Bolivia 2015 - luglio 2015 - Roberto Calmi (Cile, Argentina, Bolivia) - Dona Un Sorriso | Onlus

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Appunti di viaggio 2015

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        Roberto Calmi

Bolivia 2015
(Cile, Argentina, Bolivia)

              –   ooo   –

        luglio 2015
con un po’ di giugno e di agosto

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Appunti di viaggio 2015

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Appunti di viaggio 2015

                     PRESENTAZIONE

È sempre bene cercare di tenere in pugno le sorti della propria
vita, padroneggiando le varie decisioni che la orientano, ma
qualche volta è anche bello lasciarsi trascinare dagli eventi e dalle
opportunità. Ci si sente più piccoli, si percepisce bene il fatto che
noi siamo, sì, protagonisti della nostra vita, ma solo fino ad un
certo punto.
Avevo sperato di condividere con degli amici le mie conoscenze di
viaggio accumulate nel corso degli anni, accompagnandoli a
scorrazzare in giro per il Sudamerica, ma così non è stato,
pazienza. Sarà per un’altra volta, mi sono detto. E allora, che
fare?
Mi è così venuto in mente che durante il mio ultimo viaggio in
Bolivia, parlando con Manuel, gli avevo detto che mi sarebbe
piaciuto conoscere qualche cosa di più del suo paese, dal momento
che avevo visto solo il sud e qualche città. “Anche a me
piacerebbe molto – mi ha risposto – sarebbe bello se potessimo
fare un viaggio assieme, ti farei conoscere il nord, le Yungas e le
foreste, sarebbe proprio una meraviglia”.
Cose che si dicono e poi rimangono là, fra i desideri.
Poi, due mesi fa, lo chiamo e gli dico: “ricordi, Manuel, quel certo
discorso? ...”, il tipo mi prende in parola subito ed eccomi qui a
mettere nello zaino piumone, giacca a vento e maglioni.
Ovviamente, già che ci sono, non andrò solo in Bolivia. Prima andrò
con il mio amico Portioli in Cile per una visita ufficiale alla
Fondazione, cosa che non faccio da almeno tre anni. Dopo … beh,
non vi sarà difficile indovinare, ma per il momento non sto ad
anticiparvi niente, anche perché una certa parte del viaggio che
mi attende deve ancora essere definita. Se avessi già
programmato tutto minuto per minuto, non sarebbe più un viaggio,

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potrei tutt’al più parlare di una serie di spostamenti, ma non sto
cercando questo.
Ormai lo zaino è pronto e sto solo aspettando che il Portioli mi
venga a prendere per andare all’aeroporto, così inizierà una nuova
avventura sulla quale vi terrò aggiornati.
Per adesso, mando a tutti voi un caro saluto,
                                                   Roberto

                                                                  4
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Prima puntata.

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                                          allo stesso punto da cui è partito,
                            perché, nel frattempo, lui stesso è cambiato.
                                                     Tutto quello che siamo
                                            lo portiamo con noi nel viaggio.
                         In verità, il viaggio attraverso i paesi del mondo
                                         è per l'uomo un viaggio simbolico.
                                                             Ovunque vada,
                                       è la propria anima che sta cercando.
                                Per questo l'uomo deve poter viaggiare.”

                                               Andrei Arsenyevich Tarkovsky

E bravo il nostro Tarkovsky, scrive bene.
Dunque, secondo lui, io starei cercando la mia anima.
Una volta sapevo bene che cos’era l’anima, avevo le idee
chiarissime. Diventando vecchio, vedo però che le mie certezze si
fanno sempre più problematiche. È un momento così, magari mi
passerà. Forse, nonostante qualche mio scetticismo, ha ragione
Tarkovsky e sto cercando davvero la mia anima, può essere.
A parte questo, eccomi partito un’altra volta. Sono le due di notte
di sabato 27 giugno, ora italiana. Il primo tratto, da Milano a Parigi,
ci ha offerto uno splendido tramonto rosso sul Monte Bianco
innevato, proprio bello. Poi ci siamo trasferiti sull’aereo grosso che
ci sta portando da Parigi a Santiago del Cile, quattordici ore e
mezzo di volo ininterrotto. Due ore sono già passate e ne mancano
solo altre dodici. Dopo il decollo ci hanno portato la cena, e devo
dire che non è stata niente male, questi francesi se si mettono
sanno fare le cose bene. L’aereo è un Boeing 777, il bimotore più
grande attualmente utilizzato dall’aviazione civile, una bella bestia.
Abbiamo sorvolato un pezzo di Francia per circa 500 chilometri
verso ovest ed ora siamo a nord della Spagna, sopra l’oceano che
percorreremo per circa 6.800 chilometri, metro più metro meno.
Poi ci saranno 2.500 chilometri di Brasile, 500 di Paraguay, 1.500
di Argentina, poi attraverseremo le Ande, 200 chilometri di Cile e

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saremo arrivati. Sono ormai le due passate e incomincia a venirmi
sonno. Hanno abbassato la temperatura, vogliono probabilmente
abituarci all’inverno cileno che andremo a trovare e mi sono messo
un giubbotto pesante. Adesso spengo tutto, metto via, mi tiro su la
copertina che danno in dotazione, mi metto una mascherina nera
sugli occhi per non essere disturbato dalla luce, i tappi nelle
orecchie, una pastiglietta per dormire e via. Non prendo mai
pastiglie di alcun genere, per mia fortuna, ma quando faccio questi
lunghi viaggi faccio volentieri un’eccezione.
Ecco qua, sono le dieci del mattino ora italiana e mancano ancora
quattro ore all’arrivo, si può dire che siamo quasi arrivati. Fuori è
ancora tutto buio e non si vede niente, ma siamo certamente a
buon punto della traversata del Brasile e ho dormito più di sette
ore filate. Fra poco verranno a portarci la colazione e nell’attesa
andrò avanti a leggere un libro che ho portato con me.
Siamo atterrati a Santiago quando appena incominciava ad
albeggiare, verso le otto e mezzo locali, qui sono le giornate più
corte dell’anno. C’era ad aspettarci in aeroporto il mio amico
Patricio detto Pato, con il suo sorriso di sempre. Siamo andati
all’Hotel Paris-Londres, dove vado ogni volta che vengo a Santiago,
da quando l’altro mio amico Samuel, per motivi economici, ha
dovuto mollare il suo piccolo appartamento dove sempre mi
ospitava, per andare a vivere con una sorella.
Come potete vedere nella pagina che segue, siamo quindi stati al
Mercado Central, il mercato del pesce. Approfitto per presentarvi il
mio amico Portioli, mio compagno di viaggio. Per adesso dovete
accontentarvi di ammirare solo la sua mano destra, inquadrata per
farvi capire le dimensioni che hanno certe cozze da queste parti.

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Qui sotto invece è un altro frutto di mare che il vicino Oceano
Pacifico regala ai cileni: è il picorojo, che vuol dire becco rosso.
L’animale costruisce attorno a se questa specie di guscio con i resti
di altre conchiglie e rimane dentro, bello al sicuro, mangiando i vari
organismi o pesciolini che osano avvicinarsi.

