Museo Città di Pomezia - Laboratorio del 900

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Museo Città di Pomezia - Laboratorio del 900
Museo Città di Pomezia                                     –
Laboratorio del 900
Oggi, 29 Ottobre, Pomezia compie 80 anni. In occasione di
questo anniversario è stato    inaugurato il Museo Città di
Pomezia, Laboratorio del 900, dedicato alla fondazione e allo
sviluppo della Città.

Un luogo fisico dedicato al contemporaneo nel quale sarà
possibile esplorare la storia di Pomezia nella sua totalità,
dove rivivere passo dopo passo gli eventi che hanno
contribuito alla crescità della città. La grande esposizione
permanente è progettata e organizzata come un luogo di
conservazione, formazione e conoscenza del contemporaneo
dedicata alla storia della città, ai suoi beni architettonici
ed artistici ai propri fondatori hanno le memorie collettive e
alle diverse identità culturali che ne costituiscono la natura
storica. Tratterà inoltre il tema della trasformazione urbana
ed economica dei suoi territori.

L’allestimento è stato frutto di sinergia tra diversi attori
tra cui il Cesar, che ha curato l’allestimento scientifico e
le pannellature del centro storico, il Rotary, che ha donato
il plastico che illustra la ricostruzione virtuale del centro
storico. Il materiale esposto è stato reperito attraverso
l’acquisizione di diverse fonti: archivio centrale storico,
archivio di stato di Latina, vari istituti culturali pubblici
e privati, uffici tecnici.

Il racconto è sviluppato attraverso sezioni esplicative per
abbracciare un arco temporale che va dalla fondazione della
Museo Città di Pomezia - Laboratorio del 900
città di Pomezia all’abolizione della cassa del Mezzogiorno.

Pomezia in cantiere: in cui viene narrata la storia della
città dalla fondazione all’inaugurazione
Città e governo del territorio: in cui viene illustrata la
documentazione amministrativa relativa alla costituzione di
Pomezia nel periodo dal 1938 al 1948
Popoli fondatori: in cui si illustrano le origini dei popoli
che formeranno i cittadini di Pomezia. In questa sezione sono
presenti anche foto storiche donate dai cittadini
Industrializzazione e sviluppo: in cui si tratta il fenomeno
del boom industriale degli anni 60 fino alla fine della cassa
del Mezzogiorno.

Completa il percorso la pannellatura su piazza Indipendenza
con la segnalazione e descrizione dei punti di interesse
storico del nucleo aulico di fondazione non che la proiezione
di filmati riguardanti i primi anni della fondazione, ricevuti
in concessione direttamente dall’Istituto Luce, sia filmati
sull’industrializzazione degli anni 60.

Un museo da vivere, capace di adattarsi alle diverse esigenze
con una sala conferenze modulare, uno spazio che permetterà di
accogliere mostre, rassegne e iniziative culturali, un museo
in divenire pronto ad accogliere anche la storia futura della
città.

Molte le autorità presenti stamattina ma anche e soprattutto
una grande partecipazione dei cittadini.

“Abbiamo voluto creare un luogo fisico dedicato al
contemporaneo – ha spiegato il vice Sindaco Simona Morcellini
durante la cerimonia di inaugurazione –, un organismo in
continuo divenire, diretto a favorire una migliore conoscenza,
conservazione e valorizzazione del patrimonio storico,
artistico, architettonico e identitario della nostra Città. La
scelta dell’ubicazione della struttura non è casuale: il Museo
si trova proprio in un edificio storico facente parte del
complesso architettonico originario della Città, in piazza
Indipendenza”.

“Grazie all’impegno dell’Amministrazione di Pomezia rivivono
le tradizioni e la cultura di una città che negli ultimi
decenni ha aumentato il suo sviluppo economico e sociale. I
cittadini – ha dichiarato il vice Sindaco della Città
metropolitana di Roma, Teresa Zotta – potranno ripercorrere
tappe di storia fondamentali per le nuove generazioni. La
Città metropolitana di Roma, vuole essere promotrice di una
“rete del sapere”, per creare un filo conduttore che non solo
metta insieme le esperienze culturali di ogni Comune del
territorio, ma che diventi fonte di conoscenza più profonda
per chiunque visiti le nostre bellezze territoriali”.

“Inaugurare il Museo Città di Pomezia – Laboratorio del
Novecento – ha aggiunto il Consigliere Delegato della Regione
Lazio Daniele Ognibene – è l’occasione per guardare alla
propria storia, alla propria identità di città e di cittadini
e proprio dalla cultura che gli arriva dalle prime
generazioni, che hanno permesso di arrivare agli 80 anni di
storia, deve consentire a Pomezia di guardare con fiducia al
suo futuro. Le Istituzioni come la Regione Lazio vogliono
affiancare lo sviluppo economico e sociale della città. Per
capire il futuro e le sue possibilità, bisogna capire fino in
fondo la propria storia, e questo Museo deve essere un vero
punto di riferimento per tutti”.

“Un altro tassello importante che si inserisce nel più ampio
progetto di riqualificazione degli spazi del nostro centro
urbano – ha evidenziato il Sindaco Adriano Zuccalà – con il
recupero di uno spazio dedicato alla nostra storia. Pomezia si
rinnova e si proietta sulla scena storico-culturale nazionale:
un risultato possibile grazie alla preziosa sinergia innescata
con tutti i soggetti coinvolti. Il mio ringraziamento va alla
Regione Lazio, alla Fondazione CESAR, ai partner, ai nostri
Assessori, a dipendenti e dirigenti comunali, e a tutti i
cittadini che hanno contribuito alla nascita del Museo con le
loro donazioni”.

Nel suo discorso introduttivo il Sindaco ha anche annunciato
la nomina di Claudia Montano a direttrice del Museo.

