LA "DIETA MEDITERRANEA", IL PAESAGGIO E LE COMUNITÀ LOCALI

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LA "DIETA MEDITERRANEA", IL PAESAGGIO E LE COMUNITÀ LOCALI
Cultural Heritage. Present Challenges and Future Perspectives ‐ Roma, Università Roma Tre, 21‐22 novembre 2014

                  LA “DIETA MEDITERRANEA”, IL PAESAGGIO E LE COMUNITÀ LOCALI

                                                  Antonio Bertini
                        Ricercatore CNR ‐ Istituto di Studi sulle Società del Mediterraneo

     1. La “Dieta mediterranea”
Il 16 novembre 2010, l'Unesco ha incluso la “Dieta mediterranea” nella Lista del Patrimonio Culturale
Immateriale dell'Umanità. Per “Dieta” si deve intendere, come suggerisce l’etimo greco, “stile di vita”, cioè
l’insieme delle pratiche, delle rappresentazioni, delle espressioni, delle conoscenze, delle abilità, dei saperi
e degli spazi culturali. Le popolazioni del Mediterraneo hanno creato e ricreato, nel corso dei secoli, una
sintesi tra l’ambiente culturale, l’organizzazione sociale, l’universo mitico e religioso intorno al consumo dei
pasti. Ciò ha dato adito anche alla creazione dei luoghi, delle strutture dove svolgere quello che, in tempi
non lontani, era un rito. L’atto di cucinare è un aspetto importante del rapporto tra uomo e natura, in
quanto comporta una manipolazione della natura funzionale alle esigenze umane: essa viene, cioè,
trasformata in cultura, acquista una funzione e dei significati propriamente umani. I comportamenti
alimentari hanno a che vedere con i paesaggi perché incidono sull’uso delle risorse, sulla scelta delle colture
agricole e degli animali da allevare (Fig. 1).

     Fig.1 ‐ I paesi mediterranei e le loro regioni. Nella carta sono stati localizzati i quattro centri (cerchietto nero e
  toponimo) che si sono fatti promotori della “Dieta Mediterranea” presso l’Unesco: Chefchaouen in Marocco, Soria in
 Spagna, Pollica (Pioppi) in Italia e Koroni in Grecia. La carta di supporto è particolarmente interessante e significativa,
  in quanto riporta gli indicatori principali che concorrono a definire lo “spazio mediterraneo”. Con il tratto rosso sono
riportati i limiti amministrativi delle province che prospettano sul mare; con la campitura verde, l’areale bio geografico
   dell’ulivo e, con la sottile linea continua azzurra, lo spartiacque che delimita il bacino idrografico del Mediterraneo
                                                    (Fonte: Plan Bleu 2003).
LA "DIETA MEDITERRANEA", IL PAESAGGIO E LE COMUNITÀ LOCALI
Cultural Heritage. Present Challenges and Future Perspectives ‐ Roma, Università Roma Tre, 21‐22 novembre 2014

La Dieta Mediterranea1 costituisce anche un insieme di pratiche e tradizioni che vanno dal paesaggio alla
tavola, includendo le colture, la raccolta, la pesca, la conservazione, la trasformazione, la preparazione e il
consumo di cibo.
La pratica della dieta mediterranea si fonda nel rispetto per il territorio e la biodiversità e garantisce la
conservazione e lo sviluppo delle attività tradizionali e dei mestieri. Il recupero dello stile di vita
mediterraneo rappresenta per le comunità un elemento fondamentale, di aggregazione e coesione sociale;
determina lo sviluppo della cultura e rappresenta uno stile di vita sostenibile. La sua diffusione può
contribuire, inoltre, a risollevare le sorti di molti dei centri sparsi sul territorio che sono stati svuotati dei
contenuti e dei ruoli per cui erano sorti. Fino a qualche decennio addietro un paesaggio agrario ci forniva
importanti informazioni sulle abitudini alimentari della popolazione che lì viveva, in quanto gran parte dei
prodotti agricoli veniva consumato in loco e così il paesaggio era vario, perché poli colturale. Oggi, invece,
vi è una prevalenza di paesaggio agrario mono‐colturale. Ciò si manifesta in un aspetto più monotono del
paesaggio e con una popolazione la cui attività economica, è legata alla commercializzazione delle derrate.
Attraverso l’alimentazione, oltre a migliorare la salute dei cittadini e produrre un’utile prevenzione, si
possono compiere passi importanti nel campo della sostenibilità.

