LA POESIA DEL GELATO TRADIZIONALE - DISSERTAZIONE MEDICO-DIETOLOGICA ANTONIO GIVOGRE
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ASSESSORATO SANITÀ Direzione Sanità Pubblica LA POESIA DEL GELATO TRADIZIONALE STRAORDINARIO CONNUBIO DI PIACERE GUSTATIVO E DI PREGIO NUTRITIVO DISSERTAZIONE MEDICO-DIETOLOGICA di ANTONIO GIVOGRE
Redatto, per la Regione Piemonte, da Antonio Givogre dottore in Medicina e Chirurgia Prima edizione ottobre 2004 http://www.regione.piemonte.it/sanita/sanpub/igiene/document_sian.htm sanita.pubblica@regione.piemonte.it
PREFAZIONE Da sfiziosità estiva e golosità da dessert ad alimento sostitutivo del pasto: nell’ultimo mezzo secolo la funzione del gelato si è radicalmente trasformata. E’ stato principalmente l’irrompere sulla scena della grande industria che, con grandi campagne pubblicitarie e tecniche aggressive di marketing, ha fatto impennare i consumi, cancellando anche la peculiarità stagionale del gelato. Attualmente ogni italiano mangia quasi 15 chili all’anno del fresco alimento. Del gelato conosciamo la composizione, il potere nutritivo, il valore calorico ed i rischi sanitari che si corrono quando produzione, conservazione e distribuzione sono igienicamente scorrette. Su quest’ultimo versante gli artigiani del gelato, sopravvissuti alla massificazione produttiva mantenendo fette significative di mercato, sono particolarmente attenti. Il mondo del gelato artigianale è ben consapevole di dover puntare tutto, pena la propria scomparsa, sulla qualità del prodotto. Sotto questo profilo i piccoli produttori sono avvantaggiati rispetto all’industria, necessariamente condizionata dai vincoli della lavorazione di serie. Il gelato artigianale gioca le sue carte sull’eccellenza delle materie prime, sul gusto e sulla quotidianità della produzione. Con risultati talvolta sublimi, non solo per il piacere delle papille ma per il godimento che si ricava nel gustare un’autentica opera d’arte, affatto svilita dal suo effimero gastronomico. Per questo va salutato con gratitudine e vivo apprezzamento questo lavoro di Antonio Givogre, clinico di vaglia e ancora così innamorato della sua professione da interessarsi anche ad aspetti solo apparentemente ai margini della pratica medica. Il dottor Givogre ci accompagna, con metodo e sapienza, lungo i percorsi del gelato, illustrandoci, con l’efficacia di chi ha indagato a fondo l’argomento, tutti gli aspetti sanitari e tecnologici. La sua prosa è, al solito, chiara e piacevole, con punte di lirismo che non contaminano per nulla l’ortodossia scientifica. Una lettura fresca e gradevole, da divorare d’un fiato in tutte le stagioni. Mario Valpreda
La poesia del gelato tradizionale Straordinario connubio di piacere gustativo e di pregio nutritivo Dissertazione medico-dietologica Guarnito di personale constatazione della devota attenzione riservata al gelato di magistrale preparazione, quale verosimile creatura, sono tentato a presentarlo, da medico e mi si perdoni, in un virtuale assetto anatomico che vedrebbe assegnati: 1. alla perizia artigianale il tessuto portante; 2. alla raffinatezza professionale la scelta qualificante; 3. alla abilità tecnica la miscela corporizzante; 4. alla estrosità artistica il tocco accattivante. Questa premessa introduttiva che eleva il prodotto in oggetto simbolicamente al rango di creatura, e in effetti tale è per la cura dedicatale, mi permette di sviluppare l’argomento in chiave simil-topografica con la precisazione che le componenti, per miglior resa dimostrativa presentate in astratto staccate, sono, in realtà, strettamente amalgamate. 1. E’ proprio alla perizia artigianale che va il merito della scelta appropriata della materia prima, ossatura, per così dire, cioè tessuto portante, come l’ho definita, rappresentata da latte, uova, panna, zucchero, frutta, che costituiscono, con presenze diversificate, la base fondamentale, strutturale ed anche nutrizionale, i cui valori sono direttamente proporzionali al pregio commerciale. 2. La scelta qualificante viene attribuita alla raffinatezza professionale in quanto il mercato odierno offre una notevole varietà di elementi di impiego e di comodità, più o meno sofisticati, comunque infirmanti il principio di genuinità di questo gelato orientato esclusivamente a naturalezza e selezione dei componenti la ricetta tradizionale che respinge inserimenti o sostituzioni di sintesi, non solo, ma anche di conservanti, esigendo esclusivamente e tassativamente il fresco, nella cui specificità e validità, e qui sta la bravura professionale del scegliere, si è particolarmente esigenti. 