Il pomeriggio è stato dedicato alla memoria storica della
città con la visione dei filmati originali dell’istituto Luce
e l’incontro con i pionieri del territorio Pio Schiano
Moriello, Eleuterio Conte, Lorenza Di Giorgio, Maurizio
Priori, Odilla Locatelli. A seguire intervento di Antonio
Sessa su Pomezia e il cinema della dolce vita.

Durante la cerimonia è stato anche siglato un protocollo
d’intesa tra le città di Fondazione: Pomezia, Aprilia,
Pontinia, Sabaudia, Colleferro, Guidonia e Latina. I 7 comuni
coinvolti si impegnano a promuovere lo sviluppo di un sistema
culturale integrato tra musei biblioteche e archivi che
favorisca una più efficiente e completa gestione degli spazi
grazie alla collaborazione in rete.
Le Città di fondazione: la
storia dell’agro pontino
Proprio domenica 27 ottobre la nostra Città ha iniziato i
festeggiamenti degli 80 anni dalla sua inaugurazione (29
ottobre) con l’organizzazione della trentesima edizione della
“Giornata del Colono”, in collaborazione con l’Associazione
dei Coloni e il patrocinio dell’Amministrazione comunale.

Tenere viva la memoria e diffondere anche alle nuove
generazioni la storia di Pomezia, dalla sua fondazione,
avvenuta il 25 aprile 1938.

Ripercorriamo le tappe principali della genesi della nostra
Città e delle altre Città di “fondazione”..

Il 5 Aprile 1932, in occasione della visita fatta ai lavori di
bonifica dell’agro Pontino, Mussolini decise la fondazione del
primo comune con il nome di Littoria e volle che sorgesse nel
centro stesso della palude.

Questa città, inaugurata il 18 dicembre 1932, assunse poi la
denominazione attuale, Latina, il 7 giugno 1945 a seguito
della pubblicazione del decreto luogotenenziale del 9 aprile
1945, n. 270, con cui il toponimo fascista veniva sostituito
da uno che consentiva di mantenere la sigla esistente della
provincia.

Durante questo periodo vengono fondate cinque città nell’Agro
Pontino: dopo Littoria toccò a Sabaudia, Pontinia, Aprilia e
infine Pomezia.

Dal 1932 al 1938 nascono così cinque nuove città su questo
territorio, situato a circa 40 chilometri a sud di Roma, di
840 chilometri quadrati, una volta paludoso e fonte di
malaria: questa zona, malsana e poco abitata, diventa in
questo modo il progetto più prestigioso intrapreso durante il
regime fascista, teso a valorizzare la campagna contro la
città industriale affollata e incontrollabile.

L’alto tasso di disoccupazione e l’ondata di migrazione
interna di circa 18 milioni di persone dal sud al nord rende
molto precaria la situazione all’interno dei grandi poli
industriali.

D’altra parte anche l’edilizia popolare non appare sufficiente
a dare alloggio alla folla di operai e braccianti disoccupati
e l’affollamento delle grandi città del nord diventa dunque un
rischio politico per il regime, il quale teme l’influenza del
comunismo e la rivolta operaia.

La mossa pensata dal regime per arginare questa situazione è
lo sfollamento della città industriale e la ruralizzazione
d’Italia, con lo scopo di vincere, grazie alla trasformazione
territoriale, la battaglia del grano e incentivare
l’incremento demografico.

L’unica città che non poteva rientrare nel concetto della
metropoli industriale malsana era naturalmente Roma, capitale
ricca di monumenti e piazze antiche, vero e unico simbolo
dell’impero romano.
Il denominatore comune di tutte le città di fondazione
fascista è la concezione autoritaria dello spazio che si
esplicita nell’organizzazione della piazza o della zona
centrale, fulcro in cui si concentrano tutte le istituzioni
statali, fasciste o religiose, quali il palazzo comunale, la
Casa del fascio, la Casa del balilla, la chiesa, la Caserma
della milizia, il Dopolavoro.

L’intento era quello di dare un’immagine ideale di città nella
quale sia raffigurato il potere del regime fascista: la
caratteristica principale dell’immagine delle nuove fondazioni
è costituita dalla triade verticale composta dalla torre
littoria e dalle due torri meno appariscenti della chiesa e
del palazzo comunale, visibili nella piatta pianura anche da
lontano.

La nascita di Pomezia fece quindi seguito, come detto, alla
riqualificazione della palude pontina (legge di bonifica
integrale del 1928), per costituire una città che fungesse da
collegamento tra Roma e le nuove città dell’Agro Pontino.

Originariamente, per la nostra Città fu previsto il nome di
“Ausonia”, ma già prima dell’inizio dei lavori fu mutato in
Pomezia: nel 1932 Pomezia si divide, così, da Roma, formando
un comune autonomo che inizialmente contava all’incirca 1300
abitanti, dopodiché iniziarono i lavori di costruzione della
città e il conseguente ripopolamento.

Concessionaria della costruzione fu designata l’Opera
Nazionale Combattenti, che il 1º ottobre 1937 bandì un
concorso urbanistico vinto dagli architetti Petrucci,
Tufaroli, Paolini e Silenzi.

Pochi mesi dopo, il 25 aprile 1938, fu posata la prima pietra
simbolica e il 29 ottobre 1939 i primi nuovi insediamenti
furono inaugurati.

La popolazione fu costituita in origine da famiglie coloniche:
i primi arrivi giunsero dalla Romagna nel giugno 1939; in
ottobre giunse un secondo contingente e, a seguire, popolarono
la zona famiglie di origine trentina provenienti dalla Bosnia.

Ai coloni furono consegnati dei poderi, comprensivi di un
casolare e di un appezzamento di terreno coltivabile.

Il territorio di Pomezia, che comprendeva anche Ardea, subì
pesantemente i bombardamenti della seconda guerra mondiale
effettuati dagli Alleati: quelli dell’aeroporto di Pratica di
Mare e della Torre del Vajanico (Torvaianica), oltre alle mine
che i tedeschi, ritirandosi, lasciarono lungo il litorale.

