Il CNOP sull'abusivismo è come Tafazzi. Istruzioni per farsi male da soli - AltraPsicologia

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Il CNOP sull’abusivismo è
come Tafazzi. Istruzioni per
farsi male da soli.
Ho   avuto   modo   di   partecipare   all’importante   revisione,
potremmo dire una nuova stesura dell’articolo 21 del codice
deontologico come responsabile del gruppo nazionale tutela
della professione del Cnop nel 2013.

Ora, si dirà: perché vale la pena occuparsi di un singolo
articolo del codice deontologico? C’è una risposta.

L’articolo 21 del codice deontologico degli psicologi italiani
non è infatti un articolo come gli altri. È più una colonna
portante, sotto mentite spoglie, abilmente mascherata.

Il divieto di insegnare liberamente le conoscenze che fanno di
uno psicologo ciò che è implica, sottoscrive, sancisce che vi
siano strumenti e tecniche che lo abilitano, come
professionista, a eseguire alcune operazioni come la diagnosi,
la terapia, il sostegno cui il comune cittadino non è
abilitato.

 Si tratta quindi di sancire – con granitica certezza –
 l’esistenza stessa della professione di psicologo. Oppure,
 viceversa, di negarla.

In concreto, si tratta di vietare l’insegnamento di “cose”,
che, nell’atto stesso di essere insegnate, implicano una forte
suggestione a metterle in pratica, configurando, in concreto,
una sorta di istigazione a commettere il reato di esercizio
abusivo di professione psicologica. Nel dire questo e quello
che seguirà, non sto esprimendo solo il mio parere o una mia
opinione, ma sto citando sentenze emesse da giudici dello
Stato.
L’articolo 21, si è detto, è un pilastro, un baluardo della
professione, che dice che esiste “qualcosa” che differenzia il
professionista, attraverso ciò che sa fare, da chi non lo sa
fare. Per un chirurgo, potrebbe essere un IVG o un impianto di
stent coronarico, per dire. Ma per noi, quali sono queste
“cose” che non si devono insegnare al quicumque de populo? Ci
torniamo tra un momento.

Per la sua radicale importanza, non quindi a caso, dal momento
della sua promulgazione è stato oggetto di attacchi feroci in
varie sedi giudiziarie, da parte sia dei negazionisti della
psicologia professionale che di chi, più prosaicamente
rappresentava i formatori di redditizie professioni e pseudo-
professioni limitrofe alla psicologia, che da sempre cercano
di insinuarsi nelle maglie della legge evitando ai propri
iscritti il percorso di formazione universitario per offrire
loro un mestiere facilmente accessibile, anche se non sempre
legittimo nella sua pratica.

Sto ovviamente parlando del counseling, ma in astratto anche
di alcune forme di coaching, di pedagogia clinica, di PNL,
della cosiddetta “psicanalisi laica”, dell’ipnosi, dello
psicodramma, quando questi siano insegnati a soggetti non
abilitati all’esercizio della professione psicologica.

Coloro che hanno osteggiato articolo 21 da sempre sostengono
la sua non applicabilità, e si sono rivolti a varie sedi alla
ricerca di qualcuno disponibile ad avallare la loro tesi. Tra
questi, un celebre ricorso all’antitrust nel 1998 e nel 2012
un altrettanto discusso ricorso alla magistratura ordinaria,
entrambi respinti al mittente.

 L’articolo 21, colonna messa inizialmente a protezione e
 salvaguardia della professione di psicologo ha accusato il
 colpo, si è trovata incrinata, ha vacillato, cosicché, nel
 2013, è stata necessaria una sua importante revisione.

La revisione è stata sostenuta dal corpus della giurisprudenza
ovvero delle molte sentenze sull’esercizio abusivo di
professione che nel frattempo si sono accumulate, costituendo
fonti di riflessione su un tema cruciale: quali sono gli atti
riservati della professione di psicologo?

