Museo Città di Pomezia - Laboratorio del 900
←
→
Trascrizione del contenuto della pagina
Se il tuo browser non visualizza correttamente la pagina, ti preghiamo di leggere il contenuto della pagina quaggiù
Museo Città di Pomezia – Laboratorio del 900 Oggi, 29 Ottobre, Pomezia compie 80 anni. In occasione di questo anniversario è stato inaugurato il Museo Città di Pomezia, Laboratorio del 900, dedicato alla fondazione e allo sviluppo della Città. Un luogo fisico dedicato al contemporaneo nel quale sarà possibile esplorare la storia di Pomezia nella sua totalità, dove rivivere passo dopo passo gli eventi che hanno contribuito alla crescità della città. La grande esposizione permanente è progettata e organizzata come un luogo di conservazione, formazione e conoscenza del contemporaneo dedicata alla storia della città, ai suoi beni architettonici ed artistici ai propri fondatori hanno le memorie collettive e alle diverse identità culturali che ne costituiscono la natura storica. Tratterà inoltre il tema della trasformazione urbana ed economica dei suoi territori. L’allestimento è stato frutto di sinergia tra diversi attori tra cui il Cesar, che ha curato l’allestimento scientifico e le pannellature del centro storico, il Rotary, che ha donato il plastico che illustra la ricostruzione virtuale del centro storico. Il materiale esposto è stato reperito attraverso l’acquisizione di diverse fonti: archivio centrale storico, archivio di stato di Latina, vari istituti culturali pubblici e privati, uffici tecnici. Il racconto è sviluppato attraverso sezioni esplicative per abbracciare un arco temporale che va dalla fondazione della
città di Pomezia all’abolizione della cassa del Mezzogiorno. Pomezia in cantiere: in cui viene narrata la storia della città dalla fondazione all’inaugurazione Città e governo del territorio: in cui viene illustrata la documentazione amministrativa relativa alla costituzione di Pomezia nel periodo dal 1938 al 1948 Popoli fondatori: in cui si illustrano le origini dei popoli che formeranno i cittadini di Pomezia. In questa sezione sono presenti anche foto storiche donate dai cittadini Industrializzazione e sviluppo: in cui si tratta il fenomeno del boom industriale degli anni 60 fino alla fine della cassa del Mezzogiorno. Completa il percorso la pannellatura su piazza Indipendenza con la segnalazione e descrizione dei punti di interesse storico del nucleo aulico di fondazione non che la proiezione di filmati riguardanti i primi anni della fondazione, ricevuti in concessione direttamente dall’Istituto Luce, sia filmati sull’industrializzazione degli anni 60. Un museo da vivere, capace di adattarsi alle diverse esigenze con una sala conferenze modulare, uno spazio che permetterà di accogliere mostre, rassegne e iniziative culturali, un museo in divenire pronto ad accogliere anche la storia futura della città. Molte le autorità presenti stamattina ma anche e soprattutto una grande partecipazione dei cittadini. “Abbiamo voluto creare un luogo fisico dedicato al contemporaneo – ha spiegato il vice Sindaco Simona Morcellini durante la cerimonia di inaugurazione –, un organismo in
continuo divenire, diretto a favorire una migliore conoscenza, conservazione e valorizzazione del patrimonio storico, artistico, architettonico e identitario della nostra Città. La scelta dell’ubicazione della struttura non è casuale: il Museo si trova proprio in un edificio storico facente parte del complesso architettonico originario della Città, in piazza Indipendenza”. “Grazie all’impegno dell’Amministrazione di Pomezia rivivono le tradizioni e la cultura di una città che negli ultimi decenni ha aumentato il suo sviluppo economico e sociale. I cittadini – ha dichiarato il vice Sindaco della Città metropolitana di Roma, Teresa Zotta – potranno ripercorrere tappe di storia fondamentali per le nuove generazioni. La Città metropolitana di Roma, vuole essere promotrice di una “rete del sapere”, per creare un filo conduttore che non solo metta insieme le esperienze culturali di ogni Comune del territorio, ma che diventi fonte di conoscenza più profonda per chiunque visiti le nostre bellezze territoriali”. “Inaugurare il Museo Città di Pomezia – Laboratorio del Novecento – ha aggiunto il Consigliere Delegato della Regione Lazio Daniele Ognibene – è l’occasione per guardare alla propria storia, alla propria identità di città e di cittadini e proprio dalla cultura che gli arriva dalle prime generazioni, che hanno permesso di arrivare agli 80 anni di storia, deve consentire a Pomezia di guardare con fiducia al suo futuro. Le Istituzioni come la Regione Lazio vogliono affiancare lo sviluppo economico e sociale della città. Per capire il futuro e le sue possibilità, bisogna capire fino in fondo la propria storia, e questo Museo deve essere un vero punto di riferimento per tutti”. “Un altro tassello importante che si inserisce nel più ampio
progetto di riqualificazione degli spazi del nostro centro urbano – ha evidenziato il Sindaco Adriano Zuccalà – con il recupero di uno spazio dedicato alla nostra storia. Pomezia si rinnova e si proietta sulla scena storico-culturale nazionale: un risultato possibile grazie alla preziosa sinergia innescata con tutti i soggetti coinvolti. Il mio ringraziamento va alla Regione Lazio, alla Fondazione CESAR, ai partner, ai nostri Assessori, a dipendenti e dirigenti comunali, e a tutti i cittadini che hanno contribuito alla nascita del Museo con le loro donazioni”. Nel suo discorso introduttivo il Sindaco ha anche annunciato la nomina di Claudia Montano a direttrice del Museo. Il pomeriggio è stato dedicato alla memoria storica della città con la visione dei filmati originali dell’istituto Luce e l’incontro con i pionieri del territorio Pio Schiano Moriello, Eleuterio Conte, Lorenza Di Giorgio, Maurizio Priori, Odilla Locatelli. A seguire intervento di Antonio Sessa su Pomezia e il cinema della dolce vita. Durante la cerimonia è stato anche siglato un protocollo d’intesa tra le città di Fondazione: Pomezia, Aprilia, Pontinia, Sabaudia, Colleferro, Guidonia e Latina. I 7 comuni coinvolti si impegnano a promuovere lo sviluppo di un sistema culturale integrato tra musei biblioteche e archivi che favorisca una più efficiente e completa gestione degli spazi grazie alla collaborazione in rete.