Dopo un giro fra le bancarelle del Mercado Central, siamo entrati
Donde Blanca (un ristorantino chiamato “da Bianca”) situato
all’interno del mercato. I due camerieri più anziani mi hanno
riconosciuto, baci e abbracci che non vi dico. Vedete, uno va
dall’altra parte del mondo e si sente fra amici. È una sensazione
bellissima. Io ho mangiato una zuppa di picorojo, il Portioli, che è
molto più morigerato di me, una zuppa di congrio, un pesce locale,
e il Pato un’altra specialità chiamata paila marina.
Vi ho scritto queste cose dopo una piccola siesta, e adesso ci
incontreremo anche con il mitico Samuel, l’altro mio amico storico
di Santiago. Da voi è già ora di andare a letto, ma qui sono le sei di
sera e dobbiamo stare svegli ancora un bel po’, in modo da
allinearci più in fretta possibile con l’orario locale. Spengo e vado a
passare quest’ultimo scorcio di giornata.
Provo a scrivervi qualche cosa adesso, domenica 28 sera. Ieri
(sabato) era stato il nostro giorno di arrivo e la stanchezza assieme
ai problemi del fuso orario si facevano sentire. Abbiamo comunque
passato una bella serata, cenando con il Pato e con Samuel in un
ristorante qui vicino, ricordando assieme cose e avvenimenti degli
anni passati.

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Oggi il Portioli è stato con i miei due amici e io mi sono dileguato
per un’altra destinazione. Voi che siete sicuramente assidui lettori
dei miei diari di viaggio, ricorderete che all’inizio del 2014 sono
stato con un paio di parenti argentini (la Lisi e Luisito) nel nord del
Cile e poi in Bolivia, per visitare assieme l’altopiano sud occidentale
di quel paese. Sulla Toyota che avevamo noleggiato (con autista
quechua) avevano preso posto anche tre giovani compagni di
viaggio cileni, con cui ci siamo trovati molto bene ammirando
assieme luoghi di singolare bellezza. Al lasciarci, ovviamente, baci,
abbracci e scambio di indirizzi. Con una coppia di questi ragazzi
cileni, poi ci sono stati altri contatti via mail molto simpatici e
quando hanno saputo che passavo per Santiago mi hanno invitato
ad andare a Valparaiso a trovarli, che mi avrebbero fatto conoscere
la città, sarei stato a pranzo da loro, eccetera. Come non aderire
ad un simile invito?
Ero già stato un paio di volte a Valparaiso, ma avevo sempre
trovato tempo brutto e la città non mi aveva entusiasmato. Ma
l’occasione era senz’altro ghiotta. Rivedere la Daniella (sì, con due
elle) e Alexis sarebbe stato un piacere, e visitare una città
accompagnato da persone che vi abitano, ve lo assicuro, è tutta
un’altra cosa.
Così questa mattina ho preso un pullman che in due ore mi ha
portato da loro. Erano ovviamente ad aspettarmi al capolinea del
bus. Lui ha ultimato gli studi di legge e sta facendo il concorso per
diventare avvocato, lei ha fatto degli studi di pedagogia e lavora in
un asilo infantile. Hanno ventisei anni e si sono conosciuti
giovanissimi, una bella coppia.
Mi hanno accompagnato subito nella casa di lui, dove sua mamma
aveva preparato uno spuntino, e poi siamo stati in giro per la città.
Una città dove trovare un metro di pianura, a parte due o tre
piazze vicino al porto, è un bel problema. Tutta abbarbicata su
rilievi, alcuni dei quali molto ripidi, con casette generalmente
modeste e con architetture assai strane. Purtroppo anche questa
volta il tempo non ha favorito la visita, perché c’era una foschia
che non vi dico. Qui sono mesi che non piove ed è una cosa strana,
perché in genere l’inverno è piuttosto piovoso.
L’albergo in cui sto scrivendo qui a Santiago non sembra affatto un
albergo. È una casa della vecchia aristocrazia cilena, ora adibito a
tale scopo. È entrato nella mia stanza il gatto che di solito accoglie
i clienti nella hall, gli ho fatto due carezze e adesso si è messo a
dormire sul mio letto. È un coccolone che non vi dico.
Dov’ero rimasto? Ah, sì, a Valparaiso, passeggiando con i miei due
giovani amici per le viuzze inerpicate sulle colline, con dei piccoli

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bar panoramici, bancarelle, terrazze con vedute sulla città
sottostante. A dire la verità non si vedeva quasi niente per via della
foschia, ma si poteva andare di immaginazione. Molto belle
soprattutto le chiacchierate con i due, questo scambio molto vivo
fra mondi diversi, non tanto per le radici culturali, che qui sono
simili alle nostre, quanto per esperienze generazionali tanto
diverse. Sarebbe importante se i giovani parlassero di più con i
vecchi e se i vecchi parlassero di più con i giovani. È chiaro
comunque che se a monte non ci fosse stata quell’esperienza di
viaggio, tutto questo ricco scambio di idee e pensieri non avrebbe
avuto luogo.
Poi siamo tornati a casa di Alexis, dove sua mamma ci aveva
preparato un pranzetto molto curato e abbiamo continuato a
chiacchierare a lungo piacevolmente. Nel pomeriggio poi mi hanno
accompagnato a fare un altro giretto per la città e poi al pullman
per il rientro a Santiago.

Qui mi vedete con a lato i miei due amici. Dietro alla mia testa si
intravede un piatto di rame appeso al muro. Non pensate che sia
l’aureola, non me la merito di certo, né adesso, né mai.

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Questa è una delle tante case, come vi dicevo, attaccate alla costa
spesso scoscesa dei cerros su cui la città stessa è costruita.
Finiscono così i miei primi due giorni di questo viaggio.
Domani, lunedì, qui sarà un giorno festivo, perché è san Pietro e
Paolo. Una festa più civile che religiosa, istituita negli anni della
dittatura. A questo proposito, oggi il Portioli, mentre io ero a
Valparaiso, è stato con Samuel a visitare il Museo della Memoria e
ne è rimasto molto scosso per le tracce e testimonianze della
ferocia con cui quella dittatura si era insediata nel 1973 e aveva
mantenuto il potere per sedici lunghi anni di storia molto buia e
triste. Io l’avevo già visitato due volte e vi assicuro che se passate
da queste parti vale la pena che entriate a passarci un paio d’ore.
Bene, adesso è già martedì mattina presto e spedisco al volo
questa prima puntata, vorrà dire che un’altra volta vi racconterò
che cosa abbiamo fatto nella giornata festiva di ieri.
Un caro saluto a tutti,

                                                Roberto

                                                                   10
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Seconda puntata.

Sapete chi sono i due loschi ceffi che ho di fianco in questa foto?
Forse ve li ricorderete dalla descrizione di miei altri viaggi, sono
Samuel (quello pelato) e Patricio detto Pato (quello basso), i miei
due amici storici di Santiago, che sempre mi accompagnano nelle
mie visite qui in Cile.
E sapete dov’eravamo lunedì 29 giugno mattina, così sorridenti,
mentre il Portioli ci scattava questa foto?
Eravamo a Isla Negra, il paese in cui il grande Pablo Neruda ha
trascorso una buona parte della propria vita.

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Qui sopra si vede la sua casa, ora trasformata in museo. Qui potrei
benissimo raccontarvi una frottola molto credibile, cioè che vi
mando solo una foto dell’esterno in quanto dentro non si può
fotografare. Invece no, vi dico la verità. Essendo giorno festivo,
San Pietro e Paolo, la casa non era aperta alle visite e quindi non si
poteva entrare. In realtà qualche dubbio lo avevamo, ma ci siamo
detti: “ma no, qui siamo in un paese evoluto, sarebbe il colmo se
facessero come in Italia e chiudessero i musei proprio nei giorni
festivi!”. Invece, a quanto pare, questa cosa l’hanno imparata da
noi proprio bene.
In ogni modo, abbiamo passeggiato un po’ nei dintorni della casa e
siamo scesi verso il mare, soffermandoci fra quei massi scuri,
proprio come faceva Neruda, contemplando l’immensità del mare
e ascoltando il fragore delle onde.
Lui, dopo, scriveva poesie immortali.

