TikTok dall'app di successo al nuovo smartphone
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TikTok dall’app di successo al nuovo smartphone Annunciato a gran voce come il TikTok Phone, in realtà il “Jianguo Pro 3” (questo il nome del dispositivo) è soltanto prodotto dalla stessa società dietro l’applicazione in testa a tutte le classifiche di download del momento, Bytedance. Ufficializzato per il mercato cinese, il nuovo dispositivo non dovrebbe avere molte possibilità di giungere fin da noi in Europa ed è un peccato dato che si tratta di uno smartphone dalle caratteristiche davvero niente male. Lo smartphone Targato TikTok arriva sul mercato con un prezzo di ingresso tutt’altro che economico (2.899 yuan, l’equivalente di circa 410 dollari). Ovviamente fra i servizi preinstallati è presente Douyin, la versione di TikTok destinata agli utenti cinesi: basta passare il dito
sulla schermata di blocco e immediatamente si applicano gli effetti e i filtri dell’app ai video in memoria. Definirlo lo smartphone di TikTok è però forse improprio, visto che proprio i portavoce di ByteDance hanno confermato come questo dispositivo sia di fatto la continuazione dei progetti già in essere prima dell’avvio della partnership con Smartisan, ma è certo che si tratti di un apparecchio con caratteristiche tecniche non banali. A livello tecnico il “TikTok Phone” si presenta con una dotazione da dispositivo di fascia alta, a cominciare dal processore Snapdragon 855 Plus, cui fa pendant una batteria da 4.000 mAh, per finire con un comparto fotografico forte di quattro camere posizionate sul retro (un sensore principale da 48 Megapixel, un obiettivo ultra wide da 13 MP, un teleobiettivo da 8 MP e una camera macro da 5 MP) e un sensore 20 megapixel per i selfie sulla parte anteriore del display, dove trova posto anche il sensore per il riconoscimento delle impronte digitali. Il telefonino di TikTok si troverà nei colori verde, bianco e nero, più che probabile la sua disponibilità tramite il mercato grigio d’importazione. F.P.L.
Baldur’s Gate 1 e 2 arrivano su console Baldur’s Gate Enhanced Edition, pacchetto contenente Baldur’s Gate 1 e Baldur’s Gate 2 più le relative espansioni è finalmente arrivato su Xbox One, Ps4 e Nintendo Switch. Questa collezione, ci teniamo a sottolineare, fa parte di una linea di uscite che ripropongono i migliori gdr ispirati a D&D, quindi: Planescape Torment, Icewind Dale e Neverwinter. Dopo questa doverosa premessa, torniamo a Baldur’s Gate. L’importanza del brand per il medium dei videogiochi è indiscussa. Il capolavoro uscito nel lontano 1998 su Pc fu il primo esempio di come utilizzare le regole di Dungeons &
Dragons in maniera credibile per sviluppare la struttura ludica di un videogioco. Ambientato nel mondo dei Forgotten Realms, il giocatore si trova a dover affrontare una vera e propria epopea disseminata di eventi epici e personaggi memorabili. A prescindere dalla console scelta per godere di questa storica Enhanced Edition – che pur conserva l’eccellente impronta pixellosa dell’originale – il lavoro del team di Beamdog è piuttosto evidente, e va ad impattare soprattutto sui controlli di gioco su Baldur’s Gate II, che poggia sull’ultima versione dell’Infinity Engine. In particolare, sebbene sia sempre possibile indirizzare il party verso un punto preciso attraverso la modalità tattica, adesso è possibile guidare il gruppo autonomamente utilizzando lo stick sinistro per farlo camminare e lo stick destro per direzionarlo, muovendo al tempo stesso la telecamera. Il controllo “sui pollici” è un chiaro requisito da console, che si sposa perfettamente con ciascuna delle piattaforme su cui approda questa Enhanced Edition. Ciò detto, la modalità tattica con il puntamento preciso nell’area della location rimane la più adatta quando non si è in fase esplorativa; ad esempio, dovrete utilizzarla per combattere o usare magie puntuali. Ovviamente anche l’interfaccia grafica è stata reinventata per adeguarsi alla navigazione da pad, con menu radiali e non, comandabili tramite dorsali e grilletti. Ottima anche la telecamera intelligente
che, in modo autonomo, va a puntare sia gli oggetti di interesse che i personaggi, facilitando un po’ i controlli durante l’esplorazione dei dungeon e svecchiando, di fatto, un sistema di gioco estremamente rigido e complesso. La difficoltà di fondo legata al sistema Advanced Dungeon & Dragons rimane tutta, il che ne fa un titolo adatto soprattutto a chi già ne sa, perché un neofita andrebbe incontro ad una curva d’apprendimento estremamente rigida e non paragonabile agli action RPG attualmente in commercio sotto diversi punti di vista. Tuttavia, chi deciderà di non gettare la spugna dopo alcune ore, da un certo momento in poi riuscirà a sentire la difficoltà più dolce, complice sia un party più forte che l’ottenimento di una maggiore esperienza di gioco. C’è, poi, tutta la gestione delle arti magiche e delle caratteristiche dei personaggi, che richiedono davvero tanto tempo da investire per padroneggiare a dovere ogni aspetto di ciascuna avventura. In Baldur’s Gate è fondamentale non correre: il tempo speso a leggere le informazioni di corredo e a pianificare ogni attacco risulta essenziale, tanto per non morire dopo poche azioni, quanto per arrivare a un livello di coinvolgimento e appagamento post-vittoria che forse non ha ancora eguali. La cosa veramente ammirevole di questa coppia di giochi importantissima è il sistema di controlli. Adattare un gioco nato e
cresciuto con mouse e tastiera per essere giocato con un controller non è assolutamente un’operazione semplice. Skybound Games e Beamdog hanno fatto un lavoro decisamente pazzesco: la mappatura dei comandi è fatta sulla falsariga di Pillars of Eternity, ma in Baldur’s Gate sembra addirittura funzionare meglio. Certo, siamo ben lontani dalla precisione e dall’accuratezza che mouse e tastiera concedono, ma è incredibile pensare di poter giocare in questo modo un gioco per computer storico come Baldur’s Gate. Il sistema di combattimento segue delle regole modificate della seconda edizione di Dungeons & Dragons: per esempio, le battaglie in Baldur’s Gate sono molto più impegnative, e fanno molto più affidamento sui “roll”, esattamente come in una qualsiasi campagna di D&D. Non è raro che, soprattutto all’inizio, il party del giocatore cerchi di sconfiggere un mostro deboluccio impiegandoci una quantità di tempo forse pure un po’ troppo eccessiva: si vedono infatti i protagonisti mancare il nemico più e più volte, allungando la durata dello scontro. Infatti, nonostante la bontà estrema di questo sistema, è innegabile che sia Baldur’s Gate sia Baldur’s Gate 2 mostrano decisamente la loro provenienza da un’altra era videoludica. Al giocatore è infatti richiesto di calarsi completamente nel mondo di gioco, e di viverlo pienamente così da poter capire le pieghe più nascoste e vederne l’immenso valore. Trattandosi
