Ma come andrà a finire ? - NUMERO 280 inedizionetelematica
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NUMERO 280 in edizione telematica 10 maggio 2020 DIRETTORE: GIORS ONETO e.mail: spiridonitalia@yahoo.fr ma come andrà a finire ? Non avremmo mai immaginato che ci saremmo ridotti, un giorno, a dover scrivere di sport e di atletica per … metafore. Riducendo cioè, l’uno e l’altra, ad mero esercizio filosofico. Evocando per immagini e ricordi emozioni e slanci. E’ quanto ci costringe fare questo maledetto virus che, annullando brutalmente lo sport attivo, ci sta privando delle emozioni che solo lo sport combattuto ci può dare, e ci nega del piacere di condividere queste emozioni con i nostri interlocutori. E magari con loro anche dissentire... sportivamente si intende. E le prospettive future purtroppo sono nere anche se se ne sentono di tutti i colori. Per ora purtroppo non ci resta che il surrogato del “virtuale” . Che sarà anche bello perché ci fa sentire, alla lontana, interviste dei guru dello sport, di conoscere come pensano d’allenarsi il tale ed il tal’altro campione, di seguire i dibattiti su se, su come e quando ci saranno le Olimpiadi o il Golden Gala , su quando saranno eletti i successore di Malagò e di Giomi, Ma non è quello che vogliamo né é quanto basta alla gente. Gli sportivi , la gente che ama lo sport e l’atletica vuole la passione, vuole l'entusiasmo.Si vuole poter godere il fascino d’uno sprint, l’ansia dell’ultima curva o del poter urlare.”vai, vai…”. In poche parole, per vivere, parlare, scrivere e leggere di sport bisogna poter fare tifo. Siamo stufi di scrivere: “tristi notizie dal mondo dello sport, da quello del calcio per esattezza. Ci chiediamo, credono di fare bella figura i milionari giocatori a protestare per il taglio degli stipendi? Perché con slancio sportivo non hanno proposto loro di autolimitare i loro compensi e donarli magari alla ricerca e agli ospedali? Questa casta di circensi beneficia anche di trattamenti medici esclusivi, con tanto di tamponi a gogò...E ancora tutta la federazione preme per fare ripartire i giochi nel circo, vuoto in questo caso, ma ricco di inserzioni pubblicitarie via streaming, in baffo alle recenti notizie che davano contagiati quasi tutti dopo gli eventi sportivi di ottobre in Cina. Perché forzare il rischio e dare cattivo esempio? Sport amaro..." (S. Taje') Ci vuole altro. Tutti insieme abbiamo nostalgia dell’agonismo, dell’ansia del risultato. Della voglia di commentare gli eventi nella loro totalità. Né tantomeno vorremmo più riportare cronache come questa: “Privati di duelli sui salti ufficiali, i leader mondiali nel salto con l'asta - e la Federazione internazionale di atletica - hanno trovato una soluzione improvvisata. Renaud Lavillenie Armand Duplantis e Sam Kendricks hanno gareggiato in una animata competizione al termine della quale si sono imposti a pari merito Lavillanie e Duplantis. L’incontro, trasmesso via Internet, è stato disputato nello ... stadio internazionale del ”Giardino di casa propria”.(P.Gaudin). E Che San Sebastiano ci dia una mano. Giors
SPIRIDON/2 (arrivederci a luglio… forse) di Pino Clemente Analisi a distanza con Antonio La Torre, Docente di scienza applicata allo sport nel segno di Enrico Arcelli, dal settembre 2018 al vertice del settore tecnico nazionale. Chiediamo come abbia reagito al fermo allenante e agonistico determinato dal Coronavirus. - Siamo passati dai Campionati italiani indoor di Ancona, con risultati assai promettenti, impreziositi nella domenica 23 febbraio dal primato italiano in maratona di EyabFaniel, a un cambiamento improvviso, di dimensioni mondiali. Da quella data sono trascorsi oltre settanta giorni, e la vita di tutti noi è radicalmente cambiata. Superato il primo momento di forte turbamento, la domanda è stata: come reagire pur in un contesto drammatico (ogni giorno bollettini con centinaia di morti), come provare a cogliere opportunità in mezzo a mille criticità. Racconti come lo stato di necessità, con l'utilizzo delle tecnologie, sia divenuto gradualmente virtualità. - Ci siamo inventati la piattaforma Atletica Viva, palestra di idee e di confronto, pensando anzitutto alle migliaia e migliaia di giovani atlete ed atleti costretti in casa dal mese di marzo e domandandoci cosa potessimo fare per evitare la perdita della condizione acquisita sia sul piano fisico sia sul piano mentale. Costretti a imparare in un mese cose che forse avremmo approntato in cinque anni, facendo dunque di necessità virtù ci siamo inventati un modo nuovo di comunicare tra noi, e anche un modo nuovo di fare tecnica e didattica dell'atletica a distanza. Ѐ stata una sfida affrontata con impegno totale da tutta la struttura tecnica. Sono orgoglioso di constatare come questa squadra stia crescendo. Sta emergendo da parte di ciascuno creatività. Un modo di pensare diverso che non attende soluzioni salvifiche ma prova in prima persona a fare qualcosa per non rassegnarsi alle costrizioni imposte dal convitato di pietra, il Covid 19. Se si ripensa ad altre fasi storiche, dinanzi a queste emergenze e a un nemico sconosciuto, vincono non i più forti ma coloro capaci di adattarsi prima e meglio al contesto. Noi stiamo provando, e i risultati incoraggiano ad andare avanti. In un mese di vita di questa piattaforma siamo a oltre 100 video prodotti dai nostri migliori atleti, oltre 600.000 visualizzazioni e decine e decine di webinar tecnici, toccando l'impressionante cifra di 7.000 presenze di tecnici di tutte le età, con relazioni di alto livello e una partecipazione crescente e interattiva di giovani e meno giovani. In conclusione, un laboratorio di idee, di confronto di esperienze e di buone pratiche basate sull'evidenza. Come si presenta l'organigramma nel passaggio dall'isolamento alla transizione attuale? - L'organigramma resta inalterato. Il bilancio registra una squadra di grande solidità, impegnata a confrontarsi con schiettezza scoprendo con piacere che si possono fare cose diverse. Ѐ questo cambio di mentalità che andremo a valorizzare quando (… già, quando?) sarà possibile tornare ad una condizione normale. Grande gioco di squadra (non esistono "uomini soli al comando"…), e soprattutto la convinzione di continuare ad usare le cose nuove che abbiamo e stiamo imparando anche quando si tornerà a una "diversa normalità". Quali i protocolli da rispettare, considerando che, pur disciplina individuale, alcune specialità dell'atletica, vedi mezzofondo e fondo, sono inevitabilmente