La legge non ci aiuta. La norma istitutiva della professione,
la 56/89 non lo dice, perché, come quasi tutte le leggi
professionali viene considerata una cosiddetta norma “in
bianco”, ovvero una norma che esige che successivi interventi
esplicativi o giurisprudenziali ne definiscono i contorni.

Cos’è riservato allo psicologo? Quali sono gli strumenti che
solo lui può maneggiare a tutela del cittadino che a lui si
rivolge con fiducia? L’uso dei test (e come la mettiamo con i
test da rivista)? L’ipnosi (e Giucas Casella, allora)? Il
colloquio (ma non colloquiamo tutti con i nostri amici al
bar)? Si potrebbe proseguire a lungo.

 I giuristi ci hanno levato le castagne dal fuoco, in tutte le
 sentenze più recenti che hanno condannato degli abusivi sulla
 base dell’art. 348 del Codice Penale, definendo la centralità
 e la prevalenza di quello che hanno chiamato “aspetto
 teleologico”    sul   contenuto   degli   atti   tipici   della
 professione.

Cioè: non è così importante che COSA esattamente faccia con un
cliente il counselor di turno, per sapere se sta esercitando
abusivamente la professione di psicologo, ma PERCHÈ lo faccia,
quale sia la domanda alla quale sta rispondendo, quale
l’aspettativa del suo cliente cui implicitamente sta
promettendo una risposta.

Secondo questa lettura, un abuso sarebbe radicato già nella
mera promessa implicita di alleviare una sofferenza o un
disagio di natura psicologica attraverso un percorso di
qualsivoglia tipo e genere: Sarebbe già qualcosa di
truffaldino, una sorta di abuso della fiducia ingenua di un
paziente, che è ciò che la legge oggi si propone di punire.
Per questo la revisione dell’articolo 21 proposta nel 2021
 dal consiglio nazionale dell’ordine degli psicologi è un
 clamoroso, straordinario, sesquipedale autogol.

 Tale modifica, se approvata, ci riporterebbe indietro di
 molti anni e che cancellerebbe gli sforzi che gli psicologi e
 giuristi insieme hanno fatto per arginare la piaga
 dell’abusivismo di una professione centrata sulla parola,
 faccenda tutt’altro che banale.

Perché? Perché limitare il divieto di insegnamento alle
“attività riservate e tipiche” della professione di psicologo
ci obbliga a venire allo scoperto e a definirle, riproponendo
l’annosa aporia, anche perché finché vengono solo insegnate,
non vi può essere alcuna teleologia, quindi ci rimane in mano
l’oggetto dell’insegnamento, che è ben poca cosa. Si potrà
insegnare tutto, in sostanza, o quasi. In fondo, anche le
tavole di Rorschach si trovano su Internet.

Il giovane topolino bianco della psicologia si ritroverebbe
costretto a uscire dalla       tana   facendo   un’operazione
estremamente pericolosa.

Perché là fuori troverà sempre uno scaltro formatore in cerca
di facili guadagni svendendo la professione.

Questi, ci possiamo scommettere, ha già piazzato un’affilata
tagliola fuori dalla tana del topolino e non vede l’ora che ci
caschi dentro. La proposta di modifica dell’articolo 21 del
Cnop non fa altro che spingerlo a fare un fiducioso salto là
proprio in mezzo a quelle lame affilate.
Siamo tutti un po’ psicologi
e psicologhe? Anche no!
Ha poco più di trent’anni la legge che definisce la
Professione psicologica, riconoscendone confini e tipicità.
E questo è un fatto.
Mentre non lo è, assomigliando forse più ad una fantasia o ad
un sogno, la regolamentazione di altre attività che si
appropriano furtivamente della nostra professione!

Da maghi a cartomanti, da counselor a mental coach, solo per
fare alcuni esempi, proliferano le proposte, anche in rete, di
servizi psicologici offerti, dalla gestione dell’ansia al
sostegno psicologico per problemi sentimentali o pseudo traumi
(valutati poi da chi e con quali strumenti???).

