ISTITUTO COMPRENSIVO STATALE "GIOIOSA-GROTTERIA

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Carissimi lettori,
è sempre con immensa gioia e soddisfazione che scrivo questo editoriale!
Il progetto rimane sempre lo stesso ma i protagonisti cambiano, diventano sempre più
numerosi, più consapevoli, più responsabili… Sì, sto parlando proprio di loro… i nostri
ragazzi!!!

Proprio loro, con le loro idee e con il loro entusiasmo permettono a questo “Giornalino
d’Istituto” di esistere, di rinnovarsi e di raccontare il nostro modo di fare scuola, di essere
scuola…
Una scuola dinamica, vivace e straordinariamente legata al territorio, una scuola che investe
tutte le proprie energie nel far sentire i ragazzi al centro del loro percorso didattico,
protagonisti del loro sapere e saper fare, una scuola che, pur rimanendo ancorata al
passato, è proiettata nel futuro, ben consapevole che non si costruisce il domani se non si
fa tesoro di ciò che è stato ieri! Una scuola che si fa promotrice, testimone e portavoce di
ideali di giustizia, di uguaglianza e di tolleranza… che, anche tra mille difficoltà, non si
arrende di fronte a mentalità mafiose e condanna ogni forma di violenza, una scuola
consapevole della grande responsabilità di cui è investita.

Nel “dirigere i lavori” mi rendo conto di quanto, di anno in anno, i nostri alunni, sentano di
appartenere sempre di più ad un'unica grande famiglia, senza distinzione di ordini di scuola
o di plessi e questo grazie alla nostra Dirigente prof.ssa Marilena Cherubino, che, spende
molte delle sue energie affinché questo si possa realizzare e, tra le tante iniziative, ha voluto
che questo Giornalino diventasse la voce di tutti, non solo l’esperienza di un’unica classe!
Credo che quest’unica considerazione basti a continuare a lavorare in questa direzione!

Anche in questo numero, inoltre, troverete la sezione dedicata al bullismo, curata, come
sempre, dalla responsabile alla legalità prof.ssa Concetta Macrì.

Vi auguro buona lettura, ringraziandovi per il tempo che ci dedicate!

                                                     Prof.ssa Lara Vestito
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  INAUGURAZIONE SCUOLA PRIMARIA DON MINZONI

                                     25 gennaio 2019
un data storica per il nostro Istituto: inaugurazione del nuovo plesso “Don
Minzoni” della Scuola Primaria.
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La nostra Dirigente ha voluto che non mancassero “i giornalisti” per un
servizio da inserire nel nostro giornalino e così eccoci qui “inviati
speciali”...
C’era tanta gente che aspettava davanti alla scuola, e non si è lasciata
scoraggiare dal mal tempo, ma sfidando pioggia e freddo ha atteso che
arrivassero tutte le autorità. I bambini della scuola primaria, in fila e ordinati
avevano fatto un corridoio di palloncini bianchi rossi e verdi, davvero una
bella scenografia!
Gioiosa in festa!!! E’ stato emozionante il momento in cui il nastro è stato
tagliato: i bambini hanno fatto volare palloncini e i nostri compagni della
scuola secondaria di 1 grado hanno suonato l’Inno di Mameli e l’Inno alla
Gioia. Alla fine dell’esibizione l’insegnante di strumento prof.ssa Lucilla
Vozzo, con giusto orgoglio, ha detto: “Gioiosa è anche questa!”
Una volta entrati, il Vescovo, Sua Eccellenza mons. Francesco Oliva, ha
benedetto i nuovi locali della Scuola.
La nostra preside ha accolto tutti e, nel salutare le autorità presenti, ha
esordito dicendo: “Oggi siamo qui per inaugurare la nuova scuola primaria
Don Minzoni, una scuola storica per Gioiosa. Questa bellissima scuola è
molto importante perché ha il compito di formare i nostri futuri cittadini,
sono felice di essere qui oggi, perché l’apertura di questa scuola è un
momento molto importante per questo paese e, per tutto l’istituto”.
La preside ha terminato il suo intervento dicendo che grazie a questa scuola
si potranno aprire nuovi laboratori che, prima erano chiusi per mancanza di
spazio.
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Il secondo intervento è stato quello del nostro sindaco Salvatore Fuda che
ha ringraziato il corpo docenti e tutti i genitori, il Consiglio d’Istituto e tutti
coloro che, con il loro aiuto, hanno reso possibile la realizzazione di questa
scuola.
“Questa nuova scuola è all’avanguardia: ci sono nuovi sistemi antisismici,
nuove tecnologie che consentono il risparmio energetico… E’ un’opera
pubblica che fa iniziare un percorso riguardante l’edilizia scolastica: c’è
infatti un altro cantiere che è quello della scuola dell’infanzia che dovrebbe
essere terminato entro un anno, e non dimentichiamo il liceo scientifico,
altro cantiere aperto…
Questa è una giornata importante per la comunità, perché la costruzione di
nuovi edifici scolastici permette ai nostri ragazzi di crescere e di formarsi in
contesti sempre migliori. Bisogna mantenere le cose così come sono, con
senso di responsabilità, ognuno deve fare la propria parte per mantenere
questa scuola!”
Sono poi intervenute tutte le altre autorità presenti, ed ognuno di loro ha
sottolineato l’importanza della scuola… noi ragazzi, a volte guardiamo alla
scuola in modo sbagliato, ci lasciamo sopraffare dalla fatica dell’impegno,
anche se la scuola non è solo questo…oggi più che mai abbiamo avuto
chiaro in mente quanto la scuola sia importante…è a scuola che ci formiamo
per essere i cittadini del futuro!
“Scuola segno di speranza” sono state le parole del Vescovo, “Una scuola
capace di formare l’uomo del domani, che sia adulto nel cuore, nei rapporti
umani, questo adulto così formato è quel brivido che riesce a sopraffare
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mentalità violente e illegali” ha incitato il Prefetto! Questo ci auguriamo per
la nostra scuola!!!

                      Congiusta Francesco, Costa Vincenzo, Crimeni Giulia, Novembre Sara

                                    Cl. 3^A – Scuola Secondaria 1°Grado – Gioiosa Ionica
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                                                                              (Francesco Petrarca)

Quest’ anno c’è stata una bella novità: nelle ore di italiano è stata inserita un’ora a settimana di laboratorio
di lettura. Queste ore le trascorriamo leggendo serenamente i libri della biblioteca scelti da noi.

