ANIEM Rassegna Stampa del 28/02/2017

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ANIEM
   Rassegna Stampa del 28/02/2017

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INDICE

ANIEM
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SCENARIO EDILIZIA
   28/02/2017 Il Sole 24 Ore                                                  5
   La revisione del catasto alla Corte costituzionale

   28/02/2017 La Repubblica - Roma                                            6
   Edilizia in agonia Sos della Filca-Cisl "In 4 anni chiuse 1.188 imprese"

   28/02/2017 La Stampa - Nazionale                                           7
   Isole cancellate e disastri ambientali È la sabbia il nuovo oro nero

   28/02/2017 Il Messaggero - Nazionale                                       9
   Svolta welfare di Berlusconi: sanità gratuita solo per i poveri

   28/02/2017 Il Fatto Quotidiano                                             11
   Ponte di Nona, la Vela e gli altri " scempi " di " re " Caltagirone

   28/02/2017 QN - La Nazione - Pistoia Montecatini                           12
   Cultura è anche riqualificazione: arriva «Pistoia Casa Futura»

SCENARIO ECONOMIA
   28/02/2017 Corriere della Sera - Nazionale                                 14
   «Lo Starbucks più grande di tutta Europa»

   28/02/2017 Corriere della Sera - Nazionale                                 16
   Intesa in rialzo, la Borsa promuove l'addio al dossier sulle Generali

   28/02/2017 Corriere della Sera - Nazionale                                 18
   «Banche venete, ai soci conviene il rimborso»

   28/02/2017 Corriere della Sera - Nazionale                                 20
   «La Ue resta la nostra casa Ma vogliamo essere ascoltati»
28/02/2017 Il Sole 24 Ore                                                           22
  La scommessa sul futuro di Intesa

  28/02/2017 Il Sole 24 Ore                                                           23
  Convergenza obbligata per rilanciare l'Europa

  28/02/2017 Il Sole 24 Ore                                                           25
  A rischio la fusione Lse-Deutsche Börse

  28/02/2017 Il Sole 24 Ore                                                           27
  Carige al varo del piano industriale e del confronto sul capitale con la Bce

  28/02/2017 Il Sole 24 Ore                                                           29
  UniCredit, già venduto tutto l'inoptato

  28/02/2017 Il Sole 24 Ore                                                           30
  Alitalia al bivio tra easyJet e Lufthansa

  28/02/2017 La Repubblica - Nazionale                                                31
  Bce chiede un piano alle banche europee per smaltire i crediti di cattiva qualità

  28/02/2017 La Repubblica - Nazionale                                                33
  Fisco, ipotesi rottamazione delle liti

  28/02/2017 Il Messaggero - Nazionale                                                35
  Liti con il fisco, spunta la rottamazione

SCENARIO PMI
  28/02/2017 Corriere della Sera - Nazionale                                          37
  Robot e linee superveloci Comau e Ericsson alleate per l'industria 4.0
SCENARIO EDILIZIA

6 articoli
28/02/2017                                                                                           diffusione:105722
Pag. 52                                                                                                 tiratura:156556

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 Immobili. Sotto tiro il riclassamento per microzone
 La revisione del catasto alla Corte costituzionale

 La Corte costituzionale sarà chiamata a decidere se siano o meno legittime le disposizioni che consentono
 all' agenzia delle Entrate, su impulso dei Comuni, di intervenire sulle rendite catastali degli immobili
 attraverso il meccanismo del "riclassamento" di intere microzone catastali, utilizzato da Comuni come
 Roma, Milano, Bari e Lecce. Lo annuncia Confedilizia, riferendo che la Commissione tributaria regionale
 del Lazio ha sollevato la questione di legittimità costituzionale dell'articolo 1, comma 335 della legge
 311/2004. La norma consente ai Comuni di richiedere all'Agenzia la revisione parziale del classamento
 delle unità di proprietà privata in microzone comunali, per le quali il rapporto tra il valore medio di mercato,
 individuato in base al Dpr 138/98,e il corrispondente valore medio ca- tastale ai fini dell'applicazione dell'Ici
 (ora Imu-Tasi) «si discosta significativamente dall'analogo rapporto relativo all'insieme delle microzone
 comunali». Secondo i giudici, la norma si porrebbe in contrasto con l'articolo 3 della Costituzione, «perché il
 singolo contribuente si troverebbe irrazionalmente espostoa rivalutazione del proprio bene in relazione alla
 significativa rivalutazione di beni altrui», con l'articolo 53, «poiché (...) si porrebbe inevitabilmente in
 contrasto con la capacità contributiva dei singoli», e con l'articolo 97 «in quanto la rivalutazione massiva
 non assicura né il buon andamento né l'imparzialità dell'amministrazione, colpendo indiscriminatamente
 tutte le unità immobiliari (di una determinata zona) senza alcuna verifica concreta del singolo bene».

SCENARIO EDILIZIA - Rassegna Stampa 28/02/2017                                                                       5
28/02/2017                                                                                           diffusione:239605
Pag. 21 Ed. Roma                                                                                        tiratura:340745

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 IL DOSSIER
 Edilizia in agonia Sos della Filca-Cisl "In 4 anni chiuse 1.188 imprese"
 GIOVANNA VITALE

 MENTRE in Campidoglio le gare d'appalto restano ferme al palo e gli investimenti pubblici registrano da
 anni un calo progressivo, sia per quanto riguarda le grandi opere sia per i minuscoli interventi manutentivi,
 a Roma le piccole e medie imprese edili muoiono. L'80% delle quali impiega fino a 5 operai; 16 stanno tra i
 50 e i 100; solo 3 superano i 100 dipendenti. E pertanto condannate a una lenta agonia.
   A raccontarlo sono i numeri choc di una crisi che sembra ormai irreversibile. Illustrati stamattina dal
 segretario generale della Filca Cisl cittadina, Marco Federiconi, nella sua relazione di fine mandato che
 apre il congresso di categoria convocato per il rinnovo delle cariche territoriali. Dal 2008 a oggi la capitale
 ha perso nell'edilizia oltre 32.700 posti di lavoro, come se d'un colpo fosse stata cancellata una città come
 Gubbio, al ritmodi 4.090 operai all'anno, 11 al giorno, espulsi dalle aziende di costruzione. Da moltiplicare
 poi per 3: tanti quanti sono gli addetti dell'indotto che ognuno di loro si porta dietro.
  Un'escalation che negli ultimi quattro anni ha visto chiudere a Roma 1.188 imprese, con una media di 297
 l'anno. Dal 2013 i posti andati in fumo sono stati infatti 7.800, equivalenti a due stabilimenti Fiat: in termini
 occupazionali è come se Melfi (5.500 addetti) e Pomigliano d'Arco (2.200) avessero interrotto la
 produzione. Circa 30 milioni le ore lavorate in meno; 225 i milioni di massa salari evaporati. Operai che
 finiscono per strada, salvo poi rivolgersi al lavoro nero, ormai in crescita esponenziale. Molti sono stranieri,
 per lo più romeni, ma aumentano anche gli italiani, pari ormai al 52% del totale, che dalla cassa
 integrazione e dalla disoccupazione rientrano sul mercato di nascosto, senza garanzie e con livelli di
 sicurezza precari. Oppure con contratti spesso di breve durata, dai 2 ai 4 mesi, a seconda dei lavori.
 Condizioni che finiscono per moltiplicare i rischi, aggravati anche da un'età media sempre più alta: degli
 iscritti alla Cassa Edile, 1.397 operai hanno più di 60 anni; 1.017 sono apprendisti.
  Da qui il grido di dolore della Filca Cisl. «A Roma gli investimenti pubblici sono quasi pari a zero e del tutto
 insufficienti le risorse, meno di 100 milioni l'anno, stanziate dal Campidoglio nel bilancio di previsione»,
 attacca Federiconi. «Senza considerare l'occasione persa delle Olimpiadi, che avrebbero consentito
 investimenti a medio e lungo termine sfruttando ingenti capitali privati e statali, cui si è deciso di rinunciare
 solo per paura di non riuscire a gestirle o che qualcuno possa lucrare sugli appalti: una scelta a nostro
 avviso miope, che si abbina alla mancanza di consapevolezza di ciò che significa amministrare Roma,
 ovvero avere la capacità di accettare una sfida più complessa. Ecco perché adesso speriamo che l'accordo
 sullo stadio della Roma vada in porto, che non sopraggiungano ulteriori problematiche e che il cantiere
 parta il prima possibile, perché questo consentirà di riqualificare quel quadrante della città e portare migliaia
 di posti di lavoro in più». Il minimo sindacale, per il leader cislino. «Pensiamo che per Roma serva un patto
 sociale forte, utile a individuare risorse e soluzioni efficaci per migliorare la viabilità e la rigenerazione
 urbana, soprattutto in periferia».

