LUIGI ANTONIO CANTAFORA - Vescovo di Lamezia Terme I bisogni, le motivazioni, le espressioni dell'amore di Cristo nella nostra Chiesa.

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1

    LUIGI ANTONIO CANTAFORA
         Vescovo di Lamezia Terme

CHARITAS CHRISTI URGET NOS
I bisogni, le motivazioni, le espressioni
dell’amore di Cristo nella nostra Chiesa.

             Lettera pastorale
2

In copertina: Madrid, Santa Maria la Real de la Almudena,
particolare dell’abside.
3

                                        Ai presbiteri e ai diaconi
                                       Ai religiosi e alle religiose
                                                     Ai fedeli laici

INTRODUZIONE
       «Fu rivolta a Giona figlio di Amittai questa parola del
Signore» (Gn 1,1).

       Il libro di Giona inizia mettendo in evidenza la Parola di
Dio. Tento perciò di cogliere alcune suggestioni alla luce di
questo testo, breve ma significativo, col desiderio che la Parola
possa aiutarci a leggere il presente della nostra Diocesi
lametina.

        Giona è per vocazione profeta, chiamato cioè a custo-
dire la Parola e ad esserne servo, fino a coinvolgere integral-
mente la sua persona, affinché Essa sia annunciata. Il testo bi-
blico ce lo mostra inizialmente intento a fuggire a Tarsis,
«lontano dal Signore» (Gn 1,3): egli agisce contrariamente al
comando di Dio. Tarsis è l’estremo occidentale, rispetto a
Ninive, estremo orientale. Attraverso la sua vicenda, Giona
sarà aiutato dal Signore a prendere coscienza del male delle sue
azioni. Anche noi, membri della Chiesa, siamo invitati a pren-
dere sempre maggiore coscienza del nostro compito di portare
Cristo al mondo, nonché dei nostri errori e peccati, per potere
meglio servire il Signore.

        Questo mio scritto, di certo, non ha la pretesa di essere
esaustivo; esso vuole tentare di discernere l’oggi della nostra
Chiesa particolare, sullo sfondo di alcuni testi biblici e alla luce
dell’insegnamento e della vita della Chiesa e di quanto ho
potuto finora personalmente constatare. Faccio inoltre tesoro
4

degli incontri del clero che, nei mesi scorsi, si è riunito per
foranie, per dare al vescovo possibili stimoli ed indicazioni pa-
storali. Dall’esperienza sul campo di parroci e presbiteri è
venuto fuori un quadro concreto della nostra Chiesa. Quanto
scrivo abbraccia una realtà quanto mai dinamica ed è quindi,
incompleto e perfettibile. Il vissuto ecclesiale e sociale, qui
solo parzialmente affrontato, non per questo è meno importante
o poco rilevante nel mio animo.

        Prego il Signore che mi conceda di parlare in Suo
nome, di offrire una parola ben misurata al popolo, nella verità,
senza esagerazioni né ambiguità. Mi soffermerò su alcuni
aspetti più urgenti della realtà ecclesiale dell’intera Diocesi la-
metina, centro e periferia, che sono ugualmente nel mio cuore e
nella mia attenzione di pastore. Resta ben inteso che non desi-
dero livellare né massificare: sono infatti cosciente che esi-
stono anche tra parrocchie limitrofe differenze notevoli, che
vanno colte e promosse nella comunione.

        A volte le tinte del mio dire potranno apparirvi forti, ma
lo scopo non è quello di offuscare la speranza, bensì di inco-
raggiare quegli sforzi protesi nella giusta direzione e di correg-
gere alcuni orientamenti, che possono rendere inefficace la no-
stra azione pastorale. Il fine è di operare meglio per il bene
delle persone e la diffusione dell’Evangelo.

        Sono in mezzo a voi da alcuni mesi, nel corso dei quali
ho avuto modo di visitare quasi tutte le parrocchie e di dedicare
molto del mio tempo all’ascolto di sacerdoti, religiosi e reli-
giose, laici singoli ed aggregati. Grazie ai numerosi incontri,
alcuni dei quali intensi e profondi, sto così imparando cono-
scervi, apprezzarvi, amarvi. Non è mancata la fatica e posso
aver tralasciato momentaneamente dell’altro, ma ho avvertito
la necessità di aprire il mio cuore di pastore a questa realtà dio-
5

cesana prima di decidere, con l’aiuto dello Spirito Santo, il
cammino da proporvi. Nel cuore custodisco tanti desideri e la
speranza che in Cristo tutto si compia.

        Da più parti si coglie un anelito al cambiamento ed un
desiderio di svolta, unitamente all’esigenza che il vescovo for-
nisca linee ed indicazioni su come operare. So bene che è
ancora presto per poter fornire un quadro completo delle
priorità, ritengo però urgente indicarne alcune cui ho già fatto
riferimento nell’omelia del mio ingresso in Diocesi. Esse sono:
cura della vita spirituale, parrocchia, famiglia e giovani.

                            I PARTE
             DISCERNIMENTO SULL’OGGI
                DELLA NOSTRA DIOCESI

    1. «ALZATI,  VA’ A NINIVE» (GN 1,1).           LA   PASSIONE
        PER I LONTANI ED I PECCATORI.
         La Parola del Signore chiama Giona ad andare a predi-
care a Ninive, capitale dell’impero assiro, che per Israele era
oppressore, nell’immaginario collettivo forse l’oppressore per
eccellenza. Ninive non è semplicemente una città pagana, ma la
città sfruttatrice di Israele. E l’intero libro ci mostra la chiamata
6

alla conversione sia di Ninive che di Israele. Nel cuore di Dio
c’è posto per entrambe. Dio ama entrambe: questo, Giona,
Israele e anche noi, forse, stentiamo a crederlo e ad accettarlo.

        Possiamo leggere il libro di Giona alla luce
dell’episodio dell’incontro di Gesù con Zaccheo, esattore di
imposte per conto dei dominatori, e delle parole di Cristo, «ve-
nuto a cercare e a salvare ciò che era perduto» (Lc 19,10). E’
auspicabile che, come Chiesa, ci mettiamo di fronte a questa
icona di Cristo, che volontariamente si avvicina all’uomo
peccatore. Tutta la Bibbia ci narra di Dio che cerca l’uomo ed
opera perché nessuno si perda.

        Si ha l’impressione che, come Chiesa, rischiamo di
compiacerci di quello che siamo, delle novantanove pecore
nell’ovile (ma saranno proprio novantanove, dal momento che
ormai siamo una minoranza?), dimenticandoci di quella smar-
rita (cf. Mt 18,12ss). Apprezzo con animo grato quanto di
buono, con fatica e zelo, è stato finora costruito in Diocesi. C’è
ad esempio una fascia di laicato ben formato, frutto del lavoro
di chi ci ha preceduto e di sacerdoti pieni di zelo per le casa del
Signore. Questo è ancora una risorsa, ma non possiamo vivere
di rendita. Insomma, «ci viene chiesto di disporci
all’evangelizzazione, di non restare inerti nel guscio di una co-
munità ripiegata su se stessa e di alzare lo sguardo verso il
largo, sul mare vasto del mondo, di gettare le reti affinché ogni
uomo incontri la persona di Gesù, che tutto rinnova»1.