3. Un approfondimento descrittivo va dedicato alla riuscita della miscela che da corpo al prodotto che è frutto di impegno e di abilità dell’artigiano produttore particolarmente attento e sensibile alla caratteristica situazione che definirei di “stato fisico precario” del gelato che, non essendo né liquido né solido perché di consistenza molto fugace, subito pronto allo scioglimento e destinato generalmente , ad un troppo veloce transito in bocca, presenta doppia esigenza di riuscita negli effetti rispettivamente rappresentati dall’aspetto, nella fase di consistenza, e dal sapore, nella fase di liquefazione, entrambi ben conciliati nella riuscita presentazione. Come si può dedurre, è alla struttura della miscela che va devoluta la massima attenzione con impegno diverso a seconda del tipo di gelato che nella versione alla crema apparirebbe all’esame microscopico come sostanza schiumosa stabilizzante, solidificandosi per abbassamento termico, bollicine di aria, cristalli di acqua pura, globuli di grasso e liquido con sali, zuccheri sciolti e proteine sospese, ad una temperatura ottimale di servizio tra i –12°C e i –13°C, sommatoria favorente, morbida solidità e conseguente facilitato apprezzamento dei gusti a seconda dei rapporti proporzionali tra le varie sostanze di base determinanti gelato grasso o magro. 1
Per quanto riguarda il gelato di frutta costituito da polpe e succhi di frutta, recentemente raccolti, la base rappresentata da sciroppo di zucchero, ancor più che nel gelato alla crema, assume, qui, un’importanza determinante per la necessaria microcristallizzazione dell’acqua condizionata da densità e peso specifico della soluzione sciropposa ottenuta e che, per la migliore resa, dovrebbe aggirarsi, a temperatura media ambientale, sui 20° Bé (Beaumé), misurata con aerometro. Ho voluto che non mancasse questa precisazione perché la consistenza del prodotto finale resta caratterizzata o dal gelido granuloso qualora, anziché di piccoli, si formassero cristalli di grosse dimensioni dovuti ad impropria concentrazione dello zucchero che governa il punto di congelamento, abbassandolo, o dal meno soffice qualora la quantità di aria incorporata fosse mal dosata e mal distribuita, tanto che un gelato privo di cellule di aria sarebbe difficile da prendere con la spatola e mettere in bocca. Assolutamente nessun apporto per la compattezza o per altre caratteristiche organolettiche, essenziali o secondarie, viene richiesto alla allettante nutrita schiera di additivi alimentari elencanti: emulsionanti, stabilizzanti, addensanti, gelificanti, antiossidanti, conservanti, aromatizzanti e coloranti, ai cui primi due si ricorre generalmente per mascherare un basso contenuto di grassi, col considerabile inconveniente di gelato dalla sensazione appiccicaticcia, gommosa e sgradevole retrogusto. Voglio sottolineare che nella produzione tradizionale seria e qualificata vige la regola del fresco o recente, per non dire di giornata, ad ogni costo, pena la esclusione dalla carta delle voci per fuori stagione o per mancanza di prime scelte. Ineccepibili, dovrebbero essere, le cautele igieniche per quanto riguarda le operazioni manuali e meccaniche, la toeletta delle strumentazioni con soluzioni di estratto di varechina molto diluita e dei componenti la preparazione, particolarmente delle uova, mentre per la frutta fresca sarà sufficiente stemperarla e risciacquarla abbondantemente con acqua potabile, magari depurata e addolcita; si sa infatti che i gelati alla crema sono i più soggetti a cariche batteriche elevate tantochè, per legge, si tollerano fino a 100.000 germi per grammo e si richiede l’assenza del bacterium coli in un decimo di grammo, senza parlare poi dei germi patogeni più comunemente diffusi come salmonella, stafilococchi ed oggi anche il bacillus cereus, che trovano in preparazioni con vegetali, con uova, con latte, per questo indicato pastorizzato o ancor meglio bollito, favorevole terreno di coltura. Si sa che nella bassa temperatura del gelato tra i –10°C e i –25°C, ideale per stato organolettico ottimale a –12°C, i germi non si moltiplicano e si trovano solo germi penetrati per scarsa pulizia addebitabile a materie prime, strumenti, operatori, ambiente. 