FRIDA KAHLO E IL MONDO DELL'ARTE - Saggio in catalogo di Helga Prignitz Poda

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FRIDA KAHLO E IL MONDO DELL’ARTE
Saggio in catalogo di Helga Prignitz‐Poda

Un nome noto a tutti: Frida Kahlo, che nel corso degli ultimi dieci anni è diventata, da Kahlo l’artista,
una star mondiale, la cui immagine ha raggiunto, negli stand di merchandise di tutto il mondo, una
popolarità analoga a quella di Che Guevara. E come il nome dell’eroe rivoluzionario cubano si è
trasformato nel brand “Che”, oggi Frida Kahlo, nell’epoca della sua iconizzazione, è diventata
“Frida”. Sulla scia di questi sviluppi ci si è anche assuefatti a che tutti i libri – e quasi tutti i numerosi
saggi sull’artista – comincino lamentando che la sua opera venga interpretata in maniera
esclusivamente biografica. Perché questo fenomeno continua a ripetersi? Perché le opere di Frida
Kahlo hanno sempre un riferimento diretto alle vicende che circondano la sua complessa figura
oppure semplicemente perché è proprio su quest’ultima che l’attenzione della critica si sofferma più
volentieri? Per giudicare con equità i quadri di Frida Kahlo occorre prendere in considerazione
entrambi questi aspetti: il mondo interiore dell’artista, ma anche il mondo esterno, reale, e in
particolare il mondo dell’arte che l’ha spinta ad essere pittrice. È il momento di separare l’opera di
Frida Kahlo dalla sua biografia, prima che i quadri che ha dipinto vengano completamente inghiottiti
dalle storie che li circondano. Gettiamo dunque uno sguardo al mondo dell’arte che si dispiegava
fuori della Casa Blu di Coyoacán, dato che esso ha segnato l’opera di Frida Kahlo più di quanto si sia
in genere disposti ad ammettere. È necessario catalogare i quadri dell’artista anche in termini
iconografici per poter individuare, dietro la facciata dell’autorappresentazione, le poliedricità e il
significato recondito delle sue opere.

In questa osservazione a distanza della personalità di Frida Kahlo, la linea direttrice è rappresentata
dalla storia del Messico, il cui spirito, immanente all’artista, manifesta una propria autonoma energia
all’interno delle opere pittoriche. Diego Rivera, che fu un pioniere nella riscoperta dell’arte
preispanica del Messico, aveva acquisito una ricca collezione che per Frida rappresentò una fonte
importante nella riproposizione, all’interno delle sue composizioni, di singoli oggetti e sculture. Frida
Kahlo condivideva l’amore di Rivera per questi oggetti e, come lui, nella biblioteca conservava accanto
a pubblicazioni archeologiche e storiche alcune riedizioni di codici aztechi e maya. Mentre Diego
Rivera si immergeva negli studi storici per realizzare la sua pittura carica di riferimenti storiografici,
Frida Kahlo si occupava in particolare dell’impronta filosofica e anche culturale di questo materiale
scritto. Per esempio, si trova più volte citata, nel mondo delle immagini dell’artista, la leggenda del
quinto sole, il mito azteco della creazione. Qui la doppia divinità Ometeotl assume nella sua duplicità
le forme più diverse: è uomo e donna allo stesso tempo, e riunisce in sé nascita e morte. L’idea di
questa dualità unificata in se stessa definisce largamente il pensiero messicano, costituendo così anche
una parte del mondo concettuale di Frida Kahlo. Più volte l’artista si è ritratta in una gonna color
giada con una camicetta rossa, identificandosi in tal modo con la dea Coatlique, che indossa una veste
di serpenti e un corpetto fatto di cuori sanguinanti, ed è vista come la madre degli dei e della terra che
genera la vita, ma al tempo stesso la divora avidamente. Molte volte Frida si adorna anche del simbolo
di Ollin, simbolo dell’età del quinto sole in cui, stando alla saga azteca, si trova attualmente l’umanità
dopo aver vissuto i quattro cicli precedenti. È importante però comprendere che ella non ricorreva ai
simboli di queste leggende per trasporli direttamente nella sua arte: utilizzava piuttosto queste antiche
formule per rinviare alla propria problematica storia personale.

L’arte popolare messicana è un altro fattore di rilievo nel mondo artistico di Frida Kahlo; in particolare
la pittura dei retablos e degli ex‐voto, ovvero l’arte popolare con intrecci cattolico‐cristiani che dopo la
conquista di Cortés era diventata una fonte di conforto spirituale per i messicani già avvezzi al
sacrificio. Frida Kahlo possedeva una ricca collezione di queste piccole immagini dipinte su legno o
metallo che, in stile naïf (ma con profonda sacralità), riproducevano i miracoli dei santi. Nella sua
pittura, da un lato l’artista si avvicinava formalmente ai piccoli ex‐voto dipinti su metallo, dall’altro
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ricorreva al linguaggio dell’arte popolare per rivolgere una preghiera alle potenze superiori, nel senso
di un ex‐voto. Si prendeva così la libertà di anticipare con i propri ex‐voto il miracolo ancora
irrealizzato e, anziché esprimere un ringraziamento, rendeva pittoricamente manifesto il miracolo,
ottenendolo in tal modo. Ma con l’aggravarsi delle condizioni di salute di Frida la pittura degli ex‐
voto diviene un gioco amaro, non essendoci alcun motivo per ringraziare e per accrescere, in modo
quasi ottuso, il numero delle sue preghiere. Uno degli ex‐voto della collezione di Frida Kahlo
riproduceva un incidente del tutto simile a quello da lei patito da ragazza. L’artista se ne serve come
objet trouvé, includendovi una scritta in cui i suoi genitori ringraziano la Madonna Addolorata per aver
salvato la figlia dalla morte. Frida Kahlo rompe quindi con le tradizioni dell’arte preispanica e
popolare per fare un uso emblematico del pensiero creativo di quell’arte e trasporre un pensiero in un
racconto per immagini.

L’arte popolare del Messico fu riscoperta negli anni venti dai ribelli Muralisti e fu presa a modello, con
ripercussioni pari a quelle che ebbe, ad esempio, l’arte dei mari del sud sul Modernismo dopo
Gauguin. La rivista “Mexican Folkways”, fondata nel 1925 da Frances Toor, fu uno degli organi più
importanti di questo movimento, che diede nuova dignità all’arte popolare messicana fra gli
intellettuali della nazione. Nella rivista, gli articoli sull’artigianato artistico delle province del Messico
facevano da contraltare ai Song Sheets e alle brevi storie ripescate tra le favole e i miti messicani.
L’influenza di questo movimento alimentato da “Mexican Folkways” sul lavoro artistico di Frida
Kahlo è stata fino a oggi discussa solo sporadicamente. L’esempio più noto di appropriazione di
elementi dell’arte popolare da parte di Frida Kahlo è indubbiamente il dipinto The Frame, che è stato
acquistato dal Louvre nel 1939 in occasione della sua mostra a Parigi. Ella dipinse questo autoritratto
in stile ex‐voto su metallo, aggiungendovi una cornice realizzata da artigiani in pittura policroma su
vetro, del tipo che si utilizza solitamente per le immagini dei santi. Immagine e cornice sono in una
combinazione così perfetta che si potrebbe pensare che siano stati entrambi realizzati dalla pittrice.
Insieme, due elementi del dipinto danno vita a un’opera annoverata tra le più iconiche di Frida Kahlo,
quella che, nell’immaginario collettivo, ha trasformato l’artista in una sorta di santa.

