LINEE PROGRAMMATICHE DI MANDATO - 2016/2021 del Sindaco LIVIO VALVANO

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LINEE PROGRAMMATICHE DI MANDATO - 2016/2021 del Sindaco LIVIO VALVANO
LINEE PROGRAMMATICHE DI MANDATO

     del Sindaco LIVIO VALVANO

             2016/2021

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“Anche le città credono d’essere opera della mente o del caso, ma né
l’una né l’altro bastano a tener su le loro mura.
D’una città non godi le sette o settantasette meraviglie, ma la risposta
che dà a una tua domanda.”                        (Le città invisibili, Italo Calvino)

Premessa
In applicazione dell'art. 46 del D.Lgs. n. 267/2000 (T.U.E.L.) e in ossequio al combinato
disposto degli artt. 13 e 21 dello Statuto del Comune di Melfi, il Consiglio Comunale
discute le linee programmatiche di mandato presentate dal Sindaco, sentita la
Giunta.
Le linee programmatiche “aprono” l'attività di programmazione strategica con
riferimento all'intero mandato amministrativo 2016 / 2021, introitando nei processi
decisionali istituzionali il programma amministrativo presentato dal candidato
sindaco, ai sensi dell'art.73 del TUEL, in occasione delle elezioni amministrative del
15 e 16 maggio 2011.
L'attività di programmazione, successivamente, si declina con la definizione del
Documento Unico di Programmazione propedeutico all’approvazione del primo
bilancio annuale (esercizio finanziario 2017) e pluriennale 2017/2019.

Secondo quanto contenuto nel Principio contabile n. 1.18 redatto dall’Osservatorio
per la contabilità e la finanza locale (nell’ambito del c.d. ‘sistema di bilancio) “
Il Tuel ha mantenuto l’obbligo, per tutti gli enti locali, di presentare al Consiglio i
contenuti della programmazione di mandato entro il termine previsto dallo Statuto,
quale primo adempimento programmatorio di competenza del Sindaco.
Alla discussione consiliare non segue una votazione, ma vengono annotate le
posizioni dei singoli e dei gruppi, al fine di poterne tenere conto nella
programmazione.”

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ANALISI DI CONTESTO

Nel 2015, dopo tre anni consecutivi di contrazione, l’economia italiana è tornata a
crescere (+0,8 per cento) e nel 2016 questa crescita prosegue e si rafforza (+1,2 per
cento). Secondo le valutazioni del Governo, è verosimile attendersi una crescita
dell’occupazione e un generale miglioramento dei conti pubblici.
Il Governo mantiene una politica rigorosa ma, nello stesso tempo, ha manifestato
l’intenzione di mettere in campo misure espansive che permettano di stimolare
l’economia che produce occupazione. Ciò accade anche se, negli ultimi mesi del
2015, il quadro internazionale ha mostrato evidenti segnali di peggioramento,
dovuti alla fase di difficoltà dell’Eurozona, al progressivo rallentamento delle
economie emergenti e alla minaccia terroristica.
Le stime ufficiali dell’ISTAT confermano che nel 2015 l’economia italiana è tornata a
crescere dopo tre anni di contrazione, registrando un tasso di crescita dello 0,8 per
cento in termini reali; il PIL nominale nel 2015 è risultato in linea con quanto stimato
in settembre (1.636,4 miliardi contro 1.635,4 miliardi).
Per quanto riguarda il 2016 e gli anni seguenti, il Governo stima una crescita
tendenziale del PIL reale per il triennio 2016-2018 dell’1,2 per cento annuo.
Nello scenario programmatico, dopo un incremento dell’1,2 per cento nel 2016, la
crescita del PIL reale nel triennio 2017-2019 risulterebbe più elevata che nel
tendenziale, nonostante una politica fiscale ancora rigorosa, ma più focalizzata sulla
promozione dell’attività economica e dell’occupazione.
Il nuovo scenario tiene conto del peggioramento del quadro macroeconomico
internazionale segnalato sia da previsori di mercato che dalle principali
organizzazioni internazionali, quali l’OCSE, il FMI e la Commissione Europea. Va
anche sottolineato che la caduta del prezzo del petrolio sostiene la domanda interna

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nei paesi consumatori quali l’Italia, ma riduce consumi e importazioni dei paesi
produttori, verso cui le esportazioni italiane erano cresciute molto fino al 2014.
Sono sostanzialmente confermate le previsioni di crescita dei consumi delle famiglie.
Malgrado vi sia stata una flessione degli indicatori di fiducia dei consumatori
durante i mesi invernali, gli andamenti recenti sembrano coerenti con un
andamento nel complesso moderatamente espansivo e assai dinamico in alcune
componenti dei consumi durevoli, quali gli acquisti di autovetture.
Le indagini attualmente disponibili indicano che gli investimenti fissi lordi
dovrebbero crescere nel 2016.
L’obiettivo del Governo nazionale, circa l’indebitamento netto delle Amministrazioni
pubbliche per il 2015, 2,6 per cento del PIL, è stato raggiunto.
Per quanto riguarda il 2016, il Governo prevede un indebitamento netto intorno al
2,3 per cento del PIL; l’avanzo primario è previsto pari all’1,7 per cento del PIL, in
leggero aumento rispetto al 2015.
Il documento di programmazione del Governo mantiene le intenzioni volte a ridurre
il carico fiscale che grava sui redditi delle famiglie e delle imprese; ciò comporterà
l’ampliamento, nel biennio 2018-2019 delle misure riguardanti la spending review.

In attuazione del Trattato di Maastricht, Il Patto di Stabilità Interno (PSI) ha
costituito per circa sedici anni la regola cardine alla base del coordinamento della
finanza locale in Italia, definendo il contributo di regioni, province e comuni al
conseguimento dell’obiettivo di indebitamento netto perseguito a livello nazionale.
La disciplina del Patto ha subito profonde e numerose revisioni.
A partire dall’anno scorso, la Legge di Stabilità 2015 ha previsto l’anticipo per le
regioni, dal 2016 al 2015, della regola del pareggio di bilancio, confermando, invece,
la previgente impostazione del PSI per gli enti locali (province, comuni e città
metropolitane con popolazione superiore a 1.000 abitanti) con alcune innovazioni.

