Risk Adjusted Performance Measurement negli Hedge Funds: Omega, Kappa e AIRAP
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Valutazione Risk Adjusted Performance Measurement negli Hedge Funds: Omega, Kappa e AIRAP di Gabriele Astolfi*, Samuele Marafin** e Francesco Martinelli*** 1. Introduzione La valutazione ex post del rischio e della performance e la loro analisi comparativa, la Risk Adjusted Performance, costituisce un'attività in continua evoluzione nell’Asset Management. Su questo tema, una delle principali tematiche recentemente introdotte è la cosiddetta valutazione universale della performance (universal performance measurement). Di seguito analizziamo diversi indicatori di performance aggiustata per il rischio ex post riferita ai prodotti di gestione alternativa, Hedge Funds. Le tecniche di gestione che caratterizzano questi prodotti li rendono, ai nostri fini, differenti dai prodotti “tradizionali” dell’Asset Management. E’ necessario perciò, prima di presentare i diversi indicatori, fare alcune considerazioni sulla analisi delle serie storiche dei rendimenti negli Hedge Funds. 2. Risk Adjusted Performance nell’asset management tradizionale La valutazione quantitativa di portafoglio presuppone la misurazione del rendimento corretto per il rischio (risk adjusted performance, RAP). Il metodo più semplice e più comunemente usato è quello del confronto tra i rendimenti per i portafogli che manifestano lo stesso profilo di rischio. Quando le distribuzioni dei rendimenti sono normali il classico modello di media-varianza ed il CAPM (Capital Asset Pricing Model) sono validi, pertanto le misure della performance possono essere ricavate direttamente dal modello stesso. Il più conosciuto indicatore di risk adjusted performance nell’asset management tradizionale è l’indice di Sharpe, introdotto da Sharpe nel 1966. Questo indice misura l’eccesso di rendimento medio di un portafoglio, in un dato periodo di tempo, rispetto all’attività risk free per ogni unità di rischio. Esso è definito nel modo seguente: R p, t − R f, t IS = (1) σ ⎛⎜⎜ R ⎞ p, t − R f, t ⎟ ⎟ ⎝ ⎠ dove R p, t rappresenta il rendimento medio del portafoglio nel periodo di tempo t, R f, t il rendimento dell’attività priva di rischio nel periodo di tempo t e σ ⎛⎜ ⎞ ⎟ lo scarto ⎜ R p, t − R f, t ⎟ ⎝ ⎠ quadratico medio dell’eccesso del rendimento, che coincide con lo scarto quadratico medio del portafoglio stesso giacché l’attività di confronto è per definizione priva di rischio. Tale indicatore * Membro Commissione Aiaf-Gips; Risk Management Banco di Desio e della Brianza s.p.a. ** Associato Aiaf dal 2003, Co-responsabile Commissione Aiaf-Gips; Divisione Risk Asset Management Credito Emiliano CRDM. *** Socio Aiaf dal 2001 (Diplomato CEFA), Co-responsabile Commissione Aiaf-Gips; Divisione Risk Management Banca Lombarda, Capitalgest SGR. 6
misura il rendimento in rapporto alla volatilità totale e rappresenta la maggiore renumerazione richiesta dal risparmiatore per affrontare quantità aggiuntive di rischio. Al valore calcolato con questo rapporto si possono associare diverse interpretazioni. Graficamente, ponendosi in un equilibrio di media-varianza, esso è interpretabile come il coefficiente angolare della Capital Market Line (SML) r p = r f + IS σ p , che descrive l’insieme dei punti ottenibili attraverso le diverse combinazioni dell’attività risk free ed il portafoglio rischioso. Alle rette con inclinazione maggiore corrisponde il portafoglio con la combinazione migliore. 2 L’indice di Modigliani e Modigliani M , proposto dai due autori nel 1997, adotta per il calcolo del rendimento la seguente espressione: ( RAP(p) = R p, t − R f, t ∗ ) σb σp + R f, t (2) dove le variabili presenti nella formula hanno lo stesso significato visto in precedenza e σ b indica la 2 deviazione standard del benchmark. M indica quale sarebbe il rendimento conseguibile dal portafoglio se la sua rischiosità fosse uguale a quella del benchmark. Il portafoglio P viene costruito ripartendo le risorse in due attività: una rischiosa, rappresentata da un portafoglio attivo, ed una priva di rischio, rappresentata dai titoli a breve. Se indichiamo con di la frazione di portafoglio da investire (disinvestire) nelle attività di leveraging, incrementata (decrementata) in base al valore del rischio del portafoglio rispetto a quello del benchmark, possiamo riscrivere l’indice RAPM nel seguente modo: ( RAP(p) = R p ⋅ d i + 1 − d i ⋅ R f ) (3) σb dove con d i = abbiamo indicato il peso da investire nell’attività rischiosa, affinché il portafoglio σp manifesti la stesso rischio del portafoglio benchmark. Sostituendo questa espressione nell’espressione precedente si ottiene: σb σ Rp⋅ − Rf ⋅ b + Rf σp σp RAP(p) = = σ b ⎛⎜ σ b ⎞⎟ Rp⋅ + 1− ⋅ Rf σ p ⎜⎝ σ p ⎟⎠ = = ⎛ Rp R ⎞ σb ⎜ ⋅ − f ⎟+ ⎜ σp σp ⎟ R f = ⎝ ⎠ = σb ⋅ IS + Rf = (4) Abbiamo così espresso il rendimento del portafoglio attraverso una trasformazione lineare in termini di IS. Questo lo rende maggiormente intuitivo e quindi di più facile comprensione. La rappresentazione grafica è apparentemente uguale a quella fornita per l’indice IS. La differenza è determinata dal fatto che l’indice di Sharpe prende in considerazione il rischio di portafoglio mentre l’indice RAP quello del benchmark. L’indice M 3 measures prende in considerazione lo scarto quadratico medio del benchmark senza considerare il suo rendimento. Esso non fa, quindi, alcun riferimento al differenziale di rendimento tra il portafoglio e il benchmark, presupponendo un tracking error nullo. Modificando quest’ipotesi siamo di fronte ad una nuova misura di rendimento chiamata M 3 definita come: M3 = μ CAP = α ⋅ R p + β ⋅ R b + (1 − α − β ) ⋅ R f (5) dove la sigla CAP significa Correlation Adjusted Performance. Gli obiettivi degli investitori sono espressi attraverso dei livelli target di TE e di correlazione tra i titoli, che saranno poi confrontati con i livelli effettivi. È quindi possibile definire le seguenti variabili: 7