Nel 1940, Frida Kahlo acquistò due orologi di ceramica, nei quali la posizione delle lancette variava in
misura minima a significare che le ore tra la separazione da Rivera, segnata su uno degli orologi, e il
nuovo matrimonio, indicato sull’altro orologio, erano ore perdute. Quest’opera, da lei intitolata Le ore
spezzate (Las horas rotas), consente di riconoscere chiaramente l’influenza di idee e metodologie
surrealiste, anche se Frida non approvava l’interpretazione surrealista del proprio lavoro. Quando
l’artista messicana vi si dedicò, il procedimento di includere nelle composizioni figurative oggetti reali
ma producenti un effetto di straniamento aveva appena fatto la sua comparsa nell’arte, con il famoso
Ready‐made di Marcel Duchamp del 1915. Il metodo di appropriazione proprio di Frida Kahlo si
indirizzava non solo all’arte popolare e ai classici moderni, ma anche alla letteratura. Indagava in tal
modo per se stessa i confini della sua arte, non solo ciò che è rappresentabile ma anche il concetto
stesso del rappresentabile. Da ragazza Frida Kahlo non aveva ricevuto una vera e propria formazione
nelle arti plastiche, e anche la letteratura iniziò ad attirarla solo molto più tardi. Comprava piuttosto
stampe popolari con le ballate di Posada, le popolari linoleografie dell’artista che avrebbe poi segnato
tutte le successive generazioni di grafici del paese. Le opere di Posada, insieme all’esempio di suo
padre, rappresentarono la prima lezione d’arte. Frida Kahlo probabilmente ereditò da Posada, dal
linguaggio delle sue immagini e dalle corde spesso grottesche con cui egli usava rappresentare
atrocità quotidiane e mutilazioni, il coraggio di riprodurre nei suoi quadri tanto le meraviglie quanto
le mostruosità del tempo. Molto presto, Frida Kahlo creò un proprio mondo di fantasia che la
preservava dalle realtà peggiori, e trovò mezzi e vie per sfuggire alla vita familiare, talvolta amara.

La prima scissione di sé in un’amica immaginaria, nella quale si rifugiava nei momenti difficili, viene
ampiamente descritta dall’artista nel suo diario. È lei che appare al suo fianco anche nel suo quadro
più famoso: Le due Frida:

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Origine delle due Frida = Ricordo

      Dovevo avere sei anni quando vissi intensamente l’amicizia immaginaria con una bambina... della
      mia stessa età, più o meno. Sulla vetrata di quella che era allora la mia stanza e che dava su via
      Allende, sopra uno dei primi vetri della finestra. Facevo ‘Bau’ e con un dito disegnavo una ‘porta’...
      Da questa ‘porta’ uscivo con l’immaginazione, in grande allegria e fretta. Attraversavo tutta la
      pianura che si vedeva, fino a arrivare a una latteria che si chiamava PINZÓN... Entravo dalla O di
      PINZÓN e mi ritrovavo IMPROVVISAMENTE dentro la terra, dove la mia amica immaginaria mi
      attendeva sempre. Non ricordo la sua immagine, né il suo incarnato. Però so che era allegra, si
      rideva molto. Senza suoni. Era agile e ballava come se non avesse alcun peso. Io la seguivo in tutti i
      suoi movimenti, e mentre ballava le raccontavo i miei problemi segreti. Quali? Non ricordo. Ma lei
      dalla mia voce sapeva tutte le mie cose... Quando tornavo alla finestra, entravo per la stessa porta
      disegnata sul vetro. Quando? Per quanto tempo ero stata con ‘lei’? Non so. Poteva essere un
      secondo o mille anni... Io ero felice. Cancellavo la ‘porta’ con la mano e ‘scompariva’. Correvo, con
      il mio segreto e la mia allegria, fino all’ultimo angolo del cortile di casa mia. Sempre nello stesso
      punto, sotto un albero di cedrón, gridavo e ridevo. Stupita di essere sola con la mia grande felicità e
      il ricordo tanto vivo della bimba. Sono passati 34 anni da quando ho vissuto questa magica amicizia
      e ogni volta che la rammento si ravviva cresce sempre più dentro il mio mondo. PINZÓN 1950.
      Frida Kahlo, Le due Frida.

La casa dei genitori di Frida Kahlo era governata dal padre Guillermo Kahlo, originario della Germania,
fotografo professionista di architettura e paesaggi, che su incarico statale si dedicava a documentare
l’architettura tipica del paese. Guillermo Kahlo fotografava soprattutto il passato coloniale del paese,
dalle costruzioni ecclesiastiche alle missioni, ma anche singoli progetti di nuova edilizia, che all’epoca
incontravano grande interesse. Frida Kahlo accompagnava spesso il padre nei suoi viaggi perché,
soffrendo lui di epilessia, aveva bisogno di qualcuno che nell’eventualità di un attacco proteggesse la
sua attrezzatura dai ladri. Di ritorno a casa, Frida aiutava il padre a ritoccare le fotografie, imparando in
questo modo la precisione nell’uso del pennello che avrebbe in seguito caratterizzato il suo lavoro. Fu
sempre il padre a mandarla alle sue prime e uniche lezioni d’arte, presso l’amico grafico Fernando
Fernandez. Questi mostrò a Frida dei libri con illustrazioni sull’arte europea, delle quali le chiedeva di
fare delle riproduzioni.

      Nel 1925, il mio atelier grafico era allestito nella via Bolivar, in una casa in cui era ospitata anche una
      fabbrica francese di corsetteria. Ero in stretta amicizia con il signor Guillermo Kahlo, il padre di Frida,
      con cui convenimmo che Frida dovesse prendere da me lezioni di disegno. Visto l’enorme talento da lei
      mostrato, volli farle apprendere le complesse tecniche dell’incisione su rame e ad ago freddo. Le diedi
      un libro con riproduzioni dei fantastici lavori di Anders Zorn e rimasi veramente stupito delle capacità
      di questa straordinaria artista. Copiava direttamente, a prima vista, con la sua penna e intanto dava
      con la matita solo i tratti più piccoli, con una sicurezza e magnificenza quali si possono ammirare
      soltanto in questi originali...

Nello stesso atelier, Frida Kahlo realizzò nel 1925 anche la linoleografia Due donne (pubblicata in seguito
come illustrazione editoriale), che già non si ispirava più all’impressionista Anders Zorn, bensì alle
incisioni su legno dell’artista belga Frans Masereel, i cui lavori erano diventati assai popolari dopo la
prima guerra mondiale per il loro messaggio chiaramente umanistico e il linguaggio formale
semplificato, trovando vasta diffusione. Frida Kahlo conosceva l’opera di Masereel, la cui pubblicazione
Das Werk si trova ancor oggi nella sua biblioteca. È anche ipotizzabile che il suo maestro di allora
Fernando Fernandez avesse sentito parlare di lui. Nell’incisione silografica, la giovane Frida utilizzava
tecniche assolutamente simili a quelle di Masereel, che davano come risultato chiari contrasti in bianco e
nero, corpi femminili dalle forme sensuali e anche la piccola natura morta floreale in primo piano a
destra, dalla rappresentazione ambigua. Questa piccola linoleografia, come le copie da essa realizzate,
costituisce comunque l’unica prova di una qualche sorta di lezione d’arte seguita da Frida Kahlo.
Mentre il suo futuro marito Diego Rivera aveva studiato e frequentato per sette anni l’accademia d’arte
in Messico, godendo in seguito di una borsa di studio che gli permise di studiare per altri quattordici

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anni le correnti artistiche europee direttamente in Spagna, Francia e Italia, entrando in contatto con
diversi circoli di artisti, Frida Kahlo aveva solo ricevuto dal suo maestro Fernandez un libro d’arte da
ricopiare.