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In particolare, nell’anno 2015, grazie anche all’entrata a regime della contabilità
armonizzata e all’introduzione del Fondo crediti di dubbia esigibilità tra le poste
valide ai fini della verifica del rispetto del Patto di Stabilità Interno per comuni,
province e città metropolitane, si è registrata una riduzione del 5,3 per cento delle
spese di personale e del 7,3 per cento dei consumi intermedi, a favore delle spese
per investimenti (+ 12,5 per cento).
La Legge di Stabilità 2016 ha previsto, a decorrere da quest’anno, il superamento del
PSI introducendo al suo posto la regola del pareggio di bilancio in termini di
competenza per tutte le Amministrazioni territoriali
Le nuove regole producono l’effetto di non poter utilizzare gli avanzi di
amministrazione o i mutui come fonte di finanziamento degli investimenti, quindi
delle opere pubbliche, già in fase di programmazione. In altri termini, si ridurrà
ulteriormente la possibilità di realizzare investimenti anche in presenza di risorse
proprie (avanzo di amministrazione), come nel caso del nostro Comune, fermo
restando la possibilità di far ricorso a fonti di finanziamento esterne. Nonostante le
aspettative del comparto Enti Locali, si conferma la politica di rigore.
A farne le spese sono proprio le attese di sviluppo collegate alla realizzazione di
investimenti e infrastrutture, che dovranno ancora attendere a causa di un debito
pubblico che non accenna a calare.
I dati di competenza economica mostrano come il percorso di contenimento
dell’indebitamento netto del comparto sia evidente a partire dal 2007, in cui il
deficit delle Amministrazioni locali passa dal -1,0 per cento al -0,1 per cento del PIL.
La spesa per investimenti delle Amministrazioni locali, dopo essere cresciuta
ininterrottamente in termini di PIL per circa un decennio, inizia a ridimensionarsi già
nel 2005, scendendo dal 2 per cento raggiunto nel 2004, all’1,2 per cento del PIL nel
2014, il livello più basso degli ultimi venti anni. Nel 2002 gli investimenti delle

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Amministrazioni locali spiegavano circa l’80 per cento degli investimenti pubblici
mentre nel 2014 hanno costituito poco meno del 55 per cento del totale.

In questo contesto assume particolare rilevanza la necessità di concentrarsi sulla
programmazione e progettazione di opere pubbliche, infrastrutture e investimenti
utili a raggiungere gli obiettivi programmatici, facendo ricorso al sistema di
finanziamento dell’Unione Europea (Fondi SIE), sistema che è articolato su 5 risorse:
   - FESR, Fondo Europeo di Sviluppo Regionale,
   - FSE, Fondo Sociale Europeo,
   - FEASR, Fondo per lo Sviluppo Rurale,
   - FC, Fondo di Coesione,
   - FEAMP, Fondo per gli Affari Marittimi e la Pesca.
La politica di coesione dell’Unione Europea, STRATEGIA EUROPA 2020, si sostanzia in
5 obiettivi e sette iniziative.
                                      I 5 OBIETTIVI
   1. OCCUPAZIONE, il 75% della popolazione di età compresa tra 20 e 64 anni
       dovrà avere un’occupazione.
   2. RICERCA e SVILUPPO, il 3% del PIL dell’UE dovrà essere investito in Ricerca e
       Sviluppo.
   3. CAMBIAMENTI CLIMATICI/ENERGIA, ridurre le emissioni di gas serra del 20%
       rispetto al 1990, aumentare l’efficienza energetica del 20% e produrre almeno
       il 20% del fabbisogno di energia da fonti rinnovabili.
   4. ISTRUZIONE, si dovrà ridurre il tasso di abbandono scolastico ad una soglia al
       di sotto del 10%, mentre almeno il 40% di coloro che hanno tra i 30 e i 34 anni
       dovrà aver portato a termine studi di terzo ciclo o equivalenti.
   5. POVERTA’ / EMARGINAZIONE, almeno 20 milioni di persone dovranno
       superare il rischio di povertà o di esclusione.

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LE 7 INIZATIVE
CRESCITA INTELLIGENTE:
1. Agenda digitale, 2.Economia dell’innovazione, 3. Giovani.
CRESCITA SOSTENIBILE:
4.Uso efficiente delle risorse, 5.Politica industriale.
CRESCITA SOLIDALE:
6.Nuove competenze e nuovi lavori, 7.Lotta alla povertà.
Sono obiettivi della politica di sviluppo dell’Unione che non possono non trovare
pieno accoglimento e recepimento all’interno della strategia delle comunità locali
dell’Unione e quindi della nostra comunità locale nella declinazione
SVILUPPO-OCCUPAZIONE-CULTURA-AMBIENTE-EQUITA’-INLCUSIONE.

L’Unione europea si trova di fronte a una sfida senza precedenti rappresentata dal
flusso dei rifugiati e richiedenti asilo a seguito degli sconvolgimenti in atto nel bacino
del Mediterraneo. La Commissione europea, pur ricordando l’incertezza che
circonda lo sviluppo di questo tipo di fenomeno, indica l’arrivo di più di un milione di
persone nel 2015 e prevede l’arrivo di ulteriori 3 milioni entro il 2017. Il forte
aumento dell'arrivo di migranti ha posto una considerevole pressione su diversi Stati
membri mettendo alla prova la capacità di ricezione e inasprendo, in alcuni casi, le
tensioni politiche e sociali. L’Italia si è trovata in prima linea nella gestione di questa
crisi, assumendosi il compito di garantire il controllo della frontiera anche per i paesi
interni dell’Unione e effettuando ingenti operazioni di salvataggio in mare. L’attuale
emergenza avviene in un contesto geopolitico profondamente mutato che richiede
una risposta comune dall’Europa, sul fronte sia della ridiscussione dei meccanismi
del sistema d’asilo, sia della tutela dei diritti umani, sia della gestione delle frontiere
esterne. Queste sfide richiedono una politica coordinata per fornire aiuto immediato
e per progettare processi di transizione e integrazione che possano bilanciare i costi

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di breve termine con i benefici di lungo periodo. A partire dal 2014 il numero di
sbarchi sulle coste italiane ha superato le 150 mila persone l’anno, più del triplo
rispetto a quanto registrato nel 2013, superando di gran lunga le tendenze
dell’ultimo ventennio e anche i valori rilevati nel 2011 e 2012 a fronte della
cosiddetta emergenza umanitaria Nord Africa.
Anche le presenze nei centri di accoglienza segnano un picco.
Al 31 marzo 2016 sono circa 107 mila i migranti presenti nelle strutture governative,
cioè quasi il doppio rispetto alle presenze registrate a fine 2014 e oltre dieci volte il
dato medio del periodo 2011-2013. I richiedenti asilo sono più che triplicati tra il
2013 e il 2015, da 26 mila a oltre 83 mila domande.
Insomma sono numeri che indicano un fenomeno dalle dimensioni eccezionali e che
esprimono una crisi delle regioni che si affacciano sul Mediterraneo che durerà nel
tempo.
Anche La Basilicata e le nostre città, negli ultimi due anni, sono state pienamente
coinvolte attraverso i centri di accoglienza dei profughi organizzati direttamente
dalla Prefetture.
E’ l’accoglienza di emergenza dei migranti che arrivano direttamente dai punti di
sbarco. E’ la prima forma di intervento che il nostro Stato è tenuto a garantire in
attuazione dei principi costituzionali. A questa prima forma di intervento, di tipo
emergenziale, le comunità locali possono aggiungere per loro iniziativa progetti di
integrazione vera e propria.

