LA SCISSIONE DI VOX ITALIA di - Sandokan - sollevazione

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LA SCISSIONE DI VOX ITALIA di - Sandokan - sollevazione
LA SCISSIONE DI VOX ITALIA di
Sandokan

                                                     A   poco
più di un anno e mezzo dalla sua comparsa, VOX ITALIA ha
subito una spaccatura in due gruppi. Il primo, che mantiene lo
stesso nome, capeggiato da Giuseppe Sottile e Marco Mori. Il
secondo, capeggiato da Diego Fusaro e Francesco Toscano, ha
deciso di chiamarsi ANCORA ITALIA.

Perché è accaduta questa scissione? Non sono in grado, né di
smentire né di confermare le diverse illazioni, che spesso
sfociano nel pettegolezzo. Voglio credere a quanto affermano i
protagonisti nelle loro dichiarazioni.

Il primo gruppo (Sottile-Mori), imputa al secondo gruppo
(Fusaro-Toscano) di non agire per l’unità, di essere chiuso in
una bolla autoreferenziale, di lavorare sui tempi lunghi,
avere una visione culturalista e paralizzante del partito.
Cosa dunque propone questo primo gruppo? Sottolineata
l’urgenza dell’unità dei diversi raggruppamenti “sovranisti” ,
posto che l’asse della battaglia è l’uscita dalla Ue,
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considerato di vita o di morte l’appuntamento delle elezioni
parlamentari del 2023, sostiene che occorre unirsi a “ITALEXIT
CON PARAGONE”, visto che il gruppo di Paragone è il solo che,
data la sua visibilità mediatica, ha chance di successo.

Il secondo gruppo respinge l’accusa di settarismo visto che
anch’esso avanza l’esigenza di unire la forze ma… Dopo un anno
di terrorismo pandemico e di stato d’emergenza e dopo la
defenestrazione di Trump, siamo entrati in un nuovo periodo
politico per cui non basta limitarsi a invocare l’Italexit, ma
occorre mettere al centro sia la battaglia contro il “regime
sanitario” sia quella per l’uscita dalla NATO. Dato che
Paragone glissa sulla battaglia contro lo stato d’emergenza e
la narrazione terroristica e, peggio ancora, considera
l’atlantismo il campo geopolitico in cui si dovrebbe restare,
questo secondo gruppo respinge ogni unificazione con “ITALEXIT
CON PARAGONE”.

Posto che la mia chiave di lettura sia giusta, mi pare
evidente che il gruppo di Fusaro-Toscano abbia ragione nella
sostanza, mentre quello di Sottile-Mori abbia torto e, se mi è
concesso, torto marcio.

Condivido la tesi che giunti al punto in cui siamo, fondare
l’unità o addirittura un partito solo sull’italexit non solo è
insufficiente, è sbagliato e conduce ad una sconfitta certa.
Quando i poteri forti ci dicono che dopo il Covid “nulla sarà
più come prima”, quando essi evocano il “grande reset”; essi
non scherzano. Per come la vedo io se ne debbono tirare due
conseguenze. Prima conseguenza: occorre sì un partito
politico, ma data la nuova drammatica situazione non può più
essere di “scopo” (ovvero tutti dentro basta essere d’accordo
con l’Italexit) ma deve fondarsi su una visione strategica e
su un progetto di alternativa di società. Seconda conseguenza:
occorre sì un fronte unico ma, anche qui, non può essere solo
basato sull’obbiettivo dell’uscita; la piattaforma
dell’eventuale fronte unico deve accogliere le istanze delle
categorie sociali gettate sul lastrico (i nuovi “eslcusi”) e
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quelle dei pezzi di società civile che in questo anno di Covid
si sono battuti per difendere i diritti costituzionali di
libertà (bollati dal regime come “negazionisti”).

La metto giù così: il gruppo Sottile-Mori va con Paragone
perché è affetto da quella sindrome che una volta si chiamava
“cretinismo parlamentare” o elettoralismo. Si mettono da parte
visioni e divergenze pur di avere un successo elettorale. Di
qui l’idea che tutto dipenda dalla “comunicazione”, dalla
visibilità mediatica — la comunicazione pirotecnica prima
della identità politica e di una seria visione strategica. C’è
poi qualcuno che ha già fatto l’esperienza di un avvicinamento
a Paragone, parlo di Liberiamo l’Italia. Coloro che oggi vanno
a spiaggiarsi farebbero bene a leggere come andò a finire quel
tentativo di unificazione.

A sentire Sottile-Mori, Paragone avrebbe capito la lezione,
avrebbe rinunciato al suo delirio di onnipotenza e avrebbe
capito che da solo non va da nessuna parte e quindi adesso
sarebbe disposto a unificare le forze. Fosse vero, sarebbe una
bella notizia. Per ora tuttavia è solo l’auspicio con cui essi
giustificano la loro manovra. Staremo a vedere.

In questo quadro mi pare importante cosa dica e anzitutto
faccia Liberiamo l’Italia. Segnalo il comunicato del 24
febbraio QUESTO E’ IL MOMENTO, in cui, date le numerose
consonanze in quanto ad analisi e proposte, si annuncia
l’avvio di un confronto serrato con il gruppo di Fusaro e
Toscano, confronto che possa fare da apripista ad un più ampio
e inclusivo processo costituente per dare vita ad un partito
unitario del patriottismo costituzionale. Il gruppo di Fusaro
e Toscano, dopo il convegno del 27 febbraio scorso, celebrerà
un primo congresso d’organizzazione il 2 e il 3 aprile.
Vedremo che verrà fuori.

