esse segnarono di fatto il tramonto di un ancien régime
e la nascita, faticosa e contrastata, di un nuovo e più moderno ordine della vita
civile.
    A quel lontano 5 maggio 1898 fecero seguito altri momenti tragici e
fondativi della identità collettiva e locale, che attendevano l’Italia e con essa
la nostra comunità. La Grande Guerra, con la sua partecipazione di popolo,
piena e intensa anche a Sesto Fiorentino, prima vera prova di unità di un
Paese e di un Popolo fatto di molti paesi e popoli lontanissimi fra loro. Di lì a
pochi anni l’avvento del regime fascista e la stagione dell’antifascismo prima e
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                                   Pilade Biondi

della Resistenza poi, che videro un contributo altissimo e diffuso nella nostra
comunità, contributo che di recente, grazie alla collaborazione con l’Istituto
Storico della Resistenza in Toscana, è stato possibile precisare nel dettaglio e
ricostruire nel volume Sesto Fiorentino nella lotta contro il fascismo ed il nazismo
con chiarezza inequivocabile.
    Quei tempi ci appaiono oggi molto lontani, ma ancora adesso le istanze
profonde di un popolo e di una nazione continuano ad essere le medesime:
dignità sociale, partecipazione e presenza nella vita delle istituzioni,
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conseguimento di una equità e di un benessere diffusi che presuppongano,
come prevede l’art. 3 della nostra Costituzione, la rimozione degli «ostacoli
di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l'eguaglianza
dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l'effettiva
partecipazione di tutti i lavoratori all'organizzazione politica, economica e
sociale del Paese».
    Rivendicare queste istanze, nel lontano 5 maggio 1898, costò a quattro
nostri concittadini la vita. In nome loro e in loro memoria abbiamo ritenuto
in passato, e con forza continuiamo a ritenere ancora oggi, che la sala consiliare
cittadina, in cui si esercitano le funzioni democratiche della nostra collettività,
portasse iscritto sui propri muri il ricordo di quel giorno sanguinoso, perché
non si perda la memoria e sia sempre sotto gli occhi di tutti quanto costò, e
quanto può costare, chiedere pane e lavoro e con essi emancipazione e giustizia.

                                               Gianni Gianassi
                                               Sindaco di Sesto Fiorentino

Sesto Fiorentino, novembre 2013
L’eccidio del pane
a Sesto Fiorentino.
Il 5 maggio del 1898
   di Fabio Bertini1

   La Sesto della consorteria e la cultura politica dei democratici

   I
           ntorno ai moti per il pane a Sesto Fiorentino, del 5 maggio 1898, ci
           sono due domande a cui dare risposta. La prima è perché Sesto Fio-
           rentino fosse oggetto di una repressione tanto feroce e decisa, in pro-
           porzione degna del giudizio che ha bollato per sempre il generale Bava
Beccaris. La seconda è perché, a circa un anno da quei fatti, Sesto cambiasse
completamente il suo volto politico dandosi - secondo municipio toscano dopo
Collevaldelsa - un’amministrazione popolare con un sindaco socialista. Se ri-
spondiamo a quelle domande, riusciamo a collocare la giornata del 5 maggio in
un quadro logico, sfuggendo alla tentazione di vedervi una storia di ordinaria
follia. E si potrà capire come la gente pagasse le conseguenze di qualcosa che,
apparentemente, non aveva niente di locale. La crisi, infatti, aveva dimensio-
ne europea e colpiva un intero paese come l’Italia, avviato, nonostante i limiti
strutturali di uno stato formato soltanto da una trentina d’anni, ad inseguire le
grandi potenze coloniali. Perché, allora, Sesto?
    Non vi è dubbio che l’unità italiana avesse trovato Sesto inserita in un pro-
cesso di trasformazione imperniato sulla grande Manifattura di Doccia dei
Ginori. Avviata in forma sperimentale nel 1735 e man mano sviluppata2, aveva

 1. Fabio Bertini è docente di Storia contemporanea alla Facoltà di Scienze Politiche “Cesare
Alfieri” dell’Università degli Studi di Firenze.
 2. Roberto Melchionda, Firenze industriale nei suoi incerti albori. Le origini dell’asso-
10                                           L’eccidio del pane a Sesto Fiorentino. Il 5 maggio del 1898

assunto, dalla seconda metà degli anni cinquanta, una configurazione indu-
striale, con una crescente quantità di manodopera impiegata e “professionaliz-
zata”3, così da indurre quote rilevanti di innovazione nel tessuto sociale, anche
se rimaneva forte l’identità agricola del territorio4.
    Della qualità della nuova generazione di lavoratori e tecnici fu spia la pre-
senza di due scuole tecniche quotatissime a livello nazionale e internazionale,
come la Scuola di disegno tecnico e la Scuola di arti e mestieri dedicata alla
ceramica5, mentre l’impatto del sistema ferroviario, dopo la ferrovia Firenze -
Prato - Pistoia, realizzata nel 1848, poi con lo sviluppo della Lucchese nel 1859,
quindi con l’innesto della Maria Antonia nella linea Porrettana realizzata nel
18646, modificava l’insediamento urbano radicalmente rispetto al vecchio mo-
dello conformato sulle pievi e garantiva un rapporto strategico con Firenze e
con Bologna7. Il sistema si sarebbe via via raccordato con le nuove reti tranviarie
in un territorio avviato a grandi trasformazioni8. Il mirabile lavoro di Ernesto
Ragionieri sul «comune socialista»9 resta l’insuperabile riferimento di una ri-
costruzione analitica di ogni aspetto economico, sociale e politico, dell’identità
cittadina cui occorre fare ampio riferimento.
    Il fatto che la Manifattura costituisse un fiore all’occhiello della produzione
italiana, riconosciuto dalle massime esposizioni internazionali10, non poteva
non contribuire all’identità dei lavoratori ed al senso di appartenenza all’im-

ciazionismo imprenditoriale cento anni fa: esplorazioni e materiali, Firenze, Le Monnier, 1988,
p. 362; Marcello Mannini, La Manifattura ceramica di Doccia: i Ginori e Sesto Fiorentino.
Un esempio di collaborazione europea (1737-1896). Nuovi contributi, Firenze, Polistampa, 1998.
  3. Sandra Buti, La Manifattura Ginori. Trasformazioni produttive e condizione operaia
(1860-1915), Firenze, Olschki, 1980, pp. 50 segg.
  4. Vincenzo Ginanneschi, Intorno allo stato dell’agricoltura nel Comune di Sesto Fiorenti-
no, Firenze, Cellini, 1875.
  5. L’Italia economica nel 1873. Pubblicazione ufficiale, Firenze, Barbèra, 1873; Scuola di disegno
industriale in Sesto Fiorentino. Anno scolastico 1876-1877, Firenze, Mariani, 1877.
  6. Stefano Maggi-Annalisa Giovani, Muoversi in Toscana. Ferrovie e trasporti dal Gran-
ducato alla Regione, Bologna, Il Mulino, 2005, pp. 50 segg.
  7. Verbale dell’ assemblea dei rappresentanti della Provincia di Novara e dei Comuni interessati
per la costruzione della progettata ferrovia Valsesiana, Novara, Colleoni, 1870, p. 25; La forma-
zione storica della città e le vicende urbanistiche, in Piano regolatore. Relazione, Sesto Fiorentino,
Consiglio Comunale, 2003.
  8. Sergio G. Cerreti, Il tramway di Sesto. Trasporto collettivo fra Firenze e Sesto Fiorentino
dalla metà dell’Ottocento al primo Novecento, Camucia, Calosci, 2003; Lando Bortolotti,
Storia di un territorio. Sesto Fiorentino, Firenze, Alinea, 2006.
  9. Ernesto Ragionieri, Storia di un comune socialista. Sesto Fiorentino, Roma, Editori Ri-
uniti, 1976.
  10. Doccia, Manufacture Ginori. Exposition de Paris, 1878, Sesto Fiorentino, Richard Ginori, 1878.
11