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Cuánta piedra litoral alrededor de nuestros ojos!
Son redondas de ola, abruptas de arremetida,
salidas de los volcanes oceánicos.
Son lisas de ágata, ferruginosas y hostiles,
acostumbradas al golpe de la sal,
al derrumbe del cielo.

Quanta pietra litorale attorno ai nostri occhi!
Sono rotonde di onda, sferzate all’improvviso,
uscite dai vulcani oceanici.
Sono lisce di agata, ferruginose e ostili,
avvezze al colpo del sale,
al crollo del cielo.

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Appunti di viaggio 2015

Qui vediamo invece il Portioli che, fra una meditazione e l’altra, sta
trastullandosi con della durvillaea antarctica, che comunemente qui
viene chiamata cochayuyo. Si tratta di un’alga, lunga anche decine
di metri, che viene seccata e poi messa in commercio per usi
gastronomici.
L’oceano la trasporta a riva e la gente spesso la raccoglie per
utilizzarla.

Ci siamo poi fermati a Cartagena, in un modesto posticino a
mangiare qualche cosa.
Nel pomeriggio siamo tornati subito a Santiago, in quanto avevamo
un appuntamento con Antonio Gana, presidente della Fundación
Padre Semeria. In effetti, lo scopo principale di questo breve
soggiorno qui in Cile era la visita a questa Fundación, che non
vedevo da tre anni. Adesso vi spiego qualche cosa, velocemente,
perché non voglio annoiarvi.
Nell’ormai lontano 1984 (cavolo, sono già passati più di trent’anni)
il mio amico Padre Antonio Bottazzi ha messo in piedi un centro di
rifugio per delle ragazzine vittime di violenza. Per ottenere i fondi
necessari, mi aveva coinvolto e io, con l’aiuto di coetanei che lo
conoscevano, ho un po’ coordinato gli aiuti che arrivavano dal giro
di amici comuni e da tanta gente generosa. In questo modo, in
maniera informale, abbiamo potuto permettere la nascita di questa
opera e la sua crescita. I centri di rifugio (qui li chiamano hogares)
sono diventati due e poi tre. Per diversi anni il nostro gruppo di
amici ha potuto sostenere più della metà delle spese di gestione.
Nel 1998 è stata costituita l’Associazione DONA UN SORRISO, che

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Appunti di viaggio 2015

prima di ingrandirsi sosteneva solo i tre hogares del Cile. Per un
quadro più completo, potete andare a guardarvi il nostro sito
www.donaunsorriso.org
La situazione, quale la abbiamo trovata adesso, è di un organismo
vivo, con alcuni grossi problemi, ma con tanta voglia di continuare
e tanto entusiasmo. Dei tre hogares, quello che adesso sta peggio
è quello dei ragazzi a Santiago. Sono piccole costruzioni vecchie,
adattate di volta in volta alle varie esigenze. È intenzione della
Fundación utilizzare un ampio terreno che c’è a lato per costruirvi
un immobile nuovo, adatto all’uso specifico, e poi radere al suolo le
vecchie costruzioni esistenti per farne un piccolo campo sportivo.
Noi ci siamo dichiarati disposti ad esaminare una proposta di
partecipare in parte alla grossa spesa relativa. Vedremo meglio
quali saranno le nostre disponibilità e le nostre priorità.
Gli altri due hogares sono praticamente nuovi, ospitano una
cinquantina di ragazze a rischio sociale e sono gestiti in modo
professionale e attento ai problemi di quelle vite, tanto giovani e
già tanto provate.
L’hogar delle ragazze di Santiago è stato costruito con il ricavo
della vendita di un terreno, mentre l’altro, situato a San Vicente, in
un contesto rurale centoventi chilometri a sud, è stato ricostruito a
seguito del grande terremoto del 2010 che aveva distrutto quello
vecchio.
In questi giorni ci siamo quindi, io e il Portioli, dedicati a visitare
questi tre centri. Sono molto contento che finalmente qualche altro
socio di DONA UN SORRISO abbia preso visione delle realtà che
stiamo aiutando con i contributi di tanta gente generosa che
continua ad avere fiducia in quello che facciamo.
L’altra sera abbiamo fatto una veloce visita a Londres 38, qui vicino
al nostro mitico albergo. Si tratta di uno stabile di tre piani, che era
stato usato negli anni della dittatura dalla DINA - Dirección de
Inteligencia Nacional (i servizi segreti di Pinochet) come luogo di
detenzione, interrogatori e tortura dei dissidenti. Da ricerche
compiute dopo la fine della dittatura, risulta che 98 persone, quasi
tutte giovani, non ne uscirono vive. Sono scolpiti i loro nomi sulle
pietre dell’acciotolato della via antistante.
Oggi invece, giovedì 2 luglio, terminati i nostri impegni
“istituzionali”, ci siamo presi un giorno di riposo. Il Portioli domani
torna in Italia e io passo nella vicina Argentina. Generalmente il
percorso da Santiago a Mendoza me lo faccio in pullman, perché è
molto bello. Questa volta invece, siccome siamo in pieno inverno,
c’è il pericolo di trovare il passo del Portillo (3.500 metri) chiuso
per neve. Ho preferito quindi comprarmi un biglietto aereo. È un

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Appunti di viaggio 2015

volo di quaranta minuti netti: venti per prendere quota, dieci per
attraversare le Ande e dieci per scendere. Come al solito, ci vorrà
poi un’ora per farsi mettere un timbro sul passaporto, ma questa è
un’altra storia.

E per finire anche questa puntata, vi mando questa immagine di
una cena al ristorante Ostras Azocar, dove servono ostriche e frutti
di mare di ogni tipo. Molto meglio guardare il piatto che ci hanno
servito, piuttosto che le nostre facce, che sono sempre le stesse.
Detto questo, anche questa volta vi saluto e la prossima volta che
vi scriverò sarà dall’Argentina, Dios mediante.

Ciao a tutti,

                                               Roberto

                                                                  16
Appunti di viaggio 2015

Terza puntata.

Ciao a tutti.
Anziché mandarvi una foto della solita grigliata di carne argentina,
questa volta – sempre stando in tema gastronomico – ve ne
mando una di altro genere.

Sapete che cosa sono quelle palline rossicce? Sono patate che
vengono coltivate sulle Ande, a tre o quattromila metri di altezza,
al nord, ben sopra la linea del tropico. Lassù rappresentano una
delle risorse alimentari più importanti. Qui vengono commer-
cializzate raramente, ma questa volta le ho trovate al mitico
Mercado Central di Mendoza. Si mettono in una casseruola dopo
aver fatto dorare della cipolla, si aggiunge sale, si va nel patio a
prendere qualche erba aromatica e si fanno andare a fuoco molto
lento, eventualmente aggiungendo di tanto in tanto un cucchiaio di
acqua affinché non brucino. Se venite a trovarmi, ve ne preparo un
buon piatto. Sono deliziose, credetemi.
Io qui sto bene, e giusto per farvi venire un po’ di invidia vi dirò
che sono accanto al caminetto, dove un paio di grossi ceppi di
algarrobo (carrubo) stanno bruciando per riscaldare un po’ la casa.

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Appunti di viaggio 2015

E se non ci credete, guardate qui sotto.

