Giovani e partecipazione: il puzzle delle relazioni sociali - Pastorale Giovanile Savona-Noli Caritas Diocesana Savona-Noli

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Giovani e partecipazione: il puzzle delle relazioni sociali - Pastorale Giovanile Savona-Noli Caritas Diocesana Savona-Noli
Pastorale Giovanile Savona-Noli
    Caritas Diocesana Savona-Noli

   Giovani e partecipazione:
il puzzle delle relazioni sociali
Giovani e partecipazione: il puzzle delle relazioni sociali - Pastorale Giovanile Savona-Noli Caritas Diocesana Savona-Noli
Per consultare i risultati completi dell’indagine
o per prenotare copie di questo estratto, contattate i nostri uffici:

                        Caritas Diocesana

           via Mistrangelo 1, Savona. Tel. 019 822677

      www.caritas.savona.it - segreteria@caritas.savona.it

                 Pastorale Giovanile Diocesana

      piazza Marconi 5, II piano, Savona. Tel. 3471178237

   www.pastoralegiovanile.sv.it - info@pastoralegiovanile.sv.it

               Finito di stampare nel mese di Aprile 2010
                                   2
Giovani e partecipazione: il puzzle delle relazioni sociali - Pastorale Giovanile Savona-Noli Caritas Diocesana Savona-Noli
indice
Introduzione                                                    5

1. Forme e modalità di aggregazione giovanile

1.1 Il gruppo sociale e le sue funzioni                          8
1.2 Il rapporto con gli adulti di riferimento                   12

2. Percorsi di socializzazione “mediata”

2.1 Relazioni e identità virtuali:
       chat, blog, forum, social network                        18
2.2 L’interazione virtuale: 
       dimensione centrale, marginale o parallela?              19

3. Il volontariato visto dai giovani

3.1 La scelta del volontariato tra radicamento e soggettività   24
3.2 Volontariato per gli altri e volontariato per sé            26
3.3 Cosa pensano i giovani del volontariato?                    30
3.4 Chi non partecipa (più) ad attività di volontariato         33
3.5 Come promuovere il volontariato                             35

4. Chiesa cattolica e dimensione religiosa

4.1 Appartenenza religiosa e percezioni giovanili prevalenti    42
4.2 Atteggiamento verso le istituzioni ecclesiastiche           44
4.3 Ricerca della religiosità                                   46

Bibliografia                                                    53

                                    3
Si ringraziano per la collaborazione:
gli 80 giovani che hanno accettato di farsi intervistare
gli intervistatori Elisa Olivieri, Andrea Bosio, Eleonora Raimondo, Maria Vallerga

                                         4
Questo opuscolo che avete fra le mani è l’estratto, che

                                                                      introduzione
abbiamo voluto sintetico e leggibile, di un lavoro di indagine sui
giovani savonesi.
In diversi ambiti e in particolar modo nel mondo
dell’associazionismo ci si interroga da anni sul mondo
giovanile e sulla relazione che intrattiene con le varie forme
di partecipazione sociale. Rispetto alla diffusione di studi che
vengono condotti a livello nazionale, non sono molte le indagini
sviluppate a livello locale. L’esigenza di conoscere meglio le
fasce giovanili che popolano il territorio è stata quindi lo spunto
di partenza che ha indotto la Equipe per la Pastorale Giovanile
della diocesi di Savona - Noli a ragionare su queste tematiche
e a sviluppare un percorso di ricerca sociale.
L’indagine è stata da noi affidata allo studio SYNESIS Ricerca
Sociale, Monitoraggio e Valutazione di Deborah Erminio che
ha realizzato una ricerca tramite interviste in profondità a 80
giovani di età compresa tra i 18 e i 30 anni, abitanti a Savona.
Speriamo che questo studio possa aiutare il lavoro di tanti
educatori, volontari e professionisti: la ricerca è indirizzata
agli operatori scolastici e agli assistenti sociali, agli animatori
parrocchiali e ai responsabili di associazioni, agli animatori di
comunità, agli allenatori, ai preti, alle suore, … insomma a tutto
quel vasto mondo che ha a cuore la sorte dei giovani.
Mettendo in pratica un semplice assioma della educazione,
abbiamo cercato di dare la parola ai giovani, perché ci
aiutassero ad aiutarli.

                                         Don Germano Grazzini
 Responsabile del Servizio Diocesano per la Pastorale Giovanile
                        e la Caritas Diocesana di Savona - Noli

                                   5
introduzione
           Le aree tematiche oggetto di approfondimento sono state
           le seguenti: la dimensione relazionale e le funzioni delle
           relazioni tra pari, i gruppi cui partecipano i giovani, intesi in
           senso lato come forme di aggregazione su base sportiva,
           musicale, intorno a specifici hobbies o interessi; le nuove
           forme di relazione inerenti allo sviluppo dei networks sociali;
           la partecipazione, la vicinanza o la lontananza rispetto al
           mondo del volontariato e, infine, il rapporto con la religione e le
           istituzioni religiose.
           La scelta dell’approccio metodologico è dettata dall’angolatura
           prospettica con cui si vuole osservare il fenomeno sociale
           oggetto di studio. Dal momento che l’idea era quella di cogliere
           gli orientamenti motivazionali e le motivazioni dei soggetti,
           si è adottato un approccio qualitativo. È stato utilizzato un
           campionamento per quote, suddividendo i soggetti in base a
           tre criteri: genere, età (18-21/22-26/27-30) e condizione rispetto
           al lavoro (studenti, lavoratori, in transizione). Si è cercato il più
           possibile di tener conto sia di coloro che frequentano ambienti
           ecclesiali, sia di coloro che non li frequentano.

                                                                      Deborah Erminio

           Deborah Erminio si specializza come dottore di ricerca in metodologia della
           ricerca sociale e dal 2000 si occupa di migrazioni, collaborando principalmente
           con il Centro Studi Medì. Dal 2009 apre un proprio studio di ricerca sociale
           “Synesis” e svolge attività di sociologa per conto di enti pubblici, centri di
           ricerca, osservatori. Fa parte della rete internazionale European Migration
           Network. Cura periodicamente dal 2005 alcuni contributi sul Dossier Statistico
           Immigrazione della Caritas/Migrantes. Tra le principali pubblicazioni (a cura
           di) Donne immigrate e mercato del lavoro, Fratelli Frilli editori, Genova, 2005;
           Imprenditori transnazionali in un’antica città globale in Ambrosini (a cura
           di) Intraprendere tra de mondi, Il Mulino, Bologna, 2009; Dalla maternità
           transnazionale al ricongiungimento: la molteplicità dei percorsi in Ambrosini (a
           cura di), Famiglie in movimento. Separazioni,legami, ritrovamenti nelle famiglie
           migranti, in corso di pubblicazione.