E’ diventato un appuntamento atteso perché è davvero piacevole poter leggere, immergerci nella lettura e
far parte di storie fantastiche… è come se ognuno di noi vivesse in mondi diversi… in classe c’è un silenzio
surreale… in effetti nessuno di noi è presente in quell’ora!!!!! Le nostre menti volano altrove…

Durante queste ore, la nostra prof.ssa di italiano, Lara Vestito, ci ha proposto di portare in classe dei cuscini…
per poter leggere in totale relax!!! E noi ci estraniamo completamente…

 Completata la lettura del libro, ci siamo messi a lavoro: chi ha realizzato un power point, chi un cartellone,
chi invece una relazione cartacea. Abbiamo proposto un sondaggio riguardante la lettura, utilizzando un
modulo di google, così è stato possibile proporlo a tutti gli alunni della nostra scuola.

Questi sono i risultati finali del sondaggio.

                                                                          Francesca Agostino Giada Verteramo

                                                                 Scuola secondaria di primo grado classe 3^ A
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                                   Coluccio Martina

                    Scuola secondaria di primo grado

                                         Classe 2^ A
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Spagnolo Laura Cl. 3^A Sc. Sec. 1°Grado – Gioiosa Ionica

Ierinò Ines cl. 2^A Sc. Sec. 1°Grado – Gioiosa Ionica
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                         Maria Grazia Sestito cl. 2^ A

                                      Grazia Violi cl. 2^A

                               Iervasi Giorgia cl . 2^ A
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          Relazione del libro: “La Bottega delle Mappe Dimenticate”

Titolo del libro: La Bottega delle Mappe Dimenticate.

Autore: Ulysses Moore.

Casa editrice, luogo e anno di pubblicazione: Piemme, Casale Monferrato, 2005.

Luogo: Kilmore Cove, Villa Argo, in Egitto.

Tempo: Ai giorni nostri.

Genere: Avventura.

Personaggi principali: Julia, Jason e Rick.

Personaggi secondari: Oblivia Newton, Maruk, Pepi Micerino.

Trama: Tre ragazzi, Jason di undici anni, sua sorella Julia, e Rick un loro compagno di scuola, stanno
esplorando le stanze di Villa Argo, che è la loro nuova casa. Essa era circondata da un bellissimo
giardino con delle aiuole e una grande serra dove le piante venivano coltivate da Nestor, il
giardiniere del primo proprietario della villa, Ulysses Moore. Jason leggeva molto i fumetti e adorava
i misteri ed esplora la villa convinto che in qualche stanza si nasconde il fantasma del vecchio
proprietario. La sorella Giulia pensa che il fratello viaggia molto con la fantasia mentre Rick ha
sempre desiderato visitare Villa Argo e insieme a Jason e Julia vuole scoprire ogni luogo di
quell’antica e bellissima villa. I tre ragazzi mentre stanno girovagando nelle stanze, si ritrovano
difronte ad una porta molto antica e scura come la roccia delle pareti, con sopra disegnate tre
tartarughe. I ragazzi la aprirono, dopo aver girato con forza una grossa chiave e scendono in una
grotta sotterranea dove c’è una nave grandissima: La Metis. Saliti sulla nave, che era magica,
iniziarono un viaggio nel tempo che li portò nell’antico Egitto, esattamente in un edificio antico e
quando vanno a toccare un muro, questo comincia frantumarsi e Julia impaurita ritorna a Villa Argo.
Jason e Rick invece rimangono in Egitto dove vanno ad esplorare alcune piramidi. E vanno alla ricerca
di una mappa che il vecchio proprietario aveva nascosto in qualche antico edificio. Dopo tante
peripezie, incontri di faraoni, di personaggi dell’antichità, di dei. Conoscono una fanciulla di nome
Maruk, figlia di uno scriba che era il custode della Casa della Vita, una grandissima biblioteca che si
trovava nella terra di Punt. Questa biblioteca era immensa con lunghi corridoi, muri e soffitti striati
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di nero, statue di dei con volti di animali e lampade ad olio che facevano luce nei corridoi. In essa si
conservavano libri, papiri e pergamene e oggetti dell’antichità. I due ragazzi dopo averla esplorata,
all’improvviso sentirono una voce che gli chiedeva perché si trovavano in quel luogo e loro girandolo
videro un vecchio seduto su due cuscini con accanto a lui un coccodrillo dagli occhi infuocati e i denti
aguzzi. Jason e Rick spaventati cominciarono a correre verso la porta e una volta usciti, salirono in
fretta sulla nave, per ritornare a Villa Argo.

Frase che mi ha colpito particolarmente: Che cosa sarebbe successo se qualcun altro avesse trovato
la porta? (questa frase mi ha particolarmente colpito perché rende avvincente e misterioso il
racconto).

Giudizio personale: Questo libro mi è piaciuto tanto per le avventure fantastiche che hanno vissuto
i protagonisti. E’ stato molto avvincente per la suspence dei vari eventi vissuti dai personaggi.

                                                                                  Francesco Congiusta

                                                            cl. 3^A Scuola Sec.1°grado- Gioiosa Ionica
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 In questo numero del nostro Giornalino abbiamo deciso di dedicare questa sezione, che
  come ormai sapete è dedicata alla “voce della coscienza”, al riflettere in silenzio… alla

                                       GIORNATA DELLA MEMORIA

Numerosi sono stati i contributi, le diverse classi, in modi diversi, hanno riflettuto su questa
dolorosa pagina di storia….

                          I BAMBINI CI GUARDANO CON ORRORE
Come affrontare l'incommensurabile tragedia e l'infinita disumanità dell'Olocausto? In che modo
confrontarsi con un evento storico che ci mette direttamente a contatto con i recessi più oscuri dell'essere
umano? Come bilanciare l'urgenza di testimoniare la verità con il pudore e il rispetto nei confronti di un
dolore assoluto e, in definitiva, irrappresentabile? Qualunque racconto di finzione (sia esso scritto, oppure
filmato), che decida anche solo di lambire marginalmente la questione dell'Olocausto, dovrà fare i conti con
questi e mille altri interrogativi di natura morale. Nell'ultima decina d'anni, a partire da fenomeni come
Schindler's List e La vita è bella, le narrazioni dedicate allo sterminio ebraico si sono moltiplicate, ritornando
a fare i conti con quella che è forse la più grande lacerazione nella coscienza collettiva contemporanea. Ma,
proprio sulla scorta del film di Benigni, e di successivi epigoni come Train de vie - Un treno per vivere, è stata
inaugurata un'inedita via per la rappresentazione del genocidio. Questi film denunciano, in qualche modo,
l'impossibilità di fronteggiare in maniera diretta l'orrore, e la necessità di rievocare il trauma collettivo
attraverso prospettive tangenziali, oblique, liminari, che mitighino la tragedia. Forse, proprio per questo, uno
dei punti di vista da sempre privilegiati per inquadrare la bestialità nazista è senza dubbio lo sguardo infantile.
A partire dal Neorealismo (Germania anno zero) e dal Diario di Anne Frank, su su fino a opere come Jona che
visse nella balena, il candore e l'innocenza dei bambini è il solo in grado di contrapporsi all'oscurità senza fine
di un mondo adulto degenerato.