Le Città di fondazione: la storia dell’agro pontino Proprio domenica 27 ottobre la nostra Città ha iniziato i festeggiamenti degli 80 anni dalla sua inaugurazione (29 ottobre) con l’organizzazione della trentesima edizione della “Giornata del Colono”, in collaborazione con l’Associazione dei Coloni e il patrocinio dell’Amministrazione comunale. Tenere viva la memoria e diffondere anche alle nuove generazioni la storia di Pomezia, dalla sua fondazione, avvenuta il 25 aprile 1938. Ripercorriamo le tappe principali della genesi della nostra Città e delle altre Città di “fondazione”.. Il 5 Aprile 1932, in occasione della visita fatta ai lavori di bonifica dell’agro Pontino, Mussolini decise la fondazione del primo comune con il nome di Littoria e volle che sorgesse nel centro stesso della palude. Questa città, inaugurata il 18 dicembre 1932, assunse poi la denominazione attuale, Latina, il 7 giugno 1945 a seguito della pubblicazione del decreto luogotenenziale del 9 aprile 1945, n. 270, con cui il toponimo fascista veniva sostituito da uno che consentiva di mantenere la sigla esistente della provincia. Durante questo periodo vengono fondate cinque città nell’Agro
Pontino: dopo Littoria toccò a Sabaudia, Pontinia, Aprilia e infine Pomezia. Dal 1932 al 1938 nascono così cinque nuove città su questo territorio, situato a circa 40 chilometri a sud di Roma, di 840 chilometri quadrati, una volta paludoso e fonte di malaria: questa zona, malsana e poco abitata, diventa in questo modo il progetto più prestigioso intrapreso durante il regime fascista, teso a valorizzare la campagna contro la città industriale affollata e incontrollabile. L’alto tasso di disoccupazione e l’ondata di migrazione interna di circa 18 milioni di persone dal sud al nord rende molto precaria la situazione all’interno dei grandi poli industriali. D’altra parte anche l’edilizia popolare non appare sufficiente a dare alloggio alla folla di operai e braccianti disoccupati e l’affollamento delle grandi città del nord diventa dunque un rischio politico per il regime, il quale teme l’influenza del comunismo e la rivolta operaia. La mossa pensata dal regime per arginare questa situazione è lo sfollamento della città industriale e la ruralizzazione d’Italia, con lo scopo di vincere, grazie alla trasformazione territoriale, la battaglia del grano e incentivare l’incremento demografico. L’unica città che non poteva rientrare nel concetto della metropoli industriale malsana era naturalmente Roma, capitale ricca di monumenti e piazze antiche, vero e unico simbolo dell’impero romano.
Il denominatore comune di tutte le città di fondazione fascista è la concezione autoritaria dello spazio che si esplicita nell’organizzazione della piazza o della zona centrale, fulcro in cui si concentrano tutte le istituzioni statali, fasciste o religiose, quali il palazzo comunale, la Casa del fascio, la Casa del balilla, la chiesa, la Caserma della milizia, il Dopolavoro. L’intento era quello di dare un’immagine ideale di città nella quale sia raffigurato il potere del regime fascista: la caratteristica principale dell’immagine delle nuove fondazioni è costituita dalla triade verticale composta dalla torre littoria e dalle due torri meno appariscenti della chiesa e del palazzo comunale, visibili nella piatta pianura anche da lontano. La nascita di Pomezia fece quindi seguito, come detto, alla riqualificazione della palude pontina (legge di bonifica integrale del 1928), per costituire una città che fungesse da collegamento tra Roma e le nuove città dell’Agro Pontino. Originariamente, per la nostra Città fu previsto il nome di “Ausonia”, ma già prima dell’inizio dei lavori fu mutato in Pomezia: nel 1932 Pomezia si divide, così, da Roma, formando un comune autonomo che inizialmente contava all’incirca 1300
abitanti, dopodiché iniziarono i lavori di costruzione della città e il conseguente ripopolamento. Concessionaria della costruzione fu designata l’Opera Nazionale Combattenti, che il 1º ottobre 1937 bandì un concorso urbanistico vinto dagli architetti Petrucci, Tufaroli, Paolini e Silenzi. Pochi mesi dopo, il 25 aprile 1938, fu posata la prima pietra simbolica e il 29 ottobre 1939 i primi nuovi insediamenti furono inaugurati. La popolazione fu costituita in origine da famiglie coloniche: i primi arrivi giunsero dalla Romagna nel giugno 1939; in ottobre giunse un secondo contingente e, a seguire, popolarono la zona famiglie di origine trentina provenienti dalla Bosnia. Ai coloni furono consegnati dei poderi, comprensivi di un casolare e di un appezzamento di terreno coltivabile. Il territorio di Pomezia, che comprendeva anche Ardea, subì pesantemente i bombardamenti della seconda guerra mondiale effettuati dagli Alleati: quelli dell’aeroporto di Pratica di
