Il cineasta messicano Alfonso Cuaron ha vinto l'Oscar per la miglior regia con "Roma", Itali@ Magazine

Pagina creata da Alberto Napolitano
 
CONTINUA A LEGGERE
Il cineasta messicano Alfonso Cuaron ha vinto l'Oscar per la miglior regia con "Roma", Itali@ Magazine
Il cineasta messicano Alfonso
Cuaron ha vinto l’Oscar per
la miglior regia con “Roma”,
di Lara Ferrara
Il cineasta messicano Alfonso Cuaron ha vinto l’Oscar per la
miglior regia con “Roma”, miglior film in lingua straniera.

Cuaron ha reso omaggio ai 70 milioni di lavoratori indigeni
nel mondo. Il suo un discorso di accettazione. “Voglio
ringraziare l’Accademia per aver riconosciuto un film
incentrato su una donna indigena”, ha detto. “Un personaggio
che è stato storicamente relegato sullo sfondo del cinema
americano”.
Quaron ha avuto numerosi riconoscimenti per il suo ritratto in
bianco e nero di una lavoratrice indios che si prende cura di
una famiglia borghese nella Città del Messico degli anni ’70.

Ha dichiarato che il film, realizzato in spagnolo e in un
dialetto indigeno, è stato ispirato dai suoi ricordi
d’infanzia dove cresciuto con la sua famiglia nel quartiere di
Colonia Roma a Città del Messico,ha avuto come tata una donna
indios.
“Una degli esseri umani che ho amato di più,la donna che mi ha
allevato”.

Ha anche scritto, prodotto e co-edito il film, che è stato
Il cineasta messicano Alfonso Cuaron ha vinto l'Oscar per la miglior regia con "Roma", Itali@ Magazine
realizzato con attori prevalentemente amatoriali e poco
conosciuti.

In un’intervista a Reuters del novembre 2018, Cuaron ha
definito il film “Roma” il più personale e sentito dei film
diretti da lui.

I film di Cuaron spaziano su stili e argomenti diversi, tra
cui il road movie sessualmente esplicito di “Y Tu Mama
Tambien”, un adattamento di “Great Expectations” di Charles
Dickens, lo sbanca “botteghino” Harry Potter e il Prisoner of
Azkaban “e il thriller spaziale” Gravity “, che ha vinto gli
Oscar nel 2014 per regia e montaggio sonoro.

Cuaron ha battuto quattro altri grandi registi nominati: Spike
Lee per “BlacKkKlansman”, Adam McKay per “Vice”, Yorgos
Lanthimos per “The Favorite” e Pawel Pawlikowski per “Cold
War”.

Il 4º Ferrara Film Festival
rivela il line-up dei film in
concorso. Prime mondiali,
europee e italiane. Il film
di   apertura    ancora   Top
Secret.
Lara Ferrara
Ferrara, 19 Febbraio 2019

Kevin Bacon, Misha Barton, Daniel Baldwin, Rosario Dawson,
Il cineasta messicano Alfonso Cuaron ha vinto l'Oscar per la miglior regia con "Roma", Itali@ Magazine
Neve Campbell, Danny Trejo, Raoul Bova, Eric Roberts, Pedro
Capò, Nancy Spielberg, Giorgio Coriangeli, Valentina Lodovini.
Questi alcuni nomi noti tra i protagonisti delle 34 pellicole
selezionate al Ferrara Film Festival 2019. L’evento
cinematografico di punta della città estense ha svelato la
lista completa dei film “in concorso” in un unico annuncio,
che include prime mondiali, prime europee e italiane. Il film
prestigioso film di apertura, solitamente una premiere
americana di altro richiamo commerciale, non è ancora stato
svelato dagli organizzatori. Tutti i film sono anteprime
assolute non ancora distribuite in Italia e provengono da nove
paesi da tutto il mondo: 11 dagli USA, 15 dall’Italia, seguiti
da Germania, Portogallo, Sud Africa, Belgio, Israele, Polonia
e Austria. Il programma completo di tutti i film, con il
calendario, orari ed eventi collaterali, verrà divulgato
questo Venerdì 22 Febbraio.

Il festival come di consueto si svolgerà alla fine di Marzo
(dal 23 al 31 precisamente) e, giunti ormai alla quarta
edizione, mostrerà al proprio pubblico di quanto è cresciuto
in soli quattro anni. “Due parole: Bigger & Better – dichiara
il Direttore Maximilian Law dal suo ufficio a Los Angeles –
con il duro lavoro della nostra squadra, sempre più numerosa,
stiamo crescendo senza sosta. Sono veramente onorato del fatto
che ogni anno il nostro pubblico praticamente raddoppia, ed è
quindi nostro compito essere sempre al pari delle loro
aspettative. Più film, e di qualità sempre più alta, una Via
Del Cinema in costante espansione, servizi migliori, red
carpet più grande… e saremo il primo film festival in Italia
con un Talk Show giornaliero dedicato interamente al Cinema.
Avremo anche moltissimi ospiti di alto livello, ma li
divulgheremo a breve.”
Il cineasta messicano Alfonso Cuaron ha vinto l'Oscar per la miglior regia con "Roma", Itali@ Magazine
C’è molto da assaporare nel ricchissimo programma dei film,
che copre una vastissima gamma di generi e stili, coinvolgendo
una serie di temi forti e contemporanei come l’emancipazione e
la rivalsa delle donne, la violenza giovanile e lo
sfruttamento minorile. Quest’ultimo è portato alla luce
soprattutto grazie alla collaborazione tra Ferrara Film
Festival e UNICEF Italia, instaurando una categoria speciale
denominata “Young UNICEF”. Inoltre, come sempre, tutti i film
e i principali eventi saranno accessibili al pubblico sordo
grazie alla campagna sociale #FacciamociSentire di Sara Giada
Gerini e al servizio di sottotitolazione fornito da FIADDA
Emilia Romagna.

Tra gli “highlights” dei film in concorso segnaliamo il
thriller “Hope Lost” con un cast di superstar che comprende
Michael Madsen, Daniel Baldwin, Denny Trejo e Misha Barton;
“The Perception” con Eric Roberts e Nick Bateman; “Sol De
Medianoche” con la superstar latina Pedro Capò; poi “Chi
Scriverà La Nostra Storia” prodotto da Nancy Spielberg
(sorella di Steven); “Find Your Groove” con Kevin Bacon,
Il cineasta messicano Alfonso Cuaron ha vinto l'Oscar per la miglior regia con "Roma", Itali@ Magazine
Whoopi Goldberg e Rosario Dawson; “I Perfezionisti” prodotto
da Raoul Bova; “In Principio” con Giorgio Coriangeli e “Uomo”
con Valentina Lodovini.

Il    line-up    completo       si      può      trovare      su
www.ferrarafilmfestival.com

Uno dei motivi dell’esistenza del Ferrara Film Festival, oltre
a stimolare il turismo locale e internazionale nella città
estense, è anche quello di supportare le produzioni
cinematografiche locali grazie alla categoria “Emilia-Romagna
Filmmakers.

Ogni spettacolo al cinema, come di consuetudine, sarà composto
da un cortometraggio seguito da un lungometraggio e biglietti
saranno già acquistabili in prevendita a partire dalla
prossima settimana sul sito ufficiale e nei punti vendita a
Ferrara e in tutta Italia del circuito Ticketland 2000. Per
aggiornamenti in tempo reale si può seguire il Ferrara Film
Festival su Facebook, Twitter o Instagram.