       La gioia per il ritorno dei lontani riempie il cuore e dà
slancio per accogliere il comando del Signore Risorto: «Andate

1
 CONFERENZA EPISCOPALE ITALIANA, Nota pastorale Il volto missionario
delle parrocchie in un mondo che cambia, Roma 30 maggio 2004, n° 1.
7

e ammaestrate tutte le nazioni, battezzandole nel nome del Pa-
dre e del Figlio e dello Spirito Santo» (Mt 28,19).

        E’ triste non sentire l’ansia apostolica, essere già sazi
perché un certo numero di gente viene in chiesa la domenica.
Ma c’è da domandarsi: in che misura quelli che sono dentro
sono formati e sono apostoli? Quanti sono quelli al di fuori? Ed
ancora: qual è la qualità della nostra evangelizzazione? Per
molti essere cristiani significa andare a Messa la domenica. Per
altri non c’è neppure bisogno della Messa; addirittura basta
“sentire Dio” e pregarlo la sera prima di dormire.

   2. «SONO EBREO E VENERO IL SIGNORE DIO DEL
      CIELO, IL QUALE HA FATTO IL MARE E LA TERRA»
      (GN 1,9). IL DIVORZIO TRA FEDE E VITA.
        Il racconto di Giona, dopo la chiamata del Signore per
andare a Ninive, narra che il profeta, disubbidendo, si adopera
per imbarcarsi per Tarsis. Mentre è sulla nave, Dio scatena una
tempesta molto violenta, tanto che la nave rischia di affondare.
I marinai pregano e cercano di aver salva la vita, mentre in
tutto questo trambusto Giona, sceso in fondo alla nave, dorme
profondamente. Saranno il capitano della nave e gli altri mari-
nai, pagani, ad aiutarlo a prendere coscienza e a confessare il
suo fallimento ed il tradimento della sua vocazione profetica.

       Mi soffermo sulle parole di Giona: «Sono Ebreo e ve-
nero il Signore Dio del cielo, il quale ha fatto il mare e la
terra» (Gn 1,9). Giona sta tentando di fuggire lontano dal Si-
gnore, eppure sulle sue labbra, si trova un’esatta professione di
fede.
8

        Nell’attuale contesto ecclesiale, la fede sembra essere
talvolta rimasta a livello iniziale e fa fatica a fondersi con la
vita, per orientare la mentalità della persona. C’è, infatti,
come una frattura, ciò che si crede e ciò che si vive. Già il
Concilio Vaticano II annotava che «il distacco, che si constata
in molti, tra la fede che professano e la loro vita quotidiana, va
annoverato tra i più gravi errori del nostro tempo»2. Il dichia-
rarsi cristiani e cattolici non incide nelle scelte: Dio è seconda-
rio e, di fatto, la vita non esprime il credo. Così non è raro,
purtroppo, sentire frasi del tipo: “Sono cattolico, però non sono
praticante”; “sono credente e cattolico, ma non condivido ciò
che dice il Papa dell’aborto e dei rapporti prematrimoniali: la
Chiesa dovrebbe aggiornarsi, siamo nel 2000!”. Il Vangelo è
qualcosa di non vivibile: “Dopotutto – si dice - non sono un
santo”. L’amore per il nemico rimane lontano dall’ottica del
cristiano, anche praticante. Cristo è più una vaga idea, che il
Dio vivente, presente ed operante nella storia.

        Anche in coloro che sono più vicini alla vita delle no-
stre parrocchie e dei nostri gruppi, quale formazione si riscon-
tra? L’impressione è che ci sia la tendenza ad informare sulle
verità di fede e di morale; magari si fanno incontri biblici, cul-
turali o di altro tipo, ma il Vangelo non attraversa la vita delle
persone. Informazione non significa formazione.

        Altro è conoscere una nozione di catechismo, ad esem-
pio che Dio è Uno e Trino e che il Signore Gesù Cristo si è in-
carnato, è morto ed è risuscitato, altro è poter professare la fede
in Cristo che opera un cambiamento di direzione nella propria
vita, che è il proprio tesoro (cf. Mt 13,44), il proprio bene (cf.
Sal 16,2), la propria gioia.

2
  CONCILIO ECUMENICO VATICANO II, Costituzione pastorale Gaudium et
spes, Roma 7 dicembre 1965, n° 43.
9

        San Paolo non si fermerebbe a trasmettere, come una
mera informazione, il nucleo della fede, che cioè «Cristo morì
per i nostri peccati secondo le Scritture, fu sepolto ed è risu-
scitato il terzo giorno secondo le Scritture, e che apparve a
Cefa e quindi ai Dodici» (1Cor 15,3-5). Il Cristo che annuncia
è quello di cui ha fatto esperienza proprio lui che è «l’infimo
degli apostoli», indegno di questo nome e persecutore «della
Chiesa di Dio» (1Cor 15,9). Egli può affermare: «Per grazia di
Dio però sono quello che sono, e la sua grazia in me non è
stata vana; anzi ho faticato più di tutti loro, non io però, ma la
grazia di Dio che è con me» (1Cor 15,10). Per san Paolo Cristo
è il Vivente, Colui che lo ha fatto passare dalla condizione di
persecutore alla condizione di apostolo, pronto a dare la vita
per il bene della Chiesa.

   3. «GIONA PERÒ SI MISE IN CAMMINO PER FUGGIRE
      A TARSIS, LONTANO DAL SIGNORE» (GN 1,3). IL
       CLIMA CULTURALE NEL QUALE SIAMO IMMERSI
        La nostra Diocesi non può dirsi un’isola felice, infatti il
clima culturale della nostra epoca, con le sue luci e le sue
ombre, si respira anche qui. Possono variare proporzioni ed
accenti, ma non ci si può accomodare su ciò che c’è di buono,
illudendosi che tutto vada bene. Vorrei esaminare, di seguito,
alcuni aspetti della mentalità diffusa tra i nostri giovani e i
nostri adulti. E’ un po’ l’aria che respiriamo, anche attraverso i
mezzi di comunicazione di massa, di cui siamo impregnati, a
volte forse inconsapevolmente. Ed è un’aria che non di rado ci
spinge «lontano dal Signore» (Gn 1,3).
10

         E’ diffusa anche da noi una perdita «del senso di Dio» e
quindi anche «del senso del peccato»3. Mentire, scrivere lettere
anonime, non svolgere onestamente il proprio lavoro, imbot-
tirsi di pornografia, avere “liberamente” rapporti sessuali, con-
vivere, frodare lo Stato... tutto è normale. Ci si dichiara cioè
cattolici affermando la normalità del peccato, che non è più
ritenuto tale, anzi una conquista dell’uomo libero ed emanci-
pato dai tabù. Si può giungere così a convivere e a stupirsi se la
Chiesa considera un impedimento al fare il padrino di batte-
simo la convivenza o il matrimonio solo civile!

