Ex Ilva, stop alle cause. Raggiunto l'accordo tra Arcelor Mittal e i commissari
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Ex Ilva, stop alle cause. Raggiunto l’accordo tra Arcelor Mittal e i commissari Pier Gaetano Marchetti ROMA – E’ stato firmato nello studio del notaio Pier Gaetano Marchetti di Milano, l’accordo tra l’amministratore delegato di ArcelorMittal Italia, Lucia Morselli, ed i tre commissari dell’ ILVA in Amministrazione Straordinaria, Alessandro Danovi , Antonio Lupo e Francesco Ardito il quale non potendo essere presente a Milano ha firmato attraverso procura notarile. Un accordo che mette fine ai tre mesi di conflitto tra le parti, con la cancellazione delle cause civili avviate a Milano, che prevede la modifica del contratto di affitto e acquisizione dello stabilimento siderurgico con base a Taranto .
Come i nostri lettori ben ricorderanno ai primi di novembre, Arcelor Mittal Italia aveva manifestato, con atti formali e legali la propria volontà di recedere dal contratto di affitto di Ilva, sulla base di tre motivazioni ritenute ostative: abolizione dello scudo penale sul piano ambientale, rischio sequestro con spegnimento dell’altoforno 2 (uno dei tre operativi della fabbrica), ostilità all’investitore da parte della comunità e delle istituzioni di Taranto. Le prime due cause non sono più presenti, mentre persiste e si incattivisce la terza, fortemente strumentalizzata dalla politica locale e da un primo cittadino controverso e fortemente discusso.
Il nuovo Contratto di Affitto modificato tra Arcelor Mittal Italia e l’ ILVA in A.S. prevede che AM InvestCo possa esercitare il recesso, con una comunicazione da inviare entro il 31 dicembre 2020, nel caso in cui non sia stato sottoscritto il Nuovo Contratto di Investimento entro il 30 novembre 2020, – come si legge nell’istanza di accordo visionato dal CORRIERE DEL GIORNO – “A pena di inefficacia dell’esercizio del diritto di recesso, AM InvestCo dovrà versare ad ILVA una caparra penitenziale di 500 milioni di euro”, si aggiunge. Arcelor Mittal si impegna “ad impiegare alla fine del nuovo piano industriale 2020-2025 “il numero complessivo di 10.700 dipendenti“. Nell’ accordo viene indicato il “31 maggio 2020” come termine per raggiungere un accordo coi sindacati per utilizzare anche la Cigs “fino al raggiungimento della piena capacità produttiva“. Le parti si impegnano anche ad agevolare la ricollocazione dei dipendenti rimasti all’amministrazione straordinaria.
Probabilmente non conveniva a nessuno delegare ai giudici l’accertamento delle rispettive buone ragioni, ma ne esce comunque sconfitto il Governo. In ogni caso quanto accaduto dimostra che l’aggiudicazione del 2018, evidentemente non era immune da valutazioni errate e “leggere”. A questo accordo conseguono due gravissime conseguenze per il territorio che nessuno del territorio ha considerato o voluto considerare. La prima conseguenza è che l’attuazione dell’ AIA viene procrastinata a fine 2025 , cioè dopo 13 anni dalla concessione della facoltà d’uso, ed in spregio al pronunciamento della Corte Costituzionale che nell’occasione aveva giustificato tale facoltà con il termine provvisorio . La seconda conseguenza è che il prezzo di vendita del Gruppo ILVA al Gruppo Arcelor Mittal viene rideterminato sensibilmente al ribasso. Pertanto in ogni caso, anche se Arcelor Mittal Italia dovesse restare, non sará mai sufficiente a soddisfare i creditori concorsuali di ILVA in Amministrazione Straordinaria, neanche quelli prededucibili. I segretari generali di Cgil Cisl Uil assieme ai leader nazionali di Fim-Cisl, Fiom-CGIL, Uilm hanno fortemente criticato e bocciato di fatto l’accordo: “Alla luce dei contenuti appresi, riteniamo assolutamente non chiara la strategia del Governo in merito al risanamento ambientale, alle prospettive industriali e occupazionali del gruppo. A questa incertezza si somma una totale incognita sulla volontà dei soggetti investitori, a partire da Arcelor Mittal, riguardo il loro impegno finanziario nella nuova compagine societaria che costituirà la nuova AMinvestco“. Sino a ieri sera, il sindaco di Taranto, Rinaldo Melucci, ha cercato di ostacolare l’accordo chiedendo con più interventi di essere coinvolto nella trattativa di questi mesi rivolgendosi prima al ministro dello Sviluppo economico, Stefano Patuanelli, e successivamente ai tre commissari dell’ ILVA in Amministrazione Straordinaria di non firmare. Inutilmente. E tutto ciò rende bene l’idea di quanto poco o nulla conta il primo cittadino di Taranto Accordo raggiunto tra Arcelor Mittal ed i commissari dell'ILVA in
