VIAGGI NELLA FANTASIA - Prof.ssa Pastene Paola

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VIAGGI NELLA FANTASIA - Prof.ssa Pastene Paola
Anno Scolastico 2016/2017
Istituto Istruzione Secondaria I Grado “A.Schiaffini”
Santo Stefano Magra
(La Spezia)

Classi I A - I B - I C - I D

              VIAGGI
              NELLA
             FANTASIA

                                                 Prof.ssa Pastene Paola

                                                                      1
VIAGGI NELLA FANTASIA - Prof.ssa Pastene Paola
PRESENTAZIONE
I contenuti delle lezioni di approfondimento hanno mirato a far conoscere
agli alunni i miti dell’ antichità sotto un duplice aspetto: sia come
narrazioni “meravigliose”, che mescolano l’umano e il divino, sia come
fonti utili a ricostruire la cultura materiale ed il sistema di valori che
furono alla base delle comunità che li formularono. In particolare ci si è
soffermati sulle vicende di quegli eroi, come Gilgamesh, Odisseo,
Giasone, Eracle, che compirono viaggi avventurosi e ricchi d’incontri
“fantastici”, realizzando un percorso di purificazione o di affermazione di
sé e del proprio ruolo sociale. La presentazione di tali viaggi ha offerto
l’occasione per illustrare le conoscenze geografiche degli uomini antichi,
ricostruirne le rotte ed i percorsi terrestri, scoprirne le modalità di
orientamento attraverso gli astri, risalire alle motivazioni che li spinsero
a varcare i propri confini fisici e mentali.
Dall’ esame approfondito di questi personaggi e delle loro peripezie, è
emerso negli alunni il desiderio di cimentarsi anch’ essi nella produzione
scritta ed iconografica di viaggi di loro invenzione. Molto utile è stata, a
tal fine, l’ attività a piccoli gruppi perché ha consentito loro di operare in
sinergia mettendo in comune i propri punti di vista e le proprie abilità.
                                BUONA LETTURA!!!

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CLASSE I A
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Le nuove avventure di Eracle

Eracle, finalmente tornato a casa, aveva ripreso una vita felice con sua
moglie Megara. Ma dopo qualche anno la moglie, sentendo la mancanza
dei figli, si era ammalata di malinconia perdendo la felicità ed iniziando a
vivere sempre di più nell’ ombra.
Eracle decise così di recarsi dalla sacerdotessa di Tebe, la quale gli
disse che avrebbe dovuto affrontare un lungo viaggio con quattro prove
da superare, giungendo infine alla Costa del Sol per catturare un raggio
di sole da portare alla moglie e guarirla. La sacerdotessa, inoltre, porse
una mappa ad Eracle su cui erano indicati i luoghi dove recuperare
quattro oggetti che gli sarebbero serviti per prendere il raggio di sole.
Il giorno seguente Eracle salutò la moglie e, esaminando la mappa, vide
che la prima tappa erano i boschi della Slovenia in cui avrebbe trovato
dei guanti di pelle.

                                1^ Tappa

Eracle non sapeva bene cosa cercare e, prima di giungere in quei
luoghi, attraversò una palude piena di serpenti e ragni velenosi. Ne trovò
uno che gli disse che avrebbe dovuto cercare il bonnacon, un grande
mammifero dalla pelle resistentissima, ma che l’ unico modo per
scovarlo era quello di tagliare tutti gli alberi dei boschi dove l’ animale
viveva.
Eracle, che era pronto a tutto, accettò: per tre giorni e tre notti fece
quanto gli era stato richiesto ma decise di salvare un solo albero.
Dietro alla pianta si nascondeva il bonnacon che, appena vide Eracle,
cercò di aggredirlo con le possenti corna ma l’ eroe, raccolte le ultime
forze, prese uno degli alberi tagliati e lo colpì stordendolo.
L’ animale cadde pesantemente a terra, allora Eracle prese la spada e lo
uccise.
Giunto il tramonto, Eracle si addormentò sfinito ma il mattino seguente
tagliò la pelle dell’animale e si confezionò i guanti indicati dalla
sacerdotessa.

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2^ Tappa

Lasciati i boschi della Slovenia, il giovane combattente giunse sulle Alpi
italiane per cercare il cristallo di ghiaccio. Lì alcune persone gli
raccontarono che in quelle zone viveva il dahù e che, probabilmente, ciò
che Eracle stava cercando era il cuore dell’ animale.
Il dahù era una creatura bella ed allo stesso tempo particolare perché le
sue zampe erano asimmetriche: quelle di destra erano più lunghe di
quelle di sinistra; ciò gli permetteva di muoversi meglio sulle pareti
scoscese delle montagne.
Eracle aveva sentito dire che il modo più facile ed efficace per catturarlo
era quello di sorprenderlo alle spalle ed urlare ad alta voce: “Dahù”; così
facendo, l’animale, molto curioso di sua natura, si sarebbe girato per
vedere chi lo stesse chiamando e, trovandosi improvvisamente con le
zampe più corte sul lato a valle, avrebbe perso l’ equilibrio e lui avrebbe
potuto ucciderlo con una freccia.
Prima di trovarsi di fronte a questo animale, Eracle trascorse nove lunghi
giorni alla sua ricerca soffrendo il freddo e la fame ma finalmente lo trovò
e, come aveva programmato, urlò il suo nome; così il dahù si girò e lui
potè ucciderlo in un attimo. Poi prese il suo cuore che era un cristallo di
ghiaccio e si preparò per la terza tappa.

                                3^ Tappa

Seguendo la mappa della sacerdotessa, Eracle riprese il viaggio verso
una regione chiamata Loira, in cerca del vaso in grado di contenere il
raggio di sole.
Arrivato in questa terra, non sapeva dove cercare; così intervenne in suo
aiuto la dea Atena che, dopo aver aperto un vortice, lo trasportò nella
Francia del Medioevo e più precisamente in uno dei castelli per i quali la
Loira è famosa.
In questo maniero, infatti, Era, per intralciare il viaggio di Eracle, aveva
nascosto un vaso speciale forgiato da Efesto e capace di resistere al
fuoco.
La dea, inoltre, aveva messo a guardia del recipiente una mostruosa
creatura alata di colore verde: il graoully.

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Eracle si avventurò nel castello per un giorno intero fino a quando si
accorse di essersi perso tra decine di stanze e ripidissime scale che non
portavano da nessuna parte.
Allora l’ eroe si sedette stanco vicino ad un muro ma all’ improvviso la
sua schiena iniziò a vibrare, così si alzò di scatto: dietro di lui si era
aperta una porta segreta.
“Altre scale…” pensò Eracle tra sè e sè scoraggiato, ma non si arrese.
Corse con coraggio fino ad una ampio terrazzo dove vide il meraviglioso
vaso: era d’ oro e così luccicante che gli abbagliò gli occhi.
Lì davanti giaceva il graoully: dal suo naso usciva fumo e dalla bocca
fuoco.
Eracle, però, si poteva proteggere solo con lo scudo.
Iniziò a correre intorno alla creatura, stordendola; poi con una corda
resistente le legò la bocca, le ali e le zampe, infine sguainò la spada e le
tagliò la testa.
Il graoully era stato ucciso ed Eracle riuscì finalmente a rubare il
prezioso vaso; poi ripartì per l’ ultima tappa del viaggio.