esposte a contatti. - Un nostro gruppo di lavoro ha elaborato un disciplinare assai rigoroso al fine di rispettare le misure e le regole suggerite dalla comunità scientifica. Il prodotto del gruppo di lavoro FIDAL è incluso nel rapporto di 400 e passa pagine che il Politecnico di Torino, insieme al CONI, ha consegnato al Ministero della Sanità. Proviamo a fare un quadro riguardante gli atleti di vertice… - Anche in una situazione di difficoltà Filippo Tortu e Gianmarco Tamberi hanno dimostrato di essere dei fuoriclasse. Pure nel dispiacere seguito al rinvio olimpico al 2021 hanno reagito continuando ad allenarsi in casa nel periodo di forzato lockdown. Stanno bene, e come loro le altre nostre punte, Davide Re, Luminosa Bogliolo, Yeman Crippa, Leonardo Fabbri, Massimo Stano, le marciatrici Giorgi e Palmisano, come pure Eleonora Vallortigara, Alessia Trost e tutti gli altri. Speriamo di organizzare raduni nel mese di giugno, in località diverse secondo le varie esigenze. Sul piano personale, data per scontata l'immanenza del disagio, può evidenziare qualcosa di positivo? - Paradossalmente, la necessità, in qualche modo, di imparare. Sul piano più intimo, il recupero di qualche buona lettura. Ma poco rispetto alla mancanza di rapporti umani, all'infinita tristezza provata pensando a tutti coloro che non ce l'hanno fatta, alla preoccupazione per le nostre società di base, molte delle quali, senza aiuti, cesseranno di vivere. Avverte sudditanza nei confronti del calcio professionistico? - NO. Sempre nel novero delle ipotesi, può fare una previsione su una reale ripresa agonistica? - Dare certezze non è ovviamente possibile, così come impossibile anticipare previsioni sull'evolversi del Covid 19. La speranza: poter disputare gare con format anche diversi da quelli abituali a partire dalla metà di luglio.
SPIRIDON/3 fuori tema "Nell'atletica, da dieci anni almeno, costantemente, si assiste a un decremento di tesserati nel complesso superiore al 100%, con una piccola flessione nelle perdite in quest'ultimo anno. Parallelamente si è assistito a una ormai diffusa a tutte le categorie, lodevole ma purtroppo sterile, tecnicizzazione dell'attività con una sempre più manifesta tendenza a limitare l'attenzione ai cultori più adatti all'attività di vertice. Le conseguenze di questa impostazione non solo risultano dai numeri dei tesserati (che potrebbero avere un significato relativamente rappresentativo) quanto nelle sempre più gravi carenze di nuovi quadri dirigenziali, tecnici, pubblicistici nelle varie categorie, in genere provenienti dai cultori medi più interessati all'ambiente ed ai valori di base dell'atletica (benedette le vecchie seconde e terze serie!). La progressiva tecnicizzazione e verticizzazione dell'atletica, e la sua affermazione strumentale spettacolare, hanno portato alle disfunzioni già ampiamente denunciate: qualche sciagurato poco consapevole ha imboccato il tunnel del doping, qualche altro quello del dolo organizzato. In breve si è persa la faccia e la credibilità. Ѐ stato necessario un forte periodo di mobilitazione, dal quale mi sembra non siamo ancora fuori. E allora quale modello scegliere per lo sviluppo dell'atletica leggera verso il 2000?O meglio, è possibile uno sviluppo?Sono fermamente convinto che la forza interiore dell'atletica sia ancora la sua terribile semplicità: la misura delle forze dell'uomo nei confronti del suo contorno naturale, la possibilità universale di confronto attraverso tecnologie ancora semplici alla portata di tutti, il valore oggettivo delle prestazioni tecniche. Si tratta di contenuti che possono essere ancora il motivo portante di un possibile sviluppo futuro qualora però ne vengano sempre garantite le condizioni al contorno. Quindi spazio all'attività e ai cultori di tutte le categorie, onore e gloria ai processi di razionalizzazione anche scientifica dell'atletica e bando assoluto ai sistemi di dolo, di doping, ai marchingegni per la ricerca dei record, dello spettacolo fine a sé stesso, che alla fine potrebbe esaurirsi ed esaurirci. I problemi appaiono in questo momento molto complessi: coniugare l'atletica di tutti i giorni con quella di vertice, bilanciare le esigenze tecniche con quelle spettacolari, trovare un modello di sviluppo che si accordi con quello delle altre discipline sportive, con le quali non si può essere mai in conflittuale competizione, rieducare i cultori alle regole fondamentali, ai sapori e ai valori di base, non perdersi nessuno. Sono altresì convinto che una delle chiavi fondamentali del sistema sia nelle vostre mani e che con voi vada studiata la strategia difficile, ambiziosa e anche molto lunga per tirare fuori una impresa valida. Siamo alle soglie di un nuovo periodo, vediamo un po' cosa siamo in grado di combinare". Nulla di meglio, in periodi di fermo, che riflettere. E nulla di meglio che affidarsi all'estratto di un testo che Renato Funiciello affidò in copia a Nicola Candeloro, pubblicato in chiusura del libro che Fabio e Francesca Funiciello dedicarono alla memoria del padre. Corredato delle testimonianze abbinate di colleghi accademici e di vecchi compagni di atletica, il testo risale all'indomani dei Giochi di Los Angeles. Era, quindi, il 1984. Era stato inviato confidenzialmente, facendo il punto sull'atletica, ad Elio Trifari, che in quei Giochi, insieme con Franco Arturi, su dettato di Candido Cannavò, aveva messo la firma su una teletrasmissione che aveva consentito leggere la Gazzetta oltre Oceano nelle stesse ore in cui il quotidiano svegliava le edicole italiane. Di Renato Funiciello, della sua atletica ragione e sentimento, dell'autorevolezza acquisita nell'ambito scientifico internazionale, i più sanno. L'inserimento nel Pantheon dell'Atletica Italiana, in compagnia di Eugenio Montale, Ottavio Missoni, Roger Bannister e Margherita Hack, ne è testimonianza. Al giorno d'oggi poco o nulla, di quel testo, cambieremmo. Nota grigia, il richiamo finale all'auspicio di un coinvolgimento strategico degli organi di informazione: un fallimento, Gazzetta in prima fila, con la sepoltura, in qualche decennio, di un superbo intrattenitore culturale. augustofrasca@libero.it