                                               6
1. Forme e modalità di aggregazione giovanile

                      7
1.1 Il gruppo sociale e le sue funzioni
Quando si parla di gruppi spontanei e quindi di gruppi di amici
si pensa subito alla dimensione dello svago, del tempo libero e
parlando di gruppi si può pensare al bisogno di aggregazione, di
socializzazione, che ovviamente emergono anche nella ricerca.
Meno frequentemente si pensa al fatto che il gruppo svolge una
funzione importante nell’acquisizione del
ruolo adulto.                                       Il gruppo svolge
Il gruppo, a differenza della semplice rela-
zione interpersonale, pone le condizioni di              una funzione
un confronto più articolato, con una mag-              importante
giore incidenza sulla sfera dell’autostima e
su quella del riconoscimento sociale. Nel           nell’acquisizione
contesto del gruppo si sperimenta infat-             del ruolo adulto
ti una maggiore instabilità emotiva, che
oscilla tra il bisogno di accettazione e il timore di critiche o rifiuti. La
conquista e il mantenimento di un ruolo all’interno del gruppo sono
la misura della proprio valore sulla scena sociale.
Le persone tendono a costruire relazioni di amicizia quando perce-
piscono tra loro più similarità che differenze; così nell’interazione
individuale vi è generalmente una differenziazione di posizioni e di
pensiero più contenuta, con limitate possibilità di conflitto. La par-
tecipazione ad un gruppo invece implica una maggiore esposizione
a situazioni potenzialmente conflittuali e un più intenso confronto
con la diversità e con ruoli sociali diversificati.
Come indica una letteratura consolidata in riferimento a queste
tematiche, le persone valutano le proprie opinioni e capacità con-
frontandole rispettivamente con le opinioni e le capacità altrui. Un
eccessivo grado di difformità rischia di condurre ad un disorienta-
mento nel proprio percorso di costruzione dell’identità sociale. Nei
rapporti in-group (interni al gruppo) il singolo apprende dunque a
relazionarsi con la diversità in modo graduale e in un contesto in
parte protetto, dove attraverso la sperimentazione di ruoli differenti
individua il proprio percorso identitario.
È possibile cogliere due principali significati attribuiti alle reti sociali,
a cui si riconducono due diverse (ma non necessariamente scisse)
modalità di interazione, una orientata verso l’intimità e la confiden-

                                     8
za e l’altra verso l’ampliamento quantitativo             l’interazione
della propria rete di conoscenze. Da un lato
la relazione tra pari offre uno spazio di prote-              con l’altro
zione, rifugio, confidenza alternativo a quello          rappresenta
familiare, nel momento in cui quest’ultimo può
risultare limitante per il desiderio di autoaf-      un’opportunità
fermazione personale; il frequente utilizzo di       per esprimere,
termini e riferimenti, nel descrivere le relazioni
amicali, che richiamano la dimensione fami-             rimodellare e
liare (“gli amici sono come fratelli”, “il gruppo
è come una famiglia”) lascia intuire questo
                                                       mettere in
tipo di funzione della relazione interpersonale. discussione
Dall’altro lato l’interazione con l’altro rappre-
senta un’opportunità per esprimere, rimodel-
                                                              la propria
lare e mettere in discussione la propria iden-                   identità
tità. Nell’immagine di sé che gli altri riflettono
si radica il senso di autostima e la percezione di sé che il soggetto
acquisisce e porta avanti nel tempo. Estendere la propria rete di
conoscenze e riuscire a interagire con successo con un numero
elevato di persone sono occasioni di gratificazione e di costruzione
di un’immagine apprezzabile di se stessi.
Le diverse forme ed espressioni associabili alle relazioni interperso-
nali portano ad individuare una distinzione tra molteplici tipologie di
aggregazioni possibili, che vanno dalla costruzione di gruppi spon-
tanei, alla partecipazione e ad aggregazioni associative strutturate
di diverso tipo.
Le attività associazionistiche di “fruizione” sono nettamente più dif-
fuse tra gli intervistati rispetto a quelle che prevedono una qualche
forma di “impegno sociale”; in particolare le due realtà più frequenti
che abbiamo incontrato rimandano ad associazioni sportive o a
gruppi musicali (tabella 1). Solo un quinto degli intervistati non ade-
risce a nessun tipo di gruppo, non pratica sport, non coltiva degli
interessi specifici nel proprio tempo libero, non fa parte di gruppi di
volontariato.
I gruppi sportivi presentano alcune specificità. In diversi casi gli
interlocutori hanno descritto una realtà in cui si entra per fruire di
un’attività di svago e di evasione, tuttavia se si inizia a praticare

                                   9
l’attività sportiva in età scolare, spesso questa evolve verso forme
di agonismo. L’agonismo, la competitività, le convocazioni delle so-
cietà sportive sono tutti elementi che sottraggono allo sport il suo
aspetto più ludico e alterano la motivazione e gli aspetti iniziali della
partecipazione. Lo sport, sempre più agito solo all’interno di am-
bienti strutturati, perde il carattere della spontaneità e forse questo
è uno dei meccanismi che spiega l’allontanamento dei giovanissimi
dalle pratiche sportive.

Tab.1 Forme di partecipazione dei giovani

                    Gruppi      Gruppi legati a  Gruppi di impegno
                    sportivi   specifici hobbies sociale/volontariato
Partecipa             33                19                  18
Ha partecipato
                      20                2                   12
in passato
Non ha mai
                      27                59                  50
partecipato
Totale                80                80                  80

A differenza dei semplici gruppi spontanei, i gruppi che si struttura-
no all’interno di particolari realtà associative (che possono variare
da quelle sportive o musicali a quelle religiose o di volontariato)
vengono associati ad un maggior coinvolgimento emotivo e sem-
brano soddisfare in maniera più completa alcune delle aspettative
manifestate dai giovani. Gratificazione e valorizzazione del proprio
ruolo sono gli aspetti indicati più frequentemente dagli intervistati
che fanno parte dei più diversi tipi di gruppo associativo per spie-
gare la propria motivazione a proseguire tale attività. L’individuo
interiorizza la sua appartenenza al gruppo come parte del concetto
di sé e si sente appagato nella misura in cui riceve rimandi positivi
per l’auto-definizione di sé.
Lo spazio del gruppo associativo offre al soggetto che ne prende
parte un’importante occasione di mettersi alla prova come autore

                                   10
e protagonista dell’attività che svolge,
il gruppo associativo assumendo ruoli che lo valorizzano e
                                conferiscono senso al suo contribu-
diventa spazio                  to per la buona riuscita dell’attività di
dove sperimentare gruppo.
                                Soprattutto per i soggetti che si trova-
un’assunzione                   no in un periodo di transizione tra fasi
graduale di                     importanti della propria vita, il gruppo
                                associativo diventa dunque spazio
responsabilità dove sperimentare un’assunzione
che conduce verso graduale di responsabilità che condu-
                                ce verso l’acquisizione di ruoli adulti.
l’acquisizione                  Gran parte degli intervistati manifesta
di ruoli adulti                 la percezione consapevole di essere
                                in un’importante fase di crescita delle
propria esistenza, in rapporto alla quale la partecipazione sociale
ad uno o più gruppi si pone come terreno privilegiato in cui espri-
mere e acquisire le abilità e competenze necessarie per muoversi in
maniera soddisfacente nello spazio sociale più ampio.
Le narrazioni raccolte individuano nella partecipazione al gruppo
associativo un importante stimolo per lo sviluppo delle proprie
attitudini relazionali, oltre che una preziosa occasione di scambio
e confronto di idee. In particolare tale esperienza sembra essersi
rivelata cruciale nella maggior parte degli intervistati per lo sviluppo
della capacità di autocontrollo e per sviluppare competenze relazio-
nali.