                                4^ Tappa

Eracle giunse alla Costa del Sol, in Spagna, prima del tramonto per
seguire il dio Apollo e scoprire in quale palazzo fosse rinchiuso il carro
con il sole durante la notte.
Una volta individuato il posto, l’ eroe si nascose ed attese che Apollo si
allontanasse per andare ad avvertire Selene, la dea della luna, che il
giorno era terminato.
Però Apollo, uscendo dal palazzo, aveva posto a guardia del carro una
anfisbena: un serpente a due teste, una ad ogni estremità del corpo, che
quando una dormiva l’ altra vegliava e con occhi che brillavano come
lampade.
Eracle decise di affrontare la bestia e, dopo un lungo
combattimento,riuscì a tagliare la testa sveglia in modo tale che l’altra
non potesse più farlo.
Indossò i guanti realizzati con la pelle del bonnacon, prese un raggio di
sole, cautamente lo sistemò nel vaso trovato nel castello della Loira e lo
chiuse con il cristallo di ghiaccio del dahù.

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Felice di essere riuscito nell’ impresa, decise di riprendere il viaggio
verso casa dove vi giunse prima dell’ alba.
Arrivato dalla moglie, la ritrovò nella sua camera buia, le mise in mano il
vaso, lo aprì di colpo e si voltò per non essere abbagliato. In quel
momento tutta l’ oscurità si racchiuse nel vaso e la moglie, circondata
dalla luce fuoriuscita, sorrise e lo abbracciò.
Alla vista di ciò Era tornò infuriata nell’ Olimpo ed i due coniugi poterono
riprendere la loro vita felice insieme.

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Testo e disegni realizzati da: Guastini Margherita, Musio Andrea, Pietra
Gaia, Soremekun Emmanuel (classe I A)

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Eracle
Eracle era felice con la sua famiglia, aveva una moglie dolce e
disponibile e tre figli vivaci e curiosi. L’ unico problema era che, per
colpa di Era, viveva nella miseria.
Un giorno, mentre stava camminando per le vie della città, vide molta
gente in una locanda. Entrò e vide un cantore che diceva: “Chi supererà
queste quattro fatiche riceverà per ognuna di esse ben dieci monete
d’oro”.
In tanti partirono ma solo Eracle riuscì a tornare a casa con un bel
bottino; la moglie fu contentissima ed il popolo lo venerò come fosse un
dio perché aveva ucciso le creature che li aveva molto spaventati.

                           Le quattro fatiche

-       Andare a Sparta ad uccidere duecento maiali feroci che
distruggevano i raccolti. Eracle ed altri eroi partirono per quella città e
riuscirono ad ucciderli quasi tutti.
-      Salire su degli alberi e togliere le api dagli alveari. Tutti furono
punti tranne Eracle perché aveva una corazza che lo proteggeva.
-      Entrare dentro alla bocca di una balena per prendere una chiave e
sacrificarla a Poseidone. Alcuni si rifiutarono di tentare l’ impresa e
rimasero solo in quattro.
-      Scalare il monte Everest. Ad arrivare alla cima fu solo Eracle
perché gli altri morirono lungo il tragitto.

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Testo e disegni realizzati da: Ait Moussa Ayoub, Benedetti Ines, Donato
Giacomo, Pietrelli Diletta (classe I A)

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Il viaggio di Doriforo
         Alla ricerca del ricciolo d’argento
Tutto ebbe inizio sull’ isola di Nasso, patria di Doriforo e della madre
Alcmea. Eurineo, il vecchio e crudele re di quella terra, voleva sposare
Alcmea, vedova giovane e bella, ma aveva paura che Doriforo si
opponesse alle nozze; così disse al giovane che, se gli avesse portato il
ricciolo d’ argento della maga Arcigna, egli non avrebbe più sposato la
madre ed avrebbe lasciato l’ isola.
La maga Arcigna viveva nell’ isola di Cefalonia ed ogni cinque anni
inviava terribili aquile dal muso di cane a rapire dieci giovani dell’ isola di
Nasso per tenerli come schiavi nei suoi magici giardini. Nessuno era mai
riuscito ad avvicinarsi alla maga che aveva tutti i suoi poteri in un ricciolo
d’ argento nascosto tra i capelli.
Doriforo era terrorizzato dall’impresa ma un giorno, mentre vagava
pensieroso sulla spiaggia, gli apparve un vecchio dalla lunga barba
bianca e dagli occhi luminosi che gli si avvicinò e gli disse: “Tu non sai
chi sono io ma io so che devi affrontare un viaggio lungo e pericoloso e
che il tuo cuore è pieno di paura. Ricordati: quando vedrai degli uccelli
volare molto bassi ed ululare come cani, dovrai sdraiarti a terra e restare
immobile; se incontrerai una donna molto bella le donerai questo anello
e le getterai addosso questa acqua profumata e, quando ti troverai di
fronte all’ antro della maga,strofinerai quest’ anfora e chiuderai gli occhi”.
Dopo aver pronunciato queste parole e donati gli oggetti di cui aveva
parlato, s’ immerse nel mare e sparì.
Doriforo continuò a cercarlo con gli occhi ma al suo posto vide una nave
con a bordo dieci marinai che lo invitarono a salire. Allora il giovane vide
seduto sull’ albero della nave il dio Nettuno che, con il suo tridente alzato
verso il cielo, gridò: “Con la mia benedizione guida questa nave e con i
tuoi dieci marinai vai a Cefalonia a prendere il ricciolo d’ argento della
maga Arcigna”.
Doriforo salpò con la sua nave ed iniziò a navigare verso l’ isola di
Melos.
Dopo un giorno ed una notte di navigazione, il mare iniziò ad agitarsi, le
onde si fecero sempre più alte ed improvvisamente un terribile mostro

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marino a tre teste apparve ai marinai. Doriforo iniziò a dare ordini ai suoi
compagni e, ricordandosi di ciò che suo padre anche lui marinaio gli
aveva detto da bambino, insegnò loro a fare dei nodi con le corde così
da poter legare le tre teste.
L’ impresa fu durissima, tre uomini caddero in mare e morirono ma alla
fine il mostro fu sconfitto.
Stanchi ed ancora spaventati, i marinai con il loro comandante
raggiunsero l’ isola di Melos e qui il dio Morfeo, nemico del dio Nettuno,
li fece cadere in un sonno profondo.
Solo Doriforo restò sveglio e, mentre vagava sull’isola per cercare un
modo per svegliare i suoi compagni, vide una grossa pietra su cui era
inciso un indovinello. Lo risolse e così trovò un’erba magica che fece
svegliare i marinai.
In tutta fretta risalirono sulla nave e navigarono verso l’ isola di Citera:
un’ isola stupenda piena di fiori profumati e colorati; era il regno di
Criseida, una ragazza bellissima, dai lunghi capelli corvini e dagli occhi
verdi come il mare.
Appena Doriforo l’ ebbe vista, lei gli si avvicinò e gli chiese di sposarla;
in cambio sarebbe diventato il re di quell’ isola incantata.
L’ eroe, allora, si ricordò delle parole del vecchio dalla barba bianca e le
donò l’ anello. Criseida lo infilò al dito, in un attimo si trasformò in una
strega malvagia e con una spada infuocata cercò di ucciderlo. Egli,
allora, le gettò addosso l’ acqua profumata e lei morì.
Superata anche questa brutta avventura, la compagnia si rimise in
viaggio verso l’ isola di Zacinto. Il mare era tranquillo: di giorno
splendeva un bel sole e di notte le stelle indicavano la rotta.
Durante una di quelle notti il dio Nettuno apparve in sogno a Doriforo per
annunciargli una prova davvero dura da affrontare nell’ isola di Zacinto.
Gli raccomandò di non farsi distrarre dagli intensi profumi che avrebbe
sentiti ma di guardarsi sempre attorno, anche in alto.
Svegliatosi da quel sogno, Doriforo andò sul ponte della nave e vide in
lontananza una lunga distesa di alberi alti e pieni di foglie. Era l’ isola di
Zacinto, bella, rigogliosa e piena di una fitta vegetazione.
L’ eroe ed i suoi compagni attraccarono la nave all’unica insenatura che
trovarono in quella parte di costa e s’ incamminarono alla ricerca di cibo;
avevano bisogno di fare rifornimento e speravano di incontrare qualcuno
che potesse aiutarli.