SCENARIO EDILIZIA - Rassegna Stampa 28/02/2017                                                                       6
28/02/2017                                                                                           diffusione:154324
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 il caso
 Isole cancellate e disastri ambientali È la sabbia il nuovo oro nero
 Essenziale per l'edilizia. In pochi anni la Cina ha usato più cemento che gli Usa in un secolo
 VITTORIO SABADIN

 Una catastrofe ambientale che avrà gravi conseguenze sugli ecosistemi, sulla disponibilità di acqua
 potabile, sull'erosione di fiumi, laghi e coste è in corso da anni, in un colpevole silenzio. Forse non se ne
 parla abbastanza perché riguarda la più umile delle risorse naturali: la sabbia. Abbiamo la convinzione che
 ce ne sia così tanta, nei deserti, nel fondo del mare e nelle spiagge, che è inutile preoccuparsi se ogni anno
 se ne raccolgono milioni di tonnellate destinate ai cantieri edili. Ma qualcosa ci sta sfuggendo di mano, e gli
 allarmi che si levano in molte parti del mondo dovrebbero essere ascoltati. La sabbia è un componente
 essenziale del calcestruzzo, che si ottiene mescolandola a ghiaia, acqua e cemento. Da secoli si fa così, e
 non si è trovato un modo migliore per costruire in modo economico un edificio. La sabbia serve anche a
 produrre il vetro delle finestre e l'asfalto che ricopre le strade. Ogni volta che una città si ingrandisce, è la
 sabbia a renderlo possibile. Le persone che visitano Shanghai, in Cina, restano ammirate dagli splendidi
 grattacieli, dalle autostrade urbane e dalle infrastrutture realizzate negli ultimi anni. Dal 2000, la città ha
 aggiunto 7 milioni di persone ai suoi abitanti, toccando i 23 milioni di residenti. In 10 anni, ha costruito più
 nuovi grattacieli di tutti quelli che si trovano a Manhattan. La sabbia con la quale sono stati eretti è arrivata
 quasi tutta dal lago Poyang, il più esteso della Cina. Grandi macchine in grado di estrarre 10 mila tonnellate
 di materiale l'ora hanno permesso di inviare su barche, lungo lo Yangtze, 236 milioni di metri cubi l'anno di
 sabbia. Ma il Poyang, che era la maggiore riserva di acqua potabile del Paese, è ora secco per molti mesi
 dell'anno. Gli uccelli migratori che vi si rifugiavano sono scomparsi, le rive franano e la bocca verso lo
 Yangtze è diventata così grande che l'acqua del lago vi si riversa subito, lasciando i fondali scoperti. Mezzo
 miliardo Mezzo miliardo di cinesi vive oggi in una città e molti altri desiderano farlo: occorrerà altra sabbia.
 Ma il problema non è limitato alla Cina. L'India ha triplicato dal 2000 il suo consumo di sabbia; Singapore in
 20 anni ne ha importata per 517 milioni di tonnellate, stabilendo un record mondiale di 5,4 tonnellate per
 abitante. In Indonesia 24 isole sabbiose sono scomparse, divorate dalle scavatrici. Non sono solo le grandi
 compagnie a estrarre sabbia. In India, Cina e nel Sud Est asiatico lo fa anche la gente comune, che poi la
 trasporta verso le città su camion e a volte a dorso di asino, e viene già taglieggiata da organizzazioni
 criminali. Gli enti che lanciano l'allarme, come il Global Environmental Alert Service delle Nazioni Unite che
 ha redatto un rapporto sul «sand mining», non prevedono che la situazione migliorerà: nel 2010 la
 superficie della Terra coperta da cemento, asfalto e parcheggi era di un milione di chilometri quadrati, una
 superficie pari al doppio della Spagna. La popolazione urbana, che oggi tocca i 3,9 miliardi di persone,
 arriverà a 6,3 miliardi nel 2050. Per questo in tutto il mondo si raccoglie altra sabbia, deviando il corso dei
 fiumi e dei laghi, rendendo sempre più fragili le rive, distruggendo ecosistemi e depredando le spiagge,
 come avviene persino in California dove la società Cemex, grazie a un cavillo legale, ha ancora un
 permesso di prelievo. Ed Thornthon, ingegnere di Monterey esperto nella preservazione delle coste, ha
 detto al Guardian che 30 chilometri quadrati di spiagge californiane spariscono ogni anno per diventare
 calcestruzzo. Cemex ha smentito. Chi pensa che la sabbia dei fiumi e dei laghi debba essere protetta
 comincia a protestare, ma senza troppe speranze. Gruppi di attivisti hanno fermato i prelievi sul Lough
 Neagh in Irlanda, e in California hanno riportato simbolicamente qualche sacco di sabbia sulle spiagge. Il
 Kenya ha deciso di chiudere le miniere sui fiumi, la Cina ha fermato gli scavi sulle rive dello Yangtze dopo
 che erano pericolosamente franate vicino a Shanghai. Ma nessuno si fa troppe illusioni: quando fra poco
 più di 30 anni due esseri umani su tre abiteranno in una città, vivranno circondati da un mare di sabbia
 impastato nei muri, nei parcheggi e nei centri commerciali e nessuno forse si ricorderà più di com'era il
 mondo quando la sabbia era ancora al proprio posto.