Amministrazione straordinaria MILANO – Oggi era fissato il secondo appuntamento davanti al giudice per discutere del ricorso cautelare urgente che ILVA in Amministrazione Straordinaria ha presentato a novembre (articolo 700 del Codice di procedura civile) per ribattere all’atto di citazione presentato da ArcelorMittal nei confronti dei commissari e per contrastare la decisione del gruppo franco-indiano di recedere dal contratto firmato a settembre 2018. Come auspicato ed anticipato dal nostro giornale è stata raggiunta in extremis un’intesa “last minute”, nel giorno dell’udienza programmata al Tribunale di Milano, tra i commissari straordinari dell’ex ILVA ed Arcelor Mittal, che hanno raggiunto un accordo sulle cui basi negoziare la revisione del contratto originario di affitto e vendita degli stabilimenti e per l’operazione finanziaria di rilancio dello stabilimento siderurgico di Taranto. Quindi si tratta di un’intesa raggiunta a tornare intorno al tavolo e a rinegoziare i termini dell’impegno della multinazionale nello stabilimento, nel tentativo di scongiurare che la questione sfoci invece in una disputa giudiziaria. L’accordo è stato siglato dai tre commissari dell’ex ILVA Francesco Ardito, Alessandro Danovi ed Antonio Lupo, che hanno ricevuto il semaforo “verde” dal ministro dello Sviluppo Economico Stefano Patuanelli. Soddisfatta anche l’ amministratore delegato di Arcelor Mittal Italia . “E’ stato firmato un accordo nell’interesse del Paese”, ha commentato il commissario Danovi. “Siamo soddisfatti“, ha
aggiunto Claudio Sforza direttore generale dell’ex ILVA . Lucia Morselli, amministratore delegato di Arcelor Mittal Italia “Nell’udienza a porte chiuse Arcelor Mittal – avrebbe detto nell’udienza a porte chiuse Lucia Morselli amministratore delegato in Italia del gruppo franco indiano – farà il possibile per continuare nella produzione, anche se non potrà mantenere gli impegni sulla capacità produttiva, presi nella scorsa udienza, perché nel frattempo, lo scorso 10 dicembre, è arrivato il provvedimento del giudice di Taranto sullo stop all’altoforno 2. “ Uno dei legali di Arcelor Mittal ha spiegato che le parti hanno posto le basi per un negoziato che si svolgerà fino al 31 gennaio al fine di raggiungere un accordo vincolante. Nelle quattro pagine (scritte in inglese) dell’accordo tra i commissari straordinari dell’ex ILVA ed Arcelor Mittal, le parti hanno sottoscritto “un impegno per elaborare un nuovo piano industriale“, riferisce uno degli avvocati della trattativa, dopo che i rappresentanti delle società sono usciti dall’aula del primo piano del Palazzo di Giustizia di Milano. L’udienza, su richiesta anche dei legali dell’azienda, è stata rinviata così al 7 febbraio 2020 .
Arcelor Mittal ha poi spiegato con una nota che “AM InvestCo ha firmato un accordo non vincolante con i commissari Ilva nominati dal governo che costituisce la base per continuare le trattative riguardanti un piano industriale per Ilva, incluso un investimento azionario da parte di un ente partecipato dal governo. Il nuovo piano industriale prevede investimenti in tecnologia verde da realizzarsi anche attraverso una nuova società finanziata da investitori pubblici e privati. I negoziati proseguiranno fino a gennaio 2020. Nel frattempo, nel corso dell’audizione che si è tenuta oggi, i Commissari Ilva e AM InvestCo hanno chiesto un ulteriore rinvio fino alla fine di gennaio 2020 della richiesta delle misure provvisorie avanzate dai commissari Ilva”. I punti su cui le parti hanno trovato un pre-accordo riguardano, quindi, il cosiddetto acciaio «verde», ovvero il parziale abbandono dell’attuale ciclo integrale basato sulla trasformazione dei minerali e utilizzo sia del preridotto di ferro negli altiforni, sia di due forni elettrici; e gli investimenti da effettuare, con lo Stato pronto ad arrivare, anche attraverso le controllate, a un miliardo. Nel protocollo d’intesa firmato tra le parti si legge che “Le parti riconoscono che l’attuazione del nuovo piano industriale», chiamato nuovo green deal «renderà necessari alcuni impianti di produzione di tecnologia verde e potrebbe richiedere che il Piano ambientale sia di conseguenza modificato, nel qual caso le parti coopereranno in buona fede al fine di raggiungere tale modifiche il più presto possibile”.