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Durante il cammino, però, accadde una cosa terribile: due uomini, che
brancolavano per il forte profumo che emanavano le piante, si
avvicinarono troppo ad una di esse e vennero stritolati. Gli altri capirono
che erano giunti nel “bosco della morte”di cui tanto si parlava a Nasso
perché chi era entrato in quel luogo non ne era più uscito vivo.
Tutti insieme cercarono allora di tornare alla nave ma, all’ improvviso,
sentirono un forte ululato.
Doriforo si guardò attorno ed in alto, come gli aveva detto in sogno
Nettuno.
Vide degli uccelli mostruosi sopra di sé ed allora si sdraiò immobile a
terra. Gli altri suoi compagni, invece, vennero afferrati con gli artigli e
portati via. Passato questo brutto momento, l’ eroe solo, stanco e
spaventato salì sulla sua nave sapendo che ormai Cefalonia era vicina e
che non gli restava altro che affrontare l’ ultima prova.
All’ alba approdò all’ isola e trovò sulla spiaggia delle donne che
avevano accompagnato i loro mariti pescatori. Una di esse gli si avvicinò
e gli chiese chi fosse: “Sono Doriforo” disse “Vengo dall’ isola di Nasso e
sono alla ricerca della maga Arcigna”.
“Stai molto attento” gli rispose la donna “La maga ha immensi poteri e
nessuno è mai riuscito a sconfiggerla. Tiene schiavi tanti giovani nei suoi
giardini e noi mamme temiamo per i nostri figli. Pregherò per te e perché
la tua impresa abbia buon fine”.
Dette queste parole, gli indicò una vasta pianura nella quale scorreva un
lungo fiume. Gli disse di percorrerlo in direzione delle montagne fino a
quando non avesse trovato la sua sorgente. Là una grotta lunga e buia
conduceva ai giardini della perfida maga.
Doriforo seguì le indicazioni e giunse alla grotta. Si avvicinò ed
improvvisamente uscì una lingua di fuoco. Era Crotalo, un mostro simile
ad un serpente, che si avventò su di lui. Lo avvinghiò, lo strinse forte ma
Doriforo resistette, riuscì a liberarsi e con uno scatto improvviso gli tagliò
la testa.
Si addentrò così nella caverna fredda e buia e, dopo aver camminato
lentamente ed in silenzio, in lontananza scorse una luce e sulla parete
intravide l’ ombra della maga.
Lei urlava e si avvicinava sempre di più a lui, intenzionata ad ucciderlo.
Doriforo, allora, strofinò l’ancora con tutta la sua forza e da essa
uscirono insieme tutti i venti. La maga girò su se stessa, non riusciva a

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stare in piedi ma con una mano afferrò l’ eroe per un braccio. Doriforo le
era vicino e la luce fece brillare il ricciolo d’ argento. Con un’abile mossa
lo tagliò e subito la caverna s’ illuminò tutta, la maga cadde a terra ed i
venti si placarono.
In un attimo i ragazzi che la maga aveva rapito andarono da Doriforo e
lo salutarono come il loro liberatore. Così egli li fece salire sulla sua nave
ed intraprese con loro il viaggio di ritorno a Nasso. Non incontrò più
mostri sulla sua strada ma Nettuno lo guidò per tutta la navigazione.
Giunto a destinazione, consegnò il ricciolo d’argento a Eurineo, la folla lo
acclamò re dell’ isola e la madre non dovette più sposarsi.

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Testo e disegni realizzati da: Bongi Michael, Casciaro Arianna, Mavilla
Andrea, Michelucci Giorgia (classe I A)

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L’ avventura dei mitici eroi
Un tempo il re di Iolco Giasone era sposo innamorato della maga
Medea.
Circe, la zia della sposa, possedeva potenti arti magiche ed era gelosa
della nipote. Invaghitasi di Giasone, un giorno lanciò un incantesimo ed
egli tradì Medea proprio con lei che aveva cambiato fattezze per non
farsi riconoscere.
La regina furente, per vendicarsi del tradimento e far soffrire il marito,
scagliò una maledizione sui suoi suoceri, Alcimede ed Esone, a cui lui
era molto affezionato: sarebbero morti lentamente soffrendo
terribilmente per anni ed anni.
Giasone, vedendo i suoi genitori in quello stato, si risvegliò dal torpore
indottogli dalla maga Circe e comprese quanto era successo.
Medea, visto il ripensamento del marito, si pentì di ciò che aveva fatto,
ma la sua magia avrebbe potuto essere annullata solo dal semidio della
medicina Asclepio, figlio del dio Apollo e cresciuto dal centauro Chirone
alle pendici del monte Pelo.
Asclepio aveva appreso dal suo tutore l’ uso dei medicamenti e degli
strumenti chirurgici; era diventato abile e saggio e curava le persone con
devozione.
Atena, per ricompensare la sua generosità, gli aveva donato due fiale:
una contenente il sangue colato dalla parte sinistra della Gorgone
Medusa che aveva il potere di resuscitare i morti, l’ altra il sangue colato
dalla parte destra che aveva il potere di donare la morte.
Ade, temendo che Asclepio potesse sovvertire l’ ordine naturale del ciclo
della vita, si era lamentata con Zeus che prima aveva fulminato con le
sue folgori il dio della medicina e poi, per placare l’ ira di Apollo, padre di
Asclepio, ne aveva fatto una costellazione: quella di Ofiuco.
Giasone avrebbe dovuto, quindi, raggiungere quella costellazione per
recuperare qualche goccia della preziosa fiala che avrebbe riportato in
salute i suoi genitori.
La nave Argo, rimessa in mare dopo la spedizione che aveva portato
alla conquista del vello d’oro, era pronta a salpare.
Il dio Poseidone, in quel momento benevolo verso i naviganti, aveva
mostrato a Giasone la rotta da seguire per passare dal mare al cielo, ma

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per questo particolare viaggio non avrebbe potuto contare sui suoi
cinquantadue Argonauti in quanto avrebbe dovuto fare tutto da solo.
L’ eroe avrebbe dovuto far rotta per la Sicilia, Efesto avrebbe collocato
Argo all’ interno dell’ Etna e la potenza generata dalla caldaia
magmatica avrebbe sospinto la nave fino alle stelle, verso Asclepio.
Sarebbe poi stato compito di Eolo creare un vortice per riportarlo sulla
Terra.
Sulla nave Argo si stagliava la polena che conteneva ancora il pezzetto
di legno magico che aveva fornito, per volere di Era, protezione e
profezie agli Argonauti nella loro missione.
Anche in questo viaggio lo sguardo benevolo della sposa di Zeus aiutò
Giasone: sulla sua rotta avrebbe dovuto scontrarsi con personaggi che,
però, poi lo avrebbero aiutato nel raggiungimento del suo scopo.
Giasone partì, quindi, a bordo della nave Argo ed arrivò ad Itaca (per
volere degli dei a lui favorevoli).
Odisseo pensò ad una nuova minaccia per il suo regno ed avrebbe
voluto combattere contro il nuovo venuto, pensandolo accompagnato dai
suoi soldati. Fortunatamente l’ intervento di Atena placò l’ irruenza del
sovrano di Itaca il quale, ascoltate le motivazioni del condottiero degli
Argonauti, decise di unirsi a Giasone mettendogli a disposizione la sua
astuzia.
Giasone ed Odisseo raggiunsero Tebe dove fu inevitabile lo scontro con
Eracle che aveva pensato di dover affrontare contro di loro una delle sue
tante fatiche. I due eroi domarono a stento le potenti braccia del rivale
che, dopo essere stato vinto, venne reclutato per la sua forza nella
prosecuzione del viaggio.
Giasone, Odisseo ed Eracle attraversarono il deserto verso Uruk dove il
tiranno Gilgamesh stava terrorizzando i suoi sudditi. I tre uomini
proposero un patto al sovrano di Uruk: se li avesse accompagnati nel
viaggio, Argo sarebbe diventata di sua proprietà. A Giasone serviva un
elemento con pochi scrupoli e capace di azioni di forza. Gilgamesh
accettò la proposta lusingato dalla possibilità di entrare in possesso del
leggendario vascello.
I quattro mitici eroi puntarono la prua verso la Sicilia dove Efesto li
attendeva per aiutarli nel loro viaggio verso le stelle. Il dio deviò tutta la
potenza del suo magma verso la chiglia della nave che, salendo
velocissima lungo il cono del vulcano, venne lanciata verso il cielo.