di videogiochi degli anni ’90, non esistono indicatori sulla mappa, o qualsiasi elemento che faciliti la progressione: Baldur’s Gate 1 e 2 non perdonano nessuna disattenzione. Quindi, soprattutto per i neofiti consigliamo caldamente di salvare molto spesso. Questo elemento può forse rappresentare quello più difficile da digerire per chi si avvicina a questi capolavori per la prima volta, ed è assolutamente normale. Baldur’s Gate 1 e 2 sono giochi molto complessi, che richiedono dedizione, ma che sono in grado di regalare esperienze che ben pochi altri giochi sono in grado di regalare. Come detto, la storia in tutti e due i giochi rappresenta uno degli aspetti più importanti, e il giocatore deve navigarla influenzandola con le proprie decisioni e azioni. Il mondo di gioco è vivo, vibrante, con un fortissimo carattere, popolato da una grandissima varietà di personaggi e personalità, alcuni dei quali si uniranno a noi nella nostra avventura, mentre altri cercheranno di metterci i bastoni tra le ruote. Ed è esattamente questa una delle qualità maggiori di Baldur’s Gate: l’incredibile complessità della storia e del mondo di gioco permettono al giocatore di affrontare l’esperienza dalla propria soggettività, dal proprio punto di vista. Dal punto di vista estetico, nonostante le migliorie tecniche, l’Enanched Edition di titoli con alle spalle 20 anni non può proporre certo miracoli grafici, ed è anche per questo che
gli sforzi del team di sviluppo si sono concentrati sugli aspetti di gioco anziché su texture, ombre ed effetti di illuminazione. Se il lato tecnico non è stato quindi troppo ritoccato rispetto all’edizione speciale di qualche anno fa per pc, la versione console viene impreziosita anche dalla presenza di Siege of Dragonspear e Thrones of Bhaal, le due espansioni che chiudono l’arco narrativo della saga Baldur’s Gate. La prima è un’esperienza che va a collocarsi tra i due capitoli principali della serie, ed è molto importante perché non rientra nella versione base dell’Enanched Edition pubblicata per PC, anzi, ne è a sua volta uno spin-off. Thrones of Bhaal, invece, è più vecchiotto, e racconta gli accadimenti dopo l’epilogo di Baldur’s Gate II. In attesa della modalità multiplayer, per adesso solo presente nel menu ma senza alcuna proposta, le due espansioni vi regaleranno ancora tante altre ore di quest interessanti e importanti per approfondire la storia. Tirando le somme, possiamo dire che la grandezza di questa coppia di titoli è dimostrata dalla freschezza dell’esperienza, nonostante siano passati più di 20 anni dalla loro uscita originale. Questa collection presenta pure le varie espansione, rendendo il totale di ore di gioco per completare entrambi i titoli quasi incalcolabile. Certo, il prezzo della collection è un po’ altino considerando che questi giochi vengono
letteralmente dallo scorso millennio; però, il sistema di controlli è stato implementato in maniera molto convincente, e in aggiunta, la possibilità di poter giocare in modalità portatile (su Intendo Switch) queste perle è semplicemente meravigliosa. Unica pecca veramente grave, riscontrata durante la nostra analisi su Xbox One, è la totale assenza della compatibilità con la lingua italiana. Elemento davvero devastante se non si mastica l’inglese in quanto entrambi i giochi sono costellati di dialoghi e testi che devono essere compresi bene. In entrambi i Baldur’s Gate, infatti, trascurare libri, documenti o dialoghi, vuol dire non riuscire a completare come si vuole le quest o addirittura rimanere bloccati. Proprio per tale ragione speriamo che presto vengano adattati i dialoghi e i testi in italiano, proprio come già erano presenti più di 20 anni fa. Ovviamente se si è appassionati di Dungeson’s & Dragons, ma anche di Gdr in generale, questa collezione va assolutamente giocata. Se invece si è alla ricerca un titolo veloce, di facile comprensione e poco complesso, I capitoli 1 e 2 della saga di Baldur’s Gate non vanno presi in considerazione. Detto ciò è bene ricordare che questa collezione rappresenta un vero e proprio gioiello per chi, come chi scrive, ha amato e giocato le versioni originali dei titoli, ma è anche un punto d’inizio per tutti quei nuovi giocatori che vogliono approcciare al mondo dei gdr in
maniera seria e complessa. GIUDIZIO GLOBALE: Grafica: 7 Sonoro: 8,5 Gameplay: 8 Longevità: 9 VOTO FINALE: 8 Francesco Pellegrino Lise Facebook si rinnova e cambia il logo aziendale
Facebook si rifà il look grazie a un nuovo logo aziendale “che aiuta a fare miglior distinzione tra la società e l’app”. Si tratta di una scritta tutta maiuscola “FACEBOOK” e sarà anche in vari colori, non solo nel classico blu. Il marchio, infatti, contraddistinguerà app come Instagram e WhatsApp, si troverà nelle pagine iniziali o nelle impostazioni, o in prodotti come i visori per la realtà virtuale “Oculus” e l’altoparlante intelligente Portal. Tale mutamento non avverrà invece nel social network, che manterrà l’attuale scritta in minuscolo nel colore blu. L’azienda non possiede solo Facebook, ma da tempo è proprietaria anche di Instagram e WhatsApp e questo sarà evidente anche dal cambio di look del logo dell’azienda annunciato in via ufficiale sul blog della società. “FACEBOOK” a carattere tutto maiuscolo si colorerà infatti anche delle tonalità calde di Instagram e WhatsApp, “facebook” a caratteri minuscoli in bianco e blu rimarrà invece al social network. Ma la lettura di questo cambiamento va oltre quella comunicata ufficialmente. Ciò che ne emerge è una sempre maggiore interconnessione tra le tre applicazioni, già culminata con l’annuncio nello scorso aprile della volontà di creare un unico ambiente di comunicazione condiviso tra
