Un asilo in tenda MONGOLIA - Caritas Ambrosiana
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IL PROGETTO LUOGO: Arvaykher DESTINATARI: bambini in età prescolare CONTESTO Arvaiheer è uno dei rari insediamenti urbani della Mongolia e conta in tutto 27.000 abitanti. Al confine tra la steppa e il deserto del Gobi è il punto di riferimento per i nomadi dell’area, in quanto sede dei principali servizi come l’ospedale, la scuola, il mercato… Nella cittadina, come del resto in tutto il Paese, mancano le scuole dell’infanzia sono carenti e comunque, per una serie di complicazioni burocratiche, difficilmente accessibili ai figli delle famiglie nomadi appena trasferitasi in città dalla steppa. Preso atto della situazione, i Missionari della Consolata, dal 2008 portano avanti un piano di attività sociali e pastorali portate avanti, finalizzate a dare una risposta ai principali bisogni della popolazione locale (mancanza di acqua corrente, disoccupazione, difficoltà scolastiche ecc…). Con questo progetto si vuole in particolare offrire un servizio ai bambini in età pre-scolare e, di conseguenza, aiutare anche le loro famiglie. Gli obiettivi principali sono dunque: offrire a 15 bambini in età prescolare (2-5 anni) la possibilità di trascorre la giornata in un luogo protetto e stimolante e dare la possibilità ai genitori dei bambini, e in particolare alle madri, di svolgere un lavoro durante la giornata. INTERVENTI Nel perimetro della Missione verrà costruito il centro, collocato all’interno di una “ger”, la tradizionale tenda mongola dove abitualmente vivono le persone ed è quindi il luogo più famigliare per i bambini. Il centro sarà aperto tutti i giorni dal lunedì al venerdì e vi si svolgeranno le normali attività ludiche ed educative tipiche di un asilo. I piccoli saranno seguiti quotidianamente da un’educatrice scelta tra le donne in difficoltà del luogo e debitamente formata, con l’aiuto dei Missionari e di alcuni volontari. Insieme a lei verrà assunta anche una cuoca, a cui è affidato il compito di preparare i pasti con il corretto apporto calorico. Infine, grazie all’utilizzo delle docce e dei bagni pubblici della Missione si potrà garantire anche un’educazione e prevenzione igienico-sanitaria. IMPORTO PROGETTO 10.000 euro
SCHEDA PAESE La Mongolia (Монгол улс, Mongol uls) è uno Stato dell'Asia centrale. La Mongolia è il secondo più grande stato del mondo privo di accesso al mare. Confina a nord con la Russia e a sud con la Cina, e, anche se non condivide un confine con il Kazakistan, il suo punto più occidentale dista a solo 38 km dalla punta orientale di quest'ultimo. Ulan Bator è la capitale e la città più grande, dove risiede circa il 38% della popolazione. Il sistema politico della Mongolia è una repubblica parlamentare. Dati Generali Mongolia Italia Nome ufficiale Mongol Uls Repubblica Italiana Repubblica Ordinamento dello Stato Repubblica parlamentare parlamentare Superficie (kmq) 1.564.116 301.340 Popolazione 2.844.000 61,482,297 Capitale Ulaan-Baatar Roma Moneta Tughrug Euro Lingua Mongolo Italiano Buddismo 53%, Islam 3%, Sciamanesimo 2,9%, Cattolica 90% Altre Religione Cristianesimo 2,1%, altro 0,4% 10% Mongoli 94,9%; kazaki 5%; altri (compresi cinesi e Italiani 97% Altri Gruppi etnici russi) 0,1% 3% Indicatori socio-economici Mongolia Italia Indice di sviluppo umano (da 0 a 1) 0,675 0,881
Classifica indice di sviluppo umano (su 177 paesi) 108 25 % Popolazione sotto soglia povertà (1$ al giorno) 29,8 - PIL ($ pro capite) 4.245 30.100 Crescita annua del PIL 17,5 -2.3 Tasso di inflazione (%) 14 3 Tasso di disoccupazione (%) 9 10.9 Importazioni (miliardi di $) 6.739 469.7 Esportazioni (miliardi di $)) 4.385 483.3 Spesa educativa (% del PIL) 5,4 4,7 Analfabetismo (%) 2,6 1,6 Spesa per la sanità (% del PIL) 3 9.5 Spesa Militare (% del PIL) 0,8 1,8 Indicatori Socio Culturali Mongolia Italia Popolazione Urbana (%) 69,5 68 Crescita annua popolazione (%) 1,44 0,34 Mortalità infantile (su 1.000 nati vivi) 32 3.3 Speranza di vita alla nascita (anni) 68,8 81,95
Aereoporti con pista pavimentata (km) 15 99 Ferrovie (km) 1.908 20.255 Rete stradale pavimentata (km) 3.015 487.700 Totale rete stradale (km) 49.250 487.700 Fonti: report UNDP 2012 e report CIA 2012 Il territorio Con i suoi 1.565.000 km², la Mongolia è il 19º paese del pianeta per estensione territoriale (cinque volte l'Italia)[29]. Il paesaggio della Mongolia è molto variegato, con il deserto del Gobi a sud e con le regioni fredde e montuose a nord e ovest. Gran parte della Mongolia è costituito da steppe. Il punto più alto in Mongolia è il picco Hùjtnij nel massiccio Tavan Bogd a 4.374 m.. Il bacino del lago Uvs Nuur, condivisa con la Repubblica di Tuva in Russia, è considerato Patrimonio dell'umanità dall'UNESCO. Il clima Tendenzialmente la Mongolia ha un clima continentale, con inverni lunghi, freddi, rigidi (le temperature possono scendere -40 °C e, nella taiga, a –60 °C), mentre nei mesi estivi il clima asciutto è salubre la colonnina di mercuria raggiunge i 25-30 °C . La capitale, Ulan Bator, è una delle città con la temperatura media tra le più basse al mondo. Nella breve estate il vento è protagonista: quello fresco del nord, quello tiepido dal Gobi. Il nome Gobi è un termine mongolo (riferito a steppa), che di solito si riferisce ad una categoria di pascoli aridi ma con vegetazione abbastanza sufficienti a sostenere le marmotte e i cammelli. I mongoli sono soliti a precisare la differenza con il deserto, anche se la distinzione non è sempre evidente ai turisti. I paesaggi del Gobi sono estremamente fragili e vengono facilmente distrutti dall'eccessivo sfruttamento della pastorizia. Storia La Mongolia è stata da sempre abitata da varie tribù nomadi. Fu proprio per difendersi dalle loro incursioni distruttive degli Xiongnum, un clan mongolo, che la Cina decise nel III sec a.C. che la costruzione della Grande muraglia. Ancora nel X secolo d.C. il paese risultava diviso in numerose tribù collegate attraverso alleanze transitorie e conflitti interni. L’unificazione avvenne solo con l'eroe
