LINEE PROGRAMMATICHE DI MANDATO - 2016/2021 del Sindaco LIVIO VALVANO
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“Anche le città credono d’essere opera della mente o del caso, ma né l’una né l’altro bastano a tener su le loro mura. D’una città non godi le sette o settantasette meraviglie, ma la risposta che dà a una tua domanda.” (Le città invisibili, Italo Calvino) Premessa In applicazione dell'art. 46 del D.Lgs. n. 267/2000 (T.U.E.L.) e in ossequio al combinato disposto degli artt. 13 e 21 dello Statuto del Comune di Melfi, il Consiglio Comunale discute le linee programmatiche di mandato presentate dal Sindaco, sentita la Giunta. Le linee programmatiche “aprono” l'attività di programmazione strategica con riferimento all'intero mandato amministrativo 2016 / 2021, introitando nei processi decisionali istituzionali il programma amministrativo presentato dal candidato sindaco, ai sensi dell'art.73 del TUEL, in occasione delle elezioni amministrative del 15 e 16 maggio 2011. L'attività di programmazione, successivamente, si declina con la definizione del Documento Unico di Programmazione propedeutico all’approvazione del primo bilancio annuale (esercizio finanziario 2017) e pluriennale 2017/2019. Secondo quanto contenuto nel Principio contabile n. 1.18 redatto dall’Osservatorio per la contabilità e la finanza locale (nell’ambito del c.d. ‘sistema di bilancio) “ Il Tuel ha mantenuto l’obbligo, per tutti gli enti locali, di presentare al Consiglio i contenuti della programmazione di mandato entro il termine previsto dallo Statuto, quale primo adempimento programmatorio di competenza del Sindaco. Alla discussione consiliare non segue una votazione, ma vengono annotate le posizioni dei singoli e dei gruppi, al fine di poterne tenere conto nella programmazione.” Pagina 2
ANALISI DI CONTESTO Nel 2015, dopo tre anni consecutivi di contrazione, l’economia italiana è tornata a crescere (+0,8 per cento) e nel 2016 questa crescita prosegue e si rafforza (+1,2 per cento). Secondo le valutazioni del Governo, è verosimile attendersi una crescita dell’occupazione e un generale miglioramento dei conti pubblici. Il Governo mantiene una politica rigorosa ma, nello stesso tempo, ha manifestato l’intenzione di mettere in campo misure espansive che permettano di stimolare l’economia che produce occupazione. Ciò accade anche se, negli ultimi mesi del 2015, il quadro internazionale ha mostrato evidenti segnali di peggioramento, dovuti alla fase di difficoltà dell’Eurozona, al progressivo rallentamento delle economie emergenti e alla minaccia terroristica. Le stime ufficiali dell’ISTAT confermano che nel 2015 l’economia italiana è tornata a crescere dopo tre anni di contrazione, registrando un tasso di crescita dello 0,8 per cento in termini reali; il PIL nominale nel 2015 è risultato in linea con quanto stimato in settembre (1.636,4 miliardi contro 1.635,4 miliardi). Per quanto riguarda il 2016 e gli anni seguenti, il Governo stima una crescita tendenziale del PIL reale per il triennio 2016-2018 dell’1,2 per cento annuo. Nello scenario programmatico, dopo un incremento dell’1,2 per cento nel 2016, la crescita del PIL reale nel triennio 2017-2019 risulterebbe più elevata che nel tendenziale, nonostante una politica fiscale ancora rigorosa, ma più focalizzata sulla promozione dell’attività economica e dell’occupazione. Il nuovo scenario tiene conto del peggioramento del quadro macroeconomico internazionale segnalato sia da previsori di mercato che dalle principali organizzazioni internazionali, quali l’OCSE, il FMI e la Commissione Europea. Va anche sottolineato che la caduta del prezzo del petrolio sostiene la domanda interna Pagina 3
nei paesi consumatori quali l’Italia, ma riduce consumi e importazioni dei paesi produttori, verso cui le esportazioni italiane erano cresciute molto fino al 2014. Sono sostanzialmente confermate le previsioni di crescita dei consumi delle famiglie. Malgrado vi sia stata una flessione degli indicatori di fiducia dei consumatori durante i mesi invernali, gli andamenti recenti sembrano coerenti con un andamento nel complesso moderatamente espansivo e assai dinamico in alcune componenti dei consumi durevoli, quali gli acquisti di autovetture. Le indagini attualmente disponibili indicano che gli investimenti fissi lordi dovrebbero crescere nel 2016. L’obiettivo del Governo nazionale, circa l’indebitamento netto delle Amministrazioni pubbliche per il 2015, 2,6 per cento del PIL, è stato raggiunto. Per quanto riguarda il 2016, il Governo prevede un indebitamento netto intorno al 2,3 per cento del PIL; l’avanzo primario è previsto pari all’1,7 per cento del PIL, in leggero aumento rispetto al 2015. Il documento di programmazione del Governo mantiene le intenzioni volte a ridurre il carico fiscale che grava sui redditi delle famiglie e delle imprese; ciò comporterà l’ampliamento, nel biennio 2018-2019 delle misure riguardanti la spending review. In attuazione del Trattato di Maastricht, Il Patto di Stabilità Interno (PSI) ha costituito per circa sedici anni la regola cardine alla base del coordinamento della finanza locale in Italia, definendo il contributo di regioni, province e comuni al conseguimento dell’obiettivo di indebitamento netto perseguito a livello nazionale. La disciplina del Patto ha subito profonde e numerose revisioni. A partire dall’anno scorso, la Legge di Stabilità 2015 ha previsto l’anticipo per le regioni, dal 2016 al 2015, della regola del pareggio di bilancio, confermando, invece, la previgente impostazione del PSI per gli enti locali (province, comuni e città metropolitane con popolazione superiore a 1.000 abitanti) con alcune innovazioni. Pagina 4
In particolare, nell’anno 2015, grazie anche all’entrata a regime della contabilità armonizzata e all’introduzione del Fondo crediti di dubbia esigibilità tra le poste valide ai fini della verifica del rispetto del Patto di Stabilità Interno per comuni, province e città metropolitane, si è registrata una riduzione del 5,3 per cento delle spese di personale e del 7,3 per cento dei consumi intermedi, a favore delle spese per investimenti (+ 12,5 per cento). La Legge di Stabilità 2016 ha previsto, a decorrere da quest’anno, il superamento del PSI introducendo al suo posto la regola del pareggio di bilancio in termini di competenza per tutte le Amministrazioni territoriali Le nuove regole producono l’effetto di non poter utilizzare gli avanzi di amministrazione o i mutui come fonte di finanziamento degli investimenti, quindi delle opere pubbliche, già in fase di programmazione. In altri termini, si ridurrà ulteriormente la possibilità di realizzare investimenti anche in presenza di risorse proprie (avanzo di amministrazione), come nel caso del nostro Comune, fermo restando la possibilità di far ricorso a fonti di finanziamento esterne. Nonostante le aspettative del comparto Enti Locali, si conferma la politica di rigore. A farne le spese sono proprio le attese di sviluppo collegate alla realizzazione di investimenti e infrastrutture, che dovranno ancora attendere a causa di un debito pubblico che non accenna a calare. I dati di competenza economica mostrano come il percorso di contenimento dell’indebitamento netto del comparto sia evidente a partire dal 2007, in cui il deficit delle Amministrazioni locali passa dal -1,0 per cento al -0,1 per cento del PIL. La spesa per investimenti delle Amministrazioni locali, dopo essere cresciuta ininterrottamente in termini di PIL per circa un decennio, inizia a ridimensionarsi già nel 2005, scendendo dal 2 per cento raggiunto nel 2004, all’1,2 per cento del PIL nel 2014, il livello più basso degli ultimi venti anni. Nel 2002 gli investimenti delle Pagina 5