tTE = target Tracking Error TE = Tracking Error ex-post tC = Correlazione target C = Correlazione ex-post Tra il livello di TE e la correlazione esiste una relazione ricavabile dalla teoria del CAPM che esprime il rendimento medio del portafoglio come μ p = α + β μ b + ε e quindi la sua varianza come 2 σ p2 = β 2 σ b + σ ε2 . Questa può essere anche espressa in termini di coefficiente di correlazione (ρ) come 2 2 = ρ 2 σp ∗ 2 + 2 σp pb 2 σ b σ ε σb Il rischio residuo σ ε2 presente nella precedente espressione è definito come il TE . Attraverso alcuni passaggi algebrici possiamo quindi riscrivere l’espressione precedente come: TE = σ p ⋅ 1 − ξ 2 . pb L’obiettivo è la determinazione dei coefficienti α e β , che esprimono rispettivamente il risultato dell’attività di leverage adeguatamente aggiustata dalla correlazione tra portafoglio e benchmark, ed il differenziale tra correlazione voluta e quella registrata. Applicando le relazioni fin qui esaminate ricaviamo i seguenti parametri: 2 σ (1 − tC) α= b⋅ (6) σp 2 (1 − C ) 2 (1 − tC) β = tC − C ⋅ (7) 2 (1 − C ) Dalle espressioni precedenti si evince che, quando la correlazione tra il rendimento del portafoglio 3 2 e quello del benchmark è nulla, M coincide con M . Con quest’indicatore la correlazione tra portafoglio e benchmark è scomposta nella somma di tre diverse correlazioni: • La prima tra il portafoglio scelto e quello attivo (che si discosta dal benchmark) misurata da α ed a sua volta influenzata dall’attività di leverage. • La seconda tra il portafoglio attivo e quello passivo (che replica il benchmark), in questo caso non c’è influenza da parte dell’attività di bilanciamento dei livelli di rischio poiché si prende in considerazione lo scarto quadratico medio del benchmark che rappresenta l’obiettivo dell’investitore. • L’ultima, tra il portafoglio e l’attività risk free, è una correlazione residua. L’indice Alpha di Jensen è stato proposto nel 1968 dall’economista Michael Jensen, in cui la formula di α trova la sua origine nel modello CAPM: [ α = R P − R f + β P (R m − R f ) ] (8) dove il portafoglio di mercato viene rappresentato dal benchmark che è composto di tutti i titoli disponibili e si suppone efficiente in termini di media-varianza per un investitore non informato. L’indice può quindi essere riscritto proprio come funzione dell’overperformance: α = Rp − E Rp ( ) Possiamo assegnare all’Alpha di Jensen anche un’interpretazione grafica, infatti β indica il ( ) ( ) coefficiente angolare della retta α = R p − R f − β p ⋅ R m − R f mentre α ne rappresenta invece 8
l’intercetta. Esso misura il valore aggiunto del manager alla redditività di portafoglio, così come ricavabile dal CAPM. L’ Information Ratio, conosciuto anche come Appraisal Ratio, è definito dal seguente rapporto: Rp − Rb IR = (9) TEV dove TEV è la Tracking Error Volatility, mentre il numeratore esprime l’excess return mean, definito dalla differenza tra il rendimento medio del portafoglio rispetto al rendimento medio del benchmark, chiamato TEM (Tracking Error Mean). Con questa misura di RAP si sintetizzano, in un unico valore, sia le aspettative di rendimento sia quelle connesse al livello di rischio dell’investimento, permettendo così di evidenziare le capacità del gestore di ottenere una overperformance tenendo sotto controllo il livello di Tracking Error (TE). Può, infatti, essere riscritto come: TEM IR = TEV L’IS misura la performance del fondo in modo assoluto mentre l’IR misura il contributo dell’attività d’asset allocation rispetto al benchmark scelto o in senso relativo. L’indice di Treynor, noto come Reward to Variability Ratio, rapporta l’extrarendimento del portafoglio rispetto all’attività risk free al beta β del portafoglio: TP = ( ) E Rp − Rf (10) βp Esso è molto simile all’indice di Sharpe qualora si prenda in considerazione solo il rischio sistematico, analizzato come contributo marginale al rischio totale1. In effetti, se riprendiamo la ER definizione di IS come dove con ER abbiamo indicato l’extrarendimento del portafoglio σ(ER ) rispetto all’attività risk free, è possibile riscrivere il denominatore dell’espressione precedente come β σ m ottenendo: Tp IS ≈ . σm Esso presenta dei limiti in quanto può essere utilizzato per la valutazione dei soli investimenti azionari poiché beta è l’indicatore di sensibilità del prezzo di un’azione alle variazioni di mercato. È un indice che ipotizza la perfetta diversificazione di portafoglio e quindi presuppone che il rischio specifico sia completamente eliminato. Lo stesso autore, insieme allo studioso Fisher Black, nel 1973 elabora un altro indicatore noto col nome Treynor-Black. Il numeratore di questo nuovo rapporto rimane invariato (α), al denominatore si prende in considerazione il rischio idiosincratico ( σ r ). Tale indicatore di stima (Appraisal Ratio) rapporta l’Alpha di Jensen al rischio specifico, pertanto esso misura l’eccesso di rendimento dovuto all’abilità del manager per unità di rischio diversificabile: αp Ar = σr (11) Tale indicatore è facilmente calcolabile ed interpretabile in quanto richiede la conoscenza di poche informazioni; per di più, ipotizzando una distribuzione normale dei rendimenti e utilizzando lo stesso approccio teorico dei mercati efficienti, permette di evidenziare come il rischio ed il rendimento dovrebbero rapportarsi quando si costruisce un portafoglio di attività. 1 Si ricorda che il rischio sistematico è l’unico che viene remunerato dal mercato. 9
Sviluppiamo la connessione tra gli indici proposti da Treynor con quello proposto da Jensen. La relazione tra T e α è evidenziata dalla seguente formula: rp − rf ( αp + βp ⋅ rb − rf ) Tp = = = βp βp (12) = αp (r − rf + b = αp ) + Tb βp βp βp Confrontando l’indice T del portafoglio e del benchmark, notiamo che il T p batte il Tb se e solo se α>0. 