Il programma dei film, per quanto già molto ricco, non è altro
che la punta dell’iceberg di un programma che include eventi a
tema e di beneficenza, incontri con i professionisti del
cinema da tutto il mondo e feste serali, tra cui il consueto
party di apertura al Palazzo Roverella, previsto per Sabato 23
Marzo, che lascerà il segno.

L’appuntamento è quindi rinnovato nella Città di Ferrara,
patrimonio mondiale dell’UNESCO, partendo quindi dal 23 Marzo,
per poi concludere il tour de force con la cerimonia di
premiazione dei “Golden Dragon” che si terrà alla Sala
Estense, in Piazza Municipale, Domenica 31 Marzo alle ore 18.

Il programma completo dei        film   e     ulteriori    info:
www.ferrarafilmfestival.com
Il cineasta messicano Alfonso Cuaron ha vinto l'Oscar per la miglior regia con "Roma", Itali@ Magazine
David di Donatello: ecco le
candidature   dell’edizione
2019
di Lara Ferrara

Si è tenuta oggi la conferenza stampa per l’annuncio delle
candidature alla 64° EDIZIONE DEI PREMI DAVID DI DONATELLO
Sono intervenuti; Fabrizio Salini – Amministratore Delegato
Rai, Piera Detassis – Presidente e Direttore Artistico
Fondazione David di Donatello,Teresa De Santis – Direttore
Rai1, Roberta Enni – Direttore Rai Gold, Claudio Fasulo – Vice
Direttore Rai 1 Carlo Conti.

Il Presidente e Direttore Artistico, Piera Detassis, e il
Consiglio Direttivo dell’Accademia del Cinema Italiano
composto da Francesco Rutelli, Carlo Fontana, Nicola Borrelli,
Francesca Cima, Luigi Lonigro, Mario Lorini, Domenico Dinoia,
Edoardo De Angelis, Francesco Ranieri Martinotti, Giancarlo
Leone, hanno stabilito una serie di importanti riforme del
regolamento del premio.

Fra le numerose novità, una nuova giuria e la modifica del
sistema di voto, entrambi adeguati ai modelli proposti dai
grandi riconoscimenti internazionali; nuove regole di
ammissione dei film che concorreranno all’assegnazione del
Premio; la nascita del David dello Spettatore. Attraverso
questa serie di rilevanti modifiche, l’Accademia del Cinema
Italiano punta a rinnovarsi proponendosi come una realtà ancor
più autorevole e incisiva nell’ambito del panorama
cinematografico italiano e internazionale, al passo con le
rapide trasformazioni in atto nell’intero sistema
dell’audiovisivo.

“Il cambiamento nasce da un grande lavoro di razionalizzazione
e da un’opera di rinnovamento complessa e impegnativa – ha
spiegato Piera Detassis – questo è l’inizio di un processo che
vuole riportare il David nel cuore pulsante, attivo, della
filiera. Il David non deve e non vuole essere semplicemente un
premio che si esaurisce in una serata ma – attraverso la
Fondazione Accademia del Cinema Italiano, vero giacimento di
talenti ed eccellenze – diventa strumento di formazione e
volano di promozione per il cinema e per la nostra produzione.
David, il premio del cinema che vota il cinema. Senza
rinchiudersi ma guardando al futuro”.

Ecco le candidature per i David di Donatello 2019. I premi fra
i più importanti del cinema italiano saranno consegnati il
prossimo 27 marzo a Roma, in una cerimonia che sarà trasmessa
in diretta su Rai1, collocazione a cui è tornata nel 2018 dopo
un paio di anni sotto l’organizzazione di Sky. Quest’anno sono
state fra l’altro introdotte numerose novità per quanto
riguarda la giuria che assegna i premi (svecchiata e ridotta a
1559 membri, con un’ampia rappresentazioni delle varie
professioni culturali e un terzo di presenze femminili) e il
metodo di votazione.

Secondo quanto emerso dalle cinquine, è Dogman di Matteo
Garrone il titolo che si è aggiudicato il maggior numero di
candidature, ben 15, a cui segue Capri Revolution di Mario
Martone. Ben rappresentati anche Chiamami col tuo nome di Luca
Guadagnino, Sulla mia pelle di Alessio Cremonini (ammesso in
gara solo perché non ancora valida la regola per cui tutti i
film papabili dovranno stare in sala per almeno 7 giorni in
minimo 5 città) e Lazzaro felice di Alba Rohrwacher.

Meno eclatanti i possibili riconoscimenti, invece, per Loro di
Sorrentino. Di seguito tutte le nomination ai David di
Donatello nelle categorie principali:

Miglior film:

Chiamami col tuo nome
Dogman
Euforia
Lazzaro felice
Sulla mia pelle

Miglior regia:

Mario Martone, Capri Revolution
Luca Guadagnino, Chiamami col tuo nome
Matteo Garrone, Dogman
Valeria Golino, Euforia
Alice Rohrwacher, Lazzaro felice

Miglior attore:

Marcello Fonte, Dogman
Riccardo Scamarcio, Euforia
Luca Marinelli, Fabrizio De André: Principe libero
Toni Servillo, Loro
Alessandro Borghi, Sulla mia pelle
Miglior attrice:

Marianna Fontana, Capri Revolution
Pina Turco, Il vizio della speranza
Elena Sofia Ricci, Loro
Alba Rohrwacher, Troppa grazia
Anna Foglietta, Un giorno all’improvviso

Miglior attore non protagonista:

Massimo Ghini, A casa tutti bene
Edoardo Pesce, Dogman
Valerio Mastandrea, Euforia
Ennio Fantastichini, Fabrizio De André: Principe libero
Fabrizio Bentivoglio, Loro

Miglior attrice non protagonista:

Donatello Finocchiaro, Capri Revolution
Marina Confalone, Il vizio della speranza
Nicoletta Braschi, Lazzaro Felice
Kasia Smutniak, Loro
Jasmine Trinca, Sulla mia pelle

Miglior regista esordiente:

Luca Facchini, Fabrizio De André: Principe libero
Simona Spada, Hotel Gagarin
Fabio e Damiano D’Innocenzo, La terra dell’abbastanza
Valerio Mastandrea, Ride
Alessio Cremonini, Sulla mia pelle

Miglior sceneggiatura originale:

Dogman
Euforia
La terra dell’abbastanza
Lazzaro felice
Sulla mia pelle
Miglior sceneggiatura non originale:

Chiamami col tuo nome
Ella & John (The Leisure Seeker)
Il testimone invisibile
La profezia dell’armadillo
Sono tornato

Miglior montaggio:

Capri Revolution
Chiamami col tuo nome
Dogman
Euforia
Sulla mia pelle

Miglior fotografia:

Capri Revolution
Chiamami col tuo nome
Dogman
La terra dell’abbastanza
Lazzaro felice

Miglior scenografia:

Capri Revolution
Chiamami col tuo nome
Dogman
Lazzaro felice
Loro

Miglior costumi:

Capri Revolution
Chiamami col tuo nome
Dogman
Lazzaro felice
Loro
Miglior scenografia:

Capri Revolution
Chiamami col tuo nome
Dogman
Lazzaro felice
Loro

Miglior musicista:

Nicola Piovani, A casa tutti bene
Sascha Ring e Philipp Thimm, Capri Revolution
Michele Braga, Dogman
Nicola Tescari, Euforia
Lele Marchitelli, Loro
Mokadelic, Sulla mia pelle

Miglior canzone originale:

Sascha Ring, Aracea (Capri Revolution)
Sufjan Stevens, Mistery of Love (Chiamami col tuo nome)
Enzo Avitabile, ‘A speranza (Il vizio della speranza)
Toni Servillo, ‘Na gelosia (Loro)

Miglior film straniero:

Bohemian Rhapsody
Cold War
Il filo nascosto
Roma
Tre manifesti a Ebbing, Missouri
Mio nonno Zandraa, padre del
cinema mongolo
Mio nonno Zandraa (1918-2009), fu il primo regista
cinematografico e scenografo professionale della Mongolia, e
quindi entrò nella storia come il “Padre del cinema
professionale mongolo”. Più conosciuto come il regista di film
documentari, fece anche tanti film con gli attori,
introducendo in Mongolia lo stile di “vaudeville” e la
commedia cinematografica, ma in più fu anche uno scrittore. I
suoi racconti, qualche libro ed alcune poesie diventarono
classici della letteratura mongola, mentre lui era ancora in
vita. Il suo film “La patria” vinse il primo premio
internazionale per la Mongolia come il Grand Prix del Festival
Cinematografico Internazionale a Jakarta in nome di Patrice
Lumumba, Indonesia, ovvero la Statuetta della Fanciulla
d’Argento che attualmente si trova al Museo dell’Arte e del
Teatro a Ulaanbaatar. Quindi fu invitato a tanti festival
internazionali di diversi paesi come il celebre Festival del
Cinema a Mosca per almeno quattro volte, il Festival del
Cinema in Egitto, in Bulgaria, in Germania dell’est prima
della caduta del muro, in Cina, in Mongolia Interna, in
Lituania e Lettonia, in Polonia, in Moldova e in tanti altri
paesi, in alcuni dei quali fu anche membro di commissione
della giuria internazionale. Nel 1994 il VI Festival des Trois
Continents in Francia rende omaggio al cinema mongolo aprendo
con e presentando il film di mio nonno “Shine jil” (tradotto
come “Nouvel An”) del 1954.

Durante la sua vita mio nonno Zandraa fu premiato con tanti
titoli, medaglie e riconoscimenti nazionali più alti dello
stato e del governo, per il suo prezioso contributo nell’arte
della Mongolia.

Invece per me, il nonno era soprattutto e semplicemente il mio
caro e amato unico nonno. Direi, rappresentò una figura di
padre, con il quale potevo condividere i miei più grandi
segreti, con il quale organizzavo ”grandi azioni” per
realizzare all’inizio i miei piccoli desideri, e poi le cose
serie, tra le quali: il mio canto lirico. Fu lui e soltanto
lui che non vedeva in questo una sciocca pazzia, anzi, visto
che a me piaceva cantare, insistette perché prendessi tutto
con la massima serietà, cosi mi portò dal mio primo Maestro,
il tenore Khaidav e mi fece studiare il bel canto. Credendo in
me, mi diede sempre solo la forza e il coraggio di continuare
la mia strada verso l’arte dell’opera lirica. Lui mi amava per
quello che sono, senza mai alzare la voce o sgridarmi, anzi
solo da lui ho saputo di essere veramente rispettata nelle mie
scelte e non c’e bisogno di dire che mi manca e mi manca il
suo amore.

Qui vi presento una delle sue interviste mai pubblicate, che
scrisse rispondendo alle domande di uno studente che faceva
qualche ricerca sul cinema della Mongolia e che abbiamo
trovato da poco insieme con mio fratello Altan in mezzo ai
suoi tanti scritti rimasti dopo la sua scomparsa.

Ayana Sambuu

“Io mi chiamo Enkhjargal di Choibudraa. Sono un studente di
giornalismo in Tuv aimag (Aimag Centrale) del distretto di
Jargalant. Ho seguito il corso del professore Tseren sulla
professione di cameraman e abbiamo parlato di suoi film e dei
suoi lavori letterari. Mi interessa moltissimo e raccolgo il
materiale sui film documentari, studio con grande interesse le
biografie e i lavori dei registi cinematografici. Perciò
grazie al professore Tseren che ha dato il suo consenso ad
aiutarmi per fare da tramite… mi rivolgo a Lei per qualche
domanda, ringraziandola immensamente per la Sua disponibilità.
Ci racconti di Lei, come era da bambino? Come diventò regista
cinematografico?

Mio padre, Tseveen Tegsh e la mia mamma, Dulmaa Galsan, erano
entrambi di etnia buriata. Perciò sono nato al Altanbulag come
loro quarto figlio dopo il loro trasloco dalla Buriazia Russa
al termine della Rivoluzione Sovietica. La famiglia Tseveen
era composta da quattro figli: la più grande mia sorella
Dolgorjav, la bellissima sorella Tserendejid, mio fratello
Puntsag ed io. Quando avevo tre anni ci spostammo in Zuun
Kharaa, al pascolo della montagna Kherkhentseg per stare
insieme con qualche altra famiglia di buriati e dove sono
cresciuto fino 10 anni prendendo educazione a casa… Poi
(siccome a Zuun Kharaa non c’era una scuola ufficiale) mi
portarono in città quando avevo già 10 anni per studiare in
una vera scuola. Vivevo insieme alla mia seconda sorella, e mi
fecero entrare alla scuola elementare dove tutti gli altri
bambini avevano 7-8 anni, ed io ero magrolino e più alto degli
altri, perciò mi prendevano in giro chiamandomi “Papà”. Questo
mi faceva soffrire moltissimo, ero molto sensibile e mi
vergognavo a tal punto che decisi di scappare di casa. Quando
mia sorella finalmente mi ritrovò, mi riempì di sculacciate,
così in più diventai un bambino estremamente pauroso. Nel 1932
entrai all’ istituto pedagogico dove mi laureai nel 1936 e
diventai un maestro della scuola elementare dell’Aimag
Centrale del distretto Batsumber. Lì insegnavo insieme ai
maestri con quali studiavo all’istituto pedagogico, ed anche
il nostro direttore, Tumur Ochir, era sempre un laureato del
nostro stesso istituto. Così d’estate per riposare, andavo dai
miei che vivevano e lavoravano in un altro posto chiamato
Baruun Bulen, andando da loro mi capitò di trovarmi per
sbaglio dove il grande fiume Orkhon si ramificava, e così
quasi affogai nella sua corrente, per fortuna fui salvato e
tirato fuori da una ragazza che pascolava le pecore che in
quel momento stava facendo bere gli animali. Così ebbi in più
una grande paura dell’ acqua! Quindi quando ero bambino e
all’età di un giovanotto, ero molto, ma molto timido, non
sapevo rispondere a tono alle persone, perciò c’era sempre
qualcuno che si approfittava di me. Lavoravo così cercando di
fare del mio meglio, facendo buon viso a cattivo gioco, in
modo che nessuno mai avrebbe potuto avere la possibilità di
dire o ridire qualcosa e rimproverarmi. Credo, che tutto
questo poi mi aiutò nel creare i personaggi dei miei lavori
letterari. Quando diventai adulto mi ispirarono moltissimo i
racconti del Dambadorj “Tolbo nuur” e Yadamsuren “ Khos
zaluu”, ”Shii mergenii shiitgesen khereg”, gustai moltissimo
queste novelle, cominciai davvero a sentire dentro di me la
voglia di scrivere, analizzando le persone dal punto di vista
della virtù, della bontà, della cattiveria, della perfidia ecc
ecc. senza minimamente pensare di poter diventare uno
scrittore. Quando ero un piccolo bambino pensavo che tutti gli
adulti fossero molto più intelligenti, ed io essendo piccolino
non potevo avere ragione più di loro! Più tardi insegnando
alla scuola di Batsumber successe una cosa: un bambino scappò
dalla scuola, ed io andai a cercarlo. Andai da solo con un
cavallo senza sella e in più con gli stivali solamente di
cuoio (si intende non gli stivali invernali caldi). Perciò
feci congelare i miei piedi da un colpo ipotermico così che
dovetti poi curarmi per tantissimo tempo, restando a letto.
Questo “caso” mi fece venire un certo disgusto verso il lavoro
da insegnante. Infatti proprio in quel periodo, di qualche
mese di riposo forzato, cominciai a studiare la lingua russa
che mi ritornò molto utile più tardi. Dopo aver lasciato il
lavoro presso Batsumber, mentre ero entrato a lavorare all’
Istituto Tecnico di Economia mio padre venne arrestato, ed io
fui cacciato dal lavoro come un figlio del “nemico del
popolo”. Confiscarono tutti i beni della nostra casa, e
veramente per sopravvivere diventai un uomo, scaricavo il
carbone alla fermata chiamata come la “quinta dell’acqua calda
“ (una vecchia fermata dei treni). Lavorai così per due anni,
e tornando a casa nelle ore serali la mia mamma mi raccontava
antiche leggende, favole, parlavamo della vita e delle nostre
sofferenze e difficoltà, le confidavo qualsiasi cosa,
attraversavamo un periodo davvero difficile. Per fortuna, un
giorno incontrai uno vecchio conoscente, si chiamava Khurlee,
lui mi aiutò a diventare un assistente di Tsevegmed Nyamaa
(più tardi lui diventò l’Artista del Popolo, Ardyn Jujigchin).
Sempre innamorato dell’ arte, mi furono di grande aiuto tutte
le leggende raccontatemi dalla mamma ed i consigli di una
volta della mia maestra Tsegmed. Così mi sono ristorato nell’
anima gioendo nel profondo. Ero molto felice! Ecco come
cominciò la mia strada verso l’arte.