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Il PUNTO DI PARTENZA: IL 2011
L’inizio del primo mandato amministrativo (Giugno 2011) non è stato uno scherzo né
una passeggiata di salute.
Il sistema urbano e le condizioni socio-economiche a metà 2011, nonostante
l’ordine apparente, manifestavano da subito sofferenze per le note condizioni
venutesi a creare, soprattutto per la scelta di allargare il tessuto urbano,
concretizzatasi a partire dai primi anni 2000. L’area edificata della città di Melfi era
cresciuta del 40% circa, in assenza di una vera crescita demografica: dall’anno 2004
fino al 2011 la città non cresceva se non per il flusso migratorio rappresentato dai
cittadini stranieri. Fatto pari a 56 il saldo netto di crescita demografica media dal
2004 fino al 2011, 50 sono cittadini stranieri.
Melfi si presenta come la città avente l’indice di dispersione demografica più basso
rispetto agli altri centri urbani regionali: 450 abitanti per chilometro quadrato,
rispetto ai 750 di Matera e ai 980 di Potenza.
La crescita delle infrastrutture urbane, non accompagnata dalla crescita
demografica, ha fatto aumentare notevolmente i costi dei servizi (pubblica
illuminazione, manutenzione strade, trasporto urbano, pulizia strade, raccolta dei
rifiuti etc..) ma non è stata accompagnata (ovviamente) da un aumento delle
entrate fiscali e dei contributi statali (che al contrario sono progressivamente
diminuiti: -2,3 milioni di euro all’anno).
Il centro storico perdeva la funzione di luogo identitario di aggregazione sociale e
culturale dei residenti che, nel forte allungamento del tessuto urbano, trovano
ostacoli e ragioni di percepire il centro urbano solo come una delle alternative
possibili rispetto ad altri luoghi di aggregazione e di fruizione di servizi di
intrattenimento presenti in altre città.
Il sistema urbano non è riuscito a cogliere al meglio il processo di sviluppo
industriale: dal 1994 (anno di avvio dell’attività industriale della FIAT) fino a

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dicembre 2014 (cioè un attimo prima del rilancio industriale) solo l’8% circa dei
lavoratori occupati a San Nicola di Melfi risiedevano nella nostra città.
TROPPO POCO!
E’ la conseguenza di una percezione della città come poco competitiva, dove la casa
costa troppo, idea velocemente consolidata nei primi mesi dall’insediamento FIAT.
Percezione che evidentemente non era sufficientemente controbilanciata dalla
presenza di servizi di rilievo: carenza di posti nell’asilo nido, piscina comunale chiusa
dal 2008, assenza di adeguati servizi culturali e di intrattenimento, solo per citare
alcuni dei deficit che andavano superati.
A questa condizione si aggiungeva, di li a poco, l’impatto sociale molto forte
dell’importante processo di ristrutturazione e di ridefinizione del piano industriale
del comparto auto, accompagnato per oltre due anni dalla cassa integrazione
straordinaria di migliaia di operai.
Il rapporto tra l’Amministrazione Comunale e il sistema industriale appariva
ulteriormente incomprensibile per la presenza di un “originale contenzioso” che a
quell’epoca (giugno 2011) da qualche anno aveva bloccato le procedure di appalto
per i lavori del CAMPUS di RICERCA FIAT, importantissima infrastruttura per la
crescita del capitale umano, lavori che la Regione aveva affidato al Comune di Melfi.

L’ambiente
La questione ambientale completava le grandi linee di una fotografia molto
complessa.
L’inceneritore FENICE al centro di un conflitto con le istituzioni che si inaspriva
proprio nel primo anno del mandato (anno 2011); la nuova Giunta Municipale
arrivava ben presto all’idea di bocciare il primo progetto di bonifica presentato dalla
società perché ritenuto carente degli elementi essenziali (gli eventi successivi lo
confermavano con la definitiva sentenza del Consiglio di Stato), a differenza del

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piano di messa in sicurezza e di caratterizzazione approvati dal Comune di Melfi tra il
2009 e il 2010. L’inceneritore era il terminale di un sistema di gestione del ciclo dei
rifiuti tecnologicamente superato da qualche decennio che a quell’epoca
manifestava subito evidenti anomalie. Infatti, nonostante la raccolta porta a porta
per 10 anni garantita nel centro storico (cioè per il 40% delle utente), la differenziata
nei dieci anni tra il 2001 e il 2010 oscillava tra il 4% e il 9%. Un dato anomalo che
comunque metteva l’inceneritore al centro del sistema, vissuto come ineliminabile,
verso il quale il Comune di Melfi conferiva oltre 7 mila tonnellate all’anno di rifiuti
urbani tal quale.
In quel momento (sempre giugno 2011) incombevano sul Comune di Melfi due
progetti per l’insediamento di 2 discariche per rifiuti speciali e pericolosi, previste
dal Piano Provinciale dei rifiuti approvato nel 2002; piano che continuava a
prevedere la presenza dell’inceneritore e delle discariche per rifiuti speciali nell’area
del Comune di Melfi.
Ai progetti per le discariche per rifiuti speciali si associano una decina di progetti per
l’insediamento di parchi eolici, già confezionati e depositati insieme all’insediamento
della centrale di trasformazione TERNA.

Finisce l’era delle vacche grasse, arriva il gelo del debito pubblico nazionale.
A giugno 2011 partivamo con quasi 11 milioni di euro di debiti per mutui, un milione
di euro di oneri di concessione da restituire, per un improbabile progetto di un
ulteriore centro commerciale (che fortunatamente non è andato in porto
nonostante sia stato dal Comune autorizzato a suo tempo e per il quale il Comune
aveva riscosso ed utilizzato, nel periodo 2001/2003, gli oneri di concessione), un
milione di euro da restituire allo Stato per contributi indebitamente incassati dal
Comune di Melfi nel periodo 2001/2009, più le opere di urbanizzazione da realizzare
nelle aree di nuova espansione in periferia, valutabili in non meno di 10 milioni di

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euro, infine un altro milione di euro affidato dal Comune all’Azienda Speciale 167
consumato nella gestione e quindi non più restituito; in sintesi debiti espliciti ed
impliciti per almeno 24 milioni di euro.
Come si suol dire “al danno la beffa”. Lo stato di crisi finanziaria dell’Italia esplode
con le dimissioni anticipate del Governo Berlusconi (novembre 2011) nonostante il
fortissimo inasprimento a carico degli Enti locali con la manovra del Ministro
Tremonti che irrigidisce il PATTO DI STABILITA’ INTERNO. Una vera e propria guerra
dello Stato agli Enti locali (Regioni, Province e Comuni), con la forte riduzione dei
contributi e il blocco delle risorse finanziarie per gli investimenti in opere pubbliche
e il taglio dei servizi della pubblica amministrazione. Fu proprio il governo
Berlusconi, nell’agosto 2011, ad approvare l’indirizzo della “spending review” con
l’esplicita previsione del dimagrimento di tutti gli uffici pubblici, a partire dai
Tribunali, indirizzo concretizzatosi nei mesi successivi dal Governo Monti e che,
purtroppo, ha portato alla soppressione della sede del Tribunale di Melfi (luglio
2012).
Questo il quadro finanziario generale che si abbatte di colpo, dopo 15 anni di
disponibilità di risorse per il Comune di Melfi, grazie alla presenza dell’insediamento
industriale più importante del mezzogiorno d’Italia.
Dal 2011 al 2015, su un bilancio corrente di circa 14 milioni di euro lo Stato taglia al
Comune di Melfi 2,5 milioni all’anno.
La presenza di un’Azienda Speciale per la gestione del piano di insediamento
abitativo di edilizia popolare, non operativa già dall’anno 2007, con un costo
amministrativo di circa 350 mila euro all’anno, rendeva ulteriormente preoccupante
il quadro finanziario complessivo.
Lo stress finanziario introiettato nella macchina amministrativa non poteva trovare
un contrappeso nella forza dell’apparato organizzativo, fortemente indebolito da un
indirizzo politico che non si è curato di mantenere un organico numericamente