2. Analisi della distribuzione dei rendimenti negli hedge funds Per la formulazione della teoria di portafoglio (e quindi il modello media-varianza) si ipotizza per i rendimenti una distribuzioni normale. Purtroppo la teoria moderna di portafoglio non è applicabile al caso degli hedge funds, in quanto i rendimenti presentano caratteristiche statistiche diverse da quelle menzionate. Le loro distribuzioni, infatti non presentano caratteristiche di normalità e sono interessate da significativi momenti di ordine superiore al secondo: a) il momento terzo centrale che misura la assimmetria della distribuzione. In caso di asimmetria nella distribuzione dei rendimenti la probabilità di perdita è diversa, a parità di importo, dalla probabilità di guadagno. Ciò permette di determinare la probabilità di conseguire rendimenti superiori al valore atteso e la probabilità di sopportare perdite dovute a rendimenti inferiori al valore atteso. La varianza non coglie tale differenza in quanto somma i due tipi di volatilità. Se la media supera la mediana, la distribuzione presenta numerosi valori alti e risulta sbilanciata verso il semiasse positivo delle ascisse producendo una coda a destra. In tal caso si parla di asimmetria positiva. Se la media è inferiore alla mediana, la distribuzione è caratterizzata da numerosi valori bassi e risulta protesa verso il semiasse negativo delle ascisse, producendo una coda a sinistra. L’asimmetria è rappresentata dal terzo momento centrale, denominato indice di Fischer o coefficiente di Skewness, è esprimibile come segue: 3 1 n ⎡ r − E (rt ) ⎤ M = ∑⎢ t 3 ⎥ n t =1 ⎣ σ ⎦ (13) Se M 3 > 0 si ha una distribuzione asimmetrica a destra (positiva); 3 Se M < 0 si ha una distribuzione asimmetrica a sinistra (negativa); b) il momento quarto centrale che misura la curtosi della distribuzione. Esso rappresenta il maggior od il minor appuntimento della distribuzione di frequenza. L’indice di curtosi, indice di Pearson, è esprimibile come segue: 4 1 n ⎡ rt − E (rt ) ⎤ M = ∑⎢ 4 ⎥ n t =1 ⎣ σ ⎦ (14) 4 Siccome il coefficiente di curtosi M di una distribuzione normale è pari a 3 possiamo ottenere il seguente profilo interpretativo: 4 -se M = 3 si ha una distribuzione gaussiana definita mesocurtosi. La distribuzione di frequenza ha una forma campanulare con due flessi equidistanti dal valore centrale. 10
4 -se M > 3 si ha una distribuzione appuntita, con code spesse e lunghe (fat tail) definita leptocurtosi. La leptocurtosi segnala l’elevata probabilità di conseguire valori diversi dal valore atteso. 4 -se M < 3 si ha una distribuzione piatta, con code corte e sottili definita platicurtica. La platicurtosi segnala alte probabilità di ottenere risultati vicino al valore atteso. Una variante dell’indicatore di Pearson è l’indice di Fisher definito coefficiente di eccesso di curtosi: M 4' = M 4 − 3 Gli investitori preferiscono bassi livelli di curtosi, mentre i fondi speculativi sono caratterizzati da leptocurtosi, che attribuisce alla rappresentazione grafica della distribuzione dei rendimenti una tipica forma aguzza con sommità appuntita con lunghe code spesse. Si ha maggior probabilità di eventi straordinari e quindi si registra la tendenza dei rendimenti ad allontanarsi dal valore medio atteso Ciò permette di osservare che negli hedge funds non sono applicabili né il modello di analisi media-varianza né la teoria di portafoglio di Markowitz e nemmeno il CAPM di Sharpe. Test Jarque Bera Al fine di verificare l’ipotesi di normalità delle serie storiche, una delle più note procedure è il test Jarque Bera. Facendo riferimento alle distribuzioni asintotiche degli indicatori di asimmetria e di curtosi.si dimostra che la statistica di Jarque Bera è così definita: ⎡ S 2 (K − 3)2 ⎤ BJ = N ⎢ + ⎥ (15) ⎣ 6 24 ⎦ dove N indica il numero delle osservazioni, S è il coefficiente di Skewness, K è il coefficiente di curtosi. Sotto le ipotesi di normalità la statistica BJ segue una distribuzione statistica di tipo χ2 con 2 gradi di libertà. L’ipotesi nulla di normalità viene rifiutata per valori alti della statistica in quanto questi sono causati da elevati valori di S e K che si verificano proprio quando ci allontaniamo dall’ipotesi di normalità. Il rendimento di un fondo comune aperto dipende dalle seguenti variabili: -lo stile d’investimento adottato dal manager che è descrivibile dalla combinazione di scelte allocative (allocation choices) inerenti alla selezione delle classi di attività finanziarie in cui investire e strategie operative (trading strategies) relative alla quantità e qualità di risorse da destinare alle classi di attività. -l’abilità del manager; che a sua volta è scindibile in due componenti fondamentali. La capacità del gestore di selezionare le attività da inserire nel portafoglio (stock picking) e la capacità di prevedere i trend direzionali di mercato (market timing). Infatti è stato dimostrato che la maggior parte dei fondi comuni aperti sono correlati alle classi più significative evidenziando una forte dipendenza del rendimento dalla tipologia dei titoli detenuti piuttosto che dall’abilità dei gestori: α ≅ 0 e pertanto il rendimento può essere ampiamente spiegato dall’equazione lineare di Sharpe. La performance degli hedge funds è strettamente collegata all’abilità del gestore α , quest’ultima funzione della capacità selettiva (stock picking) e della tempestività operativa (market timing). Al contrario il gestore dei fondi comuni d’investimento si caratterizza per il fatto di attribuire maggior peso allo stile di gestione. Tornando alla analisi dei prodotti in esame, le scelte gestionali degli Hedge Funds di investire in prodotti a payoff non lineare o in strumenti poco liquidi, rende tipicamente la times series dei rendimenti non normale e distante da una relazione di linearità con i corsi dei mercati di riferimento. L’utilizzo di prodotti con poca liquidità nel mercato, che induce a una valorizzazione a dati storici dell’investito, è una delle cause che determinano una autocorrelazione seriale dei rendimenti ciò equivale a dire che i rendimenti del tempo t dipendono da quelli del periodo precedente, da ciò deriva l’effetto persistence ed una minore volatilità. Geltner (1991&1993), Barkham and Geltner (1994) hanno svolto un attento lavoro per eliminare l’autocorrelazione, proponendo di aggiustare la serie storica dei rendimenti attraverso la seguente espressione: 11