In corso l'incontro fra il Governo e Mittal. Ma nel frattempo escono tante sorprese... Il ministro dell’ Ambiente, Sergio Costa ROMA – Arcelor Mittal “rispetta il piano ambientale. Questo va detto. Tanto è vero che lo scudo non ha nessun senso per il semplice motivo che sta rispettando quello che doveva fare. Quindi dal punto di vista ambientale lo sta rispettando. Poi è chiaro che noi chiediamo di più“. Queste le dichiarazioni ad “Agorà” su Rai3 pronunciate dal ministro dell’Ambiente di Sergio Costa, sulla questione dello scudo penale per gli attuali “gestori” del gruppo siderurgico ex-ILVA. i commissari dell’ILVA in amministrazione straordinaria. Le verifiche hanno riguardato la situazione generale della fabbrica, le attività di manutenzione finora eseguite e la sicurezza sul lavoro e le operazioni di bonifica nello stabilimento. Accertamenti ed indagini a cui collaborano anche i tecnici Ispra. Le attenzioni dei Carabinieri di Roma e Taranto si è concentrata su “un attento controllo dell’area a caldo“. L’indagine affidata ai militari dell’ Arma mira ad appurare se vi sia stato stato un depauperamento delle materie prime, se sono state eseguite
manutenzioni o se gli impianti rappresentano un pericolo per i lavoratori, poi una verifica complessiva di parchi minerali, nastri trasportatori, cokerie, agglomerato, altiforni e acciaierie in generale. il Tribunale di Milano La Procura di Milano a sua volta ha depositato oggi l’atto di intervento nella causa civile fra il gruppo franco-indiano e i commissari di ILVA in A.S. inerenti al procedimento con cui i commissari chiedono di evitare la cessazione delle attività. nell’ambito dell’indagine per aggiotaggio informatico e reati fallimentari. Negli uffici della procura milanese sono stati ascoltati come “testimoni” Giuseppe Frustaci, direttore Finishing degli impianti di Genova e Novi Ligure, Sergio Palmisano, direttore Salute e Sicurezza, e Salvatore De Felice. Alcuni passaggi dei loro verbali sostanziano con la viva voce di uomini dell’azienda le accuse avanzate dai commissari straordinari Franco Ardito, Alessandro Danovi ed Antonio Lupo nell’esposto alla Procura di Taranto e nel ricorso al Tribunale civile di Milano. “I manager esteri sostenevano che per l’attuale ‘marcia’ degli impianti (cioè la produzione di 6 mln di tonnellate di acciaio n.d.r.), la qualità delle materie prime fosse troppo alta e che occorresse utilizzarne di qualità inferiore per abbattere i costi“. E’ quanto emerge da un passaggio della deposizione resa ai Pm di Milano , da Giuseppe Frustaci, dirigente di ArcelorMittal Italia . Il verbale contenente questa dichiarazioni sono allegati all’atto di intervento della Procura nel contenzioso civile tra la multinazionale franco- indiana e l’ex ILVA. L’ad di Arcelor Mittal Lucia Morselli “ha
dichiarato ufficialmente in un incontro ai primi di novembre con i dirigenti e i quadri” e che “erano stati fermatigli ordini, cessando di vendere ai clienti”. Matthieu Jehl Lucia Morselli In un altro passaggio di un verbale si legge: “In più riunioni tenute da settembre ad oggi sia il precedente amministratore delegato Mathieu Jehl, sia il nuovo amministratore delegato Lucia Morselli, hanno dichiarato che la società aveva esaurito la finanza dedicata all’operazione” dichiarazioni queste messe a verbale lo scorso 18 novembre da un dirigente della stessa ILVA che è stato ascoltato come “testimone” dai pm di Milano . “C’è massima collaborazione fra la Procura di Milano e quella di Taranto” ha detto il procuratore aggiunto di Milano Maurizio Romanelli che con i pm Stefano Civardi e Mauro Clerici coordina l’inchiesta con al centro la richiesta di recesso del contratto di affitto dell’ex ILVA da parte di ArcelorMittal, su cui è aperto, sotto profili diversi, un fascicolo anche dalla magistratura tarantina. Insomma nessuno scontro, ma una cooperazione totale con anche scambi di informazioni.