      Mi sono interessata alla pittura quando avevo circa dodici anni. Intorno ai quindici anni ho iniziato a
      disegnare. Ho ancora il primo disegno, un autoritratto del 1925.

Nel frattempo Frida Kahlo, che voleva diventare medico, frequentava la Scuola Nazionale di
Preparazione, dove si aggregò al gruppo ribelle dei Los Cachuchas, che dovevano il loro nome ai
baschetti che portavano. I Cachuchas si ispiravano, come Frida Kahlo nelle sue prime opere, al
movimento artistico messicano dell’Estridentismo, fondato nel 1921 con un manifesto e al quale era
specialmente vicino, come leader del movimento studentesco, l’allora innamorato di Frida Kahlo,
Alejandro Gomez Arias. Gli Estridentisti erano contrari a tutti i principi reazionari – come
l’orientamento uniforme del pensiero degli intellettuali e dei giovani – e lottavano per il rinnovamento
nel Moderno. L’Estridentismo fu una reazione alla Rivoluzione Messicana, in seguito a cui vennero
bandite dal paese le eleganti influenze francesi della dittatura di Porfirio Diaz, per riscoprire
successivamente la vita di campagna e anche “l’uomo semplice” e la sua cultura popolare. Frida Kahlo
si sentì attratta dalla gioventù di questo mondo delle Carpas, dei teatri popolari e delle birrerie, della
musica dei Mariachis e dei Corridos. Le piaceva ribellarsi al fianco dei suoi amici, i Cachuchas, si tagliò i
capelli corti insieme alle altre ragazze del gruppo e rifiutò di portare il corsetto. Le ragazze dei
Cachuchas venivano considerate talmente licenziose nel modo di vestire, che l’associazione femminile
cattolica chiese un intervento della polizia.

Intanto, l’arte da cui prese vita l’Estridentismo andava mostrando un rinnovamento nel metodo del
montaggio compositivo, con risultati che evocavano le peculiari atmosfere della pittura metafisica. Il
primo manifesto estridentista, redatto nel 1921, invocava una tabula rasa della traduzione, culminando
nell’appello a mandare Chopin sulla sedia elettrica, sottoscritto da tutti i seguaci della Vanguardia. Tutti
i nomi che vi apparivano ebbero un ruolo nell’opera successiva di Frida Kahlo. Tra loro c’erano Max
Jacob, Tristan Tzara, François Picabia, Breton, Éluard, Marcel Duchamp, Élie Faure, Picasso, Max Ernst,
Christian Schad, Vasilij Kandinskij, Gino Severini, Mario Broglio, Kurt Schwitters, Amedeo Modigliani,
Giorgio de Chirico e molti altri. Le prime opere di Frida Kahlo sono quindi fortemente influenzate
dall’Estridentismo, con forti assonanze alla pittura metafisica – e ai lavori di Giorgio de Chirico in
particolare – nella rappresentazione dell’immagine moderna della città, dei Cafés e degli incontri
politici. Durante questo periodo, la scuola e specialmente gli amici contribuirono molto alla formazione
letteraria di Frida Kahlo.

      Fino a oggi non avevo praticamente letto nulla. Devo dire grazie a loro (i Cachuchas), che mi hanno
      introdotto alla letteratura di ogni genere e argomento... Nei quattro anni alla Prepa non ho studiato
      nulla. Mi limitavo a leggere ciò che mi indicavano i ragazzi, impegnandomi al minimo...

Alejandro Arias, compagno di scuola di Frida Kahlo e suo giovane innamorato, che si trovava con lei
quando nel 1925 ebbe l’incidente che per poco non le costò la vita, dopo l’infortunio venne mandato dai
genitori in Europa per un viaggio di istruzione. Al suo rientro portò con sé dei libri per Frida sull’arte
classica europea.

      Dopo l’incidente iniziai a dipingere, e nacquero l’autoritratto con le nuvole e i ritratti di Adriana Kahlo,
      Lira, Alicia Galant, Cristina Kahlo e Augustin Olmedo. Sono tutti più o meno dello stesso periodo. Con
      gli ultimi portavo il corsetto di gesso. Mi alzavo di notte dal letto per dipingere.

      Gomez Arias mi portò dall’Europa dei libri di pittura e di pittori. Erano i primi libri sull’arte che avessi
      tra le mani.

      Diventammo amici e quando veniva in visita avevo dipinto quattro o cinque cose, e lui mi abbracciava
      dicendomi che avevo un sacco di talento...

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L’avvenimento di gran lunga più importante durante il periodo scolastico di Frida Kahlo fu però la
possibilità di osservare Diego Rivera impegnato nell’esecuzione del murale Creazione, realizzato nella
sua scuola tra il 1921 e il 1923. Sui primi incontri fra i due ci sono molti resoconti, anzi leggende, che
offrono diverse variazioni di natura romantica quanto spettacolare sui primi contatti visivi e scambi
verbali. Per contro, non esistono relazioni né studi su quanto Frida Kahlo sia stata forse ispirata e
plasmata anche a livello artistico dall’osservare in dettaglio Diego Rivera al lavoro per quest’opera.
Proprio questa pittura murale di Rivera viene da lei citata in una delle sue successive e più grandiose
opere (Moses o Nuclear Sun).

All’incirca due anni dopo il suo incidente e tre anni dopo il primo contatto con Diego Rivera a scuola,
Frida Kahlo aveva dipinto un buon numero di quadri, che intendeva a quel punto mostrare all’artista.
Voleva sapere da lui se il suo talento era sufficiente a guadagnarsi da vivere come pittrice.

      L’incidente mi aveva rovinato ogni cosa. Ero tornata (è vero) a scuola, ma tutto mi faceva male e avevo
      poca energia. Portai i miei dipinti a Diego e gli piacquero molto, specialmente l’autoritratto. Degli altri
      mi disse che ero influenzata dal Dr. Atl e dal Montenegro e che dovevo cercare di dipingere quel che
      volevo, senza venire influenzata da qualcun altro. Ciò mi impressionò molto, e iniziai a dipingere ciò
      in cui credevo. ...Allora dipinsi due o tre quadri, che devono essere in casa da qualche parte e che mi
      sembrano molto influenzati da lui. Sono ritratti di giovanetti di 13 o 14 anni...

I commenti di Diego Rivera incoraggiarono Frida a continuare a dipingere. L’amore che nacque in
seguito tra i due e che portò Rivera a chiedere infine la mano della giovane artista è un altro dettaglio
biografico che in genere si ama molto raccontare, proponendone diverse varianti. Una variante asserisce
che i due fossero stati uniti dalla rivoluzionaria italiana Tina Modotti, che era la fotografa di case della
“Mexican Folkways”. Nel 1925 era stata la modella delle pitture murali di Rivera Terra Vergine e
Germination a Chapingo e anche sua amante, mentre lui era ancora sposato con Lupe Marin. La
Modotti da parte sua lavorava allora con il fotografo americano Edward Weston a documentare la storia
culturale del Messico. Sempre per “Mexican Folkways” essi ritrassero anche gli artisti del Muralismo e
le loro opere. Quando la Modotti incontrò Frida Kahlo nel 1928, la introdusse nel movimento giovanile
comunista; la festa di nozze della coppia ebbe luogo l’anno successivo sulla terrazza di Tina Modotti. Il
17 settembre 1929 Tina Modotti scriveva a Edward Weston:

      Non ti ho raccontato che Diego si è sposato? Intendevo farlo. Una diciannovenne carina, figlia di padre
      tedesco e madre messicana: Frida Kahlo...