E l’emergenza da Covid-19 ha soltanto ancora più evidenziato
quello a cui assistevamo quotidianamente ormai da tempo.
Ancora ricordo, con sorprendente aumento durante il lockdown,
il proliferare di più o meno credibili proposte di soggetti
appartenenti ad altre categorie professionali o pseudo tali.
Tutti impegnati, senza alcuna competenza legislativamente e
culturalmente riconosciuta, a promuovere azioni di aiuto per
la valutazione e il superamento del disagio psicologico
derivante dall’emergenza epidemiologica o da altri eventi più
o meno impattanti sul piano della comunicazione suggestiva.
Patologica e allo stesso tempo, sempre e subdolamente
salvifica.

Ad un incalzante bisogno di benessere psicologico, spesso
dimenticato dalle istituzioni governative come obiettivo
prioritario di intervento e di strategie di investimento
pubblico, ecco che rispondono, pure efficacemente sul piano
comunicativo, disparate realtà associative o singoli che
propongono impropriamente e soprattutto furtivamente…seppur
convintamente la salvezza di una cura. Altro che Lupin, che
era pure simpatico!

Ed ecco che arriva a supporto della nostra Professione una
schiera di colleghi e colleghe, talvolta presunte vittime
dirette e/o persone presumibilmente informate che stanano
queste situazioni e le segnalano ai rispettivi Ordini
regionali auspicando un intervento. E proprio grazie a
quest’atto, di corresponsabilità professionale e/o richiesta
di supporto, ci addentriamo con il lavoro istruttorio negli
scenari più disparati per fare luce su questi più o meno
consapevoli ladri della Professione psicologica. Al di qua e
al di là della rete. Da siti internet o ambienti social,
all’appartamento vicino casa: i luoghi in cui i nostri piccoli
e grandi Lupin di diagnosi e sostegno psicologico gestiscono e
pubblicizzano le loro magiche e pericolose avventure. Magiche
perché basate su un certo buon livello di suggestione,
pericolose perché mettono a rischio la salute degli
inconsapevoli pazienti, talvolta anche particolarmente
vulnerabili.

Solo nel Lazio e solo in sei mesi, i primi di insediamento
della nuova Consigliatura e della relativa Commissione Tutela
abbiamo raccolto e gestito ben 65 segnalazioni di cui più del
60% hanno riguardato condotte di presunto abusivismo e
usurpazione del titolo! Entrambi reati penali rispetto ai
quali, se sussiste un ragionevole dubbio emergente nell’ambito
dell’attività istruttoria dedicata, ci si deve rivolgere alle
competenti autorità per l’attivazione dei dovuti
approfondimenti: le Procure della Repubblica per l’esercizio
abusivo e le Prefetture per segnalare le situazioni in cui
viene usato/mostrato pubblicamente un titolo per cui lo Stato
prevede una limitazione. E’ questo il caso dei tanti Lupin e
delle tante Margot che esercitano come se fossero dotati delle
competenze necessarie e abilitanti la professione psicologica
e di coloro che si definiscono psicologi pur non avendo
completato l’iter necessario con l’iscrizione ad un albo…o non
averlo nemmeno iniziato! E pensare che nel nostro caso, ovvero
di una Professione per cui è richiesta una speciale
abilitazione dello Stato, rispetto all’esercizio abusivo, se
dimostrato, la pena prevista è la reclusione da sei mesi a tre
anni con multa (sanzione pecuniaria penale) da € 10.000 a
50.000 con la pubblicazione della sentenza (art. 348 c.p.),
mentre nell’ipotesi di usurpazione del titolo è prevista una
sanzione amministrativa pecuniaria da € 154,00 a 929,00 oltre
alla pubblicazione del provvedimento (art. 498 c.p.).