                                   11
1.2 Il rapporto con gli adulti di riferimento
Dai giovani intervistati emerge, talvolta tra le righe, il bisogno di
avere figure adulte di riferimento (al di là di quelle presenti nelle
reti famigliari), adulti che sappiano essere modelli di vita positivi e
sappiano agire un ruolo educativo. Questo tipo di esigenza appare
particolarmente sentita per la fascia di età più bassa tra le tre con-
siderate, quella dai 18 ai 21 anni, in cui si tendono a sviluppare sul
piano orizzontale relazioni amicali più strettamente rivolte ai coeta-
                         nei e difficilmente estese alle altre età giovanili.
bisogno di Il rapporto tra pari si pone infatti sul piano
                         dell’orizzontalità, più diretto ma anche più
avere figure             circoscritto a livello di accesso a prospettive e
adulte di                visioni del mondo. Il rapporto con figure adulte
                         che si può avere all’interno di gruppi associa-
riferimento              zionistici riproduce la relazione dei giovani con
che sappiano la società adulta in generale, il sentirsi accolti e
essere modelli valorizzati            in contesti non obbligati esterni alla
                         sfera familiare rappresenta un’occasione fon-
di vita positivi damentale per sviluppare e mettere alla prova
                         la propria identità sociale.
I gruppi associativi, da questo punto di vista, offrono occasioni
importanti di relazione intergenerazionale; mentre nelle forme ag-
gregative spontanee è alquanto rara la costruzione di gruppi che
consentono l’interazione tra fasce d’età diverse, questo tipo di
relazione è frequentemente accessibile all’interno di gruppi asso-
ciazionistici, che possono essere guidati da figure adulte oppure
strutturati in modo tale da mettere a contatto età diverse.
Agli adulti i giovani chiedono (spesso nei gesti più che nelle paro-
le) un ruolo educativo che passa anzitutto attraverso l’esempio e il
confronto.
L’attribuzione di fiducia e la valorizzazione delle capacità dei giova-
ni da parte degli adulti di riferimento sono elementi essenziali per
favorire l’assunzione consapevole delle responsabilità e l’applica-
zione delle proprie potenzialità, soprattutto per chi attraversa una
fase di transizione verso un posizionamento sociale più stabile.
Se da un lato il significato del rapporto con gli adulti di riferimento
media e accompagna l’entrata nella società più ampia, attenuando

                                     12
la criticità e le difficoltà che questa comporta, dall’altro lato rimane
presente e incisivo il ritorno simbolico alla dimensione più protetta
dell’ambiente familiare. Il percorso di costruzione identitaria oscilla
infatti tra questi due poli: il bisogno di autoaffermazione e quello di
protezione. L’ampio uso di termini che fanno riferimento alla sfera
familiare per descrivere la relazione con
gli adulti all’interno del gruppo associativo       apprensione
pone questo tipo di rapporto su un piano di
complementarità rispetto a quello familiare        nei discorsi della
vero e proprio, poiché, se per certi aspet-          società adulta
ti offre livelli di confidenzialità e sostegno
analoghi, per altri richiede un più alto grado       verso i giovani
di autonomia nel giovane e lascia emergere
una maggiore incertezza e imprevedibilità della relazione, rendendo
necessaria l’assunzione di un più alto grado di responsabilità e lo
sviluppo di una più efficace capacità di negoziazione.
L’elemento degno di nota è duplice: da un lato i giovani chiedono
agli adulti di assumere un preciso ruolo educativo, dall’altro interio-
rizzano le percezioni che il mondo adulto esprime verso i giovani.
C’è una sorta di apprensione agita nei discorsi della società adulta
verso i giovani che, quasi paradossalmente, viene interiorizzata
dagli stessi giovani e rimbalzata nel discorso con gli adulti. Le vi-
sioni e le percezioni che il mondo adulto proietta su quello giovanile
determinano ripercussioni più o meno dirette sulla percezione di sé
che i giovani sviluppano, arrivando talvolta a rinforzare e costruire
un’auto-percezione distorta e svalorizzata.
È stato decisamente singolare osservare in numerosi intervistati un
atteggiamento di critica, delusione e preoccupazione verso la cate-
goria stessa a cui si sentono di appartenere, che sembra riprodurre
in maniera speculare le aspettative attribuite dal mondo adulto su
quello giovanile. In diverse interviste è emerso lo sguardo preoc-
cupato dei giovani che parlano di altri giovani, uno sguardo che
sembra riproporre le ansie della società adulta in cui le nuove fasce
della popolazione sono chiamate ad integrarsi. I giovani guardano i
propri coetanei e le generazioni ancora più giovani con lo sguardo
degli adulti e parallelamente chiedono agli adulti di riprendere in
mano il proprio compito educativo.

                                  13
Imparare a relazionarsi con gli altri
“[Nel gruppo] può esserci magari la tensione perché non vedi un lavoro
fatto come lo vorresti fare te... poi devi renderti conto comunque che ogni
persona è diversa, per cui cerchi magari di dirgli che questa cosa la vorrei
così piuttosto che cosà, però cerchi di scendere a compromessi. Cerchi
di adattarti anche tu...” (Int. 38, femmina, 30 anni, studentessa)

“abbiamo tutti un punto di vista se non opposto, perché comunque è
impossibile, comunque diverso, ma riusciamo ad amalgamarci. Di idee di-
verse, ma uniti, preferiamo molto di più il confronto ... preferiamo litigare, è
già capitato che litigassimo per una cosa che non andava bene, però una
volta detta ci si adatta e continui” (Int. 28, maschio, 19 anni, in transizione)

“A volte ci sono degli scontri.... ci sono anche momenti di difficoltà, però
si impara anche a gestire le relazioni in maniera un po’ più diplomatica,
che male non mi fa” (Int. 77, femmina, 28 anni, in transizione)

 “(Il calcio) mi ha aiutato a relazionarmi con altre persone perché co-
munque lì ti rapporti anche sottosforzo, nel senso che non sei lucido per
ragionare, molte volte ti insultavi, ti mandavi a quel paese, quindi poi sta
alla capacità delle persone, finita la partita, finita la discussione dire basta”
  (Int. 67, maschio, 28 anni, lavoratore)