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adeguato. Non si tratta di un’opinione ma di un fatto: il Comune di Melfi ha in
organico solamente 53 dipendenti, in rapporto al numero di abitanti l’organico
corrisponde a meno della metà dei dipendenti dei Comuni italiani. Basta
confrontare il dato nazionale e regionale, rappresentato dall’indice dato dal
rapporto dipendenti/popolazione: Melfi 2,98, media italiana 6,89 (di cui comuni da
10 a 20 mila abitanti 5,65) media Basilicata 6,97 (fonte IFEL ANCI – il personale dei
comuni italiani). Fino a maggio 2010 sarebbe stato possibile rinforzare l’organico
bandendo concorsi pubblici; da Maggio 2010 il D.L.78/2010 ha bloccato, fino ad
oggi, la possibilità di assumere personale. In sintesi: mancano numericamente le
risorse umane per fronteggiare i tanti bisogni della collettività, che si traduce in una
cronica lentezza di tutte le procedure amministrative che sovrintendono i servizi
erogati dal Comune, trasformata in disagio riversato sui cittadini che si interfacciano
con l’amministrazione.
La visione dell’amministrazione della città di tipo strettamente burocratico e
“condominiale” è stata da tempo superata e soppiantata dal ruolo di soggetto
promotore di sviluppo locale e di benessere. Un ruolo che le singole città non
possono giocare in solitudine, non avendone la forza, le risorse e mancando di una
visione più complessiva della realtà territoriale sovra-comunale. La città che coglie le
opportunità della modernità deve saper leggere, interpretare e partecipare ai
processi di sviluppo del territorio regionale e sovra regionale.
Regioni e città sono diventate protagoniste delle politiche di sviluppo.
E’ proprio l’Ente Regione l’interfaccia principale del governo nazionale e delle
istituzioni internazionali (Unione Europea innanzitutto) ad essere l’interlocutore
indispensabile per la comunità locale che vuole crescere; per questo è fondamentale
la sintonia e la collaborazione interistituzionale tra Enti di diverso livello, con
l’obbiettivo di armonizzare visione, strategia e programmazione ai cambiamenti
esterni vissuti dal sistema socio-economico nazionale e internazionale.

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Il punto di partenza di un adeguato programma di governo è la lettura del sistema
che si intende amministrare, il sistema urbano. Una lettura che non può essere
limitata alla fotografia ma che deve contestualizzare la “creatura città” nel contesto
più esteso delle dinamiche socio-economiche non semplicemente territoriali ma nel
più ampio gioco nazionale ed internazionale.
E’ noto che In tutti i paesi industrializzati, l’organizzazione spaziale, urbana e sociale
dei nuclei abitati entra in crisi negli anni ’70. Anche le dinamiche del tessuto
produttivo hanno inciso notevolmente sulla morfologia e sulla struttura sociale della
città. Il modello fordista, basato sulla produzione industriale di massa collassa in
seguito alla crisi petrolifera; il ristagno economico, la recessione e il conseguente
aumento della disoccupazione e dell’inflazione smontano l’illusione della crescita
continua alimentata dalla forza del boom economico degli anni ’60.
Dall’estremo della città fordista, basata sui grandi agglomerati industriali che oggi
soffre per il processo di deindustrializzazione, si passa all’estremo della città della
micro e piccola impresa, caratterizzata da grande dinamismo economico e maggiore
capacità di resistere alle crisi cicliche.
La crescita economica negli ultimi decenni ha portato a una polarizzazione delle
categorie sociali sul piano economico, in termini di una generale maggiore
disuguaglianza tra gruppi sociali più ricchi e gruppi sociali più poveri.
Alla polarizzazione corrisponde una diversificazione dei consumi e una tendenziale
organizzazione e localizzazione all’interno dei nuclei urbani, con particolare
riferimento ai gruppi etnici che provano a insediarsi in aree adiacenti per superare le
naturali difficoltà della lingua, delle abitudini e dell’organizzazione sociale.
Fenomeni molti marcati negli Stati Uniti, di minore dimensione in Europa ma
comunque visibili anche nei piccoli centri come Melfi, dove le aggregazioni non sono
ancora tali da essere considerati dei veri e propri ghetti.

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A Melfi, per esempio, i dati ISTAT riferiti al 31/12/2011 ci dicono che risiedono 577
cittadini stranieri (provenienti prevalentemente dall’Europa centro orientale,
Romania, Ucraina Albania Bulgaria etc…) che tendono a concentrarsi in aree
determinate, prevalentemente all’interno del centro storico cittadino; essi si
concentrano generalmente in base alla nazionalità per familiarità, solidarietà e più
banalmente per la maggiore facilità di comunicazione, nell’area urbana dove c’è
stato un processo di decentramento delle residenze e dove molto alta è la
concentrazione di unità immobiliari non occupate (935 alla fine del 2011),
condizione che determina una riduzione del valore di mercato degli affitti.
Le politiche statali inclusive, di apertura verso le altre popolazioni, nel favorire
l’immigrazione determinano cambiamenti concreti sul volto del nucleo abitato.
Si associano imponenti processi di deindustrializzazione e di ristrutturazione
dell’apparato produttivo; processi che ridisegnano i nuclei abitati.
Il progresso della tecnica, le nuove tecnologie cambiano progressivamente il tessuto
industriale. Alla grande impresa si sostituisce, soprattutto in Italia, un sistema
industriale caratterizzato dalla proliferazione di piccole e medie imprese in rete.
Le nuove tecnologie di comunicazione, internet, la telefonia cellulare, gli
smartphone creano prodotti e servizi prima inesistenti.
Cresce l’economia basata sulla produzione immateriale e perdono di importanza,
progressivamente, i grandi agglomerati industriali. Si allargano i mercati, oramai
globali, si accorciano le distanze di comunicazione in un contesto fatto di mercati
sempre più integrati.
L’impatto delle nuove tecnologie di informazione, comunicazione e in campo
energetico spingono a parlare di una vera e propria rivoluzione, la terza rivoluzione
industriale, imperniata sull’estensione della crescita e sulla globalizzazione dei
mercati.

