Giovani e partecipazione: il puzzle delle relazioni sociali - Pastorale Giovanile Savona-Noli Caritas Diocesana Savona-Noli
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Pastorale Giovanile Savona-Noli Caritas Diocesana Savona-Noli Giovani e partecipazione: il puzzle delle relazioni sociali
Per consultare i risultati completi dell’indagine o per prenotare copie di questo estratto, contattate i nostri uffici: Caritas Diocesana via Mistrangelo 1, Savona. Tel. 019 822677 www.caritas.savona.it - segreteria@caritas.savona.it Pastorale Giovanile Diocesana piazza Marconi 5, II piano, Savona. Tel. 3471178237 www.pastoralegiovanile.sv.it - info@pastoralegiovanile.sv.it Finito di stampare nel mese di Aprile 2010 2
indice Introduzione 5 1. Forme e modalità di aggregazione giovanile 1.1 Il gruppo sociale e le sue funzioni 8 1.2 Il rapporto con gli adulti di riferimento 12 2. Percorsi di socializzazione “mediata” 2.1 Relazioni e identità virtuali: chat, blog, forum, social network 18 2.2 L’interazione virtuale: dimensione centrale, marginale o parallela? 19 3. Il volontariato visto dai giovani 3.1 La scelta del volontariato tra radicamento e soggettività 24 3.2 Volontariato per gli altri e volontariato per sé 26 3.3 Cosa pensano i giovani del volontariato? 30 3.4 Chi non partecipa (più) ad attività di volontariato 33 3.5 Come promuovere il volontariato 35 4. Chiesa cattolica e dimensione religiosa 4.1 Appartenenza religiosa e percezioni giovanili prevalenti 42 4.2 Atteggiamento verso le istituzioni ecclesiastiche 44 4.3 Ricerca della religiosità 46 Bibliografia 53 3
Si ringraziano per la collaborazione: gli 80 giovani che hanno accettato di farsi intervistare gli intervistatori Elisa Olivieri, Andrea Bosio, Eleonora Raimondo, Maria Vallerga 4
Questo opuscolo che avete fra le mani è l’estratto, che introduzione abbiamo voluto sintetico e leggibile, di un lavoro di indagine sui giovani savonesi. In diversi ambiti e in particolar modo nel mondo dell’associazionismo ci si interroga da anni sul mondo giovanile e sulla relazione che intrattiene con le varie forme di partecipazione sociale. Rispetto alla diffusione di studi che vengono condotti a livello nazionale, non sono molte le indagini sviluppate a livello locale. L’esigenza di conoscere meglio le fasce giovanili che popolano il territorio è stata quindi lo spunto di partenza che ha indotto la Equipe per la Pastorale Giovanile della diocesi di Savona - Noli a ragionare su queste tematiche e a sviluppare un percorso di ricerca sociale. L’indagine è stata da noi affidata allo studio SYNESIS Ricerca Sociale, Monitoraggio e Valutazione di Deborah Erminio che ha realizzato una ricerca tramite interviste in profondità a 80 giovani di età compresa tra i 18 e i 30 anni, abitanti a Savona. Speriamo che questo studio possa aiutare il lavoro di tanti educatori, volontari e professionisti: la ricerca è indirizzata agli operatori scolastici e agli assistenti sociali, agli animatori parrocchiali e ai responsabili di associazioni, agli animatori di comunità, agli allenatori, ai preti, alle suore, … insomma a tutto quel vasto mondo che ha a cuore la sorte dei giovani. Mettendo in pratica un semplice assioma della educazione, abbiamo cercato di dare la parola ai giovani, perché ci aiutassero ad aiutarli. Don Germano Grazzini Responsabile del Servizio Diocesano per la Pastorale Giovanile e la Caritas Diocesana di Savona - Noli 5
introduzione Le aree tematiche oggetto di approfondimento sono state le seguenti: la dimensione relazionale e le funzioni delle relazioni tra pari, i gruppi cui partecipano i giovani, intesi in senso lato come forme di aggregazione su base sportiva, musicale, intorno a specifici hobbies o interessi; le nuove forme di relazione inerenti allo sviluppo dei networks sociali; la partecipazione, la vicinanza o la lontananza rispetto al mondo del volontariato e, infine, il rapporto con la religione e le istituzioni religiose. La scelta dell’approccio metodologico è dettata dall’angolatura prospettica con cui si vuole osservare il fenomeno sociale oggetto di studio. Dal momento che l’idea era quella di cogliere gli orientamenti motivazionali e le motivazioni dei soggetti, si è adottato un approccio qualitativo. È stato utilizzato un campionamento per quote, suddividendo i soggetti in base a tre criteri: genere, età (18-21/22-26/27-30) e condizione rispetto al lavoro (studenti, lavoratori, in transizione). Si è cercato il più possibile di tener conto sia di coloro che frequentano ambienti ecclesiali, sia di coloro che non li frequentano. Deborah Erminio Deborah Erminio si specializza come dottore di ricerca in metodologia della ricerca sociale e dal 2000 si occupa di migrazioni, collaborando principalmente con il Centro Studi Medì. Dal 2009 apre un proprio studio di ricerca sociale “Synesis” e svolge attività di sociologa per conto di enti pubblici, centri di ricerca, osservatori. Fa parte della rete internazionale European Migration Network. Cura periodicamente dal 2005 alcuni contributi sul Dossier Statistico Immigrazione della Caritas/Migrantes. Tra le principali pubblicazioni (a cura di) Donne immigrate e mercato del lavoro, Fratelli Frilli editori, Genova, 2005; Imprenditori transnazionali in un’antica città globale in Ambrosini (a cura di) Intraprendere tra de mondi, Il Mulino, Bologna, 2009; Dalla maternità transnazionale al ricongiungimento: la molteplicità dei percorsi in Ambrosini (a cura di), Famiglie in movimento. Separazioni,legami, ritrovamenti nelle famiglie migranti, in corso di pubblicazione. 6
1. Forme e modalità di aggregazione giovanile 7