Stavo pensando allo sciopero degli insegnanti pubblici che si sta
trascinando in Cile da più di due mesi. È una cosa che può essere
letta e considerata in vario modo. Da un lato, gli insegnanti
vengono meno ad un loro dovere preciso, cioè quello di provvedere
all’istruzione dei ragazzi. L’istruzione rappresenta il futuro di un
paese e se la si trascura è una cosa grave. Quindi, in pratica,
tradiscono il loro compito a danno degli studenti e dei loro diritti.
Ma se guardiamo un po’ più in là, dobbiamo anche chiederci il
perché di questo sciopero. Due mesi senza stipendio non sono poca
cosa per un professore e un motivo deve ben esserci. In effetti,
quello che li spinge a scioperare, più che la questione economica è
la riforma della scuola, che agli insegnanti proprio non va giù. Io
non me ne intendo di problemi scolastici, tanto meno riguardanti
un paese straniero e non mi addentro quindi in questioni
specifiche. Tuttavia, la mia impressione è che ci sia una strategia di
fondo comune, che non riguarda solamente il Cile. Si vuole cioè
penalizzare e umiliare la scuola pubblica, a vantaggio della scuola
privata. Gli insegnanti della scuola pubblica fanno due mesi di
sciopero? Benissimo, si fa un po’ di economia e si aumenta il
prestigio della scuola privata, non c’è niente di meglio. E per
arrivare dove? A chi giova? Non mi sembra poi tanto difficile da
immaginare. L’idea è che devono studiare solo i figli dei ricchi,
affinché il potere rimanga anche per il futuro saldamente in mani
sicure. Se anche i poveri si mettono a studiare, possono poi
succedere delle cose disdicevoli, perché se per caso uno di loro

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Appunti di viaggio 2015

accede a posti di potere, è capace poi di reclamare più giustizia
sociale, più diritti e una società più equilibrata, cosa che non va
bene, non si addice, va contro privilegi che si credono acquisiti per
sempre. No, per carità, non sia mai che a qualche persona di
potere venga in mente di mettere mano a certi temi. No, il potere
deve essere saldamente tenuto in mano da alcune lobbies, e solo i
figli delle famiglie potenti devono studiare in università in cui certe
logiche perverse hanno assunto il rango di scienza. Quindi,
lasciamo che gli scioperi continuino e che la scuola pubblica vada a
rotoli, tanto meglio.
Il mondo deve andare avanti con le regole esistenti (via via
adattate alle logiche funzionali al più forte) e guai a chi le tocca.
Per dirne una, basta pensare ai privilegi delle banche, che
intascano gli utili e socializzano le perdite. Bella forza, sarei capace
anch’io di fare l’imprenditore stando in una botte di ferro di questo
genere!
Una banca, per guadagnare di più, fa degli investimenti sbagliati e
si trova il portafoglio pieno di porcheria inesigibile? Secondo me,
dovrebbe essere lasciata fallire! I clienti, i creditori, prendono una
fregatura? Peccato per loro, ma anche i clienti devono sapere che
se l’unico criterio per scegliere la propria banca è la
massimizzazione del profitto, i rischi ci sono e può andare male.
E questo è solo un esempio. Guardate che queste cose non le dico
solo io. Sentite un po’ che cosa dice, per esempio, il papa
nell’ultima enciclica uscita, quella sui temi ambientali:
           Il salvataggio ad ogni costo delle banche, facendo
           pagare il prezzo alla popolazione, senza la ferma
           decisione di rivedere e riformare l’intero sistema,
           riafferma un dominio assoluto della finanza che non ha
           futuro e che potrà solo generare nuove crisi dopo una
           lunga, costosa e apparente cura. La crisi finanziaria del
           2007-2008 era l’occasione per sviluppare una nuova
           economia più attenta ai principi etici, e per una nuova
           regolamentazione dell’attività finanziaria speculativa e
           della ricchezza virtuale. Ma non c’è stata una reazione
           che abbia portato a ripensare i criteri obsoleti che
           continuano a governare il mondo.
           da Enciclica Laudato si’, del 24 maggio 2015 – cap.189.

Poi si potrà dire – spesso a ragione – che la Chiesa predica bene e
razzola male, impigliata nelle sue incoerenze, almeno per quanto
riguarda l’apparato organizzativo. D’altra parte, se c’è qualcuno
che dice le cose in modo trasparente, scientifico, sociologicamente

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Appunti di viaggio 2015

corretto, sono proprio i papi nelle loro encicliche sociali. Peccato
che questi testi nessuno poi li legga, a partire da chi li dovrebbe
imparare a memoria e divulgarli quotidianamente, peccato proprio.
Quasi mai, che io sappia, i preti affrontano con adeguata
determinazione questi temi, perché hanno paura che dopo la
messa, in sacrestia, arrivino i soliti zelanti ad accusarli di
comunismo, così come se tutto si fosse fermato ai tempi della
guerra fredda. Peccato proprio.
Così va il mondo, i poveri sempre più poveri, i ricchi sempre più
ricchi e quanto rimane della classe media si trova sempre più
strozzato fra questi due poli. I conti tornano, anche perché la
classe media è la più pericolosa, è quella che saprebbe un domani
mettere in questione un sacco di cose che non funzionano in
questo mondo sgangherato.
Mentre scrivo queste mie elucubrazioni, qui sono già le otto di
mattina ed è ancora tutto buio. Io al mattino mi metto sempre in
pista presto, e anche qui conservo questa abitudine. Qui le
connessioni internet vanno a momenti, e vedo che al mattino
presto, quando la gente è ancora a letto, è molto più veloce. Così
mi alzo, guardo la posta, ascolto un notiziario italiano e quando
trovo l’ispirazione giusta mi metto a scrivere qualche cosa agli
amici.
La María Inés sta bene, è sempre uguale e sempre innamorata del
suo cane, il Polo, il quale non accenna assolutamente a diventare
un po’ meno scemo. Al mio arrivo ho trovato la “mia” stanza tutta
a posto, con il letto fatto e gli asciugamani stirati. Una meraviglia.
Sono arrivato venerdì scorso a mezzogiorno e nel pomeriggio sono
andato dal mio amico Hector, il mio arbolito di fiducia, quello che
mi accompagna in luoghi malfamati di Mendoza a a cambiare gli
euro al cambio nero, pagandomeli – questa volta – 14,20 pesos
per euro anziché i 10 circa del cambio ufficiale. So benissimo che
questo tipo di transazioni finanziarie comporta qualche rischio, per
esempio ritrovarmi con dei pesos falsi, oppure ricevere una
martellata in testa e trovarmi in mutande. In questo caso, la mia
perdita non verrebbe socializzata, bensì resterebbe tutta mia, ma è
un rischio calcolato e la cosa mi lascia tranquillo.
Sabato poi mi sono dedicato a fare qualche commissione. Sono
stato al Mercado Central e ho comprato sei milze e un polmone,
con cui la María Inés ha poi preparato con della farina dei prelibati
pasti per il quadrupede. Lui è sicuramente più affettuoso con me di
quanto io non lo sia con lui, però ci rispettiamo e ciascuno dei due
esprime come riesce le basi per una sana coabitazione.