SPIRIDON/4 Se c’è qualcosa che di questi tempi infastidisce, almeno il sottoscritto, ancor più del coronavirus con il quale nolenti o dolenti dobbiamo convivere,sono i lamenti del mondo del calcio professionistico. E’ tristemente quasi comico vedere chi ha speso cifre folli piangere sulle perdite che l’attuale situazione può riservargli. La domanda è: qualcuno l’ha obbligato ad aprire il portafogli oppure ad assumere il ruolo dirigenziale che occupa? O si è trattata di libera scelta, dettata dalla voglia di comparire? Si badi, occorre distinguere: non è colpa di chi riceve folli offerte per far parte di una squadra oppure di un’altra, ma di chi accetta certe logiche di un mercato nel quale la ragionevolezza non si sa che cosa sia, legittimando l’ipotesi che in alcuni grandi clan si sia dato al più sconsiderato il “giocattolo” in cui spendere e spandere in quanto i danni economici sarebbero stati comunque inferiori a quelli che avrebbe procurato occupandosi degli affari di famiglia. Stando alla logica che lo Stato deve rifondere o quanto meno aiutare i danneggiati, viene da chiedersi perché a tanti piccoli imprenditori vengono “prestati” dei soldi che poi nel tempo dovranno restituire, mentre per certi altri l’elargizione dovrebbe essere a fondo perduto. “Il calcio è un’industria” si sente ripetere: e allora come ogni industria deve badare al proprio bilancio, così come a livello familiare si devono fare soltanto le spese “coperte” perché, alla fine, nessuno rifonderà la vacanza esotica frutto di un indebitamento: la presunta miseria di tanti è dovuta proprio a scelte irragionevoli. Per non dire di chi lamenta sovvenzioni statali troppo misere, tacendo il fatto che sono proporzionali a denunce dei redditi in cui venivano in qualche modo occultati i reali guadagni. Osservo dunque con curiosa rabbia, e mi auguro si sia in tanti a farlo ritrovando la ragionevolezza perduta, i lamenti che si alzano dal mondo del pallone, da quei presidenti che dopo aver inflazionato il mercato con spese folli ed ingaggi che in un solo anno (e non parlo di casi limite come Ronaldo) valgono ben più del guadagno di un’intera vita di un infermiere, adesso si disperano e temono le conseguenze di quello che è stato il loro sconsiderato agire. “Il calcio deve ripartire”: già, peccato che chi lo pratica siano esseri umani e che la loro vita abbia anche un valore, che prescinde dalla “ragion di stato” e dalla follia di certuni che si definiscono tifosi o, ancor peggio, sportivi. Aggiungiamo noi “della poltrona”. Ovvio che non auguro del male ad alcuno e quindi neppure alle società del calcio professionistico di fallire, ma se questo dovesse accadere sono pronto a liquidarlo con un’alzata di spalle. Se lo sono cercato. E giusto per essere positivo l’augurio è che questa esperienza aiuti a dare una dimensione nuova ad un mondo in cui si è perduto il senso del limite, in chi gestisce e in chi ha ridotto ad idoli anche modesti pedatori. I soldi, chi li ha, sarebbe meglio li investisse per dare lavoro a tanti e non in un’industria che produce solo un tipo particolare di “drogati”. Viviamo in un divenire che, ovviamente, non conosciamo. Però, anche se si può dubitare che saranno in molti a farne tesoro, quanto meno la pandemia di Covid-19 dovrebbe aiutare a riflettere sulle storture di questo mondo che in troppi vogliono modellare a loro beneficio, ovvero sui diritti senza assumere quei doveri che, ovviamente, toccano agli altri. Banalmente si può partire dalle piccole cose: “lascio l’auto posteggiata in seconda fila tanto è solo per cinque minuti”, oppure “il semaforo è giallo ma passo lo stesso perché sono gli altri che prima di partire devono accertarsi che la strada sia libera”, o ancora – secondo la moda attuale – “sono in bicicletta, quindi rispetto l’ecologia, e dunque è giusto che siano i pedoni a fare attenzione se procedo sul marciapiede”. Gli esempi sono tanti e ciascuno rappresenta il ritenuto sacrosanto diritto diadattare le regole al proprio comodo. L’universo dello sport, quello al di fuori del professionismo– basket e pallavolo, purtroppo stanno copiando il peggio del mondo calcistico –, purtroppo non fa eccezione: si cerca l’aiutino anche solo per essere davanti al dirimpettaio oppure, in tempo di Coronavirus, ci si
SPIRIDON/5 lamenta perché non si può andare a fare l’abituale corsetta, beninteso salutare, anche se andando per strada – in tempi normali – e vedendo ciabattare alcuni ti viene da pensare che dovranno ritenersi fortunati se arriveranno fino a casa, senza essere prima preda di un infarto. Per fortuna, ogni tanto, arriva anche qualche buona notizia come quella del tribunale di Losanna che ha respinto le istanze di chi ha gioito quando è stato annunciato che l’Olimpiade era posticipata di un anno, nella speranza che la sua pena di dopato in questo modo scadesse e gli permettesse di partecipare ai Giochi. Patetico che l’interessato non sia riuscito a crearsi una nuova vita e che addirittura ipotizzi di andare avanti fino all’Olimpiade del 2026. Se non è in grado di fare determinate scelte – è lui che ha sbagliato inseguendo il mito dell’invincibilità, non il mondo che lo ha preso di mira– sarebbe ora che almeno rivedesse la cerchia dei suoi “consigliori”: prima una manager che lo ha introdotto in un mondo dorato al quale non soltanto non era preparato ma che la spinto a scelte insensate, quindi colui che si definisce “paladino della lotta al doping” e nella vita ha sempre e soltanto parlato male di tutti, attuando una forma di sciacallaggio che lo ha portato a cercare di strumentalizzare persino la tragica fine di Donato Sabia. Giorgio Barberis giornalismo sportivo tra rulli e gare di asta in famiglia Lo sport è fermo e il giornalismo sportivo non sa più che inventarsi. Definitivamente morte inchieste e opinioni si inseguono performance virtuali che sono indizi di alienazione per il pubblico e voglia di rimanere sulla cresta dell’onda di organizzatori e protagonisti. Come giudicare i pezzi dedicati dal Corriere della Sera e dalla Gazzetta dello sport al ben poco appassionante Giro d’Italia virtuale sui rulli se non per ricordarsi che la Rcs, editrice delle testate, è anche l’organizzatrice del Giro d’Italia “vero”, ricollocato in calendario ad autunno, schiacciato su altre contiguità agonistiche? Dovremo appassionarci per la sfida in famiglia del salto con l’asta tra i migliori specialisti al mondo su modiche misure, non lontane dai cinque metri? Dove è lo sport, dov’è il parametro tecnico, il confronto diretto? No, non ci appassioniamo. Però i giornali in crisi vanno comunque riempiti e noi esterneremo la massima solidarietà per i colleghi che devono rimpastare un prodotto pizza e fichi, puntando sull’inesistente mercato dei calciatori, sulle diatribe per la ripresa dell’attività, sugli anniversari e le