È finora passato alquanto inosservato che fu questa breve amicizia con Tina Modotti a spingere Frida
Kahlo a sperimentare la fotografia. Fece alcune fotografie rivolgendo lo sguardo, come la Modotti, alle
cose quotidiane e al contempo poetiche del suo ambiente. Immortalava attrezzi da falegname, come
anche una bambola caduta da un carro. Questi oggetti accuratamente disposti, volutamente sistemati in
determinate composizioni, rivelano chiaramente l’impatto della fotografia simbolica di Tina Modotti su
Frida Kahlo, in quanto non riportano in alcun modo alla prospettiva grandangolare della fotografia
architettonica del padre, che comunque aveva sicuramente segnato le sperimentazioni fotografiche
della figlia.

Diego Rivera immortalò l’amicizia tra Tina Modotti e Frida Kahlo nel suo famoso murale Corrido de la
Revolución presso il Ministero dell’Istruzione di Città del Messico. Il ritratto mostra le due donne
nell’atto di distribuire armi ai rivoluzionari. Anche Frida Kahlo (cosa nota a pochi) immortalò il breve
tempo dell’amicizia con la Modotti nel piccolo quadro di impronta umoristica L’Autobus, che riunisce
sulla lunga panca di un autobus i protagonisti del mondo (concettuale) della Frida di allora. Vi presenta
Tina Modotti come amica “materna” che tiene in braccio un bambino avvolto nel suo rebozo (scialle),
con gli occhi abbassati, proprio come Edward Weston ha spesso fotografato la musa. Con questa
rappresentazione, la giovane Kahlo voleva alludere, tra il serio e il faceto, alle famose fotografie iconiche
di madri messicane della classe operaia scattate dalla Modotti. Il quadro presenta poi l’imprenditore e
mecenate americano Spratling, che siede a destra di Tina con un sacchetto di monete in mano. Era
Spratling che pensava allora a far affluire denaro alle casse di Rivera. E siccome doveva allora le sue
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entrate finanziarie a un capitalista, alla fine fu anche per questo motivo che Diego Rivera fu escluso dal
partito comunista messicano. Questo primo piccolo scandalo che si verificò poco dopo il matrimonio
diede occasione alla Modotti, comunista convinta, di interrompere bruscamente i contatti con Rivera.
Nell’Autobus, Rivera è raffigurato a sinistra della Modotti come un semplice operaio in tuta blu da
lavoro, e accanto a lui siede la moglie Lupe Marin, da cui si è appena separato. Proprio a destra, in
margine al quadro, in questo breve ma felice momento di viaggio collettivo nella vita di questi cinque
personaggi, siede la stessa Frida, giovane e vestita con gusto moderno.

L’Autobus viene spesso erroneamente interpretato come un riferimento dell’artista al suo incidente. In
effetti, già in questo lavoro giovanile di Frida Kahlo si manifesta il grande talento di far apparire le cose
diverse da quello che sono. L’inclinazione dell’artista a essere, per sua stessa definizione, una Gran
Ocultadora, le serviva a rappresentare l’ambiente come apparentemente decoroso, criticandolo di
nascosto con raffinate allusioni. Spesso portava così i suoi amici al riso, mentre lei piangeva amare
lacrime dietro la maschera dell’ilarità. Ciò induce in errore anche quanti osservano i suoi quadri. Con
L’Autobus, Frida strumentalizza la propria manovra ingannatrice per arrivare all’effetto contrario: lascia
credere di aver fissato qui i suoi ricordi dell’incidente, mentre in realtà offre un commento sui suoi
amici permeato di fine derisione.

      Ci trasferimmo... a Coyoacán, e questo ebbe un’enorme influenza su di me. Come dipingevamo la
      casa e i mobili messicani, tutto aveva grosse ripercussioni sulla mia pittura... Appena fummo a
      Coyoacán, iniziai lavori con dentro sfondi e soggetti messicani.

È a quest’epoca che risalgono altre due opere, esibite al pubblico per la prima volta proprio nella mostra
di Roma. Nel 1928, Frida ritrasse due domestiche della casa dei genitori in un quadro, Due donne
(Salvadora e Herminia), che solo alcuni mesi più tardi venne pubblicato con una fotografia di Tina
Modotti nella rivista bilingue “Mexican Folkways”. Il quadro era stato venduto poco tempo prima al
collezionista americano Jackson Cole Phillips, con una festa in cui i partecipanti apposero le proprie
firme sul retro del quadro, testimoniando così la prima vendita di un dipinto di Frida Kahlo. In uno
studio stilistico inedito, Luis‐Martín Lozano sottolinea l’affinità del lavoro con le Escuelas de Pintura al
Aire Libre fondate da Alfredo Ramos Martínez (1871‐1946), nelle quali le tradizioni europee non
vengono rigettate, bensì arricchite, ponendole in collegamento con l’arte popolare messicana. In modo
analogo alle opere della Nuova Oggettività, le due donne nel quadro di Frida si mostrano in un rigido
profilo di tre quarti, presentandosi senza alcuna azione gestuale in forma quasi idealizzata, dinanzi a
uno sfondo piatto di fogliame verde privo di prospettiva. Frida Kahlo amava però le ambiguità
iconografiche, e anche in questo ritratto degli esordi ha giocato con i significati enigmatici di singoli
elementi figurativi: due arance, come pure due farfalle, trasferiscono le donne in un mondo reale‐
surreale. Nell’iconografia cristiana delle raffigurazioni della Madonna, l’albero di arance era ed è visto
come allusione a grande virtù o anche come riferimento al Paradiso celeste o terrestre. Con lo stesso
significato, anche Botticelli nella Primavera collocò le tre Grazie davanti a uno sfondo di alberi di
arancio, a sottolineare le virtù femminili. Una farfalla, invece, simboleggia l’anima maschile. La pittrice
ci presenta quindi le due domestiche come donne che governano la casa con virtù ed energia.

Il secondo quadro della mostra, mai esposto prima in pubblico, è il Ritratto di Miriam Penansky,
realizzato un anno dopo, raffigurante la cognata del commerciante di pelli Salomon Hale, uno tra i
primi collezionisti ad acquistare opere di artisti messicani. Miriam era venuta in Messico da Chicago in
occasione della nascita del primo figlio di Salomon e della moglie Anna, per aiutare nella gestione della
casa di Hale, prima di iniziare a insegnare musica al Conservatorio di Stato. Il ritratto mostra
l’americana all’età di ventun anni, seduta su una semplice sedia di legno, davanti a una parete
disadorna. L’elegante colletto plissettato e la raffinata acconciatura alla moda spezzano comunque la
semplicità della scena. Degno di nota è il collo di Miriam che, pur privo di gioielli, richiama l’attenzione.
Si può immaginare che inizialmente, per alleggerire la cupa atmosfera del quadro, dovesse essere
adornato da una collana, poi non realizzata. Sotto l’ultimo strato di pittura si possono riconoscere anche
una decorazione floreale dietro la figura e un piccolo scaffale a parete con oggetti di arte popolare
messicana. Ma tutta questa decorazione, resa visibile da radiografie del quadro, probabilmente sembrò
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eccessiva a Frida Kahlo, tanto che la ricoprì di colore, limitandosi volutamente alla parete neutra.
L’opera si inserisce così nel semplice stile popolare della sua fase creativa di quest’epoca, fortemente
ispirata all’arte di Diego Rivera.