        Si è più volte detto che viviamo in un mondo che cam-
bia, veloce, dai ritmi vorticosi. La frenesia della vita fa preci-
pitare nell’inganno che l’avere (ed il consumare, sprecando)
conti più dell’essere e dell’instaurare rapporti autentici, elimi-
nando dal nostro tempo la cura della vita spirituale e della pre-
ghiera. L’uomo vive in un mondo accelerato e, per certi aspetti,
massificante, il quale mortifica l’interiorità. E’ normale,
quindi, che non ci possa essere tempo per riflettere sul senso
della vita, sul perché della morte e del dolore. La morte è come
rimossa: fa spettacolo, ma è presentata sempre come uno sce-
nario lontano, che riguarda gli altri e non la propria persona4.
«Continua a pesare infatti sulla cultura diffusa quella che è
stata chiamata la “fine della metafisica”, che spesso significa
in concreto la non esistenza di alcuna realtà diversa da quella
della “natura”, ossia dell’universo fisico, e quindi non lascia

3
  GIOVANNI PAOLO II, Esortazione apostolica post-sinodale Reconciliatio et
poenitentia, Roma 2 dicembre 1984, n° 18. Corsivo nostro.
4
  «La morte stessa, cioè, che pure rimane il dato più certo del futuro di
ciascuno – e che viene tante volte esibita e banalizzata negli spettacoli e
nella comunicazione sociale – è stata però ampiamente emarginata dalla
nostra esperienza concreta» (C. RUINI, Prolusione al Consiglio Permanente
della CEI, 20 settembre 2004, n° 3: in Avvenire, 21 settembre 2004, p. 9,
col. 1).
11

spazio né per Dio né per un’effettiva dimensione spirituale
dell’uomo»5.

          Si ha così l’illusione di vivere in eterno su questa terra,
incapaci però di operare scelte durature, che impegnino per
tutta la vita, per sempre: c’è «una sorta di paura nell'affrontare
il futuro. L'immagine del domani,pertanto, risulta spesso sbia-
dita e incerta. Del futuro si ha più paura che desiderio. Ne sono
segni preoccupanti, tra gli altri, il vuoto interiore che attanaglia
molte persone, e la perdita del significato della vita. Tra le
espressioni ed i frutti di questa angoscia esistenziale vanno an-
noverati, in particolare, la drammatica diminuzione della nata-
lità, il calo delle vocazioni al sacerdozio e alla vita consacrata,
la fatica, se non il rifiuto, di operare scelte definitive di vita an-
che nel matrimonio»6.

        Anche a Lamezia va diffondendosi «una cultura anti-
solidaristica, che si configura in molti casi come “cultura di
morte”»7. La famiglia e la vita sono tra le realtà più attaccate.
Alla ribalta delle cronache, tanti “maestri” fanno scuola, ne-
gando la dignità dell’embrione umano e del feto e proclamando
la bontà morale di aborto, fecondazione artificiale, eutanasia,
coppie di fatto...

        La perdita del senso di Dio si registra anche tra i gio-
vani, per cui, tra gli studenti di scuola superiore diventa sempre
meno raro incontrare chi afferma esplicitamente di essere ateo,
riscontrandosi, talvolta, una certa indifferenza verso il tema di

5
  Ivi. Corsivo nostro.
6
   GIOVANNI PAOLO II, Esortazione apostolica post-sinodale Ecclesia in
Europa, Roma 28 giugno 2003, n°8.
7
  GIOVANNI PAOLO II, Lettera enciclica Evangelium vitae, Roma 25 marzo
1995, n° 12.
12

Dio in genere. Questo ci spinge ad interrogarci sulla trasmis-
sione della fede nella famiglia e nelle parrocchie.

         Constatare i mali del nostro tempo e della nostra Dio-
cesi può essere un’operazione dolorosa, perché, come si suol
dire, si mette il dito nella piaga. Con quanto detto finora non si
intende condannare l’uomo peccatore: «Dio infatti ha tanto
amato il mondo da dare il suo Figlio unigenito, perché chiun-
que crede in lui non muoia, ma abbia la vita eterna. Dio non
ha mandato il Figlio nel mondo per giudicare il mondo, ma
perché il mondo si salvi per mezzo di lui» (Gv 3,16-17). La
denuncia senza compromessi del peccato non equivale al
giudizio sull’uomo peccatore, del quale solo Dio è giudice
misericordioso: a Lui affido anche la mia povera persona. Ma è
mio dovere di pastore convincere del peccato: «convincere di
peccato non equivale a condannare: il Figlio dell’uomo non è
venuto nel mondo per condannarlo ma per salvarlo. Convincere
del peccato vuol dire creare le condizioni per la salvezza. La
prima condizione della salvezza è la conoscenza della propria
peccaminosità, anche di quella ereditaria; è poi la confessione
di essa davanti a Dio, il quale non attende altro che ricevere
questa confessione per salvare l’uomo. Salvare, cioè ab-
bracciare e sollevare con amore redentivo, con amore che è
sempre più grande di ogni peccato. La parabola del figliol pro-
digo rimane a questo proposito un paradigma insuperabile»8.

        Nei paragrafi seguenti affronterò altri aspetti della no-
stra realtà ecclesiale: si va dalle forme religiose deviate alla re-
altà sociale fino ad alcuni nodi nella prassi pastorale. Il fine,
ribadisco, non è quello di scoraggiare, né di mortificare tanti
sforzi sinceri e fruttuosi, operati spesso nel nascondimento ed

8
 GIOVANNI PAOLO II (con V. MESSORI), Varcare la soglia della speranza,
Arnoldo Mondadori Editore, Milano 1994, 63.
13

in mezzo a molteplici difficoltà. A tantissimi presbiteri, reli-
giosi, religiose, laici, zelanti operai della vigna del Signore, va
tutta la mia stima e il mio apprezzamento.

        Sappiamo che il Signore Risorto è con noi tutti i giorni
(cf. Mt 28,20) e che a Lui «è stato dato ogni potere in cielo e in
terra» (Mt 28,18). Egli accompagna la crescita della sua
Chiesa, dà tutti gli aiuti necessari per superare gli ostacoli che
il mondo pone, ci dona lo Spirito Santo affinché possiamo es-
sere suoi testimoni (cf. At 1,8) ed affinché, attraverso
l’evangelizzazione e la missione della Chiesa, possano crescere
in Diocesi credenti sempre più numerosi e qualitativamente
formati, che con la loro vita siano sale, luce e lievito per
l’intera società.

   4. IDOLATRIE ANTICHE E NUOVE: MAGHI E SETTE,
       VISIONARI E FEBBRE ESORCISTICA

        «In Cristo abita corporalmente tutta la pienezza della
divinità, e voi avete in Lui parte alla sua pienezza» (Col 2,9-
10). Quando Cristo non attraversa la vita dell’uomo o la attra-
versa in modo marginale, allora è facile che si ricorra ad al-
cuni surrogati, dai quali ci si aspetta che il cuore dell’uomo
possa essere colmato. Così, varie sono le forme di idolatria
che, sempre, tentano la vita del credente. L’argine si pone pro-
clamando incessantemente la Buona Notizia di Cristo, Salva-
tore dell’uomo, unica scogliera sulla quale si infrangono ango-
sce, paure, dubbi ed incertezze dell’uomo di oggi.

        Vedo con preoccupazione la proliferazione di maghi e
santoni sul territorio. Diverse sono anche le sette attive ed ope-
ranti e non è raro sentir parlare di pretese apparizioni. La dif-
14

fusa esigenza di spiritualità approda, così, ad esperienze
pseudo-religiose, poco rispettose della verità di Dio e
dell’uomo. Il sincretismo, poi, va prendendo piede: non si av-
verte la contraddizione esistente tra l’andare indifferentemente
e dal mago e dal prete!