Amministrazioni locali spiegavano circa l’80 per cento degli investimenti pubblici mentre nel 2014 hanno costituito poco meno del 55 per cento del totale. In questo contesto assume particolare rilevanza la necessità di concentrarsi sulla programmazione e progettazione di opere pubbliche, infrastrutture e investimenti utili a raggiungere gli obiettivi programmatici, facendo ricorso al sistema di finanziamento dell’Unione Europea (Fondi SIE), sistema che è articolato su 5 risorse: - FESR, Fondo Europeo di Sviluppo Regionale, - FSE, Fondo Sociale Europeo, - FEASR, Fondo per lo Sviluppo Rurale, - FC, Fondo di Coesione, - FEAMP, Fondo per gli Affari Marittimi e la Pesca. La politica di coesione dell’Unione Europea, STRATEGIA EUROPA 2020, si sostanzia in 5 obiettivi e sette iniziative. I 5 OBIETTIVI 1. OCCUPAZIONE, il 75% della popolazione di età compresa tra 20 e 64 anni dovrà avere un’occupazione. 2. RICERCA e SVILUPPO, il 3% del PIL dell’UE dovrà essere investito in Ricerca e Sviluppo. 3. CAMBIAMENTI CLIMATICI/ENERGIA, ridurre le emissioni di gas serra del 20% rispetto al 1990, aumentare l’efficienza energetica del 20% e produrre almeno il 20% del fabbisogno di energia da fonti rinnovabili. 4. ISTRUZIONE, si dovrà ridurre il tasso di abbandono scolastico ad una soglia al di sotto del 10%, mentre almeno il 40% di coloro che hanno tra i 30 e i 34 anni dovrà aver portato a termine studi di terzo ciclo o equivalenti. 5. POVERTA’ / EMARGINAZIONE, almeno 20 milioni di persone dovranno superare il rischio di povertà o di esclusione. Pagina 6
LE 7 INIZATIVE CRESCITA INTELLIGENTE: 1. Agenda digitale, 2.Economia dell’innovazione, 3. Giovani. CRESCITA SOSTENIBILE: 4.Uso efficiente delle risorse, 5.Politica industriale. CRESCITA SOLIDALE: 6.Nuove competenze e nuovi lavori, 7.Lotta alla povertà. Sono obiettivi della politica di sviluppo dell’Unione che non possono non trovare pieno accoglimento e recepimento all’interno della strategia delle comunità locali dell’Unione e quindi della nostra comunità locale nella declinazione SVILUPPO-OCCUPAZIONE-CULTURA-AMBIENTE-EQUITA’-INLCUSIONE. L’Unione europea si trova di fronte a una sfida senza precedenti rappresentata dal flusso dei rifugiati e richiedenti asilo a seguito degli sconvolgimenti in atto nel bacino del Mediterraneo. La Commissione europea, pur ricordando l’incertezza che circonda lo sviluppo di questo tipo di fenomeno, indica l’arrivo di più di un milione di persone nel 2015 e prevede l’arrivo di ulteriori 3 milioni entro il 2017. Il forte aumento dell'arrivo di migranti ha posto una considerevole pressione su diversi Stati membri mettendo alla prova la capacità di ricezione e inasprendo, in alcuni casi, le tensioni politiche e sociali. L’Italia si è trovata in prima linea nella gestione di questa crisi, assumendosi il compito di garantire il controllo della frontiera anche per i paesi interni dell’Unione e effettuando ingenti operazioni di salvataggio in mare. L’attuale emergenza avviene in un contesto geopolitico profondamente mutato che richiede una risposta comune dall’Europa, sul fronte sia della ridiscussione dei meccanismi del sistema d’asilo, sia della tutela dei diritti umani, sia della gestione delle frontiere esterne. Queste sfide richiedono una politica coordinata per fornire aiuto immediato e per progettare processi di transizione e integrazione che possano bilanciare i costi Pagina 7
di breve termine con i benefici di lungo periodo. A partire dal 2014 il numero di sbarchi sulle coste italiane ha superato le 150 mila persone l’anno, più del triplo rispetto a quanto registrato nel 2013, superando di gran lunga le tendenze dell’ultimo ventennio e anche i valori rilevati nel 2011 e 2012 a fronte della cosiddetta emergenza umanitaria Nord Africa. Anche le presenze nei centri di accoglienza segnano un picco. Al 31 marzo 2016 sono circa 107 mila i migranti presenti nelle strutture governative, cioè quasi il doppio rispetto alle presenze registrate a fine 2014 e oltre dieci volte il dato medio del periodo 2011-2013. I richiedenti asilo sono più che triplicati tra il 2013 e il 2015, da 26 mila a oltre 83 mila domande. Insomma sono numeri che indicano un fenomeno dalle dimensioni eccezionali e che esprimono una crisi delle regioni che si affacciano sul Mediterraneo che durerà nel tempo. Anche La Basilicata e le nostre città, negli ultimi due anni, sono state pienamente coinvolte attraverso i centri di accoglienza dei profughi organizzati direttamente dalla Prefetture. E’ l’accoglienza di emergenza dei migranti che arrivano direttamente dai punti di sbarco. E’ la prima forma di intervento che il nostro Stato è tenuto a garantire in attuazione dei principi costituzionali. A questa prima forma di intervento, di tipo emergenziale, le comunità locali possono aggiungere per loro iniziativa progetti di integrazione vera e propria. Pagina 8