rt* − α ⋅ rt*−1 rt = (16) (1 − α ) dove α * è il coefficiente di autocorrelazione con ritardo 1, rt è la serie storica che presenta autocorrelazione , rt è la serie storica corretta per l’autocorrelazione. L’autocorrelazione seriale può trovare spiegazione nella particolare natura delle strategie implementate e nella illiquidità degli strumenti detenuti, che costringe ad una valutazione a dati storici o sulla base di stime soggettive del prezzo corrente. Da ciò deriva l’effetto persistence ed una minore volatilità dei rendimenti. Negli hedge funds la presenza di posizioni illiquide in portafoglio dà spazio a maggior discrezionalità nella valorizzazione dell’attivo mentre per i fondi comuni aperti, ciò non accade poiché debbono investire in attività altamente liquide e sono sottoposti a rigorose norme di vigilanza contro le valutazioni arbitrarie del patrimonio. Per valutare il livello di autocorrelazione si può utilizzare il seguente test. Il test di Ljung-Box Nel test di Ljung-Box l’ ipotesi da verificare è l’assenza di correlazione per i primi m ritardi della time series dei rendimenti. H o : ρ1 = ρ 2 = ... = ρ m = 0 . contro l’ipotesi alternativa che almeno un coefficiente di autocorrelazione sia diverso da zero. Il test si basa sulla seguente statistica: m ϑk2 Q = N ⋅ (N + 2) ⋅ ∑ (17) k =1 N −k dove N indica il numero di osservazioni e ϑk è il coefficiente di autocorrelazione di ordine m. La statistica Q sotto l’ipotesi nulla si distribuisce approssimativamente come una distribuzione χ m2 con m gradi di libertà e quindi fissato un livello di significatività α , l’ipotesi nulla viene rifiutata se: m ϑk2 N ⋅ (N + 2) ⋅ ∑ ≥ χ m2 ,α k =1 N −k dove χ 2 m ,α è quel percentile della variabile casuale χ m2 tale per cui P (χ 2 ) ≥ χ m2 ,α = α 3. Risk Adjusted Performance nell’asset management alternativo Quando i rendimenti sono asimmetrici i principi di media-varianza sono inefficienti e nasce così la necessità di introdurre dei nuovi indicatori di RAP. Nei primi anni ‘90’, Sortino e Van der Meer (1991) hanno introdotto una misura della performance corretta per il rischio, nota come indice di Sortino. Quest’ultimo, rappresenta l’equivalente dell’indice di Sharpe dove però si utilizza il downside risk come denominatore. Infatti si considera il sovrarendimento atteso oltre un rendimento target τ, diviso per la misura del rischio di downside (il secondo momento parziale inferiore). Per quanto riguarda l’indicatore di universal performance measurement cui facevamo riferimento, recentemente, Keating & Shadwick (2002) e Cascon, Keating &Shadwick (2002), hanno introdotto l’indicatore conosciuto come funzione Omega, definito dal rapporto fra il payout di una opzione [ ] call “virtuale” E max(r − τ ,0) rispetto al payout della corrispondente opzione put E max(τ − r ,0) . [ ] Tale indicatore viene definito dagli stessi autori come una universal performance measure. La funzione Omega rappresenta una specializzazione di una misura del rischio derivata dalla Prospect Theory. Essa è coerente con i principi di dominanza stocastica e mantiene la semplicità interpretativa dell’indice di Sortino o di altri indicatori che rapportano il sovrarendimento atteso ad una certa misura del rischio di ribasso (si veda ad esempio, tra gli altri, Sortino & Satchell, 2001, e Knight & Satchell, 2002). Anche gli strumenti tipici della tradizionale teoria di portafoglio possono essere criticati quando vengono applicati agli hedge funds, per esempio l’indice di Sharpe può trarre in inganno circa la reale performance dei fondi, infatti gli hedge funds mostrano rendimenti medi tendenzialmente alti 12
e basse deviazioni standard. Inoltre la standard deviation è uno strumento inadatto a rappresentare il rischio dei fondi speculativi. Infine la presenza di autocorrelazione seriale positiva e di bias da valutazione provocano una sovrastima del rendimento medio ed una sottostima della deviazione standard. I maggiori indicatori di RAP trovano fondamento nel CAPM e presuppongono la normalità della distribuzione dei rendimenti, trascurando completamente gli effetti di asimmetria e curtosi. Inoltre l’implementazione di strategie dinamiche comporta la non linearità del profilo dei rendimenti, che assomiglia sempre più ad un’opzione. Pertanto, un elevato indice di Jensen può rappresentare la sopportazione, da parte del fondo, di maggior illiquidità. Il coefficiente di correlazione lineare descrive la dipendenza tra le variabili in oggetto solo se la distribuzione di probabilità congiunta è di tipo normale, purtroppo tale ipotesi non si adatta agli hedge funds. In considerazione delle osservazioni precedenti, che spiegano l’inapplicabilità della moderna teoria di portafoglio e del CAPM al caso dei fondi speculativi, diventa necessaria l’elaborazione di metodi alternativi di misurazione della performance. Nell’ottica di evitare un eccessivo allontanamento dalle teorie tradizionali, alcuni autori hanno proposto rettifiche al modello base del Capital Asset Pricing Model, così riassumibili: -il CAPM corretto per gli aggiornamenti sui prezzi delle attività illiquide; -il CAPM corretto per la prevedibilità dei rendimenti delle attività in portafoglio; -il CAPM corretto per la presenza di strategie commerciali dinamiche; -il CAPM corretto per tener conto di più fattori di rischio. 3.1 The Kappa function Gli indici analizzati fino a questo momento presuppongono che gli extrarendimenti si distribuiscano secondo una distribuzione normale, ciò permette di calcolare il rischio attraverso la deviazione standard ed il β. Tali misure però si rivelano poco efficaci quando la distribuzione è asimmetrica. La definizione di nuove misure come l’Indice di Sortino e, più recentemente, la funzione statistica Omega sono entrambi indicatori legati al “downside” risk . Dimostreremo che queste misure sono casi particolari della funzione Kappa, che rappresenta una misura di risk-adjusted performance generalizzata. L’indice di Sortino è definito dal seguente rapporto Rp − RT S P (t ) = (18) DDev dove al numeratore abbiamo riportato l’excess return mean rispetto ad un valore target mentre al denominatore abbiamo la Downside Deviation (DDev) che considera gli scarti negativi dal target. La scelta di un livello flessibile di rendimento target permette di personalizzare l’obiettivo d’investimento. Rispetto agli indicatori tradizionali di RAP, con l’indice di Sortino l’attenzione è spostata solo sugli scarti negativi rispetto al rendimento target, in altri termini il rischio è visto come la possibilità di ottenere un rendimento inferiore alle proprie aspettative. Il concetto di downside risk si lega alla funzione statistica LPM2 (lower partial moment) proposta da Harlow nel 1991. τ n LPMn = ∫− ∞ ( τ − R ) dF(R) (19) dove - τ indica la “threshold” inferiore del rendimento minimo accettabile; - R indica i rendimenti; 2 La formula analizza la distribuzione nel continuo. Questa funzione è stata analizzata anche nel 1 T discreto attraverso la formula LPM = ∑ T t =1 max ([ τ − r t ,0] ^2 ) . Questa versione discreta non richiede la conoscenza dell’intera distribuzione ma solo delle singole osservazioni del rendimento. Dato che i dati disponibili, gestibili e memorizzati sono limitati, essa permette di calcolare Kappa solo per poche distribuzioni caratteristiche dei rendimenti. Per questo motivo si è sviluppato un metodo alternativo che approssima la funzione discreta con quella continua originando la famiglia delle funzioni di Johnson. 13