il Tribunale di Taranto Infatti vi è stato uno scambio di atti istruttori tra le Procure di Taranto e Milano che hanno avviato indagini parallele sul caso ArcelorMittal, come riferiscono fonti di giustizia, aggiungendo che “c’è pieno coordinamento e piena sintonia tra le due Procure nell’ambito dei rispettivi filoni investigativi. Non c’è alcun conflitto“. L’indagine milanese ipotizza i reati di “distrazione di beni dal fallimento” e di “aggiotaggio informativo“, oltre ad un fascicolo autonomo per “omessa dichiarazione dei redditi” di una società lussemburghese di ArcelorMittal. I magistrati tarantini a loro volta indagano per i reati di “distruzione di mezzi di produzione” ed “appropriazione indebita”. INTERVENTO PM_reduce l’atto della Procura di Milano a sostegno del ricorso d’urgenza di ILVA in A.S. Sempre nell’atto di intervento della Procura di Milano nella causa civile tra ArcelorMittal e l’ILVA in A.S. si legge: “Evidentemente lo
stato di crisi di ArcelorMittal Italia, essendovi pericolo di diminuzione delle garanzie patrimoniali per il risarcimento di eventuali danni, rende ancor più necessaria ed urgente una pronuncia giudiziale che imponga alle affittuarie di astenersi dalla fermata degli impianti e di adempiere fedelmente e in buona fede alle obbligazioni assunte”. Secondo la Procura di Milano “la vera causa della disdetta” del contratto d’affitto dell’ex ILVA da parte di ArcelorMittal è “riconducibile alla crisi di impresa” della multinazionale franco-indiana ed alla conseguente volontà di disimpegno dell’imprenditore estero e non è invece il “venir meno del così detto scudo ambientale abrogato” che è stato utilizzato come motivo “pretestuosamente“. In altre parole come dichiarato da alcuni testimoni e come riportano i pm nell’atto di accusa, “la vera causa della disdetta, pretestuosamente ricondotta al venir meno dello scudo ambientale è eziologicamente riconducibile alla crisi di impresa e alla conseguente volontà di disimpegno dell’imprenditore estero”. A confermare la grave crisi del colosso sono state le parole di Claudio Sforza direttore generale della ex ILVA ascoltato anch’egli come “teste” dai pm di Milano. “A questi incontri — ha riferito Sforza — era presente anche Samuele Pasi e i tre attuali commissari“, precisando che l’ultimo incontro si è tenuto il 17 ottobre nello studio milanese del commissario Alessandro Danovi. Aggiunge il testimone Sforza “non solo l’affermazione di aver esaurito la finanza non è usuale in incontro tra rappresentanti di due società, ma circostanza analoga è stata pure ufficialmente pubblicamente esposta il 15 novembre in sede di incontro sindacale tenuto alla presenza del ministro Patuanelli al Mise. Preciso che in questa occasione l’ad Morselli non ha parlato di crisi di finanza ma di disastrosa crisi economica“.
Sempre dalle carte della Procura emerge anche un altro inquietante aspetto: quello sull’affitto non pagato Arcelor Mittal . “Il canone di affitto di ramo d’azienda è trimestrale anticipato per ratei di 45 milioni di euro. L’ultima scadenza del 5 novembre non è stata onorata e stiamo quindi iniziando il processo di escussione della garanzia”. ha spiegato ai pm di Milano un dirigente dell’ILVA in amministrazione straordinaria ascoltato nell’ambito dell’inchiesta con al centro i comportamenti del gruppo franco-indiano. Così continuano le dichiarazioni verbalizzate:. “Nella prima riunione di febbraio del 2019, i manager esteri sostenevano che per l’attuale ‘marcia degli impianti‘ (vale a dire la produzione di 6 milioni di tonnellate di acciaio), la qualità delle materie prime fosse troppo alta e occorresse utilizzarne di qualità inferiore per abbatterne i costi”. Il testimone racconta: “i manager stranieri ricordo che furono molto critici sulla gestione, in quanto ritenevano che i costi industriali fissi (manodopera, manutenzione) e variabili (materie prime) fossero molto alti. Le critiche erano indirizzate soprattutto all’ad Jehl ed alla direzione dello stabilimento di Taranto (retto da Van Campe), entrambi uomini Arcelor Mittal‘“.
L’ad di Arcelor Mittal Lucia Morselli in un incontro “ai primi di novembre con “i dirigenti e i quadri” di Taranto, ha dichiarato ufficialmente “che erano stati fermati gli ordini, cessando di vendere ai clienti“. si legge Salvatore De Felice nel suo interrogatorio ha spiegato ai pm Civardi e Clerici lo scorso 19 novembre , che l’amministratore delegato Lucia Morselli “ha dichiarato ufficialmente in un incontro ai primi di novembre con i dirigenti e i quadri” che erano stati fermati “gli ordini, cessando di vendere ai clienti”. De Felice in un altro passaggio del suo verbale , riportato nell’ atto di costituzione della Procura di Milano con cui aderiscono alla richiesta dei commissari nel contenzioso civile tra l’ex ILVA e il gruppo franco indiano, ha anche aggiunto che ogni fermata di un altoforno “non è mai senza danni” spiegando che le cokerie sono “ancora più complicate e delicate perché eventuali danni hanno immediatamente un risvolto ambientale” in quanto le polveri del fossile finiscono nei “fumi di combustione con le relative emissioni”. Sempre De Felice ha raccontato che ArcelorMittal ha “cancellato” l’approvvigionamento delle materie prime” necessarie per alimentare l’acciaieria.