Proprio il litorale pometino rimase quasi sconosciuto fino ai
primi anni cinquanta: l’11 aprile del 1953 la sua notorietà
crebbe a causa di un fatto di cronaca nera, il ritrovamento
sulla spiaggia di Torvaianica del corpo senza vita di una
giovane donna di 21 anni, Wilma Montesi.

Tale vicenda ebbe l’effetto di richiamare l’attenzione sul
litorale che, così, divenne meta preferita della Roma bene.

Inizialmente progettata come centro principale di una zona a
vocazione agricola, nel dopoguerra Pomezia ha cambiato la sua
storia diventando un importante centro industriale del Lazio,
in virtù della sua vicinanza con Roma e dell’inclusione del
suo territorio tra le zone beneficiarie delle politiche di
sviluppo economico dell’ente Cassa per il Mezzogiorno

Nel maggio del 1970 la frazione di Ardea si staccò da Pomezia
per formare un comune autonomo.

Lo sviluppo della città fu davvero importante: si passò,
infatti, dai circa 6 mila abitanti e 47 attività locali del
1951 ai 37 mila abitanti e 537 attività locali del 1991 (gli
aiuti della Cassa del Mezzogiorno terminarono proprio nel
1990).

A partire dalla fine degli anni ottanta la zona di Pomezia è
stata interessata da un progressivo processo di
deindustrializzazione che ha portato alla chiusura di numerose
piccole e medie imprese.

Al contempo si è registrato un progressivo sviluppo
dell’economia legata al terziario e al commercio, che ha
permesso alla città di consolidare la sua importanza economica
in ambito regionale.

A questi fenomeni economici si è aggiunto quello dell’arrivo
nel territorio pometino di nuclei familiari provenienti da
Roma, costituiti soprattutto da giovani coppie, anche a causa
del forte incremento dei prezzi nel mercato immobiliare
romano.

Arriviamo infine ai giorni nostri, dopo questo breve viaggio:
stamattina è stato inaugurato uno spazio dedicato alla
valorizzazione del patrimonio storico, artistico e
architettonico della nostra Città.

Una vera e propria struttura espositiva dedicata alla storia
di Pomezia, che trasforma di fatto piazza Indipendenza in un
museo a cielo aperto, nel quale passato e presente si fondono
in un unico momento di identità storica e culturale.

In campo per la salute e lo
sport
Nei giorni scorsi si
è svolta a Roma la nona edizione di ‘Tennis & Friends – Salute
e Sport … Sport è Salute”, importante
manifestazione dedicata alla salute con lo scopo di promuovere
la cultura della prevenzione e dei corretti stili di
vita in cui i cittadini hanno potuto effettuare check up
gratuiti e visite
specialiste per diagnosi precoci; hanno partecipato anche
molti personaggi della
cultura, dello sport e dello spettacolo tra cui Rosario
Fiorello, Maria Grazia
Cucinotta, Maria De Filippi, Enrico Brignano, Sebastiano
Somma,
Lillo e Andrea Lucchetta.

Tra le associazioni partner dell’evento, l’Associazione
italiana     studio     osteosarcoma      (Aisos)     onlus
https://www.aisos.it/ che ha promosso “Osteosarcoma. Dalla
diagnosi alla guarigione, passando per i valori dello
Sport”,un incontro in cui si è parlato del supporto
multidisciplinare che lo staff dell’associazione mette a
disposizione dei pazienti e dell’importanza dello sport come
sostegno psico-fisico. Erano presenti anche alcuni dei ragazzi
guariti dalla malattia che hanno condiviso la loro esperienza
ed alcuni atleti, come l’ambasciatrice Aisos Alessandra
Vitale, capitano Nazionale Sitting Volley e testimonial degli
Sport paralimpici, che, grazie allo sport, ha ritrovato nuova
forza e un nuovo stile di vita.

L’Aisos onlus opera dal 2004 per combattere l’osteosarcoma,
una
forma di tumore osseo che colpisce principalmente bambini e
giovani ed è attiva
nella ricerca scientifica, assistenza ai piccoli pazienti e
alle loro famiglie
e nello studio di protocolli per l’individuazione della
malattia fin dai primi
sintomi. Al centro delle cure viene messo il paziente, con una
particolare sensibilità
nei riguardi dei disagi e delle problematiche che
l’osteosarcoma crea ai malati
ed alle persone che sono loro vicine, offrendo un sostegno
anche psicologico ai
soggetti colpiti dalla malattia ed alle loro famiglie nel
percorso
diagnostico-terapeutico, seguendoli in ogni fase della
malattia e della cura.

L’obiettivo dell’Aisos è quello di divenire un centro di
accoglienza
internazionale per lo studio e la diagnosi per i pazienti
affetti da questa
malattia e le loro famiglie e seguirne tutto il percorso di
cure. L’offerta dei
servizi e le consulenze proposte durante tutto il percorso di
cura va
dall’accettazione alla riabilitazione, come l’accoglienza
protetta e strutturata
a pazienti e familiari, la formazione per medici e personale
sanitario e
incontri di psicoanalisi e psicoterapia dedicata.

“Tennis & Friends” ha
avuto il sostegno tra gli altri della Presidenza del consiglio
dei ministri,
Ministero dell’istruzione, università e ricerca, Ministero
della salute,
Regione Lazio e Coni.

No all’uso “personale” delle
fasce tricolori
Qualche giorno fa, nel corso di una manifestazione nazionale,
il partito organizzatore ha pensato bene di consegnare a ogni
sindaco presente una fascia tricolore con la scritta “sindaci:
orgoglio italiano”.

È evidente che la frase che richiama l’orgoglio non era
riferita a tutti i sindaci, ma solo a quelli che avrebbero
indossato la fascia, in quanto appartenenti.

La scena che si è vista è quella di una schiera di “primi
cittadini” con una fascia tricolore, presenti a una
manifestazione, nella quale si inneggiavano comportamenti non
sempre corrispondenti al “vivere civile” e probabilmente in
contrasto con i valori costituzionali.