1.1 Il gruppo sociale e le sue funzioni Quando si parla di gruppi spontanei e quindi di gruppi di amici si pensa subito alla dimensione dello svago, del tempo libero e parlando di gruppi si può pensare al bisogno di aggregazione, di socializzazione, che ovviamente emergono anche nella ricerca. Meno frequentemente si pensa al fatto che il gruppo svolge una funzione importante nell’acquisizione del ruolo adulto. Il gruppo svolge Il gruppo, a differenza della semplice rela- zione interpersonale, pone le condizioni di una funzione un confronto più articolato, con una mag- importante giore incidenza sulla sfera dell’autostima e su quella del riconoscimento sociale. Nel nell’acquisizione contesto del gruppo si sperimenta infat- del ruolo adulto ti una maggiore instabilità emotiva, che oscilla tra il bisogno di accettazione e il timore di critiche o rifiuti. La conquista e il mantenimento di un ruolo all’interno del gruppo sono la misura della proprio valore sulla scena sociale. Le persone tendono a costruire relazioni di amicizia quando perce- piscono tra loro più similarità che differenze; così nell’interazione individuale vi è generalmente una differenziazione di posizioni e di pensiero più contenuta, con limitate possibilità di conflitto. La par- tecipazione ad un gruppo invece implica una maggiore esposizione a situazioni potenzialmente conflittuali e un più intenso confronto con la diversità e con ruoli sociali diversificati. Come indica una letteratura consolidata in riferimento a queste tematiche, le persone valutano le proprie opinioni e capacità con- frontandole rispettivamente con le opinioni e le capacità altrui. Un eccessivo grado di difformità rischia di condurre ad un disorienta- mento nel proprio percorso di costruzione dell’identità sociale. Nei rapporti in-group (interni al gruppo) il singolo apprende dunque a relazionarsi con la diversità in modo graduale e in un contesto in parte protetto, dove attraverso la sperimentazione di ruoli differenti individua il proprio percorso identitario. È possibile cogliere due principali significati attribuiti alle reti sociali, a cui si riconducono due diverse (ma non necessariamente scisse) modalità di interazione, una orientata verso l’intimità e la confiden- 8
za e l’altra verso l’ampliamento quantitativo l’interazione della propria rete di conoscenze. Da un lato la relazione tra pari offre uno spazio di prote- con l’altro zione, rifugio, confidenza alternativo a quello rappresenta familiare, nel momento in cui quest’ultimo può risultare limitante per il desiderio di autoaf- un’opportunità fermazione personale; il frequente utilizzo di per esprimere, termini e riferimenti, nel descrivere le relazioni amicali, che richiamano la dimensione fami- rimodellare e liare (“gli amici sono come fratelli”, “il gruppo è come una famiglia”) lascia intuire questo mettere in tipo di funzione della relazione interpersonale. discussione Dall’altro lato l’interazione con l’altro rappre- senta un’opportunità per esprimere, rimodel- la propria lare e mettere in discussione la propria iden- identità tità. Nell’immagine di sé che gli altri riflettono si radica il senso di autostima e la percezione di sé che il soggetto acquisisce e porta avanti nel tempo. Estendere la propria rete di conoscenze e riuscire a interagire con successo con un numero elevato di persone sono occasioni di gratificazione e di costruzione di un’immagine apprezzabile di se stessi. Le diverse forme ed espressioni associabili alle relazioni interperso- nali portano ad individuare una distinzione tra molteplici tipologie di aggregazioni possibili, che vanno dalla costruzione di gruppi spon- tanei, alla partecipazione e ad aggregazioni associative strutturate di diverso tipo. Le attività associazionistiche di “fruizione” sono nettamente più dif- fuse tra gli intervistati rispetto a quelle che prevedono una qualche forma di “impegno sociale”; in particolare le due realtà più frequenti che abbiamo incontrato rimandano ad associazioni sportive o a gruppi musicali (tabella 1). Solo un quinto degli intervistati non ade- risce a nessun tipo di gruppo, non pratica sport, non coltiva degli interessi specifici nel proprio tempo libero, non fa parte di gruppi di volontariato. I gruppi sportivi presentano alcune specificità. In diversi casi gli interlocutori hanno descritto una realtà in cui si entra per fruire di un’attività di svago e di evasione, tuttavia se si inizia a praticare 9
l’attività sportiva in età scolare, spesso questa evolve verso forme di agonismo. L’agonismo, la competitività, le convocazioni delle so- cietà sportive sono tutti elementi che sottraggono allo sport il suo aspetto più ludico e alterano la motivazione e gli aspetti iniziali della partecipazione. Lo sport, sempre più agito solo all’interno di am- bienti strutturati, perde il carattere della spontaneità e forse questo è uno dei meccanismi che spiega l’allontanamento dei giovanissimi dalle pratiche sportive. Tab.1 Forme di partecipazione dei giovani Gruppi Gruppi legati a Gruppi di impegno sportivi specifici hobbies sociale/volontariato Partecipa 33 19 18 Ha partecipato 20 2 12 in passato Non ha mai 27 59 50 partecipato Totale 80 80 80 A differenza dei semplici gruppi spontanei, i gruppi che si struttura- no all’interno di particolari realtà associative (che possono variare da quelle sportive o musicali a quelle religiose o di volontariato) vengono associati ad un maggior coinvolgimento emotivo e sem- brano soddisfare in maniera più completa alcune delle aspettative manifestate dai giovani. Gratificazione e valorizzazione del proprio ruolo sono gli aspetti indicati più frequentemente dagli intervistati che fanno parte dei più diversi tipi di gruppo associativo per spie- gare la propria motivazione a proseguire tale attività. L’individuo interiorizza la sua appartenenza al gruppo come parte del concetto di sé e si sente appagato nella misura in cui riceve rimandi positivi per l’auto-definizione di sé. Lo spazio del gruppo associativo offre al soggetto che ne prende parte un’importante occasione di mettersi alla prova come autore 10
e protagonista dell’attività che svolge, il gruppo associativo assumendo ruoli che lo valorizzano e conferiscono senso al suo contribu- diventa spazio to per la buona riuscita dell’attività di dove sperimentare gruppo. Soprattutto per i soggetti che si trova- un’assunzione no in un periodo di transizione tra fasi graduale di importanti della propria vita, il gruppo associativo diventa dunque spazio responsabilità dove sperimentare un’assunzione che conduce verso graduale di responsabilità che condu- ce verso l’acquisizione di ruoli adulti. l’acquisizione Gran parte degli intervistati manifesta di ruoli adulti la percezione consapevole di essere in un’importante fase di crescita delle propria esistenza, in rapporto alla quale la partecipazione sociale ad uno o più gruppi si pone come terreno privilegiato in cui espri- mere e acquisire le abilità e competenze necessarie per muoversi in maniera soddisfacente nello spazio sociale più ampio. Le narrazioni raccolte individuano nella partecipazione al gruppo associativo un importante stimolo per lo sviluppo delle proprie attitudini relazionali, oltre che una preziosa occasione di scambio e confronto di idee. In particolare tale esperienza sembra essersi rivelata cruciale nella maggior parte degli intervistati per lo sviluppo della capacità di autocontrollo e per sviluppare competenze relazio- nali. 11