Instagram, WhatsApp e Messenger. Un disegno che si delinea sempre più come un processo di accentramento. E guardando ancora più indietro appariva già chiaro che l’addio dei due fondatori di Instagram, Kevin Systrom e Mike Krieger, fosse legato a una sempre minore indipendenza garantita al social acquisito da Facebook nel 2012. Ma prima era stata già la volta del passo indietro dei fondatori di WhatsApp, Brian Acton e Jan Koum, in disaccordo con i progetti di Mark Zuckerberg. In ogni caso, è probabile che l’azienda voglia separare chiaramente tutte le altre app da Facebook (social network), soprattutto per via delle numerose controversie che ha dovuto affrontare. In questo modo Facebook sottintende che compagnia e servizio sono due cose diverse, e le varie applicazioni – sebbene strettamente legate all’azienda – non hanno le stesse finalità del social network. F.P.L. Ghost Recon Breakpoint, tornano i “fantasmi” di Ubisoft
Ghost Recon Breakpoint arriva su Pc, Xbox One e Ps4 a due anni e mezzo di distanza dal lancio del suo predecessore. Questa volta Ubisoft ha proposto un titolo che ha preso quanto di meglio ci fosse dal capitolo precedente, Wildlands (qui la nostra recensione), lo ha ampliato con meccaniche interessanti e gli ha donato una grafica del tutto più curata e ancora più bella da vedere. Visto che squadra che vince non si cambia, la formula di gioco di Ghost Recon Breakpoint rimane fedele all’originale, offrendo un vasto open world liberamente esplorabile che fungerà da ambientazione per la nuova missione di Nomad, capitano della squadra Ghost che si trova ad affrontare in questo capitolo una situazione del tutto inedita, almeno per gli standard della serie. Il palcoscenico è l’esotico arcipelago di Auroa nel sud dell’Oceano Pacifico, centro nevralgico delle operazioni della Skell Technology, azienda miliardaria e tentacolare che qui ha stabilito la sua personale Silicon Valley, libera da qualsiasi vincolo giuridico. In questo paradiso in cui le migliori menti del pianeta si
sono riunite per studiare e progettare la tecnologia del futuro che avrebbe dovuto migliorare la qualità di vita dell’uomo però, non tutto è andato come ci si aspettava. Jace Skell, capo della Skell Technology si ritrova prigioniero delle sue stesse creazioni. L’isola di Auroa viene totalmente isolata dal resto del mondo dopo un colpo di stato militare ad opera di Cole D. Walker, ex Ghost interpretato da Jon Bernthal (lo Shane di The Walking Dead). La scoperta della situazione avviene però dopo che una nave della marina americana affonda misteriosamente nelle acque vicine ad Auroa, e la CIA invia una squadra di circa 30 Ghost ad indagare. Purtroppo anche questa spedizione non va per il meglio: gli elicotteri che trasportavano gli agenti vengono abbattuti da qualcosa di praticamente invisibile non appena entrano nello spazio aereo dell’isola. Adesso sta a chi gioca vestire i panni del Ghost Nomad, uno dei pochi sopravvissuti a questo attacco, per scoprire la verità dietro al tradimento di Walker e sventare una potenziale minaccia per il mondo intero. Con queste premesse Ghost Recon Breakpoint è pronto a offrire ore e ore di gioco fra sparatorie, agguati, inseguimenti e molto altro ancora di cui a breve andremo a parlarvi. Fin dalle primissime battute di gioco è possibile notare alcune importanti differenze che rendono Breakpoint sostanzialmente molto diverso dal precedente capitolo. La prima cosa che inevitabilmente salta all’occhio è la posizione della telecamera alle spalle del protagonista, percettibilmente più vicina rispetto al passato. Questa scelta rende l’avventura di Nomad più personale, intima, anche perché Ghost Recon Breakpoint affida il sostentamento e la sopravvivenza del Ghost come mai la serie aveva fatto in passato. Gli elementi survival di cui parleremo in seguito rappresentano una graditissima novità, così come il rinnovato
sistema delle armi che avvicina questo capitolo a un looter shooter, per non parlare dell’assenza dei compagni di squadra gestiti dal computer, che tra polemiche e ripensamenti non sono in ogni caso presenti in questa nuova avventura. Tutte queste novità sul fronte del gameplay non vanno a intaccare la limpidezza dell’infrastruttura di gioco, molto coerente con quanto già visto in Wildlands nel 2017. La nuova fatica di Ubisoft Paris non è altro che uno sparatutto in terza persona con elementi tattici, dotato di un sistema di coperture fluido e non legato alla pressione di un tasto, che può essere giocato dall’inizio alla fine da soli o in compagnia di altri tre amici. Come fu per il capitolo precedente, anche in Ghost Recon Breakpoint l’elemento di gameplay principale è rappresentato sempre dalla minuziosa pianificazione e dallo svolgimento degli attacchi agli avamposti controllati dai Lupi e dai contractor della Sentinel, che punteggiano le 21 provincie in cui si divide Auroa. La fase preparatoria che precede un assalto vede ancora come protagonista indiscusso il drone da ricognizione, che può identificare e marcare i nemici che sono segnalati sulla mappa con un generico alone rosso. In queste fasi l’HUD diventa un preziosissimo alleato, con cui tenere d’occhio la posizione dei soldati ostili e le informazioni su armi e attrezzature. Anche se l’uso della forza bruta è sempre un’opzione, la prassi largamente riconosciuta nel franchise Ghost Recon prevede che i giocatori operino in religioso silenzio, ed è proprio in queste situazioni che il gioco dà il suo meglio. Questo risultato viene raggiunto in larga parte grazie al lavoro svolto sul gunplay, che si presenta all’appuntamento con la recensione in gran forma e privo di sbavature. Complici alcune animazioni che ricalcano i movimenti tipici delle forze speciali, ripulire soldato dopo soldato un
accampamento nemico è l’attività più piacevole che Ghost Recon Breakpoint possa offrire, specialmente se ci troviamo in squadra con altri giocatori. Se da un lato i nemici non sono adeguatamente caratterizzati, una grossa variabile di gameplay è costituita dalla massiccia presenza dei droni, chimere tecnologiche costruite dalla Skell Technology e che popolano il gioco in tanti modelli diversi. Oltre a droni di piccole e medie dimensioni, in alcune località dell’arcipelago si nascondono i Behemoth, le macchine più letali mai realizzate dalla compagnia, messe a difesa di tesori inestimabili. Affrontarli sarà molto impegnativo, esaltante, ma soprattutto anche molto appagante. Parlando della componente survival in questo Ghost Recon Breakpoint, la prima, nonché più importante delle novità risiede nella rinnovata gestione della salute di Nomad. Il protagonista infatti durante il combattimento può subire degli infortuni di tre diverse entità, che limiteranno progressivamente la capacità operativa sul campo del protagonista. Per riprendersi da questi ferimenti, che riducono in via definitiva la barra della salute, saremo costretti a metterci al riparo per bendarci e curarci, un’operazione che dura momenti interminabili quando si è sotto il fuoco nemico. Ad avere un impatto sull’esito dei combattimenti è anche la stamina, che può velocemente esaurirsi correndo e saltando da un riparo all’altro. Non è una buona idea trovarsi senza resistenza nel bel mezzo di uno scontro a fuoco, soprattutto quando si ha a che fare con terreni scoscesi, e questo aspetto, in concomitanza con l’introduzione degli infortuni, evolve secondo noi di tantissimo le fondamenta del gameplay della serie. L’idea che Nomad abbia debolezze e vulnerabilità intensifica