SCENARIO EDILIZIA - Rassegna Stampa 28/02/2017                                                                       7
28/02/2017                                                                                            diffusione:154324
Pag. 13                                                                                                  tiratura:222715

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 Le miniere nel mondo n In Cina, il lago Poyang è il più grande bacino d'acqua dolce del Paese. Ora, è
 secco per molti mesi all'anno, anche a causa dell'estrazioni di sabbia, nel punto in cui il lago sfocia nel
 fiume Yangtze n Singapore è il primo importatore di sabbia al mondo: in 20 anni ne ha acquistata per un
 totale di 517 milioni di tonnellate, stabilendo un record mondiale di 5,4 tonnellate per abitante n A Monterey,
 in California, c'è una delle più grandi miniere di estrazione di sabbia degli Stati Uniti. Si calcola che circa 30
 chilometri quadrati di spiagge californiane spariscano, ogni anno, per diventare calcestruzzo da utilizzare
 nel Paese o esportare MINIERE DI SABBIA Stati Uniti 150 sono i Paesi produttori di cemento Sabbia 1t 1t
 1t 1t 1t 1t 1t =Cemento 1t 1 tonnellata di cemento equivale a 6-7 tonnellate di sabbia utilizzata Gambia
 Sierra Leone 1 tonnellata di cemento equivale a 0,9 tonnellate di diossido di carbonio prodotto 53 miliardi di
 tonnellate di sabbia e ghiaia sono estratte ogni anno nel mondo Liberia Nigeria Sud Africa LA STAMPA
 70% del cemento nel mondo è prodotto in cinque Paesi: 7 n C India Cina (58%), India (6,75%), Stati Uniti
 (2%), Brasile e Turchia Kenya S 437% è l'aumento della domanda di cemento in Cina in 20 anni (60% nel
 mondo) Australia Vietnam Cambogia Nuova Zelanda Singapore è il più grande importatore di sabbia del
 mondo, con 517 milioni di tonnellate acquistate negli ultimi 20 anni da Indonesia, Malesia, Thailandia e
 Cambogia 1 milione di km quadrati, nel 2010, è la superficie totale del mondo coperta da cemento e asfalto
 Negli ultimi anni, la Cina ha utilizzato più cemento che gli Stati Uniti in tutto il 20° secolo
 500 milioni Sono i cinesi che oggi vivono in una città, su una popolazione di oltre 1,3 miliardi
 3,9 miliardi È la popolazione mondiale che vive nelle città, nel 2050 si prevede che sarà 6,3 miliardi
 Foto: XINHUA/AFP
 Foto: Il lago Poyang in Cina è spesso prosciugato, perché le estrazioni di sabbia hanno sfondato le rive,
 l'acqua si riversa nel fiume Yangtze

SCENARIO EDILIZIA - Rassegna Stampa 28/02/2017                                                                        8
28/02/2017                                                                                              diffusione:115344
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 Piano elettorale
 Svolta welfare di Berlusconi: sanità gratuita solo per i poveri
 Emilio Pucci

 ROMA Silvio Berlusconi lancia il suo "Welfare 2.0". Nel '94 il punto di riferimento di FI erano soprattutto le
 partite Iva. «Ora abbiamo una nuova missione, la nostra vocazione deve essere un'altra: bisogna
 proteggere i più deboli. Sanità gratis solo ai poveri». Berlusconi ha in mente una vera e propria rivoluzione
 targato Forza Italia da spendere per le prossime elezioni. Il progetto base è un "piano Marshall per le
 famiglie". Pucci a pag. 7 ROMA Nel '94 il punto di riferimento di FI erano soprattutto le partite Iva, i liberi
 professionisti. «Ora abbiamo una nuova missione, la nostra vocazione deve essere un'altra: bisogna
 proteggere i più deboli». Berlusconi ha in mente una vera e propria rivoluzione copernicana. Un welfare 2.0
 targato Forza Italia da spendere per le prossime elezioni. Il progetto base è un "piano Marshall per le
 famiglie". Dai costi elevatissimi. Risorse che potranno arrivare attraverso la riduzione della spesa
 improduttiva, una redistribuzione delle risorse e dei costi dello Stato e pretendendo aiuti concreti da
 Bruxelles. Qualora non bastasse l'ex premier ha anche aperto, ragionando con i suoi, ad una eventuale
 misura eccezionale. Nessuna patrimoniale ma - spiegano fonti parlamentari FI - eventualmente un
 contributo di solidarietà da parte dei ceti più abbienti, misura che sarebbe una tantum, anche per la
 contrarietà della Corte Costituzionale a interventi di natura strutturale. E sta valutando - viene riferito - «il
 superamento del modello universalistico della sanità»: costi zero per le fasce povere e costi crescenti in
 base al reddito per i più ricchi, fino al pagamento totale del ticket con l'implementazione, per chi se lo può
 permettere, dell'assistenza parallela a quella pubblica, attraverso la facilitazione di assicurazioni sanitarie.
 10 MILIARDI Si parte da un assunto che il Cavaliere ripete ad ogni suo interlocutore: «In Italia ci sono 15
 milioni di poveri. Le famiglie povere sono quasi 5 milioni, va pensato un sostegno ai nuclei familiari,
 piuttosto che alle persone». E' la versione azzurra del reddito di cittadinanza grillino. Il piano M5S costa 18
 miliardi, quello ideato dall'ex premier circa una decina. Si tratta di individuare una soglia di povertà, al di
 sotto della quale non è possibile la sopravvivenza, attraverso lo strumento dell'Isee. Lo Stato interverrebbe
 integrando il reddito del componente della famiglia che lavora oppure attraverso un assegno per i
 disoccupati ma allo stesso tempo creando le condizioni per un impiego. «Si tratta di venire incontro - dice
 Pianetta, responsabile nazionale seniores del partito - a chi è più indietro. Occorre pensare ad un modello
 diverso di società; magari anche ridurre il numero delle ore di lavoro, ma innescare processi innovativi per
 creare occupazione». PENSIONI MINIME A MILLE EURO Attenzione innanzitutto ai pensionati e quindi
 pensioni minime a mille euro per 13 mensilità. Sostegno mirato per i giovani in cerca di lavoro. «Un
 assegno Erasmus» per chi è costretto a cercare un impiego fuori dall'Italia. Un «grande piano casa»:
 intanto nessuna forma di tassazione sul «bene primario». Poi un monitoraggio dei piani regolatori delle città
 per favorire l'housing sociale. Ovvero la destinazione di case già esistenti a prezzi di vendita agevolati per
 le nuove coppie o favorire affitti calmierati. E creare appunto aree urbane per stimolare il fenomeno
 dell'edilizia agevolata per le fasce più deboli. In cantiere c'è inoltre un piano per l'infanzia: un assegno per
 chi ha tre figli, la costruzione di ludoteche, asili nido, agevolazioni per l'acquisto dei pannolini, la costruzione
 di case famiglie. «La crisi morde e ha impoverito il ceto medio», è il mantra del Cavaliere. Ecco perché l'ex
 premier ritiene necessario alzare gli stipendi per il pubblico impiego, per esempio per gli insegnanti. Nel
 programma di Berlusconi grande spazio trova il capitolo sanità: si insiste sulla tesi dei costi standard, un
 criterio che l'ex premier Renzi aveva inserito in Costituzione. Ma per abbattere la spesa sanitaria il
 Cavaliere pensa che sia arrivato il momento di cambiare metodo: chi ha di più paghi l'assistenza sanitaria.
 Anche per favorire poi l'incremento dell'assistenza domiciliare e far sì che ci siano più posti e più cure negli
 ospedali per i malati cronici. DIRITTO ALLA PROTEINA Un pensiero anche ai più piccoli: l'ex premier parla
 di «diritto dei bambini alla proteina», ovvero ad avere nella loro dieta settimanale la giusta dose di proteine.

