Il CNOP sull'abusivismo è come Tafazzi. Istruzioni per farsi male da soli - AltraPsicologia
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Il CNOP sull’abusivismo è come Tafazzi. Istruzioni per farsi male da soli. Ho avuto modo di partecipare all’importante revisione, potremmo dire una nuova stesura dell’articolo 21 del codice deontologico come responsabile del gruppo nazionale tutela della professione del Cnop nel 2013. Ora, si dirà: perché vale la pena occuparsi di un singolo articolo del codice deontologico? C’è una risposta. L’articolo 21 del codice deontologico degli psicologi italiani non è infatti un articolo come gli altri. È più una colonna portante, sotto mentite spoglie, abilmente mascherata. Il divieto di insegnare liberamente le conoscenze che fanno di uno psicologo ciò che è implica, sottoscrive, sancisce che vi siano strumenti e tecniche che lo abilitano, come professionista, a eseguire alcune operazioni come la diagnosi, la terapia, il sostegno cui il comune cittadino non è abilitato. Si tratta quindi di sancire – con granitica certezza – l’esistenza stessa della professione di psicologo. Oppure, viceversa, di negarla. In concreto, si tratta di vietare l’insegnamento di “cose”, che, nell’atto stesso di essere insegnate, implicano una forte suggestione a metterle in pratica, configurando, in concreto, una sorta di istigazione a commettere il reato di esercizio abusivo di professione psicologica. Nel dire questo e quello che seguirà, non sto esprimendo solo il mio parere o una mia opinione, ma sto citando sentenze emesse da giudici dello Stato.
L’articolo 21, si è detto, è un pilastro, un baluardo della professione, che dice che esiste “qualcosa” che differenzia il professionista, attraverso ciò che sa fare, da chi non lo sa fare. Per un chirurgo, potrebbe essere un IVG o un impianto di stent coronarico, per dire. Ma per noi, quali sono queste “cose” che non si devono insegnare al quicumque de populo? Ci torniamo tra un momento. Per la sua radicale importanza, non quindi a caso, dal momento della sua promulgazione è stato oggetto di attacchi feroci in varie sedi giudiziarie, da parte sia dei negazionisti della psicologia professionale che di chi, più prosaicamente rappresentava i formatori di redditizie professioni e pseudo- professioni limitrofe alla psicologia, che da sempre cercano di insinuarsi nelle maglie della legge evitando ai propri iscritti il percorso di formazione universitario per offrire loro un mestiere facilmente accessibile, anche se non sempre legittimo nella sua pratica. Sto ovviamente parlando del counseling, ma in astratto anche di alcune forme di coaching, di pedagogia clinica, di PNL, della cosiddetta “psicanalisi laica”, dell’ipnosi, dello psicodramma, quando questi siano insegnati a soggetti non abilitati all’esercizio della professione psicologica. Coloro che hanno osteggiato articolo 21 da sempre sostengono la sua non applicabilità, e si sono rivolti a varie sedi alla ricerca di qualcuno disponibile ad avallare la loro tesi. Tra questi, un celebre ricorso all’antitrust nel 1998 e nel 2012 un altrettanto discusso ricorso alla magistratura ordinaria, entrambi respinti al mittente. L’articolo 21, colonna messa inizialmente a protezione e salvaguardia della professione di psicologo ha accusato il colpo, si è trovata incrinata, ha vacillato, cosicché, nel 2013, è stata necessaria una sua importante revisione. La revisione è stata sostenuta dal corpus della giurisprudenza
ovvero delle molte sentenze sull’esercizio abusivo di professione che nel frattempo si sono accumulate, costituendo fonti di riflessione su un tema cruciale: quali sono gli atti riservati della professione di psicologo? La legge non ci aiuta. La norma istitutiva della professione, la 56/89 non lo dice, perché, come quasi tutte le leggi professionali viene considerata una cosiddetta norma “in bianco”, ovvero una norma che esige che successivi interventi esplicativi o giurisprudenziali ne definiscono i contorni. Cos’è riservato allo psicologo? Quali sono gli strumenti che solo lui può maneggiare a tutela del cittadino che a lui si rivolge con fiducia? L’uso dei test (e come la mettiamo con i test da rivista)? L’ipnosi (e Giucas Casella, allora)? Il colloquio (ma non colloquiamo tutti con i nostri amici al bar)? Si potrebbe proseguire a lungo. I giuristi ci hanno levato le castagne dal fuoco, in tutte le sentenze più recenti che hanno condannato degli abusivi sulla base dell’art. 348 del Codice Penale, definendo la centralità e la prevalenza di quello che hanno chiamato “aspetto teleologico” sul contenuto degli atti tipici della professione. Cioè: non è così importante che COSA esattamente faccia con un cliente il counselor di turno, per sapere se sta esercitando abusivamente la professione di psicologo, ma PERCHÈ lo faccia, quale sia la domanda alla quale sta rispondendo, quale l’aspettativa del suo cliente cui implicitamente sta promettendo una risposta. Secondo questa lettura, un abuso sarebbe radicato già nella mera promessa implicita di alleviare una sofferenza o un disagio di natura psicologica attraverso un percorso di qualsivoglia tipo e genere: Sarebbe già qualcosa di truffaldino, una sorta di abuso della fiducia ingenua di un paziente, che è ciò che la legge oggi si propone di punire.