la percezione d’immersione, convincendoci di avere tra le mani la sopravvivenza di un vero soldato in un ambiente ostile e pericoloso. Le dinamiche survival di Ghost Recon Breakpoint orbitano poi attorno ai bivacchi, i piccoli accampanti disseminati per Auroa che i giocatori possono utilizzare per rifocillarsi, prepararsi e armarsi, ma anche e soprattutto per servirsi del viaggio rapido attraverso le diverse località dell’arcipelago. Raggiungendo un bivacco si ha la possibilità di richiamare un veicolo, di consultare il negozio delle armi e delle attrezzature, ma anche di dedicare del tempo a una delle sei diverse attività che offrono buff consistenti alle statistiche di Nomad. Ad esempio, mangiare aumenta la resistenza agli infortuni e idratarsi fornisce un bonus alla stamina, mentre fare stretching garantisce più resistenza. Controllare armi e droni migliora le performance di entrambi, oppure è sempre possibile optare per un bonus all’ottenimento di punti esperienza con il quale livellare più velocemente. Altra grande novità proposta in questo Ghost Recon Breakpoint è rappresentata dalle classi, ossia ruoli che ricalcano quelli che ognuno finisce con l’interpretare sul campo di battaglia. Le classi sono quattro, Medico da Campo, Assalto, Pantera e Tiratore, e danno accesso ad una serie di abilità e perk specifici che aiutano a rendere significativamente più variegato il gameplay di squadra. Ciascuna classe mette a disposizione un’abilità e un gadget unici, che nella classe Medico sono naturalmente orientati al curare i compagni, in quella Assalto a ridurre i danni subiti e a rendere più letale il Soldato, in quella Pantera a essere più furtivi e in quella Tiratore a visualizzare e a eliminare con più efficacia i nemici distanti. Completando una serie di compiti sarà inoltre possibile livellare una classe per sbloccare perk aggiuntivi, aspetto che favorisce l’immedesimazione del giocatore nel suo ruolo. Naturalmente, tanto in PvE quanto in PvP si potrà passare in
ogni momento da una classe all’altra, senza subire penalizzazioni di sorta. Insomma, scegliere quella adatta al proprio stile di gioco sarà uno dei piaceri offerti da Ghost Recon Breakpoint, che sotto questo aspetto riesce a offrire una nuova meccanica dall’indiscusso fascino. Oltre al leveling delle classi, il giocatore può scalare ben 30 livelli ottenendo di volta in volta punti abilità, che possono essere investiti sui rami di un albero delle abilità non dissimile da quello di Wildlands ma molto, molto più folto, composto da oltre 50 perk attivi e passivi con cui personalizzare ulteriormente le abilità di Nomad sul campo di battaglia. Il titolo di Ubisoft può anche essere definito un vero e proprio loot shooter, infatti, tra le infinite influenze che hanno caratterizzato lo sviluppo di Ghost Recon Breakpoint è evidente la volontà della casa francese nel riprendere alcune caratteristiche dal suo The Division. Infatti l’isola di Auroa è letteralmente disseminata di casse tramite le quali ottenere equipaggiamenti di ogni tipo. Il livello di combattimento di Nomad viene definito dalla qualità del suo equipaggiamento, per cui è sempre una buona idea cercare di aprire più casse possibile nella speranza di trovare qualche arma, cappello, guanti e così via con statistiche migliori e magari qualche bonus passivo per essere sempre pronti ad affrontare nemici sempre più impegnativi… più o meno. Qui infatti Ubisoft non sembra aver bilanciato benissimo il tutto, e la differenza tra armi che nella realtà hanno potenze di fuoco anche molto diverse è abbastanza minima, quasi da non giustificare l’impegno nell’esplorare e magari rischiare di essere scoperti pur di raggiungere una cassa; ben presto la voglia di cercare loot viene meno e ci si limita a raccogliere solo le casse che si trovano sul proprio cammino, senza impegnarsi più di tanto nella ricerca.
Interessante invece è il level system armi/equipaggimento. Esso è calcolato sulla media aritmetica dei valori di armi e vestiti inseriti negli 8 slot disponibili, e condiziona l’efficacia del protagonista quando affronta i nemici, anche loro dotati di livello. I modificatori ai danni inflitti e ricevuti dipendono in larga parte dalla difficoltà selezionata tra le quattro a disposizione (Arcade, Regolare, Avanzata ed Estrema), c’è da dire però che anche ad Arcade non sarà possibile caricare a testa bassa un gruppo di nemici, quindi, livello e difficoltà selezionata non salveranno il giocatore da azioni avventate o sciocche. Per non nuocere al realismo, caratteristica centrale dell’intera serie, Ubisoft Paris ha scelto di applicare questa nuova filosofia del Livello Attrezzatura con alcune limitazioni, per evitare quel fastidioso effetto “bullet sponge” che spesso è una peculiarità di moltissimi looter shooter. In tal senso ogni nemico, anche i membri dei Lupi che sono di livello 150 o più, verranno abbattuti da un singolo colpo alla testa, quindi esiste la concreta possibilità di affrontare un loro accampamento senza i requisiti adeguati. In Ghost Recon Breakpoint è stato rivoluzionato anche il processo che porta all’ottenimento delle armi, che possono essere acquistate dal negozio, trovate nelle casse nascoste nei punti di interesse di Auroa o ricevute come drop casuale dai nemici uccisi. Dal momento che è proprio attraverso i drop che Nomad sale di Livello Attrezzatura, capiterà spesso di dover aggiornare il proprio setup e utilizzare un vasto numero di bocche di fuoco, che si dividono tra fucili d’assalto, mitragliette, fucili a pompa, mitragliatrici leggere, fucili di precisione, DMR e pistole. Nel corso dell’avventura, non sarà tuttavia necessario affidarsi sempre al caso per giocare con la propria arma preferita, poiché nascosti nel mondo di gioco sono nascosti i progetti relativi a ognuna di esse, che una volta ottenuti offrono la possibilità di “forgiare” il fucile al Livello Attrezzatura corrente.