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 Il fulcro della ricetta berlusconiana resta in ogni caso la riduzione delle aliquote (pensare anche ad
 un'aliquota unica). Ma oltre alla necessità di alleggerire il peso fiscale l'ex premier pensa sempre ad una
 moneta parallela all'euro. «Così si può provvedere - ha spiegato ieri in un'intervista tv - a tutti i pagamenti
 dello Stato per aiutare chi è rimasto indietro». Con un'inflazione alta aumenta il potere d'acquisto delle
 famiglie, ha sottolineato con i suoi l'ex premier ricordando l'esempio delle politiche del premier giapponese
 Abe. Il progetto Salute, si paga per fasce
 Va superato il modello universalistico. Questo significa che le fasce abbienti dovrebbero pagare i servizi
 sanitari però non è stata ancora definita una soglia di reddito oltre la quale si paga. Giovani coppie aiuti e
 casa Va favorito l'housing sociale con sconti finanziati dallo Stato per l'acquisto di case nuove o affitti
 calmierati per le giovani coppie. Sempre per i giovani sì a un assegno per chi va all'estero a studiare con
 l'Erasmus. Piano Marshall per le famiglie E' in elaborazione un vero e proprio piano Marshall per le famiglie
 con una integrazione al reddito per quelle meno abbienti. In cantiere interventi anche per ridurre i prezzi dei
 pannolini.

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 IL DOSSIER UrbanisticaLe perle del costruttore, editore del "Messaggero " che bolla l'arena come
 "ecomostro"
 Ponte di Nona, la Vela e gli altri " scempi " di " re " Caltagirone
 » ANTONIO MONTI

 APonte di Nona la stazione che collega il quartiere con i principali nodi ferroviari della Capitale è stata
 inaugurata lo scorso maggio. Ben dieci anni dopo l ' arrivo dei 15 mila abitanti della zona. L ' area, all '
 estrema periferia est di Roma, sintetizza il format che negli ultimi vent ' anni ha devastato le zone verdi più
 esterne della città: tecnicamente si chiamano centralità urbanistiche, nella sostanza sono quartieri
 dormitorio provvisti di un mega centro commerciale ma non di servizi pubblici. Il nome della strada centrale
 di Ponte di Nona lascia poco spazio all ' immaginazione: via Francesco Gaetano Caltagirone, parente e
 omonimo del re del cemento di Roma. È ANCHE l ' editore de il Messaggero , il giornale che da due anni
 etichetta come " ecomo stro " il progetto dell ' As Roma e della società Eurnova (del costruttore Luca
 Parnasi) per lo stadio giallorosso a Tor di Valle. Eppure la lista delle maggiori cementificazioni romane degli
 ultimi anni si devono alle aziende della holding di famiglia. Sempre in periferia, sulle colline di Tor Pagnotta,
 Intermedia, l ' agenzia immobiliare del gruppo Caltagirone, vende le palazzine di una centralità da 20 mila
 abitanti, ancora staccata dal resto del tessuto urbano. Con buona pace dei ruderi della torre del XII secolo
 che prima, solitaria, caratterizzava lo s k yl i ne . Ma è sul versante dell ' edilizia sportiva che si registra il
 fallimento più evidente: la Vela, il futuristico Palazzo dello sport disegnato da Santiago Calatrava su terreni
 dell ' Università di Tor Vergata per i Mondiali di nuoto del 2009. I lavori sono iniziati nel 2007 con un
 preventivo di 60 milioni di euro, dopo dieci anni i cantieri sono fermi e servirebbero 250 milioni per finire. A
 gestire l ' opera la Vianini Lavori, gruppo Caltagirone. In quell ' area, dove dal 1987 la ditta ha una
 convenzione con l ' Ateneo, dovevano sorgere buona parte delle strutture sportive e il Villaggio olimpico per
 la candidatura di Roma 2024. Il Cio chiedeva almeno 800 mila metri cubi edificati, 300 mila più di quelli
 previsti per il nuovo progetto dello stadio giallorosso. Sarà una coincidenza ma il quotidiano del costruttore
 era tra i maggiori sostenitori delle Olimpiadi. E POI C ' È la metro C, la più costosa delle incompiute
 romane, di cui la Vianini è una delle quattro ditte appaltatrici. Dopo dieci anni di cantieri, sono aperte solo
 21 stazioni delle 30 previste, manca ancora la certezza sul tracciato definitivo e nel frattempo il costo è
 lievitato da 2,7 a quasi 4 miliardi. La scheda MODELLO Nelle foto qui accanto le palazzine costruite dalle
 imprese del gruppo Caltagirone a Ponte di Nona e a Tor Pagnotta, nella periferia romana. INCOMPIUTA La
 Vela di Tor Vergata, il Palazzo dello Sport disegnato da Calatrava e mai finito: costerebbe 250 milioni di
 euro contro i 60 preventivati METRO C Aperte 21 stazioni su 30, i costi sono saliti da 2,7 a 4 miliardi di euro
 Foto: Rivale France s co Gaetano Caltagirone Ansa

SCENARIO EDILIZIA - Rassegna Stampa 28/02/2017                                                                        11
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Pag. 6 Ed. Pistoia Montecatini                                                                         tiratura:107166

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  L'EVENTO APPUNTAMENTO A MAGGIO CON «LE TECNOLOGIE PIÙ INNOVATIVE UTILIZZABILI PER
  LA RISTRUTTURAZIONE EDILIZIA»
  Cultura è anche riqualificazione: arriva «Pistoia Casa Futura»