        Tanti uomini e donne vengono indotti in errore, poiché
facilmente succede che l’inganno sia ben mascherato da una
patina di pretesa cattolicità o anche scientificità. Capita che,
alle presunte magie, predizioni o guarigioni, si associno imma-
gini sacre e pratiche di preghiera cristiana, quali il Rosario o
altre, o che il contesto abbia una parvenza di “luogo sacro”, di
cappelle, per esempio, mai autorizzate dal vescovo. Invito i
fedeli a consigliarsi prudentemente con i propri parroci, per
non correre il rischio di andar dietro a millantatori9.

9
   Anche nel caso di rivelazioni private, riconosciute come autentiche dalla
Chiesa, quale ad esempio quella di Fatima, si tenga sempre presente quanto
segue: «Lungo i secoli ci sono state delle rivelazioni “private”, alcune delle
quali sono state riconosciute dall’autorità della Chiesa. Esse non
appartengono tuttavia al deposito della fede. Il loro ruolo non è quello di
“migliorare” o di “completare la Rivelazione definitiva di Cristo, ma di
aiutare a viverla più pienamente in una determinata epoca storica. Guidato
dal Magistero della Chiesa, il senso dei fedeli sa discernere ed accogliere
ciò che in queste rivelazioni costituisce un appello autentico di Cristo o dei
suoi santi alla Chiesa. La fede cristiana non può accettare rivelazioni che
pretendano di superare o correggere la Rivelazione di cui Cristo è il
compimento» (Catechismo della Chiesa Cattolica, Libreria Editrice
Vaticana, Città del Vaticano 1992, n° 67). Occorre relativizzare
l’importanza delle rivelazioni private rispetto alla Parola di Dio contenuta
nella Scrittura e trasmessa dalla Chiesa. Il messaggio di una rivelazione
privata «può essere un valido aiuto per comprendere e vivere meglio il
Vangelo nell’ora attuale; perciò non lo si deve trascurare. E’ un aiuto, che è
offerto, ma del quale non è obbligatorio fare uso» (CONGREGAZIONE PER LA
DOTTRINA DELLA FEDE, Il messaggio di Fatima, Commento teologico del
card. J. Ratzinger prefetto della Congregazione, Città del Vaticano 26
giugno 2000, n° 2).
15

        Si avverte anche una febbre esorcistica: si vede il de-
monio dovunque, fuorché nel suo raggio di azione. E’ bene ri-
chiamare alcune idee guida: «Ordinariamente l’azione degli
spiriti maligni nei confronti degli uomini consiste nella tenta-
zione al peccato. Ciò che loro interessa è soprattutto il nostro
traviamento spirituale. Oltre alla tentazione, ad essi vengono
attribuiti fenomeni prodigiosi di carattere negativo [...].
Nell’interpretare questi fenomeni, occorre essere estremamente
cauti. E’ diffusa una credulità morbosa nei prodigi demoniaci,
nei malefici, nella mala sorte. Si vede il diavolo dappertutto,
meno dove sicuramente sta, cioè nel peccato. Per la gran parte
si tratta di immaginazioni e dicerie senza fondamento o di
malattie psichiche [...]. Per un prudente discernimento, vanno
consultati psicologi e psichiatri competenti e rispettosi della
fede»10.

         Occorre infondere nelle persone la fiducia che Cristo è
il più forte (cf. Mc 3,27), è vincitore del demonio, del peccato e
della morte. Conquisteremo allora la certezza che di fronte alle
tentazioni non siamo soli: «Dio è fedele e non permetterà che
siate tentati oltre le vostre forze; ma con la tentazione vi darà
anche la via d’uscita e la forza per sopportarla» (1Cor 10,13).

        Per i casi straordinari in cui sembra opportuno ricorrere
all’esorcismo, si rende necessario puntualizzare che nessuno
(mago, santone o preteso visionario) è autorizzato a fare esorci-
smi, se non il vescovo o il sacerdote da lui delegato11. In ogni
caso, si proceda con prudenza, anche per non aggravare even-
tuali disturbi psichici con la convinzione di essere posseduti dal
demonio.

10
   CONFERENZA EPISCOPALE ITALIANA, La verità vi farà liberi. Catechismo
degli adulti, Libreria Editrice Vaticana 1995, n° 385.
11
   Cf. Codice di Diritto Canonico¸Can 1172.
16

   5. UNO SGUARDO SULLA REALTÀ SOCIALE
        Siamo un popolo laborioso, che conosce il sacrificio e
sperimenta l’emigrazione al Nord o all’estero. Abbiamo diversi
valori e potenzialità, ma numerosi sono i problemi che attana-
gliano le nostre contrade ed i nostri Comuni.

        Le piaghe sociali sono diverse, dalla disoccupazione
 alla criminalità, dai problemi connessi all’immigrazione a de-
 ficit sanitari; da situazioni di povertà materiale all’ emargina-
 zione e ai disagi di diverso genere, a volte legati all’uso di
 droghe e all’abuso di alcol. L’elenco potrebbe continuare. Ri-
 schiamo poi forse di assuefarci, “facendo il callo” ai pro-
 blemi.

       E’ vero anche che tanti sono coloro che spendono senza
 riserve se stessi, svolgendo con dedizione il proprio lavoro e
 gestendo gli uffici di cui sono investiti con responsabilità ed
 al servizio del bene comune. A tutti costoro, impiegati, diri-
 genti, amministratori, politici, va la mia gratitudine e
 l’incoraggiamento a perseverare sulla via dell’attenzione al
 bene comune, agli ultimi soprattutto.

        Ciò nonostante, dobbiamo, purtroppo, prendere atto,
come già più volte hanno fatto i vescovi italiani, delle forti in-
fluenze da parte della criminalità o di poteri occulti e delle fa-
sce di corruzione in alcuni settori pubblici. Si perverte il diritto
in favore, quando ciò che spetta legittimamente diventa conces-
sione di chi detiene il potere, che «volge a illecito profitto la
funzione di autorità di cui è investito, impone tangenti a chi
chiede anche ciò che gli è dovuto, realizza collusioni con
17

gruppi di potere occulti e asserve la pubblica amministrazione
a interessi di parte»12.

        Il male non è frutto del fato: ci sono precise cause stori-
che e responsabilità personali. Rassegnazione e fatalità sono
cattive maestre. «Manca quella mobilitazione delle coscienze
che, insieme ad un’efficace azione istituzionale, può frenare e
ridurre il fenomeno criminoso»13. Come Chiesa forse siamo
stati poco incisivi in campo sociale e politico, nel senso che
non siamo stati sempre capaci di creare personalità cristiane
mature, adulte nella fede, capaci di rinnovare la polis dal di
dentro.

       In quanto Chiesa, infatti, abbiamo il dovere di innalzare
quasi un argine, la buona notizia di Gesù Cristo, incarnata in
uomini e donne concreti. Nostro compito è formare sempre di
più le coscienze, evangelizzando il cittadino per un rinnova-
mento che scaturisca dal di dentro. E’ dal cuore dell’uomo,
cioè dal centro delle sue decisioni, che sgorga il male (cf. Mc
7,21ss). Il Santo Padre afferma che il male morale «è una ferita
che proviene dall'esprimersi disordinato della libertà
umana»14.Cristo è venuto per guarire il cuore dell’uomo dal
peccato che, come una malattia, lo ripiega su se stesso, facen-
dolo vivere egoisticamente, alla ricerca di potere e di facili
guadagni. La società è rinnovata solamente da persone nuove!

      Da un’autentica opera di formazione nascono uomini e
donne nuovi, capaci di portare nella città una logica nuova.