    2. Il paesaggio e le comunità locali
L’affermazione relativamente recente di nuove politiche tendenti a promuovere le dimensioni
locali, mettendo in rete le diffuse e articolate diversità di esperienza, cultura e identità e
costituendo una offerta tendenzialmente multiforme, ha determinato un clima favorevole ad una
rilancio della questione dei centri di piccole dimensioni in contesti di sviluppo nuovi, rendendo
disponibili risorse, strumenti e disponibilità prima inusuali. Nelle aree rurali, sin dagli anni
cinquanta del secolo scorso, si è verificato un intenso flusso migratorio in uscita, causa di forti
squilibri territoriali e di un cambiamento sostanziale delle tradizionali modalità di vita all'interno
dei centri. La diminuzione di attivi nel settore agricolo, al contrario di quanto è avvenuto nel Nord
Italia, non si è correlata ad una modernizzazione e meccanizzazione in grado di incrementare il
livello di produttività del suolo. La perdita considerevole di risorse umane ha determinato forti
cambiamenti nel paesaggio rurale.
Molte delle aree rurali interne del Mezzogiorno d’Italia non sono state ancora interessate da
scelte economico produttive tali da stravolgerne l'identità originaria e deturparne i caratteri; le
dimore. I centri rurali conservano un equilibrato rapporto con il territorio circostante, presentano
intatta la fisionomia di borghi inseriti in un contesto paesaggistico di indubbio valore in cui
l'attività agricola e quella zootecnica costituiscono ancora oggi settori trainanti nel bilancio locale.
Soprattutto nei centri non coinvolti dagli attuali processi di espansione dovuti al decentramento
demografico delle grandi città, le matrici culturali di questo mondo, i sistemi e le logiche di
produzione, gli stessi ritmi della vita quotidiana sono scanditi ed inequivocabilmente riflessi nelle
strutture insediative degli spazi che si aprono all'interno delle case rurali e nei luoghi d'incontro
della comunità (Cassano, 1998).
In Italia più che in altre parti quale eredità di un passato intenso, stratificato e in molti casi conservato,
esiste un vero e proprio “sistema” composto dal centro storico, che è al tempo stesso origine ed effetto
dell’insieme, e dalle strade, i canali, i tratturi, le ferrovie, le masserie, le fontane, i lavatoi, le cappelle rurali:
in altre parole il “territorio storico”. I centri storici poco noti dispongono solo di patrimoni culturali
“minori”, ma anche di patrimonio immateriale quasi totalmente inesplorato (memoria e sapere orale, riti,
manifestazioni di cultura popolare tradizionale, lingue ancestrali…), di recente al centro dell’attenzione
dell’Unesco. Bisogna restituire dignità anche ai centri abitati interni che sono stati svuotati di tutte quelle

1
 Il riconoscimento da parte dell’UNESCO della “Dieta Mediterranea” quale patrimonio culturale immateriale è stato ufficialmente
sancito dalla Regione Campania con legge regionale n. 6 del 30 marzo 2012 e pubblicata sul B.U.R.C. n. 22 del 10 Aprile 2012.
Nell’art. 1 della legge è detto: “La Regione Campania valorizza la dieta mediterranea come modello di sviluppo basato sui valori di
questo tipo di alimentazione e stile di vita dal punto di vista culturale, sociale, storico, gastronomico, alimentare, ambientale,
paesaggistico e dei costumi”.
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funzioni e di tutti quei ruoli anche culturali che costituivano il legante delle comunità che in essi vivevano.
Bisogna puntare a interventi strutturali, ad attività legate alle peculiarità delle aree per creare occasioni
lavorative durature, non stagionali, non precarie. Si deve puntare allo sviluppo della società civile
mettendo a frutto le potenzialità che il Mezzogiorno già possiede ma che, in gran parte per la presenza
delle mafie e in parte per una pessima classe politica che si è succeduta nei governi nazionali, regionali e
locali non si è riusciti a trasformare in economia2.