La valenza ludica dello sport
“Ho sviluppato un disaffezionamento al calcio: mi rendevo conto che
c’erano troppi interessi anche intorno ai giovani, seppur di bassissimo
livello. Nell’hockey invece è diverso. Essendo uno sport amatoriale, non
professionistico, ogni giocatore dà quello che può … nell’hockey mi piace
più che altro lo spirito di famiglia che regna tra le diverse squadre, infra-
cittadine anche. Nel senso, in campo si è avversari, ma finita la partita
si va a bere una birra assieme, si va a mangiare una pizza assieme, tra
avversari” (Int. 49, maschio, 25 anni, in transizione)

“Sono contenta di non averlo fatto a livello agonistico perché poi diventa
una cosa troppo impegnativa e rischia di non essere più divertente”
(Int. 68, femmina, 28 anni, lavoratrice)

                                       14
Come i giovani vedono i giovani
“Oggi siamo andati troppo avanti con i tempi! Non so come dire. Abbiamo
troppe cose, una volta per avere una cosa te la sudavi ed eri contento e
ti stava bene così. Parlo dei tempi dei miei genitori, per andare, non lo so,
a ballare scappavano dalla finestra e anche lì vedi… da una parte troppo,
troppi divieti, ma guarda preferisco, a pensarci preferisco, avrei preferito
essere a quei tempi piuttosto che stare nei tempi a cui stiamo andando
incontro! Proprio per questo voler crescere prima, voler fare tutte le cose
prima del tempo” (Int. 22, femmina, 21 anni, in transizione)

“Discoteca, scooter, amici, droga… i loro valori son quelli…se i giovani
sono così come fai a cambiarli? Se si drogano, bevono, escono, fanno
cose dell’altro mondo, non studiano, non vanno a scuola o se ne fregano,
 bullismo, cose così...” (Int. 56, femmina, 22 anni, in transizione)

Il rapporto con gli adulti
“I giovani vengono visti come quelli che non fanno niente, che stanno tutto
il girono in giro, in piazza, invece se vedono un giovane che passa tempo
lì (in Croce Bianca) o passa a prenderlo in ambulanza per loro è strano....
Se ci vedono bene o male non lo so, ci vedono a modo loro perché siamo
giovani, non si aspettano che noi andiamo sull’ambulanza e che andiamo
a prenderli” (Int. 17, maschio, 21 anni, lavoratore)

“Ci sono quei due o tre quarantenni che, diciamo, ci fanno un po’ da
papà e da mamma, nel senso che sono quelli con cui riesci a ragionare di
più, che ti riportano più alla realtà, che se c’è qualche screzio riescono a
tenerti con i piedi per terra” (Int. 71, maschio, 27 anni, lavoratore)

“Oltre il mio allenatore era anche come un papà! Anche perché era nata
una bella amicizia, un bel rapporto, era come un papà! Se avevi un pro-
blema ti potevi sfogare” (Int. 6, femmina, 19 anni, studentessa)

“l’allenatore (ha un ruolo) sia di guida che riferimento, se c’è qualche pro-
blema vado da lui, anche al di fuori del basket, che non centra una mazza,
se può ti da una mano volentieri perché comunque è una famiglia dicia-
mo” (Int. 27, maschio, 21 anni, in transizione)

                                     15
16
2. Percorsi di socializzazione “mediata”

                   17
2.1 Relazioni e identità virtuali:
    chat, blog, forum, social network
Le caratteristiche della partecipazione aggregativa vengono messe
in discussione e talvolta completamente stravolte all’interno di un
particolare contesto di scambio: la relazione virtuale (chat, blog,
forum e social network).
Si tratta di una pratica sempre più diffusa e influente nella vita dei
giovani (e dei meno giovani): la quasi totalità degli intervistati dispo-
ne di internet nella propria casa e gran parte vi accede quotidiana-
mente. Tra i giovanissimi la non adesione alle reti di comunicazione
virtuale più diffuse tra i giovani non è priva di implicazioni sociali in
termini di esclusione dalle relazioni e dall’informazione.
Nonostante le molteplici potenzialità delle tecnologie informatiche,
il principale utilizzo che viene richiamato nelle interviste è quello
comunicativo e di scambio, a scapito di un loro uso, meno menzio-
nato, volto alla ricerca di informazioni.
L’accesso alla chat o ai social network è considerato un mezzo per
ampliare le proprie reti di conoscenze, ma soprattutto per mantene-
re i contatti con persone conosciute, superando le limitazioni che la
distanza territoriale comporta. Da questo punto di vista le tecnolo-
gie informatiche assumono la funzione di supplementi formativi ri-
spetto alle agenzie di socializzazione tradizionali (formali e informali)
e possono arrivare a ricoprire un ruolo preminente nella diffusione
di valori, stili di comportamento, consumi, miti e modelli culturali.
Un aspetto interessante è il continuo richiamo alla dimensione
ludica, gli strumenti telematici menzionati vengono infatti identificati
per lo più come “gioco”, torna centrale il fattore di svago e spensie-
ratezza.
Prevalgono atteggiamenti ludici ed evasivi volti a ritagliarsi una spa-
zio di “libertà” e spensieratezza, ma al tempo stesso consapevoli
del ruolo parziale che possono detenere gli strumenti di comunica-
zione telematica nel quadro complessivo della propria vita sociale e
del proprio percorso identitario. In particolare evidenziamo l’elevato
ed incisivo richiamo alla dimensione ludica come elemento sempre
più marginalizzato negli altri ambiti della quotidianità, ma percepito
dai singoli come necessario per l’espressione completa della per-
sonalità e dell’identità sociale.
                                   18
2.2 L’interazione virtuale:
    dimensione centrale, marginale o parallela?
Dal punto vista del processo identitario, è indubbio che le “piazze
virtuali della comunicazione consentano di sperimentare forme di
presentazione di sé, slegate dai vincoli che i ruoli ricoperti nella
vita reale impongono, mentre nel mondo reale l’identità si lega alle
posizioni occupate, allo status sociale, al genere, alla fisicità, all’età
e alle attribuzioni esterne, l’identità virtuale offre la possibilità di
svincolarsi da questi condizionamenti. Il soggetto può proporre
un’immagine di sé idealizzata o anche molteplici immagini di se
stessi a seconda degli interlocutori con cui si relaziona, è possibile
alterare le informazioni circa la propria identità o renderne note solo
alcune, ecc.
Questo aspetto sembra presentare aspetti positivi e negativi: da
una lato l’opportunità di proporre un’immagine idealizzata delle
proprie caratteristiche, dall’altro la possibilità di esprimere se stessi
in maniera più autentica in un’epoca che conferisce all’apparenza
esteriore un peso rilevante nella definizione dell’intera persona,
poiché nella comunicazione tramite web è il solo contenuto dei
dialoghi a rendere interessante l’interlocutore, offrendo la possibilità
di avvicinarsi in maniera più completa alla personalità proposta dal
soggetto.
Le caratteristiche della comunicazione virtuale determinano una
differenza sostanziale nella “qualità”
delle relazioni rispetto a quanto avviene una dimensione che
nell’incontro faccia a faccia, che si può
riassumere in una maggiore incertezza                   non invade
cognitiva ed emozionale e in un dubbio
sentimento di fiducia verso la relazione
                                                  nè condiziona
stessa. Da questo punto di vista l’im-             quella reale ma si
possibilità di un riscontro reale delle
informazioni fornite dagli interlocutori e
                                                         colloca su un
l’assenza di elementi comunicativi non               piano “parallelo”.
verbali, determinano una diffusa perce-
zione di sfiducia da attribuire alle relazioni instaurate sul web.
La grande maggioranza degli intervistati attribuisce alle relazioni
amicali instaurate tramite il web un peso e un significato piuttosto
                                   19
relativo e contestualizzato nel quadro dello spazio virtuale. L’intera-
zione virtuale sembra assumere quasi sempre un ruolo circoscritto
e complementare all’interno della vita relazionale e sociale dei sin-
goli: una dimensione che non invade né condiziona quella reale ma
piuttosto si colloca su un piano “parallelo”.
Tra i principali vantaggi vi è possibilità di mantenere i contatti in
maniera agevole, superando le limitazioni che la distanza territoriale
o la mancanza di tempo possono imporre alla relazione diretta, la
possibilità di beneficiare del confronto di opinioni tra età diverse,
oltre che tra persone differenti ed eterogenee.
Non mancano atteggiamenti più dubbiosi e prudenti circa la valen-
za di questo tipo di comunicazione, alcune narrazioni esprimono
timori per l’anonimato e l’assenza di un controllo sulla veridicità
delle informazioni scambiate e sulle reali intenzioni manifestate dai
partecipanti.
Pur non negando l’effettiva esistenza e diffusione di atteggiamenti
devianti o forme di violenza espresse attraverso la comunicazione
telematica, è da tener presente l’influenza dell’opinione pubblica,
non sempre fondata su una percezione obiettiva dei fatti, nell’indi-
rizzare visioni e interpretazioni che esasperano situazioni circoscrit-
te e non rappresentative.
Internet è senza dubbio uno strumento pervasivo all’interno del
mondo giovanile, tuttavia la grande maggioranza dei soggetti lo
percepisce come strumento utile ma non fondamentale, soprattutto
come spazio virtuale di socializzazione.1