Qualcuno obietterà che la fascia indossata non era quella
ufficiale, dunque non vi è stata alcuna violazione delle norme
vigenti. I sindaci, in fondo, partecipavano alla riunione in
qualità di liberi cittadini e la fascia era solo un segno di
riconoscimento, non ufficiale, della funzione rivestita nella
città di appartenenza.
Certamente. E se apriamo gli attrezzi delle sottigliezze si
può andare anche oltre. Se, dunque, riteniamo che chiunque
utilizzi una fascia tricolore, purché priva dei simboli,
perchè sono state emanate così tante norme per proibire quella
ufficiale? Sarebbe bastato affermare che chiunque può usare
quella fascia, purché ne tolga i simboli istituzionali.
Potrebbe, quindi, indossarla qualsiasi consigliere comunale,
di maggioranza o di opposizione. Così anche qualsiasi
cittadino o persino chi non lo è. Potremmo andare avanti
all’infinito.

È evidente che la fascia tricolore è un simbolo istituzionale
che viene indossato da chi riveste una carica, peraltro, in
determinate circostanze. Affermare che la legge si riferisca
soltanto a quella descritta in dettaglio (solo per assicurare
omogeneità) è davvero una visione riduttiva e formalistica sia
delle istituzioni, sia dei suoi simboli.

Ma, attenzione, mentre può apparire come una situazione
scherzosa la fascia indossata per gioco o goliardia da chi non
ha alcun titolo, è ancora più grave se per gioco o goliardia,
siano uno o più sindaci della Repubblica a indossarla “in
quanto sindaci”.

A ciascuno di noi e alla propria sensibilità la scelta sul
significato da attribuire a tutto ciò e su quali valori
difendere, se quelli della libertà di indossare ciò che si
vuole o se invece, quelli del rispetto dei simboli della
Nazione.

Peraltro, sorprende che proprio chi invoca gli ideali di
Patria, Popolo e Nazione, giustifichi tali comportamenti e non
avverta il bisogno di tutelare i simboli delle istituzioni
pubbliche dagli usi indebiti e personali, o peggio ancora, di
partito.

Quella fascia, inoltre, rappresenta l’intera collettività,
qualunque sia l’appartenenza. E deve essere indossata (con o
senza simboli) da chi è “primo” tra tutti i cittadini, non tra
i propri elettori o tra i propri amici.

La Nazione e i suoi simboli vanno difesi da chiunque se ne
serva per finalità personali e diverse da quelle
istituzionali.

Nella testa di donne e uomini
Nel convegno che si è svolto nei giorni scorsi a Milano dal
titolo “Genere e neuroscienze. Donne e uomini tanto uguali
quanto diversi” si è parlato di medicina di genere,
dall’incidenza delle differenze di sesso nelle malattie
neurologiche e cerebrovascolari ai relativi approcci
terapeutici differenzianti, a partire dagli ormoni. Di rado i
farmaci tengono conto della loro influenza nella vita
dell’uomo, che sostanzialmente rimane invariato fino ai 70
anni, e della donna che di fatto affronta più tappe, come
pubertà, età fertile, gravidanza e menopausa. Importante è
riuscire a diagnosticare tempestivamente patologie come
infarto e ictus, che presentano tempi, modi ed esiti diversi.

Fondamentale è preparare i medici e far sì che i medicinali
vengano differenziati per genere, come indicato dalla recente
legge sulla medicina di genere, branca innovativa della
ricerca che studia le relazioni tra l’appartenenza al genere
sessuale e l’efficacia delle terapie nel trattamento di
determinate patologie, e sottolineato nell’intervento della
dottoressa Elena Del Giorgio dell’Università statale di Milano
che ha focalizzato l’attenzione sulla differente conoscenza
degli aspetti epidemiologici, clinici e terapeutici nell’uomo
e nella donna. Nell’intervento di Maria Vittoria Calloni,
responsabile Stroke Unit dell’Ospedale di Legnano è emerso che
le donne, oltre ai fattori di rischio vascolare, ne hanno di
peculiari che ne aumentano in loro la possibilità di ictus
ischemico: muoiono il 49% di donne per malattie vascolari
cerebrali mentre fra gli uomini sono il 38%. Le differenze
sessuali più consistenti si risentono di più in cardiologia,
in quanto le donne sono meno consapevoli del rischio di
infarto e dei disturbi cardiocircolatori in generale. Nei vari
interventi i relatori hanno parlato di malattie neurologiche e
cardiovascolari legate al genere e ai meccanismi
neurolinguistici dei pregiudizi legati ai due sessi.

Il
13 giugno 2019 è stato firmato il decreto con il quale è stato
adottato il
Piano per l’applicazione e la diffusione della Medicina di
genere, prima volta
in cui nel nostro Paese viene inserito il concetto di ‘genere’
nella medicina, che
tiene conto delle differenze esistenti tra uomini e donne. Con
questa legge l’Italia
si pone all’avanguardia in Europa in questo settore,
garantendo a tutti, donne
e uomini, la migliore cura possibile. Il Piano indica gli
obiettivi strategici,
i soggetti coinvolti e le azioni previste per una reale
applicazione di un
approccio di genere in sanità nelle quattro aree d’intervento
previste dalla
legge: percorsi clinici di prevenzione, diagnosi, cura e
riabilitazione; ricerca
e innovazione; formazione e comunicazione.

Gli interventi
farmacologici possono risultare meno efficaci per le donne e
avere maggiori
effetti collaterali, anche perché i farmaci che vengono
prescritti vengono
studiati sugli uomini: infatti ancora oggi le donne sono
trattate meno con i
farmaci essenziali per prevenire le recidive dell’infarto
quali l’aspirina, i
betabloccanti e le statine. Per l’Organizzazione mondiale
della sanità il ‘genere’
è costruito su parametri sociali riguardo a comportamento,
azioni e ruoli
attribuiti ad un sesso e di conseguenza definisce ‘medicina di
genere’ lo
studio dell’influenza delle differenze biologiche, socio-
economiche e culturali
sullo stato di salute e di malattia di ogni persona.