Il PUNTO DI PARTENZA: IL 2011 L’inizio del primo mandato amministrativo (Giugno 2011) non è stato uno scherzo né una passeggiata di salute. Il sistema urbano e le condizioni socio-economiche a metà 2011, nonostante l’ordine apparente, manifestavano da subito sofferenze per le note condizioni venutesi a creare, soprattutto per la scelta di allargare il tessuto urbano, concretizzatasi a partire dai primi anni 2000. L’area edificata della città di Melfi era cresciuta del 40% circa, in assenza di una vera crescita demografica: dall’anno 2004 fino al 2011 la città non cresceva se non per il flusso migratorio rappresentato dai cittadini stranieri. Fatto pari a 56 il saldo netto di crescita demografica media dal 2004 fino al 2011, 50 sono cittadini stranieri. Melfi si presenta come la città avente l’indice di dispersione demografica più basso rispetto agli altri centri urbani regionali: 450 abitanti per chilometro quadrato, rispetto ai 750 di Matera e ai 980 di Potenza. La crescita delle infrastrutture urbane, non accompagnata dalla crescita demografica, ha fatto aumentare notevolmente i costi dei servizi (pubblica illuminazione, manutenzione strade, trasporto urbano, pulizia strade, raccolta dei rifiuti etc..) ma non è stata accompagnata (ovviamente) da un aumento delle entrate fiscali e dei contributi statali (che al contrario sono progressivamente diminuiti: -2,3 milioni di euro all’anno). Il centro storico perdeva la funzione di luogo identitario di aggregazione sociale e culturale dei residenti che, nel forte allungamento del tessuto urbano, trovano ostacoli e ragioni di percepire il centro urbano solo come una delle alternative possibili rispetto ad altri luoghi di aggregazione e di fruizione di servizi di intrattenimento presenti in altre città. Il sistema urbano non è riuscito a cogliere al meglio il processo di sviluppo industriale: dal 1994 (anno di avvio dell’attività industriale della FIAT) fino a Pagina 9
dicembre 2014 (cioè un attimo prima del rilancio industriale) solo l’8% circa dei lavoratori occupati a San Nicola di Melfi risiedevano nella nostra città. TROPPO POCO! E’ la conseguenza di una percezione della città come poco competitiva, dove la casa costa troppo, idea velocemente consolidata nei primi mesi dall’insediamento FIAT. Percezione che evidentemente non era sufficientemente controbilanciata dalla presenza di servizi di rilievo: carenza di posti nell’asilo nido, piscina comunale chiusa dal 2008, assenza di adeguati servizi culturali e di intrattenimento, solo per citare alcuni dei deficit che andavano superati. A questa condizione si aggiungeva, di li a poco, l’impatto sociale molto forte dell’importante processo di ristrutturazione e di ridefinizione del piano industriale del comparto auto, accompagnato per oltre due anni dalla cassa integrazione straordinaria di migliaia di operai. Il rapporto tra l’Amministrazione Comunale e il sistema industriale appariva ulteriormente incomprensibile per la presenza di un “originale contenzioso” che a quell’epoca (giugno 2011) da qualche anno aveva bloccato le procedure di appalto per i lavori del CAMPUS di RICERCA FIAT, importantissima infrastruttura per la crescita del capitale umano, lavori che la Regione aveva affidato al Comune di Melfi. L’ambiente La questione ambientale completava le grandi linee di una fotografia molto complessa. L’inceneritore FENICE al centro di un conflitto con le istituzioni che si inaspriva proprio nel primo anno del mandato (anno 2011); la nuova Giunta Municipale arrivava ben presto all’idea di bocciare il primo progetto di bonifica presentato dalla società perché ritenuto carente degli elementi essenziali (gli eventi successivi lo confermavano con la definitiva sentenza del Consiglio di Stato), a differenza del Pagina 10
piano di messa in sicurezza e di caratterizzazione approvati dal Comune di Melfi tra il 2009 e il 2010. L’inceneritore era il terminale di un sistema di gestione del ciclo dei rifiuti tecnologicamente superato da qualche decennio che a quell’epoca manifestava subito evidenti anomalie. Infatti, nonostante la raccolta porta a porta per 10 anni garantita nel centro storico (cioè per il 40% delle utente), la differenziata nei dieci anni tra il 2001 e il 2010 oscillava tra il 4% e il 9%. Un dato anomalo che comunque metteva l’inceneritore al centro del sistema, vissuto come ineliminabile, verso il quale il Comune di Melfi conferiva oltre 7 mila tonnellate all’anno di rifiuti urbani tal quale. In quel momento (sempre giugno 2011) incombevano sul Comune di Melfi due progetti per l’insediamento di 2 discariche per rifiuti speciali e pericolosi, previste dal Piano Provinciale dei rifiuti approvato nel 2002; piano che continuava a prevedere la presenza dell’inceneritore e delle discariche per rifiuti speciali nell’area del Comune di Melfi. Ai progetti per le discariche per rifiuti speciali si associano una decina di progetti per l’insediamento di parchi eolici, già confezionati e depositati insieme all’insediamento della centrale di trasformazione TERNA. Finisce l’era delle vacche grasse, arriva il gelo del debito pubblico nazionale. A giugno 2011 partivamo con quasi 11 milioni di euro di debiti per mutui, un milione di euro di oneri di concessione da restituire, per un improbabile progetto di un ulteriore centro commerciale (che fortunatamente non è andato in porto nonostante sia stato dal Comune autorizzato a suo tempo e per il quale il Comune aveva riscosso ed utilizzato, nel periodo 2001/2003, gli oneri di concessione), un milione di euro da restituire allo Stato per contributi indebitamente incassati dal Comune di Melfi nel periodo 2001/2009, più le opere di urbanizzazione da realizzare nelle aree di nuova espansione in periferia, valutabili in non meno di 10 milioni di Pagina 11
euro, infine un altro milione di euro affidato dal Comune all’Azienda Speciale 167 consumato nella gestione e quindi non più restituito; in sintesi debiti espliciti ed impliciti per almeno 24 milioni di euro. Come si suol dire “al danno la beffa”. Lo stato di crisi finanziaria dell’Italia esplode con le dimissioni anticipate del Governo Berlusconi (novembre 2011) nonostante il fortissimo inasprimento a carico degli Enti locali con la manovra del Ministro Tremonti che irrigidisce il PATTO DI STABILITA’ INTERNO. Una vera e propria guerra dello Stato agli Enti locali (Regioni, Province e Comuni), con la forte riduzione dei contributi e il blocco delle risorse finanziarie per gli investimenti in opere pubbliche e il taglio dei servizi della pubblica amministrazione. Fu proprio il governo Berlusconi, nell’agosto 2011, ad approvare l’indirizzo della “spending review” con l’esplicita previsione del dimagrimento di tutti gli uffici pubblici, a partire dai Tribunali, indirizzo concretizzatosi nei mesi successivi dal Governo Monti e che, purtroppo, ha portato alla soppressione della sede del Tribunale di Melfi (luglio 2012). Questo il quadro finanziario generale che si abbatte di colpo, dopo 15 anni di disponibilità di risorse per il Comune di Melfi, grazie alla presenza dell’insediamento industriale più importante del mezzogiorno d’Italia. Dal 2011 al 2015, su un bilancio corrente di circa 14 milioni di euro lo Stato taglia al Comune di Melfi 2,5 milioni all’anno. La presenza di un’Azienda Speciale per la gestione del piano di insediamento abitativo di edilizia popolare, non operativa già dall’anno 2007, con un costo amministrativo di circa 350 mila euro all’anno, rendeva ulteriormente preoccupante il quadro finanziario complessivo. Lo stress finanziario introiettato nella macchina amministrativa non poteva trovare un contrappeso nella forza dell’apparato organizzativo, fortemente indebolito da un indirizzo politico che non si è curato di mantenere un organico numericamente Pagina 12