I suoi racconti “ Il negozio di un somon”, “Il paese mongolo”,
”La candela in mezzo al fuoco” ed anche tante poesie furono
pubblicati su giornali come “La via della cultura”, ”Il
diritto nazionale del popolo”. Dicono che questi giornali
erano fondati dall’ordine del Consiglio dei Ministri del 1932,
mentre gli altri erano quelli popolari come “La bandiera
rossa”, “La letteratura della rivoluzione”. Quindi perché
aveva scelto “La via della cultura “ e “ Il diritto nazionale
del popolo”?

Si, poi cominciai ad amare il giornale “Il diritto nazionale
del popolo” forse perché c’erano le poesie e i poemi dello
scrittore Yadamsuren che mi piacevano.
Nel 1943 Lei andò a studiare all’ Istituto Cinematografico
della Federazione Russa e diventò il primo studente straniero
di Eisenstein. Ci può raccontare un po’ degli anni di studi e
dei suoi compagni studenti?

Invece all’ Università della Cinematografia studiai insieme
con Gamjuur Damba, lui nel corso per cameraman, ed io in
quello classe da scenografo e regista. Siccome comunque avevo
problemi con la lingua, i miei compagni di classe Drobashenko,
Slavin e Strelkov mi aiutavano moltissimo. Certamente vivere
insieme con gli altri studenti nel dormitorio studentesco mi
aiutò molto a capire e studiare quello che leggevo.

Nel 1948 Lei tornò a Ulaanbaatar e subito realizzò il suo
primo lavoro: il film documentario “Ulaanbaatar”. La sua
ispirazione, il successo ed anche le difficoltà, come si
sentiva all’ epoca?

Nel 1948 quando tornai dopo aver finito gli studi all’
Università, la capitale Ulaanbaatar non era ancora cambiata,
era quasi quella di prima. Arrivavano voci che i nostri
giovani costruttori, architetti ed ingegneri, insieme con gli
ingegneri sovietici, stavano lavorando sui progetti per
rinnovare e cambiare la città, perciò ero preoccupato,
pensando come sarebbe stato bello riuscire a documentare sulla
pellicola cinematografica la città, ancora quella vecchia, non
cambiata. Infatti, mentre riflettevo fra me e me su questo
argomento, all’ improvviso arrivò “da sopra” (vuol dire dal
governo *) per mia grande gioia il compito di creare un
documentario sulla vecchia città. Così mi dedicai
completamente alla produzione del mio primo film
“Ulaanbaatar”.

Lei non è solo regista, ma anche uno scenografo professionale.
Essendo anche scrittore, dicono che lei abbandonò la scrittura
per fare cinema. Ci può chiarire un po’ su quest’ aspetto?
Comunque, prima di fare cinema lei scrisse i libri “Un anno
nuovo”, “Il guaio che ancora deve arrivare”, ”Nostri motivi
melodici ” che poi rifece come scenografie per i suoi film…?

Per quel che riguarda i miei scritti, si, io scrivo, anche se
critico me stesso moltissimo, in più ho un carattere
particolare, quindi spesso mi trovo assolutamente in
disaccordo con alcuni altri scrittori ed editori. Perciò
purtroppo tanti dei miei scritti non sono mai stati
pubblicati. In più, ci sono stati tanti momenti molto
frustranti e drammatici nella mia vita ; poi essendo sempre in
viaggio per fare i documentari, spendendo tantissimo tempo con
il lavoro con i camerman, perché non riprendevano esattamente
come volevo, a volte lasciavo la scrittura per parecchio
tempo.

Il libro “ Gem n urdaa” (“Il guaio che deve ancora arrivare ”)
è un mio libro che racconta della vita di un alcolizzato, che
pian piano stava rovinando non solo la propria vita, ma anche
la vita della sua famiglia e dei suoi bambini sia a livello
personale, che sociale. Quindi decisi di far diventare questo
libro un film e di raccontarlo attraverso lo schermo
cinematografico ; scrissi anche la scenografia per questo
film.

Tanti chiamano il film “Manai ayalguu” (“ I nostri motivi
melodici”) come un concerto cinematografico, il che mi fa
piacere, anche se questo genere di cinema si chiama “
vaudeville” e proviene dalla Francia del XV secolo, più
precisamente dalla provincia della Normandia. All’ epoca
questo genere era diffuso da tempo in tutti i continenti:
Europa, Asia, America. Dunque, lo scopo fu di introdurre
questo genere anche in Mongolia. Il film “ Un nuovo anno” lo
scrissi per realizzare sullo schermo quello che diventò all’
epoca una specie di rito o tradizione fra i giovani, quei
lavoratori bravi, che riuscivano a realizzare i loro progetti
prima del tempo, di celebrare così “ l’anno nuovo” due volte
all’ anno.

Tutti sanno che è stato proprio Lei a sperimentare e fare il
primo cartoon mongolo in assoluto. Perché Lei ebbe così grande
interesse per creare il cartoon “Due amici”?