Per questo la revisione dell’articolo 21 proposta nel 2021 dal consiglio nazionale dell’ordine degli psicologi è un clamoroso, straordinario, sesquipedale autogol. Tale modifica, se approvata, ci riporterebbe indietro di molti anni e che cancellerebbe gli sforzi che gli psicologi e giuristi insieme hanno fatto per arginare la piaga dell’abusivismo di una professione centrata sulla parola, faccenda tutt’altro che banale. Perché? Perché limitare il divieto di insegnamento alle “attività riservate e tipiche” della professione di psicologo ci obbliga a venire allo scoperto e a definirle, riproponendo l’annosa aporia, anche perché finché vengono solo insegnate, non vi può essere alcuna teleologia, quindi ci rimane in mano l’oggetto dell’insegnamento, che è ben poca cosa. Si potrà insegnare tutto, in sostanza, o quasi. In fondo, anche le tavole di Rorschach si trovano su Internet. Il giovane topolino bianco della psicologia si ritroverebbe costretto a uscire dalla tana facendo un’operazione estremamente pericolosa. Perché là fuori troverà sempre uno scaltro formatore in cerca di facili guadagni svendendo la professione. Questi, ci possiamo scommettere, ha già piazzato un’affilata tagliola fuori dalla tana del topolino e non vede l’ora che ci caschi dentro. La proposta di modifica dell’articolo 21 del Cnop non fa altro che spingerlo a fare un fiducioso salto là proprio in mezzo a quelle lame affilate.
Siamo tutti un po’ psicologi e psicologhe? Anche no! Ha poco più di trent’anni la legge che definisce la Professione psicologica, riconoscendone confini e tipicità. E questo è un fatto. Mentre non lo è, assomigliando forse più ad una fantasia o ad un sogno, la regolamentazione di altre attività che si appropriano furtivamente della nostra professione! Da maghi a cartomanti, da counselor a mental coach, solo per fare alcuni esempi, proliferano le proposte, anche in rete, di servizi psicologici offerti, dalla gestione dell’ansia al sostegno psicologico per problemi sentimentali o pseudo traumi (valutati poi da chi e con quali strumenti???). E l’emergenza da Covid-19 ha soltanto ancora più evidenziato quello a cui assistevamo quotidianamente ormai da tempo. Ancora ricordo, con sorprendente aumento durante il lockdown, il proliferare di più o meno credibili proposte di soggetti appartenenti ad altre categorie professionali o pseudo tali. Tutti impegnati, senza alcuna competenza legislativamente e culturalmente riconosciuta, a promuovere azioni di aiuto per la valutazione e il superamento del disagio psicologico derivante dall’emergenza epidemiologica o da altri eventi più o meno impattanti sul piano della comunicazione suggestiva. Patologica e allo stesso tempo, sempre e subdolamente salvifica. Ad un incalzante bisogno di benessere psicologico, spesso dimenticato dalle istituzioni governative come obiettivo prioritario di intervento e di strategie di investimento pubblico, ecco che rispondono, pure efficacemente sul piano comunicativo, disparate realtà associative o singoli che propongono impropriamente e soprattutto furtivamente…seppur convintamente la salvezza di una cura. Altro che Lupin, che
era pure simpatico! Ed ecco che arriva a supporto della nostra Professione una schiera di colleghi e colleghe, talvolta presunte vittime dirette e/o persone presumibilmente informate che stanano queste situazioni e le segnalano ai rispettivi Ordini regionali auspicando un intervento. E proprio grazie a quest’atto, di corresponsabilità professionale e/o richiesta di supporto, ci addentriamo con il lavoro istruttorio negli scenari più disparati per fare luce su questi più o meno consapevoli ladri della Professione psicologica. Al di qua e al di là della rete. Da siti internet o ambienti social, all’appartamento vicino casa: i luoghi in cui i nostri piccoli e grandi Lupin di diagnosi e sostegno psicologico gestiscono e pubblicizzano