4. L’estrosità artistica è quella che appalesa al consumatore del gelato la carica sentimentale del provetto artefice e ne esalta la competenza professionale in quanto, senza il ricorso ad alchimie per colorazioni o sofisticazioni varie, l’occhio viene appagato dal saggio sfruttamento delle naturali dotazioni delle sostanze impiegate, col vantaggio che tinte pastellate permettono l’evidenziamento di fine pastosità della struttura che è la migliore attestazione di accurata lavorazione. Ma il merito magistrale, così voglio definirlo, del mastro gelataio, sta nel saper ottenere nel proprio gelato una non comune potenzialità di effetto sensoriale in quanto l’accuratezza delle dosi e il perfezionismo delle operazioni consentono una consistenza che senza sminuire il soffice dell’impasto, invita ad una maggiore permanenza in bocca accentuando la percezione mucosa e favorendo il rilievo palatale. Rimarco il riguardo al palato in riferimento alla specificità della meccanica orale di assunzione del gelato, cibo definibile, in tal senso, provvidenziale per edentuli e ottimale per tachifagi, esentato da triturazione, vera e propria, bensì destinato a dissoluzione, perché è proprio anche all’ottenimento di soddisfacente effetto da accarezzante frizione tra lingua e palato anziché da schiacciante pressione tra denti e denti, ma da delicata simulazione di insalivante masticazione che il raffinato artigiano ha adattato, con gradevole riuscita, le caratteristiche strutturali del suo 2
prodotto, il quale sciogliendosi uniformemente ed estendendosi disinvoltamente crescerebbe aromaticamente in bocca e guadagnerebbe, come da enunciazione successiva, retrolfattivamente in gola. Intendo ancora dire che questa golosità sempre pronta a sciogliersi, quale entità fisica ambivalente, a cavaliere, ripeto, tra il solido ed il liquido, anche se priva di profumo per azione del freddo, non sarebbe seconda nella competizione con altri dolci serviti a temperatura ambiente, dotati di aromatismo volatile, proprio grazie ad ipotizzata curiosa possibilità provocatoria del rilievo olfattivo ottenibile per via retronasale dalla condizione liquida e riscaldata della fase di inghiottimento che, in supplente ripresa, soddisferebbe la storica impostazione della “Fisiologia del gusto” di Brillat-Savarin ritenuta, appunto, già nel 1800, comporsi di tre sensazioni: diretta, completa, riflessa. Dal commento fatto diventa deducibile che il gelato, o meglio, questo definibile “bio-gelato” per la sua esclusiva composizione in sostanze naturali che fanno della fredda genuinità un caldo invito, guadagni, a pieno titolo,una particolare posizione nella tassonomia alimentare. Così è, infatti, perché conserva inalterati i requisiti nutrizionali delle materie prime che lo compongono e cioè i valori calorico-biologici nel gelato alla crema, i valori salino-vitaminici nel gelato alla frutta, col vantaggio, anzi, di un agevolato assorbimento e conseguente migliore assimilazione per la presentazione virtualmente cremosa, sotto forma omogeneizzata ed, in particolare, emulsionata per i lipidi del latte e dell’uovo. E’ d’uopo fare una precisazione in quanto i valori calorici sono molto vari, oscillanti tra le 100 e le 300 Kcal per 100 gr - minori per i gelati alla frutta - poveri di proteine e di lipidi, circa il 2%, non altrettanto di glucidi, superiori al 20%, sciolti in abbondante acqua, fino anche al 75% - maggiori per i gelati alla crema – normalmente espressi da 250 Kcal con tassi proteici del 4%, lipidici del 15%, glucidici del 25% e possibili punte rispettivamente oltre il 5%, il 20%, il 40%, ampie escursioni determinate dai rapporti di miscela, valori che comunque restano puramente teorici e destinati a ridursi qualora non si rispetti corretta modalità di consumo in grado di ottimizzare la fase gustativa orale e di attivare la secrezione digestiva per il derivante tornaconto nutrizionale. A tale proposito va tenuto presente che è una preparazione consumabile ad ogni età per il sano e per il malato, quale integrativo o sostitutivo, particolarmente indicata per giovani ed anziani considerato l’apporto di