Per approfondimenti si vedano: Cannizzo D., Realtà giovanile, mass media e con-
sumi culturali. Riti di socializzazione, Bonanno Editore, Acireale 1995; Cheli E., La
realtà mediata. L’influenza dei mass media tra persuasione e costruzione sociale
della realtà, Franco Angeli, Milano 1993.
                                         20
Vantaggi e svantaggi della rete telematica nelle relazioni
“Nei tempi in cui viviamo, molto frenetici, il tempo per spostarci è sempre
meno, mentre si è sempre lì attaccati a una tastiera... Quindi lo spazio
virtuale è molto più accessibile” (Int. 49, maschio, 25 anni, in transizione)

“È comodo perché se vuoi parlare con un amico a Milano o a Napoli e
quindi li riesci a sentire, cosa che col telefono magari non farei invece
così” (Int. 13, maschio, 21 anni, lavoratore)

“Puoi parlare con una persona tranquillamente, perché non ti può giudi-
care, perché comunque non conoscendoti ti giudica solamente per quello
che gli dici” (Int. 24, femmina, 19 anni, in transizione)

“Parli con una persona delle tue cose, dei tuoi problemi però.. non sai
nemmeno chi è, a parole siamo tutti bravi, voglio dire... Però se non ce
l’hai lì davanti, se non lo vedi nella vita di tutti i giorni.. come fai a fidarti?”
(Int. 2, femmina, 20 anni, studentessa)

                                         21
Consapevolezza del mezzo
“È un’amicizia molto superficiale, che alla fine non si può definire neanche
amicizia. È un’amicizia virtuale. Perché io ne ho tanti di amici, ma con
alcuni si è creato proprio un legame, perché alcuni sono proprio venuti a
trovarmi qua. Mi ci sento telefonicamente, ci sentiamo. Con altri c’è solo
un rapporto, oggi ho un problema, te lo dico, mi dai un consiglio, è uno
scambio di idee” (Int. 24, femmina, 19 anni, in transizione)

“(In chat) c’è un legame molto labile, nel senso che è un legame di conve-
nienza, ma non nel senso brutto della parola, ma è un legame che riguar-
da esclusivamente l’ambito in cui si parla. Poi delle volte può capitare che
si creino degli incontri reali, non virtuali, e da lì possono nascere rapporti
significativi. Ma sicuramente da rapporti virtuali rapporti significativi non ne
nascono” (Int. 9, maschio, 20 anni, studenti)

“Se non dovesse esserci sarebbe come una comodità in meno, ma niente
di più” (Int. 66, maschio, 28 anni, lavoratore)

 “Il fatto di non avere una persona davanti da una parte può aiutarti a
sfogarti e a stare un po’ meglio, non ti vergogni, non vieni giudicato, o se
vieni giudicato non t’interessi della persona che ti sta giudicando, anche
perché non la conosci” (Int. 37, femmina, 23 anni, studentessa)

Si uso la chat, per vedere un po’ le opinioni delle altre persone, per scam-
biarsi un po’ di idee. Però, resta che comunque le amicizie ce l’hai qui
(nella realtà), quindi sentirsi per chat diciamo che è una cosa un po’ più
secondaria, se hai voglia di scambiare un po’ opinioni con altre persone
che non sono le solite vai in chat” (Int.5, femmina, 19 anni, studentessa)

                                      22
3. Il volontariato visto dai giovani

                 23
3.1 La scelta del volontariato
    tra radicamento e soggettività
Alcuni dei soggetti intervistati hanno iniziato un’attività di volonta-
riato in seguito ad una precisa ricerca personale o mossi da ideali
di solidarietà e di impegno sociale, ma nella maggior parte dei casi
le persone approdano all’associazionismo sulla base di due spinte,
spesso tra loro complementari: il radicamento culturale e le reti di
relazione. Soprattutto i giovani non si avvicinano al mondo del vo-
lontariato “di punto in bianco”: è rintracciabile nella loro esperienza
un percorso di socializzazione che li ha orientati in questo senso,
non di rado infatti i giovani volonta-
ri provengono da esperienze nello                              i giovani
scoutismo, nei gruppi parrocchiali o
in altre forme di associazionismo.         non si avvicinano
Le matrici ideali, sia di tipo laico, sia
religiose, costituiscono quindi una
                                                            al mondo
prima forma di radicamento che pro-                del volontariato
muovono atteggiamenti pro-sociali:
un bagaglio di valori, norme etiche,
                                              “di punto in bianco”
linguaggi che passano spesso attra-
verso le agenzie di socializzazione, anzitutto la famiglia in qualità di
agenzia di socializzazione primaria. L’esperienza dei propri genitori
o di altre figure adulte di riferimento comporta la socializzazione dei
più giovani verso certi ambienti e la socializzazione di certi principi
e valori: un meccanismo questo che si trova nell’adesione al volon-
tariato, ma anche ad altre forme di associazionismo o di partecipa-
zione giovanile e, talvolta, anche nella scelta dei percorsi formativi e
professionali.
Non di rado i meccanismi si intrecciano e la famiglia indirizza la
partecipazione dei bambini verso realtà di aggregazione e di educa-
zione giovanile di cui condivide metodi e valori: si pensi ai genitori
che iscrivono i figli agli scout, che li accompagnano a frequentare
l’oratorio o un gruppo parrocchiale; esperienze che, a loro volta,
possono contribuire ad un percorso di maturazione motivazionale
verso l’impegno sociale.
L’altro elemento forte che favorisce la partecipazione dei giovani
alle associazioni di volontariato è la dimensione relazionale; l’azione