nazionale mongolo, Temujin, noto come Gengis Khan (1162 - 1227), fondatore dell'impero più vasto della storia. Sotto i suoi successori, l'impero toccò i confini della Polonia a ovest, della Corea a est, e dalla Siberia a nord fino al Golfo di Oman e Vietnam del sud, arrivando a coprire circa 33.000.000 km² (22% della superficie terrestre totale delle terre emerse), e con una popolazione di oltre 100 milioni di persone. Dopo la morte di Gengis Khan, l'impero viene suddiviso in quattro regni (noti come khanati) che acquisirono maggiore autonomia. Uno dei khanati dopo aver invaso la Cina distrusse definitivamente la dinastia Jīn, dando vita alla Dinastia Yuan per opera del nipote del Temujin, Khubilai Khan, che fondò il suo regno presso l'odierna Pechino, ma dopo più di un secolo, la Dinastia Ming riprese il potere nel 1368 e la corte mongola fu messa in fuga verso nord. L'esercito Ming avanzò in Mongolia conquistando e distruggendo la capitale Karakorum, dando così inizio al tramonto dell'impero mongolo. Periodo post-imperiale Dopo l'espulsione dei governanti della Dinastia Yuan della Cina, i mongoli continuarono a governare la Mongolia con il nome Dinastia nord dello yuan. I secoli successivi furono segnati dalle lotte di potere tra le fazioni interne e dalle invasioni cinesi. L'ultimo Khan mongolo fu Ligden Khan. Dopo la sua morte, nel 1634, gran parte della mongolia interna venne sottomessa ai manciù propulsori della Dinastia Qing. In poco meno di 60 anni tutti i territori della Mongolia odierna furono sottomesi al governo di Pechino. La dinastia Qing mantenne il controllo della Mongolia fino al XX secolo con una serie di alleanze e matrimoni misti e adottando misure economiche e militari. Con la caduta della dinastia Qing, la Mongolia sotto il Bogd Khan dichiarò l'indipendenza nel 1911. Nel 1919, dopo la Rivoluzione d'Ottobre in Russia, le truppe cinesi guidati occuparono militarmente la Mongolia. Tuttavia, al fine di proteggere il paese dalle incursioni cinesi l'Unione Sovietica decise di insediare un governo comunista, riorganizzando l'apparato militare. Repubblica Popolare Mongola Nel 1924, dopo la morte del leader religioso Bogd Khan, venne ufficialmente proclamata la Repubblica Popolare Mongola con il sostegno dell'Unione Sovietica. Negli anni ’30 furono approvati alcuni provvedimenti tra cui la collettivizzazione del bestiame, la distruzionedei monasteri buddisti e la repressione anche fisica di tutti gli oppositori del regime sovietico in particolare i monaci buddisti. Durante la guerra sovietico-giapponese di confine del 1939, l'Unione Sovietica difese con successo la Mongolia contro l'espansionismo giapponese. Nel 1945 le forze mongole contribuirono durante la Guerra Unione Sovietica-Giappone sul fronte della Mongolia Interna. La minaccia sovietica
portò la Cina a proclamare un referendum di indipendenza, che si svolse nel 20 ottobre 1945, con il 100% dell'elettorato (in base alle cifre ufficiali) che votò per l'indipendenza. Dopo la stesura della costituzione della Repubblica Popolare di Cina, entrambi i paesi confermarono il loro riconoscimento reciproco, il 6 ottobre 1949. La Mongolia continuò a rilevarsi un fedele alleato dell'Unione Sovietica, soprattutto dopo la crisi sino- sovietica degli anni cinquanta. Rivoluzione Democratica e nascita della democrazia L'introduzione da parte di Mikhail Gorbachev della "perestroika" e della "glasnost" in URSS, ha fortemente influenzato la politica mongola, portando alla pacifica Rivoluzione Democratica e all'introduzione di un sistema multipartitico e della economia di mercato. Nel 1992 è stata introdotta una nuova costituzione e il termine "Repubblica del Popolo" è stato tolto dal nome ufficiale del paese. La transizione all'economia di mercato è stata difficile, con alti tassi di inflazione e penuria di cibo nei primi anni novanta. La prima vittoria elettorale per un partito non comunista arrivò nel 1993 (elezioni presidenziali) e nel 1996 (elezioni parlamentari). La firma del contratto dei minatori di Ojuu Tolgoj viene considerata come una pietra miliare nella moderna storia mongola. Il Partito Rivoluzionario del Popolo Mongolo ha cambiato nome nel 2010 in Partito del Popolo Mongolo. La Mogolia oggi La Mongolia odierna è il grande Stato dell’Asia centrale che si estende tra la Siberia e la Cina, ad est del Kazakhstan. La sua superficie corrisponde a cinque volte le dimensioni dell’Italia, con appena 2,8 milioni di abitanti. Nonostante l’esiguità della popolazione, molti sono i gruppi etnici che la compongono. Tra essi prevale quello chiamato Khalkh. L’identità culturale di questo Paese affonda le sue radici nelle tradizioni pastorali delle immense pianure centro asiatiche, imbevute di Sciamanesimo e di Buddhismo lamaista tibetano. La differenziazione che la Mongolia conosce al suo interno si manifesta già a livello geografico: deserto (quello del Gobi) a Sud, praterie e steppa ad Est, foreste e grandi laghi al Nord, montagne e colline nel Centro-ovest; i gruppi etnici sebbene di piccole proporzioni hanno conservato patrimoni talvolta molto diversi tra loro, ma hanno maturato una significativa forza di coesione in secoli di storia, specialmente a partire dall’unificazione ottenuta dal leggendario Gengis Khaan. La lingua parlata è il mongolo, della famiglia delle lingue altaiche (a cui
appartengono anche il Turco e il Tunguso), per la cui scrittura viene usato dal 1946 l’alfabeto cirillico, ma esiste anche un alfabeto originale detto Uigur scritto dall’alto in basso. La realtà politico-sociale Il simbolo forse più condiviso di questa nazione è la ger, ossia la tenda smontabile in legno e feltro usata dai mongoli come dimora da millenni. Per entrarvi bisogna chinarsi, visto che la porta è solitamente di piccole dimensioni; si potrebbe prendere questo gesto come cifra anche della difficoltà di entrare in un mondo così unico, a cominciare proprio dalla lingua, che occorre studiare per lunghi anni prima di poterla parlare correttamente. Per non parlare delle molte usanze e tradizioni tipiche, che ancor oggi modellano la vita degli individui e delle comunità, fedeli nel seguire il “calendario del pastore” che ogni anno segna con gran precisione le ore e i giorni favorevoli e quelli no, con la benedizione dei monaci buddisti. Il mondo della ger è ancora il mondo della maggioranza dei mongoli di oggi, quelli che vivono nelle sconfinate campagne usate come pascolo per il bestiame (principale risorsa) e quelli che si accampano nella squallida periferia della capitale Ulan Bator, in mezzo a cemento e asfalto, cercando fortuna ma trovando molto spesso degrado e confusione. Se non altro, la ger resta il simbolo più condiviso della tradizione culturale nomadica, che rappresenta uno dei punti forti dell’identità nazionale. Ger e condomini, abito tradizionale e moda europea, cavalli e automobili: questi sono alcuni dei binomi che manifestano il delicato momento di passaggio culturale dalla tradizione alla modernità che la Mongolia di oggi vive non senza qualche smarrimento. Terra di guerrieri e di pacifici allevatori, di poeti e