Commento alle Dieci Massime del Sahaj Marg - Shri Ram Chandra di Shahjahanpur Babuji

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Shri Ram Chandra di Shahjahanpur

                     [Babuji]

Commento alle Dieci Massime del Sahaj Marg

          Prefazione di K. C. Varadachari

    Copyright SRCM Shri Ram Chandra Mission 1989
PREFAZIONE

Il mondo sta conoscendo il travaglio di una nuova nascita. Un nuovo modello di cultura sta sorgendo e
l’approccio scientifico ha aperto la strada al riorientamento degli obiettivi e dei fini umani. Anche se
l’uomo sta cercando sistemi di vita migliori ed é portato a concepire l’esistenza in tutta la sua globalità
e non soltanto per se stesso o per pochi altri, i mezzi e i metodi sinora adottati per raggiungere tale fine,
ovvero la realizzazione di uno stato di benessere, non sono soddisfacenti. L’uomo persiste nella
razionalità, che gli ha consentito la crescita, ma è alla ricerca della felicità, che sembra essere
strettamente interdipendente con la pace dello spirito. Si deve diventare consapevoli di far parte di un
mondo molto vasto, comprendente non solo l’umanità, ma altre forme di vita, non solo di questa Terra,
ma anche d’altri mondi. La scienza sta aprendo vasti orizzonti al nostro sapere. Stiamo per penetrare in
un universo più esteso, senza essere in grado di concepirne la dimensione, non siamo neppure in grado
di adattarci a questo mondo mortale e alle prospettive che ci offre.

L’uomo sente di essere potenzialmente un’entità più grande, o di avere almeno la capacità di realizzarsi
nel mondo soddisfacendo le esigenze del suo corpo, della sua vita e della sua mente; i suoi sforzi in
questa direzione sono stati costanti e considerevoli. Alcuni grandi saggi hanno sostenuto che tutta
questa ricerca che vuole piegare il mondo ai propri bisogni e alla propria concezione di felicità, non
serve, e ciò che si raggiunge è molto aleatorio; hanno inoltre affermato che, nella natura precaria
dell’appagamento così acquisito, non c’è vera felicità; la sua transitorietà è la definizione stessa
dell’illusione. La vera ricerca di una felicità permanente presuppone la rinuncia al perseguimento della
soddisfazione e del successo transitori. L’uomo, però, non è ancora pronto a rinunciare alla
provvisorietà, che pensa di detenere, per l’eternità che gli rimane lontana. Meglio la schiavitù
dell’immediato, se piacevole, piuttosto che la libertà eterna che richiede la rinuncia all’immediato.
Così, nonostante la promessa di conseguire l’Infinito, risulta impossibile la rinuncia alla limitatezza e
all’individualità.

Indubbiamente l’uomo ha cercato una soluzione diversa per la realizzazione dei propri desideri.
Vorrebbe realizzare l’eterno nel temporale, l’infinito nel finito, lo sconfinato nel limitato, lo spirito in
seno alla materia e così via, dato il suo atteggiamento ambivalente rispetto a questi due mondi; ha
concepito diverse filosofie per giustificare le proprie richieste e i propri desideri, in questo mondo e
nell’altro, rivelando che le radici psicologiche del suo pensiero prendono origine dalle pulsioni e dai
desideri, che ne sono il fine. Questo modo di pensare ha sempre considerato necessario avere un
obiettivo, e giustamente, ma la Realtà non può divenire il fine se non viene abbandonata la ricerca della
felicità, sia temporale che eterna.

La Realtà vuol essere riconosciuta come tale, senza le limitazioni imposte dal desiderio per fini quali
felicità, piacere o potere. Bisogna riconoscerla com’è in se stessa e per se stessa, è la sua legge e quella
del nostro vero essere. L’uomo sente che la sua realtà è di massima importanza e che la realizzazione è
l’impulso fondamentale del suo essere; felicità, piacere e potere non sono che mezzi adottati e poi
abbandonati durante il cammino. I metodi che permettono di raggiungere questa consapevolezza sono
molto antichi e hanno conosciuto alterne fortune per la dualità degli obiettivi umani. E’ solo cercando
se stessi che si capisce la propria realtà, e non quando ci si rivolge al mondo per realizzarsi in esso.
Molte filosofie hanno costruito sistemi, ma in verità si sono dimostrate incapaci di rivelare la via per
arrivare alla consapevolezza della realtà e neppure hanno aiutato a raggiungere la liberazione.

E’ urgente un ritorno all’esigenza di esperienza personale dell’Ultimo. Molti, stanchi di filosofia, di
logica e della cosiddetta razionalità, cercano un metodo con il quale poter intuire, sperimentare e
realizzare l’essenza dell’essere o dell’esistenza. Sicuramente c’è chi non crede che quest’esperienza
possa risolvere i problemi, persuaso che la sola fede nei metodi e nelle risorse delle filosofie sia
sufficiente, per cui ritiene che l’esperienza personale sia solo una chimera. Noi non siamo d’accordo e,
in fondo, nessuno lo è mai stato. Questa esperienza personale dovrebbe essere di elevatissimo livello e
non un’allucinazione prodotta da desideri e costruzioni. L’allucinazione è la proiezione di una serie di
illusioni che pretende di rimpiazzare l’esperienza della Natura.

La nostra meta è proprio l’evoluzione dell’uomo verso una coscienza più elevata, o Realtà, ma non
potrà più essere realizzata mediante vecchi schemi adatti alle specie e alle forme inferiori di vita, uomo
compreso. Lo sviluppo di una coscienza cosmica, o di un’intuizione in grado di afferrare tutto con un
solo atto di coscienza, piuttosto che a frammenti, di integrare ogni conoscenza e percepire la realtà
intera, è un dono divino e non si può sperare di ottenerlo solo con la mera aspirazione.

La scienza si aspetta che ciò avvenga con un’evoluzione naturale, mediante la capacità infinita
dell’uomo di adattare l’ambiente ai suoi bisogni e di far sorgere in sé, come ha già fatto, i poteri e le
abilità latenti, quali ragione, intelligenza, istinto, volontà, coscienza, immaginazione creativa, attività
collettiva e unità sociale. Tuttavia, l’ascesa della vita comporta delle soluzioni di continuità, e ci si
chiede se il superamento di queste sia innato o dovuto a una forza ascendente che si è inclinata verso di
lei per innalzarla. L’esperienza religiosa rivela la discesa della coscienza cosmica o divina, e la
coscienza della grazia trascendente. Così, per la prima volta nell’evoluzione, la congiunzione del divino
e dell’umano è stata resa possibile nell’uomo. Ma il balzo fino alla Coscienza Ultima o Essere è ancora
lontano.

L’evoluzione naturale dell’uomo rivelerà l’esistenza nella sua vita di una forza ben più vasta e
superiore a lui. E’ l’inizio della spiritualità: il sé si accorge che il suo impulso più profondo è verso la
Realtà Ultima, senza cui il suo avvenire è impossibile e insopportabile. E’ l’appello alla conoscenza del
sé, alla realizzazione, alla perfezione, alla felicità ultima e alla beatitudine e, soprattutto, alla
percezione e alla realizzazione della realtà di se stessi, sfuggente nella sua natura originale.

