Morto Marchionne, il manager che rivoluzionò la Fiat
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Morto Marchionne, il manager che rivoluzionò la Fiat Addio a Sergio Marchionne. Il manager è morto a Zurigo, nella clinica dove era ricoverato da fine giugno. Accanto a lui la compagna Manuela Battezzato e i figli Alessio e Tyler. “E’ accaduto, purtroppo, quello che temevamo. Sergio, l’uomo e l’amico, se n’è andato”, ha detto John Elkann annunciando la morte dell’ex ad di Fca. “Penso che il miglior modo per onorare la sua memoria sia far tesoro dell’esempio che ci ha lasciato, coltivare quei valori di umanità, responsabilità e apertura mentale di cui è sempre stato il più convinto promotore”. “Un uomo speciale”, ha detto il nuovo ad di Fca Mike Manley che ha parlato oggi dopo la presentazione dei conti dell’azienda con il debito a zero come promesso da Marchionne. Nato a Chieti 66 anni fa, figlio di un maresciallo dei Carbinieri. Studi in Canada (tre lauree in Filosofia, Economia, Giurisprudenza e master in Business Administration), domicilio in Svizzera, due figli, Marchionne, l’uomo dal
maglioncino nero, ha vissuto gli ultimi anni tra Torino e Detroit, guidando la ‘rivoluzione’ che ha portato in Borsa Cnh Industrial e Ferrari. Un manager al centro anche delle relazioni politiche mondiali, da Obama a Trump, che in Italia ha respinto l’invito di Silvio Berlusconi a candidarsi con il centrodestra e ha avuto una lunga luna di miele con l’ex premier Matteo Renzi dal quale ha poi preso le distanze. Terni, in 400 evacuati per una bomba di 250 chili TERNI – Circa 400 persone sono state precauzionalmente evacuate dalle loro abitazioni in seguito al ritrovamento di un residuato bellico, una bomba di aereo inesplosa di 250 chili (500 libbre) risalente alla seconda guerra mondiale, nella zona di Cesi, una frazione di Terni. La decisione è stata presa nel corso di una riunione in
prefettura con tutti gli organismi interessati per esaminare la situazione. Gli artificieri intervenuti, quelli del sesto reggimento Genio pionieri dell’esercito, di stanza a Roma, hanno infatti richiesto l’evacuazione per il “rilevante potenziale esplosivo” dell’ordigno. Il provvedimento riguarda un’area con un raggio di 380 metri dal residuato e che serve a garantire – spiega la Prefettura – la “piena sicurezza” della zona e dei cittadini residenti. Il sindaco di Terni Leonardo Latini ha quindi adottato la conseguente ordinanza e le 400 persone coinvolte sono stati sistemati presso parenti, amici e nel Pala Tennistavolo. Rapina a mano armata al bancomat, muore bandito pluripregiudicato durante il conflitto a fuoco: poliziotti indagati. Il solito atto dovuto?
Sabato 21 luglio, di notte, alcuni rapinatori armati – almeno cinque – hanno assaltato con esplosivo un impianto Bancomat della Banca popolare di Bari, a Brindisi, al rione Commenda. Il 113 sarebbe stato allertato da un passante. Con la pattuglia intervenuta, è nato un conflitto a fuoco, durante il quale è stato colpito a morte tale Giovanni Ciccarone, 50 anni, di Ostuni (BR), risultato pluripregiudicato per contrabbando, furti, rapine, estorsioni, spaccio di droga e di banconote false. Due anni fa era stato arrestato dalla GdF dopo un inseguimento lungo la SS 16 a bordo di un’Audi A 6, in cui furono trovati due Kalashnikov, tre caricatori e 90 cartucce. Dopo la sparatoria i ladri sono fuggiti a bordo di un’Audi A6 Inseguiti da una volante, hanno sparso sull’asfalto chiodi a tre punte, forando le gomme dell’auto della polizia. A seguito dei fatti, i due poliziotti coinvolti nell’uccisione del Ciccarone, vicino al corpo del quale sono state rinvenute numerose cartucce cal. 12, sono indagati per omicidio colposo.