presa per molti di essi. Non stupisce che i Ginori, proprietari della Manifat-
tura di Doccia, fossero il fulcro anche del potere politico amministrativo11 e
che grande fosse il loro ruolo nella costruzione di una sociabilità operaia, ricca
anche di aspetti previdenziali, prima tra tutte la Società di Mutuo Soccorso
tra i dipendenti. A quel modello, ispirato alla filantropia paternalistica, si af-
fiancò però, dopo l’unità, un altro tipo di associazionismo, di orientamento
repubblicano, democratico e massone, che si riflesse nella costituzione anche a
Sesto di quattro sezioni (Sesto, Quinto, Colonnata e Castello) della Fratellanza
Artigiana, organismo di ascendenza mazziniana fondato a Firenze con valenza
nazionale12.
    Fu in quel contesto che si sviluppò l’opera del maestro elementare, poi di-
rettore didattico, Ferruccio Orsi, repubblicano di ferro e grande intellettuale
militante, autore di libri educativo-risorgimentali per i ragazzi e di altri dedicati
alla didattica, giornalista politico, sostenitore delle scuole serali13. Era un tipico
rappresentante della cultura mazziniana che aveva a fondamento l’istruzione
delle classi popolari e che trovò piena corrispondenza in altri soggetti, come un
altro “forestiero”, il pretore Ulisse Tanganelli e il chimico della Manifattura
Giuseppe Soldaini14. Si sviluppò così una fondamentale scuola di formazione
di «quadri», come Emilio Checcherini artigiano pasticcere, Alfredo Conti-
ni, dipendente della Manifattura, Carlo Catanzaro, titolare di una azienda di
tintoria, Pilade Biondi, che pure veniva da una famiglia borghese ed aveva fre-
quentato l’Accademia militare di Modena15.
    Il mondo sestese della Fratellanza Artigiana cominciò a rappresentare un
pericolo per l’equilibrio costruito intorno ai Ginori tra élite manifatturiera,
proprietà fondiaria e borghesia delle professioni. Ma poiché l’obbiettivo dell’i-
struzione per gli operai era ormai un fatto politico, dopo la nuova legge elet-

  11. Ernesto Ragionieri, Storia di un comune socialista, cit. , p. 41, p. 113, p. 172.
  12. Luigi Minuti, Il comune artigiano di Firenze della Fratellanza artigiana d’Italia, Firenze,
Tipografia Cooperativa, 1911, pp. 193 segg.; Luigi Tomassini, L’associazionismo operaio: il mu-
tualismo nell’Italia liberale, in Stefano Musso (a cura), Tra fabbrica e società. Mondi operai del
Novecento, Milano, Fondazione Giangiacomo Feltrinelli, 1999, p. 33.
  13. «Giornale della Libreria», n. 20, 1907, p. 498.
  14. Ernesto Ragionieri, Storia di un comune socialista, cit., p. 43 e p. 119; Sandra Buti,
La Manifattura Ginori, cit, p. 186.
  15. Ernesto Ragionieri, Storia di un comune socialista, cit., p. 43; Giulio Cerreti, I
ragazzi della fila rossa, Milano, Vangelista, 1978, p. 133; Donatella Cherubini, Alle origini
dei partiti: la Federazione socialista toscana (1893-1900), Manduria-Lecce-Roma, Lacaita, 1997,
p. 55; Gianna Bandini-Mario Nesti, Associazionismo, cultura e politica. L’Unione operaia di
Colonnata, 1864-1980, Napoli, Edizioni Scientifiche Italiane, 2000, p. 27.
12                                            L’eccidio del pane a Sesto Fiorentino. Il 5 maggio del 1898

torale del 1882 che allargava il diritto di voto a chi, avendo passato l’esame di
seconda elementare, sapeva leggere e scrivere16, occorse tentare di ribaltare il
quadro politico. La questione fu affrontata con la costituzione di un «Nucleo
Democratico Operaio» creato da Ferruccio Orsi e dagli altri esponenti della
Fratellanza Artigiana17, per tentare il confronto con i tanto più forti avversari.
Il tentativo dette qualche frutto alle elezioni del 1891, quando Ferruccio Orsi,
Emilio Checcherini, Carlo Catanzaro e altri vennero eletti. Annullata con un
pretesto l’elezione di Ferruccio Orsi, allontanato anche dalla direzione della
Scuola elementare, cominciò allora una vera e propria strategia dell’intimida-
zione contro quella minoranza, con licenziamenti e trasferimenti di dipendenti
della Manifattura impegnati socialmente18.
    Molti segni mostravano la crescita politica dei lavoratori, a cominciare dal-
la celebrazione del 1° maggio, nel 1892, tenuta presso la sede della Fratellan-
za Artigiana da Catanzaro e da Orsi, in nome di tutte le forze progressiste.
Stavano tuttavia maturando, nel mondo repubblicano, orientamenti socialisti,
dapprima in forma “repubblicano-collettivista”, mentre Ferruccio Orsi ed al-
tri restavano strettamente legati all’ortodossia “repubblicano-mazziniana” che
non prevedeva la lotta di classe. Soprattutto influì sui primi l’avvocato Giusep-
pe Pescetti, leader del socialismo fiorentino, anch’egli proveniente dal mondo
repubblicano19.
    Quando, tra il 1892 e il 1894, la repressione governativa, a partire dalle agi-
tazioni dei Fasci siciliani, colpì duramente i lavoratori organizzati20, quel com-
plesso insieme si ritrovò nella sezione sestese della «Lega Italiana per la Difesa