adeguato. Non si tratta di un’opinione ma di un fatto: il Comune di Melfi ha in organico solamente 53 dipendenti, in rapporto al numero di abitanti l’organico corrisponde a meno della metà dei dipendenti dei Comuni italiani. Basta confrontare il dato nazionale e regionale, rappresentato dall’indice dato dal rapporto dipendenti/popolazione: Melfi 2,98, media italiana 6,89 (di cui comuni da 10 a 20 mila abitanti 5,65) media Basilicata 6,97 (fonte IFEL ANCI – il personale dei comuni italiani). Fino a maggio 2010 sarebbe stato possibile rinforzare l’organico bandendo concorsi pubblici; da Maggio 2010 il D.L.78/2010 ha bloccato, fino ad oggi, la possibilità di assumere personale. In sintesi: mancano numericamente le risorse umane per fronteggiare i tanti bisogni della collettività, che si traduce in una cronica lentezza di tutte le procedure amministrative che sovrintendono i servizi erogati dal Comune, trasformata in disagio riversato sui cittadini che si interfacciano con l’amministrazione. La visione dell’amministrazione della città di tipo strettamente burocratico e “condominiale” è stata da tempo superata e soppiantata dal ruolo di soggetto promotore di sviluppo locale e di benessere. Un ruolo che le singole città non possono giocare in solitudine, non avendone la forza, le risorse e mancando di una visione più complessiva della realtà territoriale sovra-comunale. La città che coglie le opportunità della modernità deve saper leggere, interpretare e partecipare ai processi di sviluppo del territorio regionale e sovra regionale. Regioni e città sono diventate protagoniste delle politiche di sviluppo. E’ proprio l’Ente Regione l’interfaccia principale del governo nazionale e delle istituzioni internazionali (Unione Europea innanzitutto) ad essere l’interlocutore indispensabile per la comunità locale che vuole crescere; per questo è fondamentale la sintonia e la collaborazione interistituzionale tra Enti di diverso livello, con l’obbiettivo di armonizzare visione, strategia e programmazione ai cambiamenti esterni vissuti dal sistema socio-economico nazionale e internazionale. Pagina 13
Il punto di partenza di un adeguato programma di governo è la lettura del sistema che si intende amministrare, il sistema urbano. Una lettura che non può essere limitata alla fotografia ma che deve contestualizzare la “creatura città” nel contesto più esteso delle dinamiche socio-economiche non semplicemente territoriali ma nel più ampio gioco nazionale ed internazionale. E’ noto che In tutti i paesi industrializzati, l’organizzazione spaziale, urbana e sociale dei nuclei abitati entra in crisi negli anni ’70. Anche le dinamiche del tessuto produttivo hanno inciso notevolmente sulla morfologia e sulla struttura sociale della città. Il modello fordista, basato sulla produzione industriale di massa collassa in seguito alla crisi petrolifera; il ristagno economico, la recessione e il conseguente aumento della disoccupazione e dell’inflazione smontano l’illusione della crescita continua alimentata dalla forza del boom economico degli anni ’60. Dall’estremo della città fordista, basata sui grandi agglomerati industriali che oggi soffre per il processo di deindustrializzazione, si passa all’estremo della città della micro e piccola impresa, caratterizzata da grande dinamismo economico e maggiore capacità di resistere alle crisi cicliche. La crescita economica negli ultimi decenni ha portato a una polarizzazione delle categorie sociali sul piano economico, in termini di una generale maggiore disuguaglianza tra gruppi sociali più ricchi e gruppi sociali più poveri. Alla polarizzazione corrisponde una diversificazione dei consumi e una tendenziale organizzazione e localizzazione all’interno dei nuclei urbani, con particolare riferimento ai gruppi etnici che provano a insediarsi in aree adiacenti per superare le naturali difficoltà della lingua, delle abitudini e dell’organizzazione sociale. Fenomeni molti marcati negli Stati Uniti, di minore dimensione in Europa ma comunque visibili anche nei piccoli centri come Melfi, dove le aggregazioni non sono ancora tali da essere considerati dei veri e propri ghetti. Pagina 14
A Melfi, per esempio, i dati ISTAT riferiti al 31/12/2011 ci dicono che risiedono 577 cittadini stranieri (provenienti prevalentemente dall’Europa centro orientale, Romania, Ucraina Albania Bulgaria etc…) che tendono a concentrarsi in aree determinate, prevalentemente all’interno del centro storico cittadino; essi si concentrano generalmente in base alla nazionalità per familiarità, solidarietà e più banalmente per la maggiore facilità di comunicazione, nell’area urbana dove c’è stato un processo di decentramento delle residenze e dove molto alta è la concentrazione di unità immobiliari non occupate (935 alla fine del 2011), condizione che determina una riduzione del valore di mercato degli affitti. Le politiche statali inclusive, di apertura verso le altre popolazioni, nel favorire l’immigrazione determinano cambiamenti concreti sul volto del nucleo abitato. Si associano imponenti processi di deindustrializzazione e di ristrutturazione dell’apparato produttivo; processi che ridisegnano i nuclei abitati. Il progresso della tecnica, le nuove tecnologie cambiano progressivamente il tessuto industriale. Alla grande impresa si sostituisce, soprattutto in Italia, un sistema industriale caratterizzato dalla proliferazione di piccole e medie imprese in rete. Le nuove tecnologie di comunicazione, internet, la telefonia cellulare, gli smartphone creano prodotti e servizi prima inesistenti. Cresce l’economia basata sulla produzione immateriale e perdono di importanza, progressivamente, i grandi agglomerati industriali. Si allargano i mercati, oramai globali, si accorciano le distanze di comunicazione in un contesto fatto di mercati sempre più integrati. L’impatto delle nuove tecnologie di informazione, comunicazione e in campo energetico spingono a parlare di una vera e propria rivoluzione, la terza rivoluzione industriale, imperniata sull’estensione della crescita e sulla globalizzazione dei mercati. Pagina 15