  RIQUALIFICARE è la parola chiave per il nostro futuro e Pistoia lo ha capito. «Pistoia Casa Futura», evento
  in programma per Capitale Italiana della Cultura 2017 che si terrà dal 12 al 14 maggio, presentato ieri a
  palazzo di Giano, sarà la prima fiera di edilizia in un immobile oggetto di riqualificazione, il podere
  Colombaia in via di San Biagio alla Fallita. In mostra, la bellezza di un fabbricato rurale del 1800 con
  tecnologie moderne, in tema di sicurezza e risparmio energetico. «Un cantiere aperto e il primo a livello
  nazionale per la sua particolarità - spiega il geometra Alessandro Borchi, ideatore del progetto - dove
  potremo ammirare tutte le tecnologie più innovative utilizzate in un immobile in corso di riqualificazione,
  insieme a un'area espositiva di 1900 mq con tutti gli stand partner che dimostreranno come sia possibile
  risparmiare energia e ridurre l'inquinamento ambientale e il rischio sismico con l'utilizzo di nuove tecniche
  edilizie». L'evento, patrocinato dal Comune di Pistoia, dalla Regione Toscana e dal collegio provinciale
  Geometri e Geometri Laureati di Pistoia, si rivolge non solo agli addetti ai lavori, ma a tutti gli interessati.
  «La rigenerazione del territorio e dell'esistente - prosegue Massimo Melani, consigliere del collegio
  Geometri - sarà il nostro futuro, limitando il consumo del territorio già fortemente attaccato dall'edilizia dei
  decenni scorsi». SARANNO COINVOLTI nel progetto anche gli studenti dell'istituto Fedi-Fermi. «Per il
  progetto scuola-lavoro i ragazzi scopriranno quanto sia importante rispettare la natura quando si riqualifica
  il patrimonio edilizio - afferma Marco Del Puglia, insegnante dell'istituto - seguendo l'intero percorso di
  ristrutturazione 'sul campo', fondamentale per svecchiare la didattica e investire nei professionisti di
  domani». «Siamo orgogliosi che questo evento di alta qualità tecnica possa essere inserito a pieno titolo
  nel programma di Capitale italiana della Cultura», riferisce l'assessore alla cultura Elena Becheri a nome di
  tutta l'amministrazione comunale. Il programma definitivo che sarà reso noto nel corso dei prossimi mesi,
  prevederà seminari e conferenze a cui tutti potranno partecipare per fare dell'eco-edilizia la chiave
  dell'urbanizzazione sostenibile. Benedetta Baronti

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SCENARIO ECONOMIA

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 a milano Intervista
 «Lo Starbucks più grande di tutta Europa»
 Daniela Polizzi

 Il ceo del colosso del caffè parla al Corriere della Sera : «A Milano siamo pronti ad aprire il nostro più
 grande negozio d'Europa. Le palme in piazza Duomo piaceranno».
 a pagina 23
 «Investiremo diversi milioni di dollari e daremo lavoro a 350 persone. E questo solo a Milano che sarà la
 cabina di regia dell'arrivo in Italia di Starbucks». Howard Schultz è pronto alla sfida. Assieme al sindaco
 Giuseppe Sala presenterà oggi a Palazzo Marino il suo progetto, «il più importante del gruppo in questo
 momento». E simbolicamente svelerà l'insegna Starbucks Reserve Roastery nell'ex sede delle Poste in
 Piazza Cordusio dove la catena americana del caffé aprirà il primo negozio alla fine del 2018. Ha voglia di
 raccontare la sua avventura l'imprenditore di Seattle che gestisce 24mila caffetterie nel mondo:
 «Costruiremo una vera fabbrica del caffé e un centro di panificazione con l'alleato italiano Princi. Sarà il
 negozio più grande d'Europa».
 Della polemica su palme e banani in Piazza del Duomo parla il minimo indispensabile e con un po' di
 rammarico: «Volevamo dare un contributo positivo alla città che onoriamo e rispettiamo. Ma sono convinto
 che alla fine piacerà». Del resto proprio a Milano Schultz ha imparato a fare il caffé. Mentre considera Aldo
 Lorenzi, lo storico coltellaio di via Montenapoleone, che oggi sarà tra gli invitati, uno dei suoi mentori
 imprenditoriali. Il progetto in Italia è ben impostato. L'Italia era un capitolo chiave prima di lasciare la guida
 operativa come chief executive ad aprile. Schultz sarà presidente e al timone arriverà Kevin Johnson, una
 carriera nel gruppo.
  I modelli Made in Italy di Schultz non si fermano qui e molti di loro sono previsti alla colazione privata di
 oggi in Comune: come l'imprenditore del cachemire Brunello Cucinelli, Antonio Percassi e Angelo Moratti.
 Quest'ultimo gli ha aperto le relazioni sul mercato italiano assieme a Percassi che ha curato il progetto di
 aperture. Ci saranno anche il rettore della Bocconi, Gianmario Verona, e l'assessore all'Urbanistica
 Pierfrancesco Maran.
 Quale sarà il modello per Milano?
 «Quello della torrefazione che occuperà gran parte dei 2.500 metri quadrati di superficie. sarà una fabbrica
 del caffé, come quella storica di Seattle, poi replicata nel negozio di Shanghai e in quelli che saranno aperti
 a New York e Tokio. Ma il negozio di Milano sarà il gioiello della corona. Con il gruppo Percassi abbiamo
 valutato varie opportunità. Ma quando ho visto l'ex Palazzo delle Poste sono rimasto senza fiato. Ne
 preserveremo lo stile per dare onore all'artigianalità del caffè e per fare un omaggio alla cultura italiana. Il
 lavoro è tutto interno. L'altra novità è infatti che abbiamo aperto in Italia il nostro centro di design per i
 lavori, un cantiere enorme. Sarà un cocktail tra tradizione e nuove tecnologie innovative per produrre il
 caffé».
 Quali?
  «Ci saranno cinque nuovi caffé realizzati con tecnologie ideate da noi, oltre al tradizionale espresso. Ci
 sarà per esempio il 'nitro caffé' (estratto a freddo utilizzando l'azoto liquido, ndr ), infusioni di caffé e
 bevande innovative. Il cliente vedrà tubi che attraverseranno i soffitti nei quali passano i grani. Potrà
 comprare le miscele e i nostri prodotti legati al marchio. Poi ci sarà la tecnologia: wifi super veloce, musica
 con i partner di Spotify, servizi di pagamento fintech».
  Quanto investirete?
 «Tanto. Valga come punto di riferimento che un tipico negozio Starbucks richiede almeno 500 mila dollari
 per iniziare. Circa 100 persone lavoreranno nella Roastery milanese. Complessivamente creeremo 350

SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 28/02/2017                                                                       14
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 posti di lavoro in Italia».
 Immaginavate tanta polemica sul giardino di Piazza del Duomo?
 «Pensavamo di offrire qualcosa di bello alla città. Ma ogni mercato può presentare temi diversi. In questo
 caso Starbucks è finita dentro un problema di tipo politico. Mi dicono però che i milanesi all'inizio criticano
 ma poi si affezionano».
 Non si poteva scegliere un progetto alternativo?
 «Era un'idea bella realizzata da un noto architetto, Marco Bay. Ci era piaciuto molto. Starbucks è lo
 sponsor e ha investito circa 200 mila euro. Comunque, abbiamo grande rispetto per il Paese del caffé dove
 ho imparato molto. Non perdo occasione per capire e documentarmi. La signora Prada mi ha portato pochi
 giorni fa alla sua Fondazione che mi ha ispirato per il mio progetto. Ieri ho provato a spiegare anche ai
 giovani studenti il concetto di rispetto».
 In quale contesto?
 «All'Università Bocconi ho parlato a 800 ragazzi in un incontro a porte chiuse con Mario Monti e il rettore
 dell'ateneo, Gianmario Verona. Mi hanno chiesto soprattutto di parlare del significato di leadership. È facile
 essere leader quando il vento è favorevole ma ci vuole una buona dose di coraggio morale quando il vento
 è contrario. Penso al tema dei rifugiati, così forte nel mondo. Starbucks ha scritto una lettera per fare
 sapere che si impegnava ad assumerne diecimila proprio mentre gli Stati Uniti chiudevano la porta a molti
 di loro. Un leader deve combattere l'odio e la bigotteria. Bisogna che combatta per la giustizia. Credo che
 gli studenti della Bocconi lo sappiano bene. Sono tutti smart».
  Daniela Polizzi
  © RIPRODUZIONE RISERVATA
 Le tappe
 Nei 2.500 metri quadrati di superficie dell'ex sede delle Poste in piazza Cordusio, a Milano, aprirà alla fine
 del 2018 Starbucks con l'insegna Starbucks Reserve Roastery Per l'apertura in Italia l'imprenditore di
 Seattle Howard Schultz ha scelto come partner il marchio della panificazione Princi. Prevista la creazione di
 350 posti di lavoro Oggi la presentazione del progetto. Alla colazione privata di oggi in Comune a Milano
 parteciperanno tra gli altri l'imprenditore del cachemire Brunello Cucinelli e Angelo Moratti. Quest'ultimo ha
 aperto a Schultz le relazioni sul mercato italiano con Antonio Percassi che ha guidato la realizzazione del
 progetto di aperture
 Foto: Howard Schultz, 63 anni, si è ispirato alle caffetterie italiane per il modello Starbucks. L'illuminazione
 durante un viaggio di lavoro negli anni 80. Ora apre a Milano Omaggio all'Italia In Italia creiamo 350 posti di
 lavoro. La nuova sede sfrutterà tecnologie all'avanguardia. Sarà anche un omaggio
 alla cultura del Paese

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 Intesa in rialzo, la Borsa promuove l'addio al dossier sulle Generali
 Bazoli non commenta la vicenda ma dice: «L'istituto avrà un grande futuro» Gli analisti Per le case di
 analisi, la scelta finale è stata positiva e conferma la «prudenza» di Intesa
 Paola Pica

 Intesa Sanpaolo ritrova la sintonia con il mercato che ieri ha premiato con un balzo del 5,5% a 2,19 euro
 l'addio al dossier Generali. Il progetto rimasto sulla carta poco più di un mese vedeva la banca guidata da
 Carlo Messina promuovere la creazione di un campione europeo del risparmio gestito attraverso la
 «combinazione» con il Leone di Trieste. L'esame condotto dai manager e dagli advisor di Ca' de' Sass ha
 portato ad abbandonare l'opzione per mancata individuazione di «opportunità industriali». Il rally di Intesa si
 è accompagnato ieri alla correzione di Generali che ha ceduto il 2,8% a 13,7 euro nel primo giorno di Borsa
 aperta dopo l'annuncio di venerdì sera, 24 febbraio. Una nota che ha restituito i due protagonisti alla
 «crescita organica», almeno secondo le prospettive rappresentate da Intesa e sempre indicate da Generali.
 «Penso che la banca abbia un grande futuro, senza dubbio; un futuro certamente non inferiore al passato»
 è il pensiero del fondatore della superbanca, oggi presidente emerito, Giovanni Bazoli che ha declinato ogni
 commento sulla chiusura del confronto con Trieste.
 Sulle aspettative di battaglia in grande stile si era tuffata Piazza Affari con le Generali che toccavano i
 massimi il 26 gennaio a 15,63 euro, dopo l'acquisto da parte della stessa compagnia del 3% di Intesa. Una
 mossa anti-scalata con la quale l'amministratore delegato delle Generali, Philippe Donnet, costringeva (in
 caso) Messina a lanciare l'Opa sulla maggioranza del capitale. Trieste resta per ora terzo azionista di
 Intesa (al momento con il 4,49%), alle spalle di Compagnia di San Paolo e Cariplo.
  In un report dal titolo «molto rumore per nulla» gli analisti di Citigroup affermano che la scelta di Intesa
 motivata con il riconoscimento che il «deal» con Generali non avrebbe soddisfatto, tra le altre, le condizioni
 di redditività promessa agli azionisti (10 miliardi di dividendi nel corso del piano) offre «un certo conforto per
 il futuro». Per Kepler Cheuvreux è stato dato «il segnale di una forte disciplina del management sull'M&A,
 su cui abbiamo sempre fatto conto. Ora Intesa Sanpaolo torna al «business as usual», facendo leva sulla
 sua superiore posizione competitiva in Italia e sulla forza patrimoniale per crescere e migliorare i ritorni».
 Chi come gli analisti di Akros era scettico sin dall'inizio scrive che alla fine è stata confermata «la
 prudenza» che aveva fatto di Messina un tratto distintivo.
 Donnet incontrerà la comunità finanziaria il prossimo 16 marzo a un anno esatto dalla sua nomina alla
 guida delle Generali per illustrare il bilancio 2016 e aggiornare il mercato sull'avanzamento del piano
 avviato lo scorso novembre. Un incontro che il manager francese sta costruendo in queste ore sulla parola
 chiave «accelerazione».
  © RIPRODUZIONE RISERVATA
  Corriere della Sera In Borsa 2017 15 Gennaio 1 Febbraio 1,834 1,975 2,116 2,257 2,397 INTESA SAN
 PAOLO +5,49% 2,19 euro IERI 2017 1 Febbraio 10,46 11,46 12,47 13,47 14,48 15,49 GENERALI -2,84%
 13,70 euro IERI 15 Gennaio
 La nota
 Dopo la diffusione di indiscrezioni, il management di Intesa Sanpaolo ha affermato il 24 gennaio scorso di
 avere all'esame, tra le varie opzioni, possibili «combinazioni industriali» con le Generali, coerentemente con
 le strategie di crescita nel settore del risparmio gestito. Venerdì 24 febbraio Intesa ha annunciato che le
 valutazioni si sono concluse con esito negativo
 Al vertice
 In alto Carlo Messina, consigliere delegato

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 di Intesa Sanpaolo Sotto Philippe Donnet,
 Ceo delle Assicurazioni Generali

SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 28/02/2017                  17
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 «Banche venete, ai soci conviene il rimborso»
 Il giurista Cassese: i vecchi azionisti non si aspettino che lo Stato intervenga anche in loro aiuto La legge è
 un buon equilibrio tra tutela del risparmio e norme Ue Ogni misura a favore di una banca in crisi va
 discussa a Bruxelles
 Fabrizio Massaro