proteine, dette di riferimento, ad alto valore biologico fornite dal latte e dalle uova e di calcio apportato dal latte, con limitazioni per le diete ipocaloriche (ipoglicidiche, ipolipidiche) e per le dispepsie diarroiche, in quanto il freddo stimola il riflesso gastro-colico e pertanto il movimento intestinale, effetto però controllabile e riducibile con un lento consumo, comunque sempre consigliato, che oltre a gratificare per prolungato assaporamento annulla, per riscaldante insalivazione, l’abbassamento della soglia del gusto, causato dalla bassa temperatura. Sotto il profilo dietetico, va detto che il gelato alla crema, vecchia ricetta naturale, è propriamente cibo molto nutriente perché in un modesto volume contiene molte sostanze alimentari ed una correttamente dosata espansione della miscela incorporante cellule d’aria, col risultato di giusto rapporto ponderal-volumetrico in netta antitesi col gelato gonfiato di poco peso e molto volume. A chiarimento oserei dire, con ragguaglio comparativo, che 100 gr di gelato, formula genuina a base di crema, potrebbero, in buon vantaggio energetico, confrontarsi caloricamente, a un di presso, con tre uova, o con 200 gr di carne magra bovina, o con 350 gr di latte, o con tre banane, rappresentanti un valore esemplificativo, di certa elasticità approssimativa, sulle 230 Kcal; vanno, però, ritenuti non equipollenti gli effetti metabolici per derivazione da consistenze percentuali proteiche, glucidiche, lipidiche non equivalenti. Un particolare, che da solo può costituire ineccepibile attestato del livello dolciario e commerciale della produzione, è il raffinato impiego di bacchette naturali di vaniglia, dal nero baccello messicano, deliziosamente profumate, anziché l’economico ricorso alla bianca polvere di vanillina, oggi preparata per sintesi chimica da eugenolo e guaiacolo e comunemente usata. 3
Questo gelato, proprio per le sue caratteristiche di integralità organolettiche che gli assegnano, quale ghiottoneria, doppio ruolo di voluttuario e di cibario, è un austero attestato di salutare trasformazione delle frigorie esterne dell’alimento in calorie interne del nutrimento. Non voglio, infine, far mancare un possibile commento all’alta percentuale (73%) di italiani, così da un dato statistico, che preferiscono consumare il gelato nel cono. Considerato anzitutto l’utilizzo in bassa temperatura di questo alimento, unico ad offrire doppia modalità di assunzione, la diretta con lingua, la mediata con paletta, la naturale propensione al non sempre aggraziato leccamento troverebbe giustificazione pure doppia, l’una di ordine pratico, quale gelato da passeggio, l’altra di ordine che definirei fisio-voluttuario, quale conseguimento di gradito refrigerio tattile ravvivante, rilevato dalle papille filiformi del dorso linguale in esteso atteggiamento di accoglienza, unito a stimolante impegno gustativo delle papille, soprattutto fungiformi, in posizione linguale antero-laterale, devolute alla percezione del dolce di pertinenza del nervo facciale, che gode, in progressione anatomo-topografica e con rispettive competenze, della collaborazione sensoriale specifica di altri quattro nervi cranici: il glosso-faringeo, l’olfattivo, il trigemino ed il vago. Il proseguimento del percorso, come già detto, farebbe guadagnare, dalla liquefazione e conseguente diffusione di molecole odorose alla mucosa olfattiva nasale attraverso le coane del rino-faringe, appagante sinergismo gustativo-olfattivo però con effetto sensoriale, ma non psicologico identico al consumo con paletta. La minuziosità di ricerca porta alla memoria un mio scritto in cui, destando comprensibile stupore, affermavo che il latte è meglio digerito se masticato, a maggior ragione ripeto e sostengo, l’un po’ meno ardito concetto, per il gelato (soprattutto alla crema); si tratta, per entrambi, di alimenti, non di bevande, e come tali con necessità di trattamento orale di assimilabile masticazione e rispondente insalivazione indispensabili per uno sfruttamento integrale del loro considerevole valore biologico; lo si tenga, comunque, sempre ben presente, soprattutto nelle esigenze di diete ristrette ma sostanziose. Si pensi che dal senso del gusto, dell’olfatto e aggiungo anche della vista, deriva in via riflessa, per connessione con efferenze vegetative, una