Ancora non abbiamo un dato di ritorno sulle situazioni che
abbiamo segnalato ai diversi uffici giudiziari competenti
territorialmente, troppo presto, ma noi attendiamo con trepida
attenzione gli esiti delle indagini. E non solo. Abbiamo
offerto la disponibilità di dare un contributo esperto, ad
esempio supportando la raccolta della fonte di prova
dichiarativa, durante, cioè, l’ascolto da parte di pubblici
ministeri e/o polizia giudiziaria delle vittime del presunto
esercizio abusivo.

Le restanti situazioni gestite hanno riguardato bandi e avvisi
pubblici che nella loro formulazione evidenziavano delle
criticità prontamente segnalate ai rispettivi enti
(prevalentemente ASL) e la cui risposta è stata l’annullamento
del bando in autotutela oppure, accogliendo le criticità
evidenziate ma anche le relative proposte di adeguamento, la
sua rettifica con una maggiore linearità e legittimità del
ruolo dello psicologo. E ancora: richieste di parere
specialistico e segnalazioni screditanti la professione in
relazione a contenuti emersi nell’ambito di contenitori
televisivi, carta stampata e social network.

Quali i prossimi obiettivi di tutela e protezione della nostra
Professione? Non solo stanare gli abusivi certo! Non possiamo
mica solo accontentarci del contrasto. Ma riuscire a
promuovere una maggiore consapevolezza nella cittadinanza e
nelle istituzioni pubbliche di quelli che sono gli atti tipici
della Psicologia, i margini di manovra possibili e attualmente
normati per promuovere il benessere psicologico individuale e
collettivo. Costruire accordi e migliorare le procedure
operative, attivarci tutti e tutte per contrastare e non
avallare, come richiamato dal nostro Codice Deontologico,
l’esercizio abusivo, come invece spesso avviene in ambienti
formativi e operativi in cui vengono preparati pseudo-
professionisti all’utilizzo improprio di strumenti e
metodologie cliniche. Dall’analisi della domanda al sostegno
psicologico.

Una battaglia in tal senso è ad esempio quella che ad oggi
molti Ordini degli Psicologi regionali e finalmente anche il
CNOP (meglio tardi che mai!) stanno portando avanti per
contrastare il tentativo di normazione della figura del
counselor presso un tavolo dedicato all’UNI, su cui è peraltro
intervenuto lo stesso Ministero della Salute chiedendone la
chiusura (su sollecitazione dell’Ordine Psicologi Lazio e non
di certo del Consiglio Nazionale), a quanto pare senza essere
ancora ascoltato.

Un’altra è quella quotidiana di monitoraggio dei tanti enti
che furtivamente erogano queste attività illecite anche
accogliendo giovani tirocinanti in psicologia, ancora non
adeguatamente sensibilizzati sulla materia. Ecco perché
auspichiamo anche una sempre maggiore attenzione da parte
degli Atenei universitari a prevedere degli spazi
laboratoriali, seminariali o formativi sulla tutela della
Professione e gli aspetti di etica deontologica, in un’ottica
preventiva e promozionale.

Perché la valorizzazione e il rispetto della Psicologia, senza
se e senza ma, è questione e responsabilità di tutti. Solo
l’occhio attento, impegnato e proattivo di cittadini e
colleghi può infatti supportare il monitoraggio di queste
situazioni illegittime e contribuire a ripristinare un ordine
cosmico in cui ognuno rispetta il proprio margine di azione,
che peraltro spesso si è anche sudato sette camice e 15 gonne
per raggiungerlo! E anche solo per questo merita di essere
protetto. Ma ancora di più per il danno che si rischia di
recare alle persone che hanno bisogno di un (vero) aiuto
psicologico e molta poca consapevolezza del fatto che no, non
tutti siamo psicologi e psicologhe, proprio no!!!

di Vera Cuzzocrea, PhD psicologa giuridica e psicoterapeuta,
Consigliera Ordine Psicologi Lazio e Coordinatrice della
Commissione Tutela.