Amianto, ancora amianto
L’amianto è stato messo al bando in Italia da oltre 25 anni,
ma seguita a mietere vittime. Se ne è parlato lo scorso mese
di settembre in un convegno dal titolo “Amianto: gestione del
sistema e tutela della salute” ospitato a Roma presso la sede
centrale del Consiglio nazionale delle ricerche, organizzato
dalla Società italiana di medicina ambientale, l’Istituto di
ricerca sulle acque (Irsa) del Cnr e i geologi dell’Ente. I
dati emersi sono allarmanti: sono circa sei mila i decessi
all’anno in Italia che si possono ricondurre all’amianto,
oltre mille i casi di mesotelioma registrati in Puglia dal 93
al 2015, soprattutto a Bari e Taranto, e 96 mila i siti
italiani contaminati da amianto censiti e presenti nel
database del Ministero dell’ambiente. Le ripercussioni
sanitarie e ambientali prodotte da questa fibra letale su
tutto il nostro territorio sono evidenti. “La gestione
dell’amianto è complessa per cui ha bisogno di 4 elementi:
conoscenza ed informazione e sensibilizzazione riferiti agli
oltre 3500 manufatti del passato contenenti amianto, come
filtri di pipe, strofinacci da cucina dei corredi, scarpe,
lavandini, etc.; conoscenza dei materiali contenenti amianto
che ancora oggi raggiungono il nostro territorio da Paesi
esteri come Russia e Cina; conoscenza attraverso la mappatura
ed il censimento della presenza di amianto sul territorio; la
conoscenza sulle migliori tecnologie utilizzabili per la
degradazione delle fibre di amianto” ha affermato Vito Felice
Uricchio dell’Irsa-Cnr.

L’amianto, dal greco amiantos (indistruttibile) è un minerale
che si estrae
dalla crosta terrestre dopo macinazione e arricchimento e si
trova in 2
tipologie: l’amianto serpentino e l’amianto anfibolo. La sua
struttura fibrosa lo
rende inesauribile, resistente al calore, molto flessibile,
con capacità
termoisolanti e fonoassorbenti. Di origini antichissime, già i
Romani lo
usavano per cremare i cadaveri e ne racconta anche Marco Polo
ne ‘Il Milione’, l’amianto
era considerato dal popolo ‘la lana della salamandra’ con la
quale l’animale
poteva sfidare il fuoco senza danneggiarsi. È nell’ultimo
secolo però che ha
avuto impieghi estremamente diversificati e quantitativamente
imponenti tra cui
coperture, cassoni dell’acqua, canne fumarie, pannelli
divisori,
elettrodomestici, adesivi, sabbia artificiale per giochi di
bambini, suolette
interne per scarpe, ed altro ancora, ma soprattutto è stato
usato sotto forma
commerciale di cemento – amianto, cioè eternit. I manufatti
in cemento-amianto
sono pericolosi perché non contengono solo fibre di amianto,
ma rilasciano nell’ambiente
fibre che possono essere respirate: infatti dipende da questa
eventualità/possibilità riferita ai soli lavorati deteriorati
o che presentano
crepe, fessurazioni o rotture. Quindi la sola presenza di
amianto non
costituisce di per sé un rischio per la salute, lo diventa
solo quando le fibre
aerodisperse vengono inalate.

Per quanto riguarda
il territorio di Pomezia, sono ormai vicino alla conclusione i
lavori di messa
in sicurezza del sito Eco-X, dopo l’incendio del maggio 2017.
Il risultato
delle analisi sulla presenza di amianto, sia in ambiente
esterno sia sugli
addetti alle lavorazioni, sono risultati al di sotto dei
limiti di legge. I
lavori proseguono con lo svuotamento delle vasche di accumulo
delle acque
reflue e il conseguente sistema di stoccaggio per le acque
piovane.

Arte e mestieri: inaugurata
l’Officina di Pomezia

Luoghi fisici in cui i giovani possono sperimentare la loro
creatività nei campi delle produzioni multimediali, dell’arte
e dell’artigianato tradizionale, rinnovando antichi mestieri,
recuperando tradizioni locali e risorse territoriali, ponendo
le basi per dar vita ad attività generatrici di reddito e per
incentivare la diffusione e la condivisione della cultura.

Questa è la definizione   più corretta di Officina dell’Arte e
dei Mestieri, una sorta   di hub, aggregatore di idee dedicato
ai giovani, in cui si     mettono insieme le diverse realtà
associative presenti      sul territorio; si incentiva la
diffusione e la condivisione di prodotti culturali già
esistenti ed emergenti;
si promuovono le capacità manuali, le produzioni artigianali e
locali più significative, anche attraverso l’organizzazione di
eventi, mostre e sagre.

A Pomezia, l’Officina dell’Arte e dei Mestieri è stata
inaugurata ieri 21 ottobre nei locali del Complesso Selva dei
Pini (nell’edificio alle spalle di quello che ospita gli
uffici comunali) sulla via Pontina ed è un progetto realizzato
dall’Amministrazione comunale con il contributo della regione
Lazio e del dipartimento della Gioventù e del Servizio Civile
Nazionale.

Un sistema di spazi polifunzionali dove si fa e si diffonde
arte in tutte le sue forme e si promuovono mestieri legati
all’artigianato, al digitale e alla creatività, in cui i
destinatari sono associazioni, gruppi, singoli artisti o
artigiani.

Il target a cui rivolgono i laboratori di canto, teatro,
sartoria, ceramica, sala prove e registrazione è quello dei
giovani tra i 14 e i 35 anni, i quali avranno il compito di
gestire l’Officina.