Per l’ennesima volta i tutori dell’ordine sono messi all’indice [Un atto dovuto?] pur avendo agito, non solo legittimamente, ma, in più, nell’espletamento del loro dovere. È superfluo dire che la magistratura dichiara questa indagine un ‘atto dovuto’, per consentirne la difesa. Ma da cosa si dovrebbero difendere, se non hanno compiuto alcun illecito, hanno rischiato la vita e sventato una rapina, ciò che fa parte del loro dovere? A nostro parere la legge va cambiata. A questi elementi bisognerebbe dare una medaglia, altro che indagine per omicidio colposo. In più, le circostanze sono eclatanti e della massima evidenza. Per cui sarebbe bastato un sopralluogo del magistrato per concludere con il non luogo a procedere, senza ingolfare avvocati e tribunali di lavoro superfluo. A questo proposito abbiamo chiesto un parere sull’accaduto, ma soprattutto sulle eventuali modifiche procedurali, al dottor Gianni Tonelli, già Segretario Generale del Sindacato di Polizia SAP, ora deputato della Lega, al fianco di Matteo Salvini. Dottor Tonelli, a proposito del caso della sparatoria di Brindisi lei ha scritto un articolo pubblicato oggi, 24 luglio, sul Tempo di Roma. Perché in questi casi i poliziotti sono sempre indagati, perché le divise ci devono sempre rimettere? È una cosa assurda. Ma questo già partendo dalla legittima difesa che riguarda i cittadini. La materia, sia la legittima difesa che l’uso legittimo delle armi, è inserita nel codice penale e nell’argomento “Cause oggettive dell’esclusione del reato”. Allora, se si esclude il reato, io comprendo che la
magistratura debba aprire un procedimento finalizzato a verificare la sussistenza degli elementi che possano individuare le cause oggettive di esclusione del reato. Ma non è possibile che questo passi tramite l’incriminazione, o comunque la sottoposizione a procedimento penale della vittima. A maggior ragione quando questo avviene nell’adempimento del dovere. Perché i miei colleghi sono andati a sventare una rapina a danno di un bancomat da parte di delinquenti armati che gli hanno sparato contro. Quindi non è possibile adesso che i colleghi, che sono riusciti miracolosamente a salvare la pelle, e a colpire uno dei banditi, adesso si trovino nella condizione di patire gli oneri materiali, quindi economici, e anche morali di un procedimento. Va rivista la procedura, e va rivisto l’approccio, perché comunque, al di là di rivedere normativamente la procedura, io penso che possa essere aperto un fascicolo, come di regola viene fatto, dall’Autorità Giudiziaria, “Atti relativi a…”. E’ chiaro che serve anche una modifica normativa che possa prevedere la possibilità, cioè il dovere, in nome e per conto dello Stato, tramite l’Amministrazione della Polizia di Stato, di provvedere a nominare un perito di parte che assista all’autopsia. Non vedo perciò ragioni per cui queste persone debbano essere sottoposte, come lo è stato per l’eroe di Guidonia, a un procedimento penale. Sono quelle assurdità del nostro ordinamento, per noi che siamo dalla parte del diritto, di cui non riesco proprio a capacitarmi. Ci sono poi alcuni giornali, dalla cui maniera di esporre il fatto, si capisce il loro orientamento politico. Un piccolo giornale di provincia ha titolato “Morto Giovanni Ciccarone” [uno dei rapinatori ndr] come se fosse un personaggio. Ciccarone, come ho scritto nell’articolo che ho scritto per ‘Il Tempo’, è una persona che aveva numerosi procedimenti penali, un pregiudicato che è stato trovato in possesso di alcuni Kalashnikov, cioè tutto si può dire tranne che fosse uno stinco di santo, o che fosse una personalità. Forse lo era nel mondo criminale.