I veggenti dell’India hanno da lungo tempo compreso la necessità dell’aiuto dello Spirito Supremo e
Ultimo per elevare l’uomo ai massimi livelli di coscienza e consapevolezza, poi di supercoscienza, di
coscienza assoluta e di esperienza. La mente superiore appartiene a regioni di livello molto al di sopra
del mentale umano e del sovramentale. Esistono livelli dell’essere quali Pinda, Anda, o Brahmanda,
Parabrahmanda, il supremo livello trascendente, che è definito da Shri Ram Chandraji di
Shahjahanpur la Regione Centrale, e il Centro. Possiamo rilevare le analogie tra questi termini e i
mondi descritti come Bhuh, Bhuvah, Svar, Mahah, Janah, Tapah e Satyam, ognuno con un livello
diverso di coscienza, adeguato a quel piano dell’essere. La coscienza, quando discende, passa
attraverso modificazioni, torsioni, o limitazioni, e forma così i vari centri, granthi o chakra, che ne
distribuiscono il potere secondo le proprie leggi.

Lo Yoga dell’autorealizzazione esige l’approccio allo stato più elevato, oltre tutti i livelli di coscienza e
di essere. Ci si potrà chiedere se ciò sia possibile e anche se non si tratti di un processo d’ascesa
graduale, che porti l’uomo dal livello umano a quello sovrumano, con una supermente, fino a
raggiungere lo stadio più elevato. Si può dire molto a favore di questa teoria dell’evoluzione graduale,
ma esiste anche la possibilità che l’anima, consapevole dell’urgenza di raggiungerlo, arrivi
immediatamente al livello supremo. Shri Ram Chandraji ci assicura che ciò è possibile e semplice,
grazie allo Yoga condotto da una persona che abbia raggiunto questa Realtà Centrale Ultima.
L’evoluzione dell’individuo diventa rapida, anche quando è ancora nel corpo umano, che viene
trasformato in ogni sua cellula.

La forza del Supremo può quindi scendere nel cuore umano, iniziare a purificarlo e condurlo allo stato
più elevato. Il sistema umano è fatto in modo da poter ricevere la trasmissione dell’energia più elevata,
o Sakti divina, in vari centri, corrispondenti ai centri cosmici e alle regioni sovracosmiche. Il corpo
umano vivente, così purificato nel sistema nervoso, in quello circolatorio e negli altri sistemi, può
sperimentare e godere la pace, il potere e la trascendenza. E’ importante che in questo cammino di Raja
Yoga sia un esperto a guidare il processo.

Shri Ram Chandraji nel suo libro Commento alle Dieci Massime del Sahaj Marg espone le condizioni
necessarie alla realizzazione dell’Ultimo. Si tratta di massime che si devono seguire implicitamente,
non sono semplici ordini dati arbitrariamente, ma chiaramente spiegate per dimostrare la loro
razionalità in funzione del fine da raggiungere. Naturalmente sono facili da seguire solo quando si ha il
sincero desiderio di raggiungere la meta o l’Ultimo.

La formulazione stessa della preghiera ci indica l’obiettivo della nostra ricerca: Dio, che è il Maestro di
Tutto e la sola persona capace di condurci a destinazione. I nostri desideri ostacolano il nostro
cammino verso la meta e sono prapti-virodhi (nemici del nostro raggiungimento). E’ essenziale
l’abbandono a Dio, che è la forza onnipotente, perché Dio è contemporaneamente il mezzo e il fine. Il
Maestro, che ci conduce al Supremo, è immerso a tal punto nell’Ultimo, che è come se fosse Dio stesso
disceso verso l’anima che cerca, si sforza e lotta per ricevere aiuto.

Gli antichi metodi di pratica sono ben spiegati, dimostrando la razionalità dell’adorazione e della
meditazione nelle varie congiunzioni del giorno (o Sandhya), al mattino, a mezzogiorno e alla sera. Gli
anga dello yoga sono anch’essi spiegati chiaramente e il metodo naturale di evoluzione spirituale verso
la meta è esposto in maniera semplice e diretta. La purificazione del sistema attraverso il processo
sottile di trasmissione proveniente dal Maestro è un aspetto di cui non si trova l’eguale nella storia
spirituale degli ultimi tempi. Vivere in Dio, per Dio e attraverso Dio è il nostro compito nel cammino
del Sahaj Marg, e ciò conduce naturalmente alla realizzazione della nostra realtà in Dio, per Dio. Si
sviluppa quindi l’armonia con tutti, senza alcuna distinzione. I mondi più elevati si aprono a chi è
diventato una cosa sola con Dio, vivendo in Lui e per Lui solo. La spiritualità non è, come la religione,
soltanto una forma di culto o di tecniche rituali, ma significa vivere nella consapevolezza di Dio e nella
Sua essenza.

Shri Ram Chandraji mette in luce come l’anima individuale, seguendo le Massime del Sahaj Marg,
possa, fin dal primo contatto, sperimentare una pace che supera la comprensione, e poi crescere in
questa pace verso il più alto livello accessibile all’uomo. La liberazione, o Moksa, deriva naturalmente
da questa pratica. La perfezione stessa è raggiungibile da colui che è guidato dal Divino.

In questa esposizione c’è un po’ di metafisica e di fisica, ma non è molto importante disquisirne, perché
tutto diventerà chiaro procedendo con l’Abhyas (pratica).

E’ indubbio che la natura umana debba essere totalmente trasformata e che la Natura cosmica e
supercosmica debbano prendere l’uomo sotto la loro guida perché egli senta che ciò che raggiunge è
sempre più la Realtà (sat). Avvicinandosi al Centro o all’Ultimo, l’uomo cresce nella sua realtà e tutto
ciò che esisteva prima sembra sempre meno reale. Il fine dell’abhyasi è raggiungere questa realtà
crescente, che appare quando ci si avvicina al Centro.
Le scoperte di Shri Ram Chandraji in questo campo sono notevoli per la loro natura dinamica e pratica.
Dio non è né lontano né distante, ma vicino e facilmente raggiungibile (siddhopaya); l’uomo deve solo
rivolgersi a Lui per sentirne la presenza e il potere di trasformazione. E’ merito di Shri Ram Chandraji
di Fatehgarh aver reso quest’esperienza possibile a tutti, e di Shri Ram Chandraji di Shahjahanpur aver
diffuso questo vangelo di redenzione e di trasformazione dimostrandolo praticamente a chiunque si
rivolga a lui.

Questo libro, in un certo senso, si rivolge al praticante avanzato, ma è assai illuminante e dovrebbe
essere letto dopo aver studiato le opere del Maestro: Realtà all’alba ed Efficacia del Raja Yoga.