le loro magiche e pericolose avventure. Magiche perché basate su un certo buon livello di suggestione, pericolose perché mettono a rischio la salute degli inconsapevoli pazienti, talvolta anche particolarmente vulnerabili. Solo nel Lazio e solo in sei mesi, i primi di insediamento della nuova Consigliatura e della relativa Commissione Tutela abbiamo raccolto e gestito ben 65 segnalazioni di cui più del 60% hanno riguardato condotte di presunto abusivismo e usurpazione del titolo! Entrambi reati penali rispetto ai quali, se sussiste un ragionevole dubbio emergente nell’ambito dell’attività istruttoria dedicata, ci si deve rivolgere alle competenti autorità per l’attivazione dei dovuti approfondimenti: le Procure della Repubblica per l’esercizio abusivo e le Prefetture per segnalare le situazioni in cui viene usato/mostrato pubblicamente un titolo per cui lo Stato prevede una limitazione. E’ questo il caso dei tanti Lupin e delle tante Margot che esercitano come se fossero dotati delle competenze necessarie e abilitanti la professione psicologica e di coloro che si definiscono psicologi pur non avendo completato l’iter necessario con l’iscrizione ad un albo…o non averlo nemmeno iniziato! E pensare che nel nostro caso, ovvero
di una Professione per cui è richiesta una speciale abilitazione dello Stato, rispetto all’esercizio abusivo, se dimostrato, la pena prevista è la reclusione da sei mesi a tre anni con multa (sanzione pecuniaria penale) da € 10.000 a 50.000 con la pubblicazione della sentenza (art. 348 c.p.), mentre nell’ipotesi di usurpazione del titolo è prevista una sanzione amministrativa pecuniaria da € 154,00 a 929,00 oltre alla pubblicazione del provvedimento (art. 498 c.p.). Ancora non abbiamo un dato di ritorno sulle situazioni che abbiamo segnalato ai diversi uffici giudiziari competenti territorialmente, troppo presto, ma noi attendiamo con trepida attenzione gli esiti delle indagini. E non solo. Abbiamo offerto la disponibilità di dare un contributo esperto, ad esempio supportando la raccolta della fonte di prova dichiarativa, durante, cioè, l’ascolto da parte di pubblici ministeri e/o polizia giudiziaria delle vittime del presunto esercizio abusivo. Le restanti situazioni gestite hanno riguardato bandi e avvisi pubblici che nella loro formulazione evidenziavano delle criticità prontamente segnalate ai rispettivi enti (prevalentemente ASL) e la cui risposta è stata l’annullamento del bando in autotutela oppure, accogliendo le criticità evidenziate ma anche le relative proposte di adeguamento, la sua rettifica con una maggiore linearità e legittimità del ruolo dello psicologo. E ancora: richieste di parere specialistico e segnalazioni screditanti la professione in relazione a contenuti emersi nell’ambito di contenitori televisivi, carta stampata e social network. Quali i prossimi obiettivi di tutela e protezione della nostra Professione? Non solo stanare gli abusivi certo! Non possiamo mica solo accontentarci del contrasto. Ma riuscire a promuovere una maggiore consapevolezza nella cittadinanza e nelle istituzioni pubbliche di quelli che sono gli atti tipici della Psicologia, i margini di manovra possibili e attualmente normati per promuovere il benessere psicologico individuale e
collettivo. Costruire accordi e migliorare le procedure operative, attivarci tutti e tutte per contrastare e non avallare, come richiamato dal nostro Codice Deontologico, l’esercizio abusivo, come invece spesso avviene in ambienti formativi e operativi in cui vengono preparati pseudo- professionisti all’utilizzo improprio di strumenti e metodologie cliniche. Dall’analisi della domanda al sostegno psicologico. Una battaglia in tal senso è ad esempio quella che ad oggi molti Ordini degli Psicologi regionali e finalmente anche il CNOP (meglio tardi che mai!) stanno portando avanti per contrastare il tentativo di