rievocazioni (molto gettonati Coppi, Bartali Nibali e Owens in una purulenta insalata). Del resto non è tempo per gli editori puri se Cairo prepensiona 38 giornalisti su una dotazione di 353 e Molinari viene promosso direttore di Repubblica dopo aver affondato i conti de La Stampa. Tra chi più si presta a questa manipolazione mediatica ci sono la Pellegrini e Tortu. Per il velocista diventa notizia anche il semplice ritorno in pista e purtroppo le interviste confermano l’intenzione negativa. Non voleva affrontare i 200 nel 2020, repetita juvant non li affronterà neanche nel 201. E così siamo già pronti a registrare il salto del gambero di un velocista che, seppure giovane e in progresso, nel 2019 non ha migliorato il tempo del 2018 sulla breve distanza, pescando comunque il jolly di una quasi irripetibile finale mondiale. Solo dopo aver sbattuto il muso sulla concorrenza globalizzata il virgulto si ricrederà e si renderà conto di aver investito l’allenamento sulla distanza sbagliata. Se il tempo non lavora per Tortu certo non lavora neanche per Schwazer. In altra parte della rivista troverete un pezzo monografico su di lui. Ci guardiamo bene dall’entrare nel merito della complicata querelle. Rimaniamo solo affascinati e anche un po’ inebetiti dal conclamato desiderio di provare la chance del 2024. Ci crede o ci fa? E’ sostenuto da una volontà alfieriana o deve tener alto il livello di tensione per il processo?. Che secondo la sua interpretazione potrebbe rimescolare le carte. Schwazer può anche immaginare di tener duro per altri 4 anni ma la concorrenza non rimane inerte ad attendere il suo come back. La marcia anche come scelta di distanze olimpiche va incontro a una riconversione che non lavora per lui. Dunque il proposito è insieme utopico e velleitario ma giornalisticamente insinuante. Intanto è durata due giorni (ci pare) la fake news che vorrebbe che il paziente zero e i prodromi del coronavirus si fossero delineati già ai Giochi Militari di Wuhan, risalenti all’ottobre del 2019. Un altro desaparecido dello sport italiano- Tagliarol, medaglia d’oro olimpica ma ormai dodici anni fa- ha insinuato l’ipotesi ma nessuno dei 169 compagni di squadra l’ha confermata. Ci sta che qualcuno abbia accusato stanchezza, febbre e sintomi vari dopo un viaggio così lungo ma di qui a parlare di un anticipo di Covid-19 ce ne corre. Anche quello spunto appartiene al capitolo del giornalismo applicato a vicende immaginarie. Molto più reale il confermato interessamento del segretario della Fidal Fabio Pagliara alla cordata che vuole acquistare il Catania, interessante come piazza molto più dell’attuale campionato di appartenenza. Due lavori in uno? Questione di scelte e di applicazione. Speriamo che non sia un multitasking professionale negativo per l’atletica! DANIELE POTO
SPIRIDON/6 Animula vagula, blandula... scelti da Frasca ATTENTI A NON TRADIRE NEBIOLO Adesso che Nebiolo è stato celebrato e sepolto, ho come l'impressione che sia mancata qualcosa. Come se lo avessimo celebrato molto, ma schiacciandolo contro un muro. Ho letto molti elogi su di lui "padre dell'atletica". Non c'è dubbio sia vero, ma erano gli stessi elogi di quelli che chiamavano Brera il migliore dei giornalisti sportivi. Brera era un artista vero, uno scrittore che per vivere faceva il giornalista. La cultura ufficiale ai vari livelli approfittava di questa sua ricchezza di talenti per rinchiuderlo nell'angolo con cui non doveva fare i conti, lo sport, Così mi è sembrato di Nebiolo. Ѐ veramente limitativo definire Nebiolo rinchiudendolo nella sola atletica. Nebiolo ha inventato lo sport moderno molti anni prima di Samaranch, indicando anzi allo stesso movimento olimpico la strada del futuro, giusta o sbagliata che fosse: quella del grande professionismo. Ѐ straordinario che un uomo come lui, un dirigente sportivo del suo livellonon sia mai diventato per esempio presidente del Coni. Ci fu una volta, dodici anni fa, che scese in campo ufficialmente e corse contro Gattai. Ripeto, Primo Nebiolo contro Arrigo Gattai. Il nostro sport (e i nostri giornali sportivi) riuscirono a far vincere Gattai. Nebiolo era troppo energico e troppo diverso. Forse nemmeno tanto lineare. Amava più Machiavelli che Hegel, il suo idealismo era sempre realizzabile.Ѐ stato l'uomo che ha avuto più sogni e più ne ha tradotti fra tutti i grandi uomini di sport che io conosca. Forse più di de Coubertin, il quale ebbe la fortuna di essere francese eaver concepito un sogno molto patrizio. Nebiolo è stato certamente più grande di de Coubertin, il cui dilettantismo obbligatorioera sicura dimostrazione di classismo, ma mentre a de Coubertin vengono ancora oggi attribuite frasi storico-celebrative che non ha mai detto, ma "stanno bene", come il famoso meglio partecipare che vincere, da Nebiolo vedrete che tutti o quasi faranno a gara per allontanarsi, per farlo dimenticare. Nebioloè stato un uomo di grandi rotture che ha costruito moltissimo. Aveva energia, fantasia e volontà che lo portavano eternamente sul margine del rischio. La sua era un'etica di frontiera, il bene di tutti passa sopra al bene di un singolo, la storia a volte è troppo altruista, va indirizzata meglio. Tutto lo sport mondiale si è abbeverato al suo candore piratesco, alla sua spregiudicatezza illuminata. Tutti cercheranno di continuare a utilizzarla, ma senza essere lui. Vedreteche si cercherà di rimuovere l'opera e il ricordo di Nebiolo perché troppo grandi e troppo scomodi, non imitabili. Ma sia quel che sia, non sarà mai giusto parlare solo di Nebiolo e di atletica. Nebiolo è stato tutto nello sport, e lo è stato in tutto il mondo. Se abbia fatto bene non so, ma tutto quello che vedete intorno a noi e in televisione lo ha praticamente pensato lui, voluto lui. Lo stesso calcio che adesso sembra così arrogante, è arrivato vent'anni dopo Nebiolo e chissà quanto ha preso da lui. Con una differenza. Che Nebiolo non ha mai dimenticato le sue origini e il movimento di base, è morto ancora da presidente dello sport universitario mondiale.Il calcio tiene adesso moltissimo a dividere i suoi professionisti dai tanti ragazzi del calcio sociale. Come tutti i grandi innovatori, il vecchio imperatore sarà scomunicato nel giro di pochi anni. Ma quando vorrete guardare nel profondo delle cose che accadono, compreso il lato oscuro della Forza, per anni e anni, forse per decenni, troverete ancora la mano e l'anima di Nebiolo. Mario Sconcerti (Firenze 1948), direttore delCorriere dello Sport, 10 novembre 1999.