Mare e della Torre del Vajanico (Torvaianica), oltre alle mine che i tedeschi, ritirandosi, lasciarono lungo il litorale. Proprio il litorale pometino rimase quasi sconosciuto fino ai primi anni cinquanta: l’11 aprile del 1953 la sua notorietà crebbe a causa di un fatto di cronaca nera, il ritrovamento sulla spiaggia di Torvaianica del corpo senza vita di una giovane donna di 21 anni, Wilma Montesi. Tale vicenda ebbe l’effetto di richiamare l’attenzione sul litorale che, così, divenne meta preferita della Roma bene. Inizialmente progettata come centro principale di una zona a vocazione agricola, nel dopoguerra Pomezia ha cambiato la sua storia diventando un importante centro industriale del Lazio, in virtù della sua vicinanza con Roma e dell’inclusione del suo territorio tra le zone beneficiarie delle politiche di sviluppo economico dell’ente Cassa per il Mezzogiorno Nel maggio del 1970 la frazione di Ardea si staccò da Pomezia per formare un comune autonomo. Lo sviluppo della città fu davvero importante: si passò, infatti, dai circa 6 mila abitanti e 47 attività locali del 1951 ai 37 mila abitanti e 537 attività locali del 1991 (gli aiuti della Cassa del Mezzogiorno terminarono proprio nel 1990). A partire dalla fine degli anni ottanta la zona di Pomezia è stata interessata da un progressivo processo di deindustrializzazione che ha portato alla chiusura di numerose
piccole e medie imprese. Al contempo si è registrato un progressivo sviluppo dell’economia legata al terziario e al commercio, che ha permesso alla città di consolidare la sua importanza economica in ambito regionale. A questi fenomeni economici si è aggiunto quello dell’arrivo nel territorio pometino di nuclei familiari provenienti da Roma, costituiti soprattutto da giovani coppie, anche a causa del forte incremento dei prezzi nel mercato immobiliare romano. Arriviamo infine ai giorni nostri, dopo questo breve viaggio: stamattina è stato inaugurato uno spazio dedicato alla valorizzazione del patrimonio storico, artistico e architettonico della nostra Città. Una vera e propria struttura espositiva dedicata alla storia di Pomezia, che trasforma di fatto piazza Indipendenza in un museo a cielo aperto, nel quale passato e presente si fondono in un unico momento di identità storica e culturale. In campo per la salute e lo
sport Nei giorni scorsi si è svolta a Roma la nona edizione di ‘Tennis & Friends – Salute e Sport … Sport è Salute”, importante manifestazione dedicata alla salute con lo scopo di promuovere la cultura della prevenzione e dei corretti stili di vita in cui i cittadini hanno potuto effettuare check up gratuiti e visite specialiste per diagnosi precoci; hanno partecipato anche molti personaggi della cultura, dello sport e dello spettacolo tra cui Rosario Fiorello, Maria Grazia Cucinotta, Maria De Filippi, Enrico Brignano, Sebastiano Somma, Lillo e Andrea Lucchetta. Tra le associazioni partner dell’evento, l’Associazione italiana studio osteosarcoma (Aisos) onlus https://www.aisos.it/ che ha promosso “Osteosarcoma. Dalla diagnosi alla guarigione, passando per i valori dello Sport”,un incontro in cui si è parlato del supporto multidisciplinare che lo staff dell’associazione mette a disposizione dei pazienti e dell’importanza dello sport come sostegno psico-fisico. Erano presenti anche alcuni dei ragazzi guariti dalla malattia che hanno condiviso la loro esperienza ed alcuni atleti, come l’ambasciatrice Aisos Alessandra Vitale, capitano Nazionale Sitting Volley e testimonial degli Sport paralimpici, che, grazie allo sport, ha ritrovato nuova forza e un nuovo stile di vita. L’Aisos onlus opera dal 2004 per combattere l’osteosarcoma, una
forma di tumore osseo che colpisce principalmente bambini e giovani ed è attiva nella ricerca scientifica, assistenza ai piccoli pazienti e alle loro famiglie e nello studio di protocolli per l’individuazione della malattia fin dai primi sintomi. Al centro delle cure viene messo il paziente, con una particolare sensibilità nei riguardi dei disagi e delle problematiche che l’osteosarcoma crea ai malati ed alle persone che sono loro vicine, offrendo un sostegno anche psicologico ai soggetti colpiti dalla malattia ed alle loro famiglie nel percorso diagnostico-terapeutico, seguendoli in ogni fase della malattia e della cura. L’obiettivo dell’Aisos è quello di divenire un centro di accoglienza internazionale per lo studio e la diagnosi per i pazienti affetti da questa malattia e le loro famiglie e seguirne tutto il percorso di cure. L’offerta dei servizi e le consulenze proposte durante tutto il percorso di cura va dall’accettazione alla riabilitazione, come l’accoglienza protetta e strutturata a pazienti e familiari, la formazione per medici e personale sanitario e incontri di psicoanalisi e psicoterapia dedicata. “Tennis & Friends” ha avuto il sostegno tra gli altri della Presidenza del consiglio dei ministri, Ministero dell’istruzione, università e ricerca, Ministero
della salute, Regione Lazio e Coni. No all’uso “personale” delle fasce tricolori Qualche giorno fa, nel corso di una manifestazione nazionale, il partito organizzatore ha pensato bene di consegnare a ogni sindaco presente una fascia tricolore con la scritta “sindaci: orgoglio italiano”. È evidente che la frase che richiama l’orgoglio non era riferita a tutti i sindaci, ma solo a quelli che avrebbero indossato la fascia, in quanto appartenenti. La scena che si è vista è quella di una schiera di “primi cittadini” con una fascia tricolore, presenti a una manifestazione, nella quale si inneggiavano comportamenti non sempre corrispondenti al “vivere civile” e probabilmente in contrasto con i valori costituzionali. Qualcuno obietterà che la fascia indossata non era quella ufficiale, dunque non vi è stata alcuna violazione delle norme vigenti. I sindaci, in fondo, partecipavano alla riunione in qualità di liberi cittadini e la fascia era solo un segno di riconoscimento, non ufficiale, della funzione rivestita nella città di appartenenza.