Qualcuno ora mi chiederà: e in tutto questo dove sta il Fronte
Sovranista Italiano di Stefano D’Andrea? Guarda caso anche
questo gruppo celebra il suo congresso domani e dopodomani (27
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e 28 marzo). Sempre stando a quel che ci dice Liberiamo
l’Italia il FSI ha respinto la proposta di far parte di un
processo d’unificazione. La cosa non mi stupisce. Mi dicono
tuttavia che proprio in vista del congresso si sono
manifestate voci interne di dissenso rispetto alla
tradizionale linea isolazionista.

Vada come vada, di una cosa si può stare certi: un anno di
Covid e di stato d’emergenza non hanno solo sconvolto il
quadro sociale e il perimetro politico sistemico (vedi il
governo Draghi), stanno terremotando il campo occupato dai
“sovranisti”. E’ in atto un assestamento. Fra qualche mese
vedremo cosa verrà fuori.

12 OTTOBRE: I GUFI MASTICANO
AMARO

[ martedì 15 ottobre 2019 ]

Stefano D’Andrea, presidente del FSI non si smentisce mai.

In Italia si svolge la prima manifestazione di piazza per
l’Italexit, e lui cosa fa? Ovviamente l’attacca. Fin qui nulla
di male, l’uomo e lo stile sono quelli. Però a tutto c’è, o ci
dovrebbe essere, un limite.
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Evidentemente il D’Andrea mastica amaro. Prima ha provato (in
compagnia di quattro rancorosi che si sono spinti fino
all’infamia) a sabotare la manifestazione dicendo che sarebbe
fallita; poi, di fronte all’evidente successo, si inventa che
noi saremmo i sovranisti dell’«io», mentre lui
rappresenterebbe il «noi». E qui siamo alle comiche. Alla
manifestazione hanno aderito 33 (trentatre) associazioni
(incluse quelle da lui citate), ma mancando per sua scelta il
suo Fsi noi saremmo quelli dell’«io»…
D’Andrea conosce bene i promotori della manifestazione. E sa
benissimo che essi sono tutti per il «noi», cioè per
l’organizzazione cosciente dei patrioti costituzionali. Ma, a
differenza della sua cronica autoreferenzialità, i promotori
del 12 ottobre hanno voluto allargare il campo della
partecipazione, raccogliere molteplici spinte. In una parola,
hanno teso ad unire anziché dividere. E, piccolo particolare,
ci sono riusciti. Riflettere su questo dato forse non sarebbe
male. Sta di fatto che la prima manifestazione di piazza per
l’Italexit si è tenuta e ad essa il D’Andrea non c’era.

                          *   *   *

Ecco cosa scrive il D’Andrea nel
suo delirio…

«Noi abbiamo impiegato 7 anni a mettere assieme quasi 1000
persone con due o tremila simpatizzanti. E l’entusiasmo degli
iscritti cresce continuamente e da tre anni non va via nessuno
che si sia impegnato. La disciplina è massima, la fede alta,
la contentezza di stare in questo partito generale. Ebbene a
un certo punto gente che non ha costruito nulla che ha fallito
quasi dieci volte, che le ha tentate tutte eppure non è
riuscita a muoversi dal punto di partenza, organizza una
manifestazione nella quale non devono esserci i simboli di
partito. Ma stiamo scherzando? Vuoi far fuori gli unici che
hanno dimostrato di saper fare qualche cosa? Che crescono di
numero non subiscono scissioni si candidano in comuni e
regioni e almeno dimostrano di raccogliere le firme e
diffondono in 300 un editoriale tutti i giorni su facebook?
Perché li vuoi fare fuori? Perché del movimento non ti
interessa niente. Cerchi quel ruolo che la storia ha
dimostrato non devi avere. Dico vuoi non per riferirmi a te ma
a chi ha organizzato la manifestazione. Non c’è processo
aggregativo che non sia anche non processo di selezione. Far
fuori e toglierci dalle balle quelli che hanno fallito più
volte è vitale. Adesso speriamo che Vox si consolidi (non sono
certo che riuscirà ma mi auguro di si). Poi noi e vox
organizzeremo una manifestazione nella quale tutti dovranno
avere un simbolo di partito o associativo. Gli individui
individualisti, gente che non sta con noi non sta con vox non
sta con altra direzione non sta con senso comune perché chi sa
chi credono di essere, anche se non ne hanno mai azzeccata
una, hanno rotto le balle. Il problema sono loro ma ancora per
poco, uno o due anni al massimo.
Stefano D’Andrea»

… e la risposta di un nostro
compagno

Stefano D’Andrea ci sono nel tuo post tante inesattezze quante
sono le righe.
Per cominciare parli come se la tua organizzazione fosse una
azienda che deve conquistare quote di mercato, con un proprio
marketing e un logo da estendere. Con te stesso come
amministratore delegato, presidente, ragioniere e contabile.
Noi contro loro, noi contro tutti. Voi i migliori, gli
illuminati, i più disciplinati, gioiosa armata alla conquista
del mondo, loro i falliti, quelli che non riescono a muoversi
dal punto di partenza. Una filosofia politica che puzza di
competizionismo e neoliberalismo da ogni poro.