Questa funzione è utile inoltre per sorteggiare nuovamente le statistiche di un’arma: ognuna ha caratteristiche prestabilite, ma gode di due bonus casuali che sono determinati dalla rarità con cui viene ottenuta. Come ogni titolo di questo tipo, anche Ghost Recon Breakpoint offre i fantomatici livelli di rarità di ogni oggetto. Esistono cinque livelli di rarità, e proprio per questo può essere utile di tanto in tanto cercare di riottenere un fucile con statistiche migliorate, specialmente nella fase di endgame. Ovviamente non manca il Gunsmith, ossia la sezione del menù dedicata alla personalizzazione delle armi. Le bocche di fuoco possono infatti montare una moltitudine impressionante di accessori ed essere colorante in ogni singola parte con tantissime mimetiche. Tutte le armi, in ottica endgame, possono essere inoltre potenziate attraverso tre livelli di qualità, che vengono preservati quando si scarta e si riceve nuovamente lo stesso fucile. Insomma, Ghost Recon Breakpoint è un titolo davvero molto complesso anche per quanto riguarda la sezione “equipaggiamento e armi”. Se vi state chiedendo, ma Quanto dura questo Ghost Recon Breakpoint? La risposta è: solo la campagn principale, circa una 25ina di ore. Sempre in base poi a che difficoltà si gioca. A contorno delle 28 quest che compongono la storia principale ci sono tantissime missioni secondarie, la maggior parte di esse collegate alle due fazioni dell’isola (Coloni ed Esclusi) che nel corso del supporto post-lancio si evolveranno con nuovi spunti narrativi. L’unico elemento che riesce a spezzare la monotonia delle missioni è il taglio investigativo che lo studio parigino ha voluto applicare alla maggior parte delle attività, che impone al giocatore di trovare
indizi, prove e testimonianze che lo possano portare alla prossima fase della missione. Nel menù principale è addirittura presente una sezione dedicata alla soluzione dei grandi misteri di Auroa, che possono essere risolti scovando collezionabili e altri indizi nel vasto mondo di gioco di Ghost Recon Breakpoint. Ma non finisce qui, infatti il titolo di Ubisoft offre anche una modalità Multigiocatore PvP chiamata Ghost War. Questa al momento non include moltissimi contenuti con due sole modalità (deatmatch a squadre e cerca e distruggi) e sei mappe, ma sarà espansa nel corso delle settimane e senza dubbio sa offrire spunti interessanti. La nota positiva è che si può finalmente partecipare alle partite online con il proprio avatar del PvE, che riceverà oggetti e armi dal multigiocatore in un sistema di progressione condivisa che era fondamentale per legare indissolubilmente le due esperienze. Le partite coinvolgono due squadre da quattro Ghost ciascuna, che cominciano il match agli antipodi di mappe molto grandi che favoriscono almeno in questa prima fase i cecchini e i tiratori dalla distanza. Caricare a testa bassa potrà comunque essere molto remunerativo, poiché risorse come medikit e batterie per il drone possono essere trovate solo all’interno degli edifici che solitamente sono al centro dell’ambientazione. Insomma, Ghost Recon Breakpoint è un gioco davvero pieno di
cose da fare e che per venire alla noia ci metterà davvero molto tempo. A livello grafico/estetico, il gioco naviga fra alti e bassi. Il colpo d’occhio generale è tutto sommato buono, ma spesso ci sono momenti in cui si resta quasi a bocca aperta per lo stupore e altri in cui invece si storce il naso davanti a modelli fin troppo legnosi e con pochi dettagli, a volte anche nel corso delle stesse cut-scene. Sembra quasi che ci siano problemi di caricamento delle texture (fortunatamente su Xbox One X questo fenomeno è marginale e la situazione migliora notevolmente rispetto a una S). A questo poi si uniscono anche numerosi bug grafici che, se possono essere perdonati in un open world così vasto, in alcune occasioni hanno compromesso la mia esperienza di gioco come la selezione rapida degli oggetti che ogni tanto decide di non funzionare o personaggi chiave con cui parlare che spariscono misteriosamente, bloccando così la missione e costringendo al riavvio. Buono invece il frame-rate, che si è sempre mantenuto stabile a 30 fps, mentre su Xbox One X è possibile anche scegliere tra due modalità che si concentrano di più sulla grafica o sulla fluidità. A livello audio il videogame offre un ottimo doppiaggio in lingua italiana e sia dal punto di vista degli effetti sonori che delle musiche il risultato è davvero stupefacente. Insomma, tirando le somme, nella speranza che con il passare dei giorni Ubisoft rilasci qualche patch correttiva per i sopracitati bug, Ghost Recon
Breakpoint risulta essere uno dei titoli migliori del momento: lungo, avvincente ed estremamente divertente. A nostro avviso lasciarselo sfuggire potrebbe essere un vero errore. GIUDIZIO GLOBALE: Grafica: 8,5 Sonoro: 9,5 Gameplay: 9 Longevità: 9 VOTO FINALE: 9 Francesco Pellegrino Lise Emoji, in arrivo 168 nuove “faccine”
Sono ben 168 le nuove emoji che si preparano a popolare le tastiere dei nostri smartphone. L’Unicode Consortium ha annunciato la versione 12.1 del suo standard per caratteri digitali che, come noto, include anche le celebri faccine. Le emoji sono diventate così importanti nella nostra vita da rappresentare la lingua più parlata al mondo, nonché un mezzo per descrivere il nostro stato d’animo utilizzando una semplice segno grafico. Attualmente nel mondo sono oltre due miliardi le persone che utilizzano le faccine per comunicare.
Del resto, una emoji è molto più semplice da capire e permette a coloro che non parlano la stessa lingua di intendersi a vicenda. L’ultimo aggiornamento delle emoji risale allo scorso luglio quando, in occasione del World Emoji Day, era stato annunciato l’arrivo di nuove faccine dedicate all’inclusività e alle diversità. Tra queste sono comparsi cani guida, protesi per gli arti e sedie a rotelle, nonché un maggior numero di emoticon dedicate alle etnie e ai diversi generi sessuali. Per ora non è stata annunciata una data ufficiale del rilascio delle nuove emoji versione 12.1, ma è normale supporre che le nuove faccine verranno introdotte durante le prossime settimane attraverso un aggiornamento di sistema sia su smartphone Android sia su iOS. Come dichiarato dall’Unicode Consortium, i nuovi emoji non sono poi così “nuovi”. Per lo più si tratta di variazioni applicate alle emoji già presenti. In particolare, 138 sono state ideate per rappresentare le persone senza però indicarne il genere, mentre le restanti 30 raffigurano una combinazione tra le faccine esistenti caratterizzate da una diversa tonalità della pelle che si tengono per mano. Sono solo 26 le emoji inedite che rappresentano diversi tipi di persone con diversi stili di acconciatura. Sono state inserite persone calve, ricce, insegnanti studenti cuochi, meccanici, giudici, agricoltori, cantanti e altro ancora. Tutte le versioni, naturalmente, comprendono entrambe i sessi. Insomma, le emoji sono pronte a rinnovarsi per stare al passo coi tempi e ad accompagnarci ogni giorno in tutte le nostre conversazioni. F.P.L.
GRID, si torna in pista con la serie racing di Codemasters Dopo 11 anni di assenza Codemasters torna a calcare le competizioni automobilistiche a ruote coperte con il ritorno dell’attesissimo GRID. Sarà riuscita la software house Britannica a ricreare quel mix di gare spettacolari e immediatezza che tanti giocatori aveva conquistato nella scorsa generazione? Secondo noi sembra proprio di si, quindi sia che giochiate su Pc, che su Xbox One che su PS4, ma soprattutto se cercate un racing game che vi faccia provare le stesse emozioni del pasato, GRID è quello che state cercando. Ma andiamo subito a scoprire il perché. Una volta avviato il gioco, il menu principale offre subito tre modalità: la Carriera, la Gara Veloce e il comparto Multigiocatore.