Inoltre ha spiegato De Felice che “nonostante la sospensione del cronoprogramma di spegnimento, l’azienda non ha tutto quello che serve per proseguire l’attività”. Il piano, che è stato arrestato da Arcelor Mittal su invito del Tribunale di Milano, “prevedeva di lasciare unascorta minima di materie prime solo per un altoforno per un mese”. Le dichiarazioni del dirigente di ArcelorMittal hanno confermato di fatto le denunce dei sindacati e l’allarme dei commissari straordinari dopo l’ispezione nell’acciaieria tarantina effettuata nei giorni scorsi. Infatti, all’uscita dall’impianto Ardito, Danovi e Lupo avevano riferito che le riserve di materie prime sono “al minimo” e che la fabbrica con quello stock a disposizione al momento può andare avanti soltanto per “un raggio di azione molto ridotto“. Sulla base di questi verbali e della previsione di circa 700 milioni di perdita nel 2019 verbalizata dal direttore finance Steve Wampach i magistrati della Procura di Milano sostengono che di fatto esista un serio “pericolo di diminuzione delle garanzie patrimoniali per il risarcimento di eventuali danni” e quindi si “rende ancor più necessaria e urgente una pronuncia del giudice che imponga ad ArcelorMittal di astenersi dalla fermata degli impianti e di adempiere fedelmente al contratto firmato”.
“Non possiamo accettare un disimpegno dagli impegni contrattuali – ha detto il premier Giuseppe Conte a margine dell’inaugurazione dell’anno accademico della Scuola superiore di Polizia. a chi gli chiede dell’incontro, (attualmente in corso) con i vertici di Arcelormittal “Ci venga detto chiaramente qual è la posizione di Mittal e da lì partiremo. Se ci viene garantita la possibilità di rispettare gli impegni, ricordo che non abbiamo proposto noi la battaglia giudiziaria, che è stata promossa da Mittal”. “Se invece prosegue la battaglia – ha aggiunto il premier “noi reagiamo adeguatamente“.
E' ancora "Stato contro lo Stato": la Procura della Repubblica di Milano apre un fascicolo sulla vicenda Arcelor Mittal-ex Ilva. Le ombre sui rapporti Morselli-Di Maio il procuratore capo di Milano Francesco Greco di Antonello de Gennaro Con un comunicato stampa il procuratore capo della Repubblica
Francesco Greco ha reso noto questa mattina che la Procura della Repubblica di Milano “ravvisando un preminente interesse pubblico relativo alla difesa dei livelli occupazionali, alle necessità economico-produttive del Paese, agli obblighi del processo di risanamento ambientale” ha aperto un fascicolo esplorativo (modello 45) per verificare “l’eventuale sussistenza di ipotesi di reato” sul caso Arcelor Mittal-ex Ilva. La Procura di Milano, ha deciso di esercitare il “diritto-dovere di intervento” previsto dal codice di procedura civile “nella causa di rescissione del contratto di affitto d’azienda promosso dalla società Arcelor Mittal Italia contro l’ Amministrazione Straordinaria dell’Ilva“.
Incredibilmente a Taranto i magistrati di Taranto sono il convitato obbligatorio ad ogni tavolo tecnico e politico sull’ ex Ilva. Non è un caso che buona parte della lettera con la quale ArcelorMittal ha annunciato il proprio abbandono dello stabilimento di Taranto, riguarda proprio aspetti giudiziari. A partire dallo “scudo penale” istituito dal Governo Renzi (è bene ricordarlo) per tutelare i commissari Carruba, Gnudi e Laghi dell’ ILVA in Amministrazione Straordinaria, garanzia che durante la gara pubblica internazionale era stato estesa dal Ministero dello Sviluppo Economico guidato da Carlo Calenda (Governo Gentiloni) all’aggiudicatario, quindi Arcelor Mittal, salvo poi venire revocato dal ministro Di Maio, per arrivare poi all’ ordine di spegnimento dell’ altoforno AFO2 disposto da parte
del Tribunale se i lavori di adeguamento non saranno terminati entro il 13 dicembre (e già si sa che è impossibile) e tutto ciò a causa delle mancante ottemperanze alle prescrizioni da parte dei commissari Carruba-Gnudi e Laghi dell’ ILVA in Amministrazione Straordinaria (cioè lo Stato) che disponeva dei 1.083 milioni di euro, per la precisione, sequestrati dalla Fiamme Gialle in Svizzera. Il “tesoretto” della famiglia Riva, era stato scovato nel 2013 dai magistrati milanesi in Svizzera e disponibili da giugno 2017, è stato vincolato dal Tribunale di Milano al risanamento ambientale (decontaminazione e bonifica) dell’area Ilva di Taranto. Abbiamo provato a contattare telefonicamente uno dei tre commissari dell’ ILVA in A.S. nominato dal Governo Renzi, e cioè l’ avvocato romano Claudio Carruba il quale si è dichiarato indisponibile a rispondere alle nostre domande giornalistiche per meglio chiarire ai lettori, ai contribuenti ed ai cittadini (sopratutto quelli di Taranto) come mai insieme ai colleghi Gnudi e Laghi non abbiano rispettato le prescrizioni giudiziarie sul risanamento di AFO2. Vedere qualcuno pagato profumatamente dai soldi pubblici che si rifiuta di rispondere a delle legittime domande, prefigura più di qualche legittimo dubbio… Dal 1° giugno scorso Carruba, Gnudi e Laghi hanno lasciato il posto ai loro successori nominati dal ministro Di Maio: i pugliesi Francesco Ardito (commercialista e dirigente di Acquedotto Pugliese) e Antonio Lupo (avvocato amministrativista di Grottaglie ed attivista del M5S)
