Il cineasta messicano Alfonso Cuaron ha vinto l'Oscar per la miglior regia con "Roma", Itali@ Magazine
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Il cineasta messicano Alfonso Cuaron ha vinto l’Oscar per la miglior regia con “Roma”, di Lara Ferrara Il cineasta messicano Alfonso Cuaron ha vinto l’Oscar per la miglior regia con “Roma”, miglior film in lingua straniera. Cuaron ha reso omaggio ai 70 milioni di lavoratori indigeni nel mondo. Il suo un discorso di accettazione. “Voglio ringraziare l’Accademia per aver riconosciuto un film incentrato su una donna indigena”, ha detto. “Un personaggio che è stato storicamente relegato sullo sfondo del cinema americano”. Quaron ha avuto numerosi riconoscimenti per il suo ritratto in bianco e nero di una lavoratrice indios che si prende cura di una famiglia borghese nella Città del Messico degli anni ’70. Ha dichiarato che il film, realizzato in spagnolo e in un dialetto indigeno, è stato ispirato dai suoi ricordi d’infanzia dove cresciuto con la sua famiglia nel quartiere di Colonia Roma a Città del Messico,ha avuto come tata una donna indios. “Una degli esseri umani che ho amato di più,la donna che mi ha allevato”. Ha anche scritto, prodotto e co-edito il film, che è stato
realizzato con attori prevalentemente amatoriali e poco conosciuti. In un’intervista a Reuters del novembre 2018, Cuaron ha definito il film “Roma” il più personale e sentito dei film diretti da lui. I film di Cuaron spaziano su stili e argomenti diversi, tra cui il road movie sessualmente esplicito di “Y Tu Mama Tambien”, un adattamento di “Great Expectations” di Charles Dickens, lo sbanca “botteghino” Harry Potter e il Prisoner of Azkaban “e il thriller spaziale” Gravity “, che ha vinto gli Oscar nel 2014 per regia e montaggio sonoro. Cuaron ha battuto quattro altri grandi registi nominati: Spike Lee per “BlacKkKlansman”, Adam McKay per “Vice”, Yorgos Lanthimos per “The Favorite” e Pawel Pawlikowski per “Cold War”. Il 4º Ferrara Film Festival rivela il line-up dei film in concorso. Prime mondiali, europee e italiane. Il film di apertura ancora Top Secret. Lara Ferrara Ferrara, 19 Febbraio 2019 Kevin Bacon, Misha Barton, Daniel Baldwin, Rosario Dawson,
Neve Campbell, Danny Trejo, Raoul Bova, Eric Roberts, Pedro Capò, Nancy Spielberg, Giorgio Coriangeli, Valentina Lodovini. Questi alcuni nomi noti tra i protagonisti delle 34 pellicole selezionate al Ferrara Film Festival 2019. L’evento cinematografico di punta della città estense ha svelato la lista completa dei film “in concorso” in un unico annuncio, che include prime mondiali, prime europee e italiane. Il film prestigioso film di apertura, solitamente una premiere americana di altro richiamo commerciale, non è ancora stato svelato dagli organizzatori. Tutti i film sono anteprime assolute non ancora distribuite in Italia e provengono da nove paesi da tutto il mondo: 11 dagli USA, 15 dall’Italia, seguiti da Germania, Portogallo, Sud Africa, Belgio, Israele, Polonia e Austria. Il programma completo di tutti i film, con il calendario, orari ed eventi collaterali, verrà divulgato questo Venerdì 22 Febbraio. Il festival come di consueto si svolgerà alla fine di Marzo (dal 23 al 31 precisamente) e, giunti ormai alla quarta edizione, mostrerà al proprio pubblico di quanto è cresciuto in soli quattro anni. “Due parole: Bigger & Better – dichiara il Direttore Maximilian Law dal suo ufficio a Los Angeles – con il duro lavoro della nostra squadra, sempre più numerosa, stiamo crescendo senza sosta. Sono veramente onorato del fatto che ogni anno il nostro pubblico praticamente raddoppia, ed è quindi nostro compito essere sempre al pari delle loro aspettative. Più film, e di qualità sempre più alta, una Via Del Cinema in costante espansione, servizi migliori, red carpet più grande… e saremo il primo film festival in Italia con un Talk Show giornaliero dedicato interamente al Cinema. Avremo anche moltissimi ospiti di alto livello, ma li divulgheremo a breve.”