Naturalmente il fulcro del gioco è rappresentato dalla Carriera, che abbandona completamente l’impostazione cinematografica del primo episodio o quella manageriale del successivo, mettendo sul piatto la classica serie di gare e campionati senza alcuno spazio per divagazioni di qualsiasi altro genere. Abbiamo quindi a disposizione sei Categorie caratterizzate principalmente dal tipo di vetture coinvolte, ognuna composta da più campionati che si possono affrontare a piacimento. Per accedere ai campionati successivi, naturalmente, è necessario ottenere buoni piazzamenti e, una volta vinti almeno 10 campionati di una singola categoria, si potrà accedere agli Showdown finali che, a loro volta, dopo averne vinti quattro dei sei disponibili, daranno accesso alle GRID World Series. All’inizio di ogni gara si ha la possibilità di effettuare le Qualifiche Rapide, evento opzionale che decreterà la nostra posizione in griglia e che, se non affrontato, relegherà la vettura del giocatore in ultima posizione. Aspetto non di poco conto, vista la brevità che coinvolge tutte le gare che il gioco propone e che difficilmente si spingeranno oltre i 5 minuti di durata. Nella carriera si hanno a disposizione tre tipi diversi di gare: la corsa tradizionale dove conta il piazzamento finale, quella da punto a punto su uno dei pochi circuiti lineari presenti e i Time Attack, che sono identici alle gare tradizionali ma che decreteranno il vincitore solo ed unicamente in base al tempo sul giro, ignorando il piazzamento nonostante la contemporanea presenza degli altri piloti in circuito. Naturalmente vincendo gare si possono ottenere crediti necessari all’acquisto di nuove vetture che bisognerà utilizzare nei campionati successivi, ma oltre a questi si ricevono anche punti esperienza che serviranno per salire di livello dando accesso a nuove livree, oppure a nuovi stemmi e
sfondi che ci permettono di personalizzare il profilo pilota e anche a nuovi compagni di team che si possono ingaggiare nella propria squadra. Uno degli aspetti peculiari di questo GRID è inoltre la possibilità di impartire ordini di squadra al compagno di scuderia tramite l’utilizzo della croce direzionale. Ad esempio si può chiedere all’ingegnere di pista di dire al compagno di team di attaccare chi gli sta davanti o di mantenere la propria posizione. In GRID la Carriera inizia con un breve prologo/tutorial che mette il giocatore alla guida di tre diverse auto in altrettanti eventi nel tentativo di raggiungere il miglior piazzamento entro pochi giri e qui la guidabilità, le scarse differenze tra le tre tipologie di auto coinvolte, le “combo” delle manovre in gara piazzate in sovraimpressione in mezzo allo schermo ed il commento molto marcato denotano come la serie sia passata con questo episodio ad abbracciare completamente la filosofia arcade, abbandonando ogni velleità simulativa senza troppi pensieri. Lo stile di guida è molto uniforme anche con vetture completamente diverse, ignorando parametri fondamentali come la trazione o anche banalmente il peso delle auto, che si rivelano tutte agilissime e con una rapportatura cortissima tanto da portare ad affrontare curve, che normalmente si dovrebbero affrontare in seconda, anche in quarta. Discorso analogo anche per il sound dei motori che si rivela molto simile tra i diversi veicoli, anche quando invece dovrebbe avere differenze sostanziali a seconda del tipo di motore utilizzato. Insomma, GRID non è un simulatore di guida, sia ben chiaro, ma un divertentissimo quanto scatenato arcade automobilistico puro. Passiamo ora però all’aspetto cardine del gameplay, ovvero la guida e il concept delle gare. Innanzitutto si corre sempre e solo su tracciati. Niente strade aperte e lunghe traversate. I
circuiti sono misti tra reali come Brands Hatch, Indianapolis, Sepang o Laguna Seca, e cittadini come Barcellona e San Francisco, per un totale di 13 tracciati che danno vita a 80 diverse variazioni, un numero davvero buono. Su pista corrono fino a un massimo di 16 vetture contemporaneamente, con tante auto che si sfidano contemporaneamente in circuiti stretti, è facilissimo che si verifichino spettacolari incidenti, specialmente alle prime curve. GRID, proprio come il titolo di cui è il reboot, implementa un sistema di danni avanzato che coinvolge non solo l’estetica ma anche la fisica, con danni alla meccanica che possono comportare anche il ritiro dalla gara. GRID però, come abbiamo detto, fa dell’accessibilità uno dei suoi cavalli di battaglia, e perciò ci sono diversi livelli di difficoltà che modificano profondamente lo stile di guida. Il livello medio preimpostato è tarato per i novizi, con traiettorie dinamiche, freno e accelerazione assistita, cambio automatico, assenza di danni fatali e possibilità di rewind in caso di errori grossolani. Tarato così, il risultato è molto abbordabile. In parole povere, è facile vincere le gare di un paio di giri anche partendo dall’ultima posizione e senza eseguire le qualifiche. Diverso è il discorso se si imposta il massimo livello di difficoltà, con tutti gli aiuti disattivati, assenza di rewind, e danni meccanici e fatali attivi. In questo caso è necessario lottare a ogni curva, facendo
attenzione a non impattare su avversari e muretti. Anche un minimo contatto in curva può provocare un testacoda, compromettendo quasi sicuramente la gara. In più, senza le traiettorie dinamiche che indicano anche la velocità consigliata, diventa tassativo conoscere a menadito i tracciati se si vuole sperare di arrivare sul podio. Ai livelli più alti di difficoltà, anche gli avversari diventano più aggressivi e hanno la propria personalità grazie a un’IA avanzata; in più reagiscono allo stile di guida di chi sta dinanzi lo schermo fino a decidere di innescare dei veri e propri duelli, diventando così la nemesi del pilota. Giocando senza gli aiuti GRID diventa dunque più realistico, ma il suo DNA rimane sempre arcade. Tecnicamente parlando GRID utilizza il celebre Ego Engine di Codemasters che, sebbene riesca ancora ad offrire un discreto colpo d’occhio ed una buona fluidità specialmente su Xbox One X, comincia a mostrare il peso degli anni. I modelli delle vetture sono buoni, forti anche di un discreto sistema di danni che ne influenza le prestazioni e che potrà portare ad una fine prematura della gara dopo aver subito dei danni irreversibili, ma sono assenti tocchi di classe o cura certosina nei dettagli degli interni come invece possiedono i titoli più famosi del genere automobilistico. Discorso analogo anche per quel che riguarda la