Il bambino con il pigiama a righe, adattamento del romanzo omonimo del giovane scrittore irlandese John
Boyne, si inserisce pienamente in questo filone "infantile", senza tuttavia rinunciare a una rappresentazione
lucida e realistica dell'orrore, lontana da qualunque edulcorazione o trasfigurazione fantastica sullo stile de
La vita è bella. Al centro di questa storia c'è, infatti, l'incredibile amicizia tra due bambini: Bruno e Shmuel,
l'uno figlio di un gerarca nazista promosso alla direzione di un campo di concentramento, e l'altro un indifeso
ragazzino ebreo, internato assieme al padre proprio in quel campo. Bruno, bambino fantasioso e vivace, che
adora gli aeroplani e le storie d'avventure, si trasferisce, assieme a tutta la famiglia, in una spettrale e solitaria
casa nei pressi del campo di sterminio sotto la supervisione del padre. Mentre la sorella, di qualche anno più
grande, si fa plasmare dall'ideologia nazionalsocialista propugnata dal padre e da un severo istitutore, Bruno
riesce a fronteggiare il male, ergendo a schermo la propria innocenza e fantasia. E proprio la sua sete
d'avventure, contrapposta ai freddi e razionalisti volumi di storia impostigli dal maestro, lo spingono a
esplorare la campagna circostante l'abitazione, fino ad imbattersi nel campo di concentramento. Attraverso
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il filo spinato, Bruno vede un altro bambino, Shmuel, affamato, affaticato e vestito con una divisa a righe, con
cui fa subito amicizia. L'innocenza di Bruno non gli consente immaginare neanche lontanamente la malvagità
degli adulti. Si costruisce così una propria spiegazione, del tutto infantile e ingenua, ma di certo meno folle
dell'abominio concepito dai nazisti: il campo non è altro che una fattoria, le divise a righe sono
semplicemente dei pigiami, e i numeri di matricola con cui sono contrassegnati gli internati fanno solo parte
di un gioco. Ma sarà Shmuel ad aprire pian piano gli occhi di Bruno, fino a fargli mettere in dubbio anche le
azioni del padre, nei riguardi del quale aveva sempre riposto una completa fiducia. Purtroppo, entrambi i
ragazzi saranno letteralmente travolti dall'orribile verità in cui hanno avuto la sfortuna di imbattersi.

Al suo esordio alla regia, lo sceneggiatore britannico Mark Herman (suo è lo script di Grazie, signora Thatcher)
si approccia alla materia con uno stile rigoroso e distaccato, privilegiando una rappresentazione realistica e
focalizzandosi soprattutto sul percorso di progressiva consapevolezza e conoscenza del male affrontato da
Bruno e, tramite lui, anche dal resto della sua famiglia. Un cammino graduale che viene reso anche attraverso
elementi spaziali e scenografici. La vuota casa di Bruno sembra, almeno all'inizio, una fortezza in grado di
proteggere e di isolare i familiari dall'orrore del mondo circostante. Ma, sin da subito, si dimostra come sia
impossibile arginare l'invasione della realtà esterna. Il ragazzo, infatti, entra in contatto con un vecchio
prigioniero del campo di concentramento, Pavel, utilizzato dalla famiglia come sguattero: presenza
fantasmatica, discreta, eppure prepotentemente incisiva e "fragorosa". Interessante anche il tentativo di
rappresentare la disperata e vitalistica voglia di fuga di Bruno con vari espedienti: il suo amore per il volo e
per l'altalena, la passione per le avventure fantastiche. Inoltre, il rapporto del ragazzo col padre,
caratterizzato quasi fino alla fine da totale fiducia e obbedienza, è un'efficace metafora della relazione
esistete tra tutto il popolo tedesco e il suo "padre", il Führer, nei confronti del quale la nazione germanica
nutriva altrettanta cieca fedeltà. Ulteriore pregio de Il bambino con il pigiama a righe è quello di mostrare
nel suo epilogo, senza alcun tipo di concessione, come la conoscenza del male debba necessariamente
passare attraverso l'esperienza del dolore più estremo. Solo così, infatti, è possibile immedesimarsi nella
sofferenza degli altri. Proprio come fa Bruno, che acquisisce la consapevolezza solo dopo aver attraversato
la fatidica soglia di filo spinato che lo separa da un mondo "altro" e infernale.

                                                                                      Loccisano N. e Colella G.

                                                                          Cl 1^B Scuola Secondaria di 1°Grado

                                                                                                 Gioiosa Ionica
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               JONA CHE VISSE NELLA BALENA(trama)

Jona è un bambino di quattro anni che vive ad Amsterdam.

Dopo l’occupazione della città da parte dei tedeschi ,viene portato nel
campo di concentramento.Qui Jona passerà tutto il periodo della
guerra,in una baracca con sua madre ma separato dal padre.

Il bambino subisce freddo,fame,paure,sofferenze,angherie anche da
parte degli altri ragazzi.Sono rarissimi i casi in cui viene tratto con
garbo :solo il cuoco , che dopo morirà , e il medico dall’ambulatorio
sono gentili lui . Il destino dei genitori di Jona è tragico : il padre
muore per stenti e denutrizione : la madre invece impazzisce per la
morte del marito in un ospedale , dopo la fine della guerra. La
maestra , per distrarre i bambini che erano nei lager , li riuniva ed
insieme cantavano una parte del Salmo 23 , in cui si dichiara
l’assoluto abbandono in Dio.

                      Rit. Gam gam gam chi elech

                          Be be ghe zalmavet

                             Lo lo lo ira ra

                         Chi atta immadi (Rit.)

                        Seivateha umishanteha

              Hemma hemma inahumuni (rip. e poi rit.)

                                 Trad :

                           Anche se andassi

                          per le valli più buie
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                                        di nulla avrei paura

                                  perchè tu sei al mio fianco.

                                      Se tu sei al mio fianco

                                             il tuo bastone

                               il tuo bastone mi da sicurezza.

                                                                                      Coluccio Loris e Fuda Luca

                                                                                                          Cl. 1^B

                                                              Scuola Secondaria di primo grado- Gioiosa Ionica

                                                   LA SHOAH

  La parola Shoah (tempesta devastante) è un termine ebraico col quale si suole indicare lo sterminio del
                          popolo Ebreo durante il Secondo conflitto mondiale.

Fra il 1939 ed il 1945, circa 6 milioni di Ebrei vennero sistematicamente uccisi dai nazisti con l’obbiettivo di
                                      creare un mondo più “puro e pulito”.

Alla base dello sterminio vi fu un’ideologia razzista che, a partire dal libro MEIN KAMPF di A. Hitler, i nazisti
   posero fondamento del progetto di edificare un mondo “purificato da tutto ciò che non fosse ariano”.