A parte i film con gli attori e i film documentari, i cartoon
animati hanno una grande parte nella cinematografia. Nel
nostro paese di creare cartoon non se ne parlava affatto, per
almeno 30 anni dalla nascita di questo genere nel mondo. Negli
altri paesi di cartoon si interessavano non solo i bambini, ma
anche le persone adulte, perciò io pensai di creare anche
cartoon. Così nel 1962 insieme con un mio amico scrittore,
Lodoidamba, provai a creare un film per mettere, per così
dire, il primo mattone dell’industria dei cartoon in Mongolia.
Purtroppo, non ebbi nessun appoggio ne dagli istituti
amministrativi, ne dal governo, quindi questa idea piano piano
cominciò a spegnersi …(dicono adesso che Myagmar della
televisione e il pittore Buyandelger stanno lavorando alla
produzione dei cartoon). Perciò il primo cartoon animato della
Mongolia che feci io che si chiama “ Due amici” non diventò
affatto una sensazione, anzi, come si dice” la prima frittella
va a rotoli”. Quindi in più quell’ anno su un giornale uscì un
articolo che criticò il mio tentativo di creare il genere di
cartoon cinematografico.

La scenografia del film “L’arcobaleno del paese mattutino” fu
scritta insieme con J.Purev. Perché lo chiamò cosi? Quali
furono le difficoltà di fare questo film? (mio nonno
sottolineò la parola “fare” correggendo e mettendo sotto la
spiegazione ”il film non si fa, ma si crea!”)

“Errnii nutgiin solongo” ovvero “L’arcobaleno del paese
mattutino”. L’arcobaleno è il simbolo della vera bellezza del
nostro paese, i sette colori, rappresentavano lo sviluppo
della Mongolia, i suoi tempi e ritmi. Quindi lo creai non come
uno documentario, ma come un film narrativo che racconta del
nostro paese di quell’epoca.

Nel 1964 il suo film vinse il Grand Prix del Festival
cinematografico Internazionale in Jakarta ovvero La statuetta
della Fanciulla d’argento in nome di Patrice Eneri Lumumba. Ci
racconti come riuscì a vincere questo premio?
Il nostro film “La patria” vinse il Grand Prix di Patrice
Lumumba. In questo film abbiamo fatto vedere soprattutto la
danza classica, l’orchestra sinfonica, i musicisti e gli
strumenti musicali. E quindi i giornalisti dissero che quelle
non erano persone mongole che suonavano, insistendo, che nel
nostro paese non doveva essere sviluppata l’arte classica,
perché dovevamo essere un paese tribale. Perciò, io ho dovuto
addirittura provare che quelle persone erano della Mongolia,
insomma questo film alzò un gran polverone. Alla fine la
commissione di giuria decise che, secondo loro il film
veramente riuscì a far vedere quel che nessuno si aspettava,
in altre parole il film “ dimostrò lo sviluppo del nostro
paese attraverso la musica”.

Lei “creò” tantissimi film, sicuramente, per ognuno dei quali
diede anima e cuore. Quale di questi fu il più difficile da
realizzare ? Quale di loro amò di più?

Ognuno dei film aveva le sue difficoltà, ma i film che amo di
più sono “ Il guaio che deve ancora arrivare”, “I nostri
motivi melodici”

Ci sono tanti generi cinematografici, quale di loro Le
piacerebbe che si sviluppasse di più?

Mi piace qualsiasi genere dove ci sente l’anima, dove si tocca
la profonda sensibilità dell’ anima umana, per questo i vari
generi piacciono alle persone. Risponderei: La sensibilità
dell’ anima umana non si divide nei generi..

Lei ha lavorato con tante persone, ci racconti un po’ sulle
persone con quali era facile *lavorare insieme? Poi si dice
che per realizzare bene un film bisogna avere un bravo
cameraman? Lei è una persona come diciamo noi, che appartiene
alla Generazione d ‘Oro, ci racconti un po’ delle persone
della sua generazione?

Non si dice mai ”facile per lavorare”, e con tutto il
rispetto, non è una cosa materiale da fare.(Un film non è un
lavoro da sarta o calzolaio!) Intendevi, coinvolto nell’ anima
? Sono i cameraman come Demberel, Ganjuur, Khuyag-Ochir.
Inoltre, non si può apprezzare un opera d’arte se è una cosa
fatta “bene”, “male” ovvero “ grigia”. L’unico modo di
apprezzarla è di saper riconoscere se sia l’ OPERA D’ARTE
oppure NON sia un ’OPERA D’ARTE. Su questo sto scrivendo un
articolo che uscirà sulla stampa presto, perciò per la
risposta completa dovresti aspettare.

Che cosa ne pensa della cinematografia della Mongolia di oggi?

Il vero apprezzamento viene col tempo, quando ci saranno molti
più i film arrivati al pubblico. È il pubblico che prende le
vere decisioni. Quel che penso, è che ci dovrebbero invece
essere fatti nuovi regolamenti nella struttura amministrativa
della nostra istituzione cinematografica e della produzione
Mongol Kino.

Che cosa ne pensa della televisione mongola? Pensa che la
televisione non apprezzerà abbastanza il genere dei film
documentari? I film lungometraggi invece       riusciranno   a
prendere il posto loro nella televisione?

Dove e come andrà a sviluppare l’arte cinematografica e la
televisione non saprei dire. Se qualcosa si crea, qualcuno
sarà sempre più o meno apprezzato, giustamente e non. Le cose
si vedranno e verranno col tempo, aspettiamo!

(articolo tradotto da Ayana Sambuu con la gentile concessione
di www.mongolia.it)
Anteprima      video     spot
“Raptus”- Giovedì 31 gennaio
– In diretta dagli studi Rai
a “Buongiorno Regione Lazio”
si parlerà di “Virtus – La
connessione tra il reale e il
virtuale” ( dal 7 al 12
febbraio 2019 Fabbrica del
Vapore di Milano)
Domani mattina In diretta dagli studi Rai -Buongiorno Regione
Lazio – Pagina ufficiale , condotto da Mariella
Anziano,parleremo di un tema molto attuale: la dipendenza dal
mondo virtuale. In studio Antonietta Campilongo che parlerà di
Virtus – La connessione tra il reale e il virtuale ( dal 7 al
12 febbraio 2019 Fabbrica del Vapore – Spazio The Art Land –
lotto 10)

Con presentazione anteprima del video “Raptus” .
Interamente girato nella struttura romana storica del Santa
Maria della Pietà con la gentile concessione della ASL Roma 1.

Ideato ed interpretato da Lara Ferrara per la regia di: Juan
Diego Puerta Lopez
foto di Andrés Arce Maldonado

Direttore Fotografia e montaggio: Andrés Arce Maldonado.

…Partiamo   dal   fatto   degli   impulsi,   della   flessibilità
cognitiva e della capacità di assumere decisioni in base
all’appagamento.
Bisogna accettare l’idea che la tecnologia non sia affatto
neutra ma possa produrre effetti sulla mente largamente
indipendenti dalla consapevolezza e razionalità di chi li
subisce, e tanto più insidiosi perché si presentano sotto una
forma accattivante e seducente

Lara Ferrara

Alberto              Sordi:              segreto               –
Lunedì 28 gennaio alla Casa
del Cinema,Roma
Lara Ferrara

Lunedì 28 gennaio 2019 dalle ore 17:30 alle 18:30 Casa del
Cinema, Roma.
Incontro moderato da Alberto Crespi con Alberto Anile, Walter
Veltroni, Carlo Verdone. Nel corso dell’incontro verrà
presentato dal suo direttore, Felice Laudadio, il n. 592 della
rivista «Bianco e nero» interamente dedicato ad Alberto Sordi.