Poi però scopriamo che “i falliti” portano 3.000 persone in
piazza sotto una unica bandiera quella della indipendenza e
sovranità popolare. Allora tanto falliti non sono.

In un soprassalto di narcisismo passi ad identificarti con la
Storia, il supremo giudice che caccerà i reprobi (gli
organizzatori del 12 ottobre che non devono avere nessun posto
nella storia) e metterà al loro posto i valorosi dell’FSI, i
quali a passo di lumaca si faranno spazio tra le folle
conquistando il mondo!

Alla fine dal narcisismo, con scatto felino e volo pindarico,
passi addirittura alle minacce, alla caccia all’untore,
rivolgendo un accorato appello urbi et orbi “a far fuori
quelli che hanno fallito” (che sono sempre quelli del 12
ottobre senza bandiere di partito).

Stefano D’Andrea qui forse ci vuole un bravo terapista, perché
stiamo andando oltre i confini del politico, in una terra dove
primeggiano quelle che Spinoza chiamava passioni tristi,
l’odio, il senso di rivalsa, la competizione, etc, che non a
caso sono il concime, ma sarebbe meglio dire il letame del
neoliberismo.

Dulcis in fundo concludi con una delle tue solite perle :
“Far fuori e toglierci dalle balle quelli che hanno fallito
più volte è vitale”. Gli individui individualisti, gente che
non sta con Fsi perché chi sa chi credono di essere, anche se
non ne hanno mai azzeccata una, hanno rotto le balle. Il
problema sono loro ma ancora per poco, uno o due anni al
massimo”.
Qui l’aria diventa quasi irrespirabile e si sente tanfo di
squadrismo ideologico. Se non fai parte di qualche setta
sovranista, che non siano quelle gradite al “Guru” non sei
nessuno. E se sei fuori da queste, hai un tempo di vita
brevissimo! Tocchiamoci gli zibidei mi verrebbe da dire.
Faccio un accorato appello personale a tutti i militanti del
Fronte Sovranista: costruiamo insieme un fronte unitario per
la liberazione nazionale e date un po’ di calmanti al vostro
“leader maximo”. Se questi non bastano trovate un bravo
terapista!
Mauro Pasquinelli

FRONTE SOVRANISTA ITALIANO di
Moreno Pasquinelli

[ lunedì 30 settembre 2019 ]

L’area che a vario titolo si definisce “sovranista” è
purtroppo divisa e litigiosa. Noi, che di tentativi unitari ne
abbiamo fatti diversi, ne sappiamo qualcosa.
Ora è il momento della polemica tra Francesco Amodeo e Diego
Fusaro da una parte, e Stefano D’Andrea del Fronte Sovranista
Italiano (FSI) dall’altra.
Fusaro e Amodeo criticano il FSI di avere una visione settaria
ed eliocentrica dell’area “sovranista”. Stefano
D’Andrea, nella sua farraginosa risposta ai due, conferma
questa pretesa, suggellata dal recente rifiuto di aderire alla
manifestazione del 12 ottobre LIBERIAMO L’ITALIA, motivo
apparente che non si potranno esporre bandiere di partito.

Sbaglia chi pensa che sia la polemica teorico-politica la
causa della divisione. Il confronto ed anche lo scontro,
quando si hanno idee e concezioni diverse, è inevitabile e,
ove esso sia condotto con onestà intellettuale, utile a
mettere a fuoco per eventualmente superare le stesse
divisioni. Ciò che pregiudica l’auspicabile unità contro il
comune nemico sono semmai le critiche pretestuose e prive di
sostanza. E’ con questo spirito che torniamo a dare un
giudizio sul FSI. Decideranno i lettori se si tratta di
critiche legittime o infondate.

               Ontogenesi del FSI
Stefano D’Andrea (d’ora in avanti SD’A) iniziò la sua carriera
politica nell’autunno 2011, grazie all’oramai storica
assemblea “Fuori dal debito! Fuori dall’euro“, svoltasi a
Chianciano Terme il 22 e 23 ottobre 2011. La stessa assemblea
in cui Alberto Bagnai si affacciò nel piccolo (allora) mondo
no-euro. Conoscemmo D’Andrea nell’agosto di quell’anno quando
era già noto il testo che convocava l’assemblea. Accettammo
volentieri di farlo salire a bordo.

Il momento di alta tensione che si viveva in quelle settimane
(nel novembre 2011 avvenne il golpe bianco da cui nascerà il
governo Monti), nonché il successo dell’assemblea ci spinse a
lanciare nel novembre successivo SALVIAMO L’ITALIA – appello
al popolo lavoratore, manifesto da cui nacque il Movimento
Popolare di Liberazione. SD’A era tra i promotori.

Le strade con SD’A, solo dopo un paio di mesi di cooperazione
(novembre 2011), si divisero.