1.2 Il rapporto con gli adulti di riferimento Dai giovani intervistati emerge, talvolta tra le righe, il bisogno di avere figure adulte di riferimento (al di là di quelle presenti nelle reti famigliari), adulti che sappiano essere modelli di vita positivi e sappiano agire un ruolo educativo. Questo tipo di esigenza appare particolarmente sentita per la fascia di età più bassa tra le tre con- siderate, quella dai 18 ai 21 anni, in cui si tendono a sviluppare sul piano orizzontale relazioni amicali più strettamente rivolte ai coeta- nei e difficilmente estese alle altre età giovanili. bisogno di Il rapporto tra pari si pone infatti sul piano dell’orizzontalità, più diretto ma anche più avere figure circoscritto a livello di accesso a prospettive e adulte di visioni del mondo. Il rapporto con figure adulte che si può avere all’interno di gruppi associa- riferimento zionistici riproduce la relazione dei giovani con che sappiano la società adulta in generale, il sentirsi accolti e essere modelli valorizzati in contesti non obbligati esterni alla sfera familiare rappresenta un’occasione fon- di vita positivi damentale per sviluppare e mettere alla prova la propria identità sociale. I gruppi associativi, da questo punto di vista, offrono occasioni importanti di relazione intergenerazionale; mentre nelle forme ag- gregative spontanee è alquanto rara la costruzione di gruppi che consentono l’interazione tra fasce d’età diverse, questo tipo di relazione è frequentemente accessibile all’interno di gruppi asso- ciazionistici, che possono essere guidati da figure adulte oppure strutturati in modo tale da mettere a contatto età diverse. Agli adulti i giovani chiedono (spesso nei gesti più che nelle paro- le) un ruolo educativo che passa anzitutto attraverso l’esempio e il confronto. L’attribuzione di fiducia e la valorizzazione delle capacità dei giova- ni da parte degli adulti di riferimento sono elementi essenziali per favorire l’assunzione consapevole delle responsabilità e l’applica- zione delle proprie potenzialità, soprattutto per chi attraversa una fase di transizione verso un posizionamento sociale più stabile. Se da un lato il significato del rapporto con gli adulti di riferimento media e accompagna l’entrata nella società più ampia, attenuando 12
la criticità e le difficoltà che questa comporta, dall’altro lato rimane presente e incisivo il ritorno simbolico alla dimensione più protetta dell’ambiente familiare. Il percorso di costruzione identitaria oscilla infatti tra questi due poli: il bisogno di autoaffermazione e quello di protezione. L’ampio uso di termini che fanno riferimento alla sfera familiare per descrivere la relazione con gli adulti all’interno del gruppo associativo apprensione pone questo tipo di rapporto su un piano di complementarità rispetto a quello familiare nei discorsi della vero e proprio, poiché, se per certi aspet- società adulta ti offre livelli di confidenzialità e sostegno analoghi, per altri richiede un più alto grado verso i giovani di autonomia nel giovane e lascia emergere una maggiore incertezza e imprevedibilità della relazione, rendendo necessaria l’assunzione di un più alto grado di responsabilità e lo sviluppo di una più efficace capacità di negoziazione. L’elemento degno di nota è duplice: da un lato i giovani chiedono agli adulti di assumere un preciso ruolo educativo, dall’altro interio- rizzano le percezioni che il mondo adulto esprime verso i giovani. C’è una sorta di apprensione agita nei discorsi della società adulta verso i giovani che, quasi paradossalmente, viene interiorizzata dagli stessi giovani e rimbalzata nel discorso con gli adulti. Le vi- sioni e le percezioni che il mondo adulto proietta su quello giovanile determinano ripercussioni più o meno dirette sulla percezione di sé che i giovani sviluppano, arrivando talvolta a rinforzare e costruire un’auto-percezione distorta e svalorizzata. È stato decisamente singolare osservare in numerosi intervistati un atteggiamento di critica, delusione e preoccupazione verso la cate- goria stessa a cui si sentono di appartenere, che sembra riprodurre in maniera speculare le aspettative attribuite dal mondo adulto su quello giovanile. In diverse interviste è emerso lo sguardo preoc- cupato dei giovani che parlano di altri giovani, uno sguardo che sembra riproporre le ansie della società adulta in cui le nuove fasce della popolazione sono chiamate ad integrarsi. I giovani guardano i propri coetanei e le generazioni ancora più giovani con lo sguardo degli adulti e parallelamente chiedono agli adulti di riprendere in mano il proprio compito educativo. 13
Imparare a relazionarsi con gli altri “[Nel gruppo] può esserci magari la tensione perché non vedi un lavoro fatto come lo vorresti fare te... poi devi renderti conto comunque che ogni persona è diversa, per cui cerchi magari di dirgli che questa cosa la vorrei così piuttosto che cosà, però cerchi di scendere a compromessi. Cerchi di adattarti anche tu...” (Int. 38, femmina, 30 anni, studentessa) “abbiamo tutti un punto di vista se non opposto, perché comunque è impossibile, comunque diverso, ma riusciamo ad amalgamarci. Di idee di- verse, ma uniti, preferiamo molto di più il confronto ... preferiamo litigare, è già capitato che litigassimo per una cosa che non andava bene, però una volta detta ci si adatta e continui” (Int. 28, maschio, 19 anni, in transizione) “A volte ci sono degli scontri.... ci sono anche momenti di difficoltà, però si impara anche a gestire le relazioni in maniera un po’ più diplomatica, che male non mi fa” (Int. 77, femmina, 28 anni, in transizione) “(Il calcio) mi ha aiutato a relazionarmi con altre persone perché co- munque lì ti rapporti anche sottosforzo, nel senso che non sei lucido per ragionare, molte volte ti insultavi, ti mandavi a quel paese, quindi poi sta alla capacità delle persone, finita la partita, finita la discussione dire basta” (Int. 67, maschio, 28 anni, lavoratore) La valenza ludica dello sport “Ho sviluppato un disaffezionamento al calcio: mi rendevo conto che c’erano troppi interessi anche intorno ai giovani, seppur di bassissimo livello. Nell’hockey invece è diverso. Essendo uno sport amatoriale, non professionistico, ogni giocatore dà quello che può … nell’hockey mi piace più che altro lo spirito di famiglia che regna tra le diverse squadre, infra- cittadine anche. Nel senso, in campo si è avversari, ma finita la partita si va a bere una birra assieme, si va a mangiare una pizza assieme, tra avversari” (Int. 49, maschio, 25 anni, in transizione) “Sono contenta di non averlo fatto a livello agonistico perché poi diventa una cosa troppo impegnativa e rischia di non essere più divertente” (Int. 68, femmina, 28 anni, lavoratrice) 14