Le città si trasformano in centri di produzione e trasferimento di informazioni, immagini e Know-how. Siamo nell’epoca della città dei lavoratori della conoscenza. In questo contesto un particolare ruolo lo svolgono i grandi nuclei urbani, le città metropolitane, per la funzione “transnazionale” in quanto luogo dei centri direzionali sul piano istituzionale, politico, diplomatico e commerciale. Il processo di internazionalizzazione dell’economia fa cadere la primazia delle economie nazionali, soprattutto in Europa; conseguentemente, i flussi degli investimenti si espandono e si trasferiscono da una nazione all’altra con maggiore velocità. La crescente complessità della strutturazione organizzativa internazionale delle imprese porta a concentrare le funzioni manageriali più alte nei nuclei urbani di maggiore dimensione, dove è più probabile acquisire le risorse della conoscenza che sono la chiave del successo dell’impresa moderna. Per tali ragioni, le città metropolitane e i tessuti urbani più sviluppati del centro-nord continuano ad esercitare una spinta attrattiva non più rivolta al lavoro manuale ma sempre più spinta sulle professionalità più elevate. Domina il lavoro intellettuale nel suo complesso, fondamentale per affrontare il mare impetuoso della nuova economia, sempre più incerta, caratterizzata da fenomeni di maggiore mobilità, dinamicità e dai ritmi sempre più veloci. Il peso del lavoro intellettuale si stima rappresenti almeno il 20% degli occupati e tendenzialmente è in crescita; questa incidenza e la relativa tendenza al rialzo ha conseguenze rilevanti sulla forma fisica e sulla struttura sociale delle città, anche dei centri abitati di minori dimensioni come Melfi. Al lavoro intellettuale è necessario prestare maggiore attenzione; esso determina una crescita costante del bisogno di cultura nel senso più ampio del termine, bisogno che si trasferisce sulla morfologia e sulle infrastrutture dei nuclei urbani. Pagina 16
La produzione culturale assume centralità nella città moderna, dove il cittadino- lavoratore della conoscenza cresce di peso e importanza. La cultura assume dimensioni sempre più rilevanti sul piano economico, atteso che con l’avanzata del lavoratore della conoscenza cresce complessivamente la domanda di prodotti culturali nelle diverse forme (produzione cinematografica, musica, produzione artistica, design, artigianato, moda, intrattenimento e spettacolo, network televisivi, editoria, turismo storico-culturale, eventi culturali, musei etc..). In linea generale all’industria della cultura appartengono tutti i settori che si traducono nel creare e commercializzare beni o servizi ad alto contenuto di significati simbolici. Non è così scontato escludere o includere un servizio o un bene rispetto al settore della cultura; dalle vacanze, permeate da contenuti culturali, ai beni prodotti dall’industria spesso carichi di simboli, immagini e significati collegati a significati simbolici e culturali per renderli attraenti e appetibili, attraverso la pubblicità che punta a costruire legami con identità collettive positivamente connotate. Secondo alcuni economisti la componente simbolica dei prodotti porta dentro i confini dell’economia culturale finanche i settori dell’abbigliamento e dell’arredamento; secondo altri è invece necessario restringere il perimetro a tutto ciò che trasforma le espressioni della creatività umana in prodotti e servizi per il consumo generalizzato (libri, film, teatro, etc..). Nell’uno e nell’altro caso, un fatto è certo: il peso della componente “cultura” cresce costantemente nell’industria e nell’economia vista in generale. In sintesi la società moderna, la comunità del lavoratore della conoscenza si caratterizza per questa crescente convergenza tra cultura e industria. E’ evidente che l’economia culturale tende a modificare la struttura sociale di una città; modifiche fisiche che si rendono più visibili nelle grandi città, dove è possibile Pagina 17
vedere la trasformazione di un intero quartiere, interessato dall’insediamento di più imprese che hanno interesse alla creazione di un’area che interagisce. In un piccolo centro urbano, invece, la trasformazione è innanzitutto di tipo sociale, indotta dalla crescita dell’economia della conoscenza ma allo stesso tempo generatrice di una classe media con particolari caratteristiche. Nella nostra piccola grande città, le attese legittime legate all’imponente insediamento industriale nell'area di San Nicola di Melfi (FIAT e indotto), devono fare i conti con “la bassa temperatura” dei dati demografici che ci consegnano un quadro complessivo di “mancato sviluppo”; la città non è riuscita a raccogliere tutti i frutti potenziali, in termini di crescita demografica, sociale ed economica, in rapporto alla notevole dimensione del tessuto industriale che con lo stabilimento FIAT ha avuto una crescita dimensionale molto forte. La dinamica demografica si presenta piuttosto stabile. La crescita demografica successiva allo sviluppo industriale è riassumibile nel modesto incremento dei residenti, di 1.381 unità in 13 anni, tra il censimento del 1991, 15.757 abitanti e il 2004, 17.138 residenti. Siamo ancora sotto il livello demografico più elevato dopo l’unità d’Italia, di 18.208 residenti registrato nel 1961; infatti, dal 2004 la città sostanzialmente non cresce se non fosse per l’incremento di stranieri passati da 200 a 577 proprio tra il 2004 e il 2011 (oggi gli stranieri sono 751), che spiega l’incremento dei residenti da 17.138 del 2004 a 17.547 al 31/12/2012 (oggi, al 31/12/2015, i residenti sono 17.752); l’incremento demografico complessivo, in sette anni, di 409 residenti è determinato per la quasi totalità, cioè 377 unità, dall’incremento dei residenti di altre nazionalità. In sintesi, dal 2004 ad oggi (31/12/2015) il saldo netto demografico (+614) cresce ogni anno, in media, di circa 56 unità di cui 50 stranieri e 6 melfitani. Di diverso segno, invece, è stata la politica urbanistica che ha determinato una marcata crescita del tessuto urbano della città (in termini di superficie) e il Pagina 18
conseguente consumo di suolo agricolo, con un offerta di abitazioni notevolmente cresciuta. Oggi il centro abitato è composto da tre macro aree (centro storico, Valleverde, Bicocca-167); la nuova area di espansione ha di fatto destrutturato il centro abitato prima addensato sull'agglomerato storico. Ai 24 chilometri quadrati (di cui 12 Km2 per il centro storico-cappuccini e 12 km2 per la zona di valleverde) si aggiungono circa 9 Km2 dell’area di espansione Bicocca- 167; una crescita del 34% circa del tessuto urbano, con assorbimento di suoli agricoli, cui è corrisposto un incremento demografico del solo 8,8% in 15 anni. Conseguentemente, nel quinquennio 2001-2006, la notevole offerta di abitazioni di nuova realizzazione nell'area di espansione Bicocca-167 ha determinato una dinamica di depauperamento del centro-storico che ha ceduto circa 3 mila residenti, in poco tempo; importanti sono state le ricadute sul sistema commerciale- artigianale insediato nel centro storico, composto da micro-imprese che oltre alla depressione demografica hanno dovuto confrontarsi con la repentina comparsa di 2 centri commerciali insediatisi entrambi nella nuova area di espansione urbana. La nuova offerta abitativa ha, di fatto, incontrato una domanda per la gran parte “endogena”; la città non è riuscita ad attrarre i numerosissimi lavoratori provenienti dagli altri comuni che a tutt'oggi preferiscono mantenere la residenza nei comuni di provenienza. C’è un evidente questione di attrattività del centro abitato che non ha raggiunto livelli sufficienti, nel rapporto qualità/costo della vita tali da far scattare la decisione di trasferirsi nel centro abitato prossimo al luogo di lavoro. Circa 32 chilometri quadrati di tessuto urbano per 17.800 abitanti significa, per Melfi, una densità abitativa di 550 abitanti per chilometro. La città di Potenza con i suoi 77 chilometri quadrati circa e 66.405 abitanti ha una densità più marcata pari a 862 abitanti per chilometro quadrato. Anche la più ordinata città di Matera presenta una densità più alta rispetto a Melfi, pari a 759 abitanti (60.000 abitanti e 79 Pagina 19