C’è molto da assaporare nel ricchissimo programma dei film, che copre una vastissima gamma di generi e stili, coinvolgendo una serie di temi forti e contemporanei come l’emancipazione e la rivalsa delle donne, la violenza giovanile e lo sfruttamento minorile. Quest’ultimo è portato alla luce soprattutto grazie alla collaborazione tra Ferrara Film Festival e UNICEF Italia, instaurando una categoria speciale denominata “Young UNICEF”. Inoltre, come sempre, tutti i film e i principali eventi saranno accessibili al pubblico sordo grazie alla campagna sociale #FacciamociSentire di Sara Giada Gerini e al servizio di sottotitolazione fornito da FIADDA Emilia Romagna. Tra gli “highlights” dei film in concorso segnaliamo il thriller “Hope Lost” con un cast di superstar che comprende Michael Madsen, Daniel Baldwin, Denny Trejo e Misha Barton; “The Perception” con Eric Roberts e Nick Bateman; “Sol De Medianoche” con la superstar latina Pedro Capò; poi “Chi Scriverà La Nostra Storia” prodotto da Nancy Spielberg (sorella di Steven); “Find Your Groove” con Kevin Bacon,
Whoopi Goldberg e Rosario Dawson; “I Perfezionisti” prodotto da Raoul Bova; “In Principio” con Giorgio Coriangeli e “Uomo” con Valentina Lodovini. Il line-up completo si può trovare su www.ferrarafilmfestival.com Uno dei motivi dell’esistenza del Ferrara Film Festival, oltre a stimolare il turismo locale e internazionale nella città estense, è anche quello di supportare le produzioni cinematografiche locali grazie alla categoria “Emilia-Romagna Filmmakers. Ogni spettacolo al cinema, come di consuetudine, sarà composto da un cortometraggio seguito da un lungometraggio e biglietti saranno già acquistabili in prevendita a partire dalla prossima settimana sul sito ufficiale e nei punti vendita a Ferrara e in tutta Italia del circuito Ticketland 2000. Per aggiornamenti in tempo reale si può seguire il Ferrara Film Festival su Facebook, Twitter o Instagram. Il programma dei film, per quanto già molto ricco, non è altro che la punta dell’iceberg di un programma che include eventi a tema e di beneficenza, incontri con i professionisti del cinema da tutto il mondo e feste serali, tra cui il consueto party di apertura al Palazzo Roverella, previsto per Sabato 23 Marzo, che lascerà il segno. L’appuntamento è quindi rinnovato nella Città di Ferrara, patrimonio mondiale dell’UNESCO, partendo quindi dal 23 Marzo, per poi concludere il tour de force con la cerimonia di premiazione dei “Golden Dragon” che si terrà alla Sala Estense, in Piazza Municipale, Domenica 31 Marzo alle ore 18. Il programma completo dei film e ulteriori info: www.ferrarafilmfestival.com
David di Donatello: ecco le candidature dell’edizione 2019 di Lara Ferrara Si è tenuta oggi la conferenza stampa per l’annuncio delle candidature alla 64° EDIZIONE DEI PREMI DAVID DI DONATELLO Sono intervenuti; Fabrizio Salini – Amministratore Delegato Rai, Piera Detassis – Presidente e Direttore Artistico Fondazione David di Donatello,Teresa De Santis – Direttore Rai1, Roberta Enni – Direttore Rai Gold, Claudio Fasulo – Vice Direttore Rai 1 Carlo Conti. Il Presidente e Direttore Artistico, Piera Detassis, e il Consiglio Direttivo dell’Accademia del Cinema Italiano composto da Francesco Rutelli, Carlo Fontana, Nicola Borrelli, Francesca Cima, Luigi Lonigro, Mario Lorini, Domenico Dinoia, Edoardo De Angelis, Francesco Ranieri Martinotti, Giancarlo Leone, hanno stabilito una serie di importanti riforme