- N indica i momenti parziali di ordine n; - dF(R) indica la funzione di densità di probabilità dei rendimenti; Variando il valore di n si ottengono diversi indicatori. Ad esempio con n=0 si misura la probabilità di perdita, con n=1 l’expected shortfall e con n=2 la downside risk rispetto ad un rendimento medio target. Questa funzione permette di definire una funzione generica, funzione Kappa, che dipende dalla funzione LPM: μ−τ K n (τ ) = (20) n LPM n (τ ) Ancora, attraverso la specificazione di n è possibile ricavare diversi indici di RAP. Ad esempio se n=2 si ottiene K 2 (τ ) che rappresenta l’indice di Sortino. La dimostrazione dell’equivalenza tra l’indice di Sortino e Kappa per n=2 è immediata, in effetti l’indice di Sortino al numeratore misura la differenza tra rendimento del portafoglio ed il rendimento scelto come target, che può essere scritta come (μ − τ ) . Il denominatore è rappresentato dalla downside deviation. Si è già detto che la funzione LPMn calcolata per n=2 rappresenta proprio la downside deviation. Queste considerazioni ci portano a riscrivere l’indice di Sortino come: μ−τ S P (τ ) = (21) τ 2 ∫− ∞ ( τ − R ) dF(R) t dove: μ = ∫ RdF ( R) . Il denominatore è noto come il second partial moment inferiore. Sulla base −∞ della simbologia da noi adottata, l'espressione equivalente per l'indice di Sortino è la seguente: μ −r S(τ ) = LPM 2 È importante valutare la sensitività della funzione Kappa ai momenti di ordine superiore al secondo, in particolare per n=3 si ottiene una misura di skewness risk per valori di threshold sotto una media e per n=4 si ottiene una misura di curtosi risk che rappresenta la avversione al rischio di curtosi per valori al di sotto di una threshold. 3.2 New alternative RAP per hedge funds: Omega function La statistica Omega (universal performance measure), precedentemente vista come generalizzazione dell’indice di Sortino, è così definita: +∞ ∫ [1 − F(R)]dR Ω(τ ) = τ (22) τ ∫ F(R)dR −∞ dove con F(R) abbiamo indicato la funzione di ripartizione del rendimento totale dell’investimento mentre con τ la treshold selezionata dall’investitore. Omega è quindi un rapporto tra funzioni di ripartizione entrambi rispetto a un rendimento soglia. Per meglio comprendere le relazioni tra questi tre indicatori consideriamo innanzitutto la relazione tra Omega e Kappa. Partendo dalla formulazione di Omega come rapporto di funzioni di ripartizione e integrando separatamente il numeratore e il denominatore, per parti, è possibile dimostrare la seguente relazione: μ−τ Ω(τ ) = +1 LPM1 ovvero Ω(τ ) = K 1 (τ ) + 1 (23) Infatti attraverso diversi passaggi algebrici si ottiene: 14
+∞ ∫ [1 − F(R)]dR E[max( R − τ ,0)] E (R R ≥ τ )(1 − F (τ ) ) Ω(τ ) = τ = = . τ E[max(τ − R,0)] E (R R < τ )(F (τ ) ) ∫ F(R)dR −∞ +∞ Il numeratore dell’indice,dopo l’integrazione per parti, può essere scritto come ∫τ (R − τ )dF ( R) +∞ sapendo inoltre che il rendimento atteso per l’intero periodo (μ) vale ∫ RdF ( R) possiamo definire −∞ +∞ la quantità (μ − τ ) come ∫ (R − τ )dF (R) . Quest’ultimo integrale è a sua volta scomponibile nella −∞ +∞ +∞ τ somma di altri due integrali ∫ (R − τ )dF ( R) = ∫ (R − τ )dF ( R) − ∫ (τ − R )dF ( R) , −∞ τ −∞ dove il primo termine della differenza è il numeratore dell’indice Omega e il secondo termine rappresenta la funzione LPM calcolata per n=1. Da quest’ultima espressione possiamo riscrivere il numeratore della τ funzione Ω come (μ − τ ) + ∫ (τ − R )dF ( R) o anche come (μ − τ ) + LPM 1 . Il denominatore −∞ τ integrato per parti è rappresentato dall’integrale ∫ (τ − R )dF ( R) che −∞ corrisponde alla funzione LPM1. Sostituendo i risultati ottenuti nella funzione di omega otteniamo che: (μ − τ ) + LPM1 Ω(τ ) = LPM1 da cui Ω(τ ) = K 1 (τ ) + 1 . La seguente espressione implica che la funzione Kappa è una funzione di Omega a meno di una costante, pertanto possiamo trasferire qualsiasi considerazione relativa alla funzione Omega alla funzione Kappa. Abbiamo dimostrato che la funzione Omega presenta una interpretazione naturale di misurazione della performance e può, di fatto, essere interpretata come una misura che rapporta il sovrarendimento atteso ad una misura di rischio di ribasso. La funzione Kappa può essere calcolata per ogni valore di n e per qualsiasi valore di τ. L’interpretazione dei diversi valori di Kappa in funzione dei diversi τ è complessa e dipende anche dal valore di n, in particolare, al variare di τ le variazioni subite dall’indice Kappa sono inversamente proporzionali ad n. L’argomento della dominanza è di quelli poco utilizzati nella pratica poiché l’esistenza di attività/portafogli dominati creerebbe opportunità di arbitraggio. Diciamo che una attività (D) domina una seconda qualora produca costantemente rendimenti migliori. La dominanza stocastica di primo ordine (first-order stochastic dominance, FSD) è una variante debole della dominanza D in quanto, affinché l’attività A domini stocasticamente l’attività B, essa non deve necessariamente produrre risultati migliori. Al contrario, la probabilità che A superi un dato livello di rendimento dovrebbe essere più elevata rispetto a B; geometricamente ciò equivale a dire che la funzione di ripartizione CDF di A, si trovi sempre sotto (o tocchi) la CDF di B, senza intersecarla. Pertanto, A presenta sempre una probabilità di bassi rendimenti minore rispetto a B. Possiamo pertanto affermare e dimostrare che la funzione Omega è un concetto collegato alla dominanza stocastica come al downside risk approach. In particolare si dimostra che se X n-order domina stocasticamente Y (NSD), denotato X ≥ NSD Y allora: 15