E l’obiettivo finale è davvero sfidante: contrastare la
condizione di precarietà dei giovani, stabilendo nuove
garanzie a partire dalla costruzione di “luoghi delle
opportunità” e creando delle “case della creatività” nelle
quali si possa sperimentare la condivisione della
conoscenza e la produzione di saperi.

Ma c’è di più.

Oltre che a sostenere lo sviluppo della creatività giovanile,
la finalità è anche quella di accompagnare i processi di
crescita professionale dei giovani, con particolare riguardo
ai lavori creativi, alle professionalità e ai mestieri
spariti; di sperimentare nuove forme di comunicazione; di
favorire lo scambio di esperienze tra giovani, associazioni e
artisti; di promuovere
l’incontro e lo scambio culturale.

“Felicità ed emozione sono i miei stati d’animo nel giorno di
questa importante inaugurazione – ha affermato l’Assessore
Miriam Delvecchio. Dopo un anno di lavoro siamo riusciti ad
inaugurare un progetto che ha un valore molto importante per i
nostri ragazzi. Uno spazio, di cui si avvertiva grande
bisogno, dedicato ai più giovani, dove condividere cultura,
musica, teatro, sartoria, ceramica e ogni altra forma d’arte e
promuovere gli antichi mestieri”.

Si esprime con grande soddisfazione anche il Capo di Gabinetto
della regione Lazio, Albino Ruberti per il quale questo spazio
“come tutti quelli nuoviGli fa eco ha alle spalle un percorso
articolato che è arrivato a buon fine. Adesso arriva il
compito più difficile, farlo vivere e metterlo a disposizione
dei ragazzi. Le collaborazioni tra Enti, come quella messa in
piedi per questo progetto, sono fondamentali per dare gambe e
durata a tali realtà”.

Anche il Sindaco Adriano Zuccalà è molto contento: “Pomezia
avrà finalmente un luogo dove i giovani possono esprimere le
proprie attitudini. Vogliamo offrire un punto di riferimento
artistico e culturale che valorizzi le capacità creative di
ciascuno e che offra servizi e strumenti adeguati alle loro
esigenze. Ringrazio per questo importante risultato la Regione
Lazio, i nostri Assessori, dipendenti e dirigenti comunali”.
BRIGANTESSE – STORIE D’AMORE
E DI FUCILE
Il libro-disco del giovane cantautore Andrea del Monte verrà
presentato, giovedì alle 18, a Roma,   presso “Lettere e Caffè”
(via San Francesco a Ripa, 100)

Al
coraggio di Francesca Sipicciani, e ai ricordi su carta,
recitati dalla calda
voce di Sabrina Ferilli, è affidata una delle liriche più
toccanti di “Brigantesse – storie d’amore e di fucile”,
progetto letterario e musicale nato da un’idea del cantautore
Andrea Del Monte,
già autore “Caro poeta, caro amico”
dedicato a Pier Paolo Pasolini nel quarantennale della sua
scomparsa. Il
libro-disco verrà presentato, giovedì alle 18, a Roma, presso
“Lettere e Caffè”
(via San Francesco a Ripa, 100). Oltre all’autore, interverrà
il poeta Antonio
Veneziani, che, assieme al giovane poeta Gabriele Galloni, ha
curato il volume.
Saranno presenti alcuni scrittori e poeti che hanno
collaborato alla
realizzazione dell’opera: Susanna Schimperna, Fernando
Acitelli, Renzo Paris, Helena
Velena, Antonella Rizzo, Claudio Marrucci, Roberto Campagna,
Dona Amati, Simone
Pozzati, Valentino Romano, Ignazio Gori, Stefania De Caro,
Paola Toti, Anna
Laura Longo, Isabella Moroni e Ilaria Palomba.          Il cd,
prodotto dall’etichetta tedesca Sound
System Records, e il libro, edito dalla casa editrice Ponte
Sisto di Roma, sono composti da tredici liriche, ognuna è la
storia di una briganta, scritte da poetesse e poeti. Sono
brigantesse che hanno
lottato sui Monti Lepini, nelle campagne del Sud, lungo i
territori dominati
dal Papato o su quelli controllati dai francesi.

“Brigantesse
– storie d’amore e di fucile” narra in particolare le
leggendarie vicende di
Filomena Pennacchio che prendono di nuovo forma grazie ai
testi di Elisabetta
Bucciarelli, così come quelle di Elisa Garofoli (Antonella
Rizzo), Dora (Ilaria
Palomba), Rosa Cedrone (Andrea Di
Consoli e MariavittoriaPicone), Elisabetta Di Giuliano detta
La Bella Lisa
(Andrea Del Monte e Antonio Veneziani),
Nicolina Licciardi (Geraldina Colotti),
Carola (Lidia Riviello), Maria
Giuseppina Oliverio detta ‘Ciccilla’ (Gabriele
Galloni), Michelina De Cesare (Susanna
Schimperna), Nicolina Iaconelli (Helena
Velena), Francesca La Gamba (Claudio
Marrucci), Luisa Spina (Ignazio Gori)
e ‘Belamishad’ (Renzo Paris).

Le
tredici brigantesse tornano così a rivivere in altrettante
poesie musicate e
cantante da Andrea Del Monte con la produzione dello stesso
Del Monte, di Nick
Valente (chitarrista di Simona Molinari e
Peter Cincotti) e Guido Guglielminetti (produttore
di Francesco De Gregori), vantando anche prestigiosi
interventi musicali
come quello di John Jackson, storico chitarrista di Bob Dylan,
Roberto
Cardinali, chitarrista nel film ‘Loro’ di Paolo Sorrentino, e
molti altri
ancora.

Sul
libro seguono poi le vite romanzate delle brigantesse trattate
nelle canzoni (e
non solo) scritte da: Anna Laura Longo,
Giulio Laurenti, Giorgio     Gigliotti,   Maurizio   Valtieri,
Isabella Moroni, Titti
Rigo de Righi, Andrea Appetito, Angelo Mastrandrea, Fernando
Acitelli, David Laurenzi,
Salvatore Di Gigli, Chiara Mancini, Stefania De Caro, Michela
Zanarella, Dona
Amati, Simone Pozzati, Anna Appolloni e Roberto Campagna.