del regolamento del premio. Fra le numerose novità, una nuova giuria e la modifica del sistema di voto, entrambi adeguati ai modelli proposti dai grandi riconoscimenti internazionali; nuove regole di ammissione dei film che concorreranno all’assegnazione del Premio; la nascita del David dello Spettatore. Attraverso questa serie di rilevanti modifiche, l’Accademia del Cinema Italiano punta a rinnovarsi proponendosi come una realtà ancor più autorevole e incisiva nell’ambito del panorama cinematografico italiano e internazionale, al passo con le rapide trasformazioni in atto nell’intero sistema
dell’audiovisivo. “Il cambiamento nasce da un grande lavoro di razionalizzazione e da un’opera di rinnovamento complessa e impegnativa – ha spiegato Piera Detassis – questo è l’inizio di un processo che vuole riportare il David nel cuore pulsante, attivo, della filiera. Il David non deve e non vuole essere semplicemente un premio che si esaurisce in una serata ma – attraverso la Fondazione Accademia del Cinema Italiano, vero giacimento di talenti ed eccellenze – diventa strumento di formazione e volano di promozione per il cinema e per la nostra produzione. David, il premio del cinema che vota il cinema. Senza rinchiudersi ma guardando al futuro”. Ecco le candidature per i David di Donatello 2019. I premi fra i più importanti del cinema italiano saranno consegnati il prossimo 27 marzo a Roma, in una cerimonia che sarà trasmessa in diretta su Rai1, collocazione a cui è tornata nel 2018 dopo un paio di anni sotto l’organizzazione di Sky. Quest’anno sono state fra l’altro introdotte numerose novità per quanto riguarda la giuria che assegna i premi (svecchiata e ridotta a 1559 membri, con un’ampia rappresentazioni delle varie
professioni culturali e un terzo di presenze femminili) e il metodo di votazione. Secondo quanto emerso dalle cinquine, è Dogman di Matteo Garrone il titolo che si è aggiudicato il maggior numero di candidature, ben 15, a cui segue Capri Revolution di Mario Martone. Ben rappresentati anche Chiamami col tuo nome di Luca Guadagnino, Sulla mia pelle di Alessio Cremonini (ammesso in gara solo perché non ancora valida la regola per cui tutti i film papabili dovranno stare in sala per almeno 7 giorni in minimo 5 città) e Lazzaro felice di Alba Rohrwacher. Meno eclatanti i possibili riconoscimenti, invece, per Loro di Sorrentino. Di seguito tutte le nomination ai David di Donatello nelle categorie principali: Miglior film: Chiamami col tuo nome Dogman Euforia Lazzaro felice Sulla mia pelle Miglior regia: Mario Martone, Capri Revolution Luca Guadagnino, Chiamami col tuo nome Matteo Garrone, Dogman Valeria Golino, Euforia Alice Rohrwacher, Lazzaro felice Miglior attore: Marcello Fonte, Dogman Riccardo Scamarcio, Euforia Luca Marinelli, Fabrizio De André: Principe libero Toni Servillo, Loro Alessandro Borghi, Sulla mia pelle
Miglior attrice: Marianna Fontana, Capri Revolution Pina Turco, Il vizio della speranza Elena Sofia Ricci, Loro Alba Rohrwacher, Troppa grazia Anna Foglietta, Un giorno all’improvviso Miglior attore non protagonista: Massimo Ghini, A casa tutti bene Edoardo Pesce, Dogman Valerio Mastandrea, Euforia Ennio Fantastichini, Fabrizio De André: Principe libero Fabrizio Bentivoglio, Loro Miglior attrice non protagonista: Donatello Finocchiaro, Capri Revolution Marina Confalone, Il vizio della speranza Nicoletta Braschi, Lazzaro Felice Kasia Smutniak, Loro Jasmine Trinca, Sulla mia pelle Miglior regista esordiente: Luca Facchini, Fabrizio De André: Principe libero Simona Spada, Hotel Gagarin Fabio e Damiano D’Innocenzo, La terra dell’abbastanza Valerio Mastandrea, Ride Alessio Cremonini, Sulla mia pelle Miglior sceneggiatura originale: Dogman Euforia La terra dell’abbastanza Lazzaro felice Sulla mia pelle