Finalmente UNI-ti per la
tutela della professione?
Finalmente non saremo più soli.
Dopo più di 15 anni di battaglia, politica e culturale
attraverso la nostra attività associativa e istituzionale
quando ci siamo trovati alla guida degli Ordini, martedì 16
Giugno la nostra comunità professionale sarà compatta per dire
no al riconoscimento dei counselor.

Ci sarà infatti un nuovo incontro al Tavolo UNI per la
normazione dei counselor e per la prima volta quasi tutti gli
Ordini regionali siederanno al tavolo con una posizione netta
e unitaria.

LA NORMAZIONE UNI. Lo scopo dell’UNI è produrre delle norme di
applicazione volontaria con l’auspicato scopo di garantire un
più alto standard di qualità a favore dei consumatori. Si può
proporre di normare praticamente qualsiasi cosa: nell’ultimo
mese sono uscite delle norme riguardanti le valvole in
materiale termoplastico, gli indumenti di protezione per lo
snowboard e le parallele da ginnastica.
Ma non solo. L’UNI può normare anche le cosiddette
“professioni non regolamentate”, ossia tutte quelle afferenti
alla famosa Legge 4/2013, quella cui fanno sempre riferimento
i counselor per accreditarsi      –   impropriamente   –   come
professione “riconosciuta”.

LA NORMA SUI COUNSELOR. Il tentativo di normazione dei
counselor è in corso da ormai qualche anno, caratterizzato da
una caparbietà a tratti incomprensibile.
L’Ordine del Lazio, a guida AltraPsicologia, è presente al
tavolo sin dalla sua apertura e fino a qualche mese fa era
praticamente solo a portare avanti le istanze di chiusura del
tavolo.
Una chiusura richiesta anche dal Ministero della Salute, per
ben due volte: una richiesta assurdamente ignorata dall’UNI,
che prosegue per la sua strada; persino dopo che l’inchiesta
pubblica ha raccolto più di 40mila pareri sfavorevoli alla
normazione.

LA PRIMA VOLTA NON SI SCORDA MAI. Già il 1 Marzo scorso
l’Ordine dell’Emilia-Romagna – ora a guida AltraPsicologia –
insieme all’Ordine del Lazio avevano inviato un ulteriore
sollecito ai Ministeri del Lavoro, della Salute, delle
Sviluppo economico, delle Politiche Sociali, dell’Istruzione e
al CNOP per evidenziare i vari profili di criticità.
Martedì 16 Giugno, finalmente non saremo soli a portare avanti
queste istanze. In queste settimane 19 Ordini regionali su 21
si sono iscritti al Tavolo UNI per rappresentare compatti
quello che per anni come AltraPsicologia abbiamo rappresentato
alla comunità professionale: le attività dello psicologo, sono
esclusiva dello psicologo e nessun altro può improvvisarsi ad
intervenire sulla salute psichica dei cittadini.

UN CAMBIO DI PASSO? Finalmente ci siamo? Finalmente, dopo anni
di battaglia politica, culturale, istituzionale, siamo
riusciti a imprimere una direzione chiara alla politica degli
Ordini sul tema della tutela?

Molti degli Ordini che martedì 16 Giugno saranno al tavolo UNI
per mettere in discussione la normazione, due anni fa
sostenevano favorevolmente la Consensus Conference sul
counseling promossa del precedente CNOP, un tavolo cui
sedevano insieme psicologi e counselor e che era stato
definito un “percorso di pacificazione” . Anche in
quell’occasione, come AltraPsicologia, ci siamo trovati soli,
ma nonostante tutto non ci siamo mai scoraggiati e la
consensus, per fortuna, non ha mai prodotto i suoi frutti.