  16. Ernesto Ragionieri, Storia di un comune socialista, cit., p. 43; Pier Luigi Ballini, Le
Elezioni nella storia d’Italia, dall’Unità al fascismo. Profilo storico-statistico, Bologna, Il Mulino,
1988, pp. 91 segg.; Raffaele Romanelli, Alla ricerca di un corpo elettorale. La riforma del
1882 e il problema dell’allargamento del suffragio, in Paolo Pombeni (a cura), La trasformazione
politica dell’Europa liberale, Bologna, Il Mulino, 1986, pp. 171-211; Maria Serena Piretti, Le
elezioni politiche in Italia dal 1848 a oggi, Roma-Bari, Laterza, 1996.
  17. Ernesto Ragionieri, Storia di un comune socialista, cit., pp. 43-49.
  18. Luigi Minuti, Il comune artigiano di Firenze, cit., pp. 372 segg.
  19. Donatella Cherubini, Alle origini dei partiti: la Federazione socialista toscana (1893-
1900), Manduria-Bari-Roma, Lacaita, 1997; Gabriele Brogelli, Giuseppe Pescetti e il suo im-
pegno politico per un paese moderno 1859-1924, Firenze, Medicea, 2010.
  20. Francesco Renda, I fasci siciliani 1892-1894, Torino, Einaudi, 1977, pp. 8 segg.; Gio-
vanni Sabbatucci-Vittorio Vidotto (a cura), Storia d’Italia, III, Liberalismo e democra-
zia 1887-1914, Roma-Bari, Laterza, 1995, pp. 35 segg.; Renato Zangheri, Storia del sociali-
smo italiano, II, Dalle prime lotte nella Valle Padana ai fasci siciliani, Torino, Einaudi, 1997, pp.
568 segg.
13

della Libertà», promossa dal radicale Felice Cavallotti21. Il «Nucleo Opera-
io», guidato da Pilade Biondi, Ettore Bossoli, Alfredo Contini, Carlo Catan-
zaro, Emilio Checcherini e altri ne trasse anzi ulteriore forza, con numerose
adesioni del ceto medio e degli operai22. Il socialismo vi attecchiva, nella visione
riformista, municipalista e cooperativista, senza perdere i legami culturali con
il libero pensiero e con una parte del mondo repubblicano, mentre la compo-
nente repubblicana “ortodossa” agiva separatamente e sorgeva intanto l’attività
politico-sociale del «Comitato Parrocchiale» di orientamento cattolico mo-
dernista. Si trattava di fenomeni presenti anche altrove, in una fine del secolo
che vide diverse amministrazioni municipali conquistate dalle forze popolari,
specialmente al nord. Il programma socialista sestese si configurava ulterior-
mente secondo le linee del cosiddetto programma minimo, per l’autonomia dei
comuni, l’istruzione laica, la perequazione delle imposte, il miglioramento ma-
teriale e culturale della classe lavoratrice, l’apertura all’alleanza con altre forze
democratiche23.
     Ciò avveniva in una fase dinamica, in cui la stessa Manifattura di Doccia,
con l’ingresso nella proprietà dell’industriale Richard, nel 1896, innovava for-
temente il modello produttivo24. Ciò era parte dello slancio economico toscano
e particolarmente dell’area fiorentina. Nell’ultima parte dell’Ottocento, Firen-
ze deteneva 3921 imprese industriali, occupando il 42% della manodopera to-
scana del settore, seguita da Pisa, Lucca, Pisa, Livorno, e contava 21 stabilimenti
con oltre 100 dipendenti25. Accadeva così, a Sesto Fiorentino, che l’industria si
sviluppasse in maniera moderna, mentre continuavano a esistere i radicati siste-
mi produttivi dell’industria tradizionale, prima tra tutte quella della paglia che
impegnava una forte quota di manodopera femminile, in larga parte a domici-

  21. Ernesto Ragionieri, Storia di un comune socialista, cit., p. 60; Maurizio Degl’In-
nocenti, Filippo Turati e la nobiltà della politica, Manduria-Bari-Roma, Lacaita, 1995, p. 101;
Francesco Leoni, Storia dei partiti politici italiani, Napoli, Guida, 2001, p. 252.
  22. Ernesto Ragionieri, Le origini del movimento operaio in un piccolo comune di provin-
cia: Sesto Fiorentino, in Alberto Pozzolini (a cura), Le origini del movimento operaio e conta-
dino in Italia, Bologna, Zanichelli, 1971, p. 127; Gianfranco Perra-Gianni Conti, Sesto
Fiorentino dall’antifascismo alla Resistenza, Milano, Vangelista, 1980, p. 116; Gianna Bandi-
ni-Mario Nesti, Associazionismo, cultura e politica. L’Unione operaia di Colonnata, 1864-1980,
Napoli, Edizioni Scientifiche Italiane, 2000, p. 18.
  23. Maurizio Degl’Innocenti, Geografia e istituzioni del socialismo italiano: 1892-1914,
Napoli, Guida, 1983, pp. 115 segg.
  24. Sandra Buti, La Manifattura Ginori, cit., pp. 233 segg.
  25. Giorgio Mori, Il consolidamento del patrimonio industriale, in Toscana addio? (1861-
1900), Storia d’Italia, Le regioni dall’Unità ad oggi, La Toscana, Torino, Einaudi, 1974, p. 237.
14                                          L’eccidio del pane a Sesto Fiorentino. Il 5 maggio del 1898

lio, in tutta l’area fiorentina. In quei settori, particolarmente sensibili alla crisi
dell’agricoltura, dove lo sfruttamento e le misere retribuzioni erano la regola, il
socialismo trovò terreno fertile. Ne fu la prova il primo grande sciopero delle
campagne, nel 189626, che vide protagoniste le trecciaiole in lotta per le tariffe
e che vide, intorno al 1897, la nascita a Sesto, ad opera della giovane trecciaiola
Rita Sensi, del Nucleo Socialista femminile «Emilia Marabini», intitolato ad
una propagandista socialista morta assai precocemente27.
     In quello spirito nacquero, nel giugno del 1896, a Sesto e a Castello, due
sezioni della «Associazione Elettorale Socialista», con l’appoggio di una parte
del «Nucleo Operaio», impegnata, l’anno seguente, a sostenere la candidatura
di Pescetti per il collegio Firenze III, comprendente Sesto. Tra i fondatori risul-
tavano Enrico Bucherelli, pittore ceramista alla Manifattura, Enrico Bossoli,
il falegname Giustino Contini, l’operaio della Manifattura Guido Zoppi28. La
linea dell’Associazione era ancora ispirata all’alleanza tra repubblicani e socia-
listi ed esprimeva un taglio abbastanza moderato, senza forte riferimento alla
lotta del proletariato né alla socializzazione dei mezzi di produzione. E, tutta-
via, anche nel gruppo che un tempo si ritrovava nel «Nucleo operaio», vi erano
differenze. Checcherini guidava i repubblicani che, tra il 1896 e il 1898, ebbero
anche atteggiamenti polemici verso i socialisti.
     Il marchese Carlo Ginori, che pagava anche da imprenditore con l’uscita
dalla proprietà della Manifattura, non contava più politicamente. Il nuovo
quadro politico sestese non era un fatto isolato. I socialisti, in Toscana, stavano
affermandosi, tanto che, per la prima volta, conquistarono, nel 1897, a Colleval-
delsa, il Comune. Il successo di Pescetti, primo deputato socialista in Toscana
con 1086 voti29, con largo apporto del voto sestese, confermava la tendenza ma,
nello stesso tempo, faceva di Sesto un luogo «sorvegliato speciale». Fu assai
probabilmente quel contesto a fare di Sesto il teatro della più grande tragedia