Miglior sceneggiatura non originale: Chiamami col tuo nome Ella & John (The Leisure Seeker) Il testimone invisibile La profezia dell’armadillo Sono tornato Miglior montaggio: Capri Revolution Chiamami col tuo nome Dogman Euforia Sulla mia pelle Miglior fotografia: Capri Revolution Chiamami col tuo nome Dogman La terra dell’abbastanza Lazzaro felice Miglior scenografia: Capri Revolution Chiamami col tuo nome Dogman Lazzaro felice Loro Miglior costumi: Capri Revolution Chiamami col tuo nome Dogman Lazzaro felice Loro
Miglior scenografia: Capri Revolution Chiamami col tuo nome Dogman Lazzaro felice Loro Miglior musicista: Nicola Piovani, A casa tutti bene Sascha Ring e Philipp Thimm, Capri Revolution Michele Braga, Dogman Nicola Tescari, Euforia Lele Marchitelli, Loro Mokadelic, Sulla mia pelle Miglior canzone originale: Sascha Ring, Aracea (Capri Revolution) Sufjan Stevens, Mistery of Love (Chiamami col tuo nome) Enzo Avitabile, ‘A speranza (Il vizio della speranza) Toni Servillo, ‘Na gelosia (Loro) Miglior film straniero: Bohemian Rhapsody Cold War Il filo nascosto Roma Tre manifesti a Ebbing, Missouri
Mio nonno Zandraa, padre del cinema mongolo Mio nonno Zandraa (1918-2009), fu il primo regista cinematografico e scenografo professionale della Mongolia, e quindi entrò nella storia come il “Padre del cinema professionale mongolo”. Più conosciuto come il regista di film documentari, fece anche tanti film con gli attori, introducendo in Mongolia lo stile di “vaudeville” e la commedia cinematografica, ma in più fu anche uno scrittore. I suoi racconti, qualche libro ed alcune poesie diventarono classici della letteratura mongola, mentre lui era ancora in vita. Il suo film “La patria” vinse il primo premio internazionale per la Mongolia come il Grand Prix del Festival Cinematografico Internazionale a Jakarta in nome di Patrice Lumumba, Indonesia, ovvero la Statuetta della Fanciulla d’Argento che attualmente si trova al Museo dell’Arte e del Teatro a Ulaanbaatar. Quindi fu invitato a tanti festival internazionali di diversi paesi come il celebre Festival del Cinema a Mosca per almeno quattro volte, il Festival del Cinema in Egitto, in Bulgaria, in Germania dell’est prima della caduta del muro, in Cina, in Mongolia Interna, in Lituania e Lettonia, in Polonia, in Moldova e in tanti altri paesi, in alcuni dei quali fu anche membro di commissione della giuria internazionale. Nel 1994 il VI Festival des Trois Continents in Francia rende omaggio al cinema mongolo aprendo con e presentando il film di mio nonno “Shine jil” (tradotto come “Nouvel An”) del 1954. Durante la sua vita mio nonno Zandraa fu premiato con tanti titoli, medaglie e riconoscimenti nazionali più alti dello stato e del governo, per il suo prezioso contributo nell’arte della Mongolia. Invece per me, il nonno era soprattutto e semplicemente il mio caro e amato unico nonno. Direi, rappresentò una figura di