Dopo le leggi di Norimberga, l’odio razziale crebbe: le atrocità culminarono nella cosiddetta NOTTE DEI
CRISTALLI, avvenuta tra l’8 ed il 9 novembre 1938, quando in tutta la Germania le sinagoghe furono date
alle fiamme ed i negozi ebraici devastati; inoltre, legittimarono il boicottaggio economico e l’esclusione
sociale dei cittadini Ebrei. Lo sterminio partì dalla Germania, ma si espanse in quasi tutta Europa dell’EST
furono in una prima fase “GHETTIZZATI”, infatti, gli Ebrei dopo essere stati emarginati nei ghetti (il più
famoso dei quali fu quello di Varsavia), essi furono condotti nei campi di concentramento.

Ad Auschwitz, Bergen, Belsen, eccetera giungevano ogni giorno convogli carichi di persone. I campi
di sterminio erano luoghi di torture, di esperimenti pseudoscientifici su cavie umane, di lavori
sfiancanti e selezioni quotidiane: di tali atrocità è rimasta testimonianza nelle memorie di coloro
che riuscirono a sopravvivere. In questi luoghi, nel momento della liberazione, gli alleati
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ritrovarono diversi corpi. Nei campi di lavoro venivano impiegati uomini in condizioni degradanti
che rappresentavano la forza lavoro della Germania. Vittime dello sterminio, oltre gli Ebrei, furono
anche zingari, omosessuali, testimoni di Geova, oppositori politici. Nei campi di sterminio erano
presenti le persone più deboli, che non potevano lavorare, come i bambini, gli anziani e le donne.

Tutte queste persone venivano sterminate con il gas e poi inviate nei forni crematori.

Il GIORNO DELLA MEMORIA 2019 CELEBRATO IL 27 GENNAIO è una giornata che non può e non
deve passare inosservata, una giornata in cui il significato di parole come SHOAH E OLOCAUSTO
deve essere compreso a fondo e analizzato.

                                         ANTONUCCI STEFANIA SILVIA,DI PERSIA GIULIA,SCULLI CHIARA.

                                                                   CL 1B Scuola Secondaria di 1°Grado

                                                                                         Gioiosa Ionica
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                                      DOSSIER DELLA GRANDE GUERRA
                                 A CENTO ANNI DALLA FINE DEL CONFLITTO
                         CLASSE III^B – Scuola Secondaria di 1°Grado- Gioiosa Ionica

29 settembre 2018: gli Alleati sfondarono le linee degli Imperi centrali e respinsero i tedeschi oltre i confini
della Germania. Questa data segnava l’inizio della fine: uno degli eventi più tragici della storia del Novecento,
la Prima Guerra Mondiale, stava per volgere al termine. Essa ha portato via con sé milioni di soldati, creando
vedove e orfani in tutto il mondo ma, soprattutto, in Europa dove avvennero i combattimenti più sanguinosi
e dove decine di migliaia di civili dovettero abbandonare le loro case per sfuggire alle cannonate nemiche.
Nel gennaio 1919 i vincitori si riunirono nella Conferenza di Parigi per stabilire le condizioni di pace,
conosciute con il nome di Trattati di Versailles. A cento anni dalla fine di questo lungo conflitto, la 3^B ricalca
alcuni aspetti, eventi, situazioni che hanno caratterizzato la Grande Guerra, allora giudicata la più atroce e
devastante della Storia.

UNA GUERRA DI TRINCEA
Per tutta la durata della guerra la vita di un’enorme massa di soldati si svolse in trincea, la più semplice tra le
fortificazioni difensive. Si trattava di un fossato scavato nel terreno per mettere i soldati al riparo dal fuoco
nemico. La sua profondità era tale da ospitare un uomo in piedi e le pareti erano ricoperte da graticci o tavole
di legname in modo da rendere lo scavo più resistente agli smottamenti del terreno dovuti alle piogge. La
sommità del bordo della trincea veniva rinforzata con sacchi di sabbia e al di sopra di essa era posta una
mitragliatrice. La trincea, generalmente, non aveva un andamento rettilineo, ma era scavata con un tracciato
a zigzag per evitare che il nemico penetrasse al suo interno. Inoltre, i lunghi corridoi che le trincee andavano
a formare erano protetti da reticolati di filo spinato e collegati tra loro per mezzo di camminamenti. In molti
punti dei Fronti, le due trincee nemiche della prima linea distavano poche decine di metri: così, ad esempio,
le sentinelle italiane potevano guardare negli occhi quelle austriache e sentire le loro voci.
L’ASSALTO DELLA BAIONETTA
In trincea la vita scorreva con una monotonia insopportabile, interrotta solo dal grido che tutti temevano,
lanciato a giorni alterni dagli ufficiali dell’uno e dell’altro schieramento: “All’attacco!”. Questo grido era il
segnale dell’assalto alla baionetta, un rito tanto inutile quanto sanguinoso, che falciava ogni giorno centinaia
di vite umane. Gli assalti iniziavano di regola nelle prime ore del mattino e venivano preceduti da un massiccio
tiro di artiglieria che avrebbe dovuto scompigliare le trincee nemiche, ma che in genere riusciva a togliere
solo il vantaggio della sorpresa. Contemporaneamente, la fanteria doveva arrampicarsi lungo le pareti del
fossato, salire allo scoperto e gettarsi contro le protezioni di filo spinato delle trincee nemiche, sotto il fuoco
di sbarramento delle mitragliatrici. Quelli che non restavano impigliati tra il filo spinato dovevano gettarsi nei
fossati nemici e colpirne i difensori con la baionetta, ingaggiando una lotta corpo a corpo. Se superavano gli
avversari delle prime file, dovevano subire il contrattacco dei secondi e terzi schieramenti: così milioni di
soldati morirono giorno dopo giorno nel corso di quattro o cinque lunghissimi anni.
IL COMPORTAMENTO DEL BRAVO SOLDATO
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Il bravo soldato, secondo i capi militari, doveva andare all’attacco in posizione eretta e a testa alta. Strisciare
a terra o gettarsi in buca per ripararsi dal fuoco, come si insegna oggi ai marines, era allora segno di
vigliaccheria e chi veniva sorpreso a farlo era immediatamente processato o punito. Sulla posizione da tenere
(petto al nemico, passo di corsa, viso al vento) il generale Cadorna scrisse un manuale che le truppe
impararono a memoria. Un comportamento errato, dunque, veniva punito severamente, e molte furono le
punizioni inflitte ai soldati durante il corso del conflitto. Luigi Cadorna, sin dall'inizio della guerra, aveva
ordinato la massima serietà per il mantenimento della disciplina e il rispetto dell'autorità. Atteggiamento
che, nel corso del conflitto , si irrigidì sempre di più, assumendo spesso i contorni di una spietata crudeltà. I
soldati che si rifiutavano di uscire dalle trincee durante un assalto potevano essere colpiti alle spalle dai
plotoni di carabinieri, mentre la censura in trincea divenne ogni giorno più oppressiva. Qualsiasi lettera scritta
dai soldati non poteva contenere informazioni diverse da quelle pubblicate dai giornali italiani e doveva
trasmettere entusiasmo per la guerra. Chi non rispettava queste indicazioni rischiava la condanna al carcere
militare. L'aspetto più tragico e crudele furono però le condanne a morte a carico dei soldati. È stato calcolato
che tra l'ottobre del 1915 e l'ottobre del 1917 furono eseguite circa 140 esecuzioni capitali dovute ai motivi
più disparati. Inizialmente questo provvedimento fu preso solo in casi di estrema gravità (ad esempio per
diserzione o spionaggio), ma successivamente si estese anche a casi apparentemente meno gravi. Un soldato
poteva essere fucilato per essere ritornato in ritardo dopo una licenza oppure per essere stato sorpreso a
riferire o scrivere una frase ingiuriosa contro un suo superiore. Stessa sorte venne prevista per tutti quegli
ufficiali che, anche per un solo momento, avessero dubitato della tattica imposta dal Comando Supremo.