normazione della figura del counselor presso un tavolo dedicato all’UNI, su cui è peraltro intervenuto lo stesso Ministero della Salute chiedendone la chiusura (su sollecitazione dell’Ordine Psicologi Lazio e non di certo del Consiglio Nazionale), a quanto pare senza essere ancora ascoltato. Un’altra è quella quotidiana di monitoraggio dei tanti enti che furtivamente erogano queste attività illecite anche accogliendo giovani tirocinanti in psicologia, ancora non adeguatamente sensibilizzati sulla materia. Ecco perché auspichiamo anche una sempre maggiore attenzione da parte degli Atenei universitari a prevedere degli spazi laboratoriali, seminariali o formativi sulla tutela della Professione e gli aspetti di etica deontologica, in un’ottica preventiva e promozionale. Perché la valorizzazione e il rispetto della Psicologia, senza se e senza ma, è questione e responsabilità di tutti. Solo l’occhio attento, impegnato e proattivo di cittadini e colleghi può infatti supportare il monitoraggio di queste situazioni illegittime e contribuire a ripristinare un ordine cosmico in cui ognuno rispetta il proprio margine di azione, che peraltro spesso si è anche sudato sette camice e 15 gonne per raggiungerlo! E anche solo per questo merita di essere protetto. Ma ancora di più per il danno che si rischia di
recare alle persone che hanno bisogno di un (vero) aiuto psicologico e molta poca consapevolezza del fatto che no, non tutti siamo psicologi e psicologhe, proprio no!!! di Vera Cuzzocrea, PhD psicologa giuridica e psicoterapeuta, Consigliera Ordine Psicologi Lazio e Coordinatrice della Commissione Tutela. Finalmente UNI-ti per la tutela della professione? Finalmente non saremo più soli. Dopo più di 15 anni di battaglia, politica e culturale attraverso la nostra attività associativa e istituzionale quando ci siamo trovati alla guida degli Ordini, martedì 16 Giugno la nostra comunità professionale sarà compatta per dire no al riconoscimento dei counselor. Ci sarà infatti un nuovo incontro al Tavolo UNI per la normazione dei counselor e per la prima volta quasi tutti gli Ordini regionali siederanno al tavolo con una posizione netta e unitaria. LA NORMAZIONE UNI. Lo scopo dell’UNI è produrre delle norme di applicazione volontaria con l’auspicato scopo di garantire un più alto standard di qualità a favore dei consumatori. Si può proporre di normare praticamente qualsiasi cosa: nell’ultimo mese sono uscite delle norme riguardanti le valvole in materiale termoplastico, gli indumenti di protezione per lo snowboard e le parallele da ginnastica. Ma non solo. L’UNI può normare anche le cosiddette “professioni non regolamentate”, ossia tutte quelle afferenti alla famosa Legge 4/2013, quella cui fanno sempre riferimento
i counselor per accreditarsi – impropriamente – come professione “riconosciuta”. LA NORMA SUI COUNSELOR. Il tentativo di normazione dei counselor è in corso da ormai qualche anno, caratterizzato da una caparbietà a tratti incomprensibile. L’Ordine del Lazio, a guida AltraPsicologia, è presente al tavolo sin dalla sua apertura e fino a qualche mese fa era praticamente solo a portare avanti le istanze di chiusura del tavolo. Una chiusura richiesta anche dal Ministero della Salute, per ben due volte: una richiesta assurdamente ignorata dall’UNI, che prosegue per la sua strada; persino dopo che l’inchiesta pubblica ha raccolto più di 40mila pareri sfavorevoli alla normazione. LA PRIMA VOLTA NON SI SCORDA MAI. Già il 1 Marzo scorso l’Ordine dell’Emilia-Romagna – ora a guida AltraPsicologia – insieme all’Ordine del Lazio avevano inviato un ulteriore sollecito ai Ministeri del Lavoro, della Salute, delle Sviluppo economico, delle Politiche Sociali, dell’Istruzione e al CNOP per evidenziare i vari profili di criticità. Martedì 16 Giugno, finalmente non saremo soli a portare avanti queste istanze. In queste settimane 