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Le città si trasformano in centri di produzione e trasferimento di informazioni,
immagini e Know-how.
Siamo nell’epoca della città dei lavoratori della conoscenza.
In questo contesto un particolare ruolo lo svolgono i grandi nuclei urbani, le città
metropolitane, per la funzione “transnazionale” in quanto luogo dei centri
direzionali sul piano istituzionale, politico, diplomatico e commerciale.
Il processo di internazionalizzazione dell’economia fa cadere la primazia delle
economie nazionali, soprattutto in Europa; conseguentemente, i flussi degli
investimenti si espandono e si trasferiscono da una nazione all’altra con maggiore
velocità.
La crescente complessità della strutturazione organizzativa internazionale delle
imprese porta a concentrare le funzioni manageriali più alte nei nuclei urbani di
maggiore dimensione, dove è più probabile acquisire le risorse della conoscenza che
sono la chiave del successo dell’impresa moderna. Per tali ragioni, le città
metropolitane e i tessuti urbani più sviluppati del centro-nord continuano ad
esercitare una spinta attrattiva non più rivolta al lavoro manuale ma sempre più
spinta sulle professionalità più elevate.
Domina il lavoro intellettuale nel suo complesso, fondamentale per affrontare il
mare impetuoso della nuova economia, sempre più incerta, caratterizzata da
fenomeni di maggiore mobilità, dinamicità e dai ritmi sempre più veloci.
Il peso del lavoro intellettuale si stima rappresenti almeno il 20% degli occupati e
tendenzialmente è in crescita; questa incidenza e la relativa tendenza al rialzo ha
conseguenze rilevanti sulla forma fisica e sulla struttura sociale delle città, anche dei
centri abitati di minori dimensioni come Melfi.
Al lavoro intellettuale è necessario prestare maggiore attenzione; esso determina
una crescita costante del bisogno di cultura nel senso più ampio del termine,
bisogno che si trasferisce sulla morfologia e sulle infrastrutture dei nuclei urbani.

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La produzione culturale assume centralità nella città moderna, dove il cittadino-
lavoratore della conoscenza cresce di peso e importanza.
La cultura assume dimensioni sempre più rilevanti sul piano economico, atteso che
con l’avanzata del lavoratore della conoscenza cresce complessivamente la
domanda di prodotti culturali nelle diverse forme (produzione cinematografica,
musica, produzione artistica, design, artigianato, moda, intrattenimento e
spettacolo, network televisivi, editoria, turismo storico-culturale, eventi culturali,
musei etc..).
In linea generale all’industria della cultura appartengono tutti i settori che si
traducono nel creare e commercializzare beni o servizi ad alto contenuto di
significati simbolici. Non è così scontato escludere o includere un servizio o un bene
rispetto al settore della cultura; dalle vacanze, permeate da contenuti culturali, ai
beni prodotti dall’industria spesso carichi di simboli, immagini e significati collegati a
significati simbolici e culturali per renderli attraenti e appetibili, attraverso la
pubblicità che punta a costruire legami con identità collettive positivamente
connotate. Secondo alcuni economisti la componente simbolica dei prodotti porta
dentro i confini dell’economia culturale finanche i settori dell’abbigliamento e
dell’arredamento; secondo altri è invece necessario restringere il perimetro a tutto
ciò che trasforma le espressioni della creatività umana in prodotti e servizi per il
consumo generalizzato (libri, film, teatro, etc..).
Nell’uno e nell’altro caso, un fatto è certo: il peso della componente “cultura” cresce
costantemente nell’industria e nell’economia vista in generale.
In sintesi la società moderna, la comunità del lavoratore della conoscenza si
caratterizza per questa crescente convergenza tra cultura e industria.
E’ evidente che l’economia culturale tende a modificare la struttura sociale di una
città; modifiche fisiche che si rendono più visibili nelle grandi città, dove è possibile

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vedere la trasformazione di un intero quartiere, interessato dall’insediamento di più
imprese che hanno interesse alla creazione di un’area che interagisce.
In un piccolo centro urbano, invece, la trasformazione è innanzitutto di tipo sociale,
indotta dalla crescita dell’economia della conoscenza ma allo stesso tempo
generatrice di una classe media con particolari caratteristiche.
Nella nostra piccola grande città, le attese legittime legate all’imponente
insediamento industriale nell'area di San Nicola di Melfi (FIAT e indotto), devono
fare i conti con “la bassa temperatura” dei dati demografici che ci consegnano un
quadro complessivo di “mancato sviluppo”; la città non è riuscita a raccogliere tutti i
frutti potenziali, in termini di crescita demografica, sociale ed economica, in
rapporto alla notevole dimensione del tessuto industriale che con lo stabilimento
FIAT ha avuto una crescita dimensionale molto forte.
La dinamica demografica si presenta piuttosto stabile.
La crescita demografica successiva allo sviluppo industriale è riassumibile nel
modesto incremento dei residenti, di 1.381 unità in 13 anni, tra il censimento del
1991, 15.757 abitanti e il 2004, 17.138 residenti.
Siamo ancora sotto il livello demografico più elevato dopo l’unità d’Italia, di 18.208
residenti registrato nel 1961; infatti, dal 2004 la città sostanzialmente non cresce se
non fosse per l’incremento di stranieri passati da 200 a 577 proprio tra il 2004 e il
2011 (oggi gli stranieri sono 751), che spiega l’incremento dei residenti da 17.138
del 2004 a 17.547 al 31/12/2012 (oggi, al 31/12/2015, i residenti sono 17.752);
l’incremento demografico complessivo, in sette anni, di 409 residenti è determinato
per la quasi totalità, cioè 377 unità, dall’incremento dei residenti di altre nazionalità.
In sintesi, dal 2004 ad oggi (31/12/2015) il saldo netto demografico (+614) cresce
ogni anno, in media, di circa 56 unità di cui 50 stranieri e 6 melfitani.
Di diverso segno, invece, è stata la politica urbanistica che ha determinato una
marcata crescita del tessuto urbano della città (in termini di superficie) e il