Sarà utile segnalare quali furono punti di dissenso tra noi e
lui, poiché proprio in quella diatriba Sd’A precisò il suo
pensiero e getto le premesse di quello che poi sarà il
FSI. Tutto si può dire infatti di Sd’A meno che egli non sia
un tipo pervicace, di una coerenza che tracima in ostinazione.
Sia chiaro, in tempi come questi, con voltagabbana da ogni
lato, meglio essere testardi che quaquaraqua. L’ostinazione
tuttavia, se non è temperata da spirito autocritico e senso di
misura, può tracimare in un’arroganza autocefala.
Lanciato assieme l’Appello (seconda settimana di novembre) si
decise di elaborare un vero e proprio Manifesto per il
Movimento Popolare di Liberazione. Con nostra grande sorpresa
Sd’A si mise di traverso rimettendo in discussione punti che
sembravano assodati:
  (1) Sd’A si oppose, già nel titolo dell’appello ad usare la
  locuzione “popolo lavoratore”. Per Sd’A la locuzione era
 “divisiva”. Secondo lui, occorreva un “Fronte patriottico
 antiglobalista”, per rivolgersi indistintamente a ricchi e
 poveri, oppressi e oppressori, inclusi ed esclusi, bastava
 che fossero italiani. Del tutto inutile fu dirgli che stavamo
 fondando un nuovo movimento politico, non un fronte unito,
 che quindi bisognava distinguersi non solo da certa sinistra
 ma pure dalle destre populiste; che per noi rivolgersi al
 popolo lavoratore significava parlare alla maggioranza che
 davvero subiva il regime d’oppressione euro-liberista; che
 quel suo rifiuto implicava infine una rimozione del concetto
 di lotta di classe.

 (2) Sd’A respinse l’utilizzazione sia dell’idea di
 “rivoluzione democratica” che di quella di “sollevazione
 popolare”. Per la precisione: «Io, oggi, non ho alcuna
 intenzione di sprecare un briciolo del mio tempo per
 promuovere una sollevazione popolare». Per lo Sd’A ogni
 appello alla mobilitazione diretta del popolo era un
 pericoloso sovversivismo. Per lui si doveva uscire dalla
 gabbia euro-oligarchica seguendo una strategia gradualista e
 parlamentare.
(3) Sd’A si oppose infine con estrema durezza — ricordiamo
 che stiamo parlando del Manifesto fondativo di un nuovo
 soggetto politico — anche solo di evocare la parola
 “socialismo”. Ogni prospettiva di fuoriuscita dal capitalismo
 era aborrita: ci si doveva limitare a riconquistare la
 sovranità nazionale, punto e basta. Il nostro condiva infine
 il suo discorso con una stucchevole e mitologica nostalgia
 della “prima Repubblica”. Inutile fu rammentargli quanto
 Gramsci scriveva sulla necessità che le classi subalterne
 dovessero diventare dirigenti della nazione, o che la sua
 “prima Repubblica”, fino a quando le masse popolari non
 irruppero sulla scena negli anni ’60, essa fu per loro un
 inferno di ingiustizia.

Chi conosce il FSI può facilmente capire come buona parte del
suo attuale patrimonio genetico era scritto in quanto Sd’A
sostenne allora.

  La pretesa “dottrina” sovranista
Ebbene, nella sua replica a Fusaro e Amodeo lo Sd’A la fa
lunga ma il succo è che rivendica con orgoglio il suo modus
essendi e operandi settario, precisando altresì che FSI è
deciso ad andare avanti da solo e che non gli interessa né
conquistare l’egemonia nel campo patriottico, né tantomeno
fare alleanze con altri gruppi sovranisti, al massimo solo
“collaborazioni” in vista di scadenze elettorali — torneremo
su questa storia delle elezioni visto che per il nostro sono
una vera e propria ossessione paranoica. Come se non bastasse
lo Sd’A sale in cattedra dispensando con sicumera voti a
destra e a manca (non senza, ancora una volta, tirando in
ballo anche noi) su chi è più bravo e ovviamente per
confermare che FSI ce l’avrebbe più lungo.

Beninteso il nostro dice anche cose condivisibili, quali la
sua insistenza sulla necessità di un partito ben strutturato,
di militanti preparati e disciplinati, di uomini e donne che
sfuggano alle patologie narcisistiche e individualistiche
della post-modernità.

La domanda però è: di che partito lo Sd’A sta parlando? Quale
la sua natura? Quale la sua visione del mondo? Quale la sua
teoria politica? Quale il suo programma? In otto lunghe pagine
egli si guarda bene dal dircelo. Vittima della tipica
deformazione professionale del giurista per il nostro le
regole sono tutto, di qui il suo puntiglioso formalismo. Di
che partito sia il FSI il nostro ce lo dice da un’altra parte,
alfa e omega sarebbe il “sovranismo”:
  «Il sovranismo è una dottrina che, recuperando il meglio
 delle istanze provenienti da quei sei fattori culturali,
 intende eliminare il principio di concorrenza e ri-costituire
 un equilibrio, se non armonico, almeno stabile e giusto, tra
 la libera iniziativa privata e gli altri valori che furono
 difesi dai sei fenomeni culturali segnalati».

Quali siano questi sei fattori culturali Sd’A, tenetevi
forte, lo spiegava poco più avanti:
  «liberalismo, religione, socialismo, nazionalismo, riformismo
  socialdemocratico e keynesismo».

Come possa venir fuori una “dottrina” da questo minestrone
sconclusionato solo Dio lo sa. Sta di fatto che Sd’A ha
plasmato un bizzarro animale a sei teste, che solo lui può
immaginare guardino nella stessa direzione. Ma è chiara
l’illusione: un partito “sovranista” piglia-tutto. Il nostro
propone di “Recuperare il meglio” guardandosi bene dal dirci
in cosa questo “meglio consista”. Detto che il “comunismo”
— en passant, il movimento politico di massa più grande della
storia umana — non è nella lista: di quale
liberalismo si parla? Di quale socialismo? Di quale
keynesismo? Di quale religione? E di quale nazionalismo —
anche quello fascista e/o imperialista?