Dr. K.C. Varadachari
Tirupati
Una parola di introduzione

In questo libro ho cercato di esporre per iscritto quei segreti spirituali trasmessi sinora da cuore a cuore.
Ma, poiché si riferiscono alla percezione diretta derivante dallo studio della Natura che si rivela
attraverso vibrazioni, non solo è difficile, ma quasi impossibile esprimerli adeguatamente mediante le
parole.

Il vero amore non può essere espresso attraverso le parole. Questa è la vera realtà, che non è
spiegabile in alcun modo.

A questo riguardo, posso comunque invitare il lettore a sforzarsi di afferrarne il vero spirito, ignorando
i difetti d’espressione o di lingua e a cercare di trarne profitto, aiutando anche gli altri.
Massima 1

Alzatevi prima dell’alba. Offrite la vostra preghiera e puja ad un’ora fissa, preferibilmente prima del
levar del sole, seduti sempre nella stessa posizione. Tenete un luogo riservato all’adorazione. Si
dovrebbe porre particolare attenzione alla purezza della mente e del corpo.

Il fuoco del Divino che arde fin dagli inizi del tempo non si è ancora raffreddato. Quando venne il
momento della creazione, il pensiero latente si mise in moto e le particelle più sottili si riscaldarono.
Prese così forma fin dal primissimo giorno la prima copertura. Per effetto del costante calore iniziò il
movimento delle particelle, la cui intensità andò aumentando, aggiungendo strato a strato. La crescente
intensità delle vibrazioni sviluppò la grossolanità; ogni particella andò moltiplicando la sua azione fin
quando la Realtà fu completamente avviluppata, come un baco nel suo bozzolo. In altre parole, solo il
bianco guscio dell’uovo rimase visibile, mentre la Realtà al suo interno venne totalmente persa di vista.

Nacquero le correlazioni e chi ne era più strettamente a contatto ne fu maggiormente influenzato. Il
calore che esisteva il primo giorno si manifestò nell’uomo e gradualmente andò sviluppandosi,
assumendo la forma di crescita organica. Ogni particella ne fu influenzata, assorbendone la sua dovuta
parte. Venne quindi introdotto un elemento materiale e ogni particella rimase influenzata da ciò di cui
era divenuta parte. Lo strato più spesso, che si era formato in precedenza attraverso il calore, mantenne
la sua connessione. L’influenza sul più grande sarà naturalmente riflessa sul più piccolo che ne verrà
perciò influenzato in proporzione alla sua grandezza.

Tutte le cose, essendo soggette alle influenze esterne, ricevono i raggi del sole secondo le loro
possibilità. Il calore prodotto da cause esterne comincia dopo un certo tempo a esaurirsi e il vero
benessere sopraggiunge solo quando si è completamente esaurito. Si prenda il caso dell’estate: quando
viene a cessare completamente l’effetto del calore esterno, si percepisce un certo benessere. Il momento
in cui il calore comincia a diminuire, lasciando il posto al fresco, è il punto d’incontro dei due e si
chiama Sandhi-gati; questo è, secondo l’opinione dei mahatma, il periodo più adatto per la pratica di
Sandhya e Upasana (adorazione). E’ il momento in cui si manifesta ciò che è contrario al calore e che
può essere solo ciò che esisteva prima della sua generazione all’epoca della creazione; è quanto di più
conforme alla Natura o, in altre parole, è la vera immagine dello stato ultimo cui dobbiamo pervenire.
Dunque, il punto da cui cominciamo è proprio quello che corrisponde maggiormente alla nostra
Destinazione.

Si considera importante per la Sandhya anche il momento del mezzogiorno (Tam), ma qui il potere
viene utilizzato in modo diverso. I raggi del sole, essendo diretti, generano maggior calore, e il calore
eterno della Natura che proviene dall’origine ne fa parte. Pertanto, indirettamente, noi ci congiungiamo
con il Potere Ultimo attraverso lo strumento del calore materiale e ce ne assicuriamo la vicinanza. Ciò
continua fino all’ora in cui il calore comincia a diminuire e noi ne ricaviamo il massimo beneficio. Il
momento successivo ci permette di assaporare la condizione che segue, aiutandoci a ottenere una
maggiore compenetrazione. Per questo i saggi hanno consigliato la Sandhya anche a mezzogiorno. Il
motivo è che, per questa continua influenza, i raggi del sole vengono in contatto con il loro piano
originario, che è vicinissimo all’Ultimo. Poiché i raggi del sole a mezzogiorno sono più vicini alla
perpendicolare, il loro effetto è più diretto. Il calore che sembra provenire dal sole è in effetti il calore
delle particelle. Se quindi meditiamo a mezzogiorno, il nostro pensiero viene inconsapevolmente
collegato al Centro o Ultimo.

In altre parole, per risolvere un problema spesso dobbiamo presupporne la risposta. Similmente, per
risolvere il problema della vita noi dapprima dobbiamo renderci conto della realtà, per quanto possa
sembrare poco chiara, perché arrivando all’ultima fase spesso viene persa la cognizione delle
precedenti. In questo modo utilizziamo quell’eccessivo calore a nostro vantaggio.

Nel nostro sistema non prendiamo in considerazione come obbligatoria la Sandhya a mezzogiorno,
poiché in questo momento il calore materiale è intenso. Nelle ore seguenti il calore del sole inizia
gradualmente a diminuire, si va verso il fresco fino al punto in cui calore e fresco si equilibrano: è la
sera, stabilita come momento della pratica di Sandhya, che ci aiuta a trarne il massimo beneficio perché
è in relazione con la frescura dell’ora. Man mano che il tempo avanza ci avviciniamo a una frescura
sempre maggiore, il momento dell’alba: i raggi del sole hanno, a quest’ora, la minima influenza. La
determinazione dell’orario per Puja e Sandhya si basa su un principio scientifico conforme agli effetti
naturali del momento.

Si pone il problema del perché Sandhya sia stata fissata solo ai momenti di Sattva e Tamas e non al
momento di Rajas. E’ ben noto il principio dell’Invertendo: sono presi in considerazione i due estremi,
cioè il principio e la fine. Il principio è Sat, la fine è Tam. Invertendoli, abbiamo il contrario, il
principio diventa la fine e viceversa, ma il punto centrale in ambedue i casi resta lo stesso, lungo una
ipotetica linea che collega i due estremi.

Rivelerò qui il vero significato di un mistero poco noto. Generalmente si considera Sat come la realtà e
la si usa come unità di misura della conoscenza di Dio. Il mistero alla base è totalmente sconosciuto;
infatti esso si trova nella sfera di Tam e solo di Tam. Questa è l’unica cosa che per un vero yogi vale la
pena raggiungere. E’ senza dubbio molto difficile accedere a questo punto; arrivare a Sat è un compito
molto facile, ma lo stato definito come Tam non è così facilmente raggiungibile. Non vi è niente al di là
di esso. Nonostante se ne parli molto, pochi hanno mai tentato di raggiungerlo. Perfino la purezza, la
semplicità e la pace non vi si trovano, infatti è al di là di tutto ciò. Si può acquisire con un lavoro
perseverante attraverso numerose vite. Posso affermare che perfino i più grandi santi del mondo non
hanno raggiunto questo traguardo. Lo stato di negazione cui si aspira, che è la vera vita, risiede in esso
e tutte le attività cessano prima di raggiungerlo.