μX − r μY − r ≥ LPM n LPM n per ogni r. 3.3 Riformulazione della statistica Omega Nel paragrafo precedente è stata introdotta una nuova misura di performance chiamata Omega che è stata sviluppata per superare l’inadeguatezza delle tradizionali misure di performance quando vengono considerati investimenti che non seguono la distribuzione normale. Omega è stata sviluppata con l’intenzione di considerare l’intera distribuzione dei rendimenti. Una visione alternativa di Omega è quella di riportarla come il rapporto tra il prezzo di un opzione call ed il prezzo di un opzione put. Si sottolinea qui che molti investimenti tuttavia non soddisfano le ipotesi assunte nel modello di pricing di Black-Scholes, sarà pertanto necessario adottare delle formule approssimate per ottenere una stima di Omega. Omega può essere anche scritto come: C (τ ) Ω (τ ) = P(τ ) (24) dove C(τ) è il prezzo di un’opzione call europea scritta sull’attività d’investimento, P(τ) è il prezzo di un’opzione put europea scritta sull’attività d’investimento. Supponendo che la maturità di entrambe le opzioni sia l’unità periodale e lo strike price di entrambe le opzioni sia τ, si dimostra che il numeratore ed il denominatore dell’espressione precedente possono essere così trascritti: +∞ +∞ ∫ [1 − F(R)]dR = ∫ ( R − τ ) f ( x)dx = E [max( R − τ ,0)] τ τ τ +∞ ∫ F(R)dR = ∫ (τ − R) f ( x)dx = E [max(τ − R,0)] −∞ τ dove f(x) è la funzione di densità della distribuzione dei rendimenti. Le espressioni precedenti rappresentano i valori attesi di una call e di una put a scadenza. Moltiplicando le espressioni precedenti per il exp(-rf), dove rf è il tasso risk free, otteniamo il valore atteso di una call e di una put. E [max(R − τ ,0)] −rf C (τ ) = e E [max(τ − R,0)] − rf P (τ ) = e Sostituendo l’espressioni precedenti nell’espressione di partenza otteniamo la nostra tesi. Un’interpretazione che viene data al prezzo dell’opzione put è di considerarlo come il costo di protezione del risultato di un investimento da un target return. Si veda l’appendice per lo sviluppo di tutti i passaggi algebrici per giungere alla dimostrazione della nostra tesi. 3.3 Indice di Sharpe-Omega Una versione alternativa della funzione Omega è l’indicatore Sharpe-Omega. Esso è così definito: r −τ Sharpe - Ω(τ ) = (25) P (τ ) dove r è il tasso di rendimento atteso sull’investimento, τ è un rendimento target prefissato e P(τ ) è il premium di un’opzione put. Si dimostra che ( Ω -1) è proporzionale all’excess return atteso sull’investimento diviso per il prezzo della put. Sharpe - Ω(τ ) = Ω(τ ) − 1 (26) Questa ultima espressione ci fornisce così le stesse informazione di classificazione dell’investimento della funzione Omega. Quest’ultima rappresentazione di return/risk più intuitiva della funzione Omega. 16
Dall’espressione precedente quando r < τ , Sharpe-Omega è una misura negativa. Si noti che dato r < τ maggiore è il valore della put, per esempio per un incremento di volatilità maggiore è il valore della funzione Sharpe-Omega quindi migliore è l’investimento. Dall’espressione precedente si nota che quando r > τ , Sharpe-Omega è una misura positiva. Un’alta volatilità incrementerà il prezzo dell’opzione put portando così ad una riduzione della funzione Sharpe-Omega. 3.4 Indice di Style Risk Adjusted Performance 2 Un’estensione dell’indicatore M (Modigliani and Modigliani 1997) è l’indicatore Style Risk Adjusted Performance proposto da Lobosco (1999) per catturare lo stile del management adottato. Riprendendo la definizione del Var Modificato (o Cornish-Fisher VaR) che ingloba anche i momenti della distribuzione superiori al secondo, otteniamo il seguente indicatore: ARAP = VaRCornishFisher ( Ind ) (RHF − R f ) + R f (27) VaRCornishFisher ( HF ) dove Ind è l’indice di riferimento; HF è l’hedge fund in esame; RHF indica il valore medio dell’hedge funds; R f è il tasso risk-free; VaRCornishFisher è il VaR calcolato utilizzando l’estensione di Cornish-Fisher. L’indicatore ARAP permette perciò di confrontare due fondi che seguono sia la stessa strategia, sia strategie differenti, infatti ciò è possibile attraverso il seguente indicatore definito ASRAP (Alternative Style Risk Adjusted Performance) : ASRAP = ARAP( Fund ) − ARAP( StyleIndex) (28) 3.5 Alternative Investment Risk Adjusted Return (AIRAP) Sebbene alcuni indicatori di RAPM (Risk-Adjusted Performance Measures) prendano in considerazioni i momenti terzo e quarto, un ulteriore affinamento è stato proposto da Sharma (2002), proponendo una nuova misura chiamata AIRAP (Alternative Risk Adjusted Investment) costruita sulla teoria dell’Utilità Attesa. AIRAP è definito il rendimento certo implicito che un investitore avverso al rischio richiede per spostare le sue preferenze da un investimento certo ad uno incerto. La funzione di utilità attesa per un investitore al rischio è concava, ciò significa che un investitore preferisce una certa somma Z ad una somma ottenuta dalla combinazione di due somme Z1 e Z 2 . L’avversione al rischio è una misura proporzionale alla concavità della funzione di utilità, essendo definita dal rapporto tra la derivata seconda e la prima, mentre l’avversione al rischio relativa prende in considerazione anche la ricchezza dell’investitore (W). Si dimostra che è possibile decomporre il rendimento nelle seguenti due componenti: il risk premium e l’indicatore AIRAP. Il certo equivalente della prestazione aleatoria W è quel valore inferiore Z in corrispondenza del quale si ottiene la stessa utilità attesa per l’investitore. [ ] Indicando con R 0, T il rendimento cumulato del fondo nel periodo [0,T], c=CRRA il parametro di 1 avversione al rischio, N il numero delle osservazioni della serie storica in esame e sia pi = , N l’indicatore AIRAP ha la seguente rappresentazione: ⎧ 1 ⎡ ⎤ (1− c ) ⎢∑ pi (1 + TRi ) ⎥ ⎪ AIRAP = CE = (1− c ) − 1c ≠ 1 &c≥0 ⎪ ⎣ i ⎦ ⎨ (29) ⎪ ⎡ ⎤ ⎪ AIRAP = CE = ⎢∑ pi (1 + TRi )⎥ − 1 c = 1 ⎩ ⎣ i ⎦ L’indicatore AIRAP per come è definito riesce a catturare i momenti superiori al secondo ed a tener conto del livello di volatilità e di leverage in proporzione al livello di avversione al rischio. L’indicatore AIRAP è utilizzato per definire il seguente indicatore definito Modified Sharpe Ratio: 17