Certamente. E se apriamo gli attrezzi delle sottigliezze si può andare anche oltre. Se, dunque, riteniamo che chiunque utilizzi una fascia tricolore, purché priva dei simboli, perchè sono state emanate così tante norme per proibire quella ufficiale? Sarebbe bastato affermare che chiunque può usare quella fascia, purché ne tolga i simboli istituzionali. Potrebbe, quindi, indossarla qualsiasi consigliere comunale, di maggioranza o di opposizione. Così anche qualsiasi cittadino o persino chi non lo è. Potremmo andare avanti all’infinito. È evidente che la fascia tricolore è un simbolo istituzionale che viene indossato da chi riveste una carica, peraltro, in determinate circostanze. Affermare che la legge si riferisca soltanto a quella descritta in dettaglio (solo per assicurare omogeneità) è davvero una visione riduttiva e formalistica sia delle istituzioni, sia dei suoi simboli. Ma, attenzione, mentre può apparire come una situazione scherzosa la fascia indossata per gioco o goliardia da chi non ha alcun titolo, è ancora più grave se per gioco o goliardia, siano uno o più sindaci della Repubblica a indossarla “in quanto sindaci”. A ciascuno di noi e alla propria sensibilità la scelta sul significato da attribuire a tutto ciò e su quali valori difendere, se quelli della libertà di indossare ciò che si vuole o se invece, quelli del rispetto dei simboli della Nazione. Peraltro, sorprende che proprio chi invoca gli ideali di Patria, Popolo e Nazione, giustifichi tali comportamenti e non avverta il bisogno di tutelare i simboli delle istituzioni
pubbliche dagli usi indebiti e personali, o peggio ancora, di partito. Quella fascia, inoltre, rappresenta l’intera collettività, qualunque sia l’appartenenza. E deve essere indossata (con o senza simboli) da chi è “primo” tra tutti i cittadini, non tra i propri elettori o tra i propri amici. La Nazione e i suoi simboli vanno difesi da chiunque se ne serva per finalità personali e diverse da quelle istituzionali. Nella testa di donne e uomini Nel convegno che si è svolto nei giorni scorsi a Milano dal titolo “Genere e neuroscienze. Donne e uomini tanto uguali quanto diversi” si è parlato di medicina di genere, dall’incidenza delle differenze di sesso nelle malattie neurologiche e cerebrovascolari ai relativi approcci terapeutici differenzianti, a partire dagli ormoni. Di rado i farmaci tengono conto della loro influenza nella vita dell’uomo, che sostanzialmente rimane invariato fino ai 70 anni, e della donna che di fatto affronta più tappe, come pubertà, età fertile, gravidanza e menopausa. Importante è riuscire a diagnosticare tempestivamente patologie come infarto e ictus, che presentano tempi, modi ed esiti diversi. Fondamentale è preparare i medici e far sì che i medicinali
vengano differenziati per genere, come indicato dalla recente legge sulla medicina di genere, branca innovativa della ricerca che studia le relazioni tra l’appartenenza al genere sessuale e l’efficacia delle terapie nel trattamento di determinate patologie, e sottolineato nell’intervento della dottoressa Elena Del Giorgio dell’Università statale di Milano che ha focalizzato l’attenzione sulla differente conoscenza degli aspetti epidemiologici, clinici e terapeutici nell’uomo e nella donna. Nell’intervento di Maria Vittoria Calloni, responsabile Stroke Unit dell’Ospedale di Legnano è emerso che le donne, oltre ai fattori di rischio vascolare, ne hanno di peculiari che ne aumentano in loro la possibilità di ictus ischemico: muoiono il 49% di donne per malattie vascolari cerebrali mentre fra gli uomini sono il 38%. Le differenze sessuali più consistenti si risentono di più in cardiologia, in quanto le donne sono meno consapevoli del rischio di infarto e dei disturbi cardiocircolatori in generale. Nei vari interventi i relatori hanno parlato di malattie neurologiche e cardiovascolari legate al genere e ai meccanismi neurolinguistici dei pregiudizi legati ai due sessi. Il 13 giugno 2019 è stato firmato il decreto con il quale è stato adottato il Piano per l’applicazione e la diffusione della Medicina di genere, prima volta in cui nel nostro Paese viene inserito il concetto di ‘genere’ nella medicina, che tiene conto delle differenze esistenti tra uomini e donne. Con questa legge l’Italia si pone all’avanguardia in Europa in questo settore, garantendo a tutti, donne e uomini, la migliore cura possibile. Il Piano indica gli obiettivi strategici, i soggetti coinvolti e le azioni previste per una reale applicazione di un
approccio di genere in sanità nelle quattro aree d’intervento previste dalla legge: percorsi clinici di prevenzione, diagnosi, cura e riabilitazione; ricerca e innovazione; formazione e comunicazione. Gli interventi farmacologici possono risultare meno efficaci per le donne e avere maggiori effetti collaterali, anche perché i farmaci che vengono prescritti vengono studiati sugli uomini: infatti ancora oggi le donne sono trattate meno con i farmaci essenziali per prevenire le recidive dell’infarto quali l’aspirina, i betabloccanti e le statine. Per l’Organizzazione mondiale della sanità il ‘genere’ è costruito su parametri sociali riguardo a comportamento, azioni e ruoli attribuiti ad un sesso e di conseguenza definisce ‘medicina di genere’ lo studio dell’influenza delle differenze biologiche, socio- economiche e culturali sullo stato di salute e di malattia di ogni persona. Amianto, ancora amianto L’amianto è stato messo al bando in Italia da oltre 25 anni, ma seguita a mietere vittime. Se ne è parlato lo scorso mese di settembre in un convegno dal titolo “Amianto: gestione del