Questo è il mistero Divino che viene oggi rivelato. E’ il punto centrale del vero stato dell’Essere, che
nella maggior parte dei casi non viene raggiunto, malgrado tutti gli sforzi di chi lo ricerca. La
percezione non ha contatto con esso. Si ha la tendenza a considerare lo stato di Tam come il nemico più
mortale, ma se capita di osservare una persona in cui questo stato di completa ‘ignoranza’ si manifesta
pienamente, si vede che al massimo livello di avanzamento si è, come un infante, inconsapevoli della
propria condizione. Se invece in questa condizione esiste anche la minima parvenza di Sat, si comincia
ad avere consapevolezza del proprio stato di Tam. Questo è dovuto al fatto che il punto di incontro fra i
due conduce alla creazione di un nuovo stato, identico a quello che fu la base della Creazione. Il
principio dell’Invertendo si applica anche a questo caso.

La terza fase della manifestazione si riferisce alla manifestazione materiale degli oggetti della Natura.
La gente vi resta impigliata, formando numerose idee e desideri. Di solito, il nostro occhio è attratto da
qualunque cosa brilli e risplenda, comunemente fraintesa come Sat. Un oggetto che brilla non è che
Maya e coloro che ne parlano con tanta ammirazione si trovano, in effetti, molto lontani dalla sfera
della spiritualità, per non parlare della Realtà. Ma la gente ha sviluppato uno stato tale di torpore da non
essere incline né ad ascoltare né a percepire alcunché al riguardo. Ha perso di vista la vera Realtà che si
trova al di là della luce e delle tenebre, come è rappresentato nell’emblema della Missione, il vero stato
reale della perfezione umana, da cui non è possibile alcuna caduta. E’ un aspetto filosofico molto
delicato. I santi hanno erroneamente identificato questo stato, né di luce né di tenebra, con Satpad, ma
esso si trova ben oltre: è il riflesso della Realtà, la quale è ancora oltre.

Ciò potrebbe stupire molti lettori, ma quello che ho scritto si rivolge solo a coloro che sono avanzati
nella spiritualità e che hanno una conoscenza profonda di questa scienza. Lo si può solo sperimentare
in modo pratico, ma non ritrovare negli ambiti della religione. E’ un cammino completamente diverso,
una scienza in se stessa per la quale si può non essere completamente adatti finché non si sia sviluppata
la capacità interiore di percepire la Natura. Fino a quel momento, non si potrà neanche avvicinarvisi,
per non parlare di conoscenza o di comprensione. La religione aiuta solo a comprendere che nella
Natura esiste qualcos’altro da percepire. Ma per raccogliere le perle è necessario tuffarsi
profondamente nell’oceano. La stessa semplicità, purezza e innocenza della Realtà sono diventate un
velo. Questo libro non è stato scritto per i novizi, ma per coloro che sono avanzati nella spiritualità.

La pratica di Sandhya prima del sorgere del sole viene raccomandata affinché il calore esterno e le altre
influenze, espulse dal corpo, non rientrino per effetto del sole, impedendo di ricavare il massimo
beneficio dal momento. In genere si consiglia, e anche la cultura occidentale vi si attiene, di riservare
un luogo particolare per ogni tipo di attività, così che i pensieri attinenti la natura dell’attività possano
svilupparvisi. L’uomo possiede un potere che deriva dalla connessione del pensiero con la Realtà.
Quando decide di fare qualcosa, il legame fra pensiero e attività s’intensifica, e comincia a trarre potere
dalla sua reale sorgente in proporzione alla forza del pensiero. Quando il potere comincia a fluire, e noi
lo associamo a un particolare momento, il ricordo di quell’attività rivive nel cuore e in qualche modo
iniziamo a sentirvicisi collegati.

La camera o il posto dove ci poniamo in meditazione viene caricato dalla forza del nostro pensiero e
inizia a prevalervi una sensazione di santità. L’influenza che il luogo esercita su di noi ci aiuta
ulteriormente nell’adempimento del lavoro. Dipende dalla capacità individuale di ciascuno espanderla
il più possibile. E’ stato osservato, e i templi sacri ne sono una prova, che questa influenza non si
esaurisce col passar del tempo, anche oggi infatti pellegrini e visitatori ne traggono beneficio. L’aria,
attraversandoli, diffonde fragranza anche negli strati adiacenti. In ogni strato esiste contrazione ed
espansione, pertanto quest’effetto continua a svilupparsi e ad espandersi.

L’Asana, o posizione, è di un livello di yoga ben noto, considerato preliminare e ritenuto molto
importante dai mahatma, benché il mistero implicito non sia stato ancora rivelato. Ogni cosa viene alla
luce al momento predestinato.

Prima della creazione le cose si trovavano in uno stato quasi inattivo, dissolte nell’Origine, ma,
nonostante avessero perso la loro individualità, mantenevano le impressioni primordiali. Ciò era dovuto
alla sfumatura di Realtà sotto cui erano rimaste al momento della dissoluzione, che le aveva aiutate a
trattenere l’effetto delle impressioni durante l’intero periodo della loro esistenza. E’ impossibile
immaginare per quanto tempo abbiano continuato ad assorbire quest’effetto, deve essere stato per
almeno l’intero periodo dell’esistenza fin dal momento della creazione. L’effetto assorbito non era altro
che il movimento generato dalle scosse del Potere all’Origine. Questi, saturato dall’effetto, rimase
silenziosamente attivo e continuò indefinitamente; lo definiamo movimento latente intorno al Centro. Il
movimento latente, che consiste in energia concentrata, crea delle fenditure affinché la forza possa
fuoriuscire e scorrere nuovamente portando alla riformazione dell’universo.

L’uomo venne in esistenza e sorse in lui il desiderio latente di tornare alle sue origini, perché l’essenza
della Realtà di cui fa parte, essendo estremamente potente, cominciò ad attirarlo a sé. Egli inoltre
ereditò da ciò che, messosi in movimento, fu causa della creazione. Ma questo era contrario alla
condizione statica perché la sua base è attività. Quando nell’uomo sorse il pensiero di ritornare alla
condizione statica, sentì come essenziale riportare, per quanto possibile, a uno stato latente l’attività
emersa in lui. Cominciò a ricercare i mezzi. Infine comprese che, così come il movimento latente era
più grossolano dell’Assoluto cui era collegato, allo stesso modo doveva servirsi di uno strumento più
grossolano che lo aiutasse a raggiungere l’ideale di Realtà cui era destinato. Giunse alla conclusione di
dover creare in se stesso una forma di contrazione o ritrazione simile a quella esistente al tempo di
Pralaya.