12
     CONFERENZA EPISCOPALE ITALIANA - COMMISSIONE ECCLESIALE
GIUSTIZIA E PACE, Nota pastorale Educare alla legalità, Roma 4 ottobre
1991, n° 6.
13
   Ivi.
14
   GIOVANNI PAOLO II, Lettera enciclica Fides et ratio, Roma 14 settembre
1998, n° 80.
18

Così l’ascolto della Parola e la vita sacramentale fioriscono
nella testimonianza. Attraverso l’Eucaristia, ad esempio, Dio
dona alla città «uomini e donne eucaristici che, ammaestrati
dall’Eucaristia, plasmati nella loro vita dall’Eucaristia, vivono
la logica dell’Eucaristia. E questa logica è quella di dare la vita
per gli altri, quella del servizio agli altri, della trasfigurazione
di questa terra in un cielo nuovo e una terra nuova»15.

        Dai laici cristiani impegnati nel sociale ed in politica ci
si aspetta la capacità di superare la logica dell’utile personale
a favore del bene di tutti, degli ultimi soprattutto. Il nostro
tempo è segnato da una libertà proclamata, poi calpestata ogni
volta che non viene coniugata con la verità. Uomini e donne
che lasciano albergare nel loro cuore l’Evangelo, sapranno
difendere il bene comune, la dignità e centralità della persona
umana, dal concepimento alla morte naturale, immettendo, in
un tessuto culturale segnato da relativismo e da un malinteso
senso di pluralismo e laicità, i valori evangelici e
l’insegnamento morale e sociale della Chiesa, profondamente
rispettoso della persona umana e della sua dignità16.

        I politici – e non solo loro – abbiano una frequentazione
personale della Scrittura «che metta a contatto con la forza che
la Parola ha di mettere in questione ogni cosa rigenerandola
alla luce della croce e della resurrezione»17. Occorre allora
creare spazi di laici, che per indole e vocazione, si nutrano e

15
   E. BIANCHI, L’eucaristia e la città, Edizioni Qiqajon, Magnano (BI) 2002,
16.
16
    Ricco è il magistero sociale della Chiesa. Si veda ad esempio
CONGREGAZIONE PER LA DOTTRINA DELLA FEDE, Nota dottrinale L’impegno
dei cattolici nella vita politica, Roma 24 novembre 2002.
17
    C. M. MARTINI, in E. BIANCHI - C. M. MARTINI, Parola e politica.
Interventi agli incontri “Città dell’uomo” Fondazione Lazzati, Edizioni
Qiqajon, Magnano BI 1997, 74.
19

diffondano la dottrina sociale della Chiesa, strumento
indispensabile per un vero impegno nella vita sociale e politica.

        Un certo “fondamentalismo laico” maschera la verità
con la menzogna, inducendo il popolo, attraverso i mass-me-
dia, al disorientamento. Le nuove generazioni, con i mezzi di
comunicazione di massa «godono di opportunità pressoché il-
limitate di informazione, di educazione, di arricchimento cultu-
rale e perfino di crescita spirituale, opportunità molto superiori
a quelle che la maggior parte delle famiglie aveva in pas-
sato»18. Dall’altro lato, però «questi stessi mezzi di comunica-
zione hanno la capacità di arrecare grande danno alle famiglie,
presentando loro una visione inadeguata o, perfino, distorta
della vita, della famiglia, della religione e della moralità»19.

     6. «QUEGLI  UOMINI INFATTI ERANO VENUTI A
        SAPERE CHE EGLI FUGGIVA IL SIGNORE, PERCHÉ
        LO AVEVA LORO RACCONTATO» (GN 1,10). PASSI
        FALSI DELLA NOSTRA AZIONE PASTORALE.
        Giona non perde la sua dignità per il fatto che racconta
la sua fuga. Egli prende di peso la sua vita e si racconta nella
verità. Noi diremmo: riconosce il suo peccato, ma è fiducioso
nella misericordia del Signore, tanto da affermare: «Prende-
temi e gettatemi in mare» (Gn 1, 12).

       Durante il Giubileo del 2000, il Santo Padre ha voluto
che la Chiesa implorasse perdono per i peccati passati e pre-

18
   GIOVANNI PAOLO II, Messaggio I media in famiglia: un rischio e una
ricchezza per la 38ª Giornata Mondiale delle Comunicazioni Sociali, Città
del Vaticano 24 gennaio 2004, n°2.
19
   Ivi.
20

senti dei suoi membri ed ha affermato: «Ma anche noi, figli
della Chiesa, abbiamo peccato e alla Sposa di Cristo è stato
impedito di risplendere in tutta la bellezza del suo volto. Il no-
stro peccato ha ostacolato l'azione dello Spirito nel cuore di
tante persone. La nostra poca fede ha fatto cadere nell'indif-
ferenza e allontanato molti da un autentico incontro con Cri-
sto»20. Mi sono interrogato più che sulla cattiva testimonianza
di vita, anche su certe presentazioni dell’Evangelo, mortificanti
la verità su Dio e sull’uomo.

        Il problema della comunicazione è determinante: si usa
un linguaggio libresco, lontano dalla vita concreta. Anche la
liturgia è ridotta talvolta ad esecuzione materiale delle rubriche
(quando queste vengono osservate!), ad un insieme di atti
vuoti, meccanici, vissuti senza slancio, senza sforzo di
attualizzazione e senza la creatività consentita. Questo succede
quando il sacramento è slegato da un percorso di catechesi,
quando la Parola non si invera nel Segno.

        Ci può essere fraintendimento sul senso della missione
della Chiesa, quando le comunità (gruppi parrocchiali, asso-
ciazioni, ecc.) diventano gruppi amicali, che semplicemente si
fanno compagnia o che, magari, fanno alcune cose buone in-
sieme (catechismo ai bambini, iniziative di animazione per la
parrocchia, ecc.), ma senza un’autentica opera di formazione.
Invece, «una parrocchia dal volto missionario deve assumere la
scelta coraggiosa di servire la fede delle persone in tutti i mo-
menti e i luoghi in cui si esprime»21.

20
   GIOVANNI PAOLO II, Bolla di indizione del Grande Giubileo dell’anno
2000 Incarnationis mysterium, Roma 29 novembre 1998, n° 11.
21
    CONFERENZA EPISCOPALE ITALIANA, Il volto missionario delle
parrocchie in un mondo che cambia, n° 9.
21

         Altre volte si mortifica la Buona Notizia, nei suoi
aspetti liberanti l’uomo dalla schiavitù del peccato e si riduce
il Vangelo ad un insieme di regole da osservare. La catechesi è
moralistica, verte sul “che cosa dobbiamo fare”, senza la cen-
tralità dell’annuncio che Cristo è morto ed è risuscitato, che
ama gratuitamente l’uomo mentre è peccatore (cf. Rm 5,6), che
con la grazia di Cristo è possibile guarire dalla schiavitù del
peccato e dall’egoismo che tiene l’uomo chiuso nella morte e
che «l’amore di Dio è stato riversato nei nostri cuori per
mezzo dello Spirito Santo che ci è dato» (Rm 5,5). L’amore al
nemico e la santità sono possibili, perché è Cristo che li rende
accessibili all’uomo. «La predicazione della Chiesa, quindi, in
tutte le sue forme, deve essere sempre più incentrata sulla per-
sona di Gesù e deve sempre più orientare a Lui. Occorre vigi-
lare perché Egli sia presentato nella sua integralità: non solo
come modello etico, ma innanzitutto come il Figlio di Dio,
l’unico e necessario Salvatore di tutti, che vive ed opera nella
sua Chiesa»22.