ed il lombardo Antonio Cattaneo (partner di Deloitte). ma proprio quest’ultimo, prima ancora di insediarsi con grande etica professionale e correttezza legale ha deciso di rinunciare all’incarico per evitare un conflitto d’interesse, infatti tra gli “audit client” di Deloitte vi è una società che controlla una controparte di ArcelorMittal, diventata locataria-proprietaria di ILVA. I tre commissari uscenti “ufficialmente”si sono dimessi dopo aver portato a termine il passaggio ad ArcelorMittal, conclusosi il 1° novembre 2018. Ma in realtà il cambio della guardia è stato deciso dal ministro Luigi Di Maio e del suo staff di gabinetto al MISE, che ha voluto iniziare quella che lo stesso vicepremier chiamava la “Fase 2 di Taranto” e dell’acciaieria. Che è inizia già zoppa: con un commissario in meno, e sopratutto a causa del 20% dei consensi del M5S persi in un anno a Taranto (dalle Politiche 2018 alle Europee 2019). Tornando ai numeri: in cassa dell’ ILVA in Amministrazione Straordinaria , del “tesoretto” sequestrato e successivamente confiscato ai Riva sarebbero rimasti circa 450 milioni di euro , che non stati nè assegnati nè tantomeno né spesi. Soldi questi avrebbero dovuti essere destinati ad altri interventi di bonifica dell’area Ilva, che sono attualmente sotto sequestro, come quelle delle discariche adiacenti alla gravina Leucaspide, alla Cava Mater Gratiae e quella delle collinette che separano l’acciaieria dal quartiere Tamburi.
Collinette ecologiche che avrebbero dovuto tutelare il quartiere di Taranto adiacente allo stabilimento siderurgico dell’ ex-Ilva dall’inquinamento dell’acciaieria ed invece si erano trasformate in altre discariche, inquinate a tal punto che i ragazzi che frequentavano le adiacenti scuole “De Carolis” e “Deledda” nell’ultimo anno scolastico sono stati costretti a dover frequentare le lezioni nelle aule di altri istituti scolastici di Taranto. Per fortuna sulle collinette c’è stato l’intervento del procuratore capo di Taranto Capristo ed i lavori sono stati effettuati e portati a termine Un vero e proprio paradosso considerato che si trattava di due scuole (sulle 5 totali) che erano state rimesse a norma nel 2016, con un’altra bonifica costata 9 milioni di euro, dell’area Sin (Sito di interesse nazionale) di cui è commissario dal 2014 Vera Corbelli. Partendo dal presupposto che per le aree sequestrate ogni intervento di fatto andrò valutato e deciso di concerto con l’Autorità Giudiziaria di Taranto (che non ha molte competenze in materia industriale) con i 450 milioni restanti, con i quali al momento i nuovi commissari nominati da Di Maio, di fatto, potranno fare ben poco. E’ forte il dubbio ed il timore a questo punto che adesso questi fondi stano stati impiegati o addirittura dirottati altrove, nonostante una norma legale li vincoli al risanamento ambientale di Taranto. Va ricordato che per superare la legge 123 dell’agosto 2017, bisognerebbe farne un’altra, operazione fattibile dal Governo
con un decreto. Lo spegnimento conseguente spegnimento di AFO2 comporta conseguentemente anche quello degli altiforni AFO1 e AFO4 in quanto “ragionevolmente andrebbero estese le stesse prescrizioni», fino al parziale sequestro del molo 4 per lo scarico di materiali grezzi disposto dalla Procura di Taranto a seguito di un incidente causato da avverse condizioni meteo, per il quale non sono state ancora accertate responsabilità penali. È facile capire, quindi, le ragioni per cui il premier Giuseppe Conte nella sua “missione” personale a Taranto abbia voluto parlare direttamente e riservatamente con il Procuratore Capo di Taranto Carlo Maria Capristo. A questo punto solo un incontro tra il premier Conte e la proprietà Mittal potrebbe dirimere il duro braccio di ferro, che al momento sembra aver preso la vita esclusiva della strada giudiziaria. Il Ministro dello Sviluppo economico Stefano Patuanelli a margine dell’inaugurazione dell’elettrodotto Terna tra Italia e Montenegro ha reso noto che “l’azienda ha vietato le ispezioni ai commissari, credo sia un fatto gravissimo che dovrà avere una adeguata risposta”.