padre, con il quale potevo condividere i miei più grandi segreti, con il quale organizzavo ”grandi azioni” per realizzare all’inizio i miei piccoli desideri, e poi le cose serie, tra le quali: il mio canto lirico. Fu lui e soltanto lui che non vedeva in questo una sciocca pazzia, anzi, visto che a me piaceva cantare, insistette perché prendessi tutto con la massima serietà, cosi mi portò dal mio primo Maestro, il tenore Khaidav e mi fece studiare il bel canto. Credendo in me, mi diede sempre solo la forza e il coraggio di continuare la mia strada verso l’arte dell’opera lirica. Lui mi amava per quello che sono, senza mai alzare la voce o sgridarmi, anzi solo da lui ho saputo di essere veramente rispettata nelle mie scelte e non c’e bisogno di dire che mi manca e mi manca il suo amore. Qui vi presento una delle sue interviste mai pubblicate, che scrisse rispondendo alle domande di uno studente che faceva qualche ricerca sul cinema della Mongolia e che abbiamo trovato da poco insieme con mio fratello Altan in mezzo ai suoi tanti scritti rimasti dopo la sua scomparsa. Ayana Sambuu “Io mi chiamo Enkhjargal di Choibudraa. Sono un studente di giornalismo in Tuv aimag (Aimag Centrale) del distretto di Jargalant. Ho seguito il corso del professore Tseren sulla professione di cameraman e abbiamo parlato di suoi film e dei suoi lavori letterari. Mi interessa moltissimo e raccolgo il materiale sui film documentari, studio con grande interesse le biografie e i lavori dei registi cinematografici. Perciò grazie al professore Tseren che ha dato il suo consenso ad aiutarmi per fare da tramite… mi rivolgo a Lei per qualche domanda, ringraziandola immensamente per la Sua disponibilità. Ci racconti di Lei, come era da bambino? Come diventò regista cinematografico? Mio padre, Tseveen Tegsh e la mia mamma, Dulmaa Galsan, erano
entrambi di etnia buriata. Perciò sono nato al Altanbulag come loro quarto figlio dopo il loro trasloco dalla Buriazia Russa al termine della Rivoluzione Sovietica. La famiglia Tseveen era composta da quattro figli: la più grande mia sorella Dolgorjav, la bellissima sorella Tserendejid, mio fratello Puntsag ed io. Quando avevo tre anni ci spostammo in Zuun Kharaa, al pascolo della montagna Kherkhentseg per stare insieme con qualche altra famiglia di buriati e dove sono cresciuto fino 10 anni prendendo educazione a casa… Poi (siccome a Zuun Kharaa non c’era una scuola ufficiale) mi portarono in città quando avevo già 10 anni per studiare in una vera scuola. Vivevo insieme alla mia seconda sorella, e mi fecero entrare alla scuola elementare dove tutti gli altri bambini avevano 7-8 anni, ed io ero magrolino e più alto degli altri, perciò mi prendevano in giro chiamandomi “Papà”. Questo mi faceva soffrire moltissimo, ero molto sensibile e mi vergognavo a tal punto che decisi di scappare di casa. Quando mia sorella finalmente mi ritrovò, mi riempì di sculacciate, così in più diventai un bambino estremamente pauroso. Nel 1932 entrai all’ istituto pedagogico dove mi laureai nel 1936 e diventai un maestro della scuola elementare dell’Aimag Centrale del distretto Batsumber. Lì insegnavo insieme ai maestri con quali studiavo all’istituto pedagogico, ed anche il nostro direttore, Tumur Ochir, era sempre un laureato del nostro stesso istituto. Così d’estate per riposare, andavo dai miei che vivevano e lavoravano in un altro posto chiamato Baruun Bulen, andando da loro mi capitò di trovarmi per sbaglio dove il grande fiume Orkhon si ramificava, e così quasi affogai nella sua corrente, per fortuna fui salvato e tirato fuori da una ragazza che pascolava le pecore che in quel momento stava facendo bere gli animali. Così ebbi in più una grande paura dell’ acqua! Quindi quando ero bambino e all’età di un giovanotto, ero molto, ma molto timido, non sapevo rispondere a tono alle persone, perciò c’era sempre qualcuno che si approfittava di me. Lavoravo così cercando di fare del mio meglio, facendo buon viso a cattivo gioco, in modo che nessuno mai avrebbe potuto avere la possibilità di