19 Ordini regionali su 21 si sono iscritti al Tavolo UNI per rappresentare compatti quello che per anni come AltraPsicologia abbiamo rappresentato alla comunità professionale: le attività dello psicologo, sono esclusiva dello psicologo e nessun altro può improvvisarsi ad intervenire sulla salute psichica dei cittadini. UN CAMBIO DI PASSO? Finalmente ci siamo? Finalmente, dopo anni di battaglia politica, culturale, istituzionale, siamo riusciti a imprimere una direzione chiara alla politica degli Ordini sul tema della tutela? Molti degli Ordini che martedì 16 Giugno saranno al tavolo UNI per mettere in discussione la normazione, due anni fa sostenevano favorevolmente la Consensus Conference sul
counseling promossa del precedente CNOP, un tavolo cui sedevano insieme psicologi e counselor e che era stato definito un “percorso di pacificazione” . Anche in quell’occasione, come AltraPsicologia, ci siamo trovati soli, ma nonostante tutto non ci siamo mai scoraggiati e la consensus, per fortuna, non ha mai prodotto i suoi frutti. Il nostro auspicio è che quello di martedì sia il primo di tanti momenti in cui finalmente l’intera comunità professionale esce dalle ambiguità cui abbiamo assistito in questi anni e che sia questo l’inizio di un percorso che sempre più nettamente si orienti sul tema della tutela, svincolandosi da conflitti di interesse. Perché quando punti il dito contro qualcuno, ne punti tre contro te stesso: prima o poi dovremmo farci concretamente carico di affrontare il problema di tutte quelle realtà che, dall’interno della comunità professionale, sostengono e formano counselor. Una nuova videoinchiesta sui counselor L’Ordine degli Psicologi del Lazio ha diffuso in queste ore la nuova video-inchiesta del giornalista Luca Bertazzoni sul fenomeno dei counselor. Dopo lo scalpore suscitato dalla prima video-inchiesta, dove era documentata l’attività di tre “counselor” alle prese con persone con storie di disagio psicologico, tra cui abuso di alcol, pensieri suicidari, arriva il seguito. Se la prima inchiesta aveva sconvolto la comunità professionale, questa seconda inchiesta, dedicata ai counselor
che prendono in carico minori, desta preoccupazioni se possibile ancora più angoscianti. Nel primo caso la counselor vede una ragazza minorenne senza il consenso dei genitori. Nel secondo caso la counselor prende in carico una minore con un fidanzato violento. Nel terzo caso il counselor, pur rendendosi conto di trovarsi di fronte a una ragazza minorenne con una storia di grave disturbo alimentare, prende in carico la paziente invece di inviarla a dei professionisti sanitari: “sai” – le dice – “è un’avventura anche per me” . Peccato che l’avventura del counselor sia sulla pelle di una giovane ragazza con un problema di salute grave, che chiede aiuto e sta perdendo la possibilità di ricevere il sostegno di cui ha bisogno in un momento determinante. Nel quarto caso il counselor si trova di fronte una minorenne che porta un problema di abuso di sostanze (cocaina) e durante il colloquio le confessa candidamente di aver fatto anch’egli uso di cocaina e altre sostanze… Nel quarto caso una counselor, senza nemmeno una laurea, in uno sportello d’ascolto in una scuola pubblica, prende in carico il caso di una ragazza vittima di bullismo. Di fronte a realtà come queste, appare ancora più sconcertante la condotta tenuta dalla maggior parte degli Ordini al Tavolo UNI dove si sta cercando di normare i counselor. Ordini assenti a molte riunioni, quando presenti astenuti a molte votazioni: all’UNI si va avanti, con solo l’Ordine Lazio a cercare di arginare questo percorso che rischia di dare un riconoscimento a questi professionisti che sempre più evidentemente prendono in carico situazioni di disagio emotivo e psichico per cui non sono né abilitati né preparati in alcun modo, mettendo a rischio la salute dei cittadini.