chilometri quadrati di superficie urbana). La comparazione con i due centri urbani maggiori della Basilicata conferma che vi è a Melfi un tessuto urbano troppo sfilacciato e disperso in rapporto alla popolazione residente. I dati registrati dall’osservatorio del mercato del lavoro della Provincia di Potenza chiariscono meglio la composizione del mondo del lavoro. Risiedono nella città di Melfi meno del 10% dei lavoratori occupati nel comparto dell’industria dell’auto (FIAT e indotto); nel complesso, in valori assoluti, alla data del 31/12/2012 a Melfi su 3.447 occupati in tutti i settori, lavorano nell’industria solamente 926 cittadini, comprendendo l’intero comparto industriale (compreso ciò che resta dell’edilizia), pari al 26% circa, alla stregua della media di territorio pari al 25%; non è un buon risultato considerando che mentre Melfi è sede degli insediamenti industriali altri comuni, come Rapolla, raggiungono il 31/35% dell’occupazione nel comparto industria. A distanza di quasi 20 anni dall'insediamento FIAT, gli attori dell'economia locale stentano a relazionarsi con la nuova realtà industriale; ancora troppo poco numerose sono le iniziative economiche messe in campo dall'imprenditoria locale per cogliere le opportunità possibili. Le conseguenze e le problematicità sia sotto il profilo ambientale che sociale sono diverse. Le numerose famiglie che in giovane età (in fase di start-up l'età media dei dipendenti Fiat non superava i 25 anni) sono entrate nel “nuovo mondo del lavoro”, contando su prospettive luminose, si trovano oggi a dover fare i conti con una complessa realtà industriale soggetta all'andamento ciclico dell'economia globale, in fase di profonda ristrutturazione. Quelle famiglie, oggi in età media superiore ai 40 anni, devono affrontare problematiche economiche e sociali diverse, dovute alla riduzione del reddito (cassa integrazione, mobilità etc..) e alla difficoltà di poter trovare sul territorio occasioni di lavoro alternative. Pagina 20
A questo si aggiunga la perdita di un'ampia area dedita all'agricoltura e alla conseguente perdita di posti di lavoro. La prospettiva della occupazione nel comparto metalmeccanico ha ridimensionato l'attenzione e gli investimenti in altri comparti tradizionali, legati alle risorse presenti sul territorio ancora oggi non sfruttate adeguatamente. Turismo, cultura, agricoltura moderna, artigianato artistico, intrattenimento e servizi alla persona sono i settori su cui vi sono evidenti potenzialità. Il sistema endogeno delle piccole e medie imprese soffre delle difficoltà generali e locali determinate dalla disarticolazione del mercato, dalla progressiva scomparsa di confini e di barriere e dalle restrizioni finanziarie che hanno comportato il raffreddamento del sistema bancario rispetto all’economia reale. A Melfi, per esempio, dove la raccolta del sistema bancario si stima essere, complessivamente, intorno ai 270 milioni di euro (circa 15 mila euro procapite e 40 mila euro per nucleo familiare), con una dinamica di sostanziale tenuta, gli impieghi per i finanziamenti alle imprese, invece, sono in calo a causa del generale crollo del mercato immobiliare e dell’industria delle costruzioni. Anche la qualità del credito tende a deteriorarsi considerato che si registra un marcato aumento delle operazioni di finanziamento per ristrutturazione del debito. Oggi la città di Melfi, insieme agli altri comuni del territorio, presenta i segni della sofferenza conseguente al traumatico sviluppo industriale e ai travagli tipici delle fasi di decrescita e ristrutturazione che solo parzialmente e, soprattutto, solo temporaneamente sono state lenite dal forte incremento occupazionale verificatosi nell’anno 2015. Ferite ambientali per i numerosi fattori di inquinamento comparsi sul territorio e, soprattutto, disagi derivanti dalla insufficienza del reddito che trovano conferma nella cresciuta attività di contrasto alla povertà condotta dal Comune, dalla Caritas e dal volontariato. Pagina 21
Mancanza di reddito, di lavoro e di abitazioni sono i sintomi di una sofferenza del tessuto sociale che trova nell'ente locale il punto di relazione e di contatto con lo Stato, nella speranza di poter ottenere soluzioni individuali a problematiche che hanno una rilevanza crescente e sempre più collettiva. Bisogna fare i conti con un contesto socio-economico e un apparato industriale complesso, tipico di una grande città, avendo a disposizione risorse umane qualificate ma numericamente insufficienti, oggettivamente sottodimensionate. Melfi non è esente al più generale contesto finanziario che tende al peggioramento. Le esigenze e le ristrettezze della finanza pubblica sono note. La crisi economica connessa alle dinamiche globali incide sempre più frequentemente sulle realtà locali. Il deterioramento delle condizioni finanziarie non riguarda solamente il nostro paese, ha una dimensione globale tanto da aver pesantemente interessato anche gli Stati Uniti, di recente alle prese con rilevantissimi problemi connessi al deficit del bilancio federale. Le condizioni finanziarie generali e le prospettive note sono tali che forse non dovremmo più parlare di crisi. La parola “crisi” ci racconta di un fenomeno temporaneo, destinato a rientrare. E’ più collegato alla speranza e al desiderio di ristabilire una condizione precedente che, oggi più di ieri, viene valutata come essere migliore. In realtà forse dovremmo cominciare ad abituarci e, soprattutto, a convivere e ad attrezzarci per progredire in una condizione diversa dell’economia reale e della finanza pubblica. In realtà stiamo attraversando una fase di ristagno o meglio di declino che potrebbe durare ancora qualche anno, salvo che non si verifichi un vero e proprio spartiacque tecnologico in grado di cambiare alle fondamenta le formule di combinazione e di Pagina 22