  26. Nicla Capitini Maccabruni, La Camera del lavoro nella vita politica e amministra-
tiva fiorentina dalle origini al 1900, Firenze, Olschki, 1965, pp. 277 segg.; Alessandra Pesca-
rolo, Il lavoro delle donne e l’industria domestica, in Stefano Musso (a cura), Tra fabbrica e
società, cit, pp.173-195; Marco Conti, La Baldissera e lo sciopero delle trecciaiole del 1896 attra-
verso la cronaca de «La Nazione», Firenze, Polistampa, 2007.
  27. «La Civiltà cattolica», 1898, p. 612. Cfr. anche Mario Casella, Democrazia, sociali-
smo, movimento operaio a Roma (1892-1894), Roma, Elia, 1979, p. 246; Stefano Miccolis,
voce Marabini Ezio, in Dizionario biografico degli Italiani, LXIX, Mangiabotti-Marconi, Roma,
Istituto dell’Enciclopedia Italiana, 2007, pp. 365-367; Massimo Carrai, Territorio e rappresen-
tanza sindacale in Toscana dall’Ottocento allo Spi, Roma, Ediesse, 2008, p. 47.
  28. Ernesto Ragionieri, Storia di un comune socialista, cit., p. 65 e p. 160.
  29. Antonio Casali-Giorgio Spini, Firenze, Roma-Bari, Laterza, 1986, p. 94.
15

avvenuta in Toscana all’epoca dei cosiddetti moti per il pane del 1898, un fatto
che deve ritenersi non del tutto occasionale nel suo bilancio di morti e di feriti,
ma esemplare di una grande sfida in atto intorno alla natura del regime liberale.

    La natura politica dei fatti del 5 maggio 1898

    Tornando al governo dopo l’allontanamento di Crispi, nel marzo del 1896,
Antonio di Rudinì aveva inteso ricondurre il Paese alla “normalità statutaria”,
neutralizzando per quanto possibile le estreme con un riformismo moderato e
gradualistico. Rudinì aveva scelto dunque un riformismo moderato che com-
prendeva sia una più ampia eleggibilità dei sindaci, per soddisfare i “federalisti”
(radicali cattaneiani, cattolici, meridionalisti), sia qualche passo avanti sulle as-
sicurazioni sociali, per attirare il consenso delle Società operaie, mentre cercava
di coltivare il mondo cattolico30. Il Governo aveva una debole base parlamen-
tare, imperniata sulla “non opposizione” della sinistra liberale di Zanardelli e
Giolitti e su quella dei radicali. In realtà, il mondo liberale appariva profonda-
mente diviso anche nel territorio. A Firenze, la campagna elettorale, tra fine
1896 e gennaio 1897, aveva diviso il fronte dei costituzionali fiorentini, tra i
seguaci di Francesco Guicciardini e quelli di Odoardo Luchini e della «Na-
zione», ostile al Governo31. A costoro, il Governo Rudinì era parso debole,
succube della corrente Zanardelli-Giolitti, tanto che si era giunti ad accusare il
Ministero di qualche contiguità con l’estrema.
    La destra liberale era preoccupata. Si trattava di affrontare il crescente
successo dei socialisti, giunti a 12 deputati con le elezioni del 1895 e a 17 con
quelle del 1897 cosi che con radicali e repubblicani la sinistra giungeva a circa
80 seggi. Egualmente turbava la crescente capacità organizzativa dei cattolici,
anche se legati al non expedit. Occorreva, insomma, difendere le istituzioni dal
pericolo rosso, i socialisti, gli anarchici e i democratici loro vicini, e dal pericolo
nero, i cattolici. Sidney Sonnino, esponente della destra agraria, nel gennaio
del 1897, aveva descritto sulla «Nuova Antologia» quei fenomeni come un
rischio. Invocava un superamento dell’eccessivo parlamentarismo, a favore di
un’affermazione del modello istituzionale “tedesco” che prevedeva la fiducia al

  30. Sandro Rogari, Alle origini del trasformismo. Partiti e sistema politico nell’Italia liberale
1861-1914, Roma-Bari, Laterza, 1998, pp. 110-111.
  31. Roberto Boldrini, Introduzione a Inventario dell’archivio di Francesco Guicciardini:
(1851 - 1915), Roma, Edizioni di Storia e Letteratura, 2003, p. LII.
16                                       L’eccidio del pane a Sesto Fiorentino. Il 5 maggio del 1898

Governo fondata sulla Corona e non sulla Camera. Quelle tendenze si svilup-
pavano ulteriormente a fronte delle difficili condizioni economiche del Paese.
Dal 1897, era evidente la grave situazione dei raccolti e la crisi era tornata a pro-
filarsi minacciosa, facendo temere un ampio consenso agli oppositori. II grano
rincarava per la crisi agraria e per gli alti costi raggiunti dai noli mercantili in
presenza della tensione ispano-americana. Il prezzo del pane era salito, grazie
al costo della farina, in pochi mesi, da 30 a 39 centesimi e da 1 lira a 1,30 per
quello da 10 libbre32.
    Era a tutti chiaro che sarebbe occorso abbassare il dazio di entrata. Ma il
provvedimento non era stato preso. Contrastava con la tipica politica della de-
stra liberale, tutta intesa a salvaguardare ad ogni costo il pareggio del bilancio,
e contrastava soprattutto con gli interessi dei grandi agrari, di cui Rudinì era
qualificato esponente. Dall’autunno del 1897 erano cresciuti gli scioperi e le
agitazioni in varie parti d’Italia. A Firenze, dove era recentissima l’impressio-
ne del grande sciopero delle trecciaiole dell’anno precedente, era stato inviato
come prefetto un generale, Giacomo Sani. La situazione non era migliorata
all’inizio del 1898, tanto che Giolitti era tornato a insistere per una riduzione
del dazio sul grano che era stata concessa per breve tempo, in modo parziale e
sostanzialmente inefficace, perché non riguardava le farine e dunque non cal-
mierava il prezzo del pane per il popolo. La miseria spingeva ovunque a lottare
per il pane e contro la disoccupazione. A Sesto, il 25 gennaio 1898, una riunio-
ne di varie organizzazioni, presieduta da Emilio Checcherini, aveva approvato
un ordine del giorno per l’abolizione del dazio di consumo e per la costruzione
della stazione ferroviaria, affidandolo a Giuseppe Pescetti, deputato del colle-
gio33. Si trattava di procurare lavoro ai disoccupati, questione che non incon-
trava il favore della maggioranza monarchica che reggeva l’amministrazione
comunale, incline piuttosto ad interventi assistenziali, come buoni d’acquisto
del pane per i meno abbienti, o al calmiere dei prezzi.
    All’inizio di maggio del 1898, il malessere sociale riguardava tante parti
d’Europa (la Spagna, la Germania, ecc.) e il quadro delle manifestazioni era
veramente ampio anche in Italia. La parola d’ordine del pane a 30 centesimi il
chilo si sparse in molti luoghi, ma trovò ancora la posizione negativa del Gover-
no che, anzi, intese affrontare una prova di forza e il 3 maggio ordinò lo stato