AltraPsicologia combatte da sempre le pseudoprofessioni e l’esercizio illegittimo delle attività psicologiche: a maggior ragione ci aspettiamo che queste azioni vengano portate avanti dagli Ordini. La tutela non è un optional: la legge 56/89 attribuisce loro espressamente la funzione di tutela. Chi ha avuto un ruolo finora ha tenuto posizioni fragili e ambigue, che hanno esposto i cittadini a professionisti dalla preparazione incerta e autoreferenziale. Gli Ordini regionali e il Consiglio nazionale devono avviare azioni complessive orientate alla tutela della salute del cittadino e alla prevenzione del danno. Ci auguriamo che gli Ordini regionali e il nuovo CNOP, che si insedieranno nelle prossime settimane, possano portare ad un radicale cambio di rotta, perché, a giudicare da queste inchieste, la salute dei cittadini non può essere lasciata alla mercé di tale improvvisazione. “Il feroce counselor del Suriname”: un thriller in tre stagioni Gli Psicologi italiani hanno appena appreso che esiste una creatura mitologica: il “Counselor del Suriname”. Una figura temuta e feroce, che sta cercando di sbarcare in Italia dalle foreste dell’Amazzonia, e che le Tutor Psicologhe useranno d’ora in poi per intimidire i Tirocinanti cattivi: “Se non fai bene la siglatura del test, arriva il Counselor del Suriname e ti porta via!”. Con un nome così esotico, sembrerebbe infatti una creatura
tratta dalle avventure di Sandokan; ma invece, secondo UNI (ente privato di normazione), esisterebbe davvero. UNI sta infatti inondando migliaia di psicologi italiani con mail non richieste, in cui ci racconta cose curiose: ad esempio che il “Counselor” esiste in tanti posti, perfino in Suriname (il più piccolo Stato dell’America Latina, noto produttore di canna da zucchero sulle coste caraibiche); sempre secondo queste comunicazioni, si chiama “Counselor” perché “Consola la gente”, e sarebbe capace di fare delle “diagnosi” per sapere quando non può fare diagnosi. Confusi? Anche noi! Quale è l’antefatto di questa avvincente vicenda? IL PREQUEL: LE MISTERIOSI ORIGINI DEL FEROCE COUNSELOR DEL SURINAME L’UNI stava lavorando da tempo ad un “Tavolo di normazione” della “professione di Counselor”. Hanno provato prima a normare il cosiddetto “Counselor relazionale”; poi – bloccato questo primo tentativo – hanno tolto la parola “relazionale”, e stanno ora provando a normare il “Counselor-punto-e-basta”. Un’iniziativa rispetto a cui AltraPsicologia ha fin dall’inizio sollevato durissime critiche, nell’apparente “torpore” (fino a tempi recenti) del Consiglio Nazionale dell’Ordine; le Istituzioni in cui AP è in maggioranza, Ordine del Lazio in primis, si sono quindi attivate per chiedere l’intervento del Ministero della Salute. Il rischio da noi paventato era che si finisse ipoteticamente col normare delle attività potenzialmente strabordanti in quelle di ambito sanitario, cosa vietata dalla Legge. E il Ministero della Salute è infatti intervenuto, dicendo ad UNI “Fermatevi, questo Tavolo non s’ha da fare”: il progetto di norma UNI n.1605227 pone la figura del Counselor non psicologo in palese sovrapposizione con quelle dello psicologo (…) in analogia con il precedente progetto UNI 08000070 sul “Counseling relazionale”, la cui adozione venne già sospesa da codesto Ufficio
(http://www.quotidianosanita.it/lavoro-e-professioni/articolo. php?articolo_id=70084). Storia chiusa? La potente “cannonata” del Ministero avrà impedito al temuto Counselor del Suriname di sbarcare anche in Italia? PRIMA STAGIONE: DAL SURINAME CON FURORE UNI è andata avanti. Dritta come un treno, ha ignorato l’opposizione dei rappresentanti di Ordine Lazio, ha ignorato le posizioni del CNOP, ha ignorato le richieste formali del Ministero. UNI, per procedura, deve però svolgere una fase di “Consultazione Pubblica”: hanno così dovuto permettere a tutti i cittadini di esprimersi sul loro sito (ne avevamo parlato qui). Sono stati subito sommersi da decine di migliaia di pareri negativi, con commenti giunti da professionisti di ogni parte