Il succo di questo guazzabuglio tra diavoli e acque sante
sarebbe “l’eliminazione del principio di concorrenza e
l’equilibrio tra la libera iniziativa privata e i valori che
furono difesi dai sui fenomeni culturali segnalati”. Un po’
poco, con tutta evidenza, per parlare di “dottrina”, tant’è
che la “cosa” che potrebbe mettere d’accordo stalinisti,
socialdemocratici, fanfaniani e financo i fascisti.

Sintomatico come i militanti del FSI la facciamo semplice e
interpretino questa “dottrina” a geometria
variabile. Sentiamone uno. “Sovranismo” sarebbe:
  «… il primato dello stato sul privato, la proprietà pubblica
  dei servizi strategici, la pianificazione economica orientata
  all’utilità sociale, i diritti del lavoro, lo stato sociale».

Quindi un altro:

 «Il sovranismo è l’istanza di riconquista della sovranità da
 parte del popolo e dello stato ricollocando la Costituzione
 del ’48 al vertice dell’ordinamento giuridico».

La diamo per buona ma… Forse che solo il FSI difende questi
principi? Ovvio che no. Essi sono anzi oggi difesi dalle
diverse correnti ideologiche del “sovranismo”. Ciò per dire
che questi principi sono abbastanza affinché queste correnti
facciano fronte e si alleino contro il nemico comune, del
tutto insufficienti per fondarci sopra un partito. E prendiamo
pure per buono come il FSI si autodefinisce di recente dopo
anni di ambiguità: un partito socialdemocratico. La montagna
ha partorito il topolino.

      Plutonismo versus Nettunismo

E qui veniamo ad una delle stramberie del FSI: come spiega
Sd’A nella sua risposta a Fusaro e Amodeo: “collaborazione sì,
alleanza no”. Il nostro tenta di spiegare dove sia la
differenza, e la risposta rassomiglia come una goccia d’acqua
il patetico mantra grillino (“accordi sì alleanze no”), per
non dire che l’insopportabile spocchia di considerarsi i “veri
sovranisti” riporta alla mente quella del Marchese del Grillo:
“Io so io, e voi non siete un cazzo”.

Questa chiusura del Fronte Sovranista Italiano al fronte dei
sovranisti italiani risiede in un argomento ben preciso, che
Sd’A scolpisce con nettezza nella sua risposta:
  «la prospettiva della liberazione e dell’indipendenza
  dell’Italia” è un obiettivo lontano; ci troveremmo ad agire
  come i patrioti nel 1816 e nel 1821 o nel 1831 o nel 1849,
  non nel 1860″.

L’analogia, com’è evidente, è tra la lotta d’indipendenza e
quella odierna per uscire dalla Ue. Sorvoliamo sulla grottesca
lotteria delle date — fa differenza e come! essere 45, 30 o 12
anni dalla meta. Per Sd’A i tempi dell’uscita sono lunghi,
anzi lunghissimi. E siccome non c’è urgenza (vallo a dire al
popolo lavoratore che pena e soffoca sotto la cappa
dell’ordoliberismo!), si proceda con la propaganda apostolare
a scopi di proseltismo.

Su quali basi egli fondi questa sua granitica convinzione a
noi non è mai stato chiaro. Forse l’avrà spiegato ai suoi
in camera caritatis. Sbaglieremo ma a noi pare che Sd’A,
invece di attrezzare l’organizzazione ai tempi ed alle
dinamiche storico-sociali reali compia l’operazione inversa,
quella di coartare i processi sociali e politici oggettivi ai
tempi necessari al FSI per diventare il partito egemone della
nazione. Dietro ad un’apparente saggezza siamo all’apoteosi
del soggettivismo.

Per chi scrive, ed è in buona compagnia, questa Unione europea
ha invece fondamenta fragili, è un condensato di irresolubili
contraddizioni, e non sopravviverà ad un’altro scossone come
quello del 2010-11. Anche ammesso che la Ue fosse in grado di
resistere ad una nuova grande recessione (con inevitabile
esplosione finanziaria), non ne uscirà a 28 ma perderà diversi
pezzi, e tra questi pezzi c’è il nostro Paese. Dei
“sovranisti” con i piedi per terra dovrebbero quindi
attrezzarsi alla rottura prossima dell’Unione — di qui la
necessità di un fronte patriottico comune o nuovo CLN — onde
evitare che l’uscita sia pilotata dalle destre liberiste.

La questione ci riporta all’idiosincrasia di cui sopra dello
Sd’A all’idea della “sollevazione popolare”. Dietro c’è, a ben
vedere, una concezione della storia. Il nostro è agli antipodi
della visione marxiana per cui le rivoluzioni sono il motore
della storia, ed è prigioniero di una visione darwiniana
dell’evoluzione storica, per cui essa procede per passaggi
lenti, graduali e progressivi. Tesi, corre l’obbligo di
notare, contestata dai sostenitori della “evoluzione
punteggiata”, per cui le modificazioni avvengono di colpo, in
seguito a catastrofi e radicali modificazioni ambientali.
Stessa musica tra i geologi, divisi tra plutonisti che parlano
di cambiamenti graduali del pianeta e nettunisti, che
sostengono, al contrario, che la Terra sia cambiata anzitutto
a causa di eventi singoli cataclismatici.