Il terzo quadro di questa serie giovanile di ritratti che spiccano per i loro riferimenti alla Nuova
Oggettività è il Ritratto di una signora in bianco del 1929, la cui identità è rimasta sconosciuta per decenni.
Solo di recente i discendenti della giovane donna ritratta si sono messi in comunicazione con una
gallerista, inviandole una foto della loro antenata. Hanno riferito che si trattava della zia Dorothy
Brown, che aveva studiato spagnolo negli Stati Uniti e nel 1928 si era recata in Messico per perfezionare
le sue conoscenze linguistiche. Dopo il rientro negli Stati Uniti, la signora Brown divenne insegnante di
spagnolo e sposò l’ottico Stanley Fox. Un’intima amicizia documentata da uno scambio di lettere legò
per molto tempo la Brown a Frida Kahlo. Il quadro è incompleto, probabilmente perché Dorothy partì
prima che fosse ultimato. La famiglia definisce oggi Dorothy Brown molto intelligente ed emancipata.
Oltre ad avere una mente vivace, la Brown era anche estremamente cordiale e aperta, e incoraggiò e
sostenne sempre i membri più giovani della sua famiglia.

Questo quadro si attiene ancora alla tradizione pittorica messicana, eppure al contempo sembra
richiamarsi alla Nuova Oggettività. Ma anche in questo caso la tensione dell’opera e il suo fascino
nascono dal peculiare approccio di Frida Kahlo all’iconografia. Nella tradizione pittorica, una tenda
purpurea che incornicia la scena valorizza l’importanza della persona rappresentata e ne sottolinea
l’alto rango, specialmente nei ritratti di regnanti. Anche in questo quadro viene così conferita all’amica
una dignità quasi intangibile che, unita a molti dettagli che emanano sensualità, fanno di questa Signora
in bianco una regina di cuori di grande seduzione. Si notino lo sguardo di sfida e pieno di desiderio di
Dorothy Brown, le rosse labbra sensuali, i cuori rovesciati della ringhiera in ferro battuto del balcone, le
braccia nude, il generoso décolleté.

Il fatto di essere sposata con Diego Rivera cambiò molte cose nella vita di Frida Kahlo. Prima di tutto
cominciò a immergersi profondamente nella cultura e nell’arte popolare messicana, con effetti che si
palesarono ben presto nei suoi quadri. Prese poi l’abitudine di ritrarre familiari e domestici,
raffigurandoli frontalmente, seduti su semplici sedie di legno, come faceva spesso Diego Rivera.

Fino alle sue nozze con Rivera, grande viaggiatore, Frida non aveva visto niente del mondo oltre
l’altopiano centrale del Messico. Ma un anno dopo il matrimonio, nel novembre 1930, la coppia andò a
San Francisco, dove Diego Rivera aveva ottenuto l’incarico di dipingere murali nel club privato Stock
Exchange Luncheon Club e alla California School of Fine Arts. Con questo viaggio per Frida Kahlo si aprì un
nuovo orizzonte sulla propria identità. Diego Rivera riferì in seguito che durante il viaggio in treno
verso l’allora capitale del mondo Frida gli regalò un autoritratto in cui stava in piedi davanti alla
silhouette immaginaria di San Francisco, da lei definita proprio “la porta sul mondo”.

San Francisco ha un effetto elettrizzante su Frida Kahlo. Dipinge molto ed è entusiasta delle stimolanti
rappresentazioni teatrali della città. Nel febbraio 1931 scrive a casa di aver già dipinto sei quadri, molto
apprezzati da diverse persone. Nel maggio 1931 scrive alla sua amica Isabel Campos: “Non puoi
immaginarti quanto qui sia meraviglioso... La città è favolosa...”. In seguito spiega di non aver ancora
trovato amici, e di passare quindi il tempo a dipingere, con la speranza (che non si sarebbe poi
realizzata) di ottenere già in autunno una personale a New York.

      In ogni modo, mi ha fatto molto bene venire qui, perché mi ha aperto gli occhi e ho visto una quantità
      di cose nuove e fantastiche.

Durante i mesi a San Francisco, lo stile pittorico di Frida Kahlo cambia in modo impressionante. Agli
inizi di questa evoluzione c’è il grandioso doppio ritratto Frida Kahlo e Diego Rivera, da lei dedicato a
Alfred Bender, che li aveva aiutati ad ottenere il visto di ingresso. In questo quadro, Frida si raffigura in
apparenza del tutto remissiva, come sposina del grande pittore. Accanto a lei spicca l’imponente figura
di Rivera, in una mano tavolozza e pennello e nell’altra la delicata mano di Frida, posata con amore

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sulla sua; ma per la scelta dei colori dell’abito l’artista si presenta come una dea dissimulata. Il simbolo
Olin nella pesante doppia collana di pietre che porta al collo richiama la leggenda azteca della creazione
del quinto sole. La veste verde abbinata al rebozo (scialle) rosso rimanda a uno degli attori principali di
questa leggenda, la dea Coatlique, che portava una gonna di serpi verdi e il cui corpetto era formato dai
cuori sanguinanti delle sue vittime. Coatlique è la dea azteca che dà – e anche prende – la vita a tutto:
quest’interpretazione della composizione del quadro si adatta meglio alla giovane artista della semplice
definizione di sposa e consorte fedele. Se si rivolge quindi l’attenzione alle implicazioni iconografiche
dei dipinti di Frida Kahlo, vi appare evidente un intrinseco doppio senso. Frida non era
un’impressionista che dipingesse quel che vedeva: costruiva i suoi quadri in modo più raffinato, e non
senza modelli ispiratori.

Ciò risulta evidente, per esempio, nel complesso Ritratto di Luther Burbank, precursore californiano delle
coltivazioni di frutta di qualità ‘perfezionata’ e unica persona non più in vita che Frida abbia mai
ritratto. Nella definizione dell’iconografia, la pittrice non si uniforma al tono celebrativo nei confronti
del grande agricoltore scomparso, ma sceglie di rappresentarlo come una figura ibrida che spunta dal
tronco di un albero il quale, a sua volta, ha le radici ancorate in uno scheletro che riposa nella terra. Con
questa combinazione surreale, Frida si rifà ai dipinti murali di Diego Rivera all’università di Chapingo,
in cui il busto nudo di Tina Modotti spuntava in modo analogo dal tronco di un albero, a simboleggiare
la germinazione (Germination). Sicuramente anche Frida Kahlo nel suo ritratto ha inteso simboleggiare
la germinazione e la crescita vigorosa delle piante e tuttavia l’artista, scegliendo di mettere in mano a
Luther Burbank una Monstera deliciosa dalle lunghe radici che, all’aria, tendono verso il suolo,
caratterizza quest’idea di germinazione in modo certamente più complesso; gli alberi nani portatori di
abbondanti frutti che nascevano nel laboratorio di Burbank sono presentati da Frida in maniera
vagamente mostruosa. Poco dopo la pittrice smise di ispirarsi all’arte del marito e iniziò ad ampliare il
suo ventaglio di modelli e fonti.