di monaci buddisti, di lottatori e di sciamani la Mongolia di oggi sta conoscendo un rapido (e non innocuo) processo di trasformazione. La povertà è purtroppo una realtà ancora per molte persone (il 36% della popolazione vive sotto la soglia di povertà), anche se non mancano imprenditori e professionisti che danno il meglio per cercare di emergere. La vita è dura invece per chi ha i numeri e la preparazione, ma anche dei valori umani di serietà ed onestà che non vuole calpestare per avere successo. Grave è il livello di disoccupazione, mentre l’alcolismo rovina come piaga sociale molte famiglie. Le risorse per consentire una vita più che dignitosa ci sarebbero, se si pensa solo alla ricchezza del sottosuolo (rame, oro, carbone, uranio); ma lo Stato deve far fronte alla grande dispersione degli abitanti sul vasto territorio (1,8 abitanti in media per chilometro quadrato, valore di cento volte inferiore a quello dell’Italia, per esempio) ancora poco collegato da una rete stradale inadeguata, e stenta
ancora ad uscire dalla piovra della corruzione, come tanti altri paesi ex-comunisti hanno sperimentato. Già, perché và ricordato che la storia del XX secolo è stata segnata da settant’anni di rigido regime comunista, dal quale la Mongolia si è affrancata solo recentemente (1990). La religione L’ideologia comunista ha rappresentato un momento tragico per la religione buddista, perseguitata e marginalizzata al massimo, ed ha anche tentato di infrangere il sistema di valori e di auto comprensione basata su riferimenti spirituali. Oggi si assiste a un grande risveglio dell’anima religiosa (buddista e sciamanica) mongola, associato spesso al sentimento nazionalista che da sempre accompagna questo popolo fiero e mai soggiogato a poteri stranieri (se si esclude la colonizzazione mancese del XVIII-XIX secolo); non si spiegherebbe diversamente la non assimilazione alle grandi potenze vicine di un gruppo umano così esiguo e isolato. Il Cristianesimo, conosciuto nella sua forma nestoriana fin dal VII secolo, si presenta oggi come religione “straniera” e insieme attraente, se si pensa che vi si identifica il 4% della popolazione (a confronto del 90% buddista e 5% musulmano). Quale Cristianesimo, però? Per il 90% si tratta di chiese protestanti di varia origine e denominazione, con alcuni gruppi fondamentalisti; il 9% è rappresentato dai Mormoni (che qui in Mongolia vengono erroneamente associati ai cristiani, anche se di fatto non sono membri del Consiglio Mondiale delle chiese) e solo l’1% corrisponde a Cattolici ed Ortodossi considerati insieme. Quindi la percentuale di Cattolici rasenta l’insignificanza. Di questa quasi insignificanza fanno esperienza i circa 80 missionari cattolici (sacerdoti, suore, fratelli consacrati e laici volontari), raccolti intorno al vescovo, il Prefetto Apostolico mons. Wenceslao Padilla, missionario di Scheut (CICM) arrivato qui nel 1992. L’impegno della Chiesa Cattolica fin dai primi anni è stato quello di accompagnare con dedizione e sacrificio le persone di questo splendido Paese verso un futuro di speranza, attraverso l’impegno in molti progetti di sviluppo e la testimonianza di fede, che ha portato alla creazione di una piccola comunità credente autoctona, ma senza ancora sacerdoti o religiose locali. Adesso una delle sfide più grandi, oltre al continuo impegno nella promozione umana, è quella dell’inculturazione della fede e dell’autentico accompagnamento spirituale di chi vuol diventare o è diventato cristiano. Il passaggio alla modernità sta avvenendo in un lasso di tempo molto ristretto, con ovvi disagi e shock culturali. (Testo elaborato dai Missionari della Consolata in Mongolia)
APPROFONDIMENTI MONGOLIA LA MINIERA DEL MONDO ULAN BATOR La "collina turchese" è una voragine nera che potrebbe accogliere una metropoli. Ruspe alte come palazzi non smettono di scavare da tre anni e mentre scendono diventano un tarlo lanciato verso il cuore della terra. Una polvere acre, secca gli ultimi arbusti e il fragore delle trivelle invade la pace perduta nel deserto del Gobi. Ancora pochi giornie dalla miniera di Oyu Tolgoi, a ottanta chilometri dal confine con la Cina, si muoveranno le prime colonne di tir cariche di rame. Per la Mongolia e per il resto del mondo si apre un' era nuova. Il Paese più poveroe meno popolato dall' Asia centrale si trasforma nel Qatar dell' Estremo Oriente. Gli analisti finanziari anglofoni lo hanno ribattezzato "Minegolia". Le Borse annunciano la nuova "booming economy" asiatica del prossimo decennio. Oyu Tolgoi è questo: il secondo giacimento di rame e oro del pianeta, venti chilometri di depositi sotterranei, 450 mila tonnellate di rame e 93 di oro all' anno per il prossimo mezzo secolo, 13 mila ex nomadi pastori reclutati come minatori. La compagnia anglo-australiana Rio Tinto, assieme ai canadesi di Ivanhoe Mines, ha già investito 7 miliardi di dollari, due più del previsto. Per la Mongolia è una scossa superiore all' ascesa di Gengis Khan, quasi novecento anni fa. (segue dalla copertina). Nel 2013 il suo Pil annuncia il primato globale della crescita: tra il 13% e il 15%, con punte mensili del 18%. Nel 2011 era salito del 17%. Entro il 2020, dagli scavi di Oyu Tolgoi dipenderà il 35% del bilancio nazionale, destinato alle compagnie straniere. Non solo il tesoro del Gobi sconvolge l' ex pascolo dell' Urss. Sotto l' erba bruciata avanzano i tunnel di 6 mila giacimenti delle materie prime e delle terre rare da cui dipende l' industria globale: valore stimato, oltre 3 mila miliardi di euro. Una fortuna e una condanna: solo le multinazionali occidentali dispongono dei capitali per trasformare gli elementi in risorse, mentre la Cina si è assicurata l' 85% di tutti i prodotti nella provincia perduta nel 1911. Gli investimenti esteri costituiscono già il 62% del Pil nazionale, il 75% entro il 2015. «Si consuma la grande spartizione della Mongolia - dice Galsan Odontuya, docente di scienze sociali nell' università statale della capitale - mentre le multinazionali ci accusano di "neonazionalismo delle risorse"». Il bilancio della Rio Tinto supera da solo il Pil mongolo. Per una paese vasto cinque volte l' Italia, con tre milioni di abitanti di cui la metà concentrata a Ulan Bator, è un insuperabile shock. Le compagnie minerarie estere stanno acquistando l' unica democrazia centroasiatica, Giappone e Corea del Sud la costruiscono, la Cina la consuma sotto il controllo di Russia e Stati Uniti. Ai mongoli finiscono gli avanzi: il 35% dei nuovi "campioni mondiali d' incassi" vivono sotto la soglia di povertà, la disoccupazione sfiora il 40%, l' alcolismo travolge sette maschi su dieci. Da missile della crescita, la Mongolia diventa anche il simbolo della devastazione sociale, culturale, ambientale e politica che sta sconvolgendo l' Asia del post-comunismo capitalista. La Banca mondiale parla di «clept o c r a z i a » : affonda nella classifica dei Paesi per corruzione, un pugno di milionari nel l u o g o p i ù straordinario e distrutto del pianeta. Montagne, pascolie deserti, tra gli Altai del Bayan- Olgii e il Gobi del Dornogov, vengono abbandonati ogni anno dal 20% degli abitanti. Le praterie sono squarciate dalle miniere abusive delle "tartarughe", i cercatori d' oro clandestini. Fiumi e laghi si rivelano avvelenati dalle sostanze usate per l' estrazione di metalli e minerali. Le sorgenti inaridiscono. «Ottocentomila nomadi pastori - dice l' attivista per i diritti umani Chimgee Ganbold - sono costretti a vendere praterie, greggi e mandrie.