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Il viaggio verso quel luogo dove nessun uomo era mai giunto prima fu
brevissimo: la costellazione di Ofiuco era ad un passo dalla prua della
nave; Asclepio, però, era protetto dalle spire sinuose di Draco; era
quindi giunto il momento che Giasone, Odisseo, Eracle e Gilgamesh
unissero le proprie forze per sconfiggere l’ invincibile guardiano.
Fu allora che Odisseo ebbe una delle sue mirabili intuizioni: dispose
scudi ed armi in modo tale da riflettere la luce delle stelle creando la
illusione ottica dell’ occultamento della nave. Giasone, saldamente al
timone, portò l’ invisibile Argo vicina a Draco in modo da permettere ad
Eracle di afferrarlo e bloccarlo con la sua forza mentre Gilgamesh
sferrava il colpo finale tagliandogli la testa.
A quel punto i quattro eroi si avvicinarono ad Ofiuco ed Asclepio si rivelò
nel suo vero aspetto. Le lodevoli motivazioni, che avevano portato
Giasone ed i suoi compagni a chiedere il suo aiuto spingendosi fino al
limite della volta celeste, convinsero Asclepio a donare senza indugio le
gocce di sangue portatrici di vita.
A quel punto Eolo, come previsto da Era, creò un grande vortice sotto la
nave Argo che vene risucchiata e trasportata fino alla città di Iolco.
Arrivati a destinazione, gli eroi corsero subito verso la nobile casa di
Giasone dove Medea disse loro di far bollire sul fuoco il sangue
curatore, in modo da ottenere una pozione di guarigione. Dopo aver
seguito alla lettera tutte le indicazioni della maga, Giasone diede da bere
il magico intruglio ai suoi genitori che tornarono subito in salute tra le
lacrime di gioia del figlio che tanto aveva osato per loro.
Nel frattempo Odisseo era tornato ad Itaca ma la sua fame di
conoscenza lo avrebbe spinto di lì a poco ad intraprendere un altro epico
viaggio; Eracle, scontata con questa ennesima prova la pena morale per
l’ eccidio della sua famiglia, era ritornato a Tebe; Gilgamesh, dopo
essere diventato il comandante della gloriosa nave Argo secondo quanto
stabilito dai patti e contagiato dallo spirito d’ avventura che animava i
suoi compagni, aveva lasciato il governo della città di Uruk nelle mani di
un reggente più umano ed intrapreso una navigazione senza fine.
La fine di un viaggio è solo l’ inizio di un altro.

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costellazione di Ofiuco

nave Argo

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20
Testo e disegni realizzati da: Berisha Andi, Ferri Tommaso, Iacob
Alexandru, Faro Gennaro (classe I A)

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Ivan e le mele d’ oro

Tanto tempo fa nella lontana città di Beval vivevano un re, una regina ed
il loro figlio Ivan.
Un giorno, per porre fine ad una guerra che durava ormai da anni, il re
Espon e la regina Uri decisero di affidare il figlio Ivan, l’ intero palazzo ed
il popolo allo zio Dektos. Quest’ ultimo, però, non voleva il ragazzo ma
solo le sue ricchezze.
Così, quando venne a sapere che i sovrani erano morti, diede Ivan alla
balia costringendola a tenerlo nascosto, poi andò davanti al popolo
riunito e disse: “Il figlio del re è morto a causa di una malattia misteriosa,
ora sarò io ad avere il potere che sarebbe spettato a lui”. Da quel giorno
governò al suo posto.
Quando Ivan fu cresciuto, venne a scoprire la triste verità e, furioso,
marciò verso il palazzo reale. Giunto davanti a Dektos, gli urlò
minaccioso: “Dektos, come osi tu nascondere la verità a me ed a tutto il
popolo; quella corona, quel trono e tutto ciò che possiedi spettano a me
e tu me li hai portati via con un inganno, una sciocca bugia a cui, però,
credono tutti”.
Lo zio si limitò a rispondere: “ Facciamo un patto: se tu riuscirai da solo
a portarmi tre mele d’ oro che crescono nei campi della città proibita, io
lascerò il trono e tu sarai re”.
“Ma come farò da solo- cercò di obiettare Ivan- dovrò ammazzare
draghi, prendere erbe magiche, per non parlare delle mele d’ oro che
crescono nel giardino della dea Maya a cui agli umani è severamente
proibito avvicinarsi”.
“O questo o nient’ altro” concluse Dektos. “E va bene” replicò il giovane.
Ivan impiegò quindici giorni a progettare la sua nave e venti per
costruirla, poi si diresse verso le terre proibite. Dopo tante avventure,
giunse proprio davanti all’ albero dalle mele d’ oro e riuscì ad
impadronirsene di tre offrendo splendidi abiti che aveva nella nave alla
dea Medea.
Ritornò davanti a Dektos con i frutti ma lui non accettò quanto aveva
promesso anche perché aveva sperato che fosse morto.

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“Sai, non sono ancora pronto a lasciare il trono” disse lo zio; allora Ivan
sguainò la spada e lo invitò a combattere. Il giovane uccise l’ usurpatore
e finalmente riprese i diritti che da sempre gli erano spettati.

Testo e disegni realizzati da: Colombo Jeson, Omontuehmen Darlene
Eghonghon, Pezzoni Margherita, Ruffini Flippo (classe I A)

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Le dieci fatiche di Eracle
Eracle voleva sposare la figlia di Efesto ma il dio gli disse che, se voleva
farlo, doveva superare “dieci fatiche”.

                               I Fatica
   Prendere le pietre preziose contenute in una grotta dei Ciclopi

Sbarcato nella terra dei Ciclopi, Eracle scelse la grotta di Polifemo
perché , essendo cieco, non lo avrebbe potuto vedere. Quindi potè
prendere le pietre preziose e portarle ad Efesto.

                               II Fatica
                 Andare nelle profondità dell’ oceano

Per prendere il corallo dell’ immortalità Eracle si fece dare dal dio
Poseidone il potere della respirazione sott’ acqua e riuscì ad andare sul
fondo dell’oceano a prendere il corallo dell’immortalità.

                                III Fatica
                Sterminare l’ esercito del re Gilgamesh

Eracle andò ad Uruk per distruggere l’ esercito di Gilgamesh e ci riuscì
grazie ad un’armatura donatagli dal dio Ares.
                                IV Fatica
             Andare nel bosco e sradicare cento querce
Si avvicinava l’ inverno ed Efesto ordinò ad Eracle di sradicare cento
querce nel bosco vicino per riscaldarsi.