Il Sé pervade completamente l’uomo così come pervade l’intero universo, se lo si considera in senso
collettivo. Lo stato di Pralaya sopraggiunge quando comincia a stabilirsi la contrazione. Una
contrazione simile nell’uomo lo conduce alla sua Pralaya personale, e comincia così a procedere dallo
stato di pesantezza allo stato reale. La contrazione comincia sempre dal basso e procede gradualmente
verso l’alto, per sua tendenza intrinseca. Dunque, per salire si deve cominciare a contrarre dal basso.
Una posizione consiste semplicemente nel contrarre le gambe e tenerle ferme. In qualsiasi modo si
faccia, la posizione è alla fine quella di un’ Asana, essenziale perché ci apre la strada verso l’Ultimo.
La posizione deve essere sempre la stessa, in questo modo ci colleghiamo con il grande Potere, che è
proprio ciò che assumiamo fin dall’inizio per il raggiungimento del nostro obiettivo. Quindi, una forma
collegata con la Realtà è assai utile nell’iniziazione primaria.

Fin dai tempi antichi si insegnava che la pratica di Sandhya in postura seduta con la schiena eretta è la
più vantaggiosa, perché in quella posizione il flusso della grazia Divina scende direttamente
sull’abhyasi. Seduti curvi, obliqui, o in posizione instabile, il flusso d’energia sarà necessariamente
impedito o disturbato, e si verrebbe quindi privati del suo pieno beneficio. Per conseguire il massimo
beneficio spirituale, ci si deve quindi sedere in posizione corretta, eretta e stabile. Alcuni forse
penseranno che tale posizione possa riflettere una sfumatura d’orgoglio, ma non è così. Teoricamente il
devoto o l’abhyasi si dovrebbe presentare al Maestro come un soldato al momento della parata. Al
comando di ‘Attenti’ è fondamentale mantenere la stessa posizione, ferma, con lo sguardo rivolto
all’ufficiale. Questo indica vigilanza, sana disposizione e freschezza del corpo. Lo stesso principio è
valido per l’abhyasi che siede in servizio di fronte al Maestro.

L’ideale di purezza molto elevato, sostenuto in modo particolare dagli indù, attualmente è così
decaduto che rimane solo nell’immaginario; i principi sono stati totalmente dimenticati e l’unica cosa
che resta è il rituale del bagno o dell’abluzione. Il principio di purezza si basava sull’idea che
l’Esistenza Eterna in cui dobbiamo entrare sia completamente libera da ogni contaminazione e
perfettamente pura. Questo altissimo livello, libero da tutte le impurità (mala), distorsioni (vikshepa) e
veli (avarana), era considerato come ideale. Il nostro essere, contaminato invece da tutto ciò, si trova
ben al di sotto dell’ideale. Poiché la nostra attenzione è volta al raggiungimento di quella purezza
assoluta, la imitiamo in tutti gli aspetti esteriori, facendo particolare attenzione alla pulizia del corpo.

I mezzi esteriori adottati a tal fine cominciano a riflettere il loro effetto sulla mente e anche la purezza
interiore inizia a svilupparsi; questo processo, eseguito con continuità e sostenuto da una ferma
attenzione rivolta all’Ideale, contribuisce molto al suo raggiungimento. Il processo ne viene così
accelerato, la purezza reale scorre ovunque, e la mente comincia a essere purificata, producendo buoni
pensieri che ci aiutano a procedere nella nostra ricerca. Siamo quindi doppiamente beneficiati.
Avevamo già fatto ricorso ai mezzi per la purificazione interiore e ora anche quelli esteriori cominciano
a sostenerci efficacemente nell’opera; insieme ci sono di immenso aiuto nel raggiungimento
dell’obiettivo. Il loro armonizzarsi diventa un potere che rende il nostro cammino sempre più agevole e
noi ci libriamo sempre più in alto. Così il desiderio di purezza ci aiuta efficacemente nel perseguire
l’ideale.

La prima e più importante massima si riferisce alla giusta osservanza di Sandhya e Upasana.
Seguendola, cominciamo ad attirare il potere che dovremo alla fine conseguire.

Un altro punto importante è che quando le correnti Divine cominciarono a scorrere, le loro azioni e
contro-azioni crearono uno stato di grossolanità che portò alla formazione di atomi (anus) e subatomi
(paramanus) con le loro particolari forme e aspetti. La continuità del flusso creò calore, che fu la vera
base della vita e diede ulteriore stimolo all’esistenza. Ma, benché il calore rimanesse in esistenza, la sua
forza fu orientata verso il basso. Può essere difficile capire il vero significato dei termini ‘su’ e ‘giù’. Se
noi immaginiamo il più alto, la nostra mente prende in considerazione anche l’aspetto opposto, ovvero
il più basso. Inoltre, provenendo da ciò che è il massimo e il meglio, il livello contiguo sarà
naturalmente chiamato, al confronto, inferiore o minore. Questo porta all’idea di alto e di basso.
Quando comincia a diminuire la tendenza verso il basso, ciò che in continuazione ha versato calore
nelle particelle, le aiuta a dirigersi in alto, dove è iniziata la loro esistenza, e il calore creato dall’effetto
del movimento le rende ancora più leggere. Una cosa leggera tende sempre a sollevarsi o, in altre
parole, si muove in direzione della sua sorgente. Pertanto, ogni cosa che si è attivata per effetto del
flusso Divino tende a volare verso l’Origine. Anche l’uomo ha ereditato la stessa tendenza, così,
quando viene frenata la sua tendenza verso il basso, automaticamente rivive nel suo cuore il pensiero di
raggiungere l’Origine. Questo è il motivo per cui comincia a sentirsi attratto verso Sandhya e Upasana.

Esiste una grande differenza fra il calore della Natura e quello del sole. Il primo, che ha origine dalla
Realtà, è completamente privo di materialità, mentre il secondo, che ha origine da una sorgente
relativamente materiale, è più pesante. Secondo me il primo può essere meglio definito forza o energia,
in questa il calore si trova allo stato latente, mentre nel sole è manifesto. Questo è solo calore, mentre
l’altro è promotore e preservatore della vita, per quanto il termine usato nei due casi sia lo stesso. E’ un
peccato che non esistano mezzi di espressione adeguati per argomenti così sottili. Ho cercato di fare del
mio meglio per esprimere quest’idea, tuttavia la comprensione della vera differenza dipende solo
dall’esperienza pratica (Anubhava).

Nel nostro sistema di ricerca spirituale Sahaj Marg, l’insegnante, fin dal primo momento, attraverso
l’effetto del suo potere, riduce le tendenze verso il basso dell’abhyasi, che in questo modo viene
automaticamente portato verso il Divino. Questo stato della mente è in relazione con il piano più
elevato della coscienza, il precedente con quello più basso. Il principio basilare della pratica spirituale
di questo sistema può offrire ai filosofi un’opportunità di riflessione. Ne ho trattato molto brevemente,
posso ancora citare la seguente osservazione di un grande santo: “Il Signore ha sbarrato all’uomo la
porta di tutte le domande” e un poeta ha anche detto: “E’ possibile eguagliare l’intelligenza di Sahban
(filosofo cinese) in eloquenza e in retorica, ma nessuno può raggiungere la conoscenza del santo
Onnipotente”.