Ad
arricchire la parte letteraria del progetto ci sono fotografie
e quadri di
brigantesse e briganti e un fumetto scritto da Giuseppe
Pollicelli e disegnato
da Emiliano Conti. Oltre una serie di interviste a scrittori
che si sono
occupati di brigantaggio come Maria Rosa Cutrufelli (autrice
del romanzo “La Briganta”), Giancarlo De Cataldo, Giordano
Bruno Guerri, Eugenio Bennato, Paola Toti, Raffaele Nigro,
Valentino Romano e
la stessa Sabrina Ferilli che racconterà della brigantessa
Francesca
Sipicciani, da lei interpretata per la mini-fiction su Rai Uno
intitolata “Né
con te, né senza di te”, alla quale è stata affidata la lirica
di apertura
registrata appositamente per questo progetto.

“La vita di ogni brigantessa è raccontata da scrittrici e
scrittori, avendo come esempio nobile ‘Le vite immaginarie’ di
Marcel Schwob – spiega Andrea Del Monte -. Il mio personale
intento però non era quello di realizzare un disco-libro con
semplici riferimenti storici, quanto invece offrire nuovi
spunti di riflessione verso le brigantesse, figure per le
quali a mio avviso non si è mai posato su il giusto accento.
Parlare di loro, stando dalla parte dei ‘perdenti’ con un
occhio più attento e meno scandalistico. Perché sono e restano
donne. Come dice Helena Velena a proposito di Nicolina
Iaconelli: ‘Moglie madre amante, pure ladra, semplicemente una
donna come tante’ ”.

Andrea Del Monte è cantautore, chitarrista e compositore di
Latina. Nel 2007, con il singolo “Il giro del mondo” (ispirato
dal film Il Grande Dittatore di Charlie Chaplin) vince il
Premio della Critica al festival “Il Cantagiro”. Al suo primo
omonimo EP collaborano John Jackson (storico chitarrista di
Bob   Dylan),     e  il  musicista     ed  etnomusicologo
Ambrogio Sparagna. Con questo disco, raggiunge la Top 20
di iTunes. Infine, a Pier Paolo Pasolini, dopo aver musicato
la sua poesia “Supplica a mia madre”, sempre con la
collaborazione di John Jackson, dedica il disco-libro “Caro
poeta, caro amico”.
Matteocrazia

È certamente una coincidenza, ma la settimana passata è stata
caratterizzato, più degli altri, dalla presenza invadente e
inquietante di due personaggi che, nonostante appaiano
discutibili e sempre al di sopra delle righe, riescono a
trovare occasioni per nuove ribalte e persino consensi.

Uno dei due ha percorso il Paese in lungo e in largo
prefigurando nemici da respingere e iniziative da promuovere,
anche a costo di tracolli, “perchè non si può dire sempre no”.
E vanta la condivisione di ampie percentuali di italiani,
nonostante che gli stessi siano stati truffati (per quanto si
sappia) per almeno 49 milioni, la cui restituzione avverrà
“comodamente”, come non è consentito a nessuno, nemmeno agli
sfrattati.

L’altro, già noto alle cronache per avere invocato la
rottamazione altrui e di essere, invece, rimasto in sella dopo
la promessa di abbandonare la scena politica, dopo la
sconfitta del cosiddetto referendum (in verità un pastrocchio
di articoli con rimandi infiniti per nascondere gli intenti
reali). Noto anche per avere pronunciato quel famoso “stai
sereno” a chi avrebbe tradito dopo qualche giorno, oltre che
per altre storie personali e familiari.

Il primo, in particolare, recentemente si è fatto autore delle
dimissioni del Governo di cui faceva parte, giusto nel momento
in cui aveva ottenuto tutto ciò che voleva, costringendo gli
alleati a così tanti ripensamenti da perdere buona parte del
proprio elettorato. Il tutto per potere riuscire a lucrare
vantaggi in termini di elettorato, senza però riuscirvi. In
poche parole ha cercato di tradire gli impegni assunti per poi
recitare la parte del tradito perchè l’operazione non è
riuscita.

Il secondo, invece, dopo tante affermazioni “non vere”, di cui
si perde il conto, si è esibito nella scissione del partito di
cui era segretario fino a qualche tempo prima e nella
costituzione di una nuova sigla, inaugurando la stagione del
contrasto al Governo che però sostiene, per evitare di andare
a elezioni. Dunque, appollaiato sullo strapuntino, ma pronto a
spiccare il volo alle prima occasione utile.

Certamente i due hanno storie diverse, ma averli visti nel
confronto celebrato nel corso della trasmissione di Vespa, è
sembrato di vedere una incredibile affinità.

Indubbiamente uno sfoggia conoscenze culturali, anche se non
approfondite, e declama valori nobili, anche se non ci crede e
palesemente in contrasto con le proprie azioni. L’altro,
invece, non si cura dello stile, manifesta atteggiamenti
caserecci, sfodera minacce a tutto spiano e a ogni domanda
risponde con la stessa risposta: se ho tanto consenso vorrà
dire che lo merito. Dimostrando di esserne sorpreso e di non
saperne spiegare le ragioni.
Entrambe le posizioni non sono da sottovalutare: uno
sbandiera, da sempre, il diritto di ricorrere alla legge del
più forte, tanto da volere imporre un sistema che “avrebbe
determinato un vincitore alle elezioni”, come se si trattasse
di una partita di pallone e non del governo di una Nazione;
l’altro agita le piazze e accende risse contro gli emarginati,
come se quelli fossero il problema del nostro Paese, che nel
frattempo affonda sotto il peso della corruzione e
dell’evasione.