                               V Fatica
                          Prosciugare un lago

Il lago esondava spesso infastidendo il villaggio vicino che aveva
richiesto aiuto ad Efesto; Eracle con un solo respiro risucchiò l’ intero
lago.

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VI Fatica
                         Distruggere la nave Argo

Efesto si accorse che la nave Argo si stava per schiantare contro il suo
palazzo, perciò ordinò ad Eracle di distruggerla prima del suo arrivo.

                                 VII Fatica
                      Catturare i musicanti di Brema

Eracle, per volere di Efesto, catturò i musicanti di Brema che gli
suonarono delle bellissime musiche.

                             VIII Fatica
          Uccidere un polpo gigante che infestava l’ oceano

Eracle arrivò nel fondo dell’ oceano e lì il polpo cercò di soffocarlo con i
suoi lunghi tentacoli, ma Eracle riuscì a liberarsi ed a tagliargli i tentacoli.

                                 IX Fatica
                            Uccidere un grifone

Eracle andò nella grotta dove viveva il grifone, mentre l’ animale
dormiva.
L’ eroe estrasse la sua spada, gli trafisse il cuore e lo uccise.

                                 X Fatica
                             Conquistare Uruk

Avendo già ucciso i soldati posti a guardia di Uruk, per Eracle questa
impresa fu molto facile. Fece scappare gli abitanti e conquistò la città.
Eracle, dopo aver superato tutte le “dieci fatiche”, si sposò con Elena.

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26
Testo e disegni realizzati da: De Vivo Lorenzo, Micheli Matteo, Montani
Viola, Paioletti Matilde (classe I A)

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CLASSE I B
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Le prove dei tre frammenti
Un tempo vivevano in un lontano regno un re e sua moglie: Aschelide ed
Elida. Essi avevano un grande segreto: senza la “pietra sacra” non
potevano sopravvivere.
Purtroppo la terribile maga Orisida, che voleva governare al loro posto,
riuscì a rubarla e la ruppe in tre frammenti che disperse nei luoghi più
pericolosi mettendovi a guardia dei mostri orripilanti.
La coppia reale era sempre più debole e dopo cinquanta giorni sarebbe
morta.
Allora il figlio Ortelide, che era un guerriero potente, decise di recuperare
tutti i pezzi per salvare i suoi genitori.

                               I Frammento

Il primo frammento era nascosto nel punto più oscuro di un bosco di
aceri e precisamente dentro ad una grotta con a guardia l’ hamunk, un
mostro con il corpo di serpente e la testa d’ aquila.
Per ucciderlo, Ortelide dovette tendergli un tranello: costruì un enorme
buco che ricoprì con foglie e rami nelle vicinanze della grotta ed attirò
fuori il mostro. Così vi cadde dentro ed il principe potè recuperare il
frammento della “pietra sacra”. Una volta ottenuto quanto cercato, lasciò
morire il terribile hamunk nella trappola.

                               II Frammento

Il secondo frammento era nascosto all’ interno della piramide di
Tutancamon in Egitto ed a guardia c’era un enorme scarabeo dorato.
I soldati di Ortelide pensarono a distrarre il mostro mentre il principe
prese la pietra; poi, con l’ aiuto di tutti i suoi uomini, fece cadere la
piramide addosso allo scarabeo che morì schiacciato.
Però in seguito, dispiaciuto per quanto aveva fatto, fece ricostruire l’
edificio.

                                                                          29
III Frammento

L’ ultimo frammento si trovava sul fondo del mare e precisamente in una
grotta corallina con a guardia un mostro marino.
L’unica cosa che poteva ucciderlo era il fuoco ma a contatto con l’ acqua
si sarebbe subito spento. Allora Ortelide si fece ingoiare tutto intero dal
mostro e, una volta entrato nella sua pancia, appiccò un fuoco con due
pietre focaie che aveva tenute ben asciutte nella sua sacca. Una volta
ucciso, uscì dalla sua bocca e recuperò l’ ultimo pezzo di pietra.
Infine il giovane fece ritorno nella sua terra dove ricompose la “pietra
sacra” ed i suoi genitori furono salvi, mentre la maga Orisida venne
condannata alla prigione a vita.
Per ricompensa, Ortelide ascese al Sacro Olimpo dove venne accolto
calorosamente.

                                                                         30
31
Testo e disegni realizzati da: Calzolari Andrea, Giovanelli Matilde, Pucci
Pietro Thanhuy, Traversi Francesca (classe I B)

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Lo scrigno dorato
Un giovane di nome Guglielmo volle oltrepassare i sette mari per
impadronirsi di uno scrigno ereditato dal padre ormai deceduto da un
anno.
Esso era molto prezioso e tutti lo volevano.
 Prima navigò nell’ Oceano Atlantico dove incontrò la bella guerriera
Felis di cui s’ innamorò. Così i due continuarono il viaggio insieme.
Ad un certo momento approdò in un’ isola sperduta dove affrontò un
gruppo di nomadi chiamati Celsi. Guglielmo e la sua amata vennero
catturati ma, mentre procedevano verso le prigioni, sentirono dire che lo
scrigno era in loro possesso ma che era custodito nell’ isola di Ioda e
custodito dal drago Cem, il più potente di tutti i suoi simili.
I ragazzi cercarono un modo per fuggire e ci riuscirono grazie ad uno
stratagemma: fecero ubriacare la guardia che aprì la porta della cella e
indicò loro la strada per Ioda dicendo che occorreva per forza andare via
mare e fare molta attenzione al “Triangolo delle Bermuda”.
I due partirono ed arrivarono su un’ isola tutta buia credendo di essere
giunti a destinazione. Così andarono subito a cercare la grotta dov’ era
nascosto lo scrigno e lo trovarono grazie ad una scia di fumo
proveniente dalle fauci del drago.
Non appena trovato il mostro, Guglielmo lo attaccò ed i due
combatterono a lungo fino a quando il giovane lo sconfisse e lo uccise.
Poi Guglielmo entrò nella grotta ed intravide lo scrigno nell’ oscurità.
Però c’ erano diverse trappole che impedivano di avvicinarsi; allora lui si
ricordò di una canzone che gli cantava il padre e decise di seguire le
indicazioni proposte dal testo.
Pareva incredibile ma il giovane riuscì ad evitare le trappole, a prendere
lo scrigno ed a portarlo ad Itaca assieme all’ amata Felis.

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il triangolo delle Bermuda

lo scrigno dorato

                             34
Testo e disegni realizzati da: Acerbi Alessio, Bologna Christian, Kolaj
Lorenzo, Porto Gaia, Reginato Camilla (classe I B)

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La nuova dinastia di Iulio
Iulio, figlio di Enea e della dea Atena, era stato scelto per fondare una
nuova città. Così, spinto dal Fato, una mattina lui e suo padre partirono
con quaranta navi e navigarono verso la Calabria dove incontrarono il
mago Cero che li trattenne per tre anni.
Poi ripartirono ma una tempesta li fece naufragare in Africa.
Lì incontrarono una sibilla di nome Rita che spiegò loro che la città che
Iulio doveva fondare avrebbe dovuto essere situata a levante dove sorge
il sole e ricoperta completamente d’ oro e d’ argento.
Subito al padre Enea venne in mente la terra di Santina perché da lì si
vedeva subito il sole. Così i due giunsero in quel luogo e vi fondarono la
città.
Ci volle un anno per completarne l’ edificazione; alla fine Iulio ed Enea
ripartirono ma sfortunatamente un tempesta li fece naufragare sull’ isola
d’ Elba dove degli enormi scarafaggi provenienti dall’ Africa dimezzarono
le loro truppe.
Gli dei, per far comprendere al giovane che non era quella la città
indicata,gli apparvero in sogno e gli proposero un enigma: LA TERRA
DOVE SORGE IL SOLE NON HAI ANCORA TROVATO E DI QUESTO
NON HAI ANCORA PAGATO.
Iulio pensò che fosse solo un incubo ma non era così: ad Ogigia morì
suo padre, così comprese il significato delle parole del sogno e trovò la
terra giusta in Grecia.
Prima di arrivarci, approdò in Tracia dove s’ innamorò di Leti, la regina
del luogo. Così partirono insieme ed arrivarono a Troia dove Iulio rimase
affascinato dalle bellezze della città ma, purtroppo, successe una
disgrazia: Leti venne uccisa dal crollo di un edificio.
Allora Iulio disperato ripartì, poi arrivò finalmente in Grecia dove costruì
la città e diede inizio ad una nuova dinastia.