«”Il momento più felice della mia giornata è quello in cui
posso mettermi in vestaglia e pantofole, e allungare i piedi
sotto il tavolo, con un bicchiere di vino accanto”. Parola di
Alberto Sordi, l’interprete di quasi duecento film, una
carriera stipatissima di cinema, teatro, televisione, radio,
canzoni, che affettava una pigrizia romana ma era più
laborioso di un giapponese. Un attore che nella sua acuminata
analisi di tipi e persone, e nella sua pervicace ricerca di
verità, fu un pioniere controcorrente e uno straordinario
autore di sé stesso. Al grande artista, “Bianco e nero”, il
quadrimestrale del Centro Sperimentale diretto dal presidente
Felice Laudadio, dedica il n. 592, basato sul Fondo Alberto
Sordi depositato presso la Cineteca Nazionale.
Nel volume, Goffredo Fofi mette in luce l’aspetto lucido e
crudele del Sordi migliore, “cattolico e romano, anzi catto-
belliano e per niente apostolico e universale”, Maurizio Porro
racconta i trascorsi teatrali e di cantante, “rapper in
anticipo con una spiccata vena per il surreale”, Stefano Masi
illumina il sodalizio con Silvana Mangano, accoppiata ardita
de “la bella e la bestia”. Come suggerisce il titolo Sordi
segreto, abbiamo cercato di esplorare gli aspetti meno noti
dell’attore, a cominciare dai progetti non realizzati (dallo
pseudo western Il trombettiere del generale Custer a Il mio
amico Henry, basato sulle traversie di un sosia di Kissinger,
fino al film in Brasile – su cui riferisce Tatti Sanguineti –
del quale si girano alcune scene al Carnevale di Rio); Daniela
Currò, conservatrice della Cineteca Nazionale, recupera le
bobine radiofoniche di Io, Alberto Sordi; si svelano i segreti
di Mamma mia che impressione!, e si raccontano le puntate
inedite di Storia di un italiano.
Fra gli ospiti e i testimoni, Francis Ford Coppola ricorda una
cena insieme a San Francisco, Moraldo Rossi giura che sul set
felliniano di Lo sceicco bianco Sordi si sia scritto tutte le
battute, ci sono omaggi di Gigi Proietti e dello scrittore
spagnolo Arturo Pérez-Reverte. Altri testi e interventi sono
di Walter Veltroni, Benedetto Gemma, Gabriele Gimmelli, Marco
Vanelli, Alberto Crespi, Maria Gabriella Giannice, Gianni
Amelio, Steve Della Casa, David Grieco, Luca Martera, Domenico
Monetti, Luca Pallanch, Simone Starace, Giovanni D’Ercole,
Francesca Angelucci, Marina Cipriani, e del sottoscritto.
Buona lettura» (Alberto Anile, curatore di «Bianco enero», n.
592).

ore 16.00 Fumo di Londra di Alberto Sordi (1966, 131′)
È la prima regia di Alberto Sordi, assieme a Polvere di stelle
sicuramente il suo miglior film da autore a 360 gradi e uno
dei lavori ai quali era maggiormente legato. Sordi vi
interpreta un elegante e colto antiquario di Perugia,
innamorato degli ambienti e delle atmosfere di una Londra più
immaginaria che reale. Il film racconta un amore per la
cultura, la società e la musica britanniche che in quello
stesso 1966 veniva ribadito da Blow-Up di Antonioni, e che due
anni dopo avrebbe dato vita a La ragazza con la pistola di
Monicelli. Testimonia anche la dimensione cosmopolita
dell’uomo Sordi, un artista aperto a suggestioni
internazionali e tutt’altro che ripiegato su un’identità
esclusivamente italiana e “romana”.
Il film viene presentato nella preziosa versione integrale
restaurata dalla Cineteca Nazionale, che ha ritrovato e
reintegrato numerose scene utilizzate         da   Sordi     solo
nell’edizione della prima uscita.

ore 19.30 Il medico della mutua di Luigi Zampa (1968, 100′)
Dopo la presentazione del Sordi segreto, verrà proiettato un
altro restauro eccellente della Cineteca Nazionale, Il medico
della mutua (1968), realizzato anche grazie a un crowdfunding
lanciato nel 2017, fra i massimi risultati del regista Luigi
Zampa e dell’interprete Albertone. «Al centro del film –
scrive Anile – c’è il corpo come merce, secondo una visione
marxista comune ad Amidei e a Zampa, e conciliabile con quella
dell’uomo Sordi, che nel segreto dell’urna votava conservatore
ma era dotato di un’indignazione istintiva che gli guadagnò
(per Una vita difficile) perfino un abbraccio da Togliatti».

Arriva nelle sale il 21, 22 e
23 gennaio il documentario
Mathera, terzo appuntamento
della stagione de “L’Arte al
cinema”
Lara Ferrara

Nelle sale il 21, 22 e 23 gennaio il documentario Mathera,
terzo appuntamento della stagione de “L’Arte al cinema”

“Mettetevi in ascolto e i muri vi racconteranno la storia”
Antonio Acito, architetto

“Matera è un messaggio per tutto il Mediterraneo, per tutti i
paesi del mondo, per tutti i villaggi, per il recupero di
tutti i luoghi abbandonati. È un messaggio per l’Europa
intera”
Pietro Laureano, storico dell’arte

Diretto da Francesco Invernizzi e prodotto da MAGNITUDO FILM,
racconta del riscatto e della rinascita di Matera, dalle sue
origini ad oggi. Un viaggio attraverso ricordi e aneddoti, da
quando la città venne definita “vergogna d’Italia” sino ai
giorni nostri che vedono questo centro abitato una delle mete
turistiche più desiderate d’Italia. La città si trova al
centro di un territorio estremamente dinamico dove tradizione,
scienza e tecnologia consentono un viaggio tra il passato, il
presente e il futuro dell’intera umanità. Il documentario
propone una riflessione sulle bellezze e sulle potenzialità di
Matera rivelate dalle voci e dai volti dei suoi abitanti, in
un affresco corale unico nel suo genere reso possibile dalla
tecnologia delle immagini in 8k e dal drone che accompagnano
lo spettatore in un viaggio indimenticabile tra cultura, arte
e storia. Un’esperienza che porta alla riflessione di quanto
il passato sia un’esperienza di cui fare tesoro per
incoraggiare a guardare il futuro in un’ottica di rispetto e
sostenibilità.

Un’avventura cinematografica dalla storia dall’alba lucana
fino ad arrivare alle luci del tramonto che trasformano la
città in un presepe vivente.
“Mathera” un film documentario dedicato alla Capitale della
Cultura 2019. Voci autorevoli del mondo della storia dell’arte
e dell’architettura si alternano alle testimonianze di chi ha
scelto di vivere nei Sassi o di lavorarci. Ne emerge un quadro
struggente, di una città che è una delle più antiche del mondo
ancora abitate e che oggi più che mai continua a incantare e
attrarre turisti da tutto il mondo.
“Semplicemente   Godard”   a
gennaio e febbraio al MIC di
Milano
di Lara Ferrara

Dal 17 gennaio al 2 febbraio, presso il MIC, Museo Interattivo
del Cinema a Milano, Fondazione Cineteca Italiana proporrà la
retrospettiva “Semplicemente Godard”, rassegna dedicata al
grande regista francese Jean-Luc Godard con tredici suoi
capolavori degli anni’60, decennio in cui rivoluzionò il
linguaggio cinematografico: tutte le pellicole in
programmazione.