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conseguente consumo di suolo agricolo, con un offerta di abitazioni notevolmente
cresciuta. Oggi il centro abitato è composto da tre macro aree (centro storico,
Valleverde, Bicocca-167); la nuova area di espansione ha di fatto destrutturato il
centro abitato prima addensato sull'agglomerato storico.
Ai 24 chilometri quadrati (di cui 12 Km2 per il centro storico-cappuccini e 12 km2
per la zona di valleverde) si aggiungono circa 9 Km2 dell’area di espansione Bicocca-
167; una crescita del 34% circa del tessuto urbano, con assorbimento di suoli
agricoli, cui è corrisposto un incremento demografico del solo 8,8% in 15 anni.
Conseguentemente, nel quinquennio 2001-2006, la notevole offerta di abitazioni di
nuova realizzazione nell'area di espansione Bicocca-167 ha determinato una
dinamica di depauperamento del centro-storico che ha ceduto circa 3 mila residenti,
in poco tempo; importanti sono state le ricadute sul sistema commerciale-
artigianale insediato nel centro storico, composto da micro-imprese che oltre alla
depressione demografica hanno dovuto confrontarsi con la repentina comparsa di 2
centri commerciali insediatisi entrambi nella nuova area di espansione urbana.
La nuova offerta abitativa ha, di fatto, incontrato una domanda per la gran parte
“endogena”; la città non è riuscita ad attrarre i numerosissimi lavoratori
provenienti dagli altri comuni che a tutt'oggi preferiscono mantenere la residenza
nei comuni di provenienza. C’è un evidente questione di attrattività del centro
abitato che non ha raggiunto livelli sufficienti, nel rapporto qualità/costo della vita
tali da far scattare la decisione di trasferirsi nel centro abitato prossimo al luogo di
lavoro.
Circa 32 chilometri quadrati di tessuto urbano per 17.800 abitanti significa, per
Melfi, una densità abitativa di 550 abitanti per chilometro. La città di Potenza con i
suoi 77 chilometri quadrati circa e 66.405 abitanti ha una densità più marcata pari a
862 abitanti per chilometro quadrato. Anche la più ordinata città di Matera presenta
una densità più alta rispetto a Melfi, pari a 759 abitanti (60.000 abitanti e 79

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chilometri quadrati di superficie urbana). La comparazione con i due centri urbani
maggiori della Basilicata conferma che vi è a Melfi un tessuto urbano troppo
sfilacciato e disperso in rapporto alla popolazione residente.
I dati registrati dall’osservatorio del mercato del lavoro della Provincia di Potenza
chiariscono meglio la composizione del mondo del lavoro.
Risiedono nella città di Melfi meno del 10% dei lavoratori occupati nel comparto
dell’industria dell’auto (FIAT e indotto); nel complesso, in valori assoluti, alla data
del 31/12/2012 a Melfi su 3.447 occupati in tutti i settori, lavorano nell’industria
solamente 926 cittadini, comprendendo l’intero comparto industriale (compreso ciò
che resta dell’edilizia), pari al 26% circa, alla stregua della media di territorio pari al
25%; non è un buon risultato considerando che mentre Melfi è sede degli
insediamenti industriali altri comuni, come Rapolla, raggiungono il 31/35%
dell’occupazione nel comparto industria.
A distanza di quasi 20 anni dall'insediamento FIAT, gli attori dell'economia locale
stentano a relazionarsi con la nuova realtà industriale; ancora troppo poco
numerose sono le iniziative economiche messe in campo dall'imprenditoria locale
per cogliere le opportunità possibili.
Le conseguenze e le problematicità sia sotto il profilo ambientale che sociale sono
diverse.
Le numerose famiglie che in giovane età (in fase di start-up l'età media dei
dipendenti Fiat non superava i 25 anni) sono entrate nel “nuovo mondo del lavoro”,
contando su prospettive luminose, si trovano oggi a dover fare i conti con una
complessa realtà industriale soggetta all'andamento ciclico dell'economia globale, in
fase di profonda ristrutturazione. Quelle famiglie, oggi in età media superiore ai 40
anni, devono affrontare problematiche economiche e sociali diverse, dovute alla
riduzione del reddito (cassa integrazione, mobilità etc..) e alla difficoltà di poter
trovare sul territorio occasioni di lavoro alternative.

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A questo si aggiunga la perdita di un'ampia area dedita all'agricoltura e alla
conseguente perdita di posti di lavoro.
La prospettiva della occupazione nel comparto metalmeccanico ha ridimensionato
l'attenzione e gli investimenti in altri comparti tradizionali, legati alle risorse presenti
sul territorio ancora oggi non sfruttate adeguatamente. Turismo, cultura,
agricoltura moderna, artigianato artistico, intrattenimento e servizi alla persona
sono i settori su cui vi sono evidenti potenzialità.
Il sistema endogeno delle piccole e medie imprese soffre delle difficoltà generali e
locali determinate dalla disarticolazione del mercato, dalla progressiva scomparsa di
confini e di barriere e dalle restrizioni finanziarie che hanno comportato il
raffreddamento del sistema bancario rispetto all’economia reale.
A Melfi, per esempio, dove la raccolta del sistema bancario si stima essere,
complessivamente, intorno ai 270 milioni di euro (circa 15 mila euro procapite e 40
mila euro per nucleo familiare), con una dinamica di sostanziale tenuta, gli impieghi
per i finanziamenti alle imprese, invece, sono in calo a causa del generale crollo del
mercato immobiliare e dell’industria delle costruzioni. Anche la qualità del credito
tende a deteriorarsi considerato che si registra un marcato aumento delle
operazioni di finanziamento per ristrutturazione del debito.
Oggi la città di Melfi, insieme agli altri comuni del territorio, presenta i segni della
sofferenza conseguente al traumatico sviluppo industriale e ai travagli tipici delle
fasi di decrescita e ristrutturazione che solo parzialmente e, soprattutto, solo
temporaneamente sono state lenite dal forte incremento occupazionale
verificatosi nell’anno 2015.
Ferite ambientali per i numerosi fattori di inquinamento comparsi sul territorio e,
soprattutto, disagi derivanti dalla insufficienza del reddito che trovano conferma
nella cresciuta attività di contrasto alla povertà condotta dal Comune, dalla Caritas e
dal volontariato.

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Mancanza di reddito, di lavoro e di abitazioni sono i sintomi di una sofferenza del
tessuto sociale che trova nell'ente locale il punto di relazione e di contatto con lo
Stato, nella speranza di poter ottenere soluzioni individuali a problematiche che
hanno una rilevanza crescente e sempre più collettiva.
Bisogna fare i conti con un contesto socio-economico e un apparato industriale
complesso, tipico di una grande città, avendo a disposizione risorse umane
qualificate ma numericamente insufficienti, oggettivamente sottodimensionate.
Melfi non è esente al più generale contesto finanziario che tende al peggioramento.
Le esigenze e le ristrettezze della finanza pubblica sono note. La crisi economica
connessa alle dinamiche globali incide sempre più frequentemente sulle realtà
locali.
Il deterioramento delle condizioni finanziarie non riguarda solamente il nostro
paese, ha una dimensione globale tanto da aver pesantemente interessato anche gli
Stati Uniti, di recente alle prese con rilevantissimi problemi connessi al deficit del
bilancio federale.
Le condizioni finanziarie generali e le prospettive note sono tali che forse non
dovremmo più parlare di crisi.
La parola “crisi” ci racconta di un fenomeno temporaneo, destinato a rientrare.
E’ più collegato alla speranza e al desiderio di ristabilire una condizione
precedente che, oggi più di ieri, viene valutata come essere migliore.
In realtà forse dovremmo cominciare ad abituarci e, soprattutto, a convivere e ad
attrezzarci per progredire in una condizione diversa dell’economia reale e della
finanza pubblica.
In realtà stiamo attraversando una fase di ristagno o meglio di declino che potrebbe
durare ancora qualche anno, salvo che non si verifichi un vero e proprio spartiacque
tecnologico in grado di cambiare alle fondamenta le formule di combinazione e di