μ P − rf MSR = AIRAP 4. Alcune misure di rischio negli Hedge Funds Il valore a rischio (value at risk o VaR) è la massima perdita potenziale che una data posizione può subire a un certo livello di confidenza, in un determinato orizzonte temporale. Il valore a rischio è un concetto di difficile applicabilità negli hedge funds, in quanto presenta alcuni limiti significativi. Oltre a presupporre la conoscenza esatta della distribuzione dei rendimenti dei fattori di mercato da cui dipendono le singole posizioni, il metodo non supporta la proprietà subadditiva, cioè il VaR di un portafoglio di titoli può essere maggiore della somma dei VaR delle singole attività che lo compongono. Favre e Galeano (2002) hanno proposta una modifica dell’indice di Sharpe, che è applicabile ai casi in cui i rendimenti non sono distribuiti normalmente. Per quanto è stato detto il profilo di rischio degli hedge funds dipende significativamente da momenti di ordine superiore (asimmetria e curtosi), per questo motivo l’impiego dell’indice di Sharpe è ampiamente sconsigliato per valutare la redditività dei fondi speculativi. Una delle cause dei suoi potenziali effetti distorsivi è legata all’inadeguatezza della deviazione standard come misura di rischio degli investimenti alternativi. La modifica proposta suggerisce perciò di integrare nel calcolo del VaR i momenti superiori al secondo, proponendo così il VaR modificato (modified VaR o MvaR). Il VaR modificato si ottiene applicando l’espansione di Cornish Fischer, che esprime il percentile standardizzato di una generica distribuzione in funzione dei momenti della medesima di ordine superiore alla media ed alla varianza e del corrispondente percentile della distribuzione normale standardizzata. Il VaR modificato viene così spresso: MVaR = rP + zˆα ⋅ σ P (30) ove ẑα è il percentile secondo l’espansione di Cornish-Fisher ed assume la seguente forma: zˆα = zα + 6 ( 1 2 ) zα − 1 M 3p + 1 3 24 ( ) zα − 3zα M p4' − 1 36 ( )( ) 2 zα3 − 5 zα M 3p 2 (31) dove: - zα è il percentile corrispondente al livello di confidenza (1 − α ) relativo ad una funzione di distribuzione normale standardizzata; 3 - M p è il coefficiente di asimmetria del portafoglio scritta secondo l’indice di Fisher; M 4' - p è il coefficiente di eccesso di curtosi del portafoglio scritta secondo l’indice di Fisher; - rP è il rendimento medio del portafoglio; - σ P è la deviazione standard del portafoglio. E’ così possibile ridefinire il seguente indicatore definito come l’indice di Sharpe modificato (SHM) , che rapporta l’excess rendimento medio del portafoglio fondo rispetto al tasso free-risk al VAR modificato: rP − rF rP − rF SHM = = MVAR rP + zˆα ⋅ σ P (32) Esso appare uno strumento idoneo alla misurazione della performance di portafogli con profilo rischio-rendimento simili a quelli degli strumenti derivati, adattandosi perciò bene agli hedge funds, la cui performance dipende significativamente dai momenti di ordine superiore al momento secondo. Infine Agarwal e Naik (2002) propongono una soluzione alternativa a quella precedente descritta, introducendo il VaR condizionale (conditional value at risk o CVaR). Il CVaR rappresenta l’aspettativa di perdite superiori al VaR. Il CVaR, che rappresenta il valore atteso delle perdite maggiori o uguali al VaR e può essere così rappresentato: 18
−VaR ∫ zf ( z ) dz CVAR = E (r r ≤ VaR ) = − −∞ (33) F (−VaR ) Infine alcuni autori propongono l’applicazione della teoria dei valori estremi al calcolo del VaR in particolare nella modellizzazione della coda sinistra della distribuzione dei rendimenti secondo la teoria Peaks-Over-Threshold(POT). L’applicazione della Generalized Pareto Distribution (GPD) alla distribuzione dei rendimenti permette di esprimere il CVaR ed il VaR attraverso le seguenti espressioni analitiche: σ ⎛ ⎛ n ⎞ −ξ ⎞ VaRP = μ + ⎜⎜ p ⎟ − 1⎟ (34) ξ ⎜ ⎜⎝ N u ⎟⎠ ⎟ ⎝ ⎠ VaRP σ − ξ ⋅ μ CVaR = + (35) 1−ξ 1−ξ dove: - σ è il parametro di scale; - ξ è il parametro di Shape; - μ è il parametro di locazione o threshold; - n è il numero totale delle osservazioni; - N u è il numero di osservazioni superiori alla threshold prefissata. Acar E. e S. James (1997) propongono per la misurazione del rischio degli hedge funds un modello basato sulle misure di drawdown, suggerendo di esprimere la rischiosità dei fondi alternativi attraverso uno dei seguenti modelli: - la drawdown duration, che definisce il più alto numero di mesi consecutivi con rendimento negativo; -l’uninterrupted drawdown indica la perdita più alta in percentuale, che in modo ininterrotto ha avuto luogo nel periodo di analisi; -il maximum drawdown detto anche peak-to-valley-drawdown, che esprime, in termini percentuali e per un periodo di tempo prefissato, la massima perdita di valore che l’investitore può sperimentare. Esso è calcolato mettendo a confronto il massimo valore storico raggiunto dalla quota con il minor valore della stessa osservato in un momento successivo. Esso è così definito: ⎡ NAVt ⎤ MDD(0, T ) = min 0≤t ≤T ⎢ − 1⎥ = max 0≤t ≤T DDt (36) ⎣ max 0≤i≤t ( NAVi ) ⎦ dove: -DD è il Drawdown che è la perdita registrata dal peak al valore corrente, ed è esprimibile in termini di rendimenti cumulati attraverso la seguente espressione: ⎡ NAVT ⎤ DD(0, T ) = ⎢ − 1⎥ (37) ⎣ max 0≤i ≤T (NAVi ) ⎦ dove con Rc abbiamo indicato il rendimento cumulato. Si propone così un nuovo indicatore per esprimere il ranking dei fondi: il return to maximum drawdown (RMD), che relativamente ad un orizzonte di analisi prefissato [0,T] è definito attraverso il rapporto tra il rendimento medio ed il valore assoluto del maximum drawdown: r RMD = (38) MDD Infine l’indicatore maximum uninterrupted loss, ossia la massima perdita ininterrotta è così definita: i MUI = min1≤i≤n ∏ (1 + min(0, rt ) ) − 1 t =1 19
dove i indica la data in cui si valutano tali indicatori; r è il rendimento del fondo osservato. Questa misura è spesso accompagnata dal numero di mesi con cui si è verificata la perdita ed il numero di mesi richiesti per compensare la perdita. 