dire o ridire qualcosa e rimproverarmi. Credo, che tutto questo poi mi aiutò nel creare i personaggi dei miei lavori letterari. Quando diventai adulto mi ispirarono moltissimo i racconti del Dambadorj “Tolbo nuur” e Yadamsuren “ Khos zaluu”, ”Shii mergenii shiitgesen khereg”, gustai moltissimo queste novelle, cominciai davvero a sentire dentro di me la voglia di scrivere, analizzando le persone dal punto di vista della virtù, della bontà, della cattiveria, della perfidia ecc ecc. senza minimamente pensare di poter diventare uno scrittore. Quando ero un piccolo bambino pensavo che tutti gli adulti fossero molto più intelligenti, ed io essendo piccolino non potevo avere ragione più di loro! Più tardi insegnando alla scuola di Batsumber successe una cosa: un bambino scappò dalla scuola, ed io andai a cercarlo. Andai da solo con un cavallo senza sella e in più con gli stivali solamente di cuoio (si intende non gli stivali invernali caldi). Perciò feci congelare i miei piedi da un colpo ipotermico così che dovetti poi curarmi per tantissimo tempo, restando a letto. Questo “caso” mi fece venire un certo disgusto verso il lavoro da insegnante. Infatti proprio in quel periodo, di qualche mese di riposo forzato, cominciai a studiare la lingua russa che mi ritornò molto utile più tardi. Dopo aver lasciato il lavoro presso Batsumber, mentre ero entrato a lavorare all’ Istituto Tecnico di Economia mio padre venne arrestato, ed io fui cacciato dal lavoro come un figlio del “nemico del popolo”. Confiscarono tutti i beni della nostra casa, e veramente per sopravvivere diventai un uomo, scaricavo il carbone alla fermata chiamata come la “quinta dell’acqua calda “ (una vecchia fermata dei treni). Lavorai così per due anni, e tornando a casa nelle ore serali la mia mamma mi raccontava antiche leggende, favole, parlavamo della vita e delle nostre sofferenze e difficoltà, le confidavo qualsiasi cosa, attraversavamo un periodo davvero difficile. Per fortuna, un giorno incontrai uno vecchio conoscente, si chiamava Khurlee, lui mi aiutò a diventare un assistente di Tsevegmed Nyamaa (più tardi lui diventò l’Artista del Popolo, Ardyn Jujigchin). Sempre innamorato dell’ arte, mi furono di grande aiuto tutte
le leggende raccontatemi dalla mamma ed i consigli di una volta della mia maestra Tsegmed. Così mi sono ristorato nell’ anima gioendo nel profondo. Ero molto felice! Ecco come cominciò la mia strada verso l’arte. I suoi racconti “ Il negozio di un somon”, “Il paese mongolo”, ”La candela in mezzo al fuoco” ed anche tante poesie furono pubblicati su giornali come “La via della cultura”, ”Il diritto nazionale del popolo”. Dicono che questi giornali erano fondati dall’ordine del Consiglio dei Ministri del 1932, mentre gli altri erano quelli popolari come “La bandiera rossa”, “La letteratura della rivoluzione”. Quindi perché aveva scelto “La via della cultura “ e “ Il diritto nazionale del popolo”? Si, poi cominciai ad amare il giornale “Il diritto nazionale del popolo” forse perché c’erano le poesie e i poemi dello scrittore Yadamsuren che mi piacevano.