specifica regolazione sul processo digestivo influenzato enzimaticamente non solo su quantità ma anche su composizione, per questo ho premesso qualche, seppure sintetico, orientamento anatomo-funzionale. Esistono tutt’ora cultori rigorosi della ricetta tramandata e sono la valida espressione difensiva del marchio d.o.c. e del suo rispetto disciplinare, scrupolosamente rispettosi nell’esecuzione strumentale aggiornata che favorisce affinatezze di dosatura, di temperatura, di miscelatura, di tempistica e che fornisce garanzie igieniche essenziali, data la particolare vulnerabilità microbica del prodotto, portandolo a compimento in condizione di vantaggiosa protezione ermetica. Per quanto riguarda, poi, le prerogative naturali della materia prima impiegata può interessare sapere che l’”ice cream” statunitense, gelato alla crema senza uova fatto con latte e suoi derivati (panna, burro ecc.), che ha riscosso tanta diffusione, presenta in ricetta agenti stabilizzatori ed emulsificatori, seppure in dose modesta, per assolvere alla naturale funzione legante, mancante dell’uovo che aumentando la viscosità della miscela ne impedisce il rapido congelamento, causa incresciosa di grossi cristalli di ghiaccio. Apprendiamo con una certa frequenza la notizia di scorribande del gelato fuori famiglia dolciaria, esempio recente il gelato al gorgonzola seguito dal gelato al barolo, più capibile, e altre stranezze gustative, dubbiamente stuzzicanti anche se magari ipotizzate per appetitose concertazioni. Queste curiose, però forzate, interpretazioni di ruoli improprii non sembrerebbero gastronomicamente valutabili quali perfezionamenti, bensì quali cimenti determinanti evidenti sconfinamenti. I continui tentativi di elaborazione denotano il notevole interesse commerciale riscosso dal gelato, oggi non più classica espressione soltanto stagionale, avendo ormai superato le barriere climatiche, in virtù di convincente offerta e facilitato acquisto, con derivante comodo inserimento 4
alimentare; ma attenzione ad assegnargli compiti che non rispettino le sue caratteristiche strutturali e i suoi requisiti organolettici, in stretta correlazione con l’accettabilità e la disponibilità gustativa e conseguentemente digestiva, pena il disorientamento di consumo e la perdita del riservato bromatologico prestigio e forsanco del meritato economico fastigio. In sostanza, bisogna scongiurare la possibile denigrante metamorfosi dello stuzzichevole auspicato in stomachevole malaugurato, per turbamento gastrico, quale spiacevole conseguenza di coatte originalità. Mi auguro una ragionevole interpretazione della mia preoccupazione medica all’idea di rendere il gelato vettore delle più svariate sostanze commestibili di cui alcune, tipo frutta e vini, di collaudato, soddisfacente inserimento, quindi di diffusa incondizionata accettazione. La perplessità nasce dal fatto che una consumazione normalmente servita calda o a temperatura ambiente e con sapidità salina, venga offerta, invece, addolcita e straordinariamente gelida, notevolmente sotto lo “0” e pertanto, seppure ispirata alla enogastronomia locale e in amalgama cremoso, trovi impreparato il sistema digestivo neuroenzimatico geneticamente ed educativamente diversamente disposto. Certo queste laboriose presentazioni sono accattivanti e spingono alla degustazione istintiva non alla consumazione continuativa e non potranno mai spodestare il gelato di ricetta tradizionale proprio anche per la sua guadagnata possibilità di connaturarsi nella dietetica quotidiana. Più che ritocchi a scopo stimolativo sensoriale, validi se logici, è la collocazione rapportata alla composizione che andrebbe più approfonditamente considerata per un giusto inserimento del gelato nella programmazione calorica alimentare, in modo da favorire intelligentemente lo sviluppo della innegabile potenzialità di prezioso benefattore metabolico umano senza limiti di età e di sesso. Ai molti che fruiscono di tanto vantaggioso godimento gustativo fornito dal gelato da passeggio vorrei ricordare che il merito, tra molti aspiranti, è stato assegnato all’italiano immigrato negli Stati Uniti Marchioni che seppe ingegnosamente sfruttare, con torsione ed arrotolamento obliquo, le cialde, proficue progenitrici artigianali dell’attuale cono, fornite, anni prima, come “zalabie”, paste dolci medio-orientali, dal pasticcere siriano Hamwi, anche lui immigrato, al gelataio americano Formachou che aveva esaurito i rudimentali cartocci in cui serviva le sue creme gelate durante la fiera cittadina di Saint Louis, Luisiana, a fine luglio 1904, episodio proprio ora centenario. Anche ad altro italiano, il fiorentino Buontalenti, secondo alcuni, è attribuita l’invenzione del gelato il cui sviluppo commerciale risulterebbe essere iniziato in Toscana, dove era servito nei banchetti di corte dei Medici, nel XVI secolo. Di tanto piacere non dovrebbero essere privati i non pochi diabetici per i quali, sempre si intende, nel rispetto di concessioni medico-dietetiche, sarebbe auspicabile la disponibilità di un gelato non zuccherato che già alcuni anni fa potei constatare in espressione anch’essa artigianale e forse anche unica. Si tratta, per evitare un ulteriore aumento del glucosio già eccedente nel sangue, di sfruttare l’azione dolcificante di alcuni edulcoranti sintetici o naturali tipo: • l’aspartame, sostanza sintetica circa 180 volte più dolce dello zucchero, che non dà calorie né retrogusto amaro come la saccarina; • l’acesulfame K, altro dolcificante sintetico circa 200 volte superiore allo zucchero, imparentato chimicamente con la saccarina e anch’esso privo di potere calorico, se si eccede nell’assunzione può provocare diarrea. Aspartame ed acesulfame K sono entrambi sfruttabili a dosaggio molto basso in considerazione del loro alto valore dolcifico e della Dga (dose giornaliera accettabile) quantificata in 9 mg/kg di peso corporeo per l’acesulfame K e 40 mg/kg di peso corporeo per l’aspartame, con riserva di suo consumo per gli affetti da fenilchetonuria, data la presenza di fenilalanina nella formula; • il lattitolo, prodotto di idrogenazione del lattosio, che sembrerebbe agire pure come ipocolesterolemizzante; 5
• il sorbitolo, debole dolcificante con funzioni anche di addensante e stabilizzante e con effetto lassativo al di là di sicuri 20 g raccomandati; • i ciclammati (di sodio e di calcio), con potere dolcificante trenta volte superiore allo zucchero e Dga di 11 mg/kg di peso corporeo. Sarebbero ancora in corso studi su cancerogenesi, mutagenesi e teratogenesi; • la saccarina molto conosciuta e diffusa, con potere dolcificante da 300 a 500 volte superiore allo zucchero e Dga di 2,5 mg/kg di peso corporeo, però temporanea, pare esistano riserve su cancerogenicità per dosi molto elevate. A scopo puramente nozionistico ho pensato di presentare alcuni degli edulcoranti sfruttabili segnalando di essi anche i risvolti negativi, fortunatamente solo a dosaggi molto superiori al normale impiego; sono privi, comunque, di valore nutrizionale e sono compatibili con il regime alimentare diabetico. Però una ulteriore, presumibilmente fruttuosa, assegnazione per il gelato in generale e per il tradizionale in particolare, considerata la sua genuinità, non si è ancora verificata; alludo al suo impiego nella dietetica di sofferenze, convalescenze, disappetenze, senescenze, quindi in ambito di esigenze varie di salute dalle pediatriche alle geriatriche e in sedi diverse dalle domiciliari alle ospedaliere. Si pensi agli ostinati rifiuti di cibo delle anoressie nervose, ai disagi di masticazione di competenza odontologica o neurologica, alle odinofagie degli ammalati od operati alla gola, che deglutiscono con molto dolore, alle disfagie funzionali od organiche prettamente esofagee, per disturbi di canalizzazione e quindi deglutizione ostacolata, alle difficoltà gastriche per boli alimentari poco insalivati o poco sminuzzati e mi fermo ai già abbastanza seri problemi di consistenza e di transito del cibo. I multiformi quesiti si prospetterebbero meno ardui con opportuno impiego del gelato, insostituibile soccorritore nelle difficoltà alimento-nutrizionali, cito, quali esempi, il delicato passaggio da alimentazione parenterale ad orale, in severe situazioni, e la assunzione dolorosa del cibo nel mughetto, candidiasi delle membrane mucose della bocca dovuta al fungo candida albicans che causa afte o macchie biancastre seguite da ulcerazioni. Qui richiede inserimento ed argomentazione la straordinaria riduzione della salivazione e della lacrimazione permanente e lentamente progressiva che si verifica nella sindrome di Sjögren e