 32. Ernesto Ragionieri, Storia di un comune socialista, cit., p. 84.
 33. Ivi, pp. 84-85.
17

d’assedio in molte aree del Paese34. Vi furono manifestazioni a Urbino, a Pavia,
dove il prezzo scese da 48 a 42 centesimi, dopo sassaiole e cariche di cavalleria, a
Bari, dove il generale Pelloux, comandante della piazza, minacciò la linea dura,
a Ravenna, dove vi furono numerosi arresti, specialmente a Bagnacavallo. A
Bologna, il generale Mirri assunse il Commissariato militare della regione. A
Soresina, presso Cremona, i calzolai guidarono una manifestazione che sfociò
in spari e morti. Carichi i treni di soldati e di carabinieri, piantonate le stazio-
ni anche da finanzieri, lunghe file di arrestati venivano portate via. In diversi
centri, le agitazioni dettero l’occasione alle autorità per interventi sui capi del
movimento operaio, come accadde a Piacenza, dove furono arrestati esponen-
ti socialisti, tra cui Giuseppe Emanuele Modigliani35, perseguite le case degli
arrestati, la Camera del lavoro, e sequestrata la bandiera del Circolo socialista,
perquisito anch’esso.
    I moti riguardarono anche la Toscana. Il 5 maggio a Livorno una mani-
festazione per il ribasso del prezzo del pane si indirizzò anche verso qualche
assalto ai forni e, a Borgo San Lorenzo, un corteo di cittadini e operai sfilò nel
paese al grido di «pane e lavoro». Si inserì in quel contesto la vicenda di Sesto
Fiorentino. Come altrove la comprensione del terribile momento economico
animava la popolazione. Il 1° maggio un comizio di Giuseppe Pescetti ottenne
grande successo36. A Palastreto lo ascoltò una folla di 600 contadini. Si con-
fermava che Pescetti aveva con Sesto Fiorentino quel particolare legame che
gli aveva consentito di essere eletto deputato di quel collegio. Ma la questione
non era ideologica, era soprattutto concreta. La questione del prezzo del pane
incombeva sulle famiglie di tutti i tipi di lavoratori.
    Il 4 maggio le donne si trovarono davanti un nuovo aumento del prezzo del
pane di 3 centesimi e organizzarono una manifestazione spontanea dirigendosi
verso il Comune e verso i forni, al grido di «ribasso dei prezzi e lavoro per i
disoccupati». La mattina del 5 maggio, per chiedere «pane e lavoro», si mosse
un corteo di circa 300 donne, con i bambini in braccio, che ingrossò via via che
si dirigeva in piazza del Municipio37. Contro di esso agì il delegato Avallone
imponendo lo scioglimento. A gruppi, le manifestanti si diressero verso i for-
ni per chiedere il pane a 30 centesimi. Mentre un solo fornaio, Enrico Giolli,

  34. «La Stampa», 2-5 maggio 1898 (vari numeri).
  35. Donatella Cherubini, Giuseppe Emanuele Modigliani. Un riformista nell’Italia libe-
rale, Milano, Franco Angeli, 1990, pp. 127 segg.
  36. «Il Fieramosca», 7 agosto 1898.
  37. Ernesto Ragionieri, Storia di un comune socialista, cit., p. 86.
18                                   L’eccidio del pane a Sesto Fiorentino. Il 5 maggio del 1898

distribuì gratuitamente pane, pasta e formaggi, altri risposero negativamente e
specialmente la serrata del forno di via Vittorio Emanuele esasperò la folla. Un
disperato tentativo del sindaco, Arnaldo Corsi, di persuadere i fornai non andò
oltre il compromesso di 1 lira e 20 centesimi a carico degli abbienti, per il pane
da 10 libbre, e di 1 lira per il popolo, cui però il Municipio avrebbe fornito una
tessera per lo sconto a 80 centesimi. La soluzione non convinse la popolazione
che manifestava anche per il lavoro.
    La trattativa dette tempo all’afflusso da Firenze di guardie e carabinieri a ca-
vallo, con un secondo delegato, Celanti. Alle 19, la manifestazione riprese lena
con un migliaio di dimostranti, cui si aggiunsero gli operai della manifattu-
ra di Doccia, finito il turno. L’arresto del diciannovenne Pilade Barducci e del
ventunenne Cesare Biagiotti esasperò ulteriormente gli animi e la folla tumul-
tuò chiedendone il rilascio dalla stanza delle scuole nel Municipio dov’erano
rinchiusi. Tre squilli di tromba, davanti al Municipio, e poi gli spari. Guardie
che impugnavano le rivoltelle, carabinieri che davano piattonate con le daghe,
gente che scagliava sassi. Una compagnia di soldati, guidati dal tenente Solaro,
operava in assetto di guerra. Così scriveva un cronista:
    «Ad un tratto si odono dei colpi, delle detonazioni: i soldati, che si sono
un po’ sparpagliati, fanno fuoco, qualcuno in aria, ma qualche altro, purtrop-
po, sulla folla, che fugge spaventata, atterrita. Il fuoco di fucileria dura qualche
secondo; ai colpi dei wetterly si frammischiano quelli delle rivoltelle. Il rumore
delle esplosioni è rotto dai gridi strazianti, dagli urli, dai pianti delle donne,
dal mormorio della folla, che, allibita, fugge per la via Tonietta, per via delle
Fornaci, per via del Municipio»38.
    Il ventenne Odoardo Parigi, detto Cisto, operaio nella Manifattura Ginori,
aveva raggiunto la piazza appena uscito dal lavoro. Un proiettile lo colpì alla
testa, uccidendolo sul colpo e fu inutile, per il fratello Pilade, la cognata Albina
e per la madre, trasportarlo nell’atrio di una casa in via del Municipio. La trec-
ciaiola Anilina Banchelli, vedova con una figlia ventenne, fu colpita all’addome
mentre si addossava al muro del camposanto e morì all’istante. Anche per lei fu
inutile che il cognato Adolfo la portasse in casa. Il mugnaio Raffaello Mannini,
di Colonnata, colpito da un proiettile di fucile wetterly in piazza del Municipio,
portato nella casa dei negozianti Giachetti e Metti, venne curato dai dottori
Andreini e Ragionieri, poi dal professor Colzi, ma spirava la mattina seguente,
lasciando quattro orfani. Il piccolo Delio Contini, di 9 anni, figlio di un mac-