Qualcuno scrive anche “Il presunto partecipante alla rapina”. Il presunto? Uno che con un fucile nelle mani ti spara addosso, cerchiamo un attimo di vedere di cosa stiamo discutendo. È chiara una cosa. Qui, più che la politica, più che il dibattito, dovrebbe intervenire l’Ordine dei Giornalisti, perché io credo che si siano violate le regole elementari di un codice deontologico. Io credo che il giornalista abbia l’obbligo di descrivere la realtà effettiva. Poi la può commentare secondo il proprio pensiero, la propria visione dei fatti. Ma che non possa prescindere dalla realtà storica. Perché se un giornalista con coscienza e volontà altera la realtà storica, viene meno al suo primo dovere di giornalista. Quello di descrivere ciò che è accaduto. Cosa mi dice a proposito del rifiuto di modifica della legge sulla legittima difesa sa da parte dell’ANM? Sappiamo che questo è un punto importante per la politica di Salvini e per la Lega. Il testo presentato nel 2006, molto chiaro, se non fosse stato forzato da una interpretazione giurisprudenziale, che, devo dire, ancora non mi spiego, non ci sarebbe oggi la necessità di rivedere ancora questa normativa. Ma mi sembra molto chiaro che comunque in un paese civile, in cui abbiamo potuto assistere alla metamorfosi dei topi d’appartamento , non è possibile lasciare il vantaggio della prima mossa a chi entra in casa. Cosa ne pensa di due argomenti: primo, il risarcimento al ladro che eventualmente ci lascia la pelle in un’azione delittuosa, secondo, l’eccesso in legittima difesa che per logica andrebbe eliminato. Faccio rifermento a quella cosiddetta ‘responsabilità aquiliana’, di cui all’art. 2073 del Codice Civile, per cui chiunque causi un danno ingiusto è tenuto a risarcirlo. Io credo che manchi l’elemento fondamentale, cioè il danno
ingiusto. Il danno c’è, con la perdita della vita dell’aggressore, ma non è ingiusto. Perché se tu entri in casa mia, e io mi difendo, e ne ho il diritto, perché non ti posso lasciare il vantaggio della prima mossa. La normativa è ingiusta, in questo caso, tra l’altro aggravata anche da un’applicazione giurisprudenziale, molto favorevole ai criminali. È chiaro che comunque manca l’ingiustizia del danno, perché io mi sono difeso. Quindi a mio parere non ci può essere risarcimento. E per l’eccesso in legittima difesa? Come faccio a valutare l’intensità dell’offesa per opporre una difesa proporzionale, nei momenti di concitazione che certamente appartengono a situazioni di aggressione? Oggi la legittima difesa prevede l’attualità, la necessità e la proporzionalità. Io non mi posso modulare, perché per poter avere la proporzionalità devo lasciare il vantaggio della prima mossa a chi entra in casa mia. Ma quando questo mi ha aperto il cervello, mi ha ammazzato, mi ha immobilizzato, e poi magari torturato, io non posso più fare nulla. Allora io non sono in grado di mettere in atto una difesa proporzionata all’offesa. Allora deve intervenire una presunzione di legge, per cui, quando sono in casa mia, o nel mio domicilio professionale, per legge è presumibile il principio di proporzionalità. E quindi non esiste l’eccesso. Roberto Ragone “Naufraga ma con lo smalto
alle unghie”: l’odio della rete e la fake news virale su Josepha L’ennesimo oltraggio per Josepha, dopo quello di essere stata 48 ore in mare, arriva dall’odio web: “è una naufraga ma con smalto”. Post pieni di odio all’indirizzo della migrante camerunense, salvata dagli operatori di Open Arms, e corredati da foto di Josepha con smalto rosso e braccialetti. Da lì la montatura virale: “è un’attrice”, “non c’è stato alcun naufragio”. Una montatura che acquista toni che vanno oltre le fake news, venati di razzismo. “Scappa dalla guerra ma si è pitturata le unghie. Inoltre le mani non hanno l’aspetto spugnoso tipico di chi resta in acqua per ore”, discetta un account su twitter. La fake news corre tra un post e l’altro, tra un social e l’altro, si colora di complottismo e a tratti trasuda persino cinismo fuori luogo, “si è rifatta le unghie tra un naufragio e l’altro”, “funziona come Cocoon, dopo 48 ore in acqua sei più bella”. La verità la racconta Annalisa Camilli, giornalista dell’Internazionale che era a bordo dell’Open Arms quando hanno soccorso Josepha: “ha le unghie laccate perchè