                                  24
solidale, inoltre, non nasce in un vuo-
to sociale ma si sviluppa in contesti in    è rintracciabile nella
cui i comportamenti pro-sociali sono              loro esperienza
incoraggiati, promossi e positivamente
riconosciuti.                                 un percorso di
La partecipazione a determinare reti
sociali (la rete amicale soprattutto) e
                                            socializzazione
la densità emotiva di queste relazioni           che li ha orientati
interpersonali facilitano l’avvicinamento
all’impegno sociale: l’ingresso in un gruppo di volontariato tramite
l’invito di un amico è la formula più frequente.

                                25
3.2 Volontariato per gli altri e volontariato per sé
L’esperienza del volontariato richiama la dimensione del dono, della
solidarietà, l’impegno sociale, l’apertura all’altro da sé; tuttavia la
partecipazione al mondo dell’associazionismo non è indipendente
dalla soggettività degli individui: il volontariato è agire gratuito ma
al tempo stesso è esperienza di arricchimento per gli stessi sogget-
ti. La ricerca ha voluto evidenziare proprio queste dimensioni del
volontariato “per sé”, perché su di esse le associazioni potrebbero
puntare per avvicinare il mondo giovanile.
Nella partecipazione sociale troviamo due ordini di motivazioni:
le prime legate alle dimensioni collettive (la socializzazione con i
pari, la dimensione ludica delle aggregazioni giovanili, il bisogno di
appartenenza ad un gruppo con cui si condivide un certo orienta-
mento di vita), le seconde legate a dimensioni personali (la crescita
personale, il mettersi alla prova, realizzare una parte di sé che con-
ferisce pienezza di significato alla propria esistenza, ecc.)
Una prima dimensione è quella della socializzazione e delle reti
amicali, la potremmo sintetizzare così: si entra grazie ad un amico
e si rimane sinché vi sono degli amici. La partecipazione alle asso-
ciazioni è un modo per incontrare i propri coetanei, tessere nuove
relazioni interpersonali, approfondire amicizie; gli amici non sono
solo coloro che “tirano dentro” l’associazione ma sono anche uno
dei fattori che spingono a rimanervi.
La presenza di altri giovani e la possibilità di instaurare rapporti
interpersonali di tipo amicale sono aspetti distintivi del volonta-
riato dei soggetti più giovani (dai 18 ai 21 anni): per questi intervi-
stati spesso il gruppo degli amici e i soggetti frequentati all’intero
dell’associazione sono due realtà che combaciano.
In stretta connessione con la rilevanza delle relazioni sociali c’è
l’aspetto ludico della partecipazione, che è importante soprattutto
nella fase adolescenziale, ma persiste anche successivamente in
forme differenti. Ad esempio le assistenze pubbliche spesso di-
ventano un luogo di ritrovo tra coetanei che sono lì per dedicarsi
ad un’azione solidale, ma anche per trascorrere il proprio tempo
coi pari; lo spazio del volontariato diventa spazio di aggregazione
giovanile.
Il volontariato rappresenta un ponte tra le forme di socialità ri-

                                  26
stretta (la famiglia, gli amici, il mondo degli affetti) e opportunità di
socialità più ampia, in cui i giovani imparano ad essere protago-
nisti attivi in contesti sociali meno competitivi di quelli che posso-
no sperimentare in altri ambiti. È un luogo intermedio tra il gruppo
amicale e contesti più strutturati dove i giovani possono mettersi
alla prova senza troppi rischi, soprattutto in termini di relazione con
gli altri.
Nella partecipazione sociale troviamo una risposta al bisogno di
appartenenza: chi ha seguito un percorso di crescita simile sente
di condividere determina ti ideali, valori, orizzonti di significato, che
a loro volta agevolano la costruzione di linguaggi, di frame inter-
pretativi, modi di vedere il mondo. Il volontariato risponde a questo
bisogno di stare con soggetti con cui si condivide un certo tipo di
orientamento alla vita: tra i soggetti intervistati l’associazionismo
religioso e le esperienze scoutistiche sono senza dubbio i percorsi
                             che hanno saputo maggiormente trasmet-
  è un luogo                 tere un sistema valoriale condiviso.
                             Alcuni intervistati parlano apertamente
  intermedio tra della volontà di: le proprie capacità di af-
  il gruppo amicale frontare le situazioni in autonomia, di inte-
                             ragire con gli altri soggetti, di comportarsi
  e contesti più             in maniera adeguata nei rapporti sociali.
  strutturati                Nella fase adolescenziale il volontariato ha
                             anzitutto ricadute importanti nel processo
di costruzione dell’identità personale, aumenta l’autostima, consen-
te di conoscere e sperimentare le proprie attitudini, a volte orienta i
futuri percorsi di studio. In particolare i soggetti più giovani vivono
l’esperienza di volontariato in una dimensione decisamente auto-
centrata, non c’è ancora (se non in pochi casi) la percezione del
volontariato come forma di partecipazione attiva nella società.
Tramite l’esperienza del volontariato si impara a interagire e a
collaborare con gli altri, con i coetanei che non rientrano necessa-
riamente nella sfera amicale, ma anche con generazioni differenti
dalla propria, si impara a confrontare le proprie convinzioni con la
mentalità e le idee del mondo adulto, i rapporti sociali diventano più
profondi superando la logica dell’apparenza.
 Il volontariato rappresenta un’occasione per sperimentare ruoli