Ma entrambi hanno in comune la tecnica della “distrazione”
rispetto ai problemi reali. Non si vuole che la gente diventi
consapevole e partecipi. Si cerca soltanto l’adesione a un
leader.

Proprio nel secondo giorno di Leopolda è stato affermato il
principio della totale assenza di correnti che, tradotto in
termini civili vuol dire che decide solo lui. Mentre l’altro,
analogamente ha deciso da solo di uscire dal governo e
manifesta l’intenzione palese di non dovere dare conto a
nessuno.

E la folla li segue entrambi. Forse con numeri diversi, forse
con provenienze diverse. E viene spontanea una considerazione:
questa è la vera “antipolitica”.

È finita l’era dei circoli, della partecipazione, degli
ideali. Adesso si sceglie un leader, prima ancora di sapere
come la pensi e lo si sostiene, qualunque cosa faccia.

Non è proprio democrazia. Verrebbe voglia di chiamarla
“matteocrazia”.
Santo Fabiano

24 ottobre: giornata mondiale
dell’informazione       sullo
sviluppo
Mancano pochi giorni e, nell’ampio novero di giornate mondiali
a tema, ricorrerà quella dedicata all’informazione sullo
sviluppo (World Development Information Day).

L’Assemblea Generale delle Nazioni Unite ha istituito tale
Giornata nel 1972, al fine di richiamare l’attenzione sui
problemi legati allo sviluppo e sulla necessità di rafforzare
la cooperazione internazionale per risolverli:
è la diffusione delle informazioni e, quindi, il
coinvolgimento della società civile che accrescono la
consapevolezza su sfide e opportunità dello sviluppo.

Secondo i propositi della Risoluzione 3038 del 19 dicembre
1972, la celebrazione di questa Giornata sarebbe dovuta
coincidere con la Giornata internazionale dell’ONU, il 24
ottobre di ogni anno, proprio per dare risalto al ruolo chiave
che lo sviluppo ricopre nella missione delle Nazioni Unite.

La diffusione dell’informazione è un fattore chiave dello
sviluppo economico, fondamentale per promuovere il benessere
sociale: in particolare le tecnologie dell’informazione e
della comunicazione possono incentivare una crescita economica
inclusiva, equa e sostenibile, favorire l’eliminazione della
povertà e l’inclusività sociale, agevolando anche la
definizione di politiche innovative.

Tutti sforzi che risultano in definitiva indispensabili per
promuovere l’integrazione economica globale, in particolar
modo quella dei paesi sottosviluppati e in via di sviluppo.

Solo due decenni fa, circa il 40% della popolazione nei Paesi
in via di sviluppo viveva in condizioni di povertà estrema: da
allora, si è riusciti a dimezzare questa percentuale anche
grazie agli 8 obiettivi di sviluppo del Millennio, istituiti
nel 2000: sradicare la povertà estrema e la fame nel mondo;
rendere universale l’istruzione primaria; promuovere la parità
dei sessi e l’autonomia delle donne; ridurre la mortalità
infantile; ridurre la mortalità materna; combattere
l’HIV/AIDS, la malaria e altre malattie; garantire la
sostenibilità ambientale, sviluppare un partenariato mondiale
per lo sviluppo.

Secondo il rapporto del Dipartimento per gli Affari Economici
e Sociali delle Nazioni Unite (2016) tutti i Paesi del mondo
stanno ricorrendo progressivamente all’uso delle tecnologie di
informazione e comunicazione nell’erogare servizi e
coinvolgere la popolazione nei processi decisionali.

Anche se occorre rilevare che persistono enormi differenze tra
gli Stati: inaccessibilità alle tecnologie, povertà e
disuguaglianza sociale impediscono alle popolazioni di molti
Paesi di beneficiare del potenziale dell’informazione
digitalizzata per lo sviluppo sostenibile.
La comunità internazionale concorda sulla necessità di
aumentare gli sforzi al fine di garantire l’accesso alla
digitalizzazione ai paesi più svantaggiati, provando a
sradicare la povertà, investendo sulla tutela della salute e
del benessere, sull’accesso all’istruzione e riducendo le
disuguaglianze: potenziare, quindi, l’informazione e la
comunicazione e realizzare la trasformazione che l’Agenda 2030
(un programma d’azione per le persone, il pianeta e la
prosperità sottoscritto nel settembre 2015 dai governi dei 193
Paesi membri dell’ONU) richiede.

Appare, così, importante ricordare quanto recita il primo
articolo della Dichiarazione sul Diritto allo Sviluppo,
adottata nel 1986 dall’Assemblea Generale dell’ONU: “Il
diritto allo sviluppo è un diritto umano inalienabile in virtù
del quale ogni persona umana e tutti i popoli sono legittimati
a partecipare, a contribuire e a beneficiare dello sviluppo
economico, sociale, culturale e politico, in cui tutti i
diritti umani e tutte le libertà fondamentali possano essere
pienamente realizzati”.

La Decisione del Parlamento Europeo e del Consiglio del 16
aprile 2014, Decisione (UE) n. 472/2014, che proclama il 2015
come Anno Europeo per lo Sviluppo, proponeva proprio il
raggiungimento di alcuni obiettivi:

     informare i cittadini dell’Unione circa la cooperazione
     allo sviluppo dell’Unione e degli Stati membri,
     sottolineando i risultati che l’Unione, di concerto con
     gli Stati membri, ha conseguito;
     promuovere la partecipazione diretta, il pensiero
     critico e l’interesse attivo dei cittadini dell’Unione e
     delle parti interessate in materia di cooperazione allo
     sviluppo;
aumentare la consapevolezza dei benefici della
     cooperazione allo sviluppo dell’Unione, non solo per i
     beneficiari dell’assistenza allo sviluppo ma anche per i
     cittadini dell’Unione.

Non possiamo più permetterci di rimanere indifferenti di
fronte alla sofferenza e alle violazioni dei diritti e della
dignità umana che ancora si verificano in numerose comunità.
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