Sia come sia non ci sarà alcuna uscita indolore dall’Unione
europea: essa sarà il frutto o di un suo multilaterale e
doloroso collasso geopolitico o di una rottura unilaterale non
meno devastante.
Nella sua risposta Sd’A ripete almeno venti volte (come del
resto aveva sempre ribadito) che l’asse della strategia del
FSI è quello elettorale. La capacità egemonica di un partito
si misura per il nostro dai voti che prende. Dai voti che
ottiene si misurano la sua forza, il suo valore, la
credibilità. Ed in effetti, quando Sd’A si vanta delle “mille
azioni” compiute dal FSI intende non azioni di lotta popolare
basate sul protagonismo dei cittadini, bensì esclusivamente
banchetti, rinfreschi, raccolte di firme per presentare le sue
liste, ovviamente comizi dove queste liste è riusciti a
presentarle. L’essere riusciti a presentarsi in qualche
elezione alimenta la sua iattanza.

Siccome ci si dice che le elezioni sarebbero il parametro
fondamentale della strategia di un partito “sovranista, si è
obbligati ad andare a vedere come sta messo davvero il FSI.

Con la lista “Riconquistare l’Italia”, il FSI si presenta per
la prima volta in elezioni importanti alle regionali del Lazio
del 4 marzo 2018. Benché presente in tutte le provincie il
risultato è disastroso. Risultato: il candidato presidente
(Stefano Rosati) ottiene lo 0,16% arrivando 9° su nove
candidati, mentre la lista, con lo 0,10% arriva 19° su 19.

Il 22 ottobre 2018 è la volta della provincia di Trento,
nell’ambito delle elezioni regionali del Trentino. In questa
provincia il risultato è simile a quello del Lazio. Sia la
lista che il candidato presidente (Federico Monegaglia)
ottengono lo 0,10%. Risultato: il candidato è 11° su 11, la
lista 22° su 22.

Il 10 febbraio 2019 si tengono le tante volte annunciate
annunciate come la prova del nove dallo Sd’A, elezioni
regionali in Abruzzo. Le truppe del FSI risultano disperse
nella Marsica, nessuna lista.

Il 26 maggio si vota per le regionali a Pescara, città dove
l’FSI ha forse il gruppo più numeroso e agguerrito. Ebbene qui
c’è il “boom” di Riconquistare l’Italia: i candidato sindaco,
Gianluca Baldini, arriva 7° su 8 (0,77%). La lista è 16° su 17
(0,67%).

Ora è la volta delle regionali in Umbria, dove, a meno
dell’intervento della Divina Provvidenza, la musica non sarà
diversa. Come potrebbe del resto andare diversamente quando in
quella regione si getta avventuristicamente nella mischia un
numero talmente esiguo di militanti che al massimo potrebbero
presentare una lista in un comune diecimila abitanti?

Di questo passo, ad andar bene, ammettendo una progressione
aritmetica, il FSI ci metterà dagli ottanta ai cento anni per
diventare egemone, salire al potere e “far uscire l’Italia
dalla Ue per recesso”. Sd’A dovrebbe quindi rifare i conti,
poiché non saremmo “nel 1816 e nel 1821 o nel 1831 o nel
1849″, ma a prima della Rivoluzione francese.

Non ce ne vorranno gli amici del FSI ma la cosa ci fa venire
in mente il noto aforisma di Keynes: “Sul lungo periodo saremo
tutti morti”, FSI compreso.

Per chi ne voglia sapere di più qui gli articoli in cui, negli
anni, abbiamo parlato dell’ARS e del FSI:

SOVRANISMI (DI SINISTRA, DI DESTRA… E DI CENTRO) di Moreno
Pasquinelli

A QUELLI CHE I DIRITTI CIVILI… NO di Moreno Pasquinelli

ASSOCIAZIONE RICONQUISTARE LA SOVRANITÀ di Moreno Pasquinelli
SOVRANISMO SÌ, MA NON IN SALSA FASCISTA di Fiorenzo Fraioli
DIRITTI CIVILI: LA SITUAZIONE È TRAGICA MA NON È SERIA di
Moreno Pasquinelli
COME NON-ALLEARE I “SOVRANISTI” di Moreno Pasquinelli
COME      NON-ALLEARE      I
“SOVRANISTI”    di    Moreno
Pasquinelli

[ 15 luglio 2017 ]

Il 29 giugno scorso SOLLEVAZIONE pubblicava un intervento di
Stefano D’Andrea dal titolo Quale alleanza dei sovranisti? Il
giorno dopo gli rispondeva Ernesto Pertini: Perché allearsi
ora. Diamo adesso la parola a Moreno Pasquinelli.

Se Stefano D’Andrea si è sentito in obbligo di precisare il
suo pensiero sul tema dell’alleanza dei cosiddetti
“sovranisti” dev’essere perché anche lui avverte che in giro,
tra le migliaia e migliaia di cittadini che in questi anni si
sono “risvegliati” —che hanno preso coscienza sulle cause
della tragedia storica che incombe sul nostro Paese—, una
delle ragioni che impediscono a questi “risvegliati” (prendo
in prestito questo concetto dall’amico Sandro Arcais) di
scegliere l’impegno politico, è appunto la divisione
gruppuscolare che esiste tra i “sovranisti”.