È la febbre dell' oro, quasi sempre si risolve nell' emarginazione». La terra non confiscata per le miniere, finisce nelle mani dell' industria tessile. Il boom di carne e cashmere, trainato da Pechino, in tre anni ha fatto esplodere i capi di bestiame da 34 a 45 milioni: quindici animali per ogni abitante. Le capre, con la lana più pregiata, dal 20% dei greggi sono diventate il 70%. I vitelli
da macello soppiantano gli yak.I terreni così si esauriscono, l' acqua viene destinata alle miniere, le falde inquinate. I mongoli, con l' inflazione al 14%, non possono più mangiare carne e ripararsi dal gelo con la lana. Per la prima volta il popolo che dominò il più vasto impero della storia si ritira dai suoi spazi infiniti e viene deportato in un' orrenda città che ha cambiato nome nove volte e che è lo specchio del suo drammatico successo. A Ulan Bator, "eroe rosso" dei sovietici, si vendono oggi tre generi di prodotti: il lusso occidentale per il 5% dei milionari, il cashmere mongolo per i 12 mila stranieri delle multinazionali e l' alcol russo per i 600 mila mongoli ammassati nelle tendopoli delle gher. Un terzo degli abitanti vive con un dollaro al giorno e 6 mila bambini di strada dormono nelle fogne per non morire assiderati. I manager stranieri guadagnano 70 mila dollari al mese, gli insegnanti universitari mongoli 200. L' affitto di una stanza è di 250 dollari mensili: il 95% della popolazione si indebita con le banche, o finisce nel fango e nel ghiaccio dei distretti-gher. Qui l' acqua si vende ad un razionato rubinetto di Stato, mentre nell' esclusivo residence Bellavista, due cantieri più in là, i water elettrici spruzzano getti caldi sul posteriore degli eletti. I figli dei ricchi frequentano le scuole private da 25 dollari all' anno, quelli dei poveri non hanno i soldi per il bus che in un' ora raggiunge la periferia. La capitale della "booming economy" mondiale, si trasforma nel simbolo dell' ingiustizia che domina lo sviluppo asiatico, dalla Cina, al Bangladesh, alla Cambogia. «Girano più Suv chea Seul- dice Usukh Zorig, medico nel quartiere gher di Chinghiltei - e le targhe facili da ricordare vanno all' asta a 20 mila dollari. Un numero di cellulare vip costa fino a 30 mila dollari: i milionari, se non visualizzano le cifre status-symbol, nemmeno rispondono al telefono». I sessanta clan mongoli saliti sull' ascensore per il paradiso, tutti con almeno un familiare in parlamento, vivono assieme ai signori delle miniere sulla collina di Zeisan, vicino alla residenza presidenziale. Ville California-style, grattacieli-deluxe e fuoristrada con teschi d' acciaio scolpiti nei cerchioni delle jeep: un concentrato di esibizionismo e pessimo gusto che domina la coltre di polvere di carbone, stagnante sulle baraccopoli dei nomadi senza più animali, ammassati oltre il fiume Tuul. «Prima il dominio cinese della dinastia Qing - dice lo storico Otsonsuren Dulam - poi le purghe staliniane del 1937 e lo sfacelo dell' Urss: pensavamo di essere sopravvissuti al peggio, ma non avevamo conosciuto la razzia del capitalismo energetico». Fino al contagio della febbre da materie prime, alla fine degli anni Novanta, i mongoli conducevano una vita antica e vagavano liberi con le mandrie su altipiani di ineguagliata bellezza. Ridotti in povertà dall' improvvisa ricchezza, sono scossi oggi dall' odio contro la casta che, tra gli applausi dei mercati internazionali, si spartisce il patrimonio nazionale sommerso e il tesoro naturalisticoa cielo aperto. Dietro il «nazionalismo delle risorse», monta la «xenofobia dei capitali»: l' Europa è razzista perché gli immigrati sono tanti e troppo poveri, la Mongolia perché sono pochi e troppo ricchi. «Duecentomila nuovi milionari fra 3 milioni di poveri - dice Ch. Ayurazana, direttore di un centro di accoglienza a Yarmag - devastano una società primitiva come quella mongola. Satelliti e web impongono i modelli anche nei campi gher dell' aymag di Arkhangai, dove giace distrutta Kharkhorin. Nomadi e pastori svendono tutto per un' auto giapponese, un vestito europeo, un computer coreano, una notte al karaoke e il sogno di una vita americana: xenofobi ed esterofili nello stesso tempo, in realtà vittime di consumi di cui non tengono il passo». I giovani si laureano nelle 180 autodichiarate «università» private e fuggono all' estero. I loro genitori lascianoi pascolie spariscono in miniera per pagare le rate della tivù al plasma, ormai esclusi da ogni scelta. Regioni immense abbandonate, imbevute di arsenico e desertificate, da offrire allo sfruttamento delle materie prime e al business delle necessarie infrastrutture. Cina e Corea del Sud stanno per cominciare le strada asfaltata più lunga della storia nazionale. Gli azionisti delle compagnie minerarie occidentali, con 5,2 miliardi di dollari, annunciano 1900 chilometri di nuove ferrovie per i vagoni del carbone. Pechino ha donato un imponente palazzetto dello sport. Il Giappone, entro il 2016, consegnerà il nuovo aeroporto della capitale, costato 500 milioni di dollari, e promette un sistema di bombardamento delle nuvole per non