 Fig. 2 ‐ Pioppi, Pollica, Campania: Palazzo Vinciprova edificato nel XVIII secolo dalla famiglia Ripolo, mercanti originari
  della Catalogna. Attualmente di proprietà comunale, il palazzo/castello è sede del “Museo vivo del mare”. Nel 1970
      nella struttura si è tenuto il Secondo Congresso Internazionale di Cardiologia presieduto dal prof. Ancel Keys,
   ricercatore statunitense e padre della dieta mediterranea, che ha vissuto nel Cilento per quaranta anni proprio per
studiare i benefici effetti sull’uomo, in generale, e sulla salute umana, in particolare, dello stile di vita cilentano. Eredità
 moderna di quell’antichissimo retaggio della Scuola Filosofica di Parmenide e del Collegio Medico di Elea‐Velia per cui
    “Sapere, Cultura e Pensiero” furono intesi come strumenti a servizio del benessere psico‐fisico della popolazione.

La diversità dei paesaggi culturali è un patrimonio prezioso in quanto costituisce per le regioni
un'immagine della loro identità, una testimonianza della storia ed un'espressione dell'interazione
tra l'uomo e la natura. A fianco di politiche di protezione dei siti più notevoli dovranno essere
pensati anche una ricostituzione ed un recupero "creativo" dei paesaggi degradati da varie attività
umane.
Incentivando il recupero della dimensione culturale espressa in tali centri, in una prospettiva
moderna e competitiva, la funzione agricola potrà svolgere un ruolo prevalente, purché assuma un
nuovo significato attraverso attività che la proiettino in una dimensione produttiva, che ne
realizzino un’ottimizzazione non soltanto in senso quantitativo ma anche qualitativo, con

2
   Non bisogna dimenticare che Angelo Vassallo, sindaco di Pollica, è stato ucciso il 6 settembre 2010. Anche in questa area
l’infiltrazione malavitosa condiziona il libero svolgersi della vita, così come nell’intera Campania, Puglia, Calabria e Sicilia.
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l’adozione di politiche di trasformazione delle tecniche tradizionali.
Dalla rivalutazione e valorizzazione delle risorse culturali e ambientali, infatti, si deve partire per
ipotizzare un recupero di sistemi territoriali ed insediativi posti al di fuori di circuiti economici e
produttivi consolidati. Il ruolo dei centri abitati di dimensioni contenute dovrà essere anche quello
di laboratori, di centri di ricerca dove si studia e si attua, più utilmente e facilmente che nelle
grandi città, la riconquista della lentezza (Cassano, 1996), dei ritmi umani collegati alla qualità, non
alla quantità, ai tempi stretti, ai limiti temporali che mettono in crisi la qualità stessa della vita.
Ciò che deve avvenire, e che in parte in alcune aree sta già avvenendo, è il passaggio da una
dimensione economica culturale e politica tendenzialmente centralizzata e assistenziale, ad una
policentrica tesa a promuovere non solo le risorse, ma anche le soggettività.