Come i giovani vedono i giovani “Oggi siamo andati troppo avanti con i tempi! Non so come dire. Abbiamo troppe cose, una volta per avere una cosa te la sudavi ed eri contento e ti stava bene così. Parlo dei tempi dei miei genitori, per andare, non lo so, a ballare scappavano dalla finestra e anche lì vedi… da una parte troppo, troppi divieti, ma guarda preferisco, a pensarci preferisco, avrei preferito essere a quei tempi piuttosto che stare nei tempi a cui stiamo andando incontro! Proprio per questo voler crescere prima, voler fare tutte le cose prima del tempo” (Int. 22, femmina, 21 anni, in transizione) “Discoteca, scooter, amici, droga… i loro valori son quelli…se i giovani sono così come fai a cambiarli? Se si drogano, bevono, escono, fanno cose dell’altro mondo, non studiano, non vanno a scuola o se ne fregano, bullismo, cose così...” (Int. 56, femmina, 22 anni, in transizione) Il rapporto con gli adulti “I giovani vengono visti come quelli che non fanno niente, che stanno tutto il girono in giro, in piazza, invece se vedono un giovane che passa tempo lì (in Croce Bianca) o passa a prenderlo in ambulanza per loro è strano.... Se ci vedono bene o male non lo so, ci vedono a modo loro perché siamo giovani, non si aspettano che noi andiamo sull’ambulanza e che andiamo a prenderli” (Int. 17, maschio, 21 anni, lavoratore) “Ci sono quei due o tre quarantenni che, diciamo, ci fanno un po’ da papà e da mamma, nel senso che sono quelli con cui riesci a ragionare di più, che ti riportano più alla realtà, che se c’è qualche screzio riescono a tenerti con i piedi per terra” (Int. 71, maschio, 27 anni, lavoratore) “Oltre il mio allenatore era anche come un papà! Anche perché era nata una bella amicizia, un bel rapporto, era come un papà! Se avevi un pro- blema ti potevi sfogare” (Int. 6, femmina, 19 anni, studentessa) “l’allenatore (ha un ruolo) sia di guida che riferimento, se c’è qualche pro- blema vado da lui, anche al di fuori del basket, che non centra una mazza, se può ti da una mano volentieri perché comunque è una famiglia dicia- mo” (Int. 27, maschio, 21 anni, in transizione) 15
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2. Percorsi di socializzazione “mediata” 17
2.1 Relazioni e identità virtuali: chat, blog, forum, social network Le caratteristiche della partecipazione aggregativa vengono messe in discussione e talvolta completamente stravolte all’interno di un particolare contesto di scambio: la relazione virtuale (chat, blog, forum e social network). Si tratta di una pratica sempre più diffusa e influente nella vita dei giovani (e dei meno giovani): la quasi totalità degli intervistati dispo- ne di internet nella propria casa e gran parte vi accede quotidiana- mente. Tra i giovanissimi la non adesione alle reti di comunicazione virtuale più diffuse tra i giovani non è priva di implicazioni sociali in termini di esclusione dalle relazioni e dall’informazione. Nonostante le molteplici potenzialità delle tecnologie informatiche, il principale utilizzo che viene richiamato nelle interviste è quello comunicativo e di scambio, a scapito di un loro uso, meno menzio- nato, volto alla ricerca di informazioni. L’accesso alla chat o ai social network è considerato un mezzo per ampliare le proprie reti di conoscenze, ma soprattutto per mantene- re i contatti con persone conosciute, superando le limitazioni che la distanza territoriale comporta. Da questo punto di vista le tecnolo- gie informatiche assumono la funzione di supplementi formativi ri- spetto alle agenzie di socializzazione tradizionali (formali e informali) e possono arrivare a ricoprire un ruolo preminente nella diffusione di valori, stili di comportamento, consumi, miti e modelli culturali. Un aspetto interessante è il continuo richiamo alla dimensione ludica, gli strumenti telematici menzionati vengono infatti identificati per lo più come “gioco”, torna centrale il fattore di svago e spensie- ratezza. Prevalgono atteggiamenti ludici ed evasivi volti a ritagliarsi una spa- zio di “libertà” e spensieratezza, ma al tempo stesso consapevoli del ruolo parziale che possono detenere gli strumenti di comunica- zione telematica nel quadro complessivo della propria vita sociale e del proprio percorso identitario. In particolare evidenziamo l’elevato ed incisivo richiamo alla dimensione ludica come elemento sempre più marginalizzato negli altri ambiti della quotidianità, ma percepito dai singoli come necessario per l’espressione completa della per- sonalità e dell’identità sociale. 18
2.2 L’interazione virtuale: dimensione centrale, marginale o parallela? Dal punto vista del processo identitario, è indubbio che le “piazze virtuali della comunicazione consentano di sperimentare forme di presentazione di sé, slegate dai vincoli che i ruoli ricoperti nella vita reale impongono, mentre nel mondo reale l’identità si lega alle posizioni occupate, allo status sociale, al genere, alla fisicità, all’età e alle attribuzioni esterne, l’identità virtuale offre la possibilità di svincolarsi da questi condizionamenti. Il soggetto può proporre un’immagine di sé idealizzata o anche molteplici immagini di se stessi a seconda degli interlocutori con cui si relaziona, è possibile alterare le informazioni circa la propria identità o renderne note solo alcune, ecc. Questo aspetto sembra presentare aspetti positivi e negativi: da una lato l’opportunità di proporre un’immagine idealizzata delle proprie caratteristiche, dall’altro la possibilità di esprimere se stessi in maniera più autentica in un’epoca che conferisce all’apparenza esteriore un peso rilevante nella definizione dell’intera persona, poiché nella comunicazione tramite web è il solo contenuto dei dialoghi a rendere interessante l’interlocutore, offrendo la possibilità di avvicinarsi in maniera più completa alla personalità proposta dal soggetto. Le caratteristiche della comunicazione virtuale determinano una differenza sostanziale nella “qualità” delle relazioni rispetto a quanto avviene una dimensione che nell’incontro faccia a faccia, che si può riassumere in una maggiore incertezza non invade cognitiva ed emozionale e in un dubbio sentimento di fiducia verso la relazione nè condiziona stessa. Da questo punto di vista l’im- quella reale ma si possibilità di un riscontro reale delle informazioni fornite dagli interlocutori e colloca su un l’assenza di elementi comunicativi non piano “parallelo”. verbali, determinano una diffusa perce- zione di sfiducia da attribuire alle relazioni instaurate sul web. La grande maggioranza degli intervistati attribuisce alle relazioni amicali instaurate tramite il web un peso e un significato piuttosto 19