sistema e tutela della salute” ospitato a Roma presso la sede centrale del Consiglio nazionale delle ricerche, organizzato dalla Società italiana di medicina ambientale, l’Istituto di ricerca sulle acque (Irsa) del Cnr e i geologi dell’Ente. I dati emersi sono allarmanti: sono circa sei mila i decessi all’anno in Italia che si possono ricondurre all’amianto, oltre mille i casi di mesotelioma registrati in Puglia dal 93 al 2015, soprattutto a Bari e Taranto, e 96 mila i siti italiani contaminati da amianto censiti e presenti nel database del Ministero dell’ambiente. Le ripercussioni sanitarie e ambientali prodotte da questa fibra letale su tutto il nostro territorio sono evidenti. “La gestione dell’amianto è complessa per cui ha bisogno di 4 elementi: conoscenza ed informazione e sensibilizzazione riferiti agli oltre 3500 manufatti del passato contenenti amianto, come filtri di pipe, strofinacci da cucina dei corredi, scarpe, lavandini, etc.; conoscenza dei materiali contenenti amianto che ancora oggi raggiungono il nostro territorio da Paesi esteri come Russia e Cina; conoscenza attraverso la mappatura ed il censimento della presenza di amianto sul territorio; la conoscenza sulle migliori tecnologie utilizzabili per la degradazione delle fibre di amianto” ha affermato Vito Felice Uricchio dell’Irsa-Cnr. L’amianto, dal greco amiantos (indistruttibile) è un minerale che si estrae dalla crosta terrestre dopo macinazione e arricchimento e si trova in 2 tipologie: l’amianto serpentino e l’amianto anfibolo. La sua struttura fibrosa lo rende inesauribile, resistente al calore, molto flessibile, con capacità termoisolanti e fonoassorbenti. Di origini antichissime, già i Romani lo usavano per cremare i cadaveri e ne racconta anche Marco Polo ne ‘Il Milione’, l’amianto
era considerato dal popolo ‘la lana della salamandra’ con la quale l’animale poteva sfidare il fuoco senza danneggiarsi. È nell’ultimo secolo però che ha avuto impieghi estremamente diversificati e quantitativamente imponenti tra cui coperture, cassoni dell’acqua, canne fumarie, pannelli divisori, elettrodomestici, adesivi, sabbia artificiale per giochi di bambini, suolette interne per scarpe, ed altro ancora, ma soprattutto è stato usato sotto forma commerciale di cemento – amianto, cioè eternit. I manufatti in cemento-amianto sono pericolosi perché non contengono solo fibre di amianto, ma rilasciano nell’ambiente fibre che possono essere respirate: infatti dipende da questa eventualità/possibilità riferita ai soli lavorati deteriorati o che presentano crepe, fessurazioni o rotture. Quindi la sola presenza di amianto non costituisce di per sé un rischio per la salute, lo diventa solo quando le fibre aerodisperse vengono inalate. Per quanto riguarda il territorio di Pomezia, sono ormai vicino alla conclusione i lavori di messa in sicurezza del sito Eco-X, dopo l’incendio del maggio 2017. Il risultato delle analisi sulla presenza di amianto, sia in ambiente esterno sia sugli addetti alle lavorazioni, sono risultati al di sotto dei limiti di legge. I lavori proseguono con lo svuotamento delle vasche di accumulo delle acque
reflue e il conseguente sistema di stoccaggio per le acque piovane. Arte e mestieri: inaugurata l’Officina di Pomezia Luoghi fisici in cui i giovani possono sperimentare la loro creatività nei campi delle produzioni multimediali, dell’arte e dell’artigianato tradizionale, rinnovando antichi mestieri, recuperando tradizioni locali e risorse territoriali, ponendo le basi per dar vita ad attività generatrici di reddito e per incentivare la diffusione e la condivisione della cultura. Questa è la definizione più corretta di Officina dell’Arte e dei Mestieri, una sorta di hub, aggregatore di idee dedicato ai giovani, in cui si mettono insieme le diverse realtà associative presenti sul territorio; si incentiva la diffusione e la condivisione di prodotti culturali già esistenti ed emergenti; si promuovono le capacità manuali, le produzioni artigianali e locali più significative, anche attraverso l’organizzazione di eventi, mostre e sagre. A Pomezia, l’Officina dell’Arte e dei Mestieri è stata inaugurata ieri 21 ottobre nei locali del Complesso Selva dei