IL PROBLEMA DEL RANCIO
Uno dei grandi problemi durante la Grande Guerra fu quello dell'alimentazione sia per la popolazione civile
che per i militari. Le battaglie, la militarizzazione dei territori e le razzie provocarono devastazioni nei raccolti
e lo svuotamento dei magazzini. Le famiglie nelle retrovie furono vittime di carestie e di malattie dovute a
carenze alimentari gravi (come la pellagra) mentre il rancio dei soldati diventava ogni giorno più esiguo e
scadente. La scarsa qualità era dovuta alla scelta di cucinare i pasti nelle retrovie e trasportarli durante la
notte verso le linee avanzate. Così facendo, la pasta o il riso contenuti nelle grandi casseruole arrivavano in
trincea come blocchi collosi. Il brodo si raffreddava e spesso si trasformava in gelatina mentre la carne ed il
pane, una volta giunti a destinazione, erano duri come pietre. Scaldarlo una seconda volta non faceva che
peggiorare la situazione, rendendo il cibo praticamente impossibile da mangiare. Il problema della qualità
era parzialmente sopperito dalle quantità distribuite. A differenza del rancio austro-ungarico, l'esercito
italiano dava ogni giorno ai suoi soldati 600 grammi di pane, 100 grammi di carne e pasta, frutta e verdura, un
quarto di vino e del caffè. L'acqua potabile invece era un problema e raramente superava il mezzo litro al
giorno.
Prima degli assalti, inoltre, venivano distribuite anche delle dosi più consistenti con l'aggiunta di gallette,
scatole di carne, cioccolato e liquori. Oggi in diversi musei si possono ancora ammirare i contenitori di metallo
che custodivano i 220 grammi di carne o, a volte, delle alici sott'olio e frutta candita. Ogni scatola era
decorata con motti patriottici come "Savoia!" o "Antipasto finissimo Trento e Trieste”.
LA REAZIONE DEI SOLDATI
Dopo anni di trincea, i soldati della fanteria presentavano tutti quei sintomi che i generali usano definire
“morale basso delle truppe”. Si parla spesso anche di “psicopatologie di guerra”, espressione con cui viene
indicato l'insieme delle manifestazioni psichiche e patologiche dei soldati durante il conflitto.
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Furono ipotizzate varie cause. Prima idea fu che si trattasse di un disturbo organico, causato dai danni fisici
al cervello provocati dalla deflagrazione degli ordigni. Si pensava che lo spostamento d’aria dell’esplosione,
anche senza arrivare ad uccidere, potesse comunque fare danni al cervello. Successivamente, prevalse l’idea
che nei soldati ci fosse una vulnerabilità di fondo, che la durezza della guerra e delle condizioni al fronte
faceva esplodere. Un'altra ipotesi era quella che per i soldati era triste e doloroso vedere i loro compagni
morti durante la battaglia decomporsi giorno dopo giorno, dato che i barellieri non sempre potevano
recuperare i corpi. I disturbi psicopatologici, come ansia e totale stato di indifferenza, si manifestavano
normalmente in concomitanza col combattimento. Essi potevano comparire sia all'inizio del conflitto, sia
mentre il conflitto era nel suo pieno svolgimento. Si manifestavano anche forme depressive, senso del dolore
dovuto alla perdita di compagni. Non erano rari stati di malinconia con rischio di suicidio, specialmente nei
soldati che avevano perso in guerra un compagno con il quale avevano un buon rapporto.
Gli psichiatri dovettero cominciare a occuparsi di questi disturbi, per questo vennero istituiti ospedali vicino
al fronte per accogliere non solo i feriti nel corpo, ma anche quelli nella mente.
I REPARTI SCELTI
Nella Prima guerra mondiale non tutti odiarono la guerra. Vi fu anche una minoranza che continuò a pensare
che uccidere e rischiare di essere uccisi facesse parte di una bella avventura. Questa minoranza comprendeva
un gruppo di privilegiati: erano i piloti dell’aviazione che ingaggiavano superbi duelli nei cieli e comparivano
sulle prime pagine dei giornali a ogni aereo nemico abbattuto. Poi vi erano i mitraglieri e i carristi che si
sentivano dei privilegiati: non si muovevano a piedi e non alloggiavano nelle trincee. Infine, vi erano i reparti
d’assalto, piccole e agili formazioni con armamento particolare e con il compito di sabotare le linee nemiche,
di aggirarle sorprendendole da dietro le spalle, di fingere un attacco in forze per distogliere l’attenzione degli
avversari da un attacco reale.
LA BRIGATA CATANZARO
La Brigata "Catanzaro" venne costituita il 1º marzo 1915 a Catanzaro Lido in due reggimenti, il 141º e il 142º.
I soldati (circa 6.000) che ne facevano parte erano in maggioranza calabresi. La «Catanzaro» fu una delle più
sfruttate unità dell'Esercito. Logorata dai lunghissimi turni in trincea di prima linea nei settori più contesi,
essa venne impiegata come brigata d'assalto sul Carso dal luglio 1915 al settembre 1917. I soldati dei due
reggimenti della "Catanzaro" furono protagonisti della più grave rivolta nell'esercito italiano durante il
conflitto. Questo episodio si svolse a Santa Maria la Longa dove la brigata era stata acquartierata a partire
dal 25 giugno 1917 per un periodo di riposo. La notizia di un nuovo reimpiego nelle trincee della prima linea
fece pian piano montare quella che in poche ore sarebbe diventata una vera e propria rivolta. I fanti della
Catanzaro protestarono e la protesta passò in rivolta. Alle ore 22.00 del 15 luglio 1917 iniziò il fuoco che durò
tutta la notte. Molti caddero morti sotto il fuoco dei rivoltosi, altri ne rimasero feriti. La rivolta durò tutta la
notte. Per sedarla vennero impiegati una compagnia di Carabinieri, quattro mitragliatrici e due autocannoni
con il preciso ordine di intervenire in modo fulmineo e con estremo rigore. La lotta durò tutta la notte e cessò
all'alba. I soldati della Brigata Catanzaro, dopo questi gravi fatti, furono obbligati a battersi fino alla durata
della guerra, tanto da ottenere una seconda citazione sul bollettino di guerra del 25 agosto 1917, nel quale
si riportava che: «Sul Carso la lotta perdura intorno alle posizioni da noi conquistate, che il nemico tenta
invano di ritoglierci. Negl'incessanti combattimenti si distinsero per arditezza e tenacia le Brigate Salerno,
Catanzaro e Murge».
IL MIRACOLO DI NATALE DEL 1914
ISTITUTO COMPRENSIVO STATALE “GIOIOSA-GROTTERIA