relativo e contestualizzato nel quadro dello spazio virtuale. L’intera- zione virtuale sembra assumere quasi sempre un ruolo circoscritto e complementare all’interno della vita relazionale e sociale dei sin- goli: una dimensione che non invade né condiziona quella reale ma piuttosto si colloca su un piano “parallelo”. Tra i principali vantaggi vi è possibilità di mantenere i contatti in maniera agevole, superando le limitazioni che la distanza territoriale o la mancanza di tempo possono imporre alla relazione diretta, la possibilità di beneficiare del confronto di opinioni tra età diverse, oltre che tra persone differenti ed eterogenee. Non mancano atteggiamenti più dubbiosi e prudenti circa la valen- za di questo tipo di comunicazione, alcune narrazioni esprimono timori per l’anonimato e l’assenza di un controllo sulla veridicità delle informazioni scambiate e sulle reali intenzioni manifestate dai partecipanti. Pur non negando l’effettiva esistenza e diffusione di atteggiamenti devianti o forme di violenza espresse attraverso la comunicazione telematica, è da tener presente l’influenza dell’opinione pubblica, non sempre fondata su una percezione obiettiva dei fatti, nell’indi- rizzare visioni e interpretazioni che esasperano situazioni circoscrit- te e non rappresentative. Internet è senza dubbio uno strumento pervasivo all’interno del mondo giovanile, tuttavia la grande maggioranza dei soggetti lo percepisce come strumento utile ma non fondamentale, soprattutto come spazio virtuale di socializzazione.1 Per approfondimenti si vedano: Cannizzo D., Realtà giovanile, mass media e con- sumi culturali. Riti di socializzazione, Bonanno Editore, Acireale 1995; Cheli E., La realtà mediata. L’influenza dei mass media tra persuasione e costruzione sociale della realtà, Franco Angeli, Milano 1993. 20
Vantaggi e svantaggi della rete telematica nelle relazioni “Nei tempi in cui viviamo, molto frenetici, il tempo per spostarci è sempre meno, mentre si è sempre lì attaccati a una tastiera... Quindi lo spazio virtuale è molto più accessibile” (Int. 49, maschio, 25 anni, in transizione) “È comodo perché se vuoi parlare con un amico a Milano o a Napoli e quindi li riesci a sentire, cosa che col telefono magari non farei invece così” (Int. 13, maschio, 21 anni, lavoratore) “Puoi parlare con una persona tranquillamente, perché non ti può giudi- care, perché comunque non conoscendoti ti giudica solamente per quello che gli dici” (Int. 24, femmina, 19 anni, in transizione) “Parli con una persona delle tue cose, dei tuoi problemi però.. non sai nemmeno chi è, a parole siamo tutti bravi, voglio dire... Però se non ce l’hai lì davanti, se non lo vedi nella vita di tutti i giorni.. come fai a fidarti?” (Int. 2, femmina, 20 anni, studentessa) 21
Consapevolezza del mezzo “È un’amicizia molto superficiale, che alla fine non si può definire neanche amicizia. È un’amicizia virtuale. Perché io ne ho tanti di amici, ma con alcuni si è creato proprio un legame, perché alcuni sono proprio venuti a trovarmi qua. Mi ci sento telefonicamente, ci sentiamo. Con altri c’è solo un rapporto, oggi ho un problema, te lo dico, mi dai un consiglio, è uno scambio di idee” (Int. 24, femmina, 19 anni, in transizione) “(In chat) c’è un legame molto labile, nel senso che è un legame di conve- nienza, ma non nel senso brutto della parola, ma è un legame che riguar- da esclusivamente l’ambito in cui si parla. Poi delle volte può capitare che si creino degli incontri reali, non virtuali, e da lì possono nascere rapporti significativi. Ma sicuramente da rapporti virtuali rapporti significativi non ne nascono” (Int. 9, maschio, 20 anni, studenti) “Se non dovesse esserci sarebbe come una comodità in meno, ma niente di più” (Int. 66, maschio, 28 anni, lavoratore) “Il fatto di non avere una persona davanti da una parte può aiutarti a sfogarti e a stare un po’ meglio, non ti vergogni, non vieni giudicato, o se vieni giudicato non t’interessi della persona che ti sta giudicando, anche perché non la conosci” (Int. 37, femmina, 23 anni, studentessa) Si uso la chat, per vedere un po’ le opinioni delle altre persone, per scam- biarsi un po’ di idee. Però, resta che comunque le amicizie ce l’hai qui (nella realtà), quindi sentirsi per chat diciamo che è una cosa un po’ più secondaria, se hai voglia di scambiare un po’ opinioni con altre persone che non sono le solite vai in chat” (Int.5, femmina, 19 anni, studentessa) 22
3. Il volontariato visto dai giovani 23
3.1 La scelta del volontariato tra radicamento e soggettività Alcuni dei soggetti intervistati hanno iniziato un’attività di volonta- riato in seguito ad una precisa ricerca personale o mossi da ideali di solidarietà e di impegno sociale, ma nella maggior parte dei casi le persone approdano all’associazionismo sulla base di due spinte, spesso tra loro complementari: il radicamento culturale e le reti di relazione. Soprattutto i giovani non si avvicinano al mondo del vo- lontariato “di punto in bianco”: è rintracciabile nella loro esperienza un percorso di socializzazione che li ha orientati in questo senso, non di rado infatti i giovani volonta- ri provengono da esperienze nello i giovani scoutismo, nei gruppi parrocchiali o in altre forme di associazionismo. non si avvicinano Le matrici ideali, sia di tipo laico, sia religiose, costituiscono quindi una al mondo prima forma di radicamento che pro- del volontariato muovono atteggiamenti pro-sociali: un bagaglio di valori, norme etiche, “di punto in bianco” linguaggi che passano spesso attra- verso le agenzie di socializzazione, anzitutto la famiglia in qualità di agenzia di socializzazione primaria. L’esperienza dei propri genitori o di altre figure adulte di riferimento comporta la socializzazione dei più giovani verso certi ambienti e la socializzazione di certi principi e valori: un meccanismo questo che si trova nell’adesione al volon- tariato, ma anche ad altre forme di associazionismo o di partecipa- zione giovanile e, talvolta, anche nella scelta dei percorsi formativi e professionali. Non di rado i meccanismi si intrecciano e la famiglia indirizza la partecipazione dei bambini verso realtà di aggregazione e di educa- zione giovanile di cui condivide metodi e valori: si pensi ai genitori che iscrivono i figli agli scout, che li accompagnano a frequentare l’oratorio o un gruppo parrocchiale; esperienze che, a loro volta, possono contribuire ad un percorso di maturazione motivazionale verso l’impegno sociale. L’altro elemento forte che favorisce la partecipazione dei giovani alle associazioni di volontariato è la dimensione relazionale; l’azione 24