Pini (nell’edificio alle spalle di quello che ospita gli uffici comunali) sulla via Pontina ed è un progetto realizzato dall’Amministrazione comunale con il contributo della regione Lazio e del dipartimento della Gioventù e del Servizio Civile Nazionale. Un sistema di spazi polifunzionali dove si fa e si diffonde arte in tutte le sue forme e si promuovono mestieri legati all’artigianato, al digitale e alla creatività, in cui i destinatari sono associazioni, gruppi, singoli artisti o artigiani. Il target a cui rivolgono i laboratori di canto, teatro, sartoria, ceramica, sala prove e registrazione è quello dei giovani tra i 14 e i 35 anni, i quali avranno il compito di gestire l’Officina. E l’obiettivo finale è davvero sfidante: contrastare la condizione di precarietà dei giovani, stabilendo nuove garanzie a partire dalla costruzione di “luoghi delle opportunità” e creando delle “case della creatività” nelle quali si possa sperimentare la condivisione della conoscenza e la produzione di saperi. Ma c’è di più. Oltre che a sostenere lo sviluppo della creatività giovanile, la finalità è anche quella di accompagnare i processi di crescita professionale dei giovani, con particolare riguardo ai lavori creativi, alle professionalità e ai mestieri spariti; di sperimentare nuove forme di comunicazione; di favorire lo scambio di esperienze tra giovani, associazioni e
artisti; di promuovere l’incontro e lo scambio culturale. “Felicità ed emozione sono i miei stati d’animo nel giorno di questa importante inaugurazione – ha affermato l’Assessore Miriam Delvecchio. Dopo un anno di lavoro siamo riusciti ad inaugurare un progetto che ha un valore molto importante per i nostri ragazzi. Uno spazio, di cui si avvertiva grande bisogno, dedicato ai più giovani, dove condividere cultura, musica, teatro, sartoria, ceramica e ogni altra forma d’arte e promuovere gli antichi mestieri”. Si esprime con grande soddisfazione anche il Capo di Gabinetto della regione Lazio, Albino Ruberti per il quale questo spazio “come tutti quelli nuoviGli fa eco ha alle spalle un percorso articolato che è arrivato a buon fine. Adesso arriva il compito più difficile, farlo vivere e metterlo a disposizione dei ragazzi. Le collaborazioni tra Enti, come quella messa in piedi per questo progetto, sono fondamentali per dare gambe e durata a tali realtà”. Anche il Sindaco Adriano Zuccalà è molto contento: “Pomezia avrà finalmente un luogo dove i giovani possono esprimere le proprie attitudini. Vogliamo offrire un punto di riferimento artistico e culturale che valorizzi le capacità creative di ciascuno e che offra servizi e strumenti adeguati alle loro esigenze. Ringrazio per questo importante risultato la Regione Lazio, i nostri Assessori, dipendenti e dirigenti comunali”.
BRIGANTESSE – STORIE D’AMORE E DI FUCILE Il libro-disco del giovane cantautore Andrea del Monte verrà presentato, giovedì alle 18, a Roma, presso “Lettere e Caffè” (via San Francesco a Ripa, 100) Al coraggio di Francesca Sipicciani, e ai ricordi su carta, recitati dalla calda voce di Sabrina Ferilli, è affidata una delle liriche più toccanti di “Brigantesse – storie d’amore e di fucile”, progetto letterario e musicale nato da un’idea del cantautore Andrea Del Monte, già autore “Caro poeta, caro amico” dedicato a Pier Paolo Pasolini nel quarantennale della sua scomparsa. Il libro-disco verrà presentato, giovedì alle 18, a Roma, presso “Lettere e Caffè” (via San Francesco a Ripa, 100). Oltre all’autore, interverrà il poeta Antonio Veneziani, che, assieme al giovane poeta Gabriele Galloni, ha curato il volume. Saranno presenti alcuni scrittori e poeti che hanno collaborato alla realizzazione dell’opera: Susanna Schimperna, Fernando Acitelli, Renzo Paris, Helena Velena, Antonella Rizzo, Claudio Marrucci, Roberto Campagna, Dona Amati, Simone Pozzati, Valentino Romano, Ignazio Gori, Stefania De Caro, Paola Toti, Anna
Laura Longo, Isabella Moroni e Ilaria Palomba. Il cd, prodotto dall’etichetta tedesca Sound System Records, e il libro, edito dalla casa editrice Ponte Sisto di Roma, sono composti da tredici liriche, ognuna è la storia di una briganta, scritte da poetesse e poeti. Sono brigantesse che hanno lottato sui Monti Lepini, nelle campagne del Sud, lungo i territori dominati dal Papato o su quelli controllati dai francesi. “Brigantesse – storie d’amore e di fucile” narra in particolare le leggendarie vicende di Filomena Pennacchio che prendono di nuovo forma grazie ai testi di Elisabetta Bucciarelli, così come quelle di Elisa Garofoli (Antonella Rizzo), Dora (Ilaria Palomba), Rosa Cedrone (Andrea Di Consoli e MariavittoriaPicone), Elisabetta Di Giuliano detta La Bella Lisa (Andrea Del Monte e Antonio Veneziani), Nicolina Licciardi (Geraldina Colotti), Carola (Lidia Riviello), Maria Giuseppina Oliverio detta ‘Ciccilla’ (Gabriele Galloni), Michelina De Cesare (Susanna Schimperna), Nicolina Iaconelli (Helena Velena), Francesca La Gamba (Claudio Marrucci), Luisa Spina (Ignazio Gori) e ‘Belamishad’ (Renzo Paris). Le tredici brigantesse tornano così a rivivere in altrettante poesie musicate e cantante da Andrea Del Monte con la produzione dello stesso Del Monte, di Nick