Nel 1943 Lei andò a studiare all’ Istituto Cinematografico della Federazione Russa e diventò il primo studente straniero di Eisenstein. Ci può raccontare un po’ degli anni di studi e dei suoi compagni studenti? Invece all’ Università della Cinematografia studiai insieme con Gamjuur Damba, lui nel corso per cameraman, ed io in quello classe da scenografo e regista. Siccome comunque avevo problemi con la lingua, i miei compagni di classe Drobashenko, Slavin e Strelkov mi aiutavano moltissimo. Certamente vivere insieme con gli altri studenti nel dormitorio studentesco mi aiutò molto a capire e studiare quello che leggevo. Nel 1948 Lei tornò a Ulaanbaatar e subito realizzò il suo primo lavoro: il film documentario “Ulaanbaatar”. La sua ispirazione, il successo ed anche le difficoltà, come si sentiva all’ epoca? Nel 1948 quando tornai dopo aver finito gli studi all’ Università, la capitale Ulaanbaatar non era ancora cambiata, era quasi quella di prima. Arrivavano voci che i nostri giovani costruttori, architetti ed ingegneri, insieme con gli ingegneri sovietici, stavano lavorando sui progetti per rinnovare e cambiare la città, perciò ero preoccupato, pensando come sarebbe stato bello riuscire a documentare sulla pellicola cinematografica la città, ancora quella vecchia, non cambiata. Infatti, mentre riflettevo fra me e me su questo argomento, all’ improvviso arrivò “da sopra” (vuol dire dal governo *) per mia grande gioia il compito di creare un documentario sulla vecchia città. Così mi dedicai completamente alla produzione del mio primo film “Ulaanbaatar”. Lei non è solo regista, ma anche uno scenografo professionale. Essendo anche scrittore, dicono che lei abbandonò la scrittura per fare cinema. Ci può chiarire un po’ su quest’ aspetto? Comunque, prima di fare cinema lei scrisse i libri “Un anno nuovo”, “Il guaio che ancora deve arrivare”, ”Nostri motivi
melodici ” che poi rifece come scenografie per i suoi film…? Per quel che riguarda i miei scritti, si, io scrivo, anche se critico me stesso moltissimo, in più ho un carattere particolare, quindi spesso mi trovo assolutamente in disaccordo con alcuni altri scrittori ed editori. Perciò purtroppo tanti dei miei scritti non sono mai stati pubblicati. In più, ci sono stati tanti momenti molto frustranti e drammatici nella mia vita ; poi essendo sempre in viaggio per fare i documentari, spendendo tantissimo tempo con il lavoro con i camerman, perché non riprendevano esattamente come volevo, a volte lasciavo la scrittura per parecchio tempo. Il libro “ Gem n urdaa” (“Il guaio che deve ancora arrivare ”) è un mio libro che racconta della vita di un alcolizzato, che pian piano stava rovinando non solo la propria vita, ma anche la vita della sua famiglia e dei suoi bambini sia a livello personale, che sociale. Quindi decisi di far diventare questo libro un film e di raccontarlo attraverso lo schermo cinematografico ; scrissi anche la scenografia per questo film. Tanti chiamano il film “Manai ayalguu” (“ I nostri motivi melodici”) come un concerto cinematografico, il che mi fa piacere, anche se questo genere di cinema si chiama “ vaudeville” e proviene dalla Francia del XV secolo, più precisamente dalla provincia della Normandia. All’ epoca questo genere era diffuso da tempo in tutti i continenti: Europa, Asia, America. Dunque, lo scopo fu di introdurre questo genere anche in Mongolia. Il film “ Un nuovo anno” lo scrissi per realizzare sullo schermo quello che diventò all’ epoca una specie di rito o tradizione fra i giovani, quei lavoratori bravi, che riuscivano a realizzare i loro progetti prima del tempo, di celebrare così “ l’anno nuovo” due volte all’ anno. Tutti sanno che è stato proprio Lei a sperimentare e fare il