Insuperabile nell’illustrare le parole con immagini e luci,
critico ancor prima che regista, Jean-Luc Godard è uno dei
grandi maestri del cinema francese. Storia della sua lunga
carriera, dalla militanza nei “Cahiers du Cinema” ai suoi
ultimi lungometraggi

Nato il 3 dicembre del 1930 a Parigi, Jean-Luc Godard proviene
da una famiglia protestante molto ricca, appartenente all’alta
borghesia svizzera: la madre è figlia di banchieri, mentre il
padre è medico. Dopo aver compiuto i primi studi in un
collegio elvetico, durante l’adolescenza torna nella città
natale, dove frequenta il liceo e la Sorbona: nel 1949 ottiene
il diploma in Etnologia.

Poco dopo, inizia a scrivere critiche cinematografiche su
riviste specializzate come “Cahiers du cinéma” e “Arts”. Il
primo articolo risale al 1950, si intitola “Joseph Mankiewicz”
e compare sulla “Gazette su cinéma”. L’approdo ai “Cahiers du
cinéma”, invece, avviene due anni più tardi, quando,
utilizzando lo pseudonimo di Hans Lucas, si occupa della
recensione de “L’altro uomo”, opera di Alfred Hitchcock, e
propone un saggio chiamato “Difesa e illustrazione del
decoupage classico” nel quale manifesta la propria visione
delle arti totalizzante.

Godard è prima di tutto un critico che un cineasta. Nel 1950
fonda con Rivette e Rohmer il mensile “La revue du cinéma”, di
cui però vedranno la luce solo 5 numeri, nei quali egli
realizzerà una manciata di scritti con lo pseudonimo di Hans
Lucas.
Frequenta costantemente i piccoli cineclub e la Cinémathèque,
preferendo questi a un’istruzione specifica alla Sorbona,
nell’istituto di filmologia.
E’ in questo periodo che si avvia il suo vero e proprio
processo cinematografico attivo, con la concezione di Cinema
come continuazione della realtà e della vita, con la militanza
nei Cahiers du Cinema e con i suoi primi cortometraggi quali
“Une femme coquette”, “Charlotte et Véronique”, “Charlotte et
son Jules” (con un già brillantissimo Jean-Paul Belmondo) e
“Une histoire d’eau” dove la Lei dice “Di solito me ne frego
dell’immagine, è il testo che conta. Ma questa volta ho torto
perché qui tutto è bello”. Il racconto si snoda sopra le
inquadrature, non come commento o al loro servizio, ma come
materia    cinematografica     autonoma,     colonna   sonora
dichiaratamente sovrapposta. Il rapporto fra parole e immagini
trascina con sé il problema del rapporto fra le parole e le
cose, che per Godard è il problema stesso della regia.
La rassegna Semplicemente Godard propone dunque una selezione
dei film più incisivi di Godard, capace di rivoluzionare il
linguaggio cinematografico realizzando opere di forte valore
innovativo come Vivre sa vie, À bout de souffle, Le Mépris. Le
Livre d’image in particolare rappresenta un film sperimentale,
un lavoro di montaggio di storia del cinema e Storia recente,
tra Olocausto e orrore contemporaneo, tra mondo arabo e mondo
occidentale.

Milano – Ecco la programmazione dei film proiettati nella
rassegna Semplicemente Godard:

Giovedì 17 gennaio, ore 17.00 – Le Mépris (Il disprezzo). Ore
20.30 – Le Livre d’image – in escusiva
Sabato 19 gennaio, ore 17.00 – Deux ou trois choses que je
sais d’elle (Due o tre cose che so di lei). Ore 20.30 – Le
Livre d’image
Mercoledì 23 gennaio, ore 17.00 – À bout de souffle (Fino
all’ultimo respiro). Ore 20.30 – Le Livre d’image.
Giovedì 24 gennaio, ore 15.00 – Une femme est une femme (La
donna è donna).
Venerdì 25 gennaio, ore 17.15 – La Chinoise (La cinese).
Sabato 26 gennaio, ore 17.00 – Masculin féminin (Il maschio e
la femmina). Ore 20.30 – Le Livre d’image.
Martedì 29 gennaio, ore 15.00 – Made in U.S.A (Una storia
americana). Ore 17.00 – Une femme mariée (Una donna sposata).
Mercoledì 30 gennaio, ore 20.30 – Le Livre d’image.
Giovedì 31 gennaio, ore 17.00 – Il bandito delle 11.
Venerdì 1 febbraio, ore 15.00 – Le petit soldat. Ore 17.00 –
Vivre sa vie (Questa è la mia vita).
Sabato 2 febbraio, ore 15.00 – Bande à part. Ore 17.00 –
Agente Lemmy Caution: Missione Alphaville.
I biglietti per i film costano 6,50 euro (intero) o 5 euro
(ridotto con cinetessera). Ingresso adulto + bambino 7 euro.
Gratuito dai 16 ai 19 anni. Per informazioni contattare la
Cineteca di Milano via telefono 02 87242114 o via email.
MIC

Arriva al cinema “Van Gogh –
Sulla soglia dell’eternità
(At Eternity’s Gate)” – Un
film di Julian Schnabel
di Lara Ferrara

Ventidue anni dopo Basquiat, l’acclamato regista di “Prima che
sia notte e Lo scafandro e la farfalla”, torna a parlarci
della grande arte e lo fa portando sul grande schermo gli
ultimi, tormentati anni di Vincent Van Gogh. Ad interpretare
l’irrequieto pittore olandese un sorprendente Willem Dafoe,
candidato ai Golden Globe come miglior attore in un film
drammatico e premiato alla Mostra d’arte Cinematografica di
Venezia con la Coppa Volpi.

“At Eternity’s Gate” è l’ultimo film dell’artista e regista
Julian Schnabel, presentato alla 75ma mostra del cinema di
Venezia, racconta la storia degli ultimi anni della vita del
tormentato pittore olandese Vincent Van Gogh, mettendo in
scena un aspetto della sua personalità sul quale si è scritto
e raccontato molto ma che qui assume vesti nuove.

“Questo è un film sulla pittura e un pittore e la loro
relazione rispetto all’infinito” ha affermato Schnabel a
Venezia. “Contiene quelli che sono i momenti che considero
essenziali nella sua vita; non è una biografia, ma la mia
versione della storia. Una versione che spero possa
avvicinarvi maggiormente all’artista”. Un film sulla
creatività e sui sacrifici del genio olandese, sull’intensità
febbrile della sua arte, sulla sua visione del mondo e della
realtà.

La   storia   di   un   pittore   estremamente   sensibile   e
dall’equilibrio mentale instabile che desiderava con forza
l’amicizia e, avendo un temperamento altruista, soffriva
maggiormente la propria solitudine.
Il suo era un bisogno di essere amato che esprimeva giorno
dopo giorno nella sua passione per l’arte.
Tuttavia, la solitudine di questo fervido genio creatore, non
possedeva quel buio dell’anima riscontrabile nella sue opera.
Molte saranno infatti le creazioni luminose e dai colori
vivaci che rispecchieranno il suo stato d’animo altalenante e
pervaso da sprazzi di serenità.In vita riuscì a vendere un
solo quadro e la sua esistenza fu segnata dalla povertà e
dalla follia, tanto che alcuni lo ricordano come “il pazzo”.
Vincent van Gogh è oggi uno degli artisti più celebrati in
tutto il mondo,
Nelle sale italiane il 3 gennaio, distribuito da Lucky Red, il
genio “maledetto” di Vincent Van Gogh raccontato attraverso
gli occhi di un’artista contemporaneo come Schnabel e con un
cast a dir poco stellare con prestigiosa firma di Jean-Claude
Carriere per la sceneggiatura.