 «Gli azionisti delle banche aiutate dello Stato devono evitare di darsi la zappa sui piedi e capire che la
 transazione offerta dalle banche per evitare contenziosi giudiziari non potrà realizzarsi con capitale pubblico
 e conviene accettarla». Il professor Sabino Cassese, 81 anni, tra i maggiori giuristi italiani, giudice emerito
 della Corte Costituzionale, apprezza la legge salva-risparmio appena approvata dal Parlamento
 convertendo il decreto varato lo scorso 23 dicembre dopo il fallito aumento di capitale di Mps.
 La legge viene in aiuto delle banche in difficoltà, tra cui quelle venete, qualora mancassero l'aumento di
 capitale che andrà lanciato. Ma non è facile: è necessario intanto che gli azionisti aderiscano alla
 transazione proposta dalle banche guidate da Fabrizio Viola e Cristiano Carrus, per evitare strascichi legali
 da miliardi di euro - per il presunto inganno nella vendita delle azioni - che ne affosserebbero i bilanci per
 sempre.
  Professor Cassese, che idea si è fatto dell'intervento del governo sulle banche?
 «Secondo me è un ottimo compromesso tra tutela del risparmio bancario e rispetto del principio europeo di
 divieto di aiuti di Stato, regolato per le banche nel 2014. La legge introduce due tipi di intervento: una
 garanzia statale sulle obbligazioni di nuova emissione e un intervento di rafforzamento patrimoniale con
 l'emissione di nuove azioni che sono sottoscritte dal Tesoro. Viene quindi escluso quello che c'è in mezzo: i
 vecchi azionisti, sui quali ricade il rischio. Se non fosse stato così, si sarebbe negata la premessa, cioè la
 direttiva sul "bail in" secondo la quale il rischio deve essere sopportato innanzitutto dagli azionisti e dai
 creditori della banca. Insomma si è voluto evitare un salvataggio di Stato delle banche stile anni Trenta».
 Ci sono però punti delicati aperti. Per esempio per la condivisione degli oneri (burden sharing), la
 Commissione Ue vorrebbe una conversione delle obbligazioni in azioni che carichi di più il peso sui
 bondholder, per non premiare l'azzardo di chi ha comprato quei bond a prezzi molto bassi.
 «È tutto da discutere con Bruxelles: non solo il decreto legge è stato concordato a Bruxelles, ma esso
 prevede che le singole misure vengano concordate con Bruxelles proprio perché il corridoio in cui lo Stato
 può muoversi è molto stretto. Il punto fondamentale è che non ci possono essere sostegni ai soci
 precedenti, perché violerebbero il principio europeo del divieto di aiuti di Stato».
   Ma se i soci di Popolare di Vicenza e Veneto Banca non accettassero la proposta di transazione,
 potrebbero poi ottenere qualcosa dallo Stato azionista?
 «In base alle norme europee e nazionali, la transazione proposta comunque non può essere fatta con
 risorse statali, perché finirebbe per violare il divieto di aiuti. Ma i soci potranno avvantaggiarsi del
 miglioramento delle condizioni della banca. Se gli azionisti collaborano, si ritroveranno con un titolo che
 potrà valorizzarsi. Viene stimolato il principio di cointeressenza che è implicito nelle norme».
 Ma chi impedirà ai soci di fare comunque causa alla banca in mano allo Stato?
 «Se arriva lo Stato, la quota diminuisce di valore, a causa dell'aumento di capitale. E non si potrà dire: c'è
 una falla nella barca ma sono contento che si allarghi perché verranno a salvarmi con una nave da
 crociera. Un comportamento razionale suggerisce di fare di tutto perché la falla si tappi e la nave non
 affondi, anche perché la nave da crociera non c'è».
  © RIPRODUZIONE RISERVATA
   Azionisti coinvolti Aumento di capitale da parte del fondo Atlante nel 2016 (in miliardi) Anticipo secondo
 aumento di capitale da parte di Atlante (fine 2016 in milioni) Corriere della Sera La crisi delle banche venete
 Popolare di Vicenza Veneto Banca 0 20 40 60 80 100 120 0 0,3 0,6 0,9 1,2 1,5 1,8 0 30 60 90 120 150 0
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 100 200 300 400 500 600 700 119.000 87.500 1,5 1 Sofferenze bancarie (in miliardi) 4,6 3,8 310 628 Bond
 subordinati in mano ai risparmiatori (in milioni) 146 54 0 1 2 3 4 5
 Giurista
 Sabino Cassese, 81 anni, è giudice emerito della Corte Costituzionale, della quale ha fatto parte dal 2005
 al 2014. Professore emerito della Normale di Pisa, è stato Ministro per la funzione pubblica nel Governo
 Ciampi
 Le parole
 burden sharing
 La «condivisione degli oneri» è un principio Ue sulle banche secondo il quale - se un istituto è in crisi - sono
 soci e titolari di bond subordinati a sostenere il risanamento con la diluizione del capitale e la
 trasformazione dei bond in azioni. È diverso dal bail-in, che prevede l'azzeramento delle azioni e la
 svalutazione dei bond, in caso di risoluzione di una banca.

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 L'intervista
 «La Ue resta la nostra casa Ma vogliamo essere ascoltati»
 Panucci (Confindustria): bisogna partecipare alla definizione delle regole
 Rita Querzé

 «D ove può andare l'Italia da sola? Come singolo Paese potremmo al massimo competere con una
 provincia cinese. Servono due cose. Realismo: per capire che in un mondo di giganti rischiamo di rimanere
 schiacciati. Ma anche tanta passione. Per credere ancora in questa Unione, nonostante negli anni della
 crisi si sia dimostrata sorda a molte esigenze dei cittadini e delle imprese. Ma resta pur sempre la nostra
 casa. E dobbiamo contribuire a migliorarla».
 A intervista conclusa, Marcella Panucci, direttore generale di Confindustria, si congeda così, sintetizzando
 in poche frasi la sua visione dell'Europa. Osservata da Viale dell'Astronomia, pur con tutte le difficoltà del
 caso, Bruxelles resta un'opportunità. Per le imprese. E, di conseguenza, per il Paese. È un ottimismo
 pragmatico, il suo. Ecco da dove era partito il ragionamento.
 Ha visto la quarta edizione dello Strategy council, l'indagine condotta da Deloitte? L'impressione è quella di
 uno scollamento tra gli italiani e le istituzioni europee. Possiamo recuperare fiducia nell'Europa?
 «La fase è delicata, questo è chiaro a tutti. Siamo a un passaggio della storia in cui è necessario un cambio
 di passo. Detto questo, gli italiani mi sembrano più obiettivi e consapevoli di quanto potrebbe apparire. Il
 57% ritiene che senza la Ue l'Italia non potrebbe competere sui mercati. Se non è lucidità questa... Certo,
 c'è anche molta confusione. E questo non aiuta».
 Il 77% degli italiani però non vede quali vantaggi derivino dall'appartenere all'Unione europea.
 «In realtà non vedono i vantaggi dell'appartenere a "questa" Ue. Ma hanno chiaro che l'Unione europea è la
 strada. Tanto che vogliono essere coinvolti nelle decisioni che riguardano il modo dell'Italia di stare a
 Bruxelles. Proprio questo dice addirittura l'87% degli intervistati. Poi c'è un rischio...».
 Quale?
 «Dare la colpa all'Europa è la via più facile. Non cresciamo abbastanza? Colpa della Ue. La verità è che
 prima di puntare il dito verso le istituzioni europee dovremmo guardarci allo specchio. Ci sono tante riforme,
 dalla giustizia allo snellimento della burocrazia, che dovremmo fare prima per noi che per l'Europa. Ma su
 cui non siamo andati ancora fino in fondo».
 I famosi «compiti a casa». Anche questa espressione mostra come l'Ue sia identificata con una
 professoressa arcigna.
 «Noi con questa "prof" abbiamo deciso di avere a che fare. Confindustria, da decenni, ha una sede a
 Bruxelles strutturata ed efficiente. Poi, vediamo le cose nella sostanza: per le imprese la Ue si identifica con
 un mercato da 500 milioni di abitanti senza dazi. Una straordinaria opportunità per noi in questi anni. Le
 filiere delle nostre aziende non si fermano sul confine. Gli italiani lavorano con tutti, a partire da tedeschi,
 francesi, spagnoli».
 Cosa non va nella Ue come è oggi?
 «Il Fiscal compact (le regole europee sul patto di bilancio, ndr; ) crea squilibri tra Stati. Le restrizioni sul
 bilancio impediscono politiche economiche anticicliche. In altre parole, i vincoli di spesa ci legano le mani
 quando si tratta di fare, come sarebbe necessario, una politica fiscale espansiva».
 E quindi?
 «Bisogna partecipare alla definizione delle regole Ue. Dal canto suo l'Europa dovrebbe valutare l'effetto che
 hanno prodotto alcune norme e prendersi la responsabilità di rivedere i trattati là dove si sono dimostrati
 inadeguati alle necessità del momento».
 Mentre la politica si arrende ai populismi i corpi intermedi possono andare controcorrente indicando una
 strada? O a Bruxelles si limitano a fare lobby?