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impiego dei fattori produttivi, di cambiarli in misura tale da incidere veramente sulla
competitività del nostro apparato produttivo.
Fino a quel momento dovremo imparare a cimentarci con un andamento del
sistema economico più lento e meno scoppiettante, tenuto a freno dagli impegni
dell’Unione Europea per garantire credibilità e stabilità al sistema monetario.
In questo nuovo contesto in cui ci siamo venuti a trovare, l’Italia, la Basilicata e la
nostra comunità, dall’anno 2011 dobbiamo fare i conti con una forte ristrettezza di
risorse finanziarie, derivanti dalle leggi finanziarie approvate dal Governo Nazionale
a partire dal 2010.
Innanzitutto la riduzione dei trasferimenti statali. Progressivamente anno per anno,
dal 2011 fino al 2015 è stata programmata la contrazione dei contributi che ogni
anno lo Stato eroga agli enti locali.
Dalla fine degli anni '90, fino all’anno 2010 la città di Melfi ha potuto contare sulla
presenza di importanti risorse finanziarie rivenienti dai tributi addebitati al sistema
produttivo; dall'ICI, in particolare, il Comune di Melfi, rispetto agli altri comuni,
ricavava un gettito annuo aggiuntivo di circa 2,5 milioni di euro.
Le notevoli risorse per oltre un decennio hanno sostenuto servizi (tra cui il sistema di
trasporto locale che non ha trovato sostegno nel bilancio regionale) e opere
pubbliche che, purtroppo, non hanno consentito di attutire le sofferenze via via
cresciute.
Tra il 2011 e il 2015 Melfi ha perso circa 2,3 milioni di euro all’anno; su un bilancio
annuale avente la dimensione media tra 13 e 14 milioni di euro, il taglio di risorse ha
un peso notevole, pari al 16% circa.
Alla riduzione dei contributi statali si è aggiunta la restrizione più penalizzante e
decisamente meno razionale, comunemente nota come “patto di stabilità”.
Tale restrizione si è tradotta nel non poter sostenere spese per investimenti; per
essere più precisi se l’Ente realizza opere pubbliche deve sapere che non può pagare

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i fornitori. Una restrizione eccessiva che ha messo in ginocchio l’intero sistema
paese frenando l’economia, il PIL e l’occupazione. Basti considerare che in un anno,
nella sola Basilicata, il comparto dell’edilizia ha subito una perdita di quasi 7 mila
posti di lavoro.
Durante gli anni di persistenza di questo vincolo i Comuni non hanno potuto
realizzare opere pubbliche con risorse proprie.

Esaurita sinteticamente l’analisi del quadro generale di riferimento, quali le strategie
e le azioni in cantiere per intervenire migliorando e accompagnando i processi di
trasformazione sociale e materiale della città?

Lavoro, reddito, casa, sono gli elementi espressivi dei crescenti bisogni primari; a
seguire e non in secondo piano, intrattenimento, sport, servizi alla persona,
cultura, cioè i bisogni emergenti e crescenti legati soprattutto all’avanzata del
cittadino-lavoratore della conoscenza.
Se l’analisi può essere considerata corretta, per quanto approssimativa, bisogna
concentrare le politiche e l’azione amministrativa per introdurre nel contesto socio-
economico cittadino elementi utili per stimolare e accompagnare la crescita della
città nel nuovo contesto.
Nel complesso il quadro e la prospettiva inducono ad impostare una strategia che
utilizzi con determinazione gli ingredienti del rigore, sviluppo e dell’equità.

Rigore e cooperazione con tutti gli attori dentro e fuori l'amministrazione comunale
affinchè si possano condividere strategie tese a preservare lo stato di salute della
finanza comunale. Su questo fronte è necessario continuare ad aggredire i fattori di
spesa di cui è possibile fare a meno, per attutire l’imponente taglio dei contributi
statali ed evitare di trasferire “sic et simpliciter” le minori disponibilità sui cittadini.

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E’ necessario che la struttura metabolizzi più velocemente l’approccio diverso alla
gestione delle forniture di beni e servizi; un approccio che deve essere
costantemente teso ad impiegare con la massima efficienza ed economicità le
risorse finanziarie; risparmiare non significa non utilizzare i finanziamenti assicurati,
significa, invece, liberare risorse per altre realizzazioni.
Abbiamo iniziato a farlo e su questa strada dobbiamo proseguire.
Visto il divieto di utilizzare le risorse per gli investimenti, sono state recuperate
risorse per abbattere il consistente debito finanziario; al 31/12/2010 c’erano mutui
per circa 11 milioni di euro.
Sono stati ridotti a circa 3,6 milioni di euro al 31/12/2015.
La manovra ha avuto un effetto importante sul bilancio annuale perché ha
consentito e soprattutto consentirà di ridurre la spesa di quasi 600 mila euro ogni
anno, già a partire dal 2013.
Dopo soli tre mesi, in settembre 2011, il Consiglio Comunale ha messo in
liquidazione l’azienda speciale per il piano di edilizia 167, coerentemente alle
nuove linee strategiche sull’urbanistica, riducendo il costo e l’ulteriore rischio per i
cittadini assegnatari dei lotti di vedersi addebitare una spesa aggiuntiva a conguaglio
dovuta ai costi fissi di struttura dell’azienda speciale.
E’ stato razionalizzato il servizio di trasporto pubblico locale. Fino all’anno 2011 la
città di Melfi sosteneva un costo di 1.3 milioni di euro all’anno, rispetto a 120 mila
euro dei Comuni di Lavello, Rionero e Venosa.
Una dimensione pari a 10 volte quella degli altri Comuni solamente in parte
giustificata dalla diversa dimensione e morfologia. In un anno e mezzo, oggi, con la
cooperazione e la comprensione del concessionario il costo annuo del servizio è
sceso da 1.35 milioni a 850 mila euro, con una razionalizzazione delle linee urbane
che non hanno peggiorato la qualità e l’efficacia del servizio.

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Bisogna proseguire in questa direzione, stringendo ulteriormente la spesa corrente
avendo cura di non ridimensionare i servizi alla persona fondamentali per
mantenere e potenziare la competitività del sistema urbano.
Rigore nell’uso delle risorse finanziarie comporta, infine, anche la scelta di investire
in conoscenze e capacità organizzativa indispensabili per elevare l’azione
amministrativa che deve oggi essere capace di elaborare e candidare progetti per
ottenere finanziamenti esterni in grado di sostenere gli investimenti indispensabili
per far crescere la qualità del tessuto urbano.