Il nostro auspicio è che quello di martedì sia il primo di
tanti momenti in cui finalmente l’intera comunità
professionale esce dalle ambiguità cui abbiamo assistito in
questi anni e che sia questo l’inizio di un percorso che
sempre più nettamente si orienti sul tema della tutela,
svincolandosi da conflitti di interesse.
Perché quando punti il dito contro qualcuno, ne punti tre
contro te stesso: prima o poi dovremmo farci concretamente
carico di affrontare il problema di tutte quelle realtà che,
dall’interno della   comunità   professionale,   sostengono   e
formano counselor.

Una nuova videoinchiesta sui
counselor
L’Ordine degli Psicologi del Lazio ha diffuso in queste ore la
nuova video-inchiesta del giornalista Luca Bertazzoni sul
fenomeno dei counselor.
Dopo lo scalpore suscitato dalla prima video-inchiesta, dove
era documentata l’attività di tre “counselor” alle prese con
persone con storie di disagio psicologico, tra cui abuso di
alcol, pensieri suicidari, arriva il seguito.

Se la prima inchiesta aveva sconvolto la comunità
professionale, questa seconda inchiesta, dedicata ai counselor
che prendono in carico minori, desta preoccupazioni se
possibile ancora più angoscianti.

Nel primo caso la counselor vede una ragazza minorenne senza
il consenso dei genitori.

Nel secondo caso la counselor prende in carico una minore con
un fidanzato violento.

Nel terzo caso il counselor, pur rendendosi conto di trovarsi
di fronte a una ragazza minorenne con una storia di grave
disturbo alimentare, prende in carico la paziente invece di
inviarla a dei professionisti sanitari: “sai” – le dice – “è
un’avventura anche per me” . Peccato che l’avventura del
counselor sia sulla pelle di una giovane ragazza con un
problema di salute grave, che chiede aiuto e sta perdendo la
possibilità di ricevere il sostegno di cui ha bisogno in un
momento determinante.

Nel quarto caso il counselor si trova di fronte una minorenne
che porta un problema di abuso di sostanze (cocaina) e durante
il colloquio le confessa candidamente di aver fatto anch’egli
uso di cocaina e altre sostanze…

Nel   quarto caso una counselor, senza nemmeno una laurea, in
uno sportello d’ascolto in una scuola pubblica, prende in
carico il caso di una ragazza vittima di bullismo.

Di fronte a realtà come queste, appare ancora più sconcertante
la condotta tenuta dalla maggior parte degli Ordini al Tavolo
UNI dove si sta cercando di normare i counselor.
Ordini assenti a molte riunioni, quando presenti astenuti a
molte votazioni: all’UNI si va avanti, con solo l’Ordine Lazio
a cercare di arginare questo percorso che rischia di dare un
riconoscimento a questi professionisti che sempre più
evidentemente prendono in carico situazioni di disagio emotivo
e psichico per cui non sono né abilitati né preparati in alcun
modo, mettendo a rischio la salute dei cittadini.
AltraPsicologia combatte da sempre le pseudoprofessioni e
l’esercizio illegittimo delle attività psicologiche: a maggior
ragione ci aspettiamo che queste azioni vengano portate avanti
dagli Ordini.
La tutela non è un optional: la legge 56/89 attribuisce loro
espressamente la funzione di tutela.
Chi ha avuto un ruolo finora ha tenuto posizioni fragili e
ambigue, che hanno esposto i cittadini a professionisti dalla
preparazione incerta e autoreferenziale.
Gli Ordini regionali e il Consiglio nazionale devono avviare
azioni complessive orientate alla tutela della salute del
cittadino e alla prevenzione del danno.

Ci auguriamo che gli Ordini regionali e il nuovo CNOP, che si
insedieranno nelle prossime settimane, possano portare ad un
radicale cambio di rotta, perché, a giudicare da queste
inchieste, la salute dei cittadini non può essere lasciata
alla mercé di tale improvvisazione.