                                   27
diversi, per comprendere le proprie capacità e le proprie attitudini,
per assumersi responsabilità ed impegno: è per tutti un’occasione
di crescita.
Quando si chiede ai giovani di approfondire maggiormente in che
senso il volontariato è stato un’esperienza di crescita personale,
i soggetti fanno riferimento ad una molteplicità di significati, che
possono essere raggruppati in due macro-categorie: da un lato la
capacità di relazionarsi con gli altri, di saper agire
in contesti sociali non abitualmente frequentati,
dall’altro l’essere entrati in relazione con realtà
                                                             mettersi
diverse dalla propria.                                    alla prova
Le competenze relazionali, intese nella loro
accezione più ampia del “saper essere” e dell’en-
                                                          senza troppi
trare in relazione, sono l’aspetto maggiormente                     rischi
richiamato dai giovani e variamente declinato.
Certi tipi di volontariato, soprattutto quelli di servizio alle persone,
richiedono al giovane un certo tipo di capacità di interazione, ma al
tempo stesso sviluppano queste abilità.
Rispetto ad altre dimensioni gruppali che sviluppano, anch’esse,
competenze di tipo relazionale, il volontariato mette il giovane in
relazione con soggetti diversi da sé, l’anziano in istituto, la persona
che vive in situazione di disagio, il disabile, ecc., e questo amplia le
opportunità di relazione dell’individuo; offre un quid in più rispetto
ad altre esperienze associative.
Questa dimensione relazionale è significativa anche in rapporto al
mercato del lavoro e alla società adulta in cui i giovani sono chia-
mati ad inserirsi: l’attuale mondo delle professioni non richiede
ai soggetti soltanto competenze tecnico-professionali, ma anche
quelle competenze trasversali comuni a svariate professioni (ca-
pacità di comunicazione, saper lavorare con gli altri, attitudine
all’ascolto, lavorare per progetti). L’acquisizione di tali competenze
non deriva unicamente dai tradizionali sistemi scolastici o formativi,
ma sovente è legata al vissuto esperienziale dei soggetti, di con-
seguenza un’organizzazione di volontariato può essere un luogo di
esercizio costante di queste competenze.
In termini più utilitaristici il volontariato è un’indubbia occasione
formativa in cui sviluppare abilità sociali e/o acquisire capaci-

                                   28
tà professionali o trasversali che potranno          compresenza
essere spese in ambito lavorativo. Il volonta-
riato assume una valenza orientativa, per-           di una matrice
ché consente di stimare in modo realistico               orientata al
le proprie potenzialità e aiuta a focalizzare i
propri interessi.                                   self-interest
Un aspetto evidenziato da molti giovani
intervistati è quello della gratificazione e del
                                                        accanto ad
riconoscimento. La relazione di aiuto che si             istanze più
instaura con i destinatari dell’azione solida-
le è solo apparentemente unidirezionale, è
                                                       solidaristiche
anzitutto relazione umana, densa di scambi,
di reciprocità, il piacere del dare e del ricevere contemporaneamen-
te. Secondo Palmonari1 le motivazioni individuali, da sole non sono
sufficienti per condurre all’azione sociale, occorre che vi sia un rico-
noscimento sociale del gesto individuale e quindi una chiara consi-
derazione del suo statuto nell’insieme degli scambi e dei rapporti.
Questa molteplicità di aspetti va tenuta in considerazione se si
vuole analizzare la partecipazione giovanile al mondo dell’associa-
zionismo, in generale, e al mondo del volontariato nello specifico,
anche per capire come avvicinare nuove fasce giovanili all’impegno
solidale. Riconoscere la compresenza di una matrice orientata al
self-interest, accanto ad istanze più solidaristiche, consente di ave-
re una percezione più completa del proprio agire. L’impegno asso-
ciativo promuove una crescita personale, aumenta la comprensione
di sé, conferma valori e convinzioni attraverso l’azione.

1. Polmonari A., Gratuità imperfetta, in “Rivista del volontariato”, maggio 1997
                                        29
3.3 Cosa pensano i giovani del volontariato?
Per comprendere meglio il rapporto dei giovani con il mondo del
volontariato, grande attenzione è stata posta anche ai fattori che li
tengono lontani da queste forme di partecipazione sociale.
A livello di definizione i giovani considerano come volontariato
precipuamente le attività a carattere solidaristico, rivolte a favore di
terzi in stato di svantaggio, di bisogno o di non riconoscimento dei
diritti, mentre è più difficile che vengano incluse in questa catego-
ria le azioni per il miglioramento del benessere collettivo (come la
tutela di beni culturali o del patrimonio ambientale).
Buona parte dei soggetti esprime
opinioni positive rispetto all’impegno                è bello, ma io
solidale (indipendentemente dal far di
gruppi associazionistici o meno), evi-        non lo farei mai
denziando soprattutto la dimensione
della gratuità e dell’altruismo. Raramente i giovani criticano un’azio-
ne di impegno sociale e riflettono da questo punto di vista un pen-
siero comune della società nel suo complesso,
Chi mette in atto qualche forma di impegno sociale è spesso rico-
perto da un manto di mitizzazione, soprattutto da chi non si è mai
avvicinato a questa realtà c’è questa visione del volontariato sbi-
lanciata sulla dimensione altruistica, senza cogliere come contenga
anche un aspetto di reciprocità a favore di chi lo pratica.
La partecipazione all’associazionismo sociale viene vista come
qualcosa verso cui si è portati oppure no, non tanto una scelta,
quanto una strada possibile solo per alcuni. Questo soffermarsi
sugli aspetti più nobili e sottolineare la generosità di chi si impegna
socialmente, spesso si coniuga con il pensiero di non essere portati
per il volontariato: “è bello, ma io non lo farei mai”. Sono soprattut-
to coloro che non hanno mai svolto attività di volontariato ad avere
una visione sbilanciata sulla dimensione altruistica: il volontario
come un soggetto mosso da grandi e nobili ideali, capace di sacri-
ficare il proprio tempo libero senza ricevere nulla in cambio, pronto
a dedicarsi agli altri appena c’è bisogno di lui.
Per buona parte degli intervistati, come si è detto all’inizio, il volon-
tariato è visto in un’accezione ampia di impegno gratuito che può
essere profuso in diversi ambiti: dalle attività ludiche con i minori,

                                   30
ai servizi per le fasce più deboli della popolazione, all’assistenza
sanitaria delle croci, ecc. È anche vero però che una parte di gio-
vani associa il volontariato alle istituzioni cattoliche. In alcuni casi la
matrice religiosa può costituire un ostacolo alla partecipazione per
coloro che ad esempio non sono credenti o che, per varie ragione,
si sentono lontani dalla Chiesa cattolica, ma per altri soggetti que-
sto ancoraggio può svolgere una funzione di motivazione al volon-
tariato.
Per comprendere meglio se vi sono delle motivazioni che allontano
i giovani dalla realtà dell’associazionismo e del volontariato, vale la
pena di approfondire le categorie di giudizio più critiche. Andando
oltre le immagini di desiderabilità sociale connesse al volontariato,
emergono le opinioni che circolano nelle reti sociali dei giovani:
un primo richiamo va alla dimensione del successo sociale, chi
si impegna in attività solidali è stigmatizzato dai propri coetanei
(l’espressione “sfigato” è quella che ricorre più frequentemente, so-
prattutto tra le fasce d’età più giovani) perché non è protratto verso
il successo individuale o la ricchezza materiale. Alcuni intervistati
dichiarano apertamente di non aver svolto nessuna attività di volon-
tariato perché non comporta un guadagno econo-
mico, un tornaconto personale in termini materiali.         il tempo è
Nella stessa logica il volontariato è visto come una
perdita di tempo, ininfluente sulla società e inutile         denaro
per se stessi: è l’azione gratuita senza ritorno che
viene denigrata; del resto i giovani non fanno altro che allinearsi
all’orientamento verso il successo individuale e alla ricchezza mate-
riale che circola nel sistema sociale ed è veicolato, in prima battuta,
dal mondo adulto.
La mancanza di tempo e la gratuità dell’impegno volontario si sinte-
tizzano perfettamente nella logica “il tempo è denaro” che rimane
sullo sfondo del discorso giovanile. La rilevanza della dimensione
economica è un elemento piuttosto preoccupante, visto che si trat-
ta di giovani non ancora inseriti appieno nel mercato del lavoro (o
inseritisi solo in parte).
Tra i più giovani chi si pone in termini critici richiama la dimensione
del divertimento in antitesi con il volontariato, che è percepito come
un’attività noiosa, svolta in uno spazio di impegno, simile a quello