Frida rimase colpita dalla collezionista d’arte Galka Scheyer, di origine russa, incontrata a San
Francisco. Il rapporto del tutto nuovo con l’arte che le si schiudeva nella metropoli si accrebbe con la
Scheyer di un’altra dimensione. Galka Scheyer in quei giorni promuoveva il gruppo I Quattro Blu, da
lei formato nel 1925 insieme a quattro ex insegnanti del Bauhaus: Lyonel Feininger (1871‐1956), Vasilij
Kandinskij (1866‐1944), Paul Klee (1879‐1940) e Alexej von Jawlensky (1864‐1941). I quattro artisti
tedeschi avevano collaborato, prima del primo conflitto mondiale, nel movimento espressionista del
Blaue Reiter, cui fa riferimento la postilla “blu” aggiunta all’originario nome “I Quattro”. Tra il 1925 e il
1944, Scheyer organizzò sette mostre dei Quattro Blu – in Messico e a Los Angeles – durante le quali la
collezionista tenne numerose conferenze, elogiando instancabilmente il potenziale di questi artisti e dei
modernisti europei. Diego Rivera dipinse per lei il ritratto di un Giovane Blu, che in modo assai poco
espressionista siede nella sua salopette blu su una piccola sedia di legno. Frida Kahlo acquisì da Galka
Scheyer un lavoro di Paul Klee, esposto ancora oggi al Frida Kahlo Museum. Sotto l’influenza dei
Quattro Blu il modo di lavorare di Frida Kahlo si andò significativamente modificando. Abbandonò
infatti la prospettiva unidimensionale cui fino ad allora aveva fatto ricorso e iniziò a sperimentare
modelli compositivi propri della tecnica del collage.

Fu sempre in quest’epoca, probabilmente, che Frida vide per la prima volta le opere di Marcel
Duchamp, essendo questi in stretta amicizia con i collezionisti californiani Walter e Louise Arensberg,
che nel corso degli anni trenta misero insieme una ricca collezione di arte moderna. Gli Arensberg erano
in contatto con Diego Rivera e Frida Kahlo ed erano interessati all’acquisto di un quadro di
quest’ultima, La mia nutrice e io. Più volte, nella sua corrispondenza, la pittrice espresse agli amici la
speranza che la vendita si concludesse positivamente. Purtroppo, invece, non se ne fece nulla, anche se
(o proprio perché) l’artista richiedeva solo 300 dollari per il suo quadro The Dream, e addirittura solo 250
dollari per La mia nutrice ed io. Il 1932 portò a Frida Kahlo un altro considerevole cambiamento di
prospettiva. Si recò con Diego Rivera a Detroit, dove egli iniziò a dipingere all’Institute of Arts i suoi
sorprendenti quadri di fabbriche e industrie; realizzando paesaggi moderni ‘abitati’ da macchine, mai
visti prima di allora. E anche se Rivera, che a Detroit si andava appassionando di cultura
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automobilistica, riuscì in parte a coinvolgere la moglie nell’interesse per l’estetica industriale degli
stabilimenti Ford, la città non offriva certo lo stesso livello di interesse e divertimento di San Francisco.
A tenerle compagnia era l’amica Lucienne Bloch e insieme passavano il tempo con i disegni del cadavre
exquis, il giochino dei Surrealisti, nel quale si completa a turno una parte di un disegno su un foglio di
carta, ripiegandolo via via in modo che non si veda quanto è stato raffigurato in precedenza. Col
risultato, alla fine, di un’immagine composita, risultato della somma di pezzi indipendenti, ognuno
disegnato da una mano diversa; un passatempo che André Breton vedeva come una sorta di sport
concettuale:

      CADAVRE EXQUIS – gioco con carta ripiegata, nel quale si tratta di far costruire da più persone una
      frase o un disegno, senza che un giocatore possa arrivare a conoscere il rispettivo lavoro fatto in
      precedenza. L’esempio divenuto classico e che ha dato il nome al gioco, costituisce la prima parte di
      una frase ottenuta in questo modo: Le cadavre‐exquis‐boira‐le‐vin‐nouveau.

A Detroit, Frida Kahlo rimase incinta. Non era la prima volta. Già nel primo anno di matrimonio una
gravidanza si era conclusa con un aborto. A Detroit Frida era di nuovo in dubbio se tenere il bambino
perché, come non è difficile leggere nel quadro Vetrina a Detroit, temeva che la sua indipendenza
avrebbe potuto soffrirne. Scelse a sfavore del bambino, ma rimase poi sconvolta quando il tentativo di
interrompere la gravidanza sfociò in un aborto spontaneo. Quando poi morì anche sua madre, amata
sopra ogni cosa, Frida si ritrovò in un stato di profonda tristezza e solitudine. Questa condizione è
magistralmente raffigurata nel quadro Henry Ford Hospital, nel quale Frida Kahlo adottò le tecniche del
collage e del libero cambio di prospettiva, che nel frattempo aveva fatto proprie. Con l’ausilio della
prospettiva semantica diede spazio alla solitudine, lo spazio vuoto intorno alla rappresentazione di se
stessa diventa un elemento compositivo decisivo. Anche nella litografia Frida and the Miscarriage, Frida
Kahlo rende in forma così iconica il suo dolore per l’aborto spontaneo, in parte autoprovocato, da
poterla paragonare alla Madonna di Edvard Munch (cfr. il saggio di Pari Stave in questo volume). Il
1932, anno drammatico per Frida Kahlo, è un punto di svolta e al tempo stesso un nuovo inizio per la
sua arte. Coincide con la fine di ogni forma di dolcezza nella sua opera. Nel gennaio 1933 scriveva a
Abby Rockefeller, con cui era venuta in contatto al Rockefeller Center di New York per l’incarico a Rivera:

      Sto anche dipingendo un po’. Non perché mi consideri un’artista o qualcosa di simile, ma
      semplicemente perché non ho altro da fare qui e perché lavorando posso dimenticare un po’ tutti i
      problemi che ho avuto l’anno scorso. Sto facendo degli oli su piccole lastre di alluminio e talvolta vado
      a una scuola d’artigianato e ho fatto due litografie che sono assolutamente disgustose.

Da Detroit, Frida Kahlo e Diego Rivera si trasferiscono a New York. Mentre lui dipinge al Rockefeller
Center, Frida Kahlo scopre la convulsa scena della vita della metropoli. Frequenta cinema e teatri,
qualche film lo vede addirittura due volte: Cocteau e Walt Disney, un mix selvaggio che la eccita e di
cui scrive ai suoi amici. Un amico, il regista Arcady Boytler, la portava alla presentazione dei film più
recenti, e l’abitudine ad assistere regolarmente alle rappresentazioni teatrali di Broadway venne da lei
ripresa più tardi, di ritorno in Messico, al Palacio de Bellas Artes.

La mostra curata nel 1936 da Alfred H. Barr Jr., “Fantastic Art Dada Surrealism” al MoMA di New York,
includeva opere emblematiche come The Enigma of the Hour e anche Melancholy and Mystery of the Street,
dipinte nel 1914 da Giorgio de Chirico, la cui influenza è facilmente avvertibile nel quadro di Frida
Kahlo Quattro abitanti di Città del Messico, realizzato nel 1938. In questa mostra era esposta anche La
persistenza della memoria del 1931 di Dalí, come pure i collage dei dadaisti berlinesi Hannah Höch e
Raoul Hausmann. Il famoso dipinto di René Magritte The False Mirror del 1928 si riflette nel disegno di
Frida intitolato Occhio indagatore, del 1934. Analogamente, Le Rêve di Henri Rousseau del 1910, esposto
accanto a La ninfa Eco di Max Ernst, potrebbe esser servito da modello per Due nudi nel bosco di Frida
Kahlo, un’opera realizzata quasi trent’anni più tardi, nella quale due figure femminili nude giacciono su
una superficie spoglia: dietro di loro si schiude una lussureggiante foresta vergine, da quella oscurità le
osservano gli animali del bosco.

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Curiosamente, la “Fantastic Art Dada Surrealism” mostrava anche alcuni primi cartoon di Walt Disney,
come il cartone animato del 1936 Three Little Wolves. Oltre agli assistenti di Diego Rivera, tra i quali artisti
statunitensi divenuti molto noti, la pittrice conosce Georgia O’Keeffe. Anche se non le dispiace far parte
della comunità artistica newyorkese, Frida ironizza sul vivere superficiale dell’establishment dei ricchi
collezionisti e promotori d’arte. Frequenta di nuovo i grandi musei della città, si entusiasma per i
capolavori dell’arte europea al Metropolitan Museum, visita le mostre d’arte contemporanea al MoMA e le
gallerie private. Rimane impressionata in particolar modo dalla Veduta di Toledo di El Greco al
Metropolitan Museum; da allora dipingerà i suoi cieli soltanto alla sua maniera: tempestosi e con brandelli
di nuvole.