Questo sparpagliamento, se per alcuni è in effetti un alibi
per stare alla finestra e trastullarsi nell’universo virtuale
internettaro (il quale per sua stessa struttura favorisce
l’atomizzazione individualistica), per molti è invece un
fattore di quiescenza.
Sì, noi non abbiamo alcun dubbio: se solo le formazioni
“sovraniste” fossero in grado di fare fronte, di costruire una
casa comune, migliaia di cittadini uscirebbero dai rifugi in
cui si sentono protetti ma nei quali invece il sistema li
vuole reclusi.

E’ questa convinzione, tra gli altri fattori, che ci ha spinto
a dare vita alla Confederazione per la Liberazione nazionale.
Una Confederazione che non vuole essere uno sgangherato ed
estemporaneo coordinamento. Noi riteniamo che in questa fase
politica, e questo ci distingue dal D’Andrea, il soggetto
politico che può essere realisticamente costruito non sarà un
Partito con la P maiuscola, con la forma assunta nel secolo
scorso. In un secolo attraversato dalla guerra civile
mondiale, in un mondo segnato dalla opposizione tra i due
campi contrapposti del capitalismo e del socialismo, quindi
tra classi sociali antagoniste, i Partiti erano quindi
obbligati a considerarsi strumenti di una delle due classi
sociali fondamentali, e data l’irruzione del marxismo ad avere
una visione del mondo.

Sara facile convenire che dato l’esaurimento della spinta
eversiva del proletariato occidentale, crollato il “campo
socialista”, dispiegata la vittoria campale del capitalismo
nella sua variante neoliberista, data la proliferazione nel
campo antagonista di movimenti, soggettività, correnti
culturali le più disparate, siamo entrati in una fase storica
nuova. Dal che noi desumiamo che va ripensata la stessa forma-
partito. In concreto questo che significa? Significa che ogni
tentativo di rifondare partiti alla vecchia maniera è
destinato a fallimento certo; che occorre immaginare partiti
nei quali, fermi gli elementi di forte coesione interna,
saranno segnati da un necessario pluralismo di idee. Saranno
partiti e/o movimenti instabili? Sì, lo saranno. La loro
stabilità non sarà mai un dato acquisito per sempre, sarà, per
parafrasare il concetto con cui Joseph Ernest Renan descriveva
la nazione: “un plebiscito di tutti i giorni”.

Chi vorrà intestardirsi a rifondare i partiti nella forma
classica, giocoforza, non solo non darà mai vita a partiti di
massa, bensì a sette, che per tirare a campare, dovranno
blindarsi dotandosi di regimi interni autoritari fondati
sull’obbedienza cieca a questo o a quel capo —ciò che Gramsci
chiamava “caporalismo”. Che è appunto il destino che a me
pare, spero di sbagliarmi, si è scelto il Fonte Sovranista
Italiano di Stefano D’Andrea.

D’Andrea si è infatti, da anni ormai, intestardito. Contesta
strenuamente ogni appello all’alleanza dei “sovranisti”, non
solo come scopo illusorio ma come massimamente nocivo alla
causa —maligni dicono: alla causa sua propria. Non solo non
raccoglie la spinta all’unità qui e ora che viene da ogni
parte, la respinge come speciosa. Poi apre una fessura,
concede un’eccezione. Seguiamo il suo ragionamento:
  «L’alleanza si fa in vista delle elezioni. Le alleanze tra
  partiti sono sempre alleanze elettorali o meglio pre-
  elettorali e poi eventualmente (ma non è il nostro caso) di
  governo (le alleanze delle opposizioni durano lo spazio di un
  mattino). Non sono mai esistite alleanze a prescindere dalle
  elezioni. Un’alleanza al di fuori di una scadenza elettorale
  è un non senso: allearsi a che fine, se non per partecipare
  ad elezioni?»

Le alleanze sono sempre alleanze elettorali”? Ma che minchiata
è mai questa? E che nella lotta sociale e politica ci sono
solo le scadenze elettorali? Che forse le diverse forze
partigiane si unirono nel CLN in vista delle elezioni? certo
che no! Anzi essi si sciolsero proprio alle porte delle
elezioni del 1946 per l’Assemblea Costituente. Ma è solo un
esempio, tra i più eclatanti. Potremmo farne qualche dozzina,
per dire che sono esistite alleanze dei più svariati tipi, che
di solito coalizzano forze diverse contro un nemico comune, o
per sventare una mossa determinata del comune nemico. Dato che
D’Andrea ha tanta nostalgia nel ‘900 sarà bene ricordargli che
il terreno elettorale era allora l’esatto opposto di quel che
sostiene: alle elezioni, quasi sempre, ogni partito andava col
suo simbolo e non confondeva le sue insegne con quelle di
altri partiti, pur se affini per ideali. E se c’era tra questo
o quel partito un’alleanza sul terreno sociale, questa veniva
sospesa alle porte delle elezioni. L’Italia è un caso da
manuale. Non so a voi, ma al sottoscritto, la minchiata di
D’Andrea rivela quello che noi, nel ‘900, avremmo denunciato
come “cretinismo elettorale”.