impiego dei fattori produttivi, di cambiarli in misura tale da incidere veramente sulla competitività del nostro apparato produttivo. Fino a quel momento dovremo imparare a cimentarci con un andamento del sistema economico più lento e meno scoppiettante, tenuto a freno dagli impegni dell’Unione Europea per garantire credibilità e stabilità al sistema monetario. In questo nuovo contesto in cui ci siamo venuti a trovare, l’Italia, la Basilicata e la nostra comunità, dall’anno 2011 dobbiamo fare i conti con una forte ristrettezza di risorse finanziarie, derivanti dalle leggi finanziarie approvate dal Governo Nazionale a partire dal 2010. Innanzitutto la riduzione dei trasferimenti statali. Progressivamente anno per anno, dal 2011 fino al 2015 è stata programmata la contrazione dei contributi che ogni anno lo Stato eroga agli enti locali. Dalla fine degli anni '90, fino all’anno 2010 la città di Melfi ha potuto contare sulla presenza di importanti risorse finanziarie rivenienti dai tributi addebitati al sistema produttivo; dall'ICI, in particolare, il Comune di Melfi, rispetto agli altri comuni, ricavava un gettito annuo aggiuntivo di circa 2,5 milioni di euro. Le notevoli risorse per oltre un decennio hanno sostenuto servizi (tra cui il sistema di trasporto locale che non ha trovato sostegno nel bilancio regionale) e opere pubbliche che, purtroppo, non hanno consentito di attutire le sofferenze via via cresciute. Tra il 2011 e il 2015 Melfi ha perso circa 2,3 milioni di euro all’anno; su un bilancio annuale avente la dimensione media tra 13 e 14 milioni di euro, il taglio di risorse ha un peso notevole, pari al 16% circa. Alla riduzione dei contributi statali si è aggiunta la restrizione più penalizzante e decisamente meno razionale, comunemente nota come “patto di stabilità”. Tale restrizione si è tradotta nel non poter sostenere spese per investimenti; per essere più precisi se l’Ente realizza opere pubbliche deve sapere che non può pagare Pagina 23
i fornitori. Una restrizione eccessiva che ha messo in ginocchio l’intero sistema paese frenando l’economia, il PIL e l’occupazione. Basti considerare che in un anno, nella sola Basilicata, il comparto dell’edilizia ha subito una perdita di quasi 7 mila posti di lavoro. Durante gli anni di persistenza di questo vincolo i Comuni non hanno potuto realizzare opere pubbliche con risorse proprie. Esaurita sinteticamente l’analisi del quadro generale di riferimento, quali le strategie e le azioni in cantiere per intervenire migliorando e accompagnando i processi di trasformazione sociale e materiale della città? Lavoro, reddito, casa, sono gli elementi espressivi dei crescenti bisogni primari; a seguire e non in secondo piano, intrattenimento, sport, servizi alla persona, cultura, cioè i bisogni emergenti e crescenti legati soprattutto all’avanzata del cittadino-lavoratore della conoscenza. Se l’analisi può essere considerata corretta, per quanto approssimativa, bisogna concentrare le politiche e l’azione amministrativa per introdurre nel contesto socio- economico cittadino elementi utili per stimolare e accompagnare la crescita della città nel nuovo contesto. Nel complesso il quadro e la prospettiva inducono ad impostare una strategia che utilizzi con determinazione gli ingredienti del rigore, sviluppo e dell’equità. Rigore e cooperazione con tutti gli attori dentro e fuori l'amministrazione comunale affinchè si possano condividere strategie tese a preservare lo stato di salute della finanza comunale. Su questo fronte è necessario continuare ad aggredire i fattori di spesa di cui è possibile fare a meno, per attutire l’imponente taglio dei contributi statali ed evitare di trasferire “sic et simpliciter” le minori disponibilità sui cittadini. Pagina 24
E’ necessario che la struttura metabolizzi più velocemente l’approccio diverso alla gestione delle forniture di beni e servizi; un approccio che deve essere costantemente teso ad impiegare con la massima efficienza ed economicità le risorse finanziarie; risparmiare non significa non utilizzare i finanziamenti assicurati, significa, invece, liberare risorse per altre realizzazioni. Abbiamo iniziato a farlo e su questa strada dobbiamo proseguire. Visto il divieto di utilizzare le risorse per gli investimenti, sono state recuperate risorse per abbattere il consistente debito finanziario; al 31/12/2010 c’erano mutui per circa 11 milioni di euro. Sono stati ridotti a circa 3,6 milioni di euro al 31/12/2015. La manovra ha avuto un effetto importante sul bilancio annuale perché ha consentito e soprattutto consentirà di ridurre la spesa di quasi 600 mila euro ogni anno, già a partire dal 2013. Dopo soli tre mesi, in settembre 2011, il Consiglio Comunale ha messo in liquidazione l’azienda speciale per il piano di edilizia 167, coerentemente alle nuove linee strategiche sull’urbanistica, riducendo il costo e l’ulteriore rischio per i cittadini assegnatari dei lotti di vedersi addebitare una spesa aggiuntiva a conguaglio dovuta ai costi fissi di struttura dell’azienda speciale. E’ stato razionalizzato il servizio di trasporto pubblico locale. Fino all’anno 2011 la città di Melfi sosteneva un costo di 1.3 milioni di euro all’anno, rispetto a 120 mila euro dei Comuni di Lavello, Rionero e Venosa. Una dimensione pari a 10 volte quella degli altri Comuni solamente in parte giustificata dalla diversa dimensione e morfologia. In un anno e mezzo, oggi, con la cooperazione e la comprensione del concessionario il costo annuo del servizio è sceso da 1.35 milioni a 850 mila euro, con una razionalizzazione delle linee urbane che non hanno peggiorato la qualità e l’efficacia del servizio. Pagina 25
Bisogna proseguire in questa direzione, stringendo ulteriormente la spesa corrente avendo cura di non ridimensionare i servizi alla persona fondamentali per mantenere e potenziare la competitività del sistema urbano. Rigore nell’uso delle risorse finanziarie comporta, infine, anche la scelta di investire in conoscenze e capacità organizzativa indispensabili per elevare l’azione amministrativa che deve oggi essere capace di elaborare e candidare progetti per ottenere finanziamenti esterni in grado di sostenere gli investimenti indispensabili per far crescere la qualità del tessuto urbano. Sviluppo, nella direzione della promozione dei servizi, delle attività culturali in senso lato e di una azione di promozione del territorio da offrire come localizzazione ideale per l'insediamento di nuove realtà imprenditoriali, nell'ottica di assecondare e sostenere il naturale processo di rigenerazione industriale e più in generale del tessuto economico locale. Melfi deve riprendere il percorso di crescita economica degli anni ’90; può e deve farlo promuovendo le caratteristiche e la qualità del territorio e della rete infrastrutturale di cui dispone. Non basta la rassicurazione della fase di rilancio e di espansione produttiva ed occupazionale del sistema industriale automobilistico, che nei primi mesi del 2015 è ripartito recuperando terreno e producendo nuova occupazione per circa 3 mila nuovi posti di lavoro. A fianco della grande industria, le cui strategie e processi sono governati altrove, le misure e i progetti che dovranno essere realizzati nel nuovo quinquennio, in continuità con l’azione avviata nel primo mandato, devono puntare a creare un ambiente fertile perché si possano cogliere le opportunità rese disponibili dalle risorse presenti sul territorio; è necessario seminare e promuovere investimenti pubblici e privati, soprattutto, per dare corpo ad altri settori dell’economia locale Pagina 26