SPIRIDON/7 L’ex allievo Sergio Quinzio: «Era una scuola seria...» Negli anni Cinquanta le scuole di Don Bosco funzionavano meglio delle altre, formando operai capaci, competenti. Nonostante l’avversione al modello salesiano, figlio di un cattolicesimo che gli appariva integralista e “papalino”, Guido Piovene non poteva negargli efficienza e competitività. Nel suo Viaggio in Italia osservava: «Che cosa mi ha impressionato di più visitando la casa madre (Valdocco a Torino, nda) dei salesiani di Don Bosco? Certo, i laboratori per le arti e i mestieri, dove si formano i meccanici, i sarti, i tipografi, i falegnami. È noto che gli allievi di queste scuole si distinguono nelle industrie laiche. Ma ancora di più: l’insistenza del salesiano che mi accompagna su una parola: moderno. Una delle poche parole che egli pronuncia, giacché per il resto è laconico. Moderno. Don Bosco, mi dice, è sempre più avanti di tutti, più moderno di tutti. “Moderne” le riviste di moda straniere di cui è dotato il laboratorio dei sarti. Moderna la tipografia, moderno il teatro; la sala degli spettacoli, “la più moderna di Torino”». Don Bosco giunse per gradi a creare i suoi primi laboratori artigiani tra il 1853 e il 1869. Nei suoi laboratori si puntava soprattutto a insegnare un mestiere, ma non si trascurava di scegliere settori di produzione anche sulla base di concrete esigenze del mercato locale. Fra l’altro, l’apprendistato nei laboratori salesiani aveva imposto fin dall’inizio una disciplina del tempo e del rispetto degli orari che era conquista nuova per una forza lavoro abituata ai ritmi ancestrali della civiltà contadina. A Valdocco e nelle altre scuole di “arti e mestieri” salesiane i giovani allievi imparavano a conoscere ritmi di lavoro precisi e regolarmente scanditi. «L’essere stati educati da Don Bosco – scrive don Giovanni Battista Lemoyne, uno dei primi biografi di Don Bosco – era per loro la migliore racomandazione per essere accettati nelle fabbriche e negli altri uffizi. I padroni venivano essi stessi a chiedere a Don Bosco i giovani operai». Istituto salesiano di Alassio In uno studio del 1987 su “Salesiani e società industriale” lo storico Piero Bairati scrive: «Da questo punto di vista ci pare di rovesciare, almeno per quanto riguarda Giovanni Bosco, il giudizio di Sergio Quinzio secondo cui i santi del secolo scorso non hanno inciso che minimamente sul grande corso della storia successiva. Al contrario, il modello culturale salesiano, pur presentando alcuni connotati che lo contrappongono recisamente ai tempi in cui è nato e si è sviluppato, ritrova poi ad altri livelli un proprio stretto rapporto con la storia della società».
SPIRIDON/8 Sergio Quinzio (Alassio, 5 maggio 1927 – Roma, 22 marzo 1996). Teologo, aforista ed esegeta biblico italiano si, ma... ex allievo dei Salesiani! Cerchiamo di conoscerlo meglio, basandoci sulle... sue testimonianze. «Sono stato allievo - sempre “esterno” - dei salesiani di Alassio, in provincia di Savona, dal 1935 al 1945, e cioè dalla quarta elementare alla fine del liceo classico. In quegli anni frequentavo anche l’oratorio e recitavo nel teatrino. [...] Alassio era un celebre luogo di villeggiatura, ma solo i ricchi allora potevano permettersela, e la gente del luogo faceva ancora il pescatore, l’ortolano, il carbonaio. Noi ragazzi incontravamo i professori a passeggio, che magari ci facevano tradurre la scritta latina sotto una vecchia meridiana, e ci tiravano pubblicamente le orecchie se sbagliavamo. La scuola per noi era qualcosa di innaturale, di noioso, e non perdevamo occasioni per “marinarla” e andarcene lungo gli scogli. [...] Ma era una scuola seria, che obbligava a lavorare, che insegnava anzitutto nei fatti, il senso del dovere. Non solo chi si fermava, in una delle quotidiane interrogazioni, nella recitazione della giornaliera, abbondante razione di terzine dantesche, ma anche chi era stato assente per malattia, doveva bussare alle sette e mezzo della mattina alla porta di don Piccagli e recitargli l’intero Canto, o gli interi Canti, il famoso “blocchetto” della Divina Commedia. L’insegnamento che la vita è importante e deve impegnarci al massumo, l’ho ricevuto e accolto, e ne serbo riconoscenza, anche se posso vederne il limite. [...] Dei binari sono necessari, non fosse altro per uscirne». Le scuole salesiane, come gli oratori, non sono mai state “esclusive”; al contrario, lo spirito è proprio quello della mescolanza, del confronto tra ragazzi di ceti e famiglie anche molto diverse tra loro. Incalcolabile il numero di coloro che, dopo aver frequentato un ambiente salesiano, si meritano il titolo di “Ex allievi ed ex allieve di Don Bosco”. Tanti i personaggi illustri, ma ancor più coloro che nella semplicità e quotidianità incarnano il motto di Don Bosco: «Buon cristiano e onesto cittadino». Ed il prossimo 24 giugno celebreremo il 150° della nostra istituzione di ex allievi. Ne riparleremo. Pierluigi Lazzarini Ex allievo e Storico di Don Bosco 53 i giorni di confinamento, in Italia lo chiamano lockdown come in Usa. 78mila le vittime qui’ e nel mondo 275mila. In Usa, la disoccupazione ha raggiunto il 14.7%. Si deve andare indietro fino al tempo della grande depressione per trovare un paragone! Cosi’ dicono! Naturalmente il nostro bravo Mentana di LA7 nell’annunciare la situazione in Usa si è fatto premura