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 «Non abbiamo nessuna intenzione di rinunciare al nostro ruolo di proposta. Cinque ministri europei tra cui il
 nostro Carlo Calenda insieme con i "colleghi" di Francia, Germania, Polonia e Spagna, hanno messo a
 punto un documento per il rilancio dell'industria nella Ue che è in linea con quanto detto da Confindustria
 negli ultimi mesi».
 Prossime iniziative?
  «Abbiamo una vicepresidenza di peso dedicata ai temi europei affidata a Lisa Ferrarini. E poi in occasione
 del 50esimo anniversario del trattato di Roma ospiteremo a Roma una riunione delle Confindustrie
 europee. In quest'occasione metteremo a punto una dichiarazione sul futuro della costruzione europea che
 consegneremo ai governi. Come vede, non abbiamo nessuna intenzione di restare a guardare».
  @rquerze
  © RIPRODUZIONE RISERVATA
 Chi è
 Marcella Panucci è direttore generale di Confindustria dal luglio del 2012. Classe 1971, è sposata e ha due
 figlie In precedenza è stata capo della segreteria tecnica e consigliere economico del ministro della
 Giustizia Paola Severino (governo Monti) Marcella Panucci è la prima donna direttore generale di
 Confindustria. Prima di lei in questo ruolo Giampaolo Galli, Maurizio Beretta e Stefano Parisi.
 Foto: Da sinistra, Laura Boldrini, presidente della Camera dei deputati; Angelino Alfano, ministro degli
 Esteri; Antonio Tajani, presidente del Parlamento europeo; Jean-Paul Fitoussi, economista e, a destra,
 Luciano Fontana, direttore del Corriere della Sera
 Foto: Marcella Panucci. Secondo il direttore generale di Confindustria «prima di puntare il dito verso le
 istituzioni europee dovremmo guardarci allo specchio. Ci sono ancora tante riforme da fare in Italia. Ma le
 regole europee sul patto di bilancio creano squilibri tra Stati a nostro danno»
 Foto: 500 milioni di abitanti Un mercato vasto e senza dazi. Da soli potremmo competere al massimo con
 una provincia cinese

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 LE ATTESE DEL MERCATO
 La scommessa sul futuro di Intesa
 Alessandro Graziani

 La bocciatura del dossier Generali ha riportato fiducia sulla equity story tradizionale di Intesa Sanpaolo. Il
 rim- balzo del titolo di ieri è solo un primo segnale della fine di tanti interrogativi. Continua u pagina 5 Il
 mercato infatti si era posto diverse domande sul funzionamento di un'alleanza bancassicurativa ineditae
 dunque foriera di incertezze. Il ritorno alla storia già nota, e quindi rassicurante per gli investitori, di crescita
 nel segmento bancario e soprattutto del risparmio ha fatto premio rispetto alle incertezze della
 diversificazione nelle assicurazioni. Più del rimbalzo di Borsa immediato, pur significativo, conta il ritrovato
 feeling con gli investitori istituzionali che, in vari report diffusi ieri, hanno mostrato apprezzamento per il
 ritorno a una storia finanziaria nota e che negli ultimi anni ha prodotto maxidividendi per gli azionisti. Sarà
 così anche in futuro? Per capirlo servirà qualche mese, o il tempo necessario per la messaa punto del
 nuovo piano industriale di Intesa a cui il ceo Carlo Messina e i suoi advisor avevano da tempo aveva
 iniziato a lavorare, ben sapendo che le Generali erano solo una possibile opportunità e non una certezza. Il
 «sogno politico finanziario» accarezzato da anni dai padri fondatori di Intesa Sanapaolo (da Giuseppe
 Guzzetti a Giovanni Bazoli ed Enrico Salza, fino ai vecchi auspici dello scomparso Alfonso Desiata), nei
 tempi moderni poteva avere un senso solo se si fosse trovata una difficile quadratura industriale tra i due
 gruppi. L'idea della difesa dell'italianità era certamente un tassello importante dell'operazione. Ma il
 presunto gradimento dell'(ex) Governo Renzi all'operazione era molto meno decisivo della sostenibilità
 finanziaria e industriale tra due colossi finanziari che, unendosi, avrebbero creato un colosso che - tra
 banca, risparmio e assicurazione - avrebbe avuto una capitalizzazione di mercato da oltre 60 miliardi. Che
 succederà ora? Domani niente. E, a differenza di quello che molti sul mercato dicono, tutto rischia di
 restare come prima. Intesa guarderà alla crescita in Italia e all'estero nel risparmio, Mediobanca punterà a
 completare la sua trasformazione acquisendo probabilmente una rete di promotori, la nuova UniCredit di
 Mustier cercherà di riavviare la crescita dai vari segmenti di business in Italia. E le Generali? Dopo le
 smentite ufficiali di un interesse di Axa e le apparenti o temporanee difficoltà sui dossier Telecome
 Mediaset di quel gentiluomo di monsieur Bolloré, anchei rumors su una tendenza filo francese del ceo di
 Generali Philippe Donnet sembrano essersi affievoliti (forse anche dopo le avance di Intesa). In effetti
 Donnet risulta più amante dell'Italia di molti italiani, dalla cultura alla conoscenza di usi e costumi finanziari
 e istituzionali che coinvolge i palazzi romani, fino ai cibi e vini del bel paese, ed ha a suo vantaggio una
 sponda istituzionale fondamentale come quella di un presidente rispettato sul mercato per un lungo track
 record sulle best pratice di governance come il presidente di Generali Gabriele Galateri di Genola. Ma ora
 toccherà a Donnet far vedere se, dopo la fine del confronto sul dossier Intesa, seguiranno progetti
 ambiziosi di rilancio per la compagnia cheè sempre stata il fiore il campione italiano nel mondo
 assicurativo.E che oggi vale in Borsa meno della metà di Banca Intesa.

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