nei quattro giorni di navigazione per raggiungere la Spagna le volontarie di Open Arms le hanno messo lo smalto per distrarla e farla parlare. Non aveva smalto quando è stata soccorsa, serve dirlo?”. A riprova la foto del salvataggio della donna dove chiaramente non ha smalto, nè braccialetti. Ma neanche questo placa l’odio in rete. “Sulla nave Open arms ci si diletta con lo smalto”, ironizza qualcuno e subito sotto accusa finiscono i volontari di Open Arms ‘colpevoli’ di avere lo smalto a bordo e di aver regalato un attimo di umanità, di normalità e anche di legittima vanità alla migrante. Molise pride: su Fb dilaga il video di un uomo con il lanciafiamme CAMPOBASSO – Un uomo con un lanciafiamme: è la gif animata di pochi secondi postata sulla pagina Facebook del ‘Molise
pride’. A denunciare l’episodio è l’Arcigay Molise che ha segnalato quanto accaduto alle competenti autorità. La notizia viene confermata all’ANSA da Luce Visco, presidente dell’Arcigay Molise. “L’episodio risale a qualche settimana fa – dice – abbiamo aspettato prima di divulgare la notizia. Il profilo Fb proviene dalla Sicilia”. “Non temiamo alcun tipo di minaccia – scrive l’Arcigay Molise in una nota stampa – e ciò ci spinge ancora più fortemente a scendere in piazza il 28 luglio a Campobasso per il primo Molise pride”. L’appuntamento ha fatto registrare nelle scorse settimane alcune posizioni contrastanti anche nei palazzi della politica. Il Comune ha concesso il patrocinio gratuito alla manifestazione, la Regione invece lo ha negato. Sulla manifestazione sono intervenuti anche i Vescovi delle diocesi molisane richiamando al “rispetto di etica e religione”. Fonte Nuova: girava armato con un revolver rubato. Arrestato
MENTANA – I Carabinieri della Stazione di Mentana hanno arrestato un italiano di 37 anni, già noto alle forze dell’Ordine per i precedenti, con l’accusa di detenzione e porto illegale di arma comune da sparo. I militari, a seguito di una segnalazione per schiamazzi giunta al 112, sono intervenuti in via Platani a Fonte Nuova dove hanno notato l’uomo, in evidente stato di alterazione psicofisica riconducibile ad abuso di sostanze alcoliche, mentre occultava sotto la maglietta un’arma. I militari sono riusciti, dopo averlo bloccato, e a disarmarlo. L’arma, un revolver con due colpi inseriti nel tamburo, a seguito dei successivi accertamenti è risultata rubata da un’abitazione di Mentana lo scorso settembre. La pistola è stata sequestrata e sarà inviata al RIS di Roma
per gli accertamenti balistici del caso, al fine di verificare se sia stata mai utilizzata in episodi delittuosi. L’uomo invece dopo l’arresto è stato portato nel carcere di Rebibbia in attesa di giudizio. Sergio Marchionne è in fin di vita: già al lavoro l’inglese Manley, nuovo ad di Fca Sono peggiorate le condizioni di salute di Sergio Marchionne rendendo così necessaria un’accelerazione della successione alla guida di Fca, Ferrari e Cnh Industrial. Mike Manley – responsabile del brand Jeep – è il nuovo
amministratore delegato di Fca: è già al lavoro, il primo appuntamento in agenda è la riunione a Torino, al Lingotto, domani e martedì, del Gec (Group Executive Council), l’organismo decisionale del gruppo, costituito dai responsabili dei settori operativi e da alcuni capi funzione e guidato dall’amministratore delegato. Le condizioni di Marchionne – spiega il gruppo – sono peggiorate dopo che in settimana sono sopraggiunte complicazioni inattese durante la convalescenza post- operatoria, aggravatesi ulteriormente nelle ultime ore. Il consiglio di amministrazione di Fca – si spiega – ha deciso dunque “di accelerare il processo di transizione per la carica di ceo in atto ormai da mesi e ha nominato Mike Manley amministratore delegato”. Il nuovo amministratore delegato di Fca, Mike Manley, e la squadra di management del gruppo automobilistico “lavoreranno alla realizzazione del piano di sviluppo 2018-2022 presentato a Balocco il primo giugno scorso, che assicurerà a Fiat Chrysler Automobiles un futuro sempre più forte e indipendente”. Da 14 anni Sergio Marchionne guida Fca. Il suo mandato finisce nell’aprile 2019. Nato a Chieti nel 1952, doppia nazionalità italiana e