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Appunti di viaggio 2015

Ho tardato un po’ a mandarvi questa terza puntata, perché, come
vedete, non ho notizie particolari da darvi e finirei per scrivere le
cose che ho già scritto diverse volte. Qui la vita continua come
sempre, i miei parenti sono sempre molto affettuosi con me e mi
sento molto ben voluto. Una cosa molto bella. Mi riposo e mi godo
la compagnia del caminetto scoppiettante. Ho sentito che voi state
tutti crepando di caldo. Vedete com’è ingiusto il mondo? Voi
crepate di caldo e io sono qui vicino al fuoco con su due felpe e un
maglione. Quanto meno, questo tipo di ingiustizia non dipende
dall’ingordigia umana, ma dall’inclinazione della Terra di 23 gradi e
qualche cosa rispetto alla perpendicolare al piano dell’orbita
terrestre.
Mi piacerebbe, uno di questi giorni, spiegarvi meglio come funziona
questa storia. Ho sempre creduto di saperlo, e invece l’ho capita
bene solo pochi anni fa. Il problema è che spiegare questa cosa a
parole è una cosa complicata. Se invece uno prende un pallone, lo
mette in mezzo a una stanza dicendo che è il sole, poi infila un
ferro da calze in un’arancia e dice che è la terra, allora con un
breve discorso tutto diventa chiaro e si capisce anche dov’è il
trucco per convincersi esattamente com’è la storia delle stagioni.
Veramente, se si volessero rispettare le proporzioni, anziché
un’arancia bisognerrebbe prendere un granello di pepe o una
sferetta di mozzo di bicicletta. In questo caso le proporzioni
sarebbero meglio rispettate, ma vi vorrei vedere ad infilare il ferro
da calze. Meglio utilizzare l’arancia, dicendo ben chiaro che le
proporzioni e le distanze non sono rappresentate per niente
dall’esempio.

Se venite qui, possiamo farci un buon asado nel caminetto, che c’è
qui in casa.

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Appunti di viaggio 2015

Questa volta sono state di più le divagazioni che la cronaca del
viaggio. Lo sciopero dei professori cileni mi ha fatto venire in
mente un sacco di cose e ve ne ho raccontate alcune. Il fatto che
fuori sia ancora buio e faccia freddo mi ha invece fatto venire in
mente la storia delle stagioni, che non c’entra niente con lo
sciopero dei professori, ma vi ho raccontato anche quella.
Spero di non avervi annoiato più di tanto e mando a tutti voi un
caro abbracccio,

                                             Roberto

                                                                22
Appunti di viaggio 2015

Quarta puntata.

Buongiorno a tutti.
È sabato mattina, 11 luglio. Provo a raccontarvi qualche cosa circa
questo mio soggiorno argentino, che volge decisamente a termine.
I giorni scorsi ho invitato un po’ di parenti al Jesus María.
Il Jesus María non è una chiesa, bensì un noto ristorante di
Mendoza che si chiama così. È famoso per le sue grigliate di carne,
pensate che i proprietari hanno dalle parti di Cordova un terreno
con dei bovini i quali ivi risiedono, vanno in giro a mangiare, fanno
i fatti loro, prolificano e vivono felici senza nemmeno dover
pensare alla prospettiva di una morte dopo una lunga e grigia
vecchiaia.
Gli argentini sono sempre molto attenti a questi temi e fanno di
tutto per evitare che tali cornuti quadrupedi facciano una fine tanto
triste. Fatto sta che al Jesus María si mangiano delle grigliate da
campionato e ci vanno quelli che se ne intendono. A me lo aveva
suggerito un taxista (in genere loro sanno tutto) e da allora sono
diventato un frequentatore assiduo e conosciuto.
In questi giorni invece sono destinatario di molti inviti da parte dei
parenti. Ieri sera ero da María de los Ángeles, che con Luisito (suo
figlio) aveva preparato un piatto messicano. C’era anche Lito con la
sua famiglia, che conosco ormai da anni, e abbiamo passato una
bella serata. Oggi a pranzo sarò da Gabriela, la mamma di Lisi,
questa sera sarò a cena ospite di María Inés con altri parenti in un
altro ristorante cittadino. Domani a mezzogiorno invece sarò dal
Tono per un asado, che mi aveva promesso da tempo. Il Tono è un
personaggio frequentatore di questa casa, marito della René, la
quale era stata per tanti anni la domestica di mia cugina Inés.
Gente buona, semplice. Non potevo certo rifiutare quell’invito.
Mi ha detto la María Inés che qualche giorno fa, prima del mio
arrivo il Polo aveva male ad un orecchio, così lo ha portato dal
veterinario, poveretto. Poveretto il veterinario, ovviamente. Ogni
volta che il quadrupede ha male da qualche parte, la María Inés
deve cercare un veterinario sempre più lontano, perché quelli della
zona sono tutti stati morsicati dal Polo. Mi ha detto che erano in tre
a tenerlo fermo sul lettino mentre il veterinario gli puliva l’orecchio
e gli versava dentro delle medicine, e che appena l’orecchio è stato
medicato il veterinario ha dovuto rinchiudersi nel cesso, per evitare
l’atroce vendetta del quadrupede. Solamente dopo essere arrivato
a casa gli hanno tolto la museruola e si è messo un po’ più

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Appunti di viaggio 2015

tranquillo. È inutile, il Polo è bravo, affettuoso (anche troppo), ma
vuol fare sempre e solo quello che vuole lui.
Domenica 12 luglio. Non vi ho raccontato per filo e per segno
quello che ho fatto in questi scorsi giorni, perché sarebbe la
ripetizione di quanto vi ho già scritto varie volte in passato.
Qui continua a fare un bel freddo e questa mattina, nel tepore del
mio letto, riflettevo come sia già arrivata anche questa volta l’ora
di partire da qui e di salutare tante persone, appartenenti o meno
alla mia famiglia, che mi vogliono bene. Questa sera partirò per
Salta, ci starò un paio di giorni, e poi si aprirà la terza fase di
questo mio viaggio, in Bolivia.
La fase argentina ha costituito un momento di riposo, sia fisico che
mentale e come al solito quando vado via da qui mi dispiace,
perché questa casa e questi luoghi sono per me molto familiari.
Non tanto per la casa e per i luoghi, quanto per l’intreccio dei
legami umani che qui mi coinvolgono.
Qui sotto vedete il momento del commiato con il Polo, il famoso
cane di casa.

E rieccomi su di un pullman, qui siamo in pieno periodo di
vacaciones de invierno, un po’ come da noi le vacanze di Natale. I
posti migliori erano tutti già occupati e ho dovuto accontentarmi di
una poltrona reclinabile fino a 160°, quindi non va giù del tutto e si
dorme un po’ più scomodi, ma pazienza. Anche la cena non è stata
delle migliori, ma meglio così, ho mangiato poco e lo stomaco
riposa un po’, dopo le fatiche dei giorni scorsi. L’unica cosa che
posso fare è mettermi qui tranquillo a scrivervi un po’. Il pullman
scivola tranquillo a novanta chilometri all’ora per 1.300 chilometri