La notte di Natale 1914, nelle trincee del fronte occidentale (Francia e Belgio) ci fu una tregua. Si trattò di
una eccezionale circostanza dettata dalla spontaneità di un sentimento di fratellanza universale, più forte
persino del rombo dei cannoni. Non la ordinarono i comandi supremi che, di contro, fecero di tutto per
condannarla ed accertarsi che mai più si ripetesse in futuro. I soldati di entrambe le fazioni uscirono allo
scoperto, si abbracciarono, fumarono, cantarono insieme, si scambiarono doni e organizzarono persino delle
estemporanee partite di calcio. Gli Stati Maggiori coinvolti nel conflitto fecero di tutto anche per nascondere
l'accaduto e cancellarne ogni traccia o memoria. Recentemente, però, sono emerse dagli archivi militari di
tutta Europa, lettere, diari e persino fotografie che sanciscono inequivocabilmente che la tregua, anche se
non ufficiale, avvenne realmente e si protrasse addirittura per più giorni, nel periodo Natalizio del 1914.
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27 GENNAIO 2019              GIORNATA DELLA MEMORIA
                        PER NON DIMENTICARE
In occasione della Giornata della Memoria, gli alunni del Plesso Nunziata dell’Istituto Comprensivo
Gioiosa Ionica-Grotteria, hanno seguito un percorso di approfondimento e di riflessione che è
culminato nella realizzazione di una serie di lavori di natura grafico-pittorica.
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Dopo aver letto poesie, brani e visionato film, video-testimonianze dei sopravvissuti e documentari
sull’argomento, i bambini hanno creato la loro personale “parete della memoria”, per poter esprimere,
a loro modo e con i loro occhi attenti e curiosi, le conoscenze acquisite.

 Hanno scelto di esporre i loro lavori nell’atrio della scuola, proprio di fronte alla porta d’ingresso,
perché siano immediatamente visibili a tutti e per gridare forte, nel loro piccolo, l’importanza del
ricordo.

 Un ricordo che non deve essere fine a se stesso e celebrato come qualcosa che riguarda solo la nostra
storia, ma che i bambini hanno cercato di attualizzare per capire e rispondere alle sollecitazioni del
presente.
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L’odio fra le genti e le stragi degli innocenti non sono una pura, semplice e scomoda eredità di un
passato “incomprensibile” ma servono a ricordare che ogni giorno esistono tante piccole
discriminazioni verso chi ci sembra diverso da noi e proprio in questa direzione si è incanalato il
lavoro svolto a scuola.
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Gli alunni sono giunti alla conclusione che gli strumenti più potenti per attribuire un valore vero al
ricordo sono quelli di valorizzare la diversità fra le persone, la ricchezza delle altre culture e il dialogo
e il confronto costanti.

 Proprio dal dialogo e dal confronto dei bambini più grandi tra di loro e con le insegnanti è nata l’idea
di “costruire” e porre al centro della parete una grande finestra con vista su un campo di
concentramento           e                                         tutt’intorno tante piccole finestrelle
e altri lavori che ci                                              consentono di poggiare il nostro
                                                                   sguardo sugli orrori dell’olocausto,
                                                                   disegnati e raccontati con la
                                                                   semplicità e l’ immediatezza che
                                                                   solo un bambino può possedere.
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Sempre per sottolineare come, per non dimenticare, l’unica via percorribile sia quella di valorizzare
le differenze, gli alunni hanno realizzato un grande sole con i raggi colorati, mettendo in evidenza, su
ogni raggio, una diversità da valorizzare.
ISTITUTO COMPRENSIVO STATALE “GIOIOSA-GROTTERIA
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I più piccolini, guidati dai compagni più grandi, hanno realizzato e attaccato dei semplici e colorati
messaggi di pace, bontà e rispetto.

Il risultato finale di questo percorso affrontato con impegno e dedizione da tutti i bambini è una parete
ricca di spunti di riflessione e di messaggi di speranza, poichè, volendo concludere utilizzando una
frase di Primo Levi, che ha colpito molto gli alunni, “se comprendere è impossibile, conoscere è
necessario”.
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      Tutte le insegnanti e gli alunni del Plesso Nunziata
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Altri contributi per questa sezione del nostro Giornalino, riguardano invece una storia più
vicina a noi, anche questa ricca di spunti di riflessione…

Alcuni nostri compagni hanno dato la parola ai nonni… ascoltiamoli!!!

Ogni giorno vediamo e parliamo con persone che hanno usi e abitudini diverse dalle nostre, per
esempio per quanto riguarda i giochi, i mezzi di trasporto, le amicizie, il comportamento, le buone
e le cattive abitudini che rispetto oggi sono quasi completamente diverse. Oggi ho deciso di
intervistare mio papà e mia nonna così, oltre a vedere le differenze tra noi e i nostri genitori,
vedremo anche quelle con i nonni che, a parer mio, avevano una vita più serena, anche senza
Internet e i vari social che ormai stanno prendendo il sopravvento da ormai diversi anni. Ma non
perdiamo altro tempo e cominciamo subito con l’intervista…

 Ai tempi di mio papà già molte cose erano diverse, per esempio a scuola, anche se non era molto
lontana, ci andava a piedi e senza lamentarsi, per quanto riguarda i giochi mi ha raccontato che c’era
una quercia dietro la scuola elementare Cerchietto dove si riunivano tanti ragazzi e giocavano a
pallone ogni pomeriggio, spesso andava in giro in bicicletta con molti altri ragazzi. In estate si
riunivano tantissimi ragazzi al mare, scavavano delle buche sulla spiaggia, montavano dei pali, una
rete e giocavano a pallavolo. Molto spesso, la sera, gli piaceva sentire i racconti della nonna che lo
meravigliavano sempre di più. Dal mio punto di vista è una persona decisamente UNICA, ha
un’educazione che in pochi hanno, un senso dell’umorismo speciale e se non ci fosse dovrebbero
inventarlo e il merito è tutto della mamma che lo ha educato al meglio. Ai suoi tempi c’erano
tantissime amicizie e si poteva essere sinceri in tutto e per tutto, uscivano spesso e volentieri
insieme e le amicizie che si era creato allora sono rimaste e ancora oggi hanno un magnifico
rapporto. Ovviamente non era un angelo sceso in terra ma aveva anche i suoi lati ribelli, per esempio
era molto permaloso, e quando si sedeva a tavola dopo aver lavato le mani non toccava neanche la
sedia, sennò le doveva rilavare….