Sviluppo, nella direzione della promozione dei servizi, delle attività culturali in senso
lato e di una azione di promozione del territorio da offrire come localizzazione ideale
per l'insediamento di nuove realtà imprenditoriali, nell'ottica di assecondare e
sostenere il naturale processo di rigenerazione industriale e più in generale del
tessuto economico locale.
Melfi deve riprendere il percorso di crescita economica degli anni ’90; può e deve
farlo promuovendo le caratteristiche e la qualità del territorio e della rete
infrastrutturale di cui dispone. Non basta la rassicurazione della fase di rilancio e di
espansione produttiva ed occupazionale del sistema industriale automobilistico, che
nei primi mesi del 2015 è ripartito recuperando terreno e producendo nuova
occupazione per circa 3 mila nuovi posti di lavoro.
A fianco della grande industria, le cui strategie e processi sono governati altrove, le
misure e i progetti che dovranno essere realizzati nel nuovo quinquennio, in
continuità con l’azione avviata nel primo mandato, devono puntare a creare un
ambiente fertile perché si possano cogliere le opportunità rese disponibili dalle
risorse presenti sul territorio; è necessario seminare e promuovere investimenti
pubblici e privati, soprattutto, per dare corpo ad altri settori dell’economia locale

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che possono valorizzare l’enorme patrimonio naturalistico, storico-monumentale,
agricolo e paesaggistico che possediamo e che sfruttiamo molto poco.
Su questi elementi la pubblica amministrazione, insieme a tutti i soggetti coinvolti
deve provare a mettere in campo tutte le azioni possibili per stimolarne l’utilizzo
equilibrato.
Sull’ambiente, innanzitutto, fondamentale per far crescere il valore del turismo
storico-culturale e dei prodotti agricoli, il Comune ha adottato una politica di
maggiore rigore impegnando maggiori risorse per affrontare i nodi dell’impatto
ambientale dell’industria.
Dalla cura della ferita “INCENERITORE-FENICE”, al contrasto dei progetti di
estrazione petrolifera (la cui richiesta di concessione, relativa a 130 km su 205 del
territorio comunale, è stata cancellata a seguito del ricorso presentato dalla giunta
municipale nell’anno 2013), il Comune deve continuare a impegnare risorse del suo
bilancio per mantenere e potenziare la Task-Force, composta da autorevoli
professionisti e operatori del settore, in grado di affrontare la complessa e
delicatissima tematica affiancando e, se necessario, anche sostituendosi ai soggetti
obbligati dalla legge.
L’esito favorevole, molto recente, del contenzioso intentato da Fenice rispetto al
provvedimento sul progetto di bonifica presentato da Fenice, bocciato dalla
conferenza di servizi, testimonia la qualità delle risorse messe in campo per gestire
una vicenda molto delicata e complessa anche per la potenza di fuoco
dell’interlocutore (EDF, uno dei maggiori produttori mondiali di energia anche
nucleare, leader anche nel campo dello smaltimento dei rifiuti e delle bonifiche
ambientali).
Bisogna continuare a investire sul programma di raccolta differenziata dei rifiuti
urbani.

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Dal 2001 al 2011 la percentuale della raccolta differenziata oscillava dal 4 al 9,5%; un
valore estremamente basso, incompatibile con una politica che tende ad aggredire il
tema dell’impatto ambientale dell’industria e dell’inceneritore; l’istituzione non è
credibile se non si impegna a ridurre l’entità dei rifiuti da smaltire e, quindi, da
incenerire.
Dalla raccolta porta a porta nel centro storico, non adeguata perché svolta con un
modello organizzativo non idoneo che produceva la presenza sulle vie del centro dei
sacchetti di rifiuti spesso aggrediti dai randagi, si è stati costretti a ritornare al
tradizionale e più efficiente “cassonetto di prossimità”, con una diversa
organizzazione della raccolta e, soprattutto, della selezione del rifiuto; in pochi mesi
è stato centrato l’obiettivo di realizzare percentuali importanti di differenziazione.
Dal “cronico” 9 % siamo al 65,59% di marzo 2016, con percentuali di recupero
superiori all’80% grazie all’impianto di selezione dei rifiuti autorizzato e installato a
Melfi (il primo in Basilicata), che consente di recuperare e trasformare i rifiuti urbani
in materia prima collocata sul mercato. Deve proseguire nei prossimi anni la
campagna informativa di sensibilizzazione della cittadinanza.
E’ necessario programmare investimenti e azioni specifiche, ulteriori rispetto al
centro di raccolta degli ingombranti già attivato, per contrastare le discariche
abusive e soprattutto per aiutare i cittadini, anche con un contributo economico, per
smaltire l’amianto.
L’obiettivo ambizioso è raggiungere livelli elevatissimi di differenziazione del rifiuto
e investire sui comportamenti dei cittadini utilizzando tutti i veicoli di comunicazione
e sensibilizzazione come si è iniziato a fare con il coinvolgimento delle scuole
elementari e medie e, più in particolare, con il lavoro del consiglio comunale dei
ragazzi.
E’ realmente possibile raggiungere livelli elevati di differenziata, intorno al 75%
entro il 2020, risultato che consentirebbe di contenere il costo tendenzialmente in

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salita dello smaltimento dei rifiuti e che legittimerebbe ulteriormente la comunità
melfitana nel chiedere un cambiamento radicale nelle politiche ambientali regionali
che vadano nella direzione di un depotenziamento dell’inceneritore, che non può
essere utilizzato per dare risposte “stabili” alle emergenze regionali come quelle che
si sono presentate negli ultimi 24 mesi.
La cura dell’ambiente è la precondizione per dare un senso alle altre azioni che
puntano allo sviluppo teso a far crescere l’economia locale attraverso lo stimolo
dell’offerta di beni e servizi di cui si percepisce una domanda in crescita, guardando
alla città e al lavoratore della conoscenza.
Melfi possiede gioielli di rilevante valore storico-culturale-monumentale.
E’ un settore in crescita; se valorizzato riuscirebbe a produrre risultati impensabili
anche in momenti di crisi.
Oltre ad affidare la gestione a terzi del teatro e del museo civico, per far crescere
qualità e quantità delle iniziative culturali, di spettacoli e degli eventi, è necessario
dedicare risorse per valorizzare la storia della città.
Vanno potenziati i progetti innovativi come l’infrastruttura Wi.Fi., integrata con gli
altri comuni dell’area PIOT, indispensabile per creare una rete di divulgazione di
informazioni per i turisti e la guida sulla città di Melfi, con l’obiettivo di trasferirla sui
moderni strumenti di comunicazione (smartphone, IPAD etc..), così da promuovere
la divulgazione di informazioni e indicazioni su come muoversi, cosa cercare e sulla
storia della città; entrambi strumenti di promozione della città come meta di un
turismo di nicchia nazionale e internazionale.
Bisogna continuare ad elevare i principali eventi che caratterizzano il territorio,
investendo ulteriori risorse economiche per ampliare la permanenza e la conoscenza
della città.
Il turismo culturale ha potenzialità inespresse e su questo bisogna fare ogni sforzo
per creare le condizioni affinchè ci sia uno spazio adeguato nel bilancio e nei

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