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Appunti di viaggio 2015

fino a Salta e farà in tutto 5 fermate di pochi minuti ciascuna: San
Juan, La Rioja, Catamarca, Tucumán, Güemez.
Oggi a mezzogiorno, dunque, eravamo a casa del Tono per un
asado, l’asado de la despedida (dell’addio). Nel gennaio scorso li
avevo invitati a casa “mia” in calle Pizzurno e per l’occasione avevo
comprato un maialino di latte intero già cotto al forno. Era una
meraviglia ed è stato abbondantemente apprezzato, per cui si
sentivano in dovere di ricambiare l’invito.
René, la moglie, era stata assunta giovanissima come domestica
da mia cugina, la mamma di María Inés, subito dopo la morte del
marito ed era stata trattata sempre come una figlia. Di fronte
abitava un’altra famiglia e uno dei figli si chiamava Antonio, il Tono
appunto. La René dicono che fosse una ragazza bellissima e così il
Tono una domenica la invitò a bere un’aranciata nella piazza
principale di Godoy Cruz.
Eccetera eccetera. Anche dopo il matrimonio la René ha lavorato
nella casa di mia cugina per parecchi anni e successivamente ha
continuato a frequentare la casa di mia cugina con la sua famiglia,
costituita da lei, il Tono e i due figli, la cui parlantina non risulta
equamente distribuita: il Martín non parla praticamente mai e il
Facundo è un chiacchierone di prima categoria. Il primo è
ingegnere agronomo e il secondo un tecnico meccanico.
Anche il Tono, che ormai ha i suoi ottant’anni, parla volentieri del
proprio passato. A me piace molto, perché sa dipingere bene
com’era la vita cinquant’anni fa qui in Argentina.
Ben coperti con giacche e maglioni, eravamo fuori, nel patio, a
curare il fuoco, la brace e l’asado e lui continuava a parlare di fatti
e aneddoti di quei tempi lontani.
Aveva uno zio che aveva perso un occhio a causa di una zoccolata
ricevuta mentre ferrava il suo cavallo. Era molto appassionato di
cavalli. Quando era ubriaco e non riusciva più a camminare lo
aiutavano a salire sul cavallo e lui partiva come una saetta.
Cavalcava meglio da ubriaco che da sobrio. Era tutto orgoglioso,
perché il suo cavallo permetteva di essere cavalcato solo da lui e
buttava giù inesorabilmente chiunque altro gli saltasse in groppa.
Un giorno, ai tempi della dittatura, c’era nella piazza di Godoy Cruz
una celebrazione della fiesta patria con tanto di suonatori, danze in
costume, militari, eccetera. Ubriaco fradicio, entra lo zio a cavallo
gridando a gran voce: “viva Chile, Argentina mierda!”. La gente lo
conosceva e rideva, ma i militari non se lo potevano permettere.
Anche loro ridevano, ma se poi c’era qualcuno che riferiva ai
superiori di una loro eventuale indifferenza sull’accaduto,
sarebbero stati guai. Così iniziò l’inseguimento. Dopo un bel po’ di

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Appunti di viaggio 2015

tempo tornarono con il cavallo solo, incazzatissimo. Lo zio era da
tutt’altra parte che dormiva in una asequia asciutta, un canale di
irrigazione, facendosi così passare la sbornia. In pratica il cavallo
aveva capito tutto, aveva mollato lo zio e si era messo a correre da
tutt’altra parte per sviare le ricerche.
Un racconto via l’altro, l’asado era ormai pronto e ci siamo messi a
tavola. Era nel frattempo arrivato il Facundo e anche lui si è messo
a raccontare di quando stavano facendo una strada sulle
montagne. Il team operativo consisteva in un raffinato e
inappetente gruppetto di peones. Uno di loro aveva un rifle, un
fucile, e anziché andare a fare la spesa dal macellaio, che distava
chilometri e chilometri dietro le montagne, sparavano a un
guanaco e gli facevano la festa. Con la sua carne facevano delle
empanadas, che sono dei ravioloni, ci mettevano dentro carne
tritata, cipolle e spezie varie e poi mettevano sul fuoco un disco di
sarchiatrice concavo a mo’ di pentolone. Vi mettevano dentro il
grasso del guanaco e un paio di chili di burro e quando il tutto
bolliva ci buttavano le empanadas a friggere. Fatte in qualche
modo, spesso si aprivano un po’ e si impregnavano di grasso, ma
erano buone ugualmente. Questa era la picadita, cioè lo spuntino
iniziale. Poi arrivava l’asado di guanaco, il pasto vero e proprio.
Ovviamente, il tutto innaffiato con enormi quantità di vino. Dice il
Facundo che mangiavano come delle bestie e bevevano come
cloache. Quando erano belli sazi e sbronzi andavano a dormire
nelle loro baracche, pronti per andare il giorno dopo a lavorare.
Non so se ci credete, ma con quella gente semplice e di modeste
condizioni mi sono trovato molto bene e ho passato delle ore
immerso nelle realtà di questo paese. Molto bello.
Il Luisito aveva un pressante appuntamento con lo stadio di calcio,
gli altri parenti li avevo già tutti salutati, per cui al pullman c’erano
ad accompagnarmi solamente María Inés e María de los Ángeles.
Ormai è tardi, spengo e cerco di dormire qualche ora.
Lunedì. Mi sono svegliato verso le sette, ma era ancora buio e ho
cercato di dormire ancora un po’. Ho passato la mattinata
tranquillo, sdraiato sulla mia comoda poltrona, guardando fuori
dall’ampia vetrata del pullman le pianure che si snodavano
lentamente, avvolte nel grigiore dell’inverno.
Salta, dove sono arrivato nel primo pomeriggio, è meta di molto
turismo interno, soprattutto in una stagione di vacanze come
questa. Sapevo che gli alberghi sarebbero stati tutti pieni, e per
questo mi ero attivato ed ero riuscito a prenotare attraverso
internet una sistemazione che mi pareva facesse al caso mio.
Quando viaggio da solo non prenoto mai niente, mi piace di più

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Appunti di viaggio 2015

affidarmi alle conoscenze del taxista che mi prende in consegna e
mi sono sempre trovato bene. Facendo così, se un posto non mi
piace torno sul taxi e si va a cercarne un altro. Questa volta invece
c’era ben poco da scegliere e ho preferito prenotare.
Calle Urquiza 157.
Il taxista mi lascia sul posto, ma nessuna traccia di sistemazioni
alberghiere.
Calle Urquiza 157 non esisteva e io ero là come un pirla con la mia
valigia sul marciapiede. Benissimo, dico, vedrò come uscirne.
Guardo, cerco, mi guardo in giro. Non si vedeva alcuna faccia
sospetta, solo gente che camminava e andava per i fatti propri.
C’era un portoncino senza alcuna indicazione, spingo e mi trovo in
un cortiletto in fondo al quale c’era un cane che abbaiava. Mi sento
chiamare: “¿Roberto?”. “Sí, soy yo”. Una faccia che mi ricordava la
gente del trentino, era un giovane che aveva ereditato da chissà
chi quegli occhi fatti per guardare le montagne e la neve. “Lo
estaba esperando, que bien que vino”. La parola “vino” sta ad
indicare, come in italiano, la nota bevanda derivata dalla
spremitura dell’uva, ma è anche il passato remoto del verbo venir,
terza persona singolare. Qui il passato prossimo c’è, ma non lo usa
nessuno, fanno come in Toscana, e usano solo il passato remoto.
Per farla breve, il tipo era contento che fossi arrivato, perché mi
stava aspettando e aveva paura che nonostante la prenotazione
non mi facessi più vivo.
È un monolocale, una via di mezzo fra lo squallore e il decente, ma
sono criteri soggettivi. Oltre a un paio di letti, c’è il bagnetto e un
angolo di cucina con tanto di frigorifero. Il ragazzo non abita qui,
ha solo l’incarico dalla proprietaria di gestire il tre o quattro
minuscoli appartamenti che danno su questo cortiletto.
Nessun portiere, solo la chiave del monolocale, quella del
portoncino esterno e l’assicurazione del ragazzo che nessuno
sarebbe entrato a rubare, perché “la zona è tranquilla e non è mai
successo alcun furto”.
Il ragazzo mi dava fiducia e l’alternativa sarebbe stata cercare un
altro taxi e farmi portare in qualche albergo di lusso, che forse
aveva ancora una stanza libera. Ma non mi è mai piaciuto sprecare
i soldi in quel modo e l’idea non mi andava.
Il tipo mi ha dato il numero del suo cellulare per qualsiasi
necessità, gli ho dato i soldi necessari per le due notti, lui mi ha
dato le chiavi, ovviamente nessuna ricevuta, e ci siamo salutati.