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Testo e disegni realizzati da: Gaido Chiara, Giorgini Nicolò, Mattioni
Giulia, Moretti Filippo (classe I B)

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Wilsena
Il protagonista della storia è Wilson, un giovane inglese che ha voglia di
conoscere la Terra in tutti i suoi aspetti e per questo decide di esplorare
alcune città, partendo da Roma, la città eterna, dove è sempre vissuto.
Come prima tappa decide di andare ad Istanbul ma una tempesta lo
porta ad Atene dove viene accolto da delle guinzie: bellissime fanciulle
che, con il loro fascino, incantano gli uomini facendoli stare con loro per
anni allo scopo di ucciderli. Wilson non cade nella trappola perché ha già
sentito parlare di loro, però perde tutti gli uomini del suo equipaggio.
Finalmente approda ad Istanbul dove un uomo molto anziano gli rivela
che non è figlio di Ilenia (la donna che lo ha cresciuto) e che, appena
nato, è stato trovato sulla sponda del fiume Tevere. Wilson, molto
arrabbiato e contemporaneamente deluso per quanto ha appreso, si
rimette in viaggio.
Giunge in Egitto e rimane stupito per la bellezza del Cairo dove trova
una grande quantità di antichissimi resti. Dopo qualche settimana si
rimette in viaggio.
Arriva in Tunisia e precisamente nella capitale dove incontra Klunie, un
uomo molto astuto che ha la sua stessa voglia di viaggiare. Così i due
diventano amici e decidono di recarsi in Sicilia; lì si fermano per molto
tempo perchè due fanciulle dell’ isola s’ innamorano di loro e li
costringono a stare con loro. Fortunatamente, grazie all’ astuzia di
Wilson , riescono a fuggire.
I due giovani giungono a Cagliari in Sardegna dove incontrano due
mostri che li vogliono uccidere, ma loro riescono a sconfiggerli.
Arrivano all’ isola di Minorca, dominata dalla macchia mediterranea e
rinomata per la quiete che vi regna. Affascinati e stupiti per l’ acqua
cristallina, decidono di tuffarsi in mare per fare un bagno. Però,
nonostante all’apparenza sia incantevole, racchiude un pericolo: la
presenza di tanti piccoli pesciolini che si attaccano alle gambe e non si
staccano più, simili a sanguisughe. Klunie, che si è avventurato troppo in
mare aperto, all’ improvviso si accorge di questi animaletti, grida a
Wilson di scappare e di tornare sulla spiaggia; poi scompare tra i flutti
annegato.

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Wilson, rimasto solo, è addolorato e triste perché per la prima volta
prova che cosa significhi perdere una persona cara. Vorrebbe ritornare a
Roma ma, ripensando alle parole pronunciate dall’ anziano uomo di
Istanbul, decide di non farlo e di fermarsi ad Ajaccio, in Corsica, dove
incontra una bellissima donna di cui s’ innamora, ricambiato. I due si
sposano e vivono felici e contenti.

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Testo e disegni realizzati da: Bini Michele, Gallina Alice, Foschi Michele,
Pedrazzi Alessia, Poletti Simone(classe I B)

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Lenao ed Anchise
L’ isola di Linosa era abitata da un popolo molto pacifico: gli Etagini. Essi
erano governati da un sovrano molto saggio, il re Nestore, che dopo un
anno di governo aveva sposato Fedra. Dopo un po’ di tempo la regina
era rimasta incinta di due gemelli; il parto fu molto doloroso così, appena
dati alla luce i due fratellini, lei morì.
Nestore era molto triste ma aveva due figli da crescere da solo, così si
diede subito da fare perché era quello che avrebbe voluto anche sua
moglie.
Fin da quando erano piccoli, il re diede ai suoi due figli, Lenao ed
Anchise, un’ educazione molto severa. Il tempo trascorse ed i due
gemellini, da bambini vivaci divennero uomini molto determinati.
Un giorno, il padre convocò i due figli nella sua stanza e fece loro un
discorso. Disse che ormai era anziano, mancava poco tempo alla sua
morte e, quindi, aveva bisogno di un successore che governasse al suo
posto, però non voleva fare preferenze. Così li avrebbe sottoposti ad
una prova molto difficile per stabilire chi sarebbe diventato re: dopo due
settimane da quell’ incontro avrebbero dovuto scalare il monte Acrena
prima che la “Grande clessidra del tempio” avesse finito di far scorrere la
sua magica sabbia ( cioè entro mezzogiorno) e, naturalmente, avrebbe
vinto il primo arrivato.
I due fratelli si volevano molto bene ma entrambi volevano avere il
comando sul regno e, quindi, erano determinati a vincere.
Le voci si sparsero in fretta nel regno ed i cittadini speravano che
superasse la prova il loro preferito, il principe Lenao, perché era
altruista, generoso, gentile, educato, insomma un uomo amabile ma, all’
occorrenza, anche spietato. Invece il gemello Anchise era viziato,
arrogante, antipatico, maleducato, presuntuoso e pensava solo al suo
aspetto. Inoltre era un fifone ed aveva paura anche solo della sua
ombra.
I due fratelli, indifferenti di quello che pensava la gente, si allenarono
intensamente durante quelle due settimane.
La gara sarebbe iniziata alle cinque del mattino e sarebbe durata al
massimo fino a mezzogiorno ed i lettori, a questo punto, penseranno: il

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giorno prima i due contendenti avrebbero dovuto dormire tutto il giorno e
invece…
Lenao continuò a svegliarsi presto per fare gli allenamenti ed Anchise
andò con i suoi amici a “compiere avventure”.
Il giorno dopo, alle cinque in punto, sia Lenao che Anchise si trovarono
ai piedi della montagna con il padre, le guardie e molti spettatori
incuriositi. Iniziò uno stressante conto alla rovescia, al segnale del re un
cavaliere capovolse la clessidra ed i due fratelli diedero inizio alla
scalata.
Ci furono molti alti e bassi, ma in testa era Anchise, non si sapeva come
avesse fatto, ma stava vincendo (probabilmente aveva barato). Alla fine,
quando ormai mancava pochissimo allo scadere del tempo stabilito, uno
scatto fulmineo di Lenao lo portò in testa e lo fece vincere.
Poco tempo dopo il loro padre morì ma il regno aveva un bravissimo e
saggio sovrano: Leonao.