canadese, due figli, Marchionne diventa amministratore delegato della Fiat nel 2004, alla morte di Umberto Agnelli, al posto di Giuseppe Morchio. L’azienda, allora, è vicina al fallimento, rimasta a galla anche grazie al prestito convertendo concesso da una cordata di banche: il bilancio 2003 presenta un rosso di 2 miliardi e una perdita operativa di 500 milioni. Il manager in pullover blu, arrivato dalla società svizzera Sgs ma un perfetto sconosciuto per la maggior parte degli italiani, trasforma la Fiat in un gruppo globale. Primi passi sono lo scioglimento della joint venture con Gm e la conversione del prestito bancario, mentre non va in porto il tentativo di rilevare la tedesca Opel. Il grande salto con l’acquisto di Chrysler nel 2009, grazie anche all’ottimo
rapporto con Barack Obama, che permette al gruppo di piazzarsi al settimo posto tra i costruttori mondiali di auto. Marchionne porta poi a termine gli spin off di Cnh Industrial e Ferrari, operazioni che spingono la capitalizzazione di Fca vicino ai 56 miliardi. Più recente il piano di rilancio dell’Alfa Romeo, di cui fa parte anche la scelta di portare il Biscione in Formula Uno e la nascita del polo del lusso con Maserati. Tre lauree e un master in business administration, Marchionne è anche l’uomo della “rottura” nel campo delle relazioni industriali, con la disdetta nell’aprile del 2010 del contratto nazionale e la richiesta ai sindacati di una serie di concessioni per investire a Pomigliano nella produzione della nuova Panda. E’ l’inizio del lungo duello con la Fiom, tra fabbriche e tribunali, mentre a fine 2011 arriva la decisione di Fiat di uscire da Confindustria. E, intanto, come anticipato da Automotive News Europe, è Louis Carey Camilleri, membro del board Ferrari, il successore di Sergio Marchionne nella carica di amministratore delegato della casa di Maranello. Il presidente sarà John Elkann. Il cambio al vertice – secondo le indiscrezioni – sarà deciso oggi nel cda della Rossa. Louis Carey Camilleri si è formato in Philip Morris International. Vibo Valentia, colpo al clan Mancuso: il figlio del boss Pantaleone vuota il sacco. In
manette 18 persone VIBO VALENTIA – La Polizia di Stato di Vibo Valentia, dalle prime ore di stamane, ha dato esecuzione ad un´ordinanza di custodia cautelare, emessa dal G.I.P. distrettuale di Catanzaro, dott.ssa Paola CIRIACO, nei confronti di 18 persone, ritenute responsabili di appartenere ad un´associazione a delinquere dedita al narcotraffico. Per 8 persone è stata disposta la custodia cautelare in carcere, per 9 gli arresti domiciliari e, per 1, l´obbligo di dimora. Nel corso dell´operazione, coordinata dalla Procura Distrettuale Antimafia di Catanzaro ed eseguita dalla Polizia di Stato, con il supporto del Servizio Centrale Operativo, insieme alle Squadre Mobili di Catania, Catanzaro, Cosenza, Messina e Reggio Calabria, i Reparti Prevenzione Crimine di Vibo Valentia, Cosenza e Siderno, l´Unità Cinofila di Vibo Valentia e il Reparto Volo di Reggio Calabria, altri 21 soggetti sono stati indagati a vario titolo per il reato di associazione a delinquere dedita al narcotraffico e detenzione ai fini di spaccio di sostanze stupefacenti. Inoltre, con la collaborazione delle Squadre Mobili di Alessandria, Brescia, Caltanissetta, Catanzaro, Chieti Genova, Imperia, Lecce, Milano, Napoli, Salerno e Savona si stanno anche effettuando 18 perquisizioni a carico delle sedi di una
società, attiva nella vendita online di semi di canapa indiana, site in quelle province, a carico delle quali verrà anche notificato un provvedimento di sequestro preventivo. L´operazione – alla quale hanno partecipato circa 200 agenti della Polizia di Stato – rappresenta l´epilogo di una complessa attività investigativa, avviata già dal 2015, che permette oggi di smantellare un´associazione a delinquere finalizzata alla produzione, coltivazione e vendita di sostanze stupefacenti, in particolare marijuana, capeggiata da Emanuele MANCUSO, figlio di Pantaleone, alias “l´Ingegnere”, esponente apicale dell´omonima consorteria criminale dell´`ndrangheta di Limbadi. Le attività investigative, scaturite dal sequestro di appezzamenti di terreno adibiti a piantagioni di marijuana, siti in località