“Il feroce counselor del
Suriname”: un thriller in tre
stagioni
Gli Psicologi italiani hanno appena appreso che esiste una
creatura mitologica: il “Counselor del Suriname”.
Una figura temuta e feroce, che sta cercando di sbarcare in
Italia dalle foreste dell’Amazzonia, e che le Tutor Psicologhe
useranno d’ora in poi per intimidire i Tirocinanti cattivi:
“Se non fai bene la siglatura del test, arriva il Counselor
del Suriname e ti porta via!”.
Con un nome così esotico, sembrerebbe infatti una creatura
tratta dalle avventure di Sandokan; ma invece, secondo UNI
(ente privato di normazione), esisterebbe davvero.
UNI sta infatti inondando migliaia di psicologi italiani con
mail non richieste, in cui ci racconta cose curiose: ad
esempio che il “Counselor” esiste in tanti posti, perfino in
Suriname (il più piccolo Stato dell’America Latina, noto
produttore di canna da zucchero sulle coste caraibiche);
sempre secondo queste comunicazioni, si chiama “Counselor”
perché “Consola la gente”, e sarebbe capace di fare delle
“diagnosi” per sapere quando non può fare diagnosi. Confusi?
Anche noi!
Quale è l’antefatto di questa avvincente vicenda?

IL PREQUEL: LE MISTERIOSI ORIGINI DEL FEROCE COUNSELOR DEL
SURINAME
L’UNI stava lavorando da tempo ad un “Tavolo di normazione”
della “professione di Counselor”. Hanno provato prima a
normare il cosiddetto “Counselor relazionale”; poi – bloccato
questo primo tentativo – hanno tolto la parola “relazionale”,
e stanno ora provando a normare il “Counselor-punto-e-basta”.
Un’iniziativa rispetto a cui AltraPsicologia ha fin
dall’inizio sollevato durissime critiche, nell’apparente
“torpore” (fino a tempi recenti) del Consiglio Nazionale
dell’Ordine; le Istituzioni in cui AP è in maggioranza, Ordine
del Lazio in primis, si sono quindi attivate per chiedere
l’intervento del Ministero della Salute. Il rischio da noi
paventato era che si finisse ipoteticamente col normare delle
attività potenzialmente strabordanti in quelle di ambito
sanitario, cosa vietata dalla Legge.
E il Ministero della Salute è infatti intervenuto, dicendo ad
UNI “Fermatevi, questo Tavolo non s’ha da fare”:

 il progetto di norma UNI n.1605227 pone la figura del
 Counselor non psicologo in palese sovrapposizione con quelle
 dello psicologo (…) in analogia con il precedente progetto
 UNI 08000070 sul “Counseling relazionale”, la cui adozione
 venne già sospesa da codesto Ufficio
(http://www.quotidianosanita.it/lavoro-e-professioni/articolo.
php?articolo_id=70084).
Storia chiusa?
La potente “cannonata” del Ministero avrà impedito al temuto
Counselor del Suriname di sbarcare anche in Italia?

PRIMA STAGIONE: DAL SURINAME CON FURORE
UNI è andata avanti.
Dritta come un treno, ha ignorato l’opposizione dei
rappresentanti di Ordine Lazio, ha ignorato le posizioni del
CNOP, ha ignorato le richieste formali del Ministero.
UNI, per procedura, deve però svolgere una fase di
“Consultazione Pubblica”: hanno così dovuto permettere a tutti
i cittadini di esprimersi sul loro sito (ne avevamo parlato
qui).
Sono stati subito sommersi da decine di migliaia di pareri
negativi, con commenti giunti da professionisti di ogni parte
di Italia che spiegavano i gravi rischi di questo tentativo di
normazione. E’ stata la più grande risposta pubblica nella
storia di UNI: non avevano mai avuto una tale marea di
riscontri contrari!
A questo punto, sommerso da questa reazione di massa, il
temibile Counselor del     Suriname   sarà   stato   finalmente
rispedito ai Caraibi?
No.
Si sa: il Counselor del Suriname è una creatura feroce e
resistente, che non si fa certo intimidire da una semplice
Consultazione Pubblica!
Come nei migliori climax delle serie televisive, proprio
mentre sembrava finalmente a terra immobile, abbattuto
dall’onda d’urto della Consultazione, nell’ultima inquadratura
dell’ultima puntata si vede la sua mano che riprende a tremare
leggermente…