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Testo e disegni realizzati da: Casotti Elena, Moscano Sofia, Piva
Andrea, Vesigna Enrico Pablo (classe I

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CLASSE I C

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Il dio Terremoto, la dea Natura e gli umani
Tanto tempo fa sul monte Fuji viveva Terremoto, dio della Terra. Egli
aveva il corpo fatto di roccia e polvere e tutti ( sia dei che umani) lo
ammiravano per questo ma lo detestavano per il suo carattere irascibile.
Egli scaricava la sua rabbia dicendo con un vocione profondo e potente
che faceva tremare tutto ciò che lo circondava: “Dannati…ora vi faccio
vedere io!”.
Fortunatamente, però, la sua rabbia svaniva in pochi minuti e, man
mano che si tranquillizzava e tornava bonaccione, la Terra tremava
sempre meno. Così gli umani, che vivevano rinchiusi nelle loro case ai
piedi del monte, potevano ritornare tranquilli e sereni ad occuparsi delle
loro faccende quotidiane.
Gli altri dei si erano tanto abituati al comportamento di Terremoto che
ormai fingevano di temerlo. Calma apparente!!!
Un giorno di sole arrivò nel regno di Terremoto la bellissima dea Natura
che gli disse: “O Terremoto, non sai in che guaio sono capitata…gli
umani mi maltrattano: sciupano l’ acqua ignorando le necessità delle
piante e degli animali che soffrono, e non solo questo, portano via l’
argilla, scavando strati profondi nella terra, per costruire oggetti , vasi,
piatti ma, soprattutto, case; loro sono comandati dal dio Fuoco,
ambizioso e desideroso di diventare il capo di tutti. Ti prego, Terremoto,
aiutami!”.
Il dio, livido dalla rabbia per il racconto ma contento di aver trovato
qualcuno che gli confidasse le sue pene, andò su tutte le furie
scatenando la sua rabbia in modo più violento del solito, lasciando
scorrere l’ ira nelle sue vene senza contenersi.
Un boato terrificante pervase l’ atmosfera e la terra tremò così forte che
tutte le case costruite in precedenza dagli uomini finirono miseramente
in frantumi, senza possibilità di recupero. Da quel giorno sorse una
nuova civiltà.
Gli uomini e gli dei rispettarono maggiormente la dea Natura e cercarono
di rendere le giornate del dio Terremoto più tranquille. Tutti erano
diventati più attenti al rispetto dell’ altro.

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Testo e disegni realizzati da: Evangelisti Giada, Franceschini Ella,
Gaggini Matteo, Puggioni Nicole (classe I C)

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Italo ed il mare
         Viaggio di un eroe alla ricerca di se stesso

Un giorno un giovane di nome Italo partì dalle suggestive coste liguri per
andare alla scoperta di nuove terre. Prima di affidarsi al suo ignoto
destino, gettò un ultimo sguardo veloce ma intenso alle alte mura che
circondavano la suggestiva chiesetta di San Pietro a Portovenere,
affacciandosi alle cui finestrelle aveva infinite volte sognato di partire.
Quel momento era finalmente arrivato ed il suo cuore fremeva al
pensiero di quel viaggio avventuroso. Italo era curioso, sapeva che oltre
l’ orizzonte si apriva un mondo tutto da scoprire a costo della sua stessa
esistenza perché il senso di ciò che stava per compiere stava proprio nel
fatto che la vita si sarebbe incontrata con la morte ed avrebbe cercato in
ogni modo di sfidarla.
Ma a quali difficoltà egli avrebbe dovuto far fronte?
Italo, di certo, allora non immaginava quanti ostacoli avrebbe incontrato
prima di tornare in patria.

                   PRIMA TAPPA: L’ ISOLA D’ ELBA

Italo stava navigando ormai da molti giorni ed era solo, perché così
aveva voluto, in balìa del destino e delle onde. Davanti a lui c’ era solo il
mare sconfinato e burrascoso. Un giorno il giovane, come per miracolo,
avvistò all’ orizzonte un’ isola, la cui forma allungata e sottile faceva da
barriera all’ infinito. Appena l’ ebbe raggiunta, egli rimase a contemplare
il paesaggio in silenzio fino a quando udì una vocina delicata che disse:
“La tua determinazione ti ha spinto fin qui, Italo, guarda oltre ed otterrai
riposta al tuo desiderio di conoscere. Spingiti oltre, coraggio!”. Si trattava
di una bellissima sirena che lo stava fissando e gli suggeriva di
procedere. Più oltre il giovane vide l’ imbocco di una caverna, come se
fosse stato l’ unico punto di accesso verso l’ orizzonte non troppo
lontano.
La sirena continuò: “Sfida il serpente della caverna e potrai continuare il
tuo viaggio, altrimenti torna indietro!”.
Italo, sicuro e coraggioso, le rispose: “Ce la farò, sfiderò il serpente a
costo della vita!”. Così intraprese una difficile lotta con l’ animale e, dopo

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essere riuscito a sconfiggerlo, scorse dinanzi ai suoi occhi una strada
luminosa che lo condusse dall’ altra parte dell’ isola. Là il mare era
calmo, piatto ed invitante. Egli non aveva paura, mise in acqua la sua
piccola imbarcazione e si lasciò trasportare verso il suo destino.

     SECONDA TAPPA: GAETA ED IL MONDO SOTTERRANEO

Il viaggio procedeva proprio come Italo aveva sempre immaginato. Dopo
alcuni giorni di navigazione si fermò nel golfo di Gaeta; poi, tremante ed
eccitato, andò a baciare la terraferma. Mosse qualche passo incerto ma,
improvvisamente, cadde pesantemente in basso, sprofondò e si trovò al
centro di un bosco buio dove tanti minuscoli uomini barbuti e seri lo
osservarono curiosi. Essi, in coro, ripeterono la stessa frase che gli
aveva precedentemente detto la sirena: “ La tua determinazione ti ha
spinto fin qui. Vuoi continuare il viaggio? Aiutaci ad uscire da qui e ad
arrivare al mare, così tu sarai di nuovo libero ed anche noi”. Italo rispose
loro: “Non vi preoccupate, ce la farò e saremo tutti liberi!”. Da quel
momento lavorò incessantemente per parecchi giorni e, con l’ aiuto dei
buffi ometti, costruì una strada verso il cielo, verso la libertà che permise
a tutti di risalire e di tornare al mare. Poi salutò i suoi nuovi amici e
riprese la navigazione verso il suo destino.

                       TERZA TAPPA: SALERNO

Questa fu una sosta determinante perchè Italo trovò il relitto di una
misteriosa nave abitata dal fantasma di un sapiente imperatore che, alla
sua richiesta di conoscere il motivo di tanto vagabondare, gli rivelò che
era quello di andare alla ricerca di se stesso.

                       QUARTA TAPPA: TROPEA

In questa località il giovane entrò in possesso di una chiave magica che
gli permise di accedere negli abissi più profondi del mare e di
comunicare con mostruosi animali marini che gli indicarono la giusta via
da percorrere.

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QUINTA TAPPA: LO STRETTO DI MESSINA

Qui Italo conobbe l’ amore: un meraviglioso uccello si trasformò in una
fanciulla, che era stata fatta prigioniera di un incantesimo ed Italo se ne
innamorò perdutamente. Purtroppo la sua vita poteva continuare solo in
quel luogo altrimenti sarebbe subito morta ma il giovane, mosso sempre
dal desiderio di viaggiare, la lasciò pur con dolore.