Ma seguiamo il discorso del D’Andrea. Ad un certo punto
leggiamo:
  «L’alleanza tra le forze sovraniste si presenterà alle
  elezioni nazionali del 2023. Per non restare buggerati da
 elezioni anticipate, conviene ipotizzare che si voti un anno
 prima, nel febbraio 2022. Ciò significa che tutto (simbolo e
 nome dell’alleanza, candidati, progetto di azione,
 organizzazione e comitato direttivo dell’alleanza) dovrà
 essere pronto (almeno) un anno prima, quindi nel febbraio del
 2021: un nuovo soggetto politico ha bisogno di almeno un anno
 di “campagna elettorale” e non può presentarsi alle elezioni
 nazionali senza prima essersi fatto conoscere a sufficienza.
 Se le elezioni non saranno anticipate, l’alleanza sovranista
 potrà svolgere due anni di “campagna elettorale”. Pertanto,
 nel febbraio del 2020 bisognerà cominciare a costruire
 l’alleanza (un anno di lavoro appare necessario)».

Arci-minchia!
Qui il Nostro ci da i numeri per giocarceli al lotto.
Con una sicumera degna di uno che si crede Napoleone, indica
con precisione chirurgica non solo il momento in cui i
“sovranisti” si uniranno (le elezioni del 2023), ma pure che
l’alleanza (elettorale s’intende) dovrà essere pronta un anno
prima. Anzi, no, nel 2020, perché potrebbero esserci elezioni
anticipate nel 2022.
Confesso che ho trasecolato. Al netto del cretinismo
elettorale: ma come cazzo fa il D’Andrea a dare per certo che
la legislatura che inizierà la primavera prossima durerà
cinque anni? Come fa quindi a pronosticare che se ci saranno
elezioni anticipate sarà nel 2022 e non nel 2021 o nel 2019?
Nel ‘900 avremmo detto: ma D’Andrea che si fuma?

Il Nostro misura tutto, com’è evidente leggendo tutto il
pistolotto, attorno a se stesso. Infatti, tenetevi forte,
tutto sembra dipendere, intendiamo l’alleanza “sovranista”,
dal banco di prova delle elezioni regionali abruzzesi del
2019. E perché mai, vi chiederete, non dalle europee dello
stesso anno, o da altre elezioni regionali (tipo quelle in
Sicilia del prossimo 5 novembre)? Semplice, perché il FSI ha
deciso che in abruzzo scenderà in campo. Ergo: tutto dipende
dalle mosse del FSI, ovvero dalla candidatura a presiedente
dell’Abruzzo di D’Andrea.

Un simile modo di ragionare non ha per niente la forma della
profezia, ma quella più modesta del ragioniere affetto da
egocentrismo. Il Nostro, com’è noto, è un giurista, e come
ogni giurista è abituato a pensare che nel diritto la forma è
sostanza, pensa che in politica funzioni alla stessa maniera.
Errore! E vorrei dare a questo errore un nome: “formalismo
giuridico”, che consiste nelle pensare che sia il diritto, col
suo normativismo, a determinare i processi sociali e a dotarli
di senso. Nel ‘900 avremmo detto di questo atteggiamento
“voler mettere le braghe alla storia”.
E’ vero esattamente il contrario. Sono i processi sociali il
motore del mutamento, e le regole o norme giuridiche, come la
nottola filosofica hegeliana che si alzava solo al crepuscolo,
vengono sempre ex post, a babbo morto.

Intanto vorrei sommessamente ricordare che qui in Italia si
vota nella prossima primavera. Che facciamo? Nulla, è ovvio,
poiché la campagna di proselitismo del D’Andrea non ha ancora
dato i suoi frutti.

QUALE     ALLEANZA     DEI
SOVRANISTI?   di   Stefano
D’Andrea
[ 29 giugno 2017 ]
Su Appello al popolo è comparso ieri un intervento di Stefano
D’Andrea [nella foto], presidente del Fronte Sovranista
Italiano dal titolo “Le questioni del partito, dell’alleanza,
del coordinamento e del dialogo tra associazioni sovraniste”.
Pubblichiamo volentieri quanto scrive l’amico D’Andrea perché,
al netto delle differenze di merito e di metodo, suggerisce
una riflessione su un tema che ci sta molto a cuore: è
possibile l’agognata alleanza tra le forze politiche
patriottiche e sovraniste? E se sì su che basi? per che cosa?
Con che forme? E quali i tempi?
E siccome siamo in tema ci corre l’obbligo di segnalare che un
primo tentativo di alleanza è costituito dalla Confederazione
per la Liberazione Nazionale. Ci auguriamo che con questo
intervento si apra finalmente un dibattito onesto, che
coinvolga almeno gli esponenti più autorevoli della
costellazione delle forze patriottiche, democratiche e
 socialiste.
    “Le questioni del partito, dell’alleanza, del
    coordinamento e del dialogo tra associazioni
                     sovraniste”
1. La fine dell’eurozona non è “imminente”, come molti
   commentatori sovranisti, anche autorevoli, tra i quali
   Bagnai e Barra Caracciolo, hanno erroneamente a lungo
   creduto: ci attende una lunga lotta di liberazione. Quindi
   c’è il tempo per costituire l’alleanza sovranista.
2. Ho scritto alleanza sovranista e non il partito sovranista,
   perché è da presuntuosi credere che una associazione,
   politica o divulgativa, o un blog o un indistinto gruppo di
   persone possano fare tutto da soli.
3. In questa fase, quindi, bisogna impegnarsi per promuovere,
   far crescere e rendere solide le frazioni della futura
   alleanza.
4. Ne esistono parecchie, a carattere politico o divulgativo:
   il FSI, Riscossa, ALI, Interesse nazionale, Senso Comune,
   A/simmetrie, Me-mmt, altre associazioni nate dalla
   divulgazione della MMT, Confederazione per la Librazione
nazionale.
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