lasciar morire di sete la popolazione. La stampa di Tokyo lancia anche l' allarme- atomico: l' ex base militare sovietica di Bayantal offerta segretamente ad americani e giapponesi per essere trasformata nella più grande discarica nucleare del pianeta e la francese Areva concentrata sull' accaparramento dell' uranio. «Per la Mongolia impegnata in un titanico slancio di modernizzazione - dice l' ex ministro degli Esteri, Tserendash Tsolmon - è l' occasione per una crescita straordinaria». Distribuendo equamente le royalties delle materie prime, anche senza sforzarsi di creare imprese e occupazione, lo Stato potrebbe garantire ad ogni individuo una rendita sufficiente, tutelare l' ambiente, far rinascere villaggi e città in tutte le regioni, salvare agricoltura e allevamento, assicurare ai giovani l' istruzione e un lavoro dignitoso. «Invece - dice l' ingegnere-cuoco di un chiosco di spiedini fuori dal tempio distrutto di Mandshir Khiid, tra i monti di Zuunmod - siamo una massa di ereditieri tenuti in miseria». A fine giugno si terranno le presidenziali e si è aperta la campagna elettorale. Sfidanti: il favorito presidente uscente Ts. Elbegdorj, filo-occidentale, l' ex campione di lotta B. Bat-Erdene, più aperto a Cina e Russia,e la ministra della sanità N. Udval, dell' ex partito comunista sovietico, prima donna candidata al vertice del potere. Tutti promettono di «restituire la Mongolia ai mongoli», le multinazionali per un mese si fingono preoccupate per investimenti e concessioni, ma a Ulan Bator e nelle campagne si rischia una rivolta. «Anni di promesse- dice Tsagaan Sanjdori, ultimo pastore di Tsetserleg - poi i ricchi della capitale votano con la scheda elettronica made in Usa, i garanti degli interessi stranieri vengono eletti, il malloppo viene spartitoe la gente si scopre più povera e privata di ogni opportunità». A Oyu Tolgoy è scattato anche l' allarme eco-terrorismo contro un movimento di pastori rimasti senz' acqua per le capre, che promette blocchi alla miniera e al rame già pagato da Pechino. Nel Gobi, come nel resto della Mongolia, in Cina e nell' Asia condannata a crescere per salvare il consumismo occidentale, chi chiede il rispetto della vita e un po' di misura, pur nell' ingordigia, è accusato di sovversione. La "collina turchese" non esiste più. Il sole non raggiunge il fondo nero dell' abisso in cui il mondo spinge un nuovo sogno. Una famiglia nomade, stretta tra le gobbe piegate di un cammello, guarda la processione dei primi camion di rame che risalgono i tornanti della miniera, appena visibili laggiù, come chicchi di riso, e se ne va. Nel deserto non sono stati mai così soli. GIAMPAOLO VISETTI. La Repubblica 23/’05/2013 MONGOLIA, LA FEDE, LA FAME E L’ORGOGLIO Patria del vento e di grandi guerrieri. Oggi terra di povertà e degrado rampante. Un abisso separa i piccoli accattoni di Ulaanbaatar dai fieri cavalieri delle steppe. In mezzo una Chiesa puramente simbolica e una missione attiva Bartaldag ha una bella faccia, sporca e rotonda, con due occhi stretti come fessure e la bocca che vorrebbe curvarsi in un sorriso ma ancora non ci riesce. Ha tredici anni e solo tre mesi fa se ne stava infilato dentro i tombini di Ulaan Baatar insieme a un gruppo di giovani amici. La sua vita sotterranea era un inferno, come quella di migliaia di bambini di strada che popolano la capitale della Mongolia. Stanno rintanati come orsetti a proteggersi dalla crisalide di gelo che avvolge il Paese per sette mesi all'anno, con punte di 50 gradi sotto zero e l'aggravante del vento siberiano. Escono in piccoli branchi
per racimolare parvenze di cibo e indumenti raccattati tra cumuli di spazzatura; nella stagione estiva, assediano i turisti e li sfiniscono fino a ottenere una moneta. Dietro questi bambini c'è una storia familiare comune e disperata: padre alcolizzato e violento, madre in fabbrica o in ufficio a inseguire la sopravvivenza. Ma gli stipendi non bastano più. Da quando l'Unione Sovietica si è sfaldata, nel 1990, la Mongolia è stata abbandonata a se stessa e la sua economia è precipitata in una voragine. "I mongoli - dice Tsetserleg, giovane impiegata al grande supermercato statale - sono guerrieri nel sangue. Ma la guerra non c'è e i nostri uomini sanno solo rintanarsi in casa a bere e ad aspettare i soldi". Così a volte c'è bisogno anche di loro, di quei cuccioli d'uomo mandati allo sbaraglio della città. Alcuni tornano a casa alla sera e rischiano botte da orbi se non consegnano un gruzzolo sufficiente. Altri, la maggior parte, se ne sono andati per sempre e la loro casa è un tombino. "Sono seimila, forse addirittura diecimila - afferma Maria Gabriella De Vita, rappresentante dell'Unicef in Mongolia - i bambini di strada di Ulaan Baatar. È un fenomeno in sconvolgente aumento e ormai quasi fuori controllo. Questi bambini non hanno più nulla, vivono di stenti e di carità e muoiono piegati dalla fame, dal freddo e dalle malattie". Una presenza di fede e azione Per un anno Bartaldag ha vissuto questo incubo, ma ora è ospite in uno dei centri della missione cattolica, quello delle suore di Madre Teresa, alla periferia di Ulaan Baatar, non lontano dal percorso dove ogni anno, a luglio, migliaia di mongoli si sfidano a cavallo nella sontuosa cerimonia del Naadam. La presenza dei cattolici in Mongolia è numericamente esigua (un centinaio, secondo un recente sondaggio, su tre milioni di abitanti) ma preziosa e molto apprezzata anche dai buddhisti lamaisti, il 90 per cento della popolazione. Perché c'è un obiettivo che unisce le due fedi: dare un futuro alla Mongolia, cominciando dai suoi abitanti più giovani. Una trentina di missionari hanno ridato speranza a centinaia di bambini abbandonati: insegnano loro a leggere e scrivere ma anche a cucire, cucinare e coltivare l'orto. Soprattutto insegnano loro il decoro, la solidarietà, la speranza. Sul territorio mongolo operano altri quattro campi che fanno capo alla Catholic Church Mission di Ulaan Baatar. La sede è nel quartiere di Bayanzurkh, affacciata a un mercato dove la gente scivola silenziosa fra le bancarelle. L'odore acre della carne di pecora si insinua fino agli uffici del primo piano, dove i padri missionari preparano le strategie di questa durissima guerra contro la povertà e l'ignoranza. Presto, nel 2003, nascerà un'altra missione cattolica. "C'è molto da lavorare qui in Mongolia - dice il padre congolese Pierre Kasemuana - e la tolleranza tra cattolici e buddhisti è fondamentale per ottenere risultati concreti". Anche il Papa ha più volte espresso il desiderio di visitare la Mongolia. "Sembra incredibile - rivela Kasemuana - ma Giovanni Paolo II è amato profondamente dai mongoli, una popolazione così lontana e quasi totalmente buddhista. Una sua visita rischierebbe però di destabilizzare la situazione religiosa, perciò viene sistematicamente rimandata". Cercando un'identità Secondo i parametri dell'Unesco, più di un terzo della popolazione mongola è "povera" mentre un quinto è "molto povera". La siccità estiva e il grande gelo invernale rappresentano una trappola mortale per il bestiame (soprattutto pecore e yak), principale sostentamento dell'economia