Che cosa sia questo velo potrà essere scoperto solo attraverso una riflessione profonda. Per spiegare ciò
che impedisce la nostra giusta conoscenza del Reale, posso dire che quando riflettiamo su Dio, la nostra
immaginazione vi crea un cerchio intorno, ostacolo che ci sbarra l’accesso alla risposta a ogni
domanda. Se riuscissimo ad andare oltre e rimuovere la limitazione del pensiero, gli aspetti più sottili ci
potrebbero essere rivelati. Ma esiste anche un altro cerchio interiore, di cui questo è solo un riflesso;
quando ne forziamo l’ingresso, il mistero del Centro può essere rivelato. Il superamento di questi limiti
sarà possibile solo quando si sarà in grado di mandare in frantumi le particelle del nostro essere. Questo
però raramente è possibile, perché i mezzi necessari allo scopo non possono essere applicati se non in
pochi casi. Se compare una persona che può farlo con la sua volontà, il circolo scomparirà, perché la
visione diventerà, nel suo stato di destrutturazione, una sola cosa con il Centro. Ma per acquisirne la
conoscenza è essenziale essere anche in grado di riorganizzare le particelle del proprio essere, così da
assumere una forma d’esistenza simile a quella che si aveva prima.

L’immaginazione comune potrà non essere in grado di concepire che una tale personalità sia mai nata,
ma nella mia percezione posso asserire per certo che già alcune ne sono esistite. La condizione che
esiste dopo aver frantumato le particelle è simile a quella del movimento latente e la sua volontà vi
giace immobile, esattamente com’era prima del tempo della creazione e come sarà di nuovo dopo
Mahapralaya (completa dissoluzione). La stessa volontà latente che fece nascere la creazione condurrà
di nuovo alla ricostruzione delle particelle frantumate, e allora non vi saranno più limitazioni.
Massima 2

Iniziate la vostra puja con una preghiera per l’elevazione spirituale, con il cuore pieno di amore e
devozione.

La preghiera è il segno della devozione, dimostra che abbiamo stabilito il nostro rapporto con il Divino.
Quando l’idea della Maestria Divina si è consolidata, la nostra posizione diventa quella di un servitore.
Servire è l’unico compito del devoto. Prendete l’esempio di Bharata, che non permise mai al suo cuore
di essere toccato da altro che stima, rispetto e devota venerazione per il suo Maestro. Bisogna tenere a
mente quest’esempio per mantenere quel rapporto che è la vera forma di devozione. Questo è il legame
fra il Maestro e il Servo.

Tutti conoscono il principio della telegrafia: quando si stabilisce il contatto, il messaggio viene
immediatamente trasferito all’altro estremo. Simile è il caso del devoto, che si fa conoscere al Maestro
attraverso la corrente della sua aspirazione. Per effetto della devozione, ciò che si trova nel Maestro
comincia a scorrere attraverso il legame che unisce i due e, gradualmente, dal Maestro tutto comincia a
riversarsi nel devoto. All’inizio, questi comunica al Maestro solo il fatto di averlo riconosciuto, poi, per
effetto della devozione, il Maestro comincia ad avvicinarsi a lui, finché il pensiero di una reale
comunione comincia a pervadere il discepolo. Discendono allora su di lui rivelazioni Divine e ordini
della Natura, e comincia la prima fase dell’iniziazione. Più avanti … è un mistero inesprimibile.
Generalmente si ritiene che la devozione ci renda schiavi, ma ancora una volta vige la legge
dell’Invertendo. La concezione umana non è mai arrivata fino a questo punto, e il suo mistero è rimasto
sinora sigillato.

La preghiera dovrebbe essere offerta con il cuore pieno di amore e devozione perché dovremmo creare
uno stato di vacuità, così che il flusso della Grazia Divina possa essere deviato verso di noi. Un poeta
ha detto: “O tu, assetato di Divina ebbrezza! Vuota a questo scopo il tuo cuore, perché il collo della
bottiglia di vino si china solo su una coppa vuota”. La pratica costante porta a uno stato in cui si inizia a
sentirsi totalmente in preghiera e che viene acquisito quando un abhyasi pratica come prescritto e la
Grazia Divina si attiva. Quando si raggiunge lo stadio finale, si comincia a vivere in totale stato di
preghiera, anche impegnati nei doveri terreni. Questo stato predomina durante tutte le attività, senza
che vi sia il benché minimo disturbo o interruzione. “Io non vi chiedo di distaccarvi dal mondo, ma
solo di compiere ogni cosa con un’idea cosciente del Divino” (Dallo scritto di un poeta).

Chi sviluppa questa condizione mentale è costantemente in uno stato di preghiera, che implica il
riconoscimento della propria posizione di servitore e della capacità del Maestro; significa inoltre che ha
stabilito un legame permanente di devozione. Tutti possono raggiungere questa condizione, ma solo
dopo una pratica adeguata. Chi l’acquisisce vive in una condizione di supplica permanente e ha la
libertà di chiedere umilmente al Maestro qualunque cosa. Tutti dovrebbero assumere tale attitudine al
momento della preghiera, solo allora sarà accolta. E’ la relazione d’amore che, realizzata nella propria
sfera, si estende fino a quella del Maestro. Il legame, una volta stabilito, non potrà mai essere sciolto.
La destinazione finale è ancora molto lontana, tuttavia il potere del pensiero, che è grandissimo, la
rende facilmente accessibile. Il ricordo avvicina l’amante all’Amato, e non esistono limiti a questa
vicinanza. Maggiore è l’amore o l’affinità, maggiore è l’avanzamento verso di Lui. Questa relazione è
un nostro retaggio, dipende da noi svilupparla al punto da assicurarci la massima vicinanza a Lui. Lo
stato di preghiera è quello del devoto e viene rafforzato dall’amore, costituisce il primo gradino della
scala che ci permette di salire fino all’Ultimo e tutti i livelli, o stati, di avanzamento spirituale sono al
suo interno.
Non c’è un momento particolare fissato per la preghiera. La si può fare quando si sente l’esigenza,
oppure si deve cercare di creare la giusta disposizione d’animo, quando è richiesto. Si dovrebbe sempre
pregare solo Lui che è il vero Maestro e non i suoi schiavi, cioè quei poteri subordinati all’uomo e da
lui potenziati, benché ormai molto indeboliti dal tempo. Sarebbe anche una sciocchezza pregarlo per
vantaggi materiali, tranne casi molto particolari. E’ giusto invece pregare il Maestro per ciò che è
preordinato; rientra nell’ordine delle cose e dimostra che Lo abbiamo accettato come Maestro,
affidandogli tutto il nostro essere.