Quando il progetto di Diego Rivera per il Rockefeller Center prende una piega troppo politica a causa dei
voli pindarici dell’artista, si accende un’aspra polemica che porta il committente Nelson Rockefeller a
rifiutare il lavoro. Il dipinto murale viene alla fine distrutto e, come se non bastasse, tutti gli incarichi
successivi vengono sospesi. A causa dello scandalo il soggiorno negli Stati Uniti viene così bruscamente
interrotto. In My Dress Hangs There del 1933, Frida Kahlo traccia un bilancio: integra collage con immagini
di lavoratori in protesta a New York, ritagliate da riviste. Dal punto di vista formale, questo quadro è
considerato uno dei lavori più coraggiosi e moderni dell’artista. È un po’ paragonabile a Taglio con il
coltello da cucina di Hannah Höch o a lavori di John Heartfield. Con il quadro Frida non critica però, come
generalmente si crede, soltanto il declino dei valori umanistici nella società industriale. Nel mirino sono
piuttosto le smisurate illusioni del marito, che aveva sperato di farsi un altro monumento con il dipinto
murale del Rockefeller, intascando tra l’altro un cospicuo onorario. In My Dress Hangs There, Frida Kahlo
ricorre assai sapientemente a un motivo iconografico, che cela le sue intenzioni più che rivelarle: le due
colonne davanti al tempio (Boaz e Jachin) al centro del quadro sono un antico rimando alle logge
massoniche, cui era affiliato anche Diego Rivera. Simboli alchemici, richiamano l’unione delle forze
maschili e femminili, nonché il tentativo di trasmutare le pietre in oro. In senso traslato, Frida associa
questa metafora massonica al tentativo di Diego Rivera di arricchirsi con i murali negli Stati Uniti.
Inebriato dal successo, egli si era fatto costruire una villetta bifamiliare in Messico e aveva iniziato a
mettere insieme una grande, e malauguratamente costosa, collezione di sculture preispaniche. Lo
scandalo Rockefeller aveva inflitto un duro colpo alle sue finanze. My Dress Hangs There illustra il
fallimento di Rivera, che Frida da parte sua sembra percepire come un trionfo. Il nastro azzurro teso tra le
due colonne (che funge da corda per appendere l’abito di Frida, il rebozo rosso e la gonna verde) nella
tradizione dei viaggi per mare spettava alla nave più veloce sulla rotta transatlantica. La Brema, che
aveva conquistato il Nastro Azzurro nel 1929 come nave più veloce del suo tempo, è rappresentata sullo
sfondo durante la traversata dell’Atlantico. Nel quadro è il vestito a vincere il premio. Frida nel dipinto fa
sostanzialmente riferimento, anche dal punto di vista del contenuto, proprio al murale di Diego al
Rockefeller Center. Mentre Rivera mette al centro l’uomo, che domina il mondo con la tecnica moderna, la
medicina, l’industria e l’agricoltura, al centro della sua tela sono gli indumenti, dondolanti sul nastro
azzurro della vittoria. Si potrebbe ritenere quindi che l’artista voglia lasciar intendere di aver lei sola
attirato l’attenzione con lo stile del suo abbigliamento, conquistando così i cuori degli americani, facili
all’entusiasmo, mentre Diego Rivera aveva fallito miseramente. I suoi abiti alla Coatlique, trionfalmente
sospesi tra le due colonne come unici sopravvissuti, testimoniano che ne aveva abbastanza degli Stati
Uniti e di accompagnare Diego Rivera ai party dei mecenati. Aveva elaborato una propria autocoscienza
e la metteva in mostra. Sulla colonna femminile “Lei” campeggia una coppa della vittoria i cui manici si
stagliano fieramente, come braccia sollevate. Sulla colonna dorica maschile “Lui”, c’è una tazza da
gabinetto, che fa intuire vi sia inciso il monogramma DR. Gli attrezzi del pittore si ammassano come
immondizia nel bidone della spazzatura.

A causa di una relazione con la sorella di Frida, Cristina, l’anno successivo Diego Rivera e Frida Kahlo si
separarono. Frida lasciò la sua parte della villetta bifamiliare che l’architetto Juan O’Gorman aveva
costruito per la coppia nel quartiere di San Angel. Si trasferì in una casa che doveva servirle anche da
studio, con l’intenzione di guadagnarsi da vivere con la pittura. Quasi dieci anni dopo, agli inizi del 1938,
scriveva all’amica Lucienne Bloch:

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Da quando sono rientrata da New York ho dipinto circa dodici quadri, tutti piccoli e insignificanti, con
      gli stessi soggetti che affascinano soltanto me e nessun altro. Ne ho spediti quattro alla galleria qui in
      Messico, la University Gallery, che è un luogo piccolo e disgustoso, ma l’unico che accetta ogni sorta di
      materiali; li ho mandati quindi senza nessun entusiasmo, quattro o cinque persone mi hanno detto che
      sono straordinari, gli altri pensano che siano troppo stravaganti. Con mia sorpresa, Julian Levy mi ha
      scritto una lettera, dicendo che qualcuno gli ha parlato dei miei dipinti e che è molto interessato a farne
      una mostra nella sua galleria. Ho risposto inviandogli poche fotografie delle mie ultime cose, e lui ha
      mandato un’altra lettera, molto entusiasta delle foto, e chiedendomi una mostra di trenta cose in
      ottobre...

Si era nuovamente trasferita da qualche tempo nella casa di Coyoacán con Rivera, quando nella vita di
Frida Kahlo entrarono due uomini brillanti: nel gennaio 1937, per intervento di Diego Rivera era stato
concesso asilo in Messico al rivoluzionario russo Lev Trockij, che si era trasferito con la moglie Natal’ja
come ospite permanente alla Casa Blu. Nell’aprile dello stesso anno arrivò in Messico il surrealista
francese André Breton con la moglie Jacqueline Lamba, e Rivera li ospitò nella villetta di San Angel. Le
tre coppie fecero insieme sei lunghi viaggi all’interno del paese. Famose le discussioni di Pátzcuaro, nello
stato di Michoacán, il cui esito fu il manifesto redatto insieme Pour un art révolutionnaire indépendant nel
quale, a fronte del regime sempre più autoritario, il gruppo dei “Diversamente Pensanti” pretendeva la
completa libertà dell’arte. Breton si entusiasmò non solo per il surrealismo del Messico, intrinseco alla
natura del paese e delle sue genti e che gli sembrava onnipresente, ma anche per l’arte di Frida Kahlo. Le
scrisse così sua sponte un testo di presentazione per la mostra personale in programma l’anno successivo
alla Julien Levy Gallery di New York. Breton si chiedeva, di fronte ai quadri di Frida Kahlo:

      A quali leggi irrazionali ubbidiamo, quali segni soggettivi ci fanno trovare la direzione in ogni istante,
      quali simboli, quali miti sono validi in quest’associazione delle cose, in questa catena dell’accadere,
      quale significato giace in questa attitudine dell’occhio che ci consente di passare dal vedere esteriore al
      guardare interiore? ...Non manca a quest’arte neppure un goccio di crudeltà e di humour, con il quale
      soltanto è possibile legare i preziosi poteri del sentimento, che devono incontrarsi per dar vita alla
      pozione magica tipicamente messicana.