che costringe il paziente a bere continuamente durante la masticazione del cibo al fine di imbibire il bolo altrimenti non deglutibile per aridità da difetto di insalivazione appesantendo necessariamente, per inconsueta esigenza, il consumo del pasto e indebolendo conseguentemente, per eccessiva diluizione, la già carente disponibilità enzimatica digestiva. Riferimento opportuno per specificità di condizione e per attualità di osservazione in quanto, proprio da giorni, sto seguendo, con particolare attenzione nutrizionale, una signora affetta da questa penosa connettivite sistemica, definita anche epitelite autoimmune, che nel caso, si presenta associata ad artrite reumatoide. In queste circostanze l’apporto alimentare, diversamente problematico, diventerebbe possibile grazie all’azione anestetica, pertanto antidolorifica, del freddo nella fase solida e la dotazione di facile scorrevolezza, nella successiva fase liquida, favorente la deglutizione, singolare, sinergica prerogativa del benemerito gelato. Proprio in virtù di questi requisiti, nella seria infermità di marcata carenza secretoria considerata, il gelato si propone assimilabile a eccezionale “companatico-slitta” per il provvidenziale scivolamento in grado di fornire mangiandolo con prodotti secchi di pasticceria che, se caloricamente necessari e proficui, presentano, come il pane, ovvie riserve nell’essere convogliati in gola. Per i motivi qui addotti e per il notevole invecchiamento in atto della popolazione bisognosa di un corredo alimentare con apporto non solo energizzante ma anche invitante e rallegrante, senza essere ingombrante, oso ipotizzare che ben presto, in considerazione della sua polivalenza, ora appena accennata, suscitante meritatamente interesse gastronomico, dietologico, psicologico e 6
perfino clinico, il gelato possa assurgere al ruolo di “alimento-medicamento”, e tale definirsi per antonomasia. La dietetica dello sport, poi, non vanta migliore attenzione per il gelato di quella della sofferenza, pur esigendo non solo mantenimento della salute ma anche efficienza fisica e rendimento agonistico. Il notevole sviluppo delle varie attività sportive ad ogni livello sociale, quale fenomeno di massa, evidenzia sempre più la necessità di un appropriato regime alimentare disinvoltamente, economicamente e diffusamente praticabile che rispetti le esigenze nutrizionali assegnabili ad ogni singola disciplina.. Il problema si fa molto complesso e qui non certamente trattabile ma solamente indicabile perché oltre alle spettanze energetiche per il costo calorico delle numerose attività sportive, si devono rispettare le personali caratteristiche eredosomatiche, biotipologiche e psicocostituzionali della ragguardevole schiera di giovani con possibilità attitudinali di rendimento indubbiamente singolari che si accingono alla fatica sportiva relativa ad attività classificabili in: - prevalentemente aerobiche, perché di lunga durata, sport estensivi, di resistenza, tipo maratona, ciclismo su strada, sci di fondo, ecc.; - prevalentemente anaerobiche, perché di breve durata, sport intensivi, di potenza, esplosivi, tipo corsa veloce, lanci, salti, sollevamento pesi, ecc.; - di forma mista, aerobico-anaerobiche alternate, perché di avvicendamento estensivo ed intensivo, quali calcio, pallavolo, rugby ecc. A questo inquadramento fa seguito la scelta di un apporto alimentare qualitativamente, quantitativamente, ritmicamente idoneo per fasi di: allenamento, ritiro collegiale, preparazione alla gara, intervallo di gara, dopo gara, situazioni che ho voluto brevemente elencare a giustificazione esplicativa del mio intendimento alimentare in quanto tutti richiedenti reintegrazione energetica, plastica, enzimatica, idrica, minerale, vitaminica con tipologia di composizione, modalità di presentazione, tempistica di assunzione del carburante consone. Preso atto di quanto esposto, la proposta di inserire il gelato, nutriente secondo tradizione, da solo o in combinazione nei rispettivi programmi delle discipline atletiche, appare scontata proprio per essere un alimento gratificante, ricaricante, di veloce consumo, minimo ingombro, rapido assorbimento, ottimo sostituto e più piacevole, perché rinfrescante oltrechè gustoso, dei centrifugati vegetali o degli alimenti formula del commercio, specie in