SECONDA STAGIONE: “LOST IN GDPR”
Succede a questo punto qualcosa che nessuno capisce.
Sembra infatti che qualcuno nelle stanze di UNI abbia preso
tutte le migliaia di email di chi aveva partecipato alla
Consultazione pubblica, e le abbia associate una per una alla
tipologia esatta di opinioni personali espresse (senza che
apparentemente nessuno se lo immaginasse, o avesse autorizzato
ai sensi del GDPR tale ben specifico trattamento di
categorizzazione      a   fini   di   contatto    successivo
personalizzato).
“Classificati” a decine di migliaia, sulla base delle nostre
idee personali e politico-professionali sul counseling,
associandole in un database privato alla nostra identità ed
email? Abbiamo capito bene?
E, sulla base di questa classificazione inattesa delle
opinioni personali di migliaia di noi, un soggetto privato sta
ora contattandoci in massa per mandarci sette diversi tipi di
comunicazioni personalizzate sulla base delle nostre idee
politico-professionali, da loro conservate internamente?
Ai profili in codice con cui siamo stati classificati (da “R0”
a “R6” – io ad esempio sarei un “Soggetto R5”), conseguono
infatti “lezioni personalizzate” sul perché intendano normare
il counseling (e allora, perchè mai fare la Consultazione?);
ma, ancora più strano, le risposte sembrano essere tutte
“difese del counseling”, quasi come se l’Ente pensasse di far
cambiare opinione a chi gli aveva dato parere negativo in una
Consultazione pubblica!
Strano: personalmente, non ricordavo di aver mai autorizzato
UNI a “classificarmi” assieme a migliaia di altre persone,
sulla base delle mie idee ed al fine di ricontattarmi dopo in
modo personalizzato. Ma certamente avrò problemi di memoria
io: in fondo, sono solo uno psicologo, non un infallibile
Counselor del Suriname…
Se fosse stato solo un feedback tecnico, ci saremmo aspettati
che ci inviassero gli esiti della Consultazione: “Grazie della
partecipazione; hanno risposto in tot persone, X hanno detto
Sì, Y hanno detto No”. Paradossalmente, nessuna informazione
di questo tipo è stata mandata ai partecipanti.

STAGIONE FINALE: L’ARRIVO DEI COUNSELOR DEL SURINAME A GRANDE
INVERNO, O L’INATTESO RITORNO JON “GDPR” SNOW?
Che succederà, adesso, nella attesissima Stagione finale di
questo serial, che ormai compete col Trono di Spade?
I feroci Counselor del Suriname, creature simili agli Estranei
in quanto capaci di sopravvivere ripetutamente ai durissimi
colpi delle richieste Ministeriali, degli Ordini e delle
Consultazioni Pubbliche, avanzeranno oltre la Barriera? Oppure
ci sarà qualche interessante colpo di scena, nel finale di
stagione?
Come AltraPsicologia, stiamo – come sempre – sulla Barriera; e
anche nelle Istituzioni in cui siamo maggioranza ci stiamo
muovendo per approfondire le numerose domande relative al GDPR
che ci giungono in questi giorni da centinaia di colleghi
inviperiti, e che ci esprimono il loro disagio personale
perché si sentono – almeno apparentemente – “classificati a
loro insaputa”.
Riscontreremo presto ai colleghi di tutta Italia. Soprattutto
nei prossimi mesi, quando magari un nuovo CNOP a maggioranza
AltraPsicologia potrebbe dire in maniera molto chiara e senza
timidezze cosa ne pensano davvero, gli Psicologi Italiani, dei
Counselor del Suriname…
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