 38. «La Stampa», 7 maggio 1898.
19

chinista delle ferrovie, colpito da un proiettile in piazza del Municipio, morì
dopo pochi minuti nella casa di Piero Giorgetti che l’aveva soccorso.
    Molti feriti furono colpiti alla schiena, segno che si era sparato deliberata-
mente e con ferocia, e questo confermava con tutta probabilità che Sesto, sorve-
gliata speciale, doveva servire da esempio per tutte le località che si orientavano
verso il sostegno ai partiti popolari. Sulle case all’angolo tra piazza del Muni-
cipio e via Mazzini, restarono i segni dei colpi a raffica di fucile e dei colpi di
pistola. Altri ne rimasero incisi sul muro esterno del vecchio cimitero, in piazza
del Municipio. Dopo la strage, il soldati si ritirarono nel cortile del Municipio,
mentre la gente imprecava: «morte al delegato». Intanto le barelle correvano
per la piazza raccogliendo i feriti, Sesto ribolliva e qualcuno invitava a prendere
i fucili da caccia.
    In quelle ore la morsa repressiva si rafforzava, con l’arrivo della cavalleria da
Firenze, i lancieri di Montebello, reparto che aveva un passato di guerra al bri-
gantaggio meridionale. Occupata la piazza, pattuglie perlustravano le strade.
La folla cercava i feriti, alla sede dell’Assistenza e alla farmacia, in un clima di
disperata eccitazione, mentre il dottor Cassioli gestiva l’emergenza sanitaria.
    Vennero poi la comunicazione al sindaco che l’ordine era affidato all’Auto-
rità militare e l’invio da Firenze di un ispettore di polizia, Cammarota, di sedi-
ci carabinieri e di altri soldati della compagnia di fanteria che aveva compiuto
la fucilazione. Il viaggio di questi soldati, partiti alle 20 con una tranvia speciale
incontrò una folla tumultuante al Ponte di Rifredi. Ne ebbe fischi ed urla e
il grido: «Non andate ad ammazzare i sestesi; giù, giù!». Ci furono sassate e
colpi d’ombrello e bastone che cercarono anche il giudice istruttore ed il procu-
ratore del re che si apprestavano a salire sulla tranvia. Che cosa era accaduto a
Sesto, e non solo a Sesto? Così un giornale democratico, «L’Eco del Popolo»,
scriveva in quei giorni, titolando Le rivolte della fame:
    «La miseria che di solito si acuisce durante l’inverno, quando l’inclemen-
za della stagione rende impossibile il lavoro, quest’anno erasi aumentata per il
rincaro eccessivo del pane. Perfino la stessa classe conservatrice aveva dovuto
riconoscere la necessità di intervenire a rimediare uno stato di cose doloroso e
pericoloso, tanto che nel febbraio passato diminuiva di due franchi il dazio di
importazione sui grani. Dopo un ventennio di follie commesse; dopo lo sper-
pero di milioni e di miliardi, dopo le pazze imprese coloniali che resero perfino
ridicolo il nome italiano; dopo il carnevale di immoralità che inquinò tutti gli
organismi della nostra vita sociale, doveva pure un momento o l’altro, o per
una o per altra causa, scatenarsi terribile la massa di nulla abbienti a far sentire
La prima pagina de «La Stampa» del 7 maggio 1898
 in cui si richiamo i «disordini di Sesto Fiorentino»
La terza pagina de «La Stampa» del 7 maggio 1898
che riporta un lungo articolo su «l’orribile strage di Sesto Fiorentino»
22                                       L’eccidio del pane a Sesto Fiorentino. Il 5 maggio del 1898

la poderosa sua voce di protesta contro un sistema di governo che depaupera e
immiserisce la nazione. Il governo, sorpreso dal movimento, non seppe finora
che reprimere nel modo il più brutale l’impeto della folla. Le vittime non si
contano più. Il terrore è sparso in quasi tutta l’Italia»39.
    A mezzanotte, i cadaveri del Parigi e della Banchelli furono fatti scivolare
via nel buio verso la stanza mortuaria del cimitero. La cittadina restò pattuglia-
ta. Ma intanto si accendeva il clima a Firenze. Lo stesso 6 maggio, mentre il sin-
daco Corsi rivolgeva ai sestesi, con un manifesto, parole paterne di prudenza,
denunciando una sorta di fatalità, e invitando alla calma, i fatti sestesi agirono
come un catalizzatore della rabbia popolare in altri luoghi, man mano che le
notizie si spargevano.

     La Toscana e l’Italia dopo la scintilla di Sesto

     Pescetti, reduce da Sesto dove aveva svolto una sua inchiesta, cercando bos-
soli e interrogando testimoni, parlò alla Camera del lavoro di Firenze, chia-
mando allo sciopero di protesta. Alle 15 del 6 maggio, un corteo di muratori
disoccupati si raccolse in piazza Savonarola, poi mosse verso il centro racco-
gliendo via via operai che uscivano dalle fabbriche. In piazza Vittorio Emanue-
le, un battaglione del 67° fanteria con un centinaio di carabinieri li affrontò e vi
furono colpi di fucile e arresti. Alle sassate risposero ancora fucilate e rivoltel-
late, di soldati e di guardie, e si aggiunsero altri tre morti, feriti, nuovi arrestati,
l’occupazione militare della città.
     Le spaventose notizie da Sesto Fiorentino raggiunsero anche Prato e anche
lì lo sdegno si mutò in furia. Tutto questo aumentava la tensione per la questio-
ne del pane, che la gente voleva abbassato da 36 centesimi a 33 centesimi. Mi-
gliaia di persone raggiunsero il Fabbricone per raccogliere gli operai, poi la folla
tumultuante si sparse per la città con gran furore. Ai soldati del 5° reggimento
di fanteria che si apprestavano a caricare, la folla gridò: «Abbasso le daghe,
buttate via le cartucce!». Poi toccò ancora ai Lancieri di Montebello garantire
il controllo, bloccare le strade, pattugliare, ma poiché ciò non bastava giunsero
altri rinforzi di truppa.
     Sesto e tutta l’area, in larga parte coincidente con quella a suo tempo inte-
ressata dallo sciopero delle trecciaiole, raggiungeva una non voluta notorietà,