Per quanto riguarda la disposizione alla preghiera che possa assicurare a tutti il massimo beneficio,
posso dire che è la stessa abitualmente sviluppata nella pratica prescritta. Dobbiamo rafforzare nella
nostra mente l’attitudine ad avvicinarci al Grande Maestro come veri devoti, nell’umile atteggiamento
di mendicanti insignificanti. Possiamo offrire tutto al nostro Maestro, affidandoci completamente alla
Sua volontà, assumendo così la nostra vera forma, dopo avergli abbandonato tutto. Dovremmo ritirarci
e volgerci completamente verso di Lui, ignorando l’attrazione delle cose del mondo. Il ricordo d’ogni
cosa dovrebbe fondersi nel ricordo dell’Uno, l’Ultimo, risuonante in ogni particella del nostro essere.
Si può definire ciò come la completa negazione del sé. Sviluppando questo stato, secondo me,
potremmo essere considerati l’incarnazione stessa della preghiera. Ogni pensiero sarà tutt’uno con
quello del Maestro, non ci si volgerà mai verso cose contrarie alla Volontà Divina e la mente sarà
sempre rivolta ai suoi ordini.

Bisognerebbe esortare la gente ad offrire questa preghiera. Se si riesce a realizzare ciò, non rimane altro
che conservare il ricordo costante, anche questo tale da non affiorare mai alla coscienza. Perfino i
grandi santi non hanno potuto che desiderarlo, senza mai potersene appagare, ne sono rimasti per
sempre in ansiosa attesa. Non è cosa comune, si rimarrebbe strabiliati se se ne afferrasse il vero
significato. In questa condizione c’è un’estrema semplicità e, nonostante le vibrazioni, una calma
perfetta, completamente priva d’ogni eccitazione emozionale. Non è neanche del tutto corretto
chiamarla ‘luce’ e neppure ‘buio’ è il termine appropriato. E’ uno stato che può sembrare difficile da
apprezzare. E’ infatti la fine di ogni cosa e di ogni raggiungimento. E’ la Realtà assoluta, la Sorgente di
ogni cosa, lo Stadio Ultimo cui dobbiamo infine arrivare. E oltre? Possa il Signore concedere a voi tutti
l’opportunità di essere benedetti con il suo raggiungimento.

Prima della creazione ovunque prevaleva una calma perfetta che, quando discese, portò con sé
l’essenza reale. Lo stato di entrambe era quasi uguale. Noi stessi iniziammo a stendere veli su veli. Le
onde della corrente sollevarono un mare immenso; numerose gocce si unirono per formare un fiume.
L’origine era la medesima goccia: l’essenza, che era scesa con essa. Poche gocce d’acqua colavano da
una fessura nella montagna, scorrendo sotto forma di fiume. In altre parole, alla vera essenza si
aggiunsero e si mescolarono altre gocce superflue, avviluppandola e dandole una forma più spessa e
più grossolana, che generalmente è la forma più visibile ai nostri occhi. Con un’osservazione costante
la forma più grossolana si scioglie, lasciando, dopo un certo tempo, solo una forma immaginaria.
Anche questa, grazie a uno sforzo costante, scompare alla vista; alla fine tutto quello che aveva
avviluppato il punto originale sparirà.

Questa condizione può essere raggiunta attraverso una pratica costante, agendo sempre con il pensiero
fisso sul punto reale, vera base dell’esistenza. L’attenzione concentrata sul Reale può essere
considerata l’essenza della preghiera. E’ il punto di partenza, l’eliminazione del superfluo è il primo
passo nella sua direzione. Ci si può chiedere perché io l’abbia definito così. E’ uno stato di coscienza;
per quanto la coscienza sia presente ad ogni livello, questo è il più elevato e il superiore. Non tratterò
degli stati successivi poiché sarebbe molto difficile afferrarli, e la fase finale non può in nessun modo
essere concepita. L’unità vi predomina; la preghiera viene prima di entrare in questo stato.

Possiamo forse considerare questi tre stadi come due e mezzo, perché a un certo punto si perde la
coscienza dell’intero spazio dall’inizio alla fine. Anche lo stadio intermedio vi è incluso. Ciò che ho
definito come l’inizio è in realtà la vera dimora. Forse potranno esservi delle difficoltà nell’accettarlo
come principio o primo stadio della preghiera. E’ una situazione analoga a quella del bambino che
comincia a imparare l’alfabeto con lo scopo di raggiungere livelli più elevati, per poter affrontare
problemi più complessi e pensieri più profondi. Ha già presente lo scopo finale, pur essendo in quel
momento alle prese con la struttura di lettere e parole. Questo stadio preliminare può apparire superfluo
se paragonato a quello finale; ma esiste in ogni uomo che si accosti alla preghiera e, se non perde di
vista lo scopo finale, questo influenzerà anche gli elementi più grossolani. Poco alla volta si
raggiungerà uno stato in cui solo il fine ultimo sarà presente, e si rimarrà in esso. Raggiunta la
condizione preliminare, bisogna cercare di espanderla; il che non vuol dire gonfiarla come una palla,
ma svilupparla introducendovi la vera sostanza o potere. Quando si svilupperà al punto che la
pesantezza comincerà a trasformarsi in leggerezza, quasi da estinguersi, si comprenderà di essere
entrati in una sfera dove resta solo un pallido spettro dell’idea della sottile esistenza di qualcosa.

Le correnti che fluirono dall’Origine si manifestarono in modi diversi, non discesero senza motivo:
erano poteri che cominciarono ad agire in vari modi, manifestando le loro azioni e producendo i
risultati necessari. Si prenda il caso di un neonato: al momento della nascita non può camminare; poi
comincia a sedersi, a reggersi in piedi, a parlare, a camminare e a correre. Queste capacità giacciono
latenti in lui e cominciano a svilupparsi, finché raggiunge la piena giovinezza e acquisisce il completo
vigore dell’uomo. Gli elementi già presenti nel neonato si sviluppano in forme diverse, per quanto la
loro origine sia la stessa piccola goccia. Veli su veli cominciano poi a depositarsi come risultato delle
abitudini della madre, dei pensieri del padre, del tipo d’educazione e di tutte le influenze esterne che
sviluppano le loro rispettive azioni. Tutte queste influenze possiedono un tocco di materialità. La
molteplicità dell’agire non gli permette di essere consapevole dei vari cambiamenti che subisce durante
il suo cammino verso la grossolanità. Ne rimane talmente coinvolto, che ogni sforzo per uscire da
questo stato risulta vano.

In seguito le cose cambiano, entra nel mondo circostante e viene influenzato dai contatti e dalle
relazioni con gli altri. L’ambiente attorno a lui esercita la sua influenza, i desideri cominciano a
manifestarsi e ad attirare la sua attenzione. La sua intera esistenza si è così colorata da fargli assumere
una forma diversa ed egli comincia ad attirare materia a questo fine. Che cosa era e che cosa è
diventato adesso? La stessa piccola goccia che ora è completamente scomparsa? Non solo, ma gli
elementi così introdotti si rafforzano ulteriormente per effetto dei suoi stessi pensieri. Di conseguenza
la loro azione diviene sempre più potente e intensa, e inizia ad attirare maggior potere dalle forze della
natura.