Dagli artisti francesi il Messico era visto come il paese surrealista par excellence e molti di loro vennero in
Messico negli anni della guerra e nel dopoguerra. Il gruppo sorto intorno all’austriaco Wolfgang Paalen,
giunto in Messico nel 1939 su invito di Frida Kahlo, pubblicò la rivista surrealista “DYN”, considerata
una sorta di antidoto al magazine “VVV”, edito nella stessa epoca da André Breton a New York. Nel
1940, anche Paalen esponeva alla Julien Levy Gallerie di New York e al vernissage presenziarono i giovani
artisti vicini a Jackson Pollock, già in procinto di dar forma all’astrattismo moderno.

Nel 1939 Breton riuscì finalmente a far riconoscere Frida Kahlo come artista internazionale, portando a
Parigi la sua mostra newyorkese. In letteratura si fanno continue citazioni dalle lettere di Frida, nelle
quali la pittrice si lamenta degli sregolati intellettuali di Parigi e delle loro insensate discussioni, che
sembrano senza fine. Si deve considerare il fatto che Frida, che non parlava francese, si sentiva
probabilmente a disagio nell’inverno parigino. Anziché l’arte, in primo piano nei discorsi dei surrealisti
di Parigi c’era allora la contrapposizione politica tra stalinisti, trotskisti e fascisti. La città si era riempita
di profughi dalla guerra civile spagnola, e gli antifascisti e gli ebrei fuggiti dalla Germania complicavano
una situazione che dava vita alle discussioni più accese. L’organizzazione della mostra di Frida Kahlo
guidata da Breton procedeva stentatamente, e così l’artista continuava a passare molto tempo fra le
mostre e i musei della città, e ai mercatini delle pulci dove vedeva cose mirabolanti. Quando la mostra
alla Renou et Colle Galerie finalmente si aprì nel marzo 1939, chiunque contasse in città e tutti i nomi di
prestigio sulla scena artistica del tempo erano presenti all’inaugurazione.

      C’era una quantità di gente di tutti i tipi il giorno dell’‘opening’, grandi complimenti alla ‘chica’, tra gli
      altri un abbraccio di Juan Miró e grandi lodi di Kandinskij per la mia pittura, complimenti di Picasso e
      Tanguy, di Paalen e di altre ‘grandi cacche’ del surrealismo. Insomma, posso dire che è stato un
      successo... e la faccenda è andata abbastanza bene...

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Dopo il rientro da Parigi, Frida Kahlo si separò da Diego Rivera, lottando ancora una volta per la sua
indipendenza. Nasce l’incomparabile quadro Le due Frida, nel quale fa rivivere l’amica immaginaria e la
colloca al proprio fianco, per alimentare di sangue il suo cuore spezzato. Il viaggio nell’interiorità, cui
l’artista si dedica in questa fase, rende sempre più complesse le composizioni dei suoi quadri, come anche
i rimandi iconografici. Alla fine del 1939 si candida a una borsa di studio della fondazione Guggenheim,
per poter trascorrere un anno da sola a New York. A tale scopo chiede una lettera di presentazione
all’amico compositore e direttore d’orchestra Carlos Chávez, che lavorava nella metropoli già dagli anni
venti. In una lettera a Chávez antecedente la candidatura motiva così la sua attuale posizione nell’arte:

      Ho fatto ritratti, composizioni di figure, anche opere in cui il paesaggio e la natura morta hanno il ruolo
      principale. Sono giunta a trovare, senza che nessun pregiudizio mi costringesse, un’espressione
      personale nella pittura. Il mio lavoro nel corso di dieci anni è consistito nell’eliminare tutto quanto non
      provenisse dalle pulsioni liriche interne che mi spingevano a dipingere. I miei temi sono stati sempre le
      mie sensazioni, i miei stati d’animo e le profonde dinamiche che la vita andava producendo in me, e ho
      spesso oggettivato tutto questo in rappresentazioni di me stessa che erano quanto di più sincero e vero
      potessi fare per esprimere quel che sentivo di me e davanti a me.

Aggiunge che adesso dipinge in grandi formati, per la cui realizzazione ha bisogno di tranquillità e anche
dei mezzi finanziari offerti dalla borsa di studio. Effettivamente aveva allora in lavorazione due quadri di
grande formato: uno era Le due Frida, l’altro era La Mesa Herida, andato perduto in Russia, il quadro più
grande ed enigmatico di Frida Kahlo. Appare seduta a un tavolo pieno di sangue e ferite, dalle gambe
sanguinanti, come un suo alter ego. La affianca da un lato un Giuda di cartapesta – una figura dell’arte
popolare che viene fatta esplodere il Venerdì Santo a simboleggiare l’annientamento di tutti i peccati e
che nell’iconografia di Frida Kahlo rappresenta il pensiero del suicidio – che la circonda già saldamente
con entrambe le braccia. Dall’altro lato nutre/è nutrita della fusione con un’antica scultura – la storia trita
e ben nota, che sempre la opprime – al cui fianco domina ora la morte, che già gioca con i capelli di Frida.
Altri concetti hanno un ruolo importante nel quadro, ma prima di tutto questa è l’opera in cui l’artista si
confronta con l’idea del suicidio, in modo surreale, come fosse un sogno, di cui potrebbero essere ignari
testimoni i bambini e il giovane capriolo.

Entrambi i quadri vennero presentati agli inizi del 1940 alla mostra organizzata insieme da Wolfgang
Paalen e André Breton, “La Exposición Internacional del Surrealismo” nella Galeria de Arte Mexicano, non
nella sezione messicana, ma in quella internazionale. Questa offensiva surrealista in Messico spostò
effettivamente i parametri con cui in Messico veniva vista l’Avantgarde. Essa metteva in questione l’arte
nazionalistico‐rivoluzionaria del movimento della pittura murale, già divenuta tradizione e assimilata
dallo Stato. Fin dalla vigilia la mostra attirò una tale attenzione che persino Diego Rivera, l’incarnazione
del Muralismo, si vide motivato a dipingere quadri surrealisti soltanto per potervi partecipare. Il
Surrealismo era diventato di moda. Nel gennaio 1940 Frida scriveva al suo amante Nickolas Muray:

      ... tutti in Messico sono diventati surrealisti, perché tutti vogliono prendervi parte. Questo mondo è
      completamente strambo, ragazzo!!

Frida Kahlo incarna veramente il Surrealismo. I suoi quadri non sono ciò che sembrano e la sua arte è
proprio come lei stessa scrive sul retro del disegno Fantasia:

      La sorpresa di trovare un leone nell’armadio che si era aperto per prendere la biancheria (“El Surrealismo
      es la mágica sorpresa de encontrar un león dentro de un armario, donde se está seguro de encontrar camisas”).

Nessuna frase potrebbe caratterizzare con maggiore precisione un’opera di Frida Kahlo: La Novia se
espanta al ver la vida abierta del 1943, apparentemente una bella natura morta esotica, si riferisce in effetti,
come oggi sappiamo grazie all’osservazione di Salomon Grimberg, alla sposa di Breton Jacqueline
Lamba, di cui Frida era stata l’amica e l’amata durante il periodo di Parigi e che cadde di nuovo vittima
dell’amore nel suo viaggio in Messico. Nel titolo La Novia se espanta al ver la vida abierta, Frida Kahlo
allude a un quadro del suo ospite parigino Marcel Duchamp, che aveva lavorato per circa otto anni a La
Mariée mise à nu par ses Célibataires, même (1915‐23). Formalmente, le due opere non hanno nulla in

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