limitazioni orarie. Verrebbe così, anche in queste particolari situazioni di specifiche necessità fisiologiche, riconosciuta al gelato la sua giusta funzione di razionale alimento anziché la modesta assegnazione di banale supplemento. Non voglio tralasciare un dovuto particolare cenno alla cialda, frutto di arte molto antica che in Italia risale al 1400 coi cialdonari, consistente in sottile impasto di farina, burro e zucchero, cotta in stampi arroventati, immancabile, gradita compagna del gelato in coppa, elettivamente accordabile col tradizionale per storica attinenza, donatrice di piacevole croccantezza alle prime cucchiaiate e soprattutto valido invito e opportuno, virtuale promemoria, in apertura di consumo, per la masticazione da me incessantemente perorata, al fine di giovevole apporto nutrizionale. Non vorrei, però, che lo sviluppo descrittivo particolareggiato dell’argomento qui trattato, dovesse risultare solo incensante per il gelato tradizionale e, ben lontano, screditante per la gran parte dei gelati offerti dal mercato costituiti da una base di semilavorati e per il gelato industriale, di cui vanno apprezzate, in impegnata concorrenziale gara di bravura, accuratezza di trattamento, scrupolosità di igiene, rigorosità di conservazione, nonché originalità di presentazione e praticità di confezione caratterizzanti ghiotta espressione alimentare. 7
A questo riguardo, tra la ricca serie di confezionati, il gelato ricoperto di cioccolato e caramello, in dose da spuntino, è una riuscita, comoda scoperta che per la consistenza del suo squisito rivestimento favorisce il rispetto della mia raccomandazione di gustare con fisiologica utilità, sfruttando opportuna masticazione. Aggiungo, per incuriosante pertinenza, che, da osservazione occasionale, disinteressata parrebbe configurarsi una avvalorante proprietà benefica del gelato anche nel tifoso sportivo che, consumandolo mentre segue sul televisore le partite, in particolare di calcio, trarrebbe auspicabile pacatezza contrapposta a incontrollabile irrequietezza per effetto del ricavo di equilibrata reattività emotiva. Sorge qui incalzante, dirimente interrogativo, sulla attribuzione del merito: a freddo rigoroso, a sapore pretenzioso o a loro sinergismo portentoso e, sottilizzando, chi è più propiziante: il tradizionale, il semilavorato o l’industriale ? A volonterosi ricercatori la minuziosa sentenza. Mentre concludo questa relazione, mi domando se il gelato tradizionale risponda in assoluto alle esigenze di perfezione in composizione, lavorazione, igiene (anello debole della catena) e aspetto, qui delineate e se i già validi supporti gastronomici e tecnici siano integrabili da ulteriori apporti scientifici. Ebbene, con intendimento di severa critica e con valutazione prettamente sanitaria orientata all’equazione “alimento=salute”, che la scrupolosa disamina eseguita mi ha spinto ad estendere a “=medicamento”, mi sento per ora, ritenendo soddisfatti i requisiti richiesti, di incoraggiare l’avvio a maggior sviluppo informativo sulle peculiari prerogative di questo gelato e sulle corrette modalità di tradurle in benefico consumo, ravvisando i salutari vantaggi di questa preparazione scrupolosamente rispettosa della genuinità che diventa prelibatezza restando naturalezza. L’espressione compiaciuta di partecipata golosità del gustante, in cono o in coppa, mi suggerisce di evidenziare l’inavvertibile, ma non per questo inammissibile, effetto sociale del gelato che, senza tema di concorrenza e senza limiti di censo, unico nel novero gastronomico, concede per contenutezza di costo, anche al misero, livellandolo all’abbiente, il lusso della genuina soddisfazione che è anche e soprattutto biologica carburazione e psicologica gratificazione. Coerente, gradita interpretazione dietologica di questo mio scritto sarà premio ambito all’intendimento di poter contribuire, con cognizioni mediche, all’evidenziamento del valore nutrizionale da assegnarsi al gelato il cui svisceramento analitico non deve disturbare e tanto meno frenare l’istintiva spinta della naturale golosità per la rallegrante ghiottoneria che il creativo moderno mercato offre in molteplici presentazioni non solo propizianti congeniale sapore, ma anche procuranti gioviale umore. 8
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