Valente (chitarrista di Simona Molinari e Peter Cincotti) e Guido Guglielminetti (produttore di Francesco De Gregori), vantando anche prestigiosi interventi musicali come quello di John Jackson, storico chitarrista di Bob Dylan, Roberto Cardinali, chitarrista nel film ‘Loro’ di Paolo Sorrentino, e molti altri ancora. Sul libro seguono poi le vite romanzate delle brigantesse trattate nelle canzoni (e non solo) scritte da: Anna Laura Longo, Giulio Laurenti, Giorgio Gigliotti, Maurizio Valtieri, Isabella Moroni, Titti Rigo de Righi, Andrea Appetito, Angelo Mastrandrea, Fernando Acitelli, David Laurenzi, Salvatore Di Gigli, Chiara Mancini, Stefania De Caro, Michela Zanarella, Dona Amati, Simone Pozzati, Anna Appolloni e Roberto Campagna. Ad arricchire la parte letteraria del progetto ci sono fotografie e quadri di brigantesse e briganti e un fumetto scritto da Giuseppe Pollicelli e disegnato da Emiliano Conti. Oltre una serie di interviste a scrittori che si sono occupati di brigantaggio come Maria Rosa Cutrufelli (autrice del romanzo “La Briganta”), Giancarlo De Cataldo, Giordano Bruno Guerri, Eugenio Bennato, Paola Toti, Raffaele Nigro, Valentino Romano e la stessa Sabrina Ferilli che racconterà della brigantessa Francesca
Sipicciani, da lei interpretata per la mini-fiction su Rai Uno intitolata “Né con te, né senza di te”, alla quale è stata affidata la lirica di apertura registrata appositamente per questo progetto. “La vita di ogni brigantessa è raccontata da scrittrici e scrittori, avendo come esempio nobile ‘Le vite immaginarie’ di Marcel Schwob – spiega Andrea Del Monte -. Il mio personale intento però non era quello di realizzare un disco-libro con semplici riferimenti storici, quanto invece offrire nuovi spunti di riflessione verso le brigantesse, figure per le quali a mio avviso non si è mai posato su il giusto accento. Parlare di loro, stando dalla parte dei ‘perdenti’ con un occhio più attento e meno scandalistico. Perché sono e restano donne. Come dice Helena Velena a proposito di Nicolina Iaconelli: ‘Moglie madre amante, pure ladra, semplicemente una donna come tante’ ”. Andrea Del Monte è cantautore, chitarrista e compositore di Latina. Nel 2007, con il singolo “Il giro del mondo” (ispirato dal film Il Grande Dittatore di Charlie Chaplin) vince il Premio della Critica al festival “Il Cantagiro”. Al suo primo omonimo EP collaborano John Jackson (storico chitarrista di Bob Dylan), e il musicista ed etnomusicologo Ambrogio Sparagna. Con questo disco, raggiunge la Top 20 di iTunes. Infine, a Pier Paolo Pasolini, dopo aver musicato la sua poesia “Supplica a mia madre”, sempre con la collaborazione di John Jackson, dedica il disco-libro “Caro poeta, caro amico”.
Matteocrazia È certamente una coincidenza, ma la settimana passata è stata caratterizzato, più degli altri, dalla presenza invadente e inquietante di due personaggi che, nonostante appaiano discutibili e sempre al di sopra delle righe, riescono a trovare occasioni per nuove ribalte e persino consensi. Uno dei due ha percorso il Paese in lungo e in largo prefigurando nemici da respingere e iniziative da promuovere, anche a costo di tracolli, “perchè non si può dire sempre no”. E vanta la condivisione di ampie percentuali di italiani, nonostante che gli stessi siano stati truffati (per quanto si sappia) per almeno 49 milioni, la cui restituzione avverrà “comodamente”, come non è consentito a nessuno, nemmeno agli sfrattati. L’altro, già noto alle cronache per avere invocato la rottamazione altrui e di essere, invece, rimasto in sella dopo la promessa di abbandonare la scena politica, dopo la sconfitta del cosiddetto referendum (in verità un pastrocchio di articoli con rimandi infiniti per nascondere gli intenti reali). Noto anche per avere pronunciato quel famoso “stai sereno” a chi avrebbe tradito dopo qualche giorno, oltre che
per altre storie personali e familiari. Il primo, in particolare, recentemente si è fatto autore delle dimissioni del Governo di cui faceva parte, giusto nel momento in cui aveva ottenuto tutto ciò che voleva, costringendo gli alleati a così tanti ripensamenti da perdere buona parte del proprio elettorato. Il tutto per potere riuscire a lucrare vantaggi in termini di elettorato, senza però riuscirvi. In poche parole ha cercato di tradire gli impegni assunti per poi recitare la parte del tradito perchè l’operazione non è riuscita. Il secondo, invece, dopo tante affermazioni “non vere”, di cui si perde il conto, si è esibito nella scissione del partito di cui era segretario fino a qualche tempo prima e nella costituzione di una nuova sigla, inaugurando la stagione del contrasto al Governo che però sostiene, per evitare di andare a elezioni. Dunque, appollaiato sullo strapuntino, ma pronto a spiccare il volo alle prima occasione utile. Certamente i due hanno storie diverse, ma averli visti nel confronto celebrato nel corso della trasmissione di Vespa, è sembrato di vedere una incredibile affinità. Indubbiamente uno sfoggia conoscenze culturali, anche se non approfondite, e declama valori nobili, anche se non ci crede e palesemente in contrasto con le proprie azioni. L’altro, invece, non si cura dello stile, manifesta atteggiamenti caserecci, sfodera minacce a tutto spiano e a ogni domanda risponde con la stessa risposta: se ho tanto consenso vorrà dire che lo merito. Dimostrando di esserne sorpreso e di non saperne spiegare le ragioni.