        E’ interessante notare che sulla nave di Giona i marinai,
nel furore della tempesta, si rivolgessero a divinità diverse:
«impauriti invocavano ciascuno il proprio dio» (Gn 1,5). Essi
erano pagani. Eppure, «quegli uomini ebbero un grande timore
del Signore, offrirono sacrifici al Signore e fecero voti» (Gn
1,16). Sono i frutti inaspettati della presenza in mezzo a loro di
un profeta, sia pure in fuga. Il testo biblico non dice che quei
marinai divennero monoteisti, ma che riconobbero in qualche
modo il Signore. Giona disubbidisce al Signore, i pagani si
convertono! Più avanti, nel capitolo terzo, si racconta la con-
versione degli abitanti di Ninive. Questo ci spinge ad osare e
ad operare a servizio del Vangelo, anche con le persone sulla

22
     GIOVANNI PAOLO II, Ecclesia in Europa, n° 48.
22

cui conversione, umanamente parlando, non si scommetterebbe
nulla!

        Ed il Vangelo «non è modellato sull’uomo» (Gal 1,11):
vivere il Vangelo non si identifica con un po’ di buona educa-
zione né con un’interpretazione minimalistica dei precetti di
“non uccidere” e “non rubare” o con il fare un po’ di bene: an-
che un ateo non uccide e non ruba e fa un po’ di bene. Per un
credente, l’osservanza dei comandanti è il livello minimo sotto
il quale non scendere. Ma Cristo, nel Discorso della Montagna
e con l’intera sua rivelazione, ha radicalizzato tutti i comanda-
menti, riconducendoli all’essenziale: la carità. La nuova giusti-
zia non solo evita il male, ma fa il bene verso tutti, nemici
compresi: «Il comandamento dell’amore di Dio e del prossimo
non ha nella sua dinamica positiva nessun limite superiore»23.
«Camminare sulla via della carità, per quanto riguarda
l’obbedienza ai comandamenti e soprattutto per quanto ri-
guarda l’inesauribile creatività nel bene, dipende dal nostro
impegno e prima ancora dalla grazia di Dio che lo sostiene.[...].
Nell’uscire da sé e nel donarsi secondo la dinamica esigente
della carità l’uomo trova la vera realizzazione di sé»24.

        Voglio poi invitarvi ad avere pazienza, perché i tempi
di Dio non sono i nostri tempi. Conosco la fatica e le difficoltà,
ma anche le gioie, dello stare in prima linea nella parrocchia e
negli altri servizi pastorali. Mai possiamo lasciarci sopraffare
dalla tentazione dello scoraggiamento, fiduciosi che è nostro
compito fare tutta la nostra parte ed il nostro servizio, come se
tutto dipendesse da noi, ma che la crescita della Chiesa è opera

23
   GIOVANNI PAOLO II, Lettera enciclica Veritatis splendor, Roma 6 agosto
1993, n° 52.
24
   CONFERENZA EPISCOPALE ITALIANA, La verità vi farà liberi. Catechismo
degli adulti, n° 900.
23

di Dio: «Io ho piantato, Apollo ha irrigato, ma è Dio che ha
fatto crescere. Ora né chi pianta, né chi irriga è qualche cosa,
ma Dio che fa crescere. Non c’è differenza tra chi pianta e chi
irriga, ma ciascuno riceverà la sua mercede secondo il proprio
lavoro. Siamo infatti collaboratori di Dio, e voi siete il campo
di Dio, l’edificio di Dio» (1Cor 3,6-9).

         A volte si vorrebbe una conversione immediata, senza
la fatica di accompagnare le persone, in un cammino lungo nel
quale, più che proclami, occorre dare contenuti, mettendo in
contatto le persone con l’acqua viva del Vangelo. E l’albero
piantato lungo corsi d’acqua «darà frutto a suo tempo» (Sal
1,3). Non si tratta di abbassare il Vangelo o la «misura alta»
della vita cristiana, ma di aver pazienza nell’accompagnare e
nell’attendere che il Signore compia la sua opera. Resta inteso
infatti che è ben diversa «la cosiddetta "legge della gradualità",
o cammino graduale» dalla «"gradualità della legge"»25.

25
   GIOVANNI PAOLO II, Esortazione apostolica Familiaris consortio, Roma,
22 novembre 1981, n° 34. Esemplificando si può dire: «A nessuno è lecito
assumere la propria debolezza come criterio per stabilire che cosa è bene e
che cosa è male. Anzi sappiamo che Cristo “ci ha donato la possibilità di
realizzare l’intera verità del nostro essere”. Tuttavia di fatto c’è una
progressività nel conoscere, nel desiderare e nel fare il bene [...] Non si
tratta di abbassare la montagna, ma di camminare verso la vetta con il
proprio passo. L’educatore deve proporre obiettivi proporzionati, senza
debolezza e senza impazienza» (CONFERENZA EPISCOPALE ITALIANA, La
verità vi farà liberi. Catechismo degli adulti, n° 918.919).
24

                          II PARTE
         LINEE PER L’AZIONE PASTORALE

   7. «CHI  SA CHE DIO NON CAMBI?» (GN 3,9). E’
       PRIORITARIA LA CURA DELLA VITA SPIRITUALE
        Il racconto di Giona narra la quiete della tempesta, dopo
che egli viene gettato in mare. Qui viene inghiottito da un
grosso pesce, poi vomitato e nuovamente chiamato da Dio ed
inviato a Ninive. Alla predicazione di Giona i niniviti si con-
vertono e perfino il re di Ninive fa proclamare un decreto per
invitare uomini ed animali alla penitenza: «Uomini e animali,
grandi e piccoli, non gustino nulla, non pascolino, non bevano
acqua. Uomini e bestie si coprano di sacco e si invochi Dio
con tutte le forze; ognuno si converta dalla sua condotta mal-
vagia e dalla violenza che è nelle sue mani. Chi sa che Dio non
cambi, si impietosisca, deponga il suo ardente sdegno sì che
noi non moriamo?» (Gn 3,9). Il testo prosegue: «Dio vide le
loro opere, che cioè si erano convertiti dalla loro condotta
malvagia, e Dio si impietosì riguardo al male che aveva mi-
nacciato di fare loro e non lo fece» (Gn 3,10).

        Il re s’interroga: «Chi sa che Dio non cambi?» (Gn 3,9).
Tale linguaggio deve essere ben inteso. Forse si potrebbe dire:
chissà che non debba cambiare il mio modo di immaginare Dio
ed anche di annunciarlo, di farlo conoscere? E se Dio fosse di-
verso da come io sono convinto che sia? Per i credenti, occorre
un continuo ascolto del Signore, della sua Parola trasmessa
25

dalla Chiesa, per lasciare che il Signore plasmi il cuore ed il
modo di pensare e di agire.

        Così è necessario che nella nostra vita personale e
nell’azione pastorale sia prioritaria la dimensione dell’ascolto
della Parola e la cura dell’interiorità e della vita spirituale.