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Appunti di viaggio 2015

C’è una connessione internet che è una meraviglia e va come
quella a fibre ottiche che ho a casa mia. Ho guardato la posta e mi
sono sdraiato un po’ sul letto.
Ho messo in uno zainetto tutte le cose di un certo valore (macchina
fotografica, computer, altre cosette varie) onde limitare al massimo
le conseguenze di un eventuale furto, poi sono uscito e sono
andato a piedi a farmi un giro alla Plaza Central, una fra le più belle
piazze di tutta l’Argentina.
In calle Adolfo Güemez 464 mi ha aperto Facundo, il figlio
ventenne accogliendomi con un abbraccio caloroso. Poco a poco
sono comparse Evangelina, poi Flavia (le due splendide gemelle),
poi le loro amiche. Infine è arrivata doña Mariarosa (detta Mara).
Un’accoglienza come fra parenti stretti. Mara non aveva capito che
sarei arrivato oggi e mi aspettava per domani. Nessun problema,
ha sbucciato dei pomodori, ha aggiunto del basilico e ha preparato
un sugo per la pasta. Aveva nel freezer delle fettuccine fatte in
casa da lei, che è di origine calabrese, e infine ci siamo messi a
tavola. Da venti giorni non mangiavo della pasta decente, in
pullman avevano dato solo un panino con dell’insalata, e quindi
avevo un buon appetito.
Poi un taxi mi ha riportato in Calle Urquiza 157, e io sono qui ben
coperto a scrivere agli amici il mio diario di oggi. L’alloggio dispone
di un calorifero elettrico, ma a me piace dormire al freddo, per cui
non l’ho acceso. Fa freddo, ma non siamo certo sotto zero. Adesso
comunque spengo e vado a dormire. Sopra il letto c’è un bel
piumone invitante.
Ed ecco mercoledì 15 luglio, giorno del trasferimento in Bolivia. Ieri
ho passato un giorno di riposo qui a Salta, leggendo, scrivendo,
andando a spasso per la città come un qualsiasi salteño. Niente di
rilevante da ricordare, se non la serata, passata in casa di Mara.
Aldo, il marito separato, aveva detto che sarebbe venuto per fare
l’asado, ma ha poi telefonato che non stava bene e quindi l’asado
lo abbiamo fatto io e il Facundo. Si ricordavano tutti dell’asado che
avevamo fatto un anno e mezzo fa, per festeggiare il 13 febbraio il
compleanno mio e delle gemelle (siamo nati nello stesso giorno,
anche se in anni diversi e da gentori diversi). Così, anche in
assenza di compleanni, abbiamo ripetuto la cosa. Sono stato con
Facundo a comprare il necessario: carne e legna, ma abbiamo
faticato non poco a trovare la molleja, una parte dell’animale che
dovete assolutamente venire qui a mangiare, ben asada sulle braci
di legna. A dire il vero è un po’ grassa, ma non ne dà l’impressione,
è una cosa buonissima. Il mio colesterolo va bene e non credo che
il mio dottore abbia molto da ridire circa questi miei strappi

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Appunti di viaggio 2015

dietetici. In ogni modo, fra poche ore sarò sull’aereo che mi porterà
in Bolivia, dove la dieta sarà certamente più sobria.

Qui sopra potete vedere la prima fase della preparazione: non sono
petti di pollo, bensì sono mollejas appena messe sulla griglia.

Qui invece potete ammirare l’asado quasi pronto. Da sinistra in
alto: chinchulines, mollejas, entraña e matambre. Il matambre lo si
vede ancora crudo, perché, cuocendo molto in fretta, viene messo
sulla griglia per ultimo.

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Appunti di viaggio 2015

Ecco una foto della bella compagnia di ieri sera.
Da sinistra: Francisca (amica di Evangelina), Evangelina, io, Rocío
(morosa di Facundo) e Facundo.

Io sono quello a destra, ma forse lo capivate da soli. A sinistra c’è
Evangelina, sempre più bella.

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Appunti di viaggio 2015

Finisce qui questa quarta puntata. La connessione internet è
sparita, per cui proverò a spedirvela dall’aeroporto. Altrimenti più
tardi o domani dalla Bolivia.
Mando a tutti un caro saluto,
                                              Roberto

                                                                 31
Appunti di viaggio 2015

Quinta puntata.

Mancano pochi minuti alla partenza del mio volo Amaszonas Z8
0461, ma qui all’aeroporto di Salta non si vede il becco di un
aereo. Ce n’erano due o tre della Aerolineas Argentinas, ma sono
partiti e adesso si vede una bella e grande spianata vuota. Qui
nella sala d’attesa siamo una trentina di persone e sto ascoltando il
chiacchiericcio di un gruppo di argentini che vanno a Santa Cruz
per lavoro. Quello che è chiaro è che se l’aereo non arriva non può
ripartire. Aspettiamo e vedremo. Sullo schermo c’era scritto che il
volo sarebbe stato in orario, ma è ormai chiaro che partirà in
ritardo, anche se l’altoparlante non dice niente.
Arrivano un paio di aerei, ma sono della Aerolineas Argentinas.
Niente da fare.
Aspetta aspetta e finalmente eccolo che arriva. Rispetto ai due
Boeing 737 parcheggiati sembra un microbo. E pensare che il 737
è il più piccolo della serie Boeing. Si tratta di un CRJ 200 della
Bombardier, una ditta canadese che fabbrica piccoli aeroplani di
linea. Si apre una scaletta e scende qualche persona, poi arriva un
carrello vuoto per portar via le valigie in arrivo e uno pieno di
valigie, fra cui anche la mia (spero). Adesso vediamo un po’ se si
decidono a farci salire.
Riprendo a scrivere da Santa Cruz de la Sierra, in Bolivia. Sono
arrivato qui dopo uno scalo a Tarija, con una bella ora di ritardo. Il
viaggio è stato un alternarsi di scossoni tremendi con tratti di
tranquillità assoluta. Dopo l’atterraggio, una gentile fanciulla
elegantemente vestita mi ha graziosamente annunciato che il volo
per Cochabamba era già partito. Così ho dovuto rifare il check-in e
mi hanno riprogrammato il volo per questa notte alla 1.45, una
vera delizia. Starò qui in aeroporto per sei belle ore, due delle quali
già passate. Per me non è un problema, ma mi è dispiacuto per le
persone che mi aspettavano puntuali a Cochabamba. Li ho
chiamati e mi hanno detto che saranno comunque al mio arrivo a
ricevermi. Ho provato a dire loro di andare a dormire e che ci
saremmo visti domani, ma non c’è stato verso. Che cosa ci posso
fare se anche in Bolivia ho degli amici cosi?
Giovedì 16 luglio. Sono ospite in un convento di frati domenicani a
Cochabamba. Adesso vi spiego. Nel giugno scorso è stato per un
paio di settimane a casa mia il Padre Julio, un domenicano di
questa città. Lui lavora con VOSERDEM, l’organismo locale partner
di DONA UN SORRISO in Bolivia. È stata una cosa molto bella e lui
adesso ha voluto ricambiare l’ospitalità ricevuta.