realizzazione dei circuiti, infatti, il motore grafico fa il suo dovere senza però mai spingersi al massimo sebbene l’orizzonte visivo e gli effetti meteo come i riflessi delle fonti di luce o la pioggia riescano ad offrire un quadro globale più che discreto. Parlando del comparto multigiocatore, esso non offre particolari spunti, offrendo solo la possibilità di effettuare una gara veloce o quello di creare una partita privata. Carina l’idea di creare una sala d’attesa ambientata in un circuito ad 8 in cui sfidarsi in un rapido Destruction Derby prima dell’inizio della gara vera e propria. Peccato che la scarsa popolazione dei server fa si che spesso e volentieri le gare siano miste fra piloti controllati dalla I.A. e persone vere. Tirando le somme, questo GRID, nonostante i suoi limiti, è un prodotto per chi cerca un prodotto meno simulativo e più arcade, con una grafica buona, che mostri i danni ad ogni collisione e che possa far passare qualche ora di divertimento. Se tutto quel che si vuole è quanto detto allora il titolo di Codemasters è quello che fa per voi. Se invece si cerca qualcosa di più simulativo è meglio navigare verso altri lidi. GIUDIZIO GLOBALE: Grafica: 8 Sonoro: 8
Gameplay: 8,5 Longevità: 7,5 VOTO FINALE: 8 Francesco Pellegrino Lise Surface Laptop 3 e Pro 7 arrivano negli store italiani Dopo il lancio dello scorso 2 ottobre, Microsoft annuncia la disponibilità in tutt’Italia di Surface Laptop 3, acquistabile nei formati da 13,5 pollici, da 15 pollici, e di Surface Pro 7. I nuovi device, nati dall’evoluzione dei due modelli precedenti per offrire all’utente una maggiore potenza e
un’esperienza d’uso senza precedenti, vanno ad ampliare la famiglia dei dispositivi targati Surface, la linea di Microsoft sinonimo di eccellenza, qualità e design. Perfetta combinazione tra potenza ed eleganza, Surface Laptop 3, disponibile in entrambe le sue varianti, si propone come il laptop perfetto per ogni giorno, è due volte più veloce e garantisce un’autonomia che consente di utilizzare il dispositivo per l’intera giornata lavorativa. Entrambi i formati sono dotati sia della porta USB-A sia di quella USB-C e supportano un processore Intel Core di decima generazione. In più, per chi desidera prestazioni grafiche senza precedenti, Surface Laptop 3 da 15’’, garantisce performance grafiche migliorate grazie al nuovo processore AMD Ryzen Surface Edition presente nella versione Consumer. Surface Laptop 3 è disponibile anche nell’elegante colorazione Black, arriva sul mercato a partire da 1.169€ per il 13 pollici e 1.399€ per il 15 pollici. E’ disponibile per l’acquisto anche il nuovo Surface Pro 7, device perfetto per chi non vuole rinunciare al comfort e alla versatilità di un 2-in-1. Pro 7, che include il processore Intel Core di decima generazione e integra sia la porta USB-A sia quella USB-C, garantisce una velocità due volte maggiore rispetto al modello precedente. Surface Pro 7 è disponibile a partire dal prezzo consigliato di 919€. Al fianco delle configurazioni Consumer, la linea Surface propone Laptop 3 e Pro 7 anche nella versione commerciale, sfoggiando feature studiate appositamente per le esigenze aziendali, come ad esempio l’inclusione di Windows 10 Pro, Advanced Exchange Service 10 senza costi aggiuntivi e il supporto per Windows Autopilot. Le aziende che desiderano ampliare il proprio parco macchine e scegliere il meglio della tecnologia per incrementare la produttività, possono acquistare Surface Laptop 3 da 13,5 pollici e da 15 pollici sul Microsoft Store e presso i rivenditori autorizzati rispettivamente a partire da 1.269€ e 1.499€, e Surface Pro 7
a partire da 1.019€. Francesco Pellegrino Lise Ombre dal Profondo, il lato oscuro della Luna apre l’anno 3 di Destiny 2 Con Ombre dal Profondo, uscito il primo ottobre su Pc, Xbox One e Ps4, prende il via l’anno 3 di Destiny 2. Con questa nuova espansione finalmente lo sparatutto Sci-Fi targato Bungie sembra aver preso la giusta direzione e di seguito vi spiegheremo per filo e per segno tutto quello che c’è da sapere. Prima di esaminare le novità introdotte per questo terzo anno, però, è bene ricordare che il 2019 è stato un anno turbolento in casa Bungie, tra la scissione con Activision e l’acquisizione della totale indipendenza, si sono spalancate
le porte a molteplici possibili scenari. Scenari che hanno portato a grosse novità. Destiny 2, infatti, è diventato ufficialmente free to play e per i giocatori pc è approdato su Steam. Ovviamente la versione gratuita è quella base (qui la nostra recensione) che comprende il primo anno di contenuti, e sebbene questa scelta potrebbe sembrare soltanto la naturale adozione di un modello di business differente, rappresenta in realtà una vera e propria presa di posizione sul prodotto attualmente in commercio. Tale decisione fa presumere l’intenzione da parte della software house statunitense di continuare a supportare il brand senza saltare subito, come molti temevano, a un terzo capitolo. Con Ombre dal Profondo, Bungie non offre solo nuovi contenuti e mappe ma un nuovo modo di giocare a Destiny 2 modificando le dinamiche che hanno caratterizzato The Forsaken (qui la nostra recensione) e migliorando il tutto. Questo nuovo dlc riporta i giocatori sulla Luna, quindi per chi è un fan di vecchia data sarà un vero e proprio ritorno alle origini, mentre per i nuovi giocatori ci sarà davvero tanto da esplorare e fare. La Luna in versione Destiny 2 è una Luna molto simile ma nello stesso tempo differente rispetto a quella esplorata nel titolo originale. Un’intensa attività sismica ha attirato l’attenzione dell’Avanguardia e ovviamente il protagonista viene chiamato ad indagare sulla presenza dell’Alveare e delle inquietanti presenze dell’Oscurità che hanno invaso nuovamente il satellite della Terra. L’Alveare ha iniziato a diffondersi su tutta la superficie e oltre, costruendo l’imponente e inquietante Fortezza Scarlatta. In Ombre dal Profondo fa il suo ritorno anche Eris Morn, la misteriosa cacciatrice che ha osservato i movimenti dell’Alveare sin dalla morte di Oryx, il re dei