Sono ore decisive per l’ex Ilva di Taranto. Il Ministero dello Sviluppo Economico ha convocato per il pomeriggio di oggi alle 15:30 l’ azienda ed i sindacati nel tentativo di aprire un canale di confronto istituzionale con un’azienda. Ci saranno l’ad di ArcelorMittal Italia, Lucia Morselli, e i leader sindacali di Fim, Fiom e Uilm. Ma con la posizione “grillina” di opposizione ad oltranza per chiari ed evidenti motivi politici-elettorali è pressochè inutile sperare in una mediazione “politica” in sede ministeriale. Oggetto ufficiale dell’incontro in realtà è la procedura ex articolo 47 di retrocessione dei rami d’azienda ai commissari.
In questo periodo di grande confusione politica, occupazionale ed industriale, sono emerse dietro le quinte nelle scorse settimane non poche variabili sospette. Dopo la firma del contratto, che prevedeva delle prescrizioni ambientali ed un crono-progamma ben preciso, il Ministro dell’Ambiente Sergio Costa (M5S) un “fedelissimo” di Di Maio, ancor prima dell’ Arma (Costa è un generale dei carabinieri Forestali) ha infatti deciso recentemente di modificare le prescrizioni anti- inquinamento per l’acciaieria ArcelorMittal Italia, firmando un nuovo decreto per riesaminare l’Autorizzazione integrata ambientale (Aia). Il ministro Costa si è limitato a rendere noto la scorsa estate che “si procederà eventualmente fissando più adeguate condizioni di esercizio“. Un comportamento fuori dalle norme contrattuali che non è piaciuto molto ad ArcelorMittal. “Abbiamo preso un impegno — aveva dichiarato l’ Ad Matthieu Jehl prima di essere sostituito dalla Morselli — e fatto un contratto con Ilva con un certo quadro di leggi. Dobbiamo andare avanti con la certezza che questo quadro c’è“. Un quadro, però, modificato anche ArcelorMittal, il gruppo guidato dalla famiglia indiana Mittal, che, dopo poco meno di dieci mesi dall’accordo ha deciso per lo stabilimento di Taranto di dar via alla cassa integrazione. A causa della crisi di mercato.
Ed adesso la famiglia Mittal aveva chiesto al Governo nell’incontro avuto dalla a Palazzo Chigi con il premier Giuseppe Conte di tagliare addirittura un totale di 5.000 dipendenti attualmente a libro paga (invece dei 1.400 inizialmente previsti ed autorizzati) il personale alle proprie dipendenze, dimezzando quello previsto in sede di gara e di stipula contrattuale. Una vicenda che soltanto una seria auspicata inchiesta della magistratura milanese e tarantina potrà chiarire fino in fondo. E non un caso che proprio la Procura Milano sia immediatamente partita Il ruolo imbarazzante di Lucia Morselli ed il M5S Ma abbiamo scoperto qualcosa di molto imbarazzante sul ruolo di Lucia Morselli, da qualche settimana diventata presidente-amministratore delegato di Arcelor Mittal Italia, con il chiaro intento di abbandonare l’investimento della multinazionale franco-indiana in Italia ed in particolare a Taranto. Era il 24 agosto 2018, come scriveva il collega Francesco Pacifico sul quotidiano online Lettera 43 che raccontava che Lucia Morselli “con chiunque parlasse – e sono
pochi, selezionati e potenti amici – ripete da giorni: «Ci riprendiamo l’Ilva“. L’anno scorso la cordata AcciaItalia guidata dagli indiani di Jindal, con la presenza e partecipazione italiana della Cassa depositi e prestiti, del Gruppo Arvedi di Cremona e la Delphin Holding S.à.r.l., società finanziaria con sede a Lussemburgo, amministrata da Romolo Bardin, della quale Leonardo Del Vecchio possiede a suo nome il 25% , ed alla sua morte passerà alla moglie Nicoletta Zampillo; mentre il restante 75% è diviso equamente tra i suoi sei figli (12,5% a testa), “cordata” della della quale la Morselli era la “pivot” e perse contro Arcerlor Mittal nell’asta per conquistare il gruppo italiano.
“La manager sessantaduenne è convinta – scriveva Lettera 43 – sia che la partita si possa ribaltare, sia che la vecchia cordata possa riscendere in campo (almeno in parte: al momento ci sarebbe il sì soltanto di Jvc e Cdp). E questa assicurazione l’avrebbe data anche al ministro dello Sviluppo economico Luigi Di Maio, del quale la Morselli sarebbe un’importante “consigliere” sul dossier Ilva. Pare che il Movimento Cinque Stelle si sia informato anche con lei se era il caso di chiedere l’intervento prima dell’Anac e poi dell’Avvocatura dello Stato”. Il quotidiano milanese solitamente bene informato aggiungeva che ” Dopo aver deciso di non rendere noto il parere dell’Avvocatura, Di Maio ha fatto sapere nelle ultime ore davanti alle telecamere di Agorà (RAI ) che «la questione dell’annullamento della gara non è finita. Per annullarla non basta che ci sia l’illegittimità, ci vuole anche un altro semaforo che si deve accendere, quello dell’interesse pubblico, e lo stiamo ancora verificando». Soprattutto non ha escluso che possa esserci un altro compratore. E qui entra in scena Lucia Morselli“ “La manager che Letizia Moratti volle alla guida di Stream in questi giorni starebbe tirando le fila per rimettere in piedi AcciaItalia. – concludeva Lettera43 – Gli analisti del settore sono molto scettici su questa ipotesi, ma gli indiani di Jindal – conclusa l’acquisizione dell’ex Lucchini a Piombino – potrebbero tornare nella partita anche soltanto per dare un colpo allo storico concorrente Mittal. Inutile dire che la nuova Cdp dell’era sovranista non si farebbe grandi scrupoli a prendere una quota dell’acciaieria. Non ha velleità di tornare in partita, invece, Giovanni Arvedi, anche Leonardo Del Vecchio – che in passato ha polemizzato non poco con l’ex ministro dello Sviluppo, Carlo Calenda – non sarebbe interessato”. Francesco Pacifico, su Lettera 43, infatti, accreditava l’ipotesi, sia pure usando il condizionale, che la Morselli sia un consigliere del ministro Di Maio nel dossier ILVA.