Già la vita ai suoi tempi era davvero tanto diversa dalla mia e quella di tutti i miei coetanei, quindi
immaginiamo la vita di molti anni prima, beh, non c’è bisogno di immaginarla, SCOPRIAMOLA!!!
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Ora si fa un bel salto nel tempo dove la vita era più difficile ma più bella. A quei tempi si facevano
molti più figli e le donne erano molto giovani (il primo figlio mia nonna lo ha fatto a soli 18 anni). Il
lavoro spettava solo al marito mentre le mogli badavano alla casa e alla famiglia. La famiglia di mia
nonna era composta da 9 persone, i bambini di quel tempo giocavano nei prati, guardavano le
pecorelle pascolare; prima di andare a scuola, dato che era la più grande, mia nonna doveva
preparare la colazione ai fratelli più piccoli, si preparava una fetta di pane con l’olio e cercava,
correndo più veloce che poteva,        di non arrivare tardi a scuola data la carenza di macchine. A
scuola era molto brava, prendeva buoni voti e mai punizioni, ha frequentato la scuola fino al terzo
agrario, in estate non stava a casa come quasi tutti i ragazzi di oggi perché si andava in una scuola
dove si imparava a cucire e ricamare. Anche se a differenza di anni le amicizie che si creavano erano
durature e anche lei tuttora ha degli amici conosciuti in passato. E’ una persona molto orgogliosa,
riservata, altruista, educata e ci tiene tantissimo alla sua famiglia e ad ogni singolo componente e
darebbe la vita per ognuno di loro…

Eccoci giunti alla fine di questa intervista, ci sono molte differenze tra ieri e oggi, si socializzava di
più e si aveva più voglia di vivere al meglio la vita, a volte è brutto il nostro mondo perché non
sempre si dà spazio all’amicizia e non si riesce a dare spazio alle vere emozioni.

Ecco la risposta quando ti chiedi qual è la differenza tra ieri e oggi: ieri si era sociali e si era felici,
oggi si è social e non si dà spazio alle emozioni

                                                                                           Lopresti Alessia

                                                                                                 Classe 2D

                                                       Scuola secondaria di primo grado-Gioiosa Ionica
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I tempi sono molto cambiati da quando i nostri nonni erano piccoli. Un tempo non si avevano tutte
le cose che abbiamo adesso. I giochi, i comportamenti e gli atteggiamenti erano diversi. Le
persone si accontentavano con poco e apprezzavano tutto quello che avevano. Si studiava con
impegno, si avevano molti amici e si inventavano molti giochi. Ci si doveva adattare con quel poco
che si aveva a disposizione. Si andava a scuola a piedi anche solo all’età di 6 anni e a volte si
andava anche con la maestra. Le bambine prendevano per mano la maestra e proseguivano per la
strada, ai maschietti non conveniva però perché spesso e volentieri venivano sgridati dalla
maestra perché non avevano l’abbigliamento adatto ecc.

Non c’ erano strutture per le scuole, erano in case comuni. Gli insegnanti erano molto severi, se
qualche bambino combinava una marachella veniva bacchettato sulle mani e messo con le
ginocchia sui ceci.

Oggi abbiamo voluto intervistare la nonna di Mariaflora, che ha vissuto in Canada per molto
tempo.

-Com’ erano i trasporti?

-Quando mi sono trasferita in Canada, dopo essermi sposata, nel ’70, siamo partiti con l’aereo
“Alitalia” e sono arrivata in Canada, a Toronto.

-Come si viveva?

-Il Canada è un Paese bellissimo, all’ epoca il clima era molto più freddo di adesso. Era un paese
dove era tutto perfetto, le strade erano così pulite e si lavorava anche bene. Mio marito era un
sarto e lavorava in un atelier di lusso. Io invece non lavoravo e andavo sempre dai nonni di Irene,
attualmente mia nuora.

- Andavate mai a mare?

- A volte. Non era facile arrivare perché non era vicino alla città di Toronto, dove vivevo, e
andavamo pochissime volte, solo per accompagnare i miei figli. I nostri figli erano felicissimi
quando andavamo e facevano tutti i giochi possibili e immaginabili. Mettevamo il cibo nella sabbia,
dopo aver scavato una buca, affinché rimanesse fresco.

-Com’ era l’educazione?
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-I miei figli sono molto educati. Un tempo si aveva rispetto per i genitori, non si rispondeva perché
altrimenti si prendevano dure punizione.

-Com’ era l’alimentazione?

-Un tempo si mangiava sano e non c’ erano tutti i cibi precotti e imbustati come adesso. Tutto
veniva coltivano e niente comprato. I cibi prelibati come la carne e i dolciumi venivano conservanti
per i giorni di festa. Adesso l’alimentazione e più varia ma di qualità inferiore. Non esiste la
“Stagionalità dei cibi” grazie ai cibi importanti in tutto il mondo: si parla di globalizzazione anche
nei cibi. L’ alimentazione sbagliata è causa dell’obesità, che nell’ epoca era molto rara. Oggi siamo
abituati a consumare in quantità alimenti come: patatine fritte, biscotti, merendine, cioccolata...

Sono passati anni e il mondo è cambiato molto adesso siamo troppo viziati, cosa che una volta i
nostri nonni non erano. Una volta invece le famiglie erano povere, e bisognava adattarsi alle
proprie condizioni.

                                   Martino Francesca, Tavernese Mariaelisabetta, Caminiti Francesca,

                                                     Jerinò Giulia Maria, Scali Mariaflora, Gligora Chiara

                                                                                               Classe II Sez.D

                                                             – Scuola Secondaria 1°Grado- Gioiosa Ionica

Oggi ho intervistato mio nonno che racconta le sue testimonianze sulla seconda guerra mondiale . Sono nato
nel 1931.

Tutto è cominciato nel 1940, quando avevo solo nove anni cominciò la Seconda guerra mondiale, questi
avvenimenti hanno segnato la mia vita ricordo quei giorni tristi e lontani. Ricordo in particolare una notte:
stavamo dormendo all’ improvviso ci svegliammo, io e la mia famiglia, prima sentimmo delle sirene poi
sentimmo dei rumori assordanti, erano le bombe che sganciavano gli aerei bombardieri… la casa cominciò a
tremare noi, presi dal panico ci nascondemmo sotto il letto dei miei genitori. Appena finirono di bombardare
ci affacciamo alla finestra, sentimmo delle urla, vidi tutta la strada bruciare e vidi anche del fumo nero. Io
feci solo la prima elementare perché purtroppo mi e stata negata la possibilità di studiare per la povertà di
quel periodo, mio padre era un contadino e mi portò a lavorare con lui . La vita di allora era misera e povera
si mangiava in un unico piatto tutta la famiglia, spesso mancava il cibo, noi avevamo la tessera dei poveri per
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prendere il minimo che ci bastasse per sopravvivere.