Entrambe le posizioni non sono da sottovalutare: uno sbandiera, da sempre, il diritto di ricorrere alla legge del più forte, tanto da volere imporre un sistema che “avrebbe determinato un vincitore alle elezioni”, come se si trattasse di una partita di pallone e non del governo di una Nazione; l’altro agita le piazze e accende risse contro gli emarginati, come se quelli fossero il problema del nostro Paese, che nel frattempo affonda sotto il peso della corruzione e dell’evasione. Ma entrambi hanno in comune la tecnica della “distrazione” rispetto ai problemi reali. Non si vuole che la gente diventi consapevole e partecipi. Si cerca soltanto l’adesione a un leader. Proprio nel secondo giorno di Leopolda è stato affermato il principio della totale assenza di correnti che, tradotto in termini civili vuol dire che decide solo lui. Mentre l’altro, analogamente ha deciso da solo di uscire dal governo e manifesta l’intenzione palese di non dovere dare conto a nessuno. E la folla li segue entrambi. Forse con numeri diversi, forse con provenienze diverse. E viene spontanea una considerazione: questa è la vera “antipolitica”. È finita l’era dei circoli, della partecipazione, degli ideali. Adesso si sceglie un leader, prima ancora di sapere come la pensi e lo si sostiene, qualunque cosa faccia. Non è proprio democrazia. Verrebbe voglia di chiamarla “matteocrazia”.
Santo Fabiano 24 ottobre: giornata mondiale dell’informazione sullo sviluppo Mancano pochi giorni e, nell’ampio novero di giornate mondiali a tema, ricorrerà quella dedicata all’informazione sullo sviluppo (World Development Information Day). L’Assemblea Generale delle Nazioni Unite ha istituito tale Giornata nel 1972, al fine di richiamare l’attenzione sui problemi legati allo sviluppo e sulla necessità di rafforzare la cooperazione internazionale per risolverli: è la diffusione delle informazioni e, quindi, il coinvolgimento della società civile che accrescono la consapevolezza su sfide e opportunità dello sviluppo. Secondo i propositi della Risoluzione 3038 del 19 dicembre 1972, la celebrazione di questa Giornata sarebbe dovuta coincidere con la Giornata internazionale dell’ONU, il 24 ottobre di ogni anno, proprio per dare risalto al ruolo chiave che lo sviluppo ricopre nella missione delle Nazioni Unite. La diffusione dell’informazione è un fattore chiave dello sviluppo economico, fondamentale per promuovere il benessere sociale: in particolare le tecnologie dell’informazione e
della comunicazione possono incentivare una crescita economica inclusiva, equa e sostenibile, favorire l’eliminazione della povertà e l’inclusività sociale, agevolando anche la definizione di politiche innovative. Tutti sforzi che risultano in definitiva indispensabili per promuovere l’integrazione economica globale, in particolar modo quella dei paesi sottosviluppati e in via di sviluppo. Solo due decenni fa, circa il 40% della popolazione nei Paesi in via di sviluppo viveva in condizioni di povertà estrema: da allora, si è riusciti a dimezzare questa percentuale anche grazie agli 8 obiettivi di sviluppo del Millennio, istituiti nel 2000: sradicare la povertà estrema e la fame nel mondo; rendere universale l’istruzione primaria; promuovere la parità dei sessi e l’autonomia delle donne; ridurre la mortalità infantile; ridurre la mortalità materna; combattere l’HIV/AIDS, la malaria e altre malattie; garantire la sostenibilità ambientale, sviluppare un partenariato mondiale per lo sviluppo. Secondo il rapporto del Dipartimento per gli Affari Economici e Sociali delle Nazioni Unite (2016) tutti i Paesi del mondo stanno ricorrendo progressivamente all’uso delle tecnologie di informazione e comunicazione nell’erogare servizi e coinvolgere la popolazione nei processi decisionali. Anche se occorre rilevare che persistono enormi differenze tra gli Stati: inaccessibilità alle tecnologie, povertà e disuguaglianza sociale impediscono alle popolazioni di molti Paesi di beneficiare del potenziale dell’informazione digitalizzata per lo sviluppo sostenibile.
La comunità internazionale concorda sulla necessità di aumentare gli sforzi al fine di garantire l’accesso alla digitalizzazione ai paesi più svantaggiati, provando a sradicare la povertà, investendo sulla tutela della salute e del benessere, sull’accesso all’istruzione e riducendo le disuguaglianze: potenziare, quindi, l’informazione e la comunicazione e realizzare la trasformazione che l’Agenda 2030 (un programma d’azione per le persone, il pianeta e la prosperità sottoscritto nel settembre 2015 dai governi dei 193 Paesi membri dell’ONU) richiede. Appare, così, importante ricordare quanto recita il primo articolo della Dichiarazione sul Diritto allo Sviluppo, adottata nel 1986 dall’Assemblea Generale dell’ONU: “Il diritto allo sviluppo è un diritto umano inalienabile in virtù del quale ogni persona umana e tutti i popoli sono legittimati a partecipare, a contribuire e a beneficiare dello sviluppo economico, sociale, culturale e politico, in cui tutti i diritti umani e tutte le libertà fondamentali possano essere pienamente realizzati”. La Decisione del Parlamento Europeo e del Consiglio del 16 aprile 2014, Decisione (UE) n. 472/2014, che proclama il 2015 come Anno Europeo per lo Sviluppo, proponeva proprio il raggiungimento di alcuni obiettivi: informare i cittadini dell’Unione circa la cooperazione allo sviluppo dell’Unione e degli Stati membri, sottolineando i risultati che l’Unione, di concerto con gli Stati membri, ha conseguito; promuovere la partecipazione diretta, il pensiero critico e l’interesse attivo dei cittadini dell’Unione e delle parti interessate in materia di cooperazione allo sviluppo;
aumentare la consapevolezza dei benefici della cooperazione allo sviluppo dell’Unione, non solo per i beneficiari dell’assistenza allo sviluppo ma anche per i cittadini dell’Unione. Non possiamo più permetterci di rimanere indifferenti di fronte alla sofferenza e alle violazioni dei diritti e della dignità umana che ancora si verificano in numerose comunità.
Puoi anche leggere