 39. Le rivolte della fame, «L’Eco del Popolo», 7-8 maggio 1898.
23

influendo forse sulle tardive decisioni del Governo nazionale. Soltanto il 6
maggio, il Ministero Rudinì annunciò di sospendere il dazio sul grano, anche
se era difficile ipotizzare che potesse trarsene un consistente beneficio sul prez-
zo nel breve periodo. Infatti, all’annuncio non seguì un immediato effettivo
calo, non giungendo i necessari ordini agli uffici di dogana fino al 7 maggio. A
fronte della situazione che esso stesso determinava, il Governo emanava circo-
lari segrete ai prefetti per sollecitare una più dura repressione. Con una prima
circolare, il Governo stigmatizzava che, per timore della folla, fossero rilasciati
alcuni arrestati. Con la seconda, sollecitava la consegna delle armi del tiro a
segno alle forze dell’ordine.
    Sesto Fiorentino, come Bagnacavallo, Soresina, altri luoghi assumeva un
ruolo sacrificale. Il Governo esigeva ancora durezza e i frutti si videro a Pavia,
dove la repressione sanguinosa di una delle manifestazioni spense la vita anche
del giovane Muzio Mussi, figlio di un deputato radicale e vicepresidente della
Camera. Così, pochi mesi dopo, descrisse l’atteggiamento del Governo il radi-
cale Napoleone Colajanni:
    «[All’11 maggio:] I governanti [...] per oltre quindici giorni sono stati in
preda del terrore [...] hanno compiuto la repressione hanno consolidato lo stato
di assedio in tre grandi regioni delle quali due tra le più agiate e le più colte della
penisola, la Toscana e la Lombardia e possono trionfalmente annunziare che
l’ordine regna in Italia. [...] Da Luino a Messina, unica fu la causa che sollevò
la protesta ed uguale dappertutto la forma di questa protesta dello stomaco. Il
primo grido che si sentì per ogni dove fu quello di pane e lavoro, cui successi-
vamente e in varia misura si aggiunsero altri gridi sovversivi [...]. Una prima e
necessaria constatazione : la ferocia della repressione non sta menomamente in
rapporto colle gravità ed un poco anche coll’indole dei tumulti»40.
    Scrisse lo scrittore Paolo Valera, descrivendo la mattina del 6 maggio a Mi-
lano:
    «Era venerdì. S’andava via per l’atmosfera tepida come tanti punti interro-
gativi. Gli uni guardavano in faccia agli altri e tutti sentivano dell’inquietudine
dell’Italia agitata dalla fame. Pavia come Sesto Fiorentino e come Soresina, ave-
va avuto i suoi ciottoli innaffiati dalla strage militare»41.
    Si andava determinando, nello stesso campo dei liberali una più netta presa

 40. Napoleone Colajanni, L’ Italia nel 1898. Tumulti e reazione, Milano, Società Editrice
Lombarda, 1898, pp. 26-27.
 41. Paolo Valera, serie di saggi dell’epoca raccolti in I cannoni di Bava Beccaris, Milano,
Giordano, 1966.
24                                   L’eccidio del pane a Sesto Fiorentino. Il 5 maggio del 1898

di distanza delle correnti definibili liberal-democratiche, comprendenti Zanar-
delli, Fortis, Giolitti. La questione di Pavia focalizzava ora l’attenzione, ma in
Toscana i fermenti proseguirono. A Montelupo, migliaia di disoccupati ma-
nifestarono al grido di «pane e lavoro», affrontati con durezza e arresti. A Li-
vorno, una barricata fu travolta dalla cavalleria e un morto rimase sul terreno,
mentre molti manifestanti vennero arrestati. A Prato i manifestanti incendia-
rono il casotto del dazio e attaccarono la stazione. A Sesto, la popolazione non
era doma e continuava ad essere strettamente vigilata. A Pisa, fanteria e artiglie-
ria intervennero energicamente e vi furono arresti, ma fu promesso il ribasso
del pane. A Firenze e Livorno, fu imposto lo stato d’assedio dal 9 maggio con
un commissario militare. In particolare a Firenze, un ordine del prefetto Sani,
tenuto conto di quanto era accaduto a Sesto, Prato, Rifredi, decretava l’affida-
mento all’Autorità militare dell’ordine pubblico in quei luoghi e a Calenzano,
Campi Bisenzio, Carmignano, oltre naturalmente al capoluogo stesso.
    Un grande incendio animava anche altre parti d’Italia. A Milano, in par-
ticolare, dove l’agitazione degli operai era sfociata in scioperi, l’imposizione
dello stato d’assedio portò, il 9 maggio, ad un’azione particolarmente dura del-
le truppe comandate dal generale Bava Beccaris che non esitò a fare eseguire
cannoneggiamenti, provocando un’ottantina di vittime, mentre altre decine si
contavano in altre parti dello Stato. Il maggior numero di morti a Milano si
ebbe nel bombardamento di un convento dove si erano rifugiati alcuni mani-
festanti. Gran parte dei caduti erano poverelli in fila per la minestra. Ventitre
frati furono arrestati:
    «I trenta cappuccini arrestati ieri venivano oggi trasportati in vettura nel
convento di San Barnaba, ospiti del convento dei Barnabiti, ma a disposizione
dell’autorità militare. È da notarsi che, poco prima che si impegnasse la mischia
in quella località, era entrata nel convento una cinquantina di poverelli per la
solita distribuzione della minestra. Essendo partite delle fucilate dalla parte del
convento, i militari lo presero di mira; allora il frate si affrettò a chiudere il
cancello. Quest’atto e le fucilate partite dal convento determinarono il bom-
bardamento»42.
    Milano calamitò l’attenzione generale. Il Bava Beccaris telegrafava con
grande soddisfazione al presidente del Consiglio, di Rudinì, che la città e i sob-
borghi erano perfettamente tranquilli, che si riprendeva la vita normale, che i
binari del tram venivano ripristinati e la circolazione veniva riattivata. Più tardi

 42. «La Stampa», 12 maggio 1898.
25

annunciava la ripresa del lavoro nelle officine. Quella tranquillità aveva avuto
un prezzo e non tutto era così serenamente pacificato perché, a lungo, la città
dovette vivere sotto controllo militare:
    «Ecco che vedo arrivare un carro a mano con quel povero uomo ucciso
pochi istanti prima, e lo portarono qui dallo speziale vicino alla mia por-
ta. Tutto era chiuso, ognuno era rinchiuso nella propria abitazione, mentre
replicati colpi di cannoni e di fucili non cessavano di bombardare e di di-
struggere la città di Milano. I cannoni in vari punti della città detonarono
per ben otto ore, e le fucilate fino alla domenica dopo pranzo. Poi tutto si
ristabilì. Ebbimo pure uno stato d’assedio della durata di cinque mesi e a
poco a poco si ristabiliva la quiete e l’ordine, notando la perdita di quasi un
migliaio tra morti e feriti, ed un’infinità di processi dai 2, ai 10, ai 15 anni a
tutti coloro arrestati in questi giorni di rivoluzione mandati a Portolungo o
Finalburgo nelle reclusioni»43.
    I numeri erano diversi, ma la logica era identica a Milano come a Sesto Fio-
rentino. Del resto, la stampa internazionale univa tutti i luoghi italiani in un
solo quadro, quello dello stato d’assedio che colpiva Napoli, Firenze, Livorno,
Pisa, Spezia, Messina, Milano44. Era chiaramente in gioco, in tutta l’Italia, tea-
tro dei fatti, l’identità stessa dello stato liberale, come ben denunciava un gior-
nale repubblicano in quei giorni:
    «Non è questo il momento di pronunciare giudizi; la calma non può essere
in chi scrive, non può essere in chi legge. D’altra parte la verità vera a nessuno
è nota. Le origini, l’estensione, la gravità delle violenze che hanno insanguina-
to qua e là città e borgate cospicue di tutta l’Italia e seminato di cadaveri e di
feriti la sua capitale morale [Milano] non sono ancora abbastanza conosciute.
Lo faremo in appresso, se il terrore bianco non verrà a toglierci anche questa
piccola libertà di parola, che dalla benignità di chi sovrasta, e per una specie di
reminiscenza delle istituzioni statutarie, ancora ci è consentita»45.
    In realtà la repressione continuò ad agire in tutte le direzioni anche a Sesto
Fiorentino. Furono sciolte già il 12 maggio l’«Associazione Elettorale Socia-
lista» e il «Nucleo Socialista Femminile Emilia Marabini» e, di lì a poco,
la «Società Operaia Musicale dei Solerti», che da molto tempo aveva assun-