Esattamente come poche gocce d’acqua, provenienti dalla fessura di una montagna, scendono sotto
forma di rivolo e si gonfiano dell’acqua delle nevi o di un affluente finché diventano un gran mare, così
fa un bambino quando ciò che è stato introdotto in lui nell’infanzia ha raggiunto il pieno sviluppo e la
maturità. L’origine delle increspature sulla superficie dell’acqua non è altro che il risultato dei karma
(azioni) che hanno contribuito a ottenere la sua forma finale. Sono queste le onde considerate come
onde di gioia, spesso scambiate per anandam. Nella vita dell’uomo questa fase avviene nella
giovinezza, quando è già sufficientemente avvolto nella grossolanità. Quando raggiunge tale forma, che
è il risultato di tutte le azioni, il suo stato è simile a quello dell’oceano.
Si può sottolineare che una cosa, quando viene osservata ininterrottamente, inizia a scomparire alla
vista lasciando solo il suo riflesso, che alla fine pure scompare. La materia possiede la capacità di
vedere solo la materia. La capacità di vedere al di là si trova solo in un potere più sottile che è oltre la
materia stessa. Questo procede ulteriormente, nello stesso modo, finché si estingue. Ciò che rimane al
di là si manifesta sotto forma di coscienza; procedendo, anche questa si estingue e scompare perfino la
sensazione dell’esistenza. Poi viene lo stato di negazione, la vera Realtà. E’ molto difficile capirla, a
meno che non si sia raggiunto quel punto, o piuttosto non si sia immersi in quello stato. Ma anche
questa negazione è qualcosa che esiste, altrimenti perché definirla? Andate ancora oltre...!

Le correnti che discesero dall’Origine cominciarono a crescere in spessore e pesantezza. Perché? E’ un
punto molto difficile da spiegare. Quando un uomo si butta da una grande altezza, durante la caduta è
come se fosse morto. Generalmente lo si attribuisce alla forza di gravità terreste, ma io posso affermare
che la consapevolezza della caduta devia verso il basso il calore del pensiero, che comincia a
fuoriuscire per la forza della spinta. Lo stesso avviene per le correnti discendenti. La solidità implica
pesantezza e non ha vita; le correnti divine, essendo anch’esse senza vita, non sono generalmente
attraenti. Benché i minerali, i vegetali e gli animali provengano dal Divino, non tutti posseggono la
vita, al massimo si tratta di una forma di vita latente. Lo stesso avviene per le correnti Divine, ma
l’uomo, associandole ai propri karma, comincia ad appesantirsi in esse.

Poiché abbiamo accettato la preghiera come elemento fondamentale, diventa ora imperativo capire
come dovrebbe essere. Considero essenziale per l’abhyasi quella seguente; benché ve ne possano essere
altre forme, io la preferisco:

       Oh Maestro! Tu sei il vero fine della vita umana.

       Noi siamo ancora schiavi dei desideri

       che creano una barriera al nostro avanzamento.

       Tu sei il solo Dio e potere che può elevarci

       a quel livello.

Quando il mondo ha assunto la forma presente, il punto centrale era già profondamente radicato in tutti
gli esseri. Essendo una parte del Supremo, attira la nostra attenzione verso la Sorgente. Nella preghiera
cerchiamo di raggiungere il punto centrale. Questo è possibile solo quando creiamo dentro di noi uno
stato affine. Richiede esercizio e possiamo raggiungerlo abbandonandoci alla Volontà Divina, che è
perfettamente semplice e tranquilla. Sembra una cosa molto difficile, ma in effetti non lo è, almeno per
coloro che vi aspirano. Quando si crea dentro di sé una forte brama per l’Assoluto, ci si trova in uno
stato di preghiera, cui tutti dovrebbero tendere. Se si entra in tale stato, anche solo per un momento, la
preghiera viene esaudita; ma è necessaria la pratica costante.
Massima 3

Fissate il vostro Fine, che dovrebbe essere la completa unione con Dio. Non fermatevi finché l’ideale
non sarà raggiunto.

E’ essenziale che ognuno fissi il proprio pensiero, fin dall’inizio, sul fine da raggiungere, così che
pensiero e volontà gli possano tracciare il cammino. Chi, sul sentiero della spiritualità, non si è
prefissato questo stato finale come meta, non è riuscito a raggiungerla, perché, prima di arrivarci, ha
scambiato uno degli stati intermedi per il punto finale o Realtà, e lì si è fermato; ha solo sofferto,
unicamente per non aver fissato il proprio fine.

Anche nell’ambito materiale, se non si tiene presente il proprio obiettivo, gli sforzi non risulteranno
sufficientemente concentrati da assicurare la riuscita. Una barca non può procedere dritta verso la meta
se manca il timone. Se consideriamo la forma umana come una barca che viaggi nel vasto oceano della
spiritualità, il timone risulta essenziale per attraversarlo con successo. In questo caso il timone è la
nostra forte determinazione che ci guida verso la meta. Incontreremo certamente molti vortici, ma la
nostra forza di volontà e la fiducia ci aiuteranno a superarli e a procedere dritti verso la destinazione. Se
il nostro occhio è fisso sulla spiritualità, il nostro ideale diventa il più elevato, la diretta associazione
con l’Assoluto. Raggiungere l’Assoluto Infinito è pertanto uno dei principali doveri dell’uomo. Ma fin
quando l’obiettivo non è definito nella nostra mente, sarà molto difficile completare il cammino con
successo.

L’aiuto divino verrà certamente, ma solo quando il Supremo sarà convinto della rettitudine del devoto.
Quando la reazione crea movimento nell’Infinito, significa che la persona ha concentrato il suo
pensiero sul Grande Essere (come avviene tra l’amante e l’Amato), che si è ridotta la distanza fra il
devoto e il Signore, e l’idea della lontananza svanisce poco a poco. Ci avviciniamo sempre di più al
punto in cui, essendo immersi nella Realtà, la sensazione di distacco si estingue e assume la forma del
moto latente che esisteva al tempo della creazione. La nostra immersione in tale stato diventa
permanente e duratura. Iniziamo ora a nuotare nell’Oceano Infinito, in quella vera vita in cui siamo
soggetti alle sue influenze.

Fermezza di volontà e determinazione di raggiungere il fine ci hanno aiutato, ora siamo fermamente
stabiliti nello stato finale. A questo punto è facile capire come questo arduo problema sia stato
agevolmente risolto grazie alla nostra determinazione e alla giustezza dello scopo. L’intenzione di
raggiungere il fine favorisce i nostri sforzi, e, poiché l’Ideale è il più nobile, l’interesse aumenta
progressivamente trasformandosi in desiderio ardente. Cominciamo poi a sentirci sempre più
impazienti di raggiungerlo, e le tendenze della mente vengono indirizzate con vigore verso la meta.
Quindi, per il raggiungimento dell’obiettivo, dobbiamo creare in noi un desiderio ardente o
un’impazienza estrema, che ci spingano in quel senso, proprio come ha fatto il moto latente al
momento della creazione.
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