che possono valorizzare l’enorme patrimonio naturalistico, storico-monumentale, agricolo e paesaggistico che possediamo e che sfruttiamo molto poco. Su questi elementi la pubblica amministrazione, insieme a tutti i soggetti coinvolti deve provare a mettere in campo tutte le azioni possibili per stimolarne l’utilizzo equilibrato. Sull’ambiente, innanzitutto, fondamentale per far crescere il valore del turismo storico-culturale e dei prodotti agricoli, il Comune ha adottato una politica di maggiore rigore impegnando maggiori risorse per affrontare i nodi dell’impatto ambientale dell’industria. Dalla cura della ferita “INCENERITORE-FENICE”, al contrasto dei progetti di estrazione petrolifera (la cui richiesta di concessione, relativa a 130 km su 205 del territorio comunale, è stata cancellata a seguito del ricorso presentato dalla giunta municipale nell’anno 2013), il Comune deve continuare a impegnare risorse del suo bilancio per mantenere e potenziare la Task-Force, composta da autorevoli professionisti e operatori del settore, in grado di affrontare la complessa e delicatissima tematica affiancando e, se necessario, anche sostituendosi ai soggetti obbligati dalla legge. L’esito favorevole, molto recente, del contenzioso intentato da Fenice rispetto al provvedimento sul progetto di bonifica presentato da Fenice, bocciato dalla conferenza di servizi, testimonia la qualità delle risorse messe in campo per gestire una vicenda molto delicata e complessa anche per la potenza di fuoco dell’interlocutore (EDF, uno dei maggiori produttori mondiali di energia anche nucleare, leader anche nel campo dello smaltimento dei rifiuti e delle bonifiche ambientali). Bisogna continuare a investire sul programma di raccolta differenziata dei rifiuti urbani. Pagina 27
Dal 2001 al 2011 la percentuale della raccolta differenziata oscillava dal 4 al 9,5%; un valore estremamente basso, incompatibile con una politica che tende ad aggredire il tema dell’impatto ambientale dell’industria e dell’inceneritore; l’istituzione non è credibile se non si impegna a ridurre l’entità dei rifiuti da smaltire e, quindi, da incenerire. Dalla raccolta porta a porta nel centro storico, non adeguata perché svolta con un modello organizzativo non idoneo che produceva la presenza sulle vie del centro dei sacchetti di rifiuti spesso aggrediti dai randagi, si è stati costretti a ritornare al tradizionale e più efficiente “cassonetto di prossimità”, con una diversa organizzazione della raccolta e, soprattutto, della selezione del rifiuto; in pochi mesi è stato centrato l’obiettivo di realizzare percentuali importanti di differenziazione. Dal “cronico” 9 % siamo al 65,59% di marzo 2016, con percentuali di recupero superiori all’80% grazie all’impianto di selezione dei rifiuti autorizzato e installato a Melfi (il primo in Basilicata), che consente di recuperare e trasformare i rifiuti urbani in materia prima collocata sul mercato. Deve proseguire nei prossimi anni la campagna informativa di sensibilizzazione della cittadinanza. E’ necessario programmare investimenti e azioni specifiche, ulteriori rispetto al centro di raccolta degli ingombranti già attivato, per contrastare le discariche abusive e soprattutto per aiutare i cittadini, anche con un contributo economico, per smaltire l’amianto. L’obiettivo ambizioso è raggiungere livelli elevatissimi di differenziazione del rifiuto e investire sui comportamenti dei cittadini utilizzando tutti i veicoli di comunicazione e sensibilizzazione come si è iniziato a fare con il coinvolgimento delle scuole elementari e medie e, più in particolare, con il lavoro del consiglio comunale dei ragazzi. E’ realmente possibile raggiungere livelli elevati di differenziata, intorno al 75% entro il 2020, risultato che consentirebbe di contenere il costo tendenzialmente in Pagina 28
salita dello smaltimento dei rifiuti e che legittimerebbe ulteriormente la comunità melfitana nel chiedere un cambiamento radicale nelle politiche ambientali regionali che vadano nella direzione di un depotenziamento dell’inceneritore, che non può essere utilizzato per dare risposte “stabili” alle emergenze regionali come quelle che si sono presentate negli ultimi 24 mesi. La cura dell’ambiente è la precondizione per dare un senso alle altre azioni che puntano allo sviluppo teso a far crescere l’economia locale attraverso lo stimolo dell’offerta di beni e servizi di cui si percepisce una domanda in crescita, guardando alla città e al lavoratore della conoscenza. Melfi possiede gioielli di rilevante valore storico-culturale-monumentale. E’ un settore in crescita; se valorizzato riuscirebbe a produrre risultati impensabili anche in momenti di crisi. Oltre ad affidare la gestione a terzi del teatro e del museo civico, per far crescere qualità e quantità delle iniziative culturali, di spettacoli e degli eventi, è necessario dedicare risorse per valorizzare la storia della città. Vanno potenziati i progetti innovativi come l’infrastruttura Wi.Fi., integrata con gli altri comuni dell’area PIOT, indispensabile per creare una rete di divulgazione di informazioni per i turisti e la guida sulla città di Melfi, con l’obiettivo di trasferirla sui moderni strumenti di comunicazione (smartphone, IPAD etc..), così da promuovere la divulgazione di informazioni e indicazioni su come muoversi, cosa cercare e sulla storia della città; entrambi strumenti di promozione della città come meta di un turismo di nicchia nazionale e internazionale. Bisogna continuare ad elevare i principali eventi che caratterizzano il territorio, investendo ulteriori risorse economiche per ampliare la permanenza e la conoscenza della città. Il turismo culturale ha potenzialità inespresse e su questo bisogna fare ogni sforzo per creare le condizioni affinchè ci sia uno spazio adeguato nel bilancio e nei Pagina 29
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