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Appunti di viaggio 2015

È una casa molto semplice, con un cortile e due chiostri di
cemento, uno che fa tutto il giro del cortile al primo piano e un
altro su due lati al piano terreno. Nel cortile c’è una grande pianta
di paltas (avocados), ovviamente ancora piccoli e acerbi, perché
anche qui siamo in pieno inverno.
Definire “delizioso” questo clima è dir poco. Siamo a 2.700 metri di
altezza, ma siamo anche in piena zona tropicale, per cui il sole gira
piuttosto alto tutto l’anno e di giorno picchia. Di notte invece la
temperatura si abbassa molto e bisogna dormire con un paio di
coperte o magari anche tre. Diciamo che la temperatura varia da
24/27 gradi di giorno e 3/4 gradi di notte. Una meraviglia. Questa
mattina c’è stato un primo incontro alla sede di VOSERDEM, poi
sono andato a spasso con Manuel, che è il responsabile dei progetti
finanziati da DONA UN SORRISO.

Questo è il ramo più alto della pianta di avocados, con frutti e fiori,
che c’è nel patio del chiostro.
È più alto del tetto di questa casa, che ha due piani.
Nel pomeriggio, con Manuel e Padre Julio, abbiamo fatto un altro
giro per la città, ci siamo sparati una bottiglia di birra boliviana e
poi siamo stati in un modesto posticino a cenare.

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Appunti di viaggio 2015

Venerdì 17. Sono stato tutta la mattina con Manuel. È un tipetto
dinamico, tutto schizzato, entusiasta, formidabile organizzatore,
con una precisione e puntualità svizzera, figlio di madre quechua e
di padre aymara. Fra le 36 etnie presenti in questo paese, queste
sono le due numericamente più importanti.
La Bolivia? Solo due parole per dirvi che è grande come quattro
volte l’Italia e ha dieci milioni di abitanti, ma c’è chi dice undici. Più
del 60% della popolazione è costituita da indios precolombiani, che
mantengono le loro varie identità culturali e sociali. Nove anni fa è
stato eletto capo dello stato Evo Morales, un aymara proveniente
dalla selva. Così, per la prima volta nella sua storia, questo paese
ha un capo che pensa alla gente, e non un discendente di spagnoli
con l’unica preoccupazione di fare gli interessi dei grandi latifondisti
delle pianure orientali. Storicamente, è un paese di perdenti. Nelle
varie guerre che si sono succedute, ha ceduto al Cile l’accesso
all’oceano, un altro pezzo di territorio al Perù e un altro al
Paraguay. Comunque rimangono pur sempre al paese un bel
milione e duecentomila chilometri quadrati. La parte occidentale è
costituita da grandi cime andine di 6.000 metri ed oltre e da un
enorme altopiano, la cui parte meridionale comprende lo splendido
salar de Uyuni e una quantità di altre bellezze di prim’ordine. La
parte settentrionale dell’altopiano comprende una parte del
Titicaca, il più grande e alto lago del Sudamerica. La parte
orientale e settentrionale è costuituita invece da foresta tropicale.
Fine della descrizione di questo paese.
Vi stavo dicendo che questa mattina sono stato in giro con Manuel.
Girare per una città con uno del posto è sempre un “andare in giro”
a un livello che non ha confronti. Mi ha accompagnato a bere un
caffè dove lui sapeva che lo avrebbero fatto come piace agli
italiani, poi siamo stati a cambiare i soldi. In Bolivia non ci sono gli
arbolitos come in Argentina. Evo Morales ha dato una bella botta
agli andazzi di corruzione e di malaffare che c’erano prima. Siamo
quindi andati da un cambiavalute ufficiale. Il valore dell’euro si è
abbassato mica male, pochi mesi fa era a 8,50 e adesso è a 7,50.
E mi è andata bene, perché nessuna banca voleva comprare euro
in quanto pare che si abbasserà ancora.
Per 23 euro mi sono comprato un pio di scarponi di cuoio, perché
Manuel mi ha detto che dovremo camminare nella foresta una
mattinata intera. Staremo a vedere che cosa diavolo avrà in testa
quel folletto. Poi mi ha accompagnato alla cancha, il mercato della
città. Dicono che sia il più grande del Sudamerica. Un labirinto
coloratissimo, con odori difficili da decifrare, un misto di spezie,
coca, frutta, fiori …, un casino impensabile. Da solo non credo che
mi ci sarei addentrato molto, non fosse altro per il problema di

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Appunti di viaggio 2015

come fare a uscirne senza perdere l’orientamento. Ma con Manuel
è stata tutta un’altra cosa. Dovete accontentarvi di immaginarlo,
quel mercato, perché volutamente ci sono andato senza macchina
fotografica. Non tanto per paura di un furto, quanto perché le
donne, come vedono una macchina fotografica all’opera, si
mettono a gridare e invocare all’indirizzo tutte le maledizioni loro e
dei loro antenati. Meglio lasciar perdere, non si sa mai. E poi non
sarò certo io a venir qui, ospite di questo paese, e non rispettare le
persone che vi abitano, ci mancherebbe. In ogni modo, anche se
avessi potuto fare delle foto e se ve ne mandassi alcune, sarebbe
solamente una lontana e pallida idea di ciò che ho visto in quel
mercato. Vi descrivo adesso una foto che non ho fatto, ma che mi
è rimasta impressa nella retina e che conservo nitidamente. Era
una vecchia accovacciata in terra, con una gonna lunga scura e
uno scialle coloratissimo, una vera armonia di colori. Davanti aveva
un cesto con delle cosette da vendere: sacchetti di spezie,
mazzolini di fiori secchi di camomilla e altro. La vedevo un po’ in
controluce, aveva un cappello e sul suo volto era tracciata l’ombra
della grande tesa perforata. Dietro a lei c’era del fumo bianco che
adornava lo sfondo. Credetemi, sarebbe stato un capolavoro.
Un’altra foto che non ho fatto è la seguente: un uomo seduto su
uno sgabello basso, che mangiava con un cucchiaio del chuño in un
piatto che teneva in mano. Accanto a lui una bimbetta di quattro o
cinque anni, vestita da boliviana a tutto punto, con gonna lunga
azzurra, sciarpa colorata e nastrini in testa, tutta intenta a giocare
con un cellulare.
Domenica mattina, riprendo a scrivere. Povero il mio diario! Fra
una storia e l’altra lo trascuro davvero. Qui ogni momento viene
qualcuno a interrompermi, affermando di aver paura che io mi
senta abbandonato o che mi annoi. Mi sembra di essere
un’attrattiva turistica, ma non è così. Queste persone mi fanno
capire in mille modi che sono interessate a parlare con me, a
conoscermi e via dicendo, invitandomi di qua e di là.
Ieri mattina sono stato con Charito, la segretaria di VOSERDEM, ad
un incontro con las abuelitas. È un gruppo di una cinquantina di
vecchiette di strada abbandonate, che Charito conosce bene e di
cui segue un po’ i problemi e le sofferenze. Un paio di volte al
mese, con fondi che DONA UN SORRISO mette a disposizione, c’è
questo incontro. Si siedono tutte belle educate intorno ad un
grande locale e alcune volontarie incominciano la distribuzione di
qualche genere di prima necessità: sapone, olio, riso, zucchero.
Sono quasi tutte vedove, abbandonate dai figli e poverissime. Per
l’occasione c’è stata anche la distribuzione di uno scialle di pile per

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