solidale, inoltre, non nasce in un vuo- to sociale ma si sviluppa in contesti in è rintracciabile nella cui i comportamenti pro-sociali sono loro esperienza incoraggiati, promossi e positivamente riconosciuti. un percorso di La partecipazione a determinare reti sociali (la rete amicale soprattutto) e socializzazione la densità emotiva di queste relazioni che li ha orientati interpersonali facilitano l’avvicinamento all’impegno sociale: l’ingresso in un gruppo di volontariato tramite l’invito di un amico è la formula più frequente. 25
3.2 Volontariato per gli altri e volontariato per sé L’esperienza del volontariato richiama la dimensione del dono, della solidarietà, l’impegno sociale, l’apertura all’altro da sé; tuttavia la partecipazione al mondo dell’associazionismo non è indipendente dalla soggettività degli individui: il volontariato è agire gratuito ma al tempo stesso è esperienza di arricchimento per gli stessi sogget- ti. La ricerca ha voluto evidenziare proprio queste dimensioni del volontariato “per sé”, perché su di esse le associazioni potrebbero puntare per avvicinare il mondo giovanile. Nella partecipazione sociale troviamo due ordini di motivazioni: le prime legate alle dimensioni collettive (la socializzazione con i pari, la dimensione ludica delle aggregazioni giovanili, il bisogno di appartenenza ad un gruppo con cui si condivide un certo orienta- mento di vita), le seconde legate a dimensioni personali (la crescita personale, il mettersi alla prova, realizzare una parte di sé che con- ferisce pienezza di significato alla propria esistenza, ecc.) Una prima dimensione è quella della socializzazione e delle reti amicali, la potremmo sintetizzare così: si entra grazie ad un amico e si rimane sinché vi sono degli amici. La partecipazione alle asso- ciazioni è un modo per incontrare i propri coetanei, tessere nuove relazioni interpersonali, approfondire amicizie; gli amici non sono solo coloro che “tirano dentro” l’associazione ma sono anche uno dei fattori che spingono a rimanervi. La presenza di altri giovani e la possibilità di instaurare rapporti interpersonali di tipo amicale sono aspetti distintivi del volonta- riato dei soggetti più giovani (dai 18 ai 21 anni): per questi intervi- stati spesso il gruppo degli amici e i soggetti frequentati all’intero dell’associazione sono due realtà che combaciano. In stretta connessione con la rilevanza delle relazioni sociali c’è l’aspetto ludico della partecipazione, che è importante soprattutto nella fase adolescenziale, ma persiste anche successivamente in forme differenti. Ad esempio le assistenze pubbliche spesso di- ventano un luogo di ritrovo tra coetanei che sono lì per dedicarsi ad un’azione solidale, ma anche per trascorrere il proprio tempo coi pari; lo spazio del volontariato diventa spazio di aggregazione giovanile. Il volontariato rappresenta un ponte tra le forme di socialità ri- 26
stretta (la famiglia, gli amici, il mondo degli affetti) e opportunità di socialità più ampia, in cui i giovani imparano ad essere protago- nisti attivi in contesti sociali meno competitivi di quelli che posso- no sperimentare in altri ambiti. È un luogo intermedio tra il gruppo amicale e contesti più strutturati dove i giovani possono mettersi alla prova senza troppi rischi, soprattutto in termini di relazione con gli altri. Nella partecipazione sociale troviamo una risposta al bisogno di appartenenza: chi ha seguito un percorso di crescita simile sente di condividere determina ti ideali, valori, orizzonti di significato, che a loro volta agevolano la costruzione di linguaggi, di frame inter- pretativi, modi di vedere il mondo. Il volontariato risponde a questo bisogno di stare con soggetti con cui si condivide un certo tipo di orientamento alla vita: tra i soggetti intervistati l’associazionismo religioso e le esperienze scoutistiche sono senza dubbio i percorsi che hanno saputo maggiormente trasmet- è un luogo tere un sistema valoriale condiviso. Alcuni intervistati parlano apertamente intermedio tra della volontà di: le proprie capacità di af- il gruppo amicale frontare le situazioni in autonomia, di inte- ragire con gli altri soggetti, di comportarsi e contesti più in maniera adeguata nei rapporti sociali. strutturati Nella fase adolescenziale il volontariato ha anzitutto ricadute importanti nel processo di costruzione dell’identità personale, aumenta l’autostima, consen- te di conoscere e sperimentare le proprie attitudini, a volte orienta i futuri percorsi di studio. In particolare i soggetti più giovani vivono l’esperienza di volontariato in una dimensione decisamente auto- centrata, non c’è ancora (se non in pochi casi) la percezione del volontariato come forma di partecipazione attiva nella società. Tramite l’esperienza del volontariato si impara a interagire e a collaborare con gli altri, con i coetanei che non rientrano necessa- riamente nella sfera amicale, ma anche con generazioni differenti dalla propria, si impara a confrontare le proprie convinzioni con la mentalità e le idee del mondo adulto, i rapporti sociali diventano più profondi superando la logica dell’apparenza. Il volontariato rappresenta un’occasione per sperimentare ruoli 27
diversi, per comprendere le proprie capacità e le proprie attitudini, per assumersi responsabilità ed impegno: è per tutti un’occasione di crescita. Quando si chiede ai giovani di approfondire maggiormente in che senso il volontariato è stato un’esperienza di crescita personale, i soggetti fanno riferimento ad una molteplicità di significati, che possono essere raggruppati in due macro-categorie: da un lato la capacità di relazionarsi con gli altri, di saper agire in contesti sociali non abitualmente frequentati, dall’altro l’essere entrati in relazione con realtà mettersi diverse dalla propria. alla prova Le competenze relazionali, intese nella loro accezione più ampia del “saper essere” e dell’en- senza troppi trare in relazione, sono l’aspetto maggiormente rischi richiamato dai giovani e variamente declinato. Certi tipi di volontariato, soprattutto quelli di servizio alle persone, richiedono al giovane un certo tipo di capacità di interazione, ma al tempo stesso sviluppano queste abilità. Rispetto ad altre dimensioni gruppali che sviluppano, anch’esse, competenze di