di aggiungere che qui’ non esistono gli ammortizzatori sociali. Che ne sa lui? È stato varato da poco il pacchetto di emergenza di 2.3 trilioni, caro sig.Mentana. L’ho detto, il mio ammortizzatore sociale di $1200 è stato deposto ieri sul mio conto corrente. La situazione pero’ è a dir poco...difficile! Molti Stati si sono aperti all’economia anche se non completamente. Quelli ancora chiusi e che continuano a posporre sono gli Stati con governatore democratico! Dicono i repubblicani...il virus ti puo’ uccidere ma cosi’ anche la povertà’! Ci deve essere una giusta misura per tutto! Senza ristoranti ,non ci sono consumi. Si gettano interi raccolti di patate ed altro e si disperdono nei campi ettolitri ed ettolitri’ di latte. La gente ha bisogno di guadagnare, ci sono conti da pagare, figli da mantenere, non si può vivere senza soldi! È facile dire..non ancora... per chi continua a ricevere lo stipendio dallo stato! Questi nostri bravi governanti che abusano del loro potere e fomentano il panico dovrebbero dimostrare la loro solidarieta’ rinunciando al loro compenso fino alla soluzione di questa terribile situazione. ...e poi ci sono i nostri diritti, mai scordarcelo! Questi governanti non dovrebbe sottovalutare la nostra volontà di non ammettere interferenze nei nostri diritti costituzionali di liberta’ e di proprieta’! Mirella Tainer
SPIRIDON/9 Da Atletica, settimanale della FIDAL, Anno XXX, 1965. Gennaio. Salvatore Massara, giornalista e statistico, a suo tempo valoroso marciatore, oggi appassionato come pochi di atletica, ha dato alle stampe una pubblicazione che esula dalle consuete rassegne di carattere statistico. Atletica regina dei Giochi, che vede la luce in questi giorni in una elegante veste tipografica, è una rassegna completa e veramente unica dei Giochi olimpici di Tokyo. Non sappiamo come sia riuscito, il bravo Massara, a trovare tutti i dati che ha raccolto nel suo volume. Chi vuole rivivere i giorni indimenticabili di Tokyo potrà trovare nel volume di Massara un'opera perfetta. Per gli acquisti, che ci permettiamo di consigliare calorosamente a tutti gli appassionati, inoltrare richiesta direttamente all'Autore in via Santa Lucia 66, Napoli, inviando la modesta somma di lire 1.000 (1.120 in plico raccomandato). Febbraio, Radio Vaticana, Convegno , partecipanti Padre Francesco Pellegrino, direttore dei programmi italiani, Antonio Venerandopresidente della FMSI, Ottorino Barassi presidente della FIGC, Generoso Dattilo, direttore sportivo del C.S.I. e già 'principe' degli arbitri, i giornalisti Nicolò Carosio, Maurizio Barendson, Eugenio Danese, Antonio Ghirelli. Bari, 28 febbraio, XIX Assemblea Nazionale. I nuovi dirigenti: presidente Giosuè Poli (Molfetta20.2.1903), vice presidenti Vittorio Brunori (Bologna 10.5.1914), Giulio Mattei (Firenze 19.5.1901), Guido Vianello (Venezia 13.8.1910), consiglieri Cesare Bergonzoni (Bologna 2.4.1909), Antonio Filippo Carboni (Udine 27.12.1919), Paolo Corna (Viareggio 21.12.1919), Luciano Longhi (Milano 6.8.1905), Augusto Lorenzoni (Bra 17.2.1926), Tullio Pavolini (Genova 18.2.1911), Luigi Sambuelli (21.3.1916), Luca Santillo (28.5.1918), Pasquale Stassano (Potenza 29.9.1918). Aprile, Verona, 11. L'Assemblea dell'AISAL, Associazione Italiana Storici e Statistici di Atletica Leggera, svoltasi il 10 aprile con la partecipazione di 23 dei 50 aderenti, ha approvato lo Statuto dell'Associazioneed ha eletto i membri del Consiglio direttivo nelle persone dei signori Gianfranco Colasante di Pescara, Luciano Barra di Roma, Alfredo Berra di Milano, Luigi Mengoni di Macerata, Enrico Marcelli di Milano, Bruno Bonomelli di Brescia ed Emanuele Carli di Verona. Ancona, 29. Cerimonia in memoria del prof. Goffredo Sorrentino. Illustrata la figura del Maestro, un grande scienziato dello sport, da parte del presidente Giosuè Poli con interventi, tra gli altri, di Gianni Brera, Giorgio Oberweger e Ottorino Mancioli. Settembre, Roma, 4.Memorial Bruno Zauli nel commento di Ruggero Alcanterini. Il C.U.S. Roma ha trasferito la sua troupe organizzativa dall'Acquacetosa allo stadio dei Marmi, candido e imponente tra i suoi monumenti colossali, e la seconda edizione del Memorial ha riscosso un successo di pubblico superiore alla precedente. Ma a nulla sarebbero serviti gli sforzi degli organizzatori e i sacrifici notevolmente profusi se il tempo non fosse stato clemente proprio oggi, dopo che una settimana di burrasche e di disastri aveva fatto temere il peggio. La memoria del grande sostenitore del nostro sport è stata dunque onorata per la seconda volta e in maniera più degna della prima… Oggi, ad assistere alla manifestazione, il ministro della Pubblica Istruzione Luigi Gui, il sindaco di Roma Amerigo Petrucci e il presidente del Coni Giulio Onesti... 31 ottobre, Roma-Castelgandolfo, ennesima passerella vittoriosa della stagione per l'olimpionico Abdon Pamich: Viterbo, 11 aprile, Roma, Premio Primo Brega, 25 aprile, Trieste, 15 maggio, Sassari, 23 maggio, 30 maggio, Pescia, Trofeo Valle dei Fiori, Rho, 20 giugno, Giro della Città, Roma, 29 giugno, Gran Premio San Paolo per l'organizzazione di Ercole Tudoni, Kola, Svezia, 4 luglio, Gradisca, 25 luglio, Le strade della Gloria,Verbania, 1 agosto, Ginevra, 8 agosto, Londra-Brighton, 4 settembre, Oristano, 26 settembre, Roma, Giro, 3 ottobre, Carate Brianza, 24 ottobre.