corrotti. Eris, che ha la funzione di Npc della nuova area di gioco, mostrerà una piramide nera sepolta sotto la superficie della Luna che sembra generare una forte Oscurità per contrastare la Luce del Viaggiatore. Lo scopo dei guardiani in Ombre dal Profondo sarà quindi quello di scoprire i misteri della piramide e penetrare al suo interno per svelare cosa si celi dietro alle inquietanti presenze generate dall’Oscurità. La lore introdotta con il nuovo DLC ci è sembrata interessante e ben realizzata. Bungie ha chiaramente puntato sull’effetto nostalgia dei giocatori di vecchia data, riuscendo chiaramente nell’intento. Il ritorno di vecchie ambientazioni e personaggi si incastra perfettamente con le novità introdotte, accontentando sia i veterani che i neo giocatori. La “nuova” area è ricca di dettagli e ambientazioni fantastiche che arricchiscono il già ampio universo di Destiny 2. Le missioni della storia sono ben equilibrate e si amalgamano davvero bene con le attività sia vecchie che nuove. Assalti, Cala La Notte, Azzardo, Serraglio, Crogiolo e Stendardo di Ferro vengono affiancati dalle cacce agli incubi, le Invasioni Vex e il raid introdotto da una decina di giorni. Insomma il tutto sembra funzionare bene. Se a questo si affianca un nuovo livello di luce da raggiungere, nuove caratteristiche e statistiche per le armature e l’introduzione di un artefatto stagionale che offre vari bonus, il tutto si traduce in
moltissime ore di gioco extra. Se proprio si vuole trovare un difetto in Ombre dal profondo, esso è la miriade di cose che settimanalmente si devono fare per progredire in maniera seria con uno o più personaggi. Durante il passaggio tra il primo al secondo capito di Destiny, la sensazione era che il target a cui volesse rivolgersi fosse cambiato, con l’intenzione di aprirsi a un bacino di utenza più occasionale, a discapito dei player più hardcore che in realtà spendevano tempi di gioco maggiore tra i mondi del sistema solare. Inutile dire, i risultati di questa scelta si sono visti e I Rinnegati è stato soltanto il primo passo nel tentativo di cambiare rotta. Con Ombre dal Profondo, questa inversione di tendenza si potrebbe dire completata e Bungie sembra avere come primo obbiettivo, quello di dare maggiore profondità alle dinamiche che regolano la giocabilità. La prima grande novità di Ombre dal Profondo riguarda le armature, aggiornate ora alla loro versione 2.0. Queste adesso hanno ben sei statistiche, ovvero mobilità, resilienza, recupero, intelletto, disciplina e forza, e ogni singolo pezzo fornisce casualmente ognuna di queste sei caratteristiche. Inoltre, ogni pezzo potrà essere potenziato fino al livello di energia 10, che rappresenta sostanzialmente il numero di punti spendibili nelle modifiche equipaggiabili. Perché sì, i pezzi di armatura non hanno più perk casuali, ma
solo spazi per le mod. Queste sono ottenibili dai giocatori semplicemente giocando, tra drop casuali e ricompense e sbloccabili in maniera permanente. Vien da sé come la personalizzazione del proprio equipaggiamento e delle proprie build acquisisca quindi una profondità notevolmente superiore che non in passato, dando piena libertà ai giocatori di sperimentare a proprio piacimento, a patto naturalmente di aver ottenuto o acquistato le mod necessarie. La novità più interessante di Ombre dal Profondo però è senza dubbio il manufatto, da non confondersi con gli artefatti visti in precedenza nel terzo anno del primo Destiny con i Signori del Ferro. Questo, piano piano che si potenzierà, consentirà di spendere i suoi punti per sbloccare modifiche uniche, da utilizzarsi poi nelle proprie armi e armature. Queste mod varieranno da quelle più semplici, che costano un semplice punto energia delle armature, a quelle più efficaci, dal costo che raggiunge persino le 7 unità, ma dagli effetti considerevoli o dedicati solo al raid. Una volta potenziato al massimo, l’esperienza che viene guadagnata lo farà livellare ulteriormente, dando ai guardiani livelli di potere bonus, che andranno a sommarsi al livello luce del personaggio. Sebbene questi valori aggiuntivi non si rifletteranno nel potere delle ricompense, virtualmente il livello totale del guardiano potrà ora aumentare all’infinito. C’è da sottolineare una cosa
importante però: questi manufatti sono definiti stagionali, perché dureranno soltanto il tempo della stagione in corso. Quindi una volta che si darà il via alla nuova stagione, cambiando l’artefatto, si perderanno tutti i bonus e i punti luce extra ottenuti e si dovrà livellare di nuovo per guadagnare i benefici che saranno disponibili. Tale escamotage rende Ombre dal Profondo un gioco vivo e che per essere goduto pienamente avrà bisogno di essere giocato per moltissime ore. Per quanto riguarda la nuova area di gioco offerta da Ombre dal Profondo, la Luna, essa è stata integrata perfettamente, ricostruendo fedelmente tutte le aree esterne e gran parte di quelle sotterranee, con le dovute modifiche causate dall’attività dell’alveare e con il dettaglio naturalmente aumentato. Ma non è tutto qui, sono state aggiunte anche un buon quantitativo di nuove aree, come il Porto del Tormento, o tutti i claustrofobici tunnel sotto la Fortezza Scarlatta, molto ben caratterizzati, costruiti in puro stile alveare, amalgamati perfettamente alle vecchie aree e senza dare quella spiacevole sensazione di distacco tra vecchio e nuovo, e soprattutto sono sufficienti a giustificare la re-introduzione della Luna. Se la location però viene promossa a pieni voti, un discorso analogo non si può certamente fare per la campagna principale, che ha come quasi unico risultato quello di lasciare una strana sensazione. Ovviamente ogni stagione,
differentemente da quanto visto in The Forsaken, offrirà un pezzo di storia in più, però la storia raccontata è veramente troppo breve. Era chiaro fin dai primi trailer rilasciati in estate che gli eventi narrati in Destiny 2 fino al lancio di Ombre dal Profondo avrebbero portato i guardiani ad affrontare, alcune delle peggiori minacce che si sono dovute fronteggiare negli ultimi cinque anni, da Crota fino a Ghaul, e a onor del vero Bungie non ha nemmeno voluto far passare gli Incubi come una novità: sono quel che sono, degli incubi che ci tormentano, e gran parte della narrazione ruota attorno a questo concetto. Il problema di fondo è che nelle circa 6 ore necessarie a completare la storia principale, composta da missioni principali, secondarie e assalti, si va davvero poco oltre questo concetto, con un finale che lascia si la curiosità, ma a cui si arriva con un climax crescente che chiaramente non genera l’esaltazione sperata, sfociando in una conclusione momentanea che porta inevitabilmente il giocatore a chiedersi “e adesso?”. La sensazione è chiaramente che la narrazione non si concluda lì, e a dirla tutta, Bungie ha fatto esattamente quello che aveva detto che avrebbe fatto, ossia sviluppare la narrazione lungo tutto l’anno, non limitandosi alle sole missioni principali e non soltanto alla stagione attualmente in corso. Fortunatamente però il bello di Destiny è che una volta finita la campagna ha inizio il vero gioco: taglie
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