4.1 Gains & Losses Measures Accanto agli indicatori precedentemente menzionati possiamo fornirne degli altri derivanti dall’analisi sulla distribuzione dei rendimenti. L’indicatore Gain/Loss Ratio (GLR) è così definito: ∑G Ii GLR(0, T) = i (39) ∑L i Ii dove per ogni istante j: { - G I = 1 se il rendimento del portafoglio è positivo altrimenti è nullo. G I = 1 if rp ≥ 0 else G I = 0 ; } - LI = 1 se il rendimento del portafoglio è positivo altrimenti è nullo. {L I = 1 if rp ≤ 0 else L I = 0}; L’indicatore GLR si limita a contare le osservazioni trascurando l’entità delle singole osservazioni. L’indicatore Percent Gains to Losses (GtoL) è simile all’indicatore descritto precedentemente tranne per il fatto che in questo caso ci si limita a sommare i guadagni e le perdite totali registrate nel periodo di analisi. Esso è così definito: ∑G Ii GtoL(0, T) = i (40) ∑L i Ii dove per ogni istante j: { - G i = ri se il rendimento del portafoglio è positivo altrimenti è nullo. G i = ri if rp ≥ 0 else G i = 0 ; } - Li = r se il rendimento del portafoglio è positivo altrimenti è nullo. {L i i = ri if rp ≤ 0 else L i = 0}; L’indicatore Expected Percentage Gains to Losses è definito dal rapporto tra i guadagni attesi e le perdite attese. Esso è così definito dal rapporto dei seguenti valori attesi: E (G ) E [GtoL] = (41) E(L ) dove: { - G i = ri se il rendimento del portafoglio è positivo altrimenti è nullo. G i = ri if rp ≥ 0 else G i = 0 ; } - Li = r se il rendimento del portafoglio è positivo altrimenti è nullo. {L i i = ri if rp ≤ 0 else L i = 0}; e l’operatore E indica il valore atteso. Tra gli indicatore RAP quando si utilizza come misura di rischio il massimo drawdown viene proposto il Calmar Ratio che rapporta il rendimento del fondo composto annuo al massimo drawdown: rorp Calmar Ratio = (42) MDD Infine l’indicatore Sterling Ratio che rapporta il rendimento del fondo composto annuo al valore medio del drawdown: rorp Sterling Ratio = ……………………………..(43) DD 20
Dove nelle espressioni precedentemente riportate rorp è il tasso annuale composto sul periodo di analisi (t,T). 12 ⎛ Nav (T ) ⎞ T −t rorp = ⎜⎜ ⎟⎟ −1 ⎝ Nav (t ) ⎠ 5 Alcuni risultati analitici Forniremo qui di seguito un’illustrazione empirica della teoria precedentemente illustrata, confrontando l’indice Credit Suisse First Boston Tremont Hedge Fund con l’indice S&P 100 come se fossero due fondi rappresentativi comparabili. Ci concentreremo per semplicità su due delle misure appartenenti alla classe delle generalised universal performance measure precedentemente (μ − τ ) + LMP1 discusse. La prima, di ordine n = 1 (ovvero, Ω1 (τ ) = ). La seconda di ordine n=2, LMP1 ovvero Ω 2 (τ ) che rappresenta l’indice di Sortino. Utilizzeremo i prezzi di chiusura mensili per i due indici nel periodo da gennaio 2000 a dicembre 2005. La serie storica dei rendimenti è quella aritmetica ottenuta dal rapporto tra il prezzo attuale con il prezzo precedente. Per calcolare le valutazioni della performance Ω1 (τ ) e Ω 2 (τ ) , non parametricamente, sostituiamo: 1 N μ= ∑ xt N t =1 1 N LPM 1 = ∑ (r − xt ) I t N t =1 1 N LPM 2 = ∑ (r − xt ) 2 I t N t =1 dove la funzione It denota la funzione indicatore che è definita It = 1 ogni qual volta x t ≤ r e It=0 ogni qual volta xt ≥ r . Prima di procedere alla costruzione delle generalised universal performance measure abbiamo condotto un’analisi statistica sui rendimenti degli indici, di seguito riportiamo la Figura 1 che riporta gli istogrammi delle rispettive distribuzioni dei rendimenti, dalle quali emergono le caratteristiche delle distribuzione in esame. Si noti come la Skewness dei rendimenti sia negativa per l’indice Hedge Fund. 21
Figura 1: Istogramma Distribuzione dei rendimenti Histogram of Credit Suisse First Boston Tremont Hedge Fund Monthly Returns 15 10 5 0 -0.08 -0.06 -0.04 -0.02 0 0.02 0.04 0.06 0.08 0.1 Histogram of S&P 100 INDEX 15 10 5 0 -0.2 -0.15 -0.1 -0.05 0 0.05 0.1 0.15 0.2 Abbiamo condotto un test statistico per verificare la normalità della distribuzione dei rendimenti dei due indici. Il test Jarque Bera la cui ipotesi nulla è la normalità sulle distribuzioni in esame ci ha fornito i seguenti risultati (Tabella 1): Tabella 1: Jarque-Bera Test Jarque-Bera test P Value 0,681 0,661 JBSTAT 0,768 0,828 Alpha 0,001 0,001 Ho DON'T REJECT DON'T REJECT Dai risultati ottenuti ad un livello di significatività del 99% possiamo affermare che le distribuzione degli indici in esame sono normali. Come si può osservare l’indice globale Credit Suisse First Boston Tremont Hedge Fund, contrariamente a quanto sostenuto precedentemente, fa registrare una distribuzione normale dei rendimenti . Per valutare il livello di autocorrelazione della distribuzione dei rendimenti dell’indice Credit Suisse First Boston Tremont Hedge Fund è’ stato applicato sia il test di Ljung-Box (Tabella 2) e l’analisi grafica con il correlogramma.(Figura 2). Tabella 2: Ljung-Box Q-statistic Ljung-Box Q-statistic P Value 0,509 Qstat 0,437 CriticalValue 6,635 Alpha 0,001 Ho DON'T REJECT Figura 2: Correlogramma Distribuzione dei rendimenti CFBT Hedge Fund 22
ACF Credit Suisse First Boston Tremont Hedge Fund Monthly Returns 1 0.8 0.6 Sample Autocorrelation 0.4 0.2 0 -0.2 -0.4 0 2 4 6 8 10 12 14 16 18 20 Lag Dai risultati ottenuti possiamo affermare che ad un livello di significatività del 99% l’autocorrelazione del primo ordine è nulla. Anche in questo caso contrariamente a quanto sostenuto precedentemente non abbiamo riscontrato un’autocorrelazione significativa del primo ordine tra i rendimenti. La Figura 3 pone a confronto i due indici, utilizzando le rispettive misure empiriche di Omega. Osserviamo chiaramente come la funzione omega dell’indice Credit Suisse First Boston Tremont Hedge Fund domini quella dello S&P100 nella coda sinistra della distribuzione. Indubbiamente non ci attendiamo una outperformance completa di Omega e di altre misure per tutti i valori della threshold poiché ciò richiederebbe una elevata dominanza stocastica. Figura 3: Funzione Omega OMEGA 10 Credit Suisse First 8 Boston Tremont Hedge Fund 6 S&P 100 INDEX Omega [log-values] 4 2 0 -2 -4 -6 -8 -10 -1 % % 0% 4% 8% 2% 6% 0% 4% % % % % % % % 4% 42 96 72 18 64 10 56 02 48 ,5 ,0 ,5 ,1 ,6 ,2 ,7 ,9 2, 0, 0, 2, 3, 5, 6, 8, 9, -9 -8 -6 -5 -3 -2 -0 10 -1 Threshold Returns 23
Figura 4: Sortino Ratio K 2 (τ ) Sortin o 3,0 2,5 Sortino Credit Suisse First 2,0 Boston Tremont Hedge Fund 1,5 1,0 Sortino 0,5 0,0 % % % % % % % 5% 5% 5% 7% 9% 5% 7% -0,5 27 62 24 86 29 22 19 ,7 ,3 ,8 ,1 ,7 ,5 ,5 0, 0, 1, 1, 2, 3, 4, -6 -3 -2 -1 -0 -0 -0 -1,0 -1,5 -2,0 R e tu r n s La figura 5 confronta le funzioni di ripartizione dei rispettivi indici in esame. Dal grafico così ottenuto possiamo affermare che l’indice Credit Suisse First Boston Tremont Hedge Fund domina stocasticamente quella dello S&P100 rispetto alla dominanza stocastica del primo ordine: CSFBT ≥ FSD SPOOR . Figura 5: Funzione di Ripartizione CUMULATIVE RETURN DISTRIBUTIONS 1,0 0,9 0,8 0,7 Frequency 0,6 0,5 0,4 0,3 Credit Suisse First Boston 0,2 Tremont Hedge Fund S&P 100 INDEX 0,1 0,0 1 6 11 16 21 26 31 36 41 46 51 Returns 24
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