 Mancava l’acqua e non ci lavavamo sempre, i nostri vestiti erano sporchi, le nostre scarpe erano sporche e
bucate ma noi bambini eravamo felici lo stesso nonostante ci fosse la guerra. In quel periodo regnava un
clima di assoluto terrore, i bombardamenti avvenivano sia di giorno che di notte. Quando sentivamo le sirene
noi ci nascondevamo al rifugio o sotto i legnai, si dormiva sempre vestiti così se suonavano le sirene noi
scappavamo nei rifugi, ma le sirene non avrebbero protetto nessuno, per nostra fortuna i miei vicini di casa
si erano fatti amici dei tedeschi e con la radio riuscivano a prendere le stazioni tedesche cosi quando
suonavano le sirene noi eravamo già nel rifugio. Ricordo che per le strade c' erano i soldati tedeschi con la
mitragliatrice e, chi ai loro occhi faceva qualcosa di sbagliato. gli sparavano.

Tutto fini nel 1946. Per due giorni io e la mia famiglia siamo rimasti nel rifugio, quando uscimmo arrivarono
gli americani che scacciarono i tedeschi con i carrarmati, tutta la gente gli andò incontro , e provammo una
felicità indescrivibile .

                                                                                     BENEDETTA SCHIRRIPA

                                                                                             classe 2 sez. D

                                                                -Scuola Secondaria 1° Grado- Gioiosa Ionica

                                       Adolescenza: ieri e oggi
L’adolescenza è quel tratto di età evolutiva caratterizzato dalla transizione dallo stato infantile a
quello dell’individuo adulto. L’adolescenza è la fase nella quale il ragazzo o la ragazza comincia a
subire delle modifiche al corpo e al carattere. È il periodo più brutto e difficile perché non siamo né
grandi né piccoli. Sinceramente mi sono spesso chiesta com’era una volta, perché oggi sembriamo
tutti felici ma ci lamentiamo di tutto, forse perché abbiamo troppo. In questi tempi la tecnologia è
alla base di tutto, infatti passa per strano chi non ha il telefono ultima generazione; questa cosa può
essere un bene e un male. Infatti nelle piazze ci sono spesso dei ragazzi che non sanno comunicare
con gli altri e, che magari è impegnato a messaggiare con l’amico che si trova dall’altra parte della
strada. Però bisogna dire che oggi ci sono i lati negativi, ma anche quelli positivi, perché alla fine noi
ragazzi ci sappiamo divertire dando vita alle piazze, per esempio durante la processione di San Rocco
ci siamo uniti e abbiamo ballato tutto il giorno, abbiamo mangiato un panino in fretta per andarci a
“scatenare”; quindi posso dire che siamo lo stesso legati alle tradizioni. Abbiamo la fissa della musica,
infatti quando esco con il mio gruppo ci mettiamo a cantare e a noi si uniscono anche altri ragazzi.
Ancora non sono entrata nella vera adolescenza ma manca poco, anche se a dire la verità non mi fa
molta paura perché penso che bisogna fare solo le scelte giuste e pensare con la propria testa.
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Addirittura molti dicono che la nuova generazione non sa “vivere”, ma penso che se passerebbero
una giornata con noi si ricrederebbero. Per sapere di più sulla vita di una volta ho chiesto aiuto alla
mia bisnonna Marta che è nata nel 1937, quindi penso abbia abbastanza esperienza. Lei è vissuta
nella Seconda Guerra Mondiale, infatti nel 1944 aveva sette anni e ricorda che nelle rocce o
sottoterra si scavavano delle specie di “tunnel”, per esempio vicino casa sua aveva una fossa dove i
vicini e la sua famiglia si nascondevano per i bombardamenti, c’era una scala per scendere e di sopra,
per camuffare il tutto, facevano un tetto con sei rami e delle foglie. I bambini che andavano a scuola
si portavano spesso i fichi, i quali venivano spesso presi da coloro che avevano meno cibo. Nel periodo
di guerra stava meglio chi aveva campi coltivati o allevamenti, perché i soldi non servivano molto,
poiché le botteghe erano chiuse. Naturalmente il cibo era insipido e per dare un po’ di sapore
dovevano cucinare con l’acqua del mare. Molti coltivavano anche l’orzo che, dopo la raccolta veniva
seccato e si macinava formando il caffè orzo. Il problema di chi aveva il grano era che non si poteva
trasformare in farina perché in guerra i mulini erano chiusi, quindi utilizzando due grandi pietre
venivano macinati i chicchi formando una specie di farina. Ritornati alla vita normale, dopo la guerra,
i braccianti affittavano dei terreni dei grandi padroni e ogni settimana dovevano portare la raccolta;
dopo anni grazie a un’associazione vennero innalzati i diritti di coloro che lavoravano. I bambini sia
maschi che femmine a partire dai 6-7 anni andavano a lavorare e qua il mio bisnonno è intervenuto
dicendo che appena tornava da scuola doveva coltivare la terra e il più delle volte si dimenticava il
suo compleanno. Eh si, i ragazzi non sapevano il significato di compleanno o festa, per loro tutti i
giorni erano uguali. Purtroppo erano pochi i bambini che andavano a scuola, dove però i maestri
erano più severi a tal punto di alzare le mani. Finite le medie (se si facevano) era rarissimo che i ragazzi
continuavano, ma la mia bisnonna è andata alla scuola dove lavoravano la ginestra in cui facevano di
pratica che teoria e guadagnava 400 lire alla settimana. Nelle case non c’era acqua, infatti le donne
la andavano a prendere nelle fontane pubbliche e lavavano i vestiti al fiume, non c’era neanche il gas,
quindi si cucinava sul fuoco e a causa della mancanza di corrente elettrica si usavano le lanterne.
Secondo me i ragazzi erano più responsabili, infatti la mia bisnonna già a sette anni cucinava sul fuoco
da sola, però erano un po’ sottomessi, perché lavoravano dai sette anni cosa che oggi per fortuna
non esiste più. La mia bisnonna mi ha recitato una filastrocca della guerra, nella quale si capiva la
fame che c’era e che era molto difficile avere anche un pezzo di pane. Posso dire però che i ragazzi
una volta erano più sciolti erano sempre nelle strade a giocare e, secondo me è una cosa che oggi
manca molto, ma alla fine anche oggi i ragazzi escono, quindi posso dire che amo più il presente
anche con i suoi difetti.

                                                 Miriam Bruzzese Cl 3^D Scuola Secondaria di 1° Grado
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