  43. La rivolta di Milano 7-8-9 maggio 1898 (opuscolo), Milano, s.d.
  44. Martial Law prevails, «The New York Times», 11 maggio 1898.
  45. «L’Idea giornale del partito repubblicano della città e provincia di Cremona», 11 mag-
gio 1898.
26                                       L’eccidio del pane a Sesto Fiorentino. Il 5 maggio del 1898

to un orientamento socialista46. Fu poi la volta del «Comitato Parrocchiale»,
dell’«Unione Mazziniana» e di un’altra società musicale, «L’Avvenire»47.
Pescetti, intanto, seppe di essere colpito da mandato di cattura per tentativo
di sovvertire le istituzioni dello Stato, nonostante la sua qualifica di deputato.
Raggiunse allora Montecitorio sollevando un serio conflitto istituzionale:
    «I questori di Montecitorio disposero un rigorismo eccezionale per l’in-
gresso anche dei giornalisti, i quali, noti o non, devono presentare la tessera
della stampa ogni volta per entrare nel corridoio verde. Ciò, evidentemente,
per evitare che entri qualche agente di questura e dichiari in arresto l’on. Pe-
scetti. Ora si afferma che l’Ufficio di Presidenza avrebbe già deliberato che il
Presidente abbia facoltà di procedere all’arresto, qualora gliene venga domanda
dall’Autorità giudiziaria»48.
     Sulla questione Pescetti si agitò la polemica. Il giornale socialista «Avan-
ti!» sottolineò come il problema politico in gioco non fosse l’intenzione di
Pescetti di sottrarre la sua persona all’arresto, quanto quella di mettere la Pre-
sidenza della Camera e il Ministero dell’Interno di fronte al grosso tema delle
prerogative parlamentari49. Il giornale monarchico «La Tribuna» definì una
commedia il comportamento di Pescetti, ma dovette riferire di come l’Ufficio
di Presidenza si fosse aspramente diviso su una delle questioni più importanti
dei sistemi costituzionali50. Era già in atto il tentativo dell’opinione monarchica
e conservatrice di ricondurre gli avvenimenti a un fenomeno delinquenziale e
politico artatamente alimentato dalla sovversione:
    «È questo l’urlo delle plebi affamate? È la miseria gemente e dolorosa che
prorompe in uno schianto irrefrenabile, in un nodo impulsivo e gagliardo come
lo scrosciar del nembo ed il terribile fluttuar del mare? Il bisogno momentoso,
la mancanza attuale di pane e lavoro sono così grandi e assoluti da spingere un
popolo alla rivolta, da obbligarlo a scender giù nella piazza, inferocito e pre-
potente? Purtroppo il responso è negativo, sotto qualsiasi punto il quesito si
consideri, sotto qualunque aspetto la questione si esamini. Il partito sovversivo:
questa setta - setta formidabile e sapientemente organizzata - è l’unica genesi,

  46. Ernesto Ragionieri, Storia di un comune socialista, cit., p. 87; Gianni Batistoni, Le
storie: appunti su Sesto Fiorentino, Sesto Fiorentino, Agemina, 1991, p. 170; Donatella Che-
rubini, Alle origini dei partiti, cit., 1997, p. 147.
  47. Ernesto Ragionieri, Storia di un comune socialista, cit., p. 88.
  48. «La Stampa», 16 maggio 1898.
  49. «Avanti!», 15 maggio 1898.
  50. «La Tribuna», 15 maggio 1898.
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la sola forza generatrice dei disordini attuali. Oggi è la questione del pane; do-
mani un’altra qualsiasi causale produrrà lo scoppio della rivoluzione, e l’agitarsi
delle masse, scaltramente sobillate dai falsi demagoghi»51.
    Quanto ai popolani arrestati, molti erano chiusi in Fortezza, in carceri
provvisori, e già subivano processi. Il 28 giugno, Pescetti fu processato in con-
tumacia perché rifugiatosi in Francia. Gli fu imputato, tra l’altro, di aver tenuto
il comizio di Palastreto, il 1° maggio52. A suo carico veniva messa insomma la
sua attività di parlamentare e dirigente socialista. I suoi accusatori ricordavano
che Pescetti aveva affermato nel Circolo socialista di Campiglia Marittima che
la proprietà era un furto; riferivano come fatto scandaloso che a Siena un suo
comizio aveva emozionato la folla, che a Molinella aveva incitato le mondine
all’azione sindacale; che all’Antella aveva parlato contro il Governo53. In real-
tà, all’Antella, Pescetti aveva invitato i lavoratori a unirsi sotto la bandiera del
socialismo54.
    Soprattutto l’accusa riguardava i fatti di Sesto nei termini già illustrati di
una criminalizzazione dei socialisti. Una sorta di teorema «a posteriori» as-
sumeva come fondamentale il fatto che Pescetti si fosse recato a Sesto dopo
l’eccidio a ricercare elementi di prova. Con lui venivano coinvolti altri dirigen-
ti, Alfredo Frilli, Mario Aglietti, Umberto Zanni, Pompeo Ciotti, Sebastia-
no Del Buono, Alfredo Tempesti. In larga parte la loro colpa era aver tenuto
comizi. Alfredo Frilli (maestro elementare e dirigente della Camera del lavo-
ro fiorentina rivelatosi poi politicamente abbastanza altalenante55) e Pompeo
Ciotti, anch’essi «tra i più famosi oratori socialisti» ed esponenti di levatura
più che locale56, avevano partecipato al comizio dell’Antella di cui si faceva cari-
co a Pescetti57. Sebastiano Del Buono era uno dei più prestigiosi dirigenti della
Camera del lavoro di Firenze58, ed aveva operato attivamente, con Pescetti, in
occasione dello sciopero delle trecciaiole59.

 51. «L’Opinione liberale», maggio 1898.
 52. Carlo Pinzani, La crisi politica di fine secolo in Toscana, Firenze, Barbèra, 1963, p. 157.
 53. «Il Fieramosca», 7 agosto 1898.
 54. Massimo Casprini, Il teatro dell’Antella. Oltre un secolo di storia, Firenze, Pagnini e
Martinelli, 2003, p. 28.
 55. Mimmo Franzinelli, Squadristi: protagonisti e tecniche della violenza fascista, 1919-
1922, Milano, Mondadori, 2003, p. 98.
 56. Donatella Cherubini, Alle origini dei partiti, cit., p. 201.
 57. Massimo Casprini, Il teatro dell’Antella, cit., p. 28.
 58. Nicla Capitini Maccabruni, La Camera del lavoro nella vita politica e amministrati-
va fiorentina, cit., ad nomen.
 59. Stefania Bartoloni, L’Audacia insolente. La cooperazione femminile, 1886-1986, Ve-
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