SPIRIDON/10 La politica ha rovinato molte vite. Travolto rimbombate nella testa, allorquando la peste è carriere e stravolto valori, riscritto pagine di storia. scoppiata da noi! Settant'anni dopo la stessa cosa, La politica ha edificato la società degli uomini, ha le medesime dinamiche, chi nega, chi esagera, garantito valori e diritti. Ha illuminato le genti. chi... E su tutto la morte che vaga per Algeri la bianca, con la sua falce, non conosce preferenze è cieca più della fortuna. Beffarda sa che comunque vincerà su tutti. Perché non è che scacciata la peste, o ridimensionata la curva del contagio, come usa dire oggi, essa non troverà modo di ripresentarsi alla nostra porta. Ecco, mi sono detta, il grande scrittore! Ma se devo dire, e lo devo a chi mi legge, dire che cosa più di tutto mi è rimasto di questo romanzo, di questa opera in lettere, è il grido dissennato e scomposto del portiere che grida per strada "i topi! I topi! " È, in nuce, l'INSANIA.. Questa la vera cifra che mi ha conquistata. Questa la materia di cui Camus è per me maestro. Questa la parentela con Céline, , l'altro maestro di cui parlerò nella prossima Queste affermazioni sono entrambe vere. Da qui puntata, anch'egli recentemente riletto. E poi con parte la mia riflessione su due romanzi e una Pound, che chiuderà la mia mini trilogia. raccolta di Cantos, che ho di recente riletto, o Le menti febbricitanti, i pensieri censurati nei meglio su opere scritte. Sì perché di questo sì manicomi, la rivolta verso l'ordine della vita tratta, di opere dell'uomo in parole consegnate alla sociale, la rivendicazione di una morale che sappia stampa e al pubblico. In tre puntate vi toccherà di essere al di là del bene e del male. leggerne da me Camus è stato ucciso a me, dalla politica. Dal Camus. tentativo di riappropriarsi di questi slanci da parte A Ottobre, ignara di qualsiasi riferimento al covid di chi governa. Ne hanno fatto, forse lo è stato, uno 19, ho preso in biblioteca un'edizione de "La scrittore di sinistra...e come tale non mi attirava, lo peste" di Camus. L'ho presa un po' per sfida. Di lui ammetto senza falsi pudori. Per un pelo l'ho a me avevo ricordi dal liceo, un altro suo romanzo, salvato, l'ho letto. "L'etranger" mi aveva occupato per un anno. Mi E ho scoperto una polla fra l'erba, come direbbe disgustava e tuttavia le sue frasi un po' scolpite D'Annunzio. La politica ha peggio di altri travolto riaffioravano in me, senza pudore, quando meno alme d'eroi della penna. E questa è colpa grave. me lo aspettavo. Orano , la luce densa che spietata fruga negli angoli bui della mente del protagonista, l'omicidio banalizzato dallo squallore agghiacciante dell'Ospice. E, su tutto, la sensazione seducente, per me allora adolescente, della assoluta libertà del gesto, quella sensazione forte di liberazione verso i doveri, gli schemi, gli impicci del vivere convenuto. Mi infastidiva questo Camus, e ancora a ripensarci lo faceva. E "vada per la peste" mi sono detta. Una sfida a me stessa...quanto sarà invecchiato il mio spirito? Mi farà ancora quell'effetto leggere Camus? O mi ritroverò nel giudizio socio politico che i più ne diedero? Denuncia, esistenzialismo...il colonialismo e i suoi orrori insomma. La Peste è bellissimo. Le descrizioni sono ancora più scolpite di quelle de L'etranger...ci sono Perché se comunque si muore, di opere immortali ricascata insomma. rimaniamo capaci. Pensatori e artisti più di tutti. Inutile dire quanto le riflessioni silenziose del A la prochene. giovane medico protagonista, mi siano Serena Tajé
SPIRIDON/11 Il racconto del mese Jacopo non si era mai mosso da Parma neppure per studiare. Aveva frequentato il Dipartimento di Economia dell’Università degli Studi, a due passi dal Parco Ducale. Passo dopo passo, era diventato procuratore nella banca dove lavorava, la cui sede non era lontana dalla sua Facoltà. Ma questa carica di funzionario direttivo di grado inferiore non lo soddisfaceva pienamente, lui voleva di più ma lì non aveva sbocchi, altre persone occupavano quegli incarichi. Il vero motivo che lo teneva legato a quella filiale era di ordine pratico, il suo appartamento, a ridosso di Piazza Duomo, si trovava ad una distanza che poteva essere coperta a piedi in dieci minuti. Non era cosa da poco non impazzire tutti i giorni per trovare un parcheggio nel centro storico. Jacopo era figlio unico, i suoi genitori si erano trasferiti da tempo nelle Cinque Terre. Suo padre, non appena raggiunta l’età della pensione, gli aveva lasciato due cose. Due sole, ma fondamentali: il suo posto in banca e l’appartamento. Ed era proprio in quelle stanze che si trovava in quel momento Jacopo. Si stava preparando ad uscire, ma c’era ancora tempo. Per ingannare l’attesa si era appostato a ridosso della finestra che permetteva una visione parziale della piazza e della torre campanaria. Appena dietro a quest’ultima, concentrando lo sguardo, poteva intravedere l’angolo arrotondato color ocra di un palazzo. Tutte le volte che si affacciava a quella finestra pensava che in linea d’aria ci potevano essere non più di trecento metri tra casa sua e quell’edificio. Una distanza irrisoria in termini oggettivi, un baratro, se Jacopo si lasciava andare a riflessioni più profonde. Tra poco avrebbe incontrato la donna che aveva condizionato non solo la sua adolescenza ma anche gli anni che erano seguiti. Per come erano andate le cose, le conseguenze per lui erano state enormi, tanto da plasmare, da quel punto in poi, la sua vita. Ma in cosa aveva sbagliato? Qualcun altro aveva deciso per lui! Poteva biasimare se stesso per essere stato così passivo? Il fatto è che le scelte di cuore sbagliate fatte in gioventù possono determinare pesantemente tutto il resto. Per altre cose che facciamo è diverso. Le scelte negli studi e nella professione possono essere importanti ma non decisive, mentre quando si tratta della nostra vita sentimentale tutto diventa tremendamente decisivo. Quel giorno, Jacopo, seduto sopra una panchina di quel parco, si era accorto di tremare, quasi da non essere in grado di far leva sulle gambe per alzarsi. Dora se ne era già andata assieme alla sorella. Quello che gli aveva detto poco prima lo aveva sconvolto. Gli effetti di quel dialogo sarebbero esplosi in un modo molto più dirompente in un secondo tempo, a mente fredda. “Ma perché portarsi a traino Nora? Come credeva che reagissi? Non mi conosce?”, pensava, mentre le gambe ancora non riuscivano a reggerlo. Jacopo si era allontanato dalla finestra. Tra poco l’avrebbe incontrata da sola dopo tanto tempo. Mentre toglieva la giacca dall’appendiabiti, diede un’occhiata all’orologio da polso. Doveva sbrigarsi se voleva arrivare in orario. Le cose non stavano andando come Jacopo sperava. Una volta arrivato davanti al palazzo aveva trovato Dora sull’ingresso. Dopo una rapida verifica si era accorto di essere in ritardo. “Che cretino! Non ci voleva!”