Il grande artista viene descritto quasi come un bambino e il
suo disturbo prende i tratti di un capriccio infantile, che
emerge sia in solitudine che nei rapporti interpersonali, da
quello simbiotico con il fratello Theo, interpretato da Rupert
Friend, a quello turbolento e ambiguo con Paul Gauguin,
impersonato da Oscar Isaac.In un’atmosfera dalle luci e
penombre calde, cullate da un silenzio ripetuto e una psicosi
mai esasperata.
Dal burrascoso rapporto con Gauguin a quello viscerale con il
fratello, fino al misterioso colpo di pistola che gli ha tolto
la vita a soli 37 anni. Tra conflitti esterni e solitudine, un
periodo frenetico e molto produttivo che ha portato alla
creazione di capolavori che hanno fatto la storia dell’arte e
che continuano ad incantare il mondo intero

Vincent Van Gogh, simbolo di quell’umanità dolente incapace di
adattarsi ad una società violenta che opprime le sensibilità
più acute.

“Più ci penso, più mi rendo conto che non c’è nulla di più
veramente artistico che amare gli altri.”
Vincent Van Gogh
Roma Fringe Festival dal 7 al
27 gennaio 2019 – Mattatoio
Zona La Pelanda, Testaccio –
Roma
di Lara Ferrara

Al via la settima edizione del Roma Fringe Festival ospitato
negli spazi del Mattatoio – La Pelanda in un’inedita versione
invernale che vedrà confermata la mission e la storica formula
che l’aveva fatto apprezzare a un vasto pubblico.

Molte le novità introdotte quest’anno. La prima è la data,
7-28 gennaio, vale a dire in pieno inverno. Questa è la sfida,
che rappresenta un modo per puntare l’attenzione sul teatro e
sulla proposta di nuova drammaturgia che è l’essenza stessa
del fringe, svincolando questo evento da una collocazione
estiva che rischiava di assorbirlo nella più generale e
ricchissima proposta di intrattenimento estivo della Capitale.
Il teatro prima di tutto e, in particolare, il teatro
indipendente.

La seconda è indipendente perché ,in questa edizione, partendo
da questo concetto hanno creato grazie all’adesione di 14
teatri in tutta Italia, a partire dal prestigioso Teatro
Vascello di Roma, un circuito chiamato Zona Indipendente. Una
rete di 14 teatri che ospiteranno nella stagione 2019/2020 lo
spettacolo vincitore del Roma Fringe Festival 2019. Questo,
insieme alla possibilità di partecipare a uno dei fringe
mondiali, è un premio, che al di là di riconoscimenti o titoli
(che sono pur sempre prestigiosi e importanti) rappresenta in
concreto una seria opportunità per l’artista o la compagnia
vincitrice di far conoscere il proprio lavoro.

Da quest’anno, cambia anche la location. Il Roma Fringe
Festival si trasferisce nei locali de La Pelanda, nel
complesso del Mattatoio, nel cuore del quartiere di Testaccio
che, con il suo fermento e la sua vitalità, crediamo si presti
bene ad accogliere un festival come il Fringe. Per la finale,
poi, appuntamento, al Teatro Vascello, un Teatro storico della
Capitale. Accanto alle esibizioni delle compagnie e dei
singoli artisti, ci saranno poi una serie di appuntamenti, sia
all’interno de La Pelanda che al Macro Asilo, che offriranno
al nostro pubblico un’offerta culturale ancora più ampia.

Un ringraziamento a chi, negli scorsi anni, ha lavorato per
costruire un festival che, piano piano, ha conquistato
l’attenzione del pubblico e degli addetti ai lavori diventando
una realtà solida nel panorama teatrale italiano. In
particolare ringrazio Davide Ambrogi che, sei anni fa, ha
avuto l’intuizione di portare il Fringe, conosciuto e
frequentato in tutto il mondo, in Italia. Raccolgo il suo
testimone con orgoglio e con la certezza di poter dare il mio
contributo per continuare a farlo crescere in vitalità e
prestigio. Direttore Artistico, Fabio Galadini

DUE NOTE SULLA STORIA DEL ROMA FRINGE FESTIVAL

Il Fringe è il più importante festival mondiale di spettacolo
dal vivo. Un evento che si replica in ogni capitale culturale
del mondo.

Nato nel 1947 a Edimburgo (UK), conta oggi circa 240 festival
annuali, dall’Australia agli Stati Uniti, dall’Asia alla
nostra Europa.

Per capire che cos’è il Fringe e cosa rappresenta per il
settore delle arti sceniche basta dare un’occhiata ai numeri:
ogni anno, 19 milioni di persone in tutto il mondo vedono 170
mila artisti replicare 79 mila spettacoli.

Una vera e propria fucina di talenti, ma non solo. Sono
moltissimi, infatti, gli attori affermati che vogliono provare
l’ebbrezza e l’emozione di un contatto diretto con un pubblico
schietto e verace. All’estero, negli oltre 60 anni di vita, il
Fringe è stato scelto come palco da attori del calibro di Ewan
McGregor, Hugh Jackman, Tim Roth e Hugh Grant.

Il Fringe arriva a Roma nel 2012, patrocinato dalla World
Fringe Society, grazie all’impegno e alla direzione artistica
di Davide Ambrogi. Fin dal primo anno si colloca come vera e
propria festa del teatro, coinvolgendo un vasto pubblico non
sempre avvezzo al teatro, in un gioco di premi e arte.

La caratteristica del Roma Fringe Festival nei suoi primi anni
romani è, infatti, quella di portare il teatro e la nuova
drammaturgia all’attenzione di un pubblico variegato, un
pubblico solitamente lontano dai teatri, mettendo così in
gioco le compagnie provenienti da tutta Italia, Europa e a
volte anche USA con un pubblico “vero” e “verace”.
Grazie a Roma Fringe Festival, dal 2012 al 2014, nasce a Roma
il Parco del Teatro, a Villa Mercede, poi spostato nel 2015
nei Giardini di Castel Sant’Angelo, per poi tornare a San
Lorenzo nel 2017.

Oggi rappresenta un punto di riferimento per tutti gli artisti
indipendenti che ambiscono a una platea internazionale.

A testimoniare l’attenzione che il Roma Fringe Festival riceve
da parte del pubblico e di tutto il settore delle arti
sceniche, le numerose richieste di partecipazione che ogni
anno aumentano in modo esponenziale.

Nel 2017 sono state 350 le compagnie che si sono iscritte alla
selezione per un cartellone che prevedeva 40 spettacoli.

Fra le ragioni di questo successo, il pubblico folto e genuino
composto da turisti, addetti ai lavori e non, le location
prestigiose (Villa Ada, Castel Sant’Angelo, Villa Mercede e,
quest’anno, La pelanda), ma soprattutto la possibilità, grazie
alla partnership con World Fringe Network, di accedere a una
vetrina internazionale.

Diversi sono stati negli anni scorsi i vincitori del Roma
Fringe Festival che hanno ottenuto premi e riconoscimenti nel
mondo. I vincitori del Roma Fringe 2013, 2014 e 2016 hanno
trionfato come miglior spettacolo al San Diego Fringe 2014,
2015 e 2018. I vincitori dell’edizione del 2012 sono stati
menzionati dal New York Times partecipando l’anno successivo,
grazie al Roma Fringe, al New York City Fringe Festival. Lo
spettacolo vincitore dell’edizione 2015 è stato considerato
dalla critica il miglior spettacolo della stagione teatrale
italiana. Mentre i vincitori dell’edizione 2017 debutteranno
al Sidney Fringe nel 2019.
Puoi anche leggere