rurale: nel periodo fra ottobre e febbraio 2002 oltre un milione di animali è rimasto ucciso dallo zud, il fenomeno di congelamento del terreno che non consente di raggiungere l'erba da brucare. Ai nomadi non resta che dirigersi verso la capitale ma come per Dersu Uzala, il piccolo uomo delle grandi pianure raccontato dal regista Kurosawa, la vita in città è come un suicidio per chi ha da sempre solo i ritmi della natura come riferimento. La Mongolia sta cercando una nuova identità. Anzi, vorrebbe ritrovare il suo antico orgoglio, quello che nel XII secolo aveva mosso Gengis Khan fino a riunire il più esteso impero della storia, dalla Cina all'Ungheria. I vecchi restano disperatamente ancorati a tradizioni millenarie, anche se a Ulaan Baatar si assiste a un vertiginoso cambiamento di rotta. I giovani sono stati contagiati dalle tentazioni consumistiche importate dal Giappone, dalla Corea e dall'Occidente: girano con occhiali da sole, capelli tinti di biondo, scarpe griffate e t-shirt con scritte in inglese. E anche la prostituzione sta assumendo
contorni preoccupanti, in misura direttamente proporzionale all'aumento del turismo: le autorità sanitarie hanno rilevato un solo caso di Aids fino al 1999, ma già in questi ultimi tre anni il contagio sembra avere colpito almeno un centinaio di ragazze. La capitale mongola sta perdendo inesorabilmente la sua anima immacolata. Alcuni gesti sopravvivono per svelare lo spirito di questo popolo: un leggero urto accidentale su un bus viene immediatamente espiato con un "segno della pace", una stretta di mano fra due sconosciuti a sottolineare una solidarietà antica e indissolubile. O quando viene offerto del cibo con il braccio destro appoggiato alla mano opposta o nella benedizione del cielo, della terra e degli antenati prima di sorseggiare una bevanda alcolica. Nell'immensa piazza Sukhbaatar, dedicata all'eroe che guidò la Mongolia all'indipendenza dai cinesi nel 1929, si mescolano per magia le tiepide brezze del Gobi e la glaciale corrente polare. Qui tutti si danno appuntamento: lussuosi fuoristrada giapponesi, carretti stipati di povere cose, cavalli, venditori di miglio, ubriachi che sbandano, monaci fasciati da tuniche arancioni, vecchi militari piegati dal peso delle medaglie, pittori di acquarelli che evocano antiche battaglie, studenti in grembiule beige e azzurro, donne e uomini infagottati dal tradizionale del, il pastrano chiuso da sgargianti fasce di seta, e ai piedi i gutul, gli stivali di cuoio morbido concepiti con la punta in su perché nella steppa non possano causare ferite alla terra e ai piccoli animali che la popolano. Basta salire sulla collina dove sorge Gandan, uno dei pochi monasteri sopravvissuti alla distruzione operata dal governo filosovietico, per liberare lo sguardo dentro lo spirito antico e intatto della Mongolia: verso le montagne dell'Altai a occidente, il Kenthii a oriente, il Gobi a sud e la Siberia a nord, migliaia di chilometri popolati solo dal vento e dalle candide gher che cesellano un paesaggio di silenzio verde. E, sopra, quel cielo altissimo, "spalancato", come lo definisce Barzini jr nella sua Evasione in Mongolia, "pieno di luce, che non ti senti oppresso a starci sotto, ma libero". È dentro le gher, queste case eternamente in movimento, che la Mongolia offre la sua faccia generosa e sorridente. È nei gesti solenni dei nomadi, nell'offerta di una tazza di tè salato, di un boccone di formaggio secco di yak o di un sorso di latte di cavalla fermentato. In questa semplicità senza spazio né tempo regna la gioia dello spirito, a pochi chilometri ma agli antipodi dallo sguardo spaurito di Bartaldag e dei suoi amici che vivono sottoterra. (di Federico Pistone – Popoli -settembre 2002) PICCOLA MA VIVACE, LA CHIESA CATTOLICA IN MONGOLIA COMPIE 20 ANNI La Chiesa cattolica in Mongolia è la più giovane tra le chiese particolari nel mondo: ha appena 20 anni di età e ha festeggiato con meritato orgoglio il suo ventesimo compleanno nel corso del 2012. Ad aprire le celebrazioni nella cattedrale di Ulaanbaatar è stato mons. Savio Hon, segretario della Congregazione per l’Evangelizzazione dei Popoli. Si tratta di «una Chiesa di piccole dimensioni, ma di grande vitalità» ha affermato il presule. Tale vitalità è stata espressa anche simbolicamente: a conclusione dei festeggiamenti, rispondendo all’invito del loro vescovo mons. Wenceslao Padilla, i cattolici mongoli hanno piantato un albero, come augurio che il Vangelo di Cristo affondi sempre più profondamente le radici nei cuori della popolazione mongola. Non è la prima volta che la Buona Notizia viene annunciata a questa popolazione. Già nel secolo VI i monaci della Chiesa siriaca orientale (i cosiddetti nestoriani) si erano spinti fino alle steppe dell’Asia orientale, costituendo solide comunità che neppure le persecuzioni del IX secolo riuscirono a soffocare completamente. Nel secolo XIII, in seguito all’espansione dell’impero mongolo creato da Gengis Khan e dai suoi successori, l’evangelizzazione dei mongoli riprese sotto forma di «missioni diplomatiche», affidate ai missionari
francescani, fino a costituire la diocesi di Khambaliq (oggi Pechino), con l’arcivescovo che aveva autorità «in toto dominio Tartarorum» (in tutto l’impero dei Tartari). Ma tutto fu troncato a partire dal 1368, quando i cinesi della dinastia Ming posero fine all’impero mongolo. Dopo oltre sei secoli di vuoto, in cui dall’attuale Mongolia scomparve ogni traccia di presenza cristiana, la Chiesa cattolica è rinata nel 1992, con l’arrivo di tre missionari del Cuore Immacolato di Maria (Cicm) e ha continuato a crescere in numero e qualità: oggi, dopo 20 anni, la Prefettura apostolica di Ulaanbaatar conta sei parrocchie e numerose iniziative in campo sociale, di promozione umana e di dialogo interreligioso. Negli ultimi due secoli, in verità, ci furono vari tentativi, promossi da Propaganda Fide, per entrare nell’attuale Mongolia passando dalla Cina. Uno di essi fu programmato dai Cistercensi, che nel 1883 stabilirono la loro comunità a Yang Kia Ping, nel nord della Cina, vicino alla grande muraglia. Il monastero fu intitolato a Nostra Signora della Consolazione, titolo suggerito da Giovanni Bosco, quando il fondatore della trappa, don Ephrem Seignol, priore del monastero di Tamié nella Savoia, prima di partire per la Cina si recò a Torino per salutare il suo amico. In tale occasione, oltre ai consigli, don Bosco gli diede un’immagine della Consolata, con scritto nel retro: «Che Dio benedica voi e le vostre opere, che la Santa Vergine Consolata vi benedica