tipo relazionale, il volontariato mette il giovane in relazione con soggetti diversi da sé, l’anziano in istituto, la persona che vive in situazione di disagio, il disabile, ecc., e questo amplia le opportunità di relazione dell’individuo; offre un quid in più rispetto ad altre esperienze associative. Questa dimensione relazionale è significativa anche in rapporto al mercato del lavoro e alla società adulta in cui i giovani sono chia- mati ad inserirsi: l’attuale mondo delle professioni non richiede ai soggetti soltanto competenze tecnico-professionali, ma anche quelle competenze trasversali comuni a svariate professioni (ca- pacità di comunicazione, saper lavorare con gli altri, attitudine all’ascolto, lavorare per progetti). L’acquisizione di tali competenze non deriva unicamente dai tradizionali sistemi scolastici o formativi, ma sovente è legata al vissuto esperienziale dei soggetti, di con- seguenza un’organizzazione di volontariato può essere un luogo di esercizio costante di queste competenze. In termini più utilitaristici il volontariato è un’indubbia occasione formativa in cui sviluppare abilità sociali e/o acquisire capaci- 28
tà professionali o trasversali che potranno compresenza essere spese in ambito lavorativo. Il volonta- riato assume una valenza orientativa, per- di una matrice ché consente di stimare in modo realistico orientata al le proprie potenzialità e aiuta a focalizzare i propri interessi. self-interest Un aspetto evidenziato da molti giovani intervistati è quello della gratificazione e del accanto ad riconoscimento. La relazione di aiuto che si istanze più instaura con i destinatari dell’azione solida- le è solo apparentemente unidirezionale, è solidaristiche anzitutto relazione umana, densa di scambi, di reciprocità, il piacere del dare e del ricevere contemporaneamen- te. Secondo Palmonari1 le motivazioni individuali, da sole non sono sufficienti per condurre all’azione sociale, occorre che vi sia un rico- noscimento sociale del gesto individuale e quindi una chiara consi- derazione del suo statuto nell’insieme degli scambi e dei rapporti. Questa molteplicità di aspetti va tenuta in considerazione se si vuole analizzare la partecipazione giovanile al mondo dell’associa- zionismo, in generale, e al mondo del volontariato nello specifico, anche per capire come avvicinare nuove fasce giovanili all’impegno solidale. Riconoscere la compresenza di una matrice orientata al self-interest, accanto ad istanze più solidaristiche, consente di ave- re una percezione più completa del proprio agire. L’impegno asso- ciativo promuove una crescita personale, aumenta la comprensione di sé, conferma valori e convinzioni attraverso l’azione. 1. Polmonari A., Gratuità imperfetta, in “Rivista del volontariato”, maggio 1997 29
3.3 Cosa pensano i giovani del volontariato? Per comprendere meglio il rapporto dei giovani con il mondo del volontariato, grande attenzione è stata posta anche ai fattori che li tengono lontani da queste forme di partecipazione sociale. A livello di definizione i giovani considerano come volontariato precipuamente le attività a carattere solidaristico, rivolte a favore di terzi in stato di svantaggio, di bisogno o di non riconoscimento dei diritti, mentre è più difficile che vengano incluse in questa catego- ria le azioni per il miglioramento del benessere collettivo (come la tutela di beni culturali o del patrimonio ambientale). Buona parte dei soggetti esprime opinioni positive rispetto all’impegno è bello, ma io solidale (indipendentemente dal far di gruppi associazionistici o meno), evi- non lo farei mai denziando soprattutto la dimensione della gratuità e dell’altruismo. Raramente i giovani criticano un’azio- ne di impegno sociale e riflettono da questo punto di vista un pen- siero comune della società nel suo complesso, Chi mette in atto qualche forma di impegno sociale è spesso rico- perto da un manto di mitizzazione, soprattutto da chi non si è mai avvicinato a questa realtà c’è questa visione del volontariato sbi- lanciata sulla dimensione altruistica, senza cogliere come contenga anche un aspetto di reciprocità a favore di chi lo pratica. La partecipazione all’associazionismo sociale viene vista come qualcosa verso cui si è portati oppure no, non tanto una scelta, quanto una strada possibile solo per alcuni. Questo soffermarsi sugli aspetti più nobili e sottolineare la generosità di chi si impegna socialmente, spesso si coniuga con il pensiero di non essere portati per il volontariato: “è bello, ma io non lo farei mai”. Sono soprattut- to coloro che non hanno mai svolto attività di volontariato ad avere una visione sbilanciata sulla dimensione altruistica: il volontario come un soggetto mosso da grandi e nobili ideali, capace di sacri- ficare il proprio tempo libero senza ricevere nulla in cambio, pronto a dedicarsi agli altri appena c’è bisogno di lui. Per buona parte degli intervistati, come si è detto all’inizio, il volon- tariato è visto in un’accezione ampia di impegno gratuito che può essere profuso in diversi ambiti: dalle attività ludiche con i minori, 30
ai servizi per le fasce più deboli della popolazione, all’assistenza sanitaria delle croci, ecc. È anche vero però che una parte di gio- vani associa il volontariato alle istituzioni cattoliche. In alcuni casi la matrice religiosa può costituire un ostacolo alla partecipazione per coloro che ad esempio non sono credenti o che, per varie ragione, si sentono lontani dalla Chiesa cattolica, ma per altri soggetti que- sto ancoraggio può svolgere una funzione di motivazione al volon- tariato. Per comprendere meglio se vi sono delle motivazioni che allontano i giovani dalla realtà dell’associazionismo e del volontariato, vale la pena di approfondire le categorie di giudizio più critiche. Andando oltre le immagini di desiderabilità sociale connesse al volontariato, emergono le opinioni che circolano nelle reti sociali dei giovani: un primo richiamo va alla dimensione del successo sociale, chi si impegna in attività solidali è stigmatizzato dai propri coetanei (l’espressione “sfigato” è quella che ricorre più frequentemente, so- prattutto tra le fasce d’età più giovani) perché non è protratto verso il successo individuale o la ricchezza materiale. Alcuni intervistati dichiarano apertamente di non aver svolto nessuna attività di volon- tariato perché non comporta un guadagno econo- mico, un tornaconto personale in termini materiali. il tempo è Nella stessa logica il volontariato è visto come una perdita di tempo, ininfluente sulla società e inutile denaro per se stessi: è l’azione gratuita senza ritorno che viene denigrata; del resto i giovani non fanno altro che allinearsi all’orientamento verso il successo individuale e alla ricchezza mate- riale che circola nel sistema sociale ed è veicolato, in prima battuta, dal mondo adulto. La mancanza di tempo e la gratuità dell’impegno volontario si sinte- tizzano perfettamente nella logica “il tempo è denaro” che rimane sullo sfondo del discorso giovanile. La rilevanza della dimensione economica è un elemento piuttosto preoccupante, visto che si trat- ta di giovani non ancora inseriti appieno nel mercato del lavoro (o inseritisi solo in parte). Tra i più giovani chi si pone in termini critici richiama la dimensione del divertimento in antitesi con il volontariato, che è percepito come un’attività noiosa, svolta in uno spazio di impegno, simile a quello 31