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strutturato della scuola o del lavoro. La dimensione dell’impegno
non sottende tanto la paura di essere responsabilizzati, quanto il
timore di operare scelte fagocitanti. I giovani hanno bisogno di
gradualità, di poter provare un contesto senza dichiararne subito
una piena adesione.

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3.4 Chi non partecipa (più) ad attività di volontariato
Su 80 persone dai 18 ai 30 anni sono 19 i giovani impegnati in qual-
che associazione di volontariato, mentre 12 intervistati hanno preso
parte ad attività di volontariato in precedenza e successivamente
se ne sono distaccati. I restanti 50 individui sono giovani che non
hanno mai svolto attività di volontariato.
Se si analizzano le caratteristiche socio-anagrafiche sono i più gio-
vani (dai 18 ai 21 anni) ad emergere come più attivi nel mondo del
volontariato rispetto ad altre fasce d’età. Tutto il ciclo di vita consi-
derato (dai 18 ai 30 anni) rappresenta un periodo denso di passaggi
verso la vita adulta, in cui si possono venire a intrecciare i processi
formativi e di professionalizzazione, la formazione di una propria
famiglia, ecc. È plausibile pensare che il volontariato sia influenzato
dai cambiamenti esterni: eventi di tipo personale, come trovare la-
voro, sposarsi, cambiare città di residenza, possono ridurre drasti-
camente gi spazi di tempo libero e portare ad interrompere l’azione
volontaria.
La variabile “inserimento lavorativo”
agisce, com’è ovvio, sulla disponibilità di Si condividono
tempo libero e quindi esercita un’influenza
sulla permanenza nel mondo del volon-                 gli obiettivi
tariato, ma non in modo lineare, la sua               e le attività
influenza si esercita soprattutto congiun-
tamente ad altri cambiamenti che inter-          dell’associazione
vengono nel percorso di vita dei soggetti.                      ma non
Laddove l’inserimento occupazionale si
somma alla costituzione di un proprio nu-           sempre questo
cleo famigliare o alla fuoriuscita dalla casa             implica una
dei genitori si verifica un sovraccarico di
impegni difficilmente conciliabile con il       fidelizzazione
volontariato. Il legame più debole, plausi-              dei volontari
bilmente quello associativo, viene reciso
anche quando il distacco dall’azione di             all’associazione
volontariato viene vissuto con dispiacere,
eventualmente rinviando l’esperienza a periodi successivi della vita.
Una parte dei soggetti intervistati ha vissuto esperienze di volonta-
riato precedenti (a volte più di una), segno di una modalità di par-

                                   33
tecipazione giovanile nelle associazioni caratterizzata da fluidità: si
entra e si esce con una certa facilità, privilegiando un atteggiamen-
to di exit piuttosto che di voice1. Quello che emerge in varie intervi-
ste è la condivisione degli obiettivi e dell’attività svolta dall’associa-
zione di volontariato di cui si è parte, senza che questo implichi una
fidelizzazione dei volontari all’associazione stessa. Coinvolgimento
e appartenenza non sono necessariamente dimensioni legate tra di
loro: la volontà di impegnarsi in un servizio può risultare abbastanza
svincolata dall’appartenenza associativa o concretizzarsi in diverse
associazioni.

1      Il modello interpretativo di Hirschman include due modalità di regolazione
       dei rapporti con le organizzazioni: un soggetto può interrompere la rela-
       zione con una organizzazione (exit), oppure può cercare di migliorare la
       relazione attraverso la protesta (voice).
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3.5 Come promuovere il volontariato
L’aspetto della gradualità nell’inserimento all’interno di una realtà
organizzativa è un elemento importante. Le associazioni, che sof-
frono spesso della carenza delle leve giovanili o di un elevato turn-
over, tendono spesso a chiedere ai neo-volontari impegni ben pre-
cisi in termini di tempo e ruoli. C’è invece bisogno di poter provare,
di conoscere l’organizzazione e gli obiettivi che persegue, prima
di poter prendersi un impegno; poi, se il contesto fornisce quegli
elementi positivi che abbiamo visto precedentemente, il soggetto
potrà decidere di dedicare più ore del suo tempo o acquisire man
                               mano ruoli di maggiore responsabilità.
Percorsi di                    Anche relativamente ai compiti i giovani
affiancamento sidall’impegno     trovano sul campo mossi da un lato
                                               ed entusiasmo, dall’altro
dei neo-volontari, dalla voglia di sperimentarsi, tuttavia
con persone che questi                 elementi non sempre sono suffi-
                               cienti. Aleggia tra i giovani un po’ que-
facilitino il cammino sta immagine del volontario come “colui
                               che sa agire da solo”, ma questo non fa-
vorisce la partecipazione giovanile (se non nel breve termine); l’en-
tusiasmo giovanile porta a sottovalutare il senso di inadeguatezza
e di spaesamento che si possono sperimentare in certe situazioni;
gli adulti devono esserne consapevoli e sostenere la formazione di
adeguate competenze dei giovani volontari. Il volontariato rappre-
senta senz’altro un’occasione di crescita, perché responsabilizza
il soggetto nell’assunzione di un impegno e perché lo porta a con-
frontarsi con situazioni e realtà diverse da quelle che sperimenta
all’interno dei circuiti relazionali in cui è inserito, tuttavia questa
crescita va sostenuta da parte del mondo adulto. Si potrebbero
pensare, ad esempio, a percorsi di affiancamento dei neo-volontari,
simili a quelli che vengono strutturati all’interno di altri contesti
organizzativi dove il cosiddetto facilitatore ha il compito di agevo-
lare la comprensione dei valori e degli obiettivi dell’organizzazione,
l’apprendimento dei modelli di azione e le competenze per svolgere
il proprio ruolo in autonomia. Il percorso di affiancamento è di per
sé un percorso di formazione in situazione, che potrebbe essere
appetibile agli occhi dei giovani, perché permette loro di conoscere

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