sempre». Fiorente di vocazioni e attività, agli inizi del XX sec. la trappa contava oltre 100 monaci in maggioranza cinesi, tanto da sentire il bisogno di dare vita a una nuova fondazione. «Consolazione mandò una colonia in una provincia centrale cinese - racconta Thomas Merton - e questo nuovo monastero era stato messo sotto il controllo di un priore titolare Cinese, don Paolino Li... I monaci stavano preparando i piani di espansione nella Mongolia, quando l’esercito rosso occupò entrambe le case e pose fine ad ogni progetto futuro» (T. Merton, Le acque di Siloe, pag. 301). Erano gli anni 1947-48, durante la guerra tra l’armata rossa di Mao Tze Tung e i nazionalisti di Chiang Kai-shek; i monaci della seconda fondazione si rifugiarono a Hong Kong, ma dei 75 monaci di N. S. della Consolazione, sottoposti a torture inaudibili, 33 morirono e l’abbazia fu rasa al suolo. Ma la Consolata ha trovato ugualmente le sue vie per entrare in Mongolia: il 27 luglio 2003 atterrarono nella capitale mongola due padri e tre suore della Consolata. Oggi la loro presenza è raddoppiata e quest’anno festeggiano con gioia il decimo anniversario della loro presenza di «Consolazione» in Mongolia. Dossier di di Benedetto Bellesi, mons. Wenceslao Padilla, Giorgio Marengo – luglio 2013
I BAMBINI IN MONGOLIA Secondo il censimento della popolazione del 2000, 46.6 per cento della popolazione mongola sono bambini sotto i diciotto anni. La Mongolia ha aderito alla firma di documenti internazionali riguardo alla protezione ed i diritti dei bambini. Una legge sulla protezione dei diritti dei bambini fu votata nel 1996. Cosi’sono stati implementati programmi istruttivi, i quali hanno avuto effetti e miglioramenti sostanziali sui servizi istruttivi e di protezione del diritto all’istruzione dei bambini. Verso la fine dei 1990, in Mongolia, la situazione dei bambini e del sistema d’istruzione cominciano a migliorare. In ogni caso le scuole rurali ancora stanno soffrendo. Gli asili infantili, una volta gratis per tutti i lavoratori, sono divenuti un articolo di lusso per quelli che possono permettersi di inviare i loro figli fra i tre e i sette anni dandogli cosi un aiuto al momento d’iniziare la scuola. La situazione di questo paese è particolare nel senso che ci sono più casi di bambini che di bambine che abbandonano la scuola. In termini numerici, il 64 percento dei 44.700 minorenni d’età che abbandonano la scuola nella tappa secondaria sono bambini. I bambini stanno essendo vittime della trasformazione socio-economica che sta avendo luogo nelle zone rurali. Come risultato delle riforme applicate nelle zone agrarie e nell'economia rurale, alle famiglie risulta più redditizio mantenere i ragazzi a casa lavorando con gli animali che inviarli a scuola. È necessario anche riflettere sui problemi che colpiscono il sistema educativo, tali come lo stato carente delle scuole, la insufficiente preparazione dei professori, specialmente nelle scuole rurali, e la mancanza di attività ricreative extrascolastiche adeguate per i giovani. Per la maggior parte dei bambini della campagna spendono la loro infanzia a casa con i genitori prendendo cura del bestiame. Per la maggior parte di loro un’istruzione completa d’undici anni è effettivamente impossibile. Ai bambini sotto l'età di 16 non è permesso di lavorare, eccetto ai bambini tra 14 e 15 anni ai quali e’ permesso di lavorare un massimo di 30 ore per settimana su approvazione parentali. Il lavoro per bambini sotto l'età di 18 anni è restretto. A loro non è permesso di lavorare di notte, o di avere un lavoro rischioso o arduo. L’istruzione è obbligatoria e gratis fino all’età di 16 anni. Secondo i calcoli del censimento del 2002, ci sono circa 1.300 bambini di strada in Mongolia. Il lavoro di bambini è comune in Mongolia, principalmente nell'economia informale come nelle piccole attività manuali, nei luoghi di scarica, in miniere di carbone e nell’allevamento del bestiame. Uno studio di ILO/IPEC/Mongolia mostra che il lavoro di bambini accade nelle miniere di carbone, pietra dura e oro, e nella estrazione di scorte di fluoruro. Nelle miniere di carbone i bambini lavorano principalmente fuori delle buche, qualche volta anche durante la notte. Nelle miniere d’oro i bambini contano il 10-15% dei minatori informali d’oro. Il 73% di loro lavora nella pietra dura e il 62.3% sono più giovani di 15 anni. (dal report UNICEF 2012 – Children and weather change)
FOCUS: LA REALTÀ DI ARVAIHEER A cura dei missionari della Consolata della comunità di Arviheer Arvaiheer è il capoluogo della provincia chiamata Uvurkhangai, che si trova nella parte centrale della Mongolia. Caratterizzata da un interessante susseguirsi di pianure, colline, montagne e deserto, questa provincia conta anche numerosi siti storici e naturalistici di rilievo, che attraggono buona parte del flusso turistico del Paese in quei mesi in cui le condizioni climatiche lo permettono. Tra questi, l’antica Kharkhorin, già sede dell’imperatore ai tempi dei grandi Khaan, e di cui oggi si visita il famoso monastero buddista di Erdene Zuu (risalente al XVI secolo). Situata all’imbocco della pittoresca valle dell’Orkhon (dove si trova l’unica cascata del Paese e l’affascinante eremo buddista di Tuvkhun), oggi non è che un modesto villaggio di provincia. UVURKHANGAI Abitanti: 114.000. Densità: 1,8 ab/kmq Etnie: khalka Capi di bestiame: 1.600.000 (rapporto animali-uomini 14:1). Animali rari: gazzella persiana, gazzella mongola. Temperatura: media 0,4°, media gennaio -15,5, media luglio 15,7 Capoluogo: Arvaikheer (26.000 abitanti, 1.913 m. slm, 430 km da Ulaanbaatar) Le principali fonti di reddito per la popolazione di Arvaiheer sono il piccolo commercio (esiste un mercato abbastanza grande, che fornisce tutta la provincia) e i salari statali (amministrazione pubblica, uffici, ospedale e altri enti governativi). L’unica fabbrica del posto è una ditta di prodotti alimentari (soprattutto vodka e bibite). Il commercio di pelli è un settore abbastanza sviluppato, insieme a quello di lana e cashmere, che però subiscono variazioni di prezzo anche molto grandi da un anno all’altro, conseguenza del monopolio quasi totale dei compratori cinesi. È comprensibile quindi che il tasso di disoccupazione sia elevato; molti vivono di espedienti, prestandosi per lavoretti estemporanei o più