strutturato della scuola o del lavoro. La dimensione dell’impegno non sottende tanto la paura di essere responsabilizzati, quanto il timore di operare scelte fagocitanti. I giovani hanno bisogno di gradualità, di poter provare un contesto senza dichiararne subito una piena adesione. 32
3.4 Chi non partecipa (più) ad attività di volontariato Su 80 persone dai 18 ai 30 anni sono 19 i giovani impegnati in qual- che associazione di volontariato, mentre 12 intervistati hanno preso parte ad attività di volontariato in precedenza e successivamente se ne sono distaccati. I restanti 50 individui sono giovani che non hanno mai svolto attività di volontariato. Se si analizzano le caratteristiche socio-anagrafiche sono i più gio- vani (dai 18 ai 21 anni) ad emergere come più attivi nel mondo del volontariato rispetto ad altre fasce d’età. Tutto il ciclo di vita consi- derato (dai 18 ai 30 anni) rappresenta un periodo denso di passaggi verso la vita adulta, in cui si possono venire a intrecciare i processi formativi e di professionalizzazione, la formazione di una propria famiglia, ecc. È plausibile pensare che il volontariato sia influenzato dai cambiamenti esterni: eventi di tipo personale, come trovare la- voro, sposarsi, cambiare città di residenza, possono ridurre drasti- camente gi spazi di tempo libero e portare ad interrompere l’azione volontaria. La variabile “inserimento lavorativo” agisce, com’è ovvio, sulla disponibilità di Si condividono tempo libero e quindi esercita un’influenza sulla permanenza nel mondo del volon- gli obiettivi tariato, ma non in modo lineare, la sua e le attività influenza si esercita soprattutto congiun- tamente ad altri cambiamenti che inter- dell’associazione vengono nel percorso di vita dei soggetti. ma non Laddove l’inserimento occupazionale si somma alla costituzione di un proprio nu- sempre questo cleo famigliare o alla fuoriuscita dalla casa implica una dei genitori si verifica un sovraccarico di impegni difficilmente conciliabile con il fidelizzazione volontariato. Il legame più debole, plausi- dei volontari bilmente quello associativo, viene reciso anche quando il distacco dall’azione di all’associazione volontariato viene vissuto con dispiacere, eventualmente rinviando l’esperienza a periodi successivi della vita. Una parte dei soggetti intervistati ha vissuto esperienze di volonta- riato precedenti (a volte più di una), segno di una modalità di par- 33
tecipazione giovanile nelle associazioni caratterizzata da fluidità: si entra e si esce con una certa facilità, privilegiando un atteggiamen- to di exit piuttosto che di voice1. Quello che emerge in varie intervi- ste è la condivisione degli obiettivi e dell’attività svolta dall’associa- zione di volontariato di cui si è parte, senza che questo implichi una fidelizzazione dei volontari all’associazione stessa. Coinvolgimento e appartenenza non sono necessariamente dimensioni legate tra di loro: la volontà di impegnarsi in un servizio può risultare abbastanza svincolata dall’appartenenza associativa o concretizzarsi in diverse associazioni. 1 Il modello interpretativo di Hirschman include due modalità di regolazione dei rapporti con le organizzazioni: un soggetto può interrompere la rela- zione con una organizzazione (exit), oppure può cercare di migliorare la relazione attraverso la protesta (voice). 34
3.5 Come promuovere il volontariato L’aspetto della gradualità nell’inserimento all’interno di una realtà organizzativa è un elemento importante. Le associazioni, che sof- frono spesso della carenza delle leve giovanili o di un elevato turn- over, tendono spesso a chiedere ai neo-volontari impegni ben pre- cisi in termini di tempo e ruoli. C’è invece bisogno di poter provare, di conoscere l’organizzazione e gli obiettivi che persegue, prima di poter prendersi un impegno; poi, se il contesto fornisce quegli elementi positivi che abbiamo visto precedentemente, il soggetto potrà decidere di dedicare più ore del suo tempo o acquisire man mano ruoli di maggiore responsabilità. Percorsi di Anche relativamente ai compiti i giovani affiancamento sidall’impegno trovano sul campo mossi da un lato ed entusiasmo, dall’altro dei neo-volontari, dalla voglia di sperimentarsi, tuttavia con persone che questi elementi non sempre sono suffi- cienti. Aleggia tra i giovani un po’ que- facilitino il cammino sta immagine del volontario come “colui che sa agire da solo”, ma questo non fa- vorisce la partecipazione giovanile (se non nel breve termine); l’en- tusiasmo giovanile porta a sottovalutare il senso di inadeguatezza e di spaesamento che si possono sperimentare in certe situazioni; gli adulti devono esserne consapevoli e sostenere la formazione di adeguate competenze dei giovani volontari. Il volontariato rappre- senta senz’altro un’occasione di crescita, perché responsabilizza il soggetto nell’assunzione di un impegno e perché lo porta a con- frontarsi con situazioni e realtà diverse da quelle che sperimenta all’interno dei circuiti relazionali in cui è inserito, tuttavia questa crescita va sostenuta da parte del mondo adulto. Si potrebbero pensare, ad esempio, a percorsi di affiancamento dei neo-volontari, simili a quelli che vengono strutturati all’interno di altri contesti organizzativi dove il cosiddetto facilitatore ha il compito di agevo- lare la comprensione dei valori e degli obiettivi dell’organizzazione, l’apprendimento dei modelli di azione e le competenze per svolgere il proprio ruolo in autonomia. Il percorso di affiancamento è di per sé un percorso di formazione in situazione, che potrebbe essere appetibile agli occhi dei giovani, perché permette loro di conoscere 35
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