   3. Conclusioni
Impegnandosi nella salvaguardia dei cibi, delle tecniche colturali e di trasformazione, si tutela la
biodiversità delle specie, ma anche la varietà delle culture e, quindi, dei paesaggi. Le
caratteristiche o le peculiarità dei diversi tipi di piante e animali, le acque, le pianure o le
montagne, ma anche le forme di agglomerazione, l'architettura degli abitati, le diverse tecniche di
sfruttamento agricolo: sono tutti questi elementi messi insieme a rendere materialmente vivibile il
patrimonio di una regione. “Dovremmo lasciare alla nostra progenie una civiltà, non solo un
capitale” (Giacomini e Romano, 1982), scriveva agli inizi degli anni ottanta Valerio Giacomini.
Promuovendo l’agricoltura biologica e le buone pratiche agronomiche che consentono di tutelare
le risorse sotto il profilo qualitativo e quantitativo, si aumentano e mantengono la qualità del
territorio, la fertilità organica del suolo ed il sequestro di carbonio. Incentivando il ruolo
dell’agricoltura attraverso la valorizzazione delle filiere agricole di qualità ecologica e progetti
legati alla multifunzionalità ed alla produzione sostenibile, con particolare attenzione alle piccole e
medie imprese si può contribuire a raggiungere uno degli obiettivi prioritari per trattenere la
popolazione. La filiera corta che in anni recenti si sta sempre più affermando, può costituire il trait
union tra la rinnovata politica agricola e la città che attinge i prodotti alimentari quotidiani nei
pressi dell’area dove vive e dove il rapporto stretto con il territorio contribuisce ad elevarne la
qualità paesaggistica.
Perché ciò si realizzi, è necessario che i processi di sviluppo partano dai soggetti locali più attivi ed
attenti a queste problematiche. Rigenerare il micro‐tessuto produttivo artigianale e commerciale,
anche attraverso la ripresa di attività tradizionali legate alla cultura del territorio, può costituire un
punto di forza, un fattore trainante per l’economia stagnante di piccoli centri rurali e, nello stesso
tempo, un modo per non stravolgerne l’identità (Vinci, 2007).
I centri rurali potranno riacquistare un ruolo ben definito nell'organizzazione del territorio e,
quindi, riappropriarsi della tradizionale funzione di controllo, gestione, smistamento o
commercializzazione dei prodotti agricoli. La funzione agricola può ancora svolgere un ruolo
prevalente, purché assuma un nuovo significato attraverso attività che la proiettino in una
dimensione produttiva, che ne realizzino un’ottimizzazione non soltanto in senso quantitativo ma
anche qualitativo, con l’adozione di politiche di trasformazione delle tecniche tradizionali.
L'approccio locale, o meglio territorialista, vuole imprimere nuova vitalità alla teoria sostenibile,
che si basa sul rispetto delle realtà locali quale fondamento di un'azione che miri a riconoscere il
potenziale endogeno, l'identità culturale, le risorse territoriali. In questo modo si realizza una
dimensione altrettanto rilevante della sostenibilità: la sostenibilità culturale.
Sviluppare attività di green economy coerenti con le finalità di elevata tutela ambientale
(agricoltura di qualità ecologica, turismo formativo, uso di energie rinnovabili, efficienza
energetica degli edifici, forme di mobilità sostenibile, raccolta differenziata e riciclo dei rifiuti ecc),
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nelle parti di tali aree dove sono presenti insediamenti e attività economiche, contribuisce a
mantenere e aumentare la qualità dell’ambiente e offre occasioni di sviluppo e di lavoro
impensabili solo fino a qualche anno addietro.

    4. Bibliografia
AA.VV., Che fine hanno fatto i centri storici, Urbanistica Informazioni n. 212, 2007, pp. 7‐42.
A. Bertini, Centri storici in aree protette: problemi e prospettive, in F. Jannuzzi, (a cura di), Il parco regionale
dei monti Lattari: tutela per lo sviluppo. Il corso regionale CAI per operatori di tutela ambientale, Francesco
Giannini , Napoli, 1999, pp. 149‐165.
F. Cassano, Il pensiero meridiano, Laterza, Bari, 1996.
F. Cassano, Paeninsula. L’Italia da ritrovare, Laterza, Bari, 1998.
V. Giacomini e V. Romani V., Uomini e Parchi, Franco Angeli Editore, Milano, 1982.
I. Vinci I. (a cura di). Piani e politiche territoriali in aree parco. Cinque modelli di innovazione a
  confronto, Franco Angeli, Milano, 2007.
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