. Non c’è niente di peggio per una donna che aspettare qualcuno sul marciapiede, per giunta al buio e dopo venticinque anni! Questa sarebbe stata la prima nota stonata della serata, la seconda sarebbe stata ancor peggio. Mentre si avviavano, Dora gli aveva detto che non sarebbero stati soli ma si sarebbe aggiunta una persona. Appena rientrata dal mare aveva ricevuto la telefonata di una vecchia amica che aveva saputo della sua presenza in città. D’impulso, aveva pensato che fosse un’ottima occasione per rivederla e così l’aveva invitata. A Jacopo il nome di quella donna non diceva niente e Dora gli aveva risposto sorpresa: «Non ti ricordi di Daniela?». Appena arrivati nel locale Jacopo le aveva chiesto se le andava di stare all’aperto. «Va benissimo. Dopo il sole di oggi mi sento scottare dappertutto!». Lui l’aveva guidata dandole il passo. Dora indossava un tubino nero che le arrivava appena sopra il ginocchio e un Blazer floreale buttato sulle spalle. Era splendida, si era detto osservandola da dietro. «Spero che Daniela non tardi troppo, sono affamata!» «Bé, sei in buona compagnia...» Nel frattempo, un cameriere aveva posato sul tavolino le liste dei menu salutando Jacopo confidenzialmente. Dora si era soffermata a osservarne la copertina. Sopra un fondo color terra di Siena erano riportate quattro lettere dorate a caratteri cubitali in bella grafia riportate due volte, una sopra all’altra. «Chissà cosa significa...Ho notato la stessa scritta all’ingresso». «Ti ricordi il nome di questo palazzo?», aveva risposto con una domanda Jacopo. In effetti il ristorante si trovava sotto lo stesso edificio. «Ma certo che mi ricordo! Ah... Sono le iniziali del Casato!» e come se stesse parlando tra sé: «Una dimora del dodicesimo secolo che serve solo per il nome sull’affiche». Jacopo dopo averla fissata per una frazione di secondo, se ne era uscito con una franca risata. «E ti ho risparmiato la traduzione francese!», disse Dora agitando maliziosamente l’indice. Poi, dopo aver tolto gli occhiali da miope e aver avvicinato agli occhi alla lista si era messa a consultarla con interesse. Appena arrivata, Daniela si era scusata per il ritardo dovuto alle difficoltà di parcheggio in quella zona. L’atmosfera che si era subito creata tra lei e Dora aveva messo in imbarazzo Jacopo. Le due amiche si
SPIRIDON/12 erano abbracciate visibilmente emozionate. Jacopo si era sentito escluso da quella intimità di genere, tanto da farlo quasi sentire un corpo estraneo. Le sensazioni negative che aveva percepito all’inizio, quando aveva visto Dora in attesa davanti a quel palazzo, si stavano materializzando. Non era così che aveva immaginato quella serata. Tuttavia, aveva riconosciuto in quella donna una delle tante amiche di Dora che scorrazzavano trent’anni prima nel quartiere. Era ingrassata ma i lineamenti erano più o meno gli stessi. I tavolini erano disposti in doppia fila sotto una serie di grandi ombrelloni quadrati di tela bianca. Quel vicolo intriso di storia e lastricato di sanpietrini lividi, sembrava sopraffatto dalle facciate dei palazzi che lo delimitavano ai lati. Da quella prospettiva, i capitelli brillanti del Battistero, che si intravedevano in fondo, si prendevano tutta la scena. La luce, diffusa fiocamente dai vecchi lampioni Liberty, sgorgava dall’alto come da una fonte ambrata. «Se penso che il tuo papà è stato il mio prof di lettere al liceo...», stava ricordando Daniela. Il riferimento a suo padre, aveva provocato in Dora un baluginare di immagini e situazioni che non amava ricordare. L’insorgere della sua malattia, lei lontana, Nora in piena crisi matrimoniale, sua madre che si consumava nel sostenere sulle sue spalle l’intera situazione. Si dice che chi assiste un malato di Alzheimer si potrebbe a sua volta ammalare. I primi sintomi della leucemia si erano puntualmente manifestati in sua madre due anni dopo la scomparsa di suo padre. Intanto, due giovani donne provenienti dalla piazza si erano fermate a parlare con il cameriere. Dora aveva notato la più provocante delle due, una ragazza mozzafiato, che si sbracciava nella loro direzione. Il saluto plateale era indirizzato a Jacopo che aveva risposto con un cenno della mano. «È una tua spasimante?» «Collega», rispose Jacopo con nonchalance. «Fantastica...», commentò Dora. Ma non c’era un solo coperto libero, così, dopo un’ultima occhiata, il cameriere si era limitato ad un’alzata di spalle mentre le due donne si stavano già allontanando. «Sentite...», si intromise Daniela, «Se vi va, nel prossimo weekend potremmo andare in un agriturismo della zona che amministro». Mentre Jacopo e Dora si guardavano interrogativamente, Daniela riprese: «C’è una piscina e tanto verde! Staremo bene!» I tre si erano appena separati. Mentre Daniela si era incamminata verso la piazza, Dora e Jacopo stavano invece passando dietro al Battistero. Non era molto il tragitto che avrebbero fatto insieme. Come il tempo per parlare, del resto. «Cosa intendeva con quel “amministro”?» «È il suo lavoro. Il marito l’ha lasciata e lei ha un figlio, doveva inventarsi qualcosa... Da quello che mi ha confidato mia sorella se la sta cavando bene. Come l’hai trovata?» «Ingrassata.» «Beh... Ne è passato di tempo!» «Ma tu sei sempre la stessa.» «Anche tu.» Jacopo stava cercando un altro argomento ma non gli usciva niente in quel momento, come se una forza superiore gli stesse impedendo di articolare le parole. Era spiacevole e imbarazzante. «A proposito di Daniela, sai cosa mi ha detto in un orecchio quando ci siamo abbracciate?» «Non ne ho idea...» «Siete sempre una bella coppia!» Jacopo non riusciva nuovamente a parlare, non riusciva a fare niente. Magari avrebbe dovuto abbracciarla, ma non riusciva a fare niente. Così si era limitato a fissarla stordito, pensando che quella serata cominciata male non poteva finire meglio. Forse, quello che aveva sempre sognato ora poteva essere possibile. Erano arrivati e lui non riusciva ancora a fare niente. «Oggi ho passato una magnifica giornata, il mare, la cena... Grazie di tutto, Jacopo!» Nel frattempo Dora gli aveva preso la mano attirandolo a sé. Dopo averlo baciato sulla guancia, stringendogli sempre la mano come se non volesse separarsene più, si era voltata per premere il pulsante del citofono. La serata era comunque finita. Jacopo si sentiva leggero, come se stesse galleggiando sulla schiena nell’acqua. Mentre camminava verso casa si guardò intorno. Provava una sensazione eccitante: gli sembrava di vedere quella piazza per la prima volta Ermanno Gelati
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