         SESTA ED ULTIMA TAPPA: IL RITORNO IN PATRIA

Erano trascorsi molti anni, Italo era invecchiato, le sue avventure erano
sempre eccitanti ma cominciavano a stancarlo. Egli poteva ritenersi
soddisfatto: aveva realizzato il suo sogno, viaggiato per anni, visto luoghi
inesplorati ed incantati, conosciuto persone nuove e culture diverse dalla
sua.
Il suo corpo ormai indebolito dal peso degli anni racchiudeva una mente
lucida in cui era racchiuso un intenso desiderio di tornare a casa, al suo
punto di partenza e di approdo. Egli, sebbene impegnato nelle sue
molteplici avventure, non aveva mai cessato di pensare alla sua terra
natia ed alle persone amate che aveva lasciato. Ora si chiedeva se
fossero ad attendere il suo ritorno e se, come lui, desiderassero
rivederlo. La vita gli aveva dato molto ma si rendeva conto che non gli
avrebbe concesso ancora tanto tempo. Come avrebbe fatto a tornare in
patria? Si trovava lontano da Portovenere e non sapeva se avrebbe
avuto le forze necessarie per affrontare un così lungo viaggio; sarebbero
occorsi mesi e lui era stanco.
Un giorno andò in cerca di una risposta al suo tormento e, per farlo,
camminò nella bellissima Lampedusa, dove risiedeva da due anni, fino
alla cima di un monte dove abitava un anziano sapiente che, si diceva,
avesse poteri soprannaturali perchè in contatto con gli dei.
Italo, giunto davanti a lui, si prostrò ai suoi piedi e pianse: “Solo tu puoi
aiutarmi. Nella mia vita ho visto tanti paesi e persone diversi, però vorrei
morire nella mia patria. Indicami , ti prego, la strada per la costa ligure,
dimmi come posso trovare i mezzi per poterla raggiungere, così i miei
occhi potranno gioire nuovamente dinanzi alle bellezze della mia terra
lontana!”.

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L’ interlocutore, sebbene fosse cieco,poteva percepire chiaramente tutto
il dolore di Italo e disse: “Domani mattina all’ alba vai al porto. Cerca in
cielo la stella del desiderio che noterai perché, anche se giorno, c’ è
sempre. Fissala a lungo stringendo fra le mani l’ amuleto che ti sto per
dare e si spalancherà davanti a te un labirinto complesso ed enigmatico,
percorrilo tutto affrontando le prove che vi troverai e, alla fine del
percorso, potrai salire su una nave. Come per magia rivivrai il tuo
viaggio, approdando in tutti i porti in cui sei stato, vedrai la tua vita
scorrerti davanti agli occhi. Il dio della Fortuna sarà lì accanto a te”.
Italo fece quanto gli aveva ordinato l’ anziano sapiente; così tornò a
rivedere la tanto amata costa ligure ed in particolare Portovenere dove
visse fino alla morte.

1) Portovenere (partenza) – 2) Isola d’ Elba – 3) Golfo di Gaeta
4) Salerno – 5) Tropea – 6) Stretto di Messina – 7) Lampedusa –
8) Portovenere (ritorno)

Testo e disegni realizzati da: Cipriani Gaia, Gemmi Leonardo, Mannarà
Martina, Morelli Alice (classe I C)

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Il viaggio di Euriloco
Dopo dieci anni dalla fine della battaglia di Adrianopoli, circa nel 388, l’
eroe Euriloco con alcuni compagni, dopo essere riusciti a sfuggire alla
strage dei soldati romani,stavano effettuando un viaggio nelle acque del
Mediterraneo per volere del Fato.
Egli era un guerriero molto forte ed audace, biondo con gli occhi azzurri,
per metà divino e per l’ altra umano (semidio).
Un giorno il vento li condusse presso le coste di un’ isola abitata dalla
bellissima dea Cimsene, maestra di incantesimi. Appena la ragazza li
vide, chiese loro: “Qual buon vento vi conduce da queste parti?” e loro
risposero: “Sono stati gli dei a portarci qui con il favore dei venti!”; poi la
dea li invitò a pranzo. Ma le sue intenzioni non erano buone: infatti
voleva renderli incoscienti e darli in pasto ai suoi leoni. Così fece un
incantesimo dando al veleno il sapore ed il colore del vino e lo offrì alla
ciurma: di colpo tutti caddero per terra senza sensi. Poi li fece portare
dai suoi servitori in una stanza e li chiuse dentro.
Per farli perire più in fretta, non diede loro più alcun cibo, così molti
morirono di fame. Poi venivano tirati fuori dal locale e dati in pasto alle
belve.
Euriloco, vedendo sempre meno compagni attorno a sé, urlando e
piangendo disse: “Cimsene, perché fai questo?”. Ormai erano rimasti
solo in due e, fra poco, sarebbero diventati anch’ essi cibo per i leoni.
Allora l’ eroe, temendo la morte imminente, decise di evadere assieme al
fedele marinaio Piros, passando attraverso un piccolo passaggio che
avevano scavato nel muro. Appena usciti all’ esterno della stanza,
corsero dal portone che era stranamente aperto, poi si diressero in fretta
al porto dove li aspettava la loro imbarcazione. In quel momento Piros
disse: “Finalmente, Euriloco, siamo riusciti a scappare. Non ci speravo
più” e ripresero il viaggio per tornare in patria.

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Testo e disegni realizzati da: Oddone Giacomo e Truglio Jasmine
(classe I C)

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Il viaggio di Ascanio
Un tempo nella pianura padana viveva Ascanio, bellissimo figlio di
Apollo e dai poteri soprannaturali, con sua madre Alide. Un giorno,
quando il giovane tornò a casa, trovò sua madre distesa per terra
agonizzante; lui la prese tra le braccia e la depose sul letto. Lei lo
guardò con i suoi dolci occhi e con un filo di voce disse: “ Figliolo, è
giunta la mia ora, gli dei non vogliono più farmi ridere e camminare all’
aria aperta. Ascanio, ora me ne andrò per sempre ma prima senti bene
le mie parole: per ogni decisione che dovrai prendere nella vita ascolta
sempre che cosa ti dice il cuore…”ma non riuscì a terminare la frase
perchè la morte la portò via con sè. Allora il giovane si recò subito dalla
principessa Efigenia, di cui la madre era stata l’ ancella, per annunciarle
la triste notizia. Ma, non appena la vide, rimase senza parole tanta era la
sua bellezza e se ne innamorò. “Bel giovane, perchè mi vuoi parlare?
Quale notizia mi porti?” disse la fanciulla. Ascanio rispose: “Mia
bellissima principessa, sono venuto fin qui per dirle che la sua ancella,
nonchè mia madre, è morta” A quelle parole il sorriso di lei si spense
sulle sue labbra, si sedette sul letto e si mise a piangere. Lui avrebbe
voluto dichiararle il suo amore ma non gli sembrò giusto e decise di
andarsene, però la principessa lo fermò e disse: “Bel giovane. non
andare via perchè vorrei conoscerti!”. Ascanio rimase di sasso perchè
non riusciva a capire come mai quella meravigliosa creatura volesse
proprio la sua compagnia. Si lasciò convincere a restare e ne approfittò
per dichiararle il suo amore; lei sorrise alla dichiarazione, però aveva lo
sguardo assente come se nascondesse un segreto. Egli lo capì subito e,
incuriosito, cercò di scoprirlo: lei era la promessa sposa di Eurione,
crudele e spietato sovrano di Cipro, ma non lo conosceva neppure”.
Allora Ascanio si alzò prontamente in piedi e le giurò che sarebbe
andato da quel re, lo avrebbe sconfitto e sarebbe tornato per sposarla.
Lei, sentendo quelle parole, lo abbracciò felice ma, prima che se ne
andasse, gli disse: “Il re è invulnerabile e l’ unico modo per sconfiggerlo
è strappargli il solo capello d’ oro che ha in testa; così tornerà umano e
potrai ucciderlo senza alcuna fatica”, gli consegnò tutto ciò che avrebbe
potuto servirgli per il viaggio, gli fornì un equipaggio ed una nave; poi lui
partì. Durante il tragitto incontrò le sirene che, con il loro canto

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