“Il ministro Luigi Di Maio smentisca, nella vicenda ILVA di Taranto, qualsiasi coinvolgimento di cordate fantasma.” Tutto ciò era ben noto anche ai sindacati, infatti a seguito di quell’articolo arrivò la richiesta di chiarimenti dal segretario nazionale della FIM-CISL Marco Bentivogli attraverso una nota in cui qualche giorno spiega:”apprendiamo da LETTERA 43 dell’attivismo dell’ex amministratore delegato di Acciai Speciali Terni, Lucia Morselli, un anno fa nominata in quota Cassa Depositi e Prestiti amministratore delegato di Acciai Italia.La cordata con Jindal, Arvedi e Delphin che ha perso, nel giugno 2017, la gara di acquisizione dell’Ilva di Taranto. Non sappiamo quale sia la casacca di queste ultime ore della Morselli, CDP? Fondo Elliott? Consulente del governo? Ci auguriamo che il ministro Di Maio smentisca questa collaborazione.”
Marco Bentivogli FIM Cisl “Ricordiamo che di Jindal allora in una offerta di 1,2 miliardi metteva solo 3/400 milioni a differenza di 1,8 miliardi di Arcelor- Mittal” sottolineava Bentivogli . “Il resto era a carico di Arvedi, Delphin e Cassa Depositi e Prestiti. Non sappiamo che intenzioni abbia Jindal – aggiunge il segretario della FIM-CISL – ma, gareggiare perché un Fondo finanziario come Elliott prenda gli asset siderurgici italiani è inaccettabile. Trapela in queste ore, infatti, l’interesse del Fondo finanziario per il sito di Terni di Thyssenkrupp. E la Cassa Depositi e Prestiti – si domandava Bentivogli – dovrebbe favorire l’ingresso di un Fondo finanziario americano in una cordata dalla quale si sono defilati gli unici italiani, Luxottica e Arvedi?” Allora concludeva Bentivogli, “ricordiamo i 36 giorni di sciopero che furono necessari per riportare l’amministratore delegato di Acciai Speciali Terni alla ragione e soprattutto chiediamo a Di Maio di smentire immediatamente un conflitto di interessi che sarebbe senza precedenti.” La strizzata d’occhio della Morselli al programma del M5S sull’ ambiente Detto questo, la Morselli considerato il suo curriculum e le poltrone sulle quali siede ha notoriamente grandi collegamenti nel mondo finanziario. Ma non è soltanto questo il suo ruolo in questa vicenda. Ha ottimi rapporti nel mondo bancario e fino all’anno scorso era guardata con simpatia anche dai sindacati. Inoltre è pronta a venire incontro a quella che è la principale richiesta di Di Maio sul fronte ambientale. Come ha ricordato in una recente intervista a Repubblica, “relativamente all’inquinamento, le tecnologie per non inquinare ci sono. Non a caso la cordata di Acciaitalia aveva stanziato un miliardo di investimenti in due nuovi forni elettrici a preridotto, introducendo un serio processo di decarbonizzazione”. Come sta scritto guarda caso…nel contratto di governo. Abbiamo quindi contattato e raggiunto telefonicamente il collega Paolo Madron, direttore responsabile del quotidiano Lettera43.it , il qual ci ha confermato di “non aver mai ricevuto alcuna richiesta di rettifica, lettera di replica, querela nè da Lucia Morselli che da Luigi Di Maio e dal Movimento Cinque Stelle“. Sarà stata una dimenticanza.. un disinteresse… o forse l’applicazione di un vecchio teorema del “chi tace acconsente…“? A questo punto riteniamo che la Procura di Milano e quella di Taranto certamente avranno molto lavoro per verificare ed indagare facendo
luce su questa torbida vicenda, diventata ormai un intrigo politico- industriale-occupazione che rischia di far diventare la città di Taranto e la sua provincia una vera e propria “polveriera” sociale pronta ad esplodere da un momento all’altro.
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