di Italia che spiegavano i gravi rischi di questo tentativo di normazione. E’ stata la più grande risposta pubblica nella storia di UNI: non avevano mai avuto una tale marea di riscontri contrari! A questo punto, sommerso da questa reazione di massa, il temibile Counselor del Suriname sarà stato finalmente rispedito ai Caraibi? No. Si sa: il Counselor del Suriname è una creatura feroce e resistente, che non si fa certo intimidire da una semplice Consultazione Pubblica! Come nei migliori climax delle serie televisive, proprio mentre sembrava finalmente a terra immobile, abbattuto dall’onda d’urto della Consultazione, nell’ultima inquadratura dell’ultima puntata si vede la sua mano che riprende a tremare leggermente… SECONDA STAGIONE: “LOST IN GDPR” Succede a questo punto qualcosa che nessuno capisce. Sembra infatti che qualcuno nelle stanze di UNI abbia preso
tutte le migliaia di email di chi aveva partecipato alla Consultazione pubblica, e le abbia associate una per una alla tipologia esatta di opinioni personali espresse (senza che apparentemente nessuno se lo immaginasse, o avesse autorizzato ai sensi del GDPR tale ben specifico trattamento di categorizzazione a fini di contatto successivo personalizzato). “Classificati” a decine di migliaia, sulla base delle nostre idee personali e politico-professionali sul counseling, associandole in un database privato alla nostra identità ed email? Abbiamo capito bene? E, sulla base di questa classificazione inattesa delle opinioni personali di migliaia di noi, un soggetto privato sta ora contattandoci in massa per mandarci sette diversi tipi di comunicazioni personalizzate sulla base delle nostre idee politico-professionali, da loro conservate internamente? Ai profili in codice con cui siamo stati classificati (da “R0” a “R6” – io ad esempio sarei un “Soggetto R5”), conseguono infatti “lezioni personalizzate” sul perché intendano normare il counseling (e allora, perchè mai fare la Consultazione?); ma, ancora più strano, le risposte sembrano essere tutte “difese del counseling”, quasi come se l’Ente pensasse di far cambiare opinione a chi gli aveva dato parere negativo in una Consultazione pubblica! Strano: personalmente, non ricordavo di aver mai autorizzato UNI a “classificarmi” assieme a migliaia di altre persone, sulla base delle mie idee ed al fine di ricontattarmi dopo in modo personalizzato. Ma certamente avrò problemi di memoria io: in fondo, sono solo uno psicologo, non un infallibile Counselor del Suriname… Se fosse stato solo un feedback tecnico, ci saremmo aspettati che ci inviassero gli esiti della Consultazione: “Grazie della partecipazione; hanno risposto in tot persone, X hanno detto Sì, Y hanno detto No”. Paradossalmente, nessuna informazione di questo tipo è stata mandata ai partecipanti. STAGIONE FINALE: L’ARRIVO DEI COUNSELOR DEL SURINAME A GRANDE
INVERNO, O L’INATTESO RITORNO JON “GDPR” SNOW? Che succederà, adesso, nella attesissima Stagione finale di questo serial, che ormai compete col Trono di Spade? I feroci Counselor del Suriname, creature simili agli Estranei in quanto capaci di sopravvivere ripetutamente ai durissimi colpi delle richieste Ministeriali, degli Ordini e delle Consultazioni Pubbliche, avanzeranno oltre la Barriera? Oppure ci sarà qualche interessante colpo di scena, nel finale di stagione? Come AltraPsicologia, stiamo – come sempre – sulla Barriera; e anche nelle Istituzioni in cui siamo maggioranza ci stiamo muovendo per approfondire le numerose domande relative al GDPR che ci giungono in questi giorni da centinaia di colleghi inviperiti, e che ci esprimono il loro disagio personale perché si sentono – almeno apparentemente – “classificati a loro insaputa”. Riscontreremo presto ai colleghi di tutta Italia. Soprattutto nei prossimi mesi, quando magari un nuovo CNOP a maggioranza AltraPsicologia potrebbe dire in maniera molto chiara e senza timidezze cosa ne pensano davvero, gli Psicologi Italiani, dei Counselor del Suriname…
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