Nicotera, Joppolo e Capistrano, per un quantitativo di circa 26.000 piante, hanno consentito di evidenziare, anche grazie ad attività tecniche ed al supporto della Polizia Scientifica, la capacità dell´organizzazione di provvedere a tutte le varie fasi del ciclo di produzione della sostanza stupefacente. In particolare, con l´acquisto on line di semi di canapa indiana e di concime, effettuati direttamente dal capo del sodalizio Emanuele MANCUSO, l´organizzazione realizzava la costruzione delle strutture ove piantare i semi, curare la germinazione e la fioritura delle piante, la crescita, la lavorazione e, infine, l´immissione sulle piazze di spaccio. Le varie attività erano assicurate da accoliti di MANCUSO, ma anche da mano d´opera reclutata tra extracomunitari. Nel corso delle investigazioni, si è anche accertato come MANCUSO – tramite l´utilizzo di droni – controllasse i terreni destinati alla coltivazione della droga. Le risultanze delle indagini, coordinate dal Sostituto Procuratore della D.D.A. Annamaria Frustaci ed oggetto di
precisi riscontri, sono state recentemente suffragate dalle dichiarazioni dello stesso Emanuele MANCUSO che ha avviato un percorso di collaborazione con i magistrati della Procura Distrettuale Antimafia di Catanzaro. Labico, sospesa la licenza a un bar del centro LABICO – Proseguono i controlli e il monitoraggio degli
esercizi commerciali da parte dei Carabinieri della Compagnia di Colleferro. I militari della Stazione di Labico hanno proposto alle Autorità di Pubblica Sicurezza preposte la sospensione della licenza di un noto bar del centro della cittadina. Il provvedimento è scaturito dalle varie segnalazioni pervenute al numero d’emergenza “112” e dai numerosi servizi di controllo del territorio che i militari hanno costantemente effettuato riscontrando, in quel locale, l’assidua presenza di avventori con precedenti penali in materia di droga, reati contro il patrimonio e reati contro la persona, facendolo diventare un luogo abituale di ritrovo. Decisiva è stata, tra l’altro, la rissa avvenuta pochi giorni fa scoppiata nei pressi del bar tra 4 persone, anche queste avventori dell’esercizio, a seguito della quale sono rimasti feriti anche i due Carabinieri intervenuti per riportare la calma tra i contendenti. I militari hanno notificato alla titolare del bar – una 50enne di Labico – il provvedimento che impone la chiusura temporanea di 20 giorni. Milano, uomo murato sotto pavimento: un arresto
MILANO – La Polizia di Stato ha arrestato un uomo di 47 anni, Luca Sanfilippo, residente a Cinisello Balsamo al confine con Milano, accusato di essere l’autore dell’omicidio di Antonio Deiana, di 36 anni, scomparso il 20 luglio del 2012. Avrebbe fatto alcune ammissioni. L’ attività investigativa condotta dai poliziotti della Squadra Mobile di Como e Milano, nonché del Commissariato Greco Turro, è stata coordinata dalla Procura della Repubblica del Tribunale di Monza. Il caso è stato anticipato da articoli su diversi giornali. Secondo la loro ricostruzione il corpo di Deiana è stato trovato all’interno di una cantina di uno stabile a Cinisello ricoperto da una colata di cemento. Sarebbe stato ucciso per motivi di droga nell’ambito di un traffico della ‘ndrangheta. Il fratello, Salvatore Deiana, era stato ucciso a coltellate e sepolto in un bosco a Guanzate (Como) e trovato dopo la confessione di uno dei killer.
Brindisi, muore durante assalto a bancomat BRINDISI – Un uomo è morto la scorsa notte a Brindisi durante un conflitto a fuoco con la polizia mentre con altri stava tentando un assalto ad uno sportello bancomat mentre i complici sono riusciti a fuggire in auto. A quanto si è appreso, i banditi erano almeno in quattro ed erano armati. Avevano già inserito in una fessura del bancomat una striscia di esplosivo per scardinare la cassaforte, quando sono stati intercettati da una volante della polizia. Ne è nato un conflitto a fuoco durante il quale – con modalità ancora da ricostruire – uno dei banditi è stato ucciso. Gli altri sono fuggiti in macchina inseguiti dai poliziotti. Alla periferia di Brindisi hanno lanciato sull’asfalto delle punte chiodate fermando le ruote della volante e bloccandola
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