        Ecco due affermazioni di Giovanni Paolo II, all’inizio
del nuovo millennio: «Nella preghiera si sviluppa quel dialogo
con Cristo che ci rende suoi intimi: “Rimanete in me e io in
voi” (Gv 15,4). Questa reciprocità è la sostanza stessa, l'anima
della vita cristiana ed è condizione di ogni autentica vita pasto-
rale»26; «Occorre allora che l'educazione alla preghiera diventi
in qualche modo un punto qualificante di ogni programmazione
pastorale»27.

         Pochi mesi or sono, ha affermato il Santo Padre:
«Ascoltare la Parola di Dio è la cosa più importante nella no-
stra vita. Cristo è sempre in mezzo a noi e desidera parlare al
nostro cuore. Lo possiamo ascoltare meditando con fede la
Sacra Scrittura, raccogliendoci nella preghiera privata e comu-
nitaria, soffermandoci in silenzio davanti al Tabernacolo, dal
quale Egli ci parla del suo amore. Specialmente alla Domenica,
i cristiani sono chiamati ad incontrare e ascoltare il Signore.
Ciò avviene nel modo più pieno mediante la partecipazione alla
Santa Messa, nella quale Cristo imbandisce per i fedeli la
mensa della Parola e del Pane di vita. Ma altri momenti di
preghiera e riflessione, di riposo e fraternità possono utilmente
concorrere a santificare il giorno del Signore»28.

26
   GIOVANNI PAOLO II, Lettera apostolica Novo millennio ineunte, Città del
Vaticano 06 gennaio 2001, n° 32.
27
   Ibidem, n° 34.
28
   GIOVANNI PAOLO II, Angelus, Castel Gandolfo 18 luglio 2004, n° 1-2.
26

        Non si tratta di promuovere un vuoto ritualismo o una
pseudo - spiritualità evanescente, che spinga ad evadere dalla
storia. E’ necessario, invece, favorire l’azione della grazia, per-
ché il Signore, attraverso la sua Parola, tocchi il cuore delle
persone. Continua il Santo Padre: «Quando, per l’azione dello
Spirito Santo, Dio prende dimora nel cuore del credente, di-
viene più facile servire i fratelli. Così è avvenuto in modo
singolare e perfetto in Maria Santissima»29.

       La vita interiore diventa così la spinta per osare. I mo-
menti di ascolto non possono essere episodici nella vita di un
credente e di una parrocchia: ci vuole continuità. Da questo
dipende, in buona sostanza, la qualità della testimonianza: «Si
prega come si vive, perché si vive come si prega»30.

        E’ importante ritagliarci ogni giorno un tempo di “de-
serto”, perché Dio possa parlare al nostro cuore: «Perciò, ecco,
la attirerò a me, la condurrò nel deserto e parlerò al suo
cuore» (Os 2,16). Letteralmente si può tradurre “parlare sul
cuore” a significare l’intima relazione che si instaura tra il cri-
stiano e il Signore.

        Il Santo Padre ha voluto che da questo mese di ottobre
fino all’ottobre 2005 si celebri in tutta la Chiesa «uno speciale
anno dell’Eucaristia»31. Oltre alle iniziative che, in sintonia con
le indicazioni del Santo Padre, saranno per l’occasione pro-
mosse, io intendo incoraggiare in tutta la Diocesi il culto euca-
ristico. Apprezzo molto, ad esempio, veglie di preghiera e
giornate di adorazione che tanti parroci promuovono, auspi-

29
   Ibidem, n° 3.
30
   Catechismo della Chiesa Cattolica, n° 2725.
31
   GIOVANNI PAOLO II, Omelia nella solennità del SS. Corpo e Sangue di
Cristo, San Giovanni in Laterano - Roma 10 giugno 2004, n° 3.
27

cando che ci sia una continuità in questa direzione. Sogno an-
che, se il Signore permetterà, che si aprano varchi anche in tal
senso, con il sorgere di luoghi in cui si possa quotidianamente
adorare il Santissimo Sacramento.

        C’è uno stretto legame tra l’Eucaristia e la missione:
«Ogni volta che mangiate di questo pane e bevete di questo
calice, voi annunziate la morte del Signore finché egli venga»
(1Cor 11,26). Commenta Giovanni Paolo II: «Entrare in comu-
nione con Lui nel memoriale della Pasqua significa, nello
stesso tempo, diventare missionari dell’evento che quel rito
attualizza; in un certo senso, significa renderlo contemporaneo
ad ogni epoca, fino a quando il Signore ritornerà»32.

       8. UNA «“MISURA ALTA” DELLA VITA            CRISTIANA
          ORDINARIA». IL CLERO LAMETINO

        Scrive Giovanni Paolo II nella Novo millennio ineunte:
«Porre la programmazione pastorale nel segno della santità è
una scelta gravida di conseguenze. Significa esprimere la con-
vinzione che, se il Battesimo è un vero ingresso nella santità di
Dio attraverso l'inserimento in Cristo e l'inabitazione del suo
Spirito, sarebbe un controsenso accontentarsi di una vita me-
diocre, vissuta all'insegna di un'etica minimalistica e di una
religiosità superficiale. [...] Come il Concilio stesso ha spie-
gato, questo ideale di perfezione non va equivocato come se
implicasse una sorta di vita straordinaria, praticabile solo da
alcuni “geni” della santità. Le vie della santità sono molteplici
e adatte alla vocazione di ciascuno. [...] È ora di riproporre a
tutti con convinzione questa “misura alta” della vita cristiana

32
     Ibidem, n° 1.
28

ordinaria: tutta la vita della comunità ecclesiale e delle fami-
glie cristiane deve portare in questa direzione»33.

         Queste parole del Santo Padre valgono per tutti i cre-
denti. Desidero perciò incoraggiare in modo particolare i pre-
sbiteri, miei stretti collaboratori, a perseverare e a tenere alto il
livello della loro vita, affinché «apprezzino la sublime voca-
zione sacerdotale, la vivano con serenità, la diffondano intorno
a sé con gioia e svolgano fedelmente i loro compiti e la difen-
dano con decisione»34. E’ mio dovere di vescovo - e confido
che il Signore mi darà il suo sostegno – instaurare con voi, con-
fratelli presbiteri, un rapporto contrassegnato da autentica
paternità. Io rendo grazie a Dio per il clero della Chiesa lame-
tina: ho avuto con i preti, finora, incontri profondi e sinceri.
Spero di poter proseguire in questa direzione, in modo sempre
più proficuo, incontrando proprio tutti singolarmente ed inten-
samente, per stare accanto, confortare, guidare, esortare.

        Sento di esprimere pubblicamente tutta la mia stima per
i sacerdoti, giovani e meno giovani, ed invitarli ad avere rap-
porti fraterni in seno al presbiterio e con i fedeli laici. Di alcuni
presbiteri, anche giovani, mi preoccupa, non poco,
l’isolamento, che provoca difficoltà e stanchezze. Su questo
problema è necessario che ci interroghiamo, cercando vie
nuove di fraternità, dettate dall’Evangelo e non soltanto da ne-
cessità pratiche.

       Mi sembra opportuno raccomandare ai presbiteri alcune
cose più urgenti, per «ravvivare il dono di Dio» (2Tm 1,6),
dono gratuito di cui nessuno è degno, al quale però siamo

33
  GIOVANNI PAOLO II, Novo millennio ineunte, n° 31.
34
  CONGREGAZIONE PER I VESCOVI, Direttorio per il ministero pastorale dei
vescovi Apostolorum succesores, 2004, n° 75.
29

chiamati a rispondere con slancio e generosità. La coscienza
che l’essere preti è un dono, ricevuto senza merito, ci fa umili e
non ci fa ritenere già convertiti, per il semplice fatto di essere
stati ordinati.