tragicamente cercando di tirare avanti. Chi non ha una professione o un impiego statale potrebbe cavarsela con l’allevamento, ma non è per niente facile riuscire ad avere e mantenere un numero di capi di bestiame sufficiente a consentire una vita dignitosa. Un grave problema è costituito dal consumo elevato di vodka e altri alcolici, al punto che praticamente in ogni famiglia di Arvaiheer c’è almeno una persona con problemi di dipendenza dall’alcol, con conseguenti disturbi di salute e di relazioni familiari. Il livello di alfabetizzazione è relativamente alto, ma coesiste con un gran numero di abbandoni della scuola: molti ragazzini vengono tenuti a casa per occuparsi del bestiame. La gente Gli abitanti di questa regione sono noti per la grande tradizione pastorale, che ne fa ottimi allevatori e validi cantanti: sì, perché è piuttosto accentuata la propensione alle espressioni artistiche della musica e del canto tradizionali, di cui Uvurkhangai conserva un vasto repertorio. La gente è molto ospitale e generalmente serena, abituata ai ritmi lenti della natura con le sue stagioni anche imprevedibili, che plasmano il carattere sulle virtù della pazienza e della sopportazione. Come un po’ tutta la campagna mongola, queste zone hanno mantenuto una spiccata componente religiosa: nelle province lontane dalla capitale le dure repressioni del regime comunista riuscivano meno efficaci e le famiglie hanno tramandato le ricche tradizioni del buddismo e dello sciamanesimo, che diventano vita vissuta nel modo di interpretare le vicende di ogni giorno. Il calendario dei pastori è molto seguito, al punto che si deve consultare per quasi tutte le attività principali, come il montare la ger, spostarsi da un pascolo all’altro, tagliare i capelli ai bambini e seppellire i morti. Lo stile nomade si riflette anche in un modo di gestire le risorse familiari che potremmo definire “vivere alla giornata”, senza pensare al risparmio (tutto il patrimonio deve essere contenuto nello spazio ridotto di una ger) e con poca progettazione per il futuro. C’è tuttavia un profondo senso di sacralità e rispetto per la dimensione religiosa della vita che offre all’evangelizzazione un terreno privilegiato. E c’è anche un innato senso di tolleranza verso chiunque, forse risultante dalla durezza della vita, che fa di chi vive in campagna gente accogliente, fiera e coraggiosa.
Il nostro modo di operare Essere qui come testimoni del Vangelo è innanzitutto un grande dono, pensando al fatto che mai nessuno ha parlato di Gesù Cristo a questa gente. Con il crescere dell’interessamento della gente, nel dicembre 2008 abbiamo cominciato a proporre agli adulti un cammino di conoscenza ed approfondimento del mistero cristiano, dividendo i partecipanti in 2 gruppi: quello di coloro che si avvicinano per la prima volta e desiderano essere introdotti alla fede e quello di coloro che, avendoci frequentati già da tempo, hanno maturato la scelta di diventare cristiani e desiderano ricevere il battesimo. A cominciare dal 2010, ogni anno abbiamo un piccolo gruppo di catecumeni che, conclusa la dovuta preparazione, entrano a far parte della famiglia cattolica, con il sacramento del battesimo. Nel 2012 il Prefetto Apostolico mons. Padilla ha eretto la nostra comunita’ a parrocchia, con il titolo di “Maria, Madre di Misericordia”. Progetti L’assoluta novità di una presenza cattolica da queste parti ci ha fatto considerare ancora più importante l’impegno di instaurare buoni rapporti con le autorità locali, in modo da farci conoscere promuovendo iniziative di solidarietà. Così è nato nel 2006 il progetto ger, che prevedeva la donazione di circa 30 ger a famiglie povere individuate dai servizi sociali su tutto il territorio regionale e che ci ha portato a conoscere la realtà di diversi villaggi della zona, oltre che di Arvaiheer. Nella stessa linea di assistenza si collocano anche le collaborazioni col quartiere dove ora viviamo: distribuzione di viveri in particolari occasioni, in collaborazione con il capo-quartiere; consegna di ger a famiglie colpite da gravi problemi, anche su segnalazione delle autorità. Abbiamo anche realizzato progetti di micro-credito, concedendo piccoli finanziamenti a persone che si rivolgevano a noi con l’intenzione di iniziare o proseguire un’attività lavorativa. Le sorelle hanno anche avviato un progetto di ricamo e cucito che coinvolge un gruppo di donne, che realizzando oggetti in stoffa e vendendoli a noi riescono a racimolare qualcosa per le loro famiglie, così segnate da precarietà se non vera e propria povertà. Recentemente è nata una realtà analoga per gli uomini, che dedicandosi a lavori di piccolo artigianato, ritrovano quella dignità che l’alcolismo aveva fatto loro perdere. Un altro settore è quello della collaborazione nell’educazione, con l’insegnamento gratuito dell’Inglese presso la biblioteca regionale ed altri enti governativi (tribunale, ospedale, polizia) e il volontariato in
varie realtà locali. Da quando ci siamo insediati, abbiamo avviato un’attività di aiuto per bambini di diverse età che hanno abbandonato la scuola; una specie di classe di ricupero, con la speranza di poter reinserire i bambini nella scuola statale. Ci siamo accorti che diversi bambini e ragazzi non vengono mandati a scuola per ragioni burocratiche (manca il certificato di cambio di residenza da altri villaggi) o più spesso per problemi di ritardo mentale o handicap fisico. Da oltre 5 anni portiamo avanti un servizio quotidiano di dopo-scuola per ragazzi di età diverse, che vengono da noi a fare i compiti, giocare e crescere in un ambiente sicuro e stimolante; ricevono tutti i giorni un’abbondante merenda e aiuti di vario tipo, a seconda dei bisogni personali. In questo impegno educativo si colloca il progetto specifico dell’asilo informale, che vorremmo potesse rappresentare un ulteriore miglioramento del servizio alla popolazione. Infine i progetti in campo sanitario: nel corso del 2008 siamo stati raggiunti da un’équipe di medici italiani facenti capo all’ospedale di Treviso, che intendevano venire a rendersi utili in Mongolia; da qui è nata una collaborazione che ha portato alla realizzazione di una prima missione ad Arvaiheer nell’ottobre 2008, ripetutasi annualmente fino alla primavera del 2013 e che si è poi estesa all’ospedale di Bergamo che ha avviato un’analoga collaborazione dal settembre 2009.
BIBLIOGRAFIA E SITOGRAFIA Fosco Maraini (a cura di), La storia segreta dei Mongoli, Guanda 2009 Louisa Waugh, Dove volano gli uccelli. Storia di un anno in Mongolia, Feltrinelli 2007 www.mongolia.it www.soyombo.it http://www.consolatamissionmongolia.org/ FILMOGRAFIA Storia di un cammello che piange Byambasuren Davaa, 2003 Il canne giallo della Mongolia Byambasuren Davaa, 2005 Mongol Sergei Bodrov 2007
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