        Un prete è sempre in cammino, mai sazio, neanche dei
frutti più belli che ha potuto raccogliere, sempre con l’ansia
missionaria che lo spinge dal di dentro, «caritas Christi urget
nos» (2Cor 5,14). E’ la passione per i lontani che ricarica un
presbitero, quando egli porta loro il Vangelo, conducendoli a
vedere la storia, la vita, alla luce di Cristo ed a scegliere come
Lui.

        Egli ha cura della sua vita spirituale: non tralascia il
breviario neanche quando ha una giornata fitta di impegni; fa di
tutto per celebrare quotidianamente l’Eucaristia, evitando di
moltiplicare le messe senza necessità; sta a contatto con la Pa-
rola di Dio; si accosta personalmente al sacramento della
Penitenza e frequenta con regolarità il suo padre spirituale; cura
altre forme di orazione. «La cura della relazione personale con
Gesù Cristo non è quindi uno dei numerosi addendi dei nostri
doveri, ma è luogo genetico del nostro essere apostoli»35.

        Il presbitero non tralascerà di aggiornarsi né si
accontenterà di quanto ha già studiato, al fine di potere acco-
starsi con sempre maggiore profondità al tesoro della Parola di
Dio trasmesso dalla Chiesa, per meglio servire i fedeli. E’ vero
che, a volte, finito il seminario, ci si trova soli in contesti e si-
tuazioni inaspettate. Speriamo, tra l’altro, di potenziare i mo-
menti di formazione a livello diocesano e di far sì che i futuri
neo-ordinati possano vivere per un certo tempo accanto ad un

35
  R. CORTI, «Preti senza mediocrità. Appunti di spiritualità presbiterale», in
La Rivista del Clero Italiano, 4 aprile 2004, 303.
30

confratello con più esperienza. Anche per quanto riguarda la
formazione dei seminaristi è mio desiderio incrementarla e
curarla in profondità.

         Il prete conduca una vita sobria, casta ed obbediente;
svolga fedelmente i suoi doveri; se parroco, risieda in parroc-
chia. Anche nella gestione del suo tempo tenga presente la fa-
tica di tantissimi nostri fratelli laici, mamme e papà di famiglia,
che uniscono al lavoro e all’impegno familiare il servizio alla
Chiesa. Nell’esistenza di un prete dovrebbe rifulgere la
bellezza di chi ha donato la vita e si spende senza condizioni
per il bene delle anime. Così va anche ripensato l’orario in cui
le nostre chiese restano chiuse.

        Scrivo tutto questo per incoraggiarvi. E’ veramente tri-
ste sentire che ci si lamenti di un prete. La nostra missione è
alta, portiamo questo tesoro del nostro essere preti «in vasi di
creta» (2Cor 4,7), nella fragilità delle nostre povere persone.
«Se noi manchiamo di fede, egli però rimane fedele, perché
non può rinnegare se stesso» (2Tm 2,13): possiamo aver com-
messo errori e peccati ma il Signore, che ci ha chiamato ad
essere preti, è fedele, non ci mancherà di parola, porterà a
compimento la sua opera. Sappiamo di poterci appoggiare sulla
roccia della sua fedeltà incrollabile: l’intero spazio spirituale
del nostro cuore «è per una gratitudine ammirata e commossa,
per una fiducia e speranza incrollabili», sapendo di essere
fondati non sulle nostre forze, «ma sull’incondizionata fedeltà
di Dio che chiama»36.

36
  GIOVANNI PAOLO II, Esortazione apostolica post-sinodale Pastores dabo
vobis, Roma 25 marzo 1992, n° 36.
31

   9. VALORIZZARE LA VITA RELIGIOSA
        La presenza nella nostra Diocesi di religiosi e religiose
è una grande ricchezza, un dono di Dio per il bene dell’intera
Chiesa. E’ mia intenzione valorizzare i diversi carismi già pre-
senti e incrementarli ulteriormente: sono in contatto con i supe-
riori di diverse comunità religiose, sia maschili che femminili,
e spero che il Signore aprirà altre porte.

        Da settembre sono già presenti le Sorelle della Tenda
del Magnificat, che hanno preso dimora in via XX settembre a
Lamezia Terme Nicastro. Opereranno in Cattedrale, ma pos-
sono essere contattate anche da altri parroci. Loro specifico
carisma è creare gruppi di famiglie che si riuniscono per
ascoltare il Vangelo.

        Ringrazio Dio anche per la venuta delle Benedettine,
ormai prossima, entro l’anno, presso il Santuario di Dipodi, che
spero possa diventare sempre più un centro permanente per ri-
generarsi nello spirito attraverso la preghiera liturgica e
l’ascolto della Parola.

         E’ mio desiderio che tutta la Chiesa diocesana prenda
sempre maggiore coscienza dell’immensa ricchezza di grazia
costituita per tutti dai religiosi e dalle religiose; che si preghi
per il sorgere di numerose vocazioni alla vita consacrata e che
si abbia sempre profonda stima e rispetto per tutti i religiosi e
le religiose che danno la loro vita in Diocesi.

       Dai religiosi e dalle religiose ci si aspetta che rifulga nel
loro volto la gioia di una vita consacrata totalmente al Signore.
L’Evangelo infatti valorizza l’uomo e ne esalta le sue più vere
potenzialità. «La domanda di nuove forme di spiritualità, che
oggi emerge dalla società, deve trovare una risposta nel ricono-
32

scimento del primato assoluto di Dio vissuto dai consacrati
attraverso la totale donazione di sé, la conversione permanente
di un’esistenza offerta come vero culto spirituale»37.

       Numerosi sono poi gli altri ambiti in cui i consacrati
possono dare il loro peculiare apporto alla edificazione della
nostra Diocesi.

       10.IL PIANETA GIOVANI ED IL VOLONTARIATO
        «Non domandare: “Come mai i tempi antichi erano mi-
gliori del presente?”, poiché una tale domanda non è ispirata
da saggezza» (Qo 7,10). Ci sono luoghi comuni quando si parla
dei giovani: “Non sono più come quelli di una volta...”. E’ vero
che la nostra gioventù soffre di diversi mali, alcuni dei quali
forse più diffusi oggi che non ieri. Si pensi alla larga diffusione
di droga leggera tra i nostri adolescenti e giovani, anche inso-
spettabili. Ma non ha senso fare paragoni: bisogna guardare
con lucidità il presente, con le sue luci e le sue ombre.

        I nostri giovani sono capaci di grande slancio e genero-
sità, ma è anche vero, ad esempio, che tendono, dato il clima
culturale in cui siamo immersi, a vivere rinviando le scelte che
impegnano “per sempre” (matrimonio, sacerdozio, vita consa-
crata). Contro ogni apparenza contraria, forte è nel cuore dei
giovani la sete di Cristo, che non viene saziata dagli idoli, dalle
«cisterne sgretolate, che non tengono l’acqua» (Ger 2,13).
«Giovani, non cedete a mendaci illusioni e mode effimere che
lasciano non di rado un tragico vuoto spirituale! Rifiutate le se-
duzioni del denaro, del consumismo e della subdola violenza

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     GIOVANNI PAOLO II, Ecclesia in Europa, n° 38.
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