primo cartoon mongolo in assoluto. Perché Lei ebbe così grande interesse per creare il cartoon “Due amici”? A parte i film con gli attori e i film documentari, i cartoon animati hanno una grande parte nella cinematografia. Nel nostro paese di creare cartoon non se ne parlava affatto, per almeno 30 anni dalla nascita di questo genere nel mondo. Negli altri paesi di cartoon si interessavano non solo i bambini, ma anche le persone adulte, perciò io pensai di creare anche cartoon. Così nel 1962 insieme con un mio amico scrittore, Lodoidamba, provai a creare un film per mettere, per così dire, il primo mattone dell’industria dei cartoon in Mongolia. Purtroppo, non ebbi nessun appoggio ne dagli istituti amministrativi, ne dal governo, quindi questa idea piano piano cominciò a spegnersi …(dicono adesso che Myagmar della televisione e il pittore Buyandelger stanno lavorando alla produzione dei cartoon). Perciò il primo cartoon animato della Mongolia che feci io che si chiama “ Due amici” non diventò affatto una sensazione, anzi, come si dice” la prima frittella va a rotoli”. Quindi in più quell’ anno su un giornale uscì un articolo che criticò il mio tentativo di creare il genere di cartoon cinematografico. La scenografia del film “L’arcobaleno del paese mattutino” fu scritta insieme con J.Purev. Perché lo chiamò cosi? Quali furono le difficoltà di fare questo film? (mio nonno sottolineò la parola “fare” correggendo e mettendo sotto la spiegazione ”il film non si fa, ma si crea!”) “Errnii nutgiin solongo” ovvero “L’arcobaleno del paese mattutino”. L’arcobaleno è il simbolo della vera bellezza del nostro paese, i sette colori, rappresentavano lo sviluppo della Mongolia, i suoi tempi e ritmi. Quindi lo creai non come uno documentario, ma come un film narrativo che racconta del nostro paese di quell’epoca. Nel 1964 il suo film vinse il Grand Prix del Festival cinematografico Internazionale in Jakarta ovvero La statuetta
della Fanciulla d’argento in nome di Patrice Eneri Lumumba. Ci racconti come riuscì a vincere questo premio?
Il nostro film “La patria” vinse il Grand Prix di Patrice Lumumba. In questo film abbiamo fatto vedere soprattutto la danza classica, l’orchestra sinfonica, i musicisti e gli strumenti musicali. E quindi i giornalisti dissero che quelle non erano persone mongole che suonavano, insistendo, che nel nostro paese non doveva essere sviluppata l’arte classica, perché dovevamo essere un paese tribale. Perciò, io ho dovuto addirittura provare che quelle persone erano della Mongolia, insomma questo film alzò un gran polverone. Alla fine la commissione di giuria decise che, secondo loro il film veramente riuscì a far vedere quel che nessuno si aspettava, in altre parole il film “ dimostrò lo sviluppo del nostro paese attraverso la musica”. Lei “creò” tantissimi film, sicuramente, per ognuno dei quali diede anima e cuore. Quale di questi fu il più difficile da realizzare ? Quale di loro amò di più? Ognuno dei film aveva le sue difficoltà, ma i film che amo di più sono “ Il guaio che deve ancora arrivare”, “I nostri motivi melodici” Ci sono tanti generi cinematografici, quale di loro Le piacerebbe che si sviluppasse di più? Mi piace qualsiasi genere dove ci sente l’anima, dove si tocca la profonda sensibilità dell’ anima umana, per questo i vari generi piacciono alle persone. Risponderei: La sensibilità dell’ anima umana non si divide nei generi.. Lei ha lavorato con tante persone, ci racconti un po’ sulle persone con quali era facile *lavorare insieme? Poi si dice che per realizzare bene un film bisogna avere un bravo cameraman? Lei è una persona come diciamo noi, che appartiene alla Generazione d ‘Oro, ci racconti un po’ delle persone della sua generazione? Non si dice mai ”facile per lavorare”, e con tutto il rispetto, non è una cosa materiale da fare.(Un film non è un
lavoro da sarta o calzolaio!) Intendevi, coinvolto nell’ anima ? Sono i cameraman come Demberel, Ganjuur, Khuyag-Ochir. Inoltre, non si può apprezzare un opera d’arte se è una cosa fatta “bene”, “male” ovvero “ grigia”. L’unico modo di apprezzarla è di saper riconoscere se sia l’ OPERA D’ARTE oppure NON sia un ’OPERA D’ARTE. Su questo sto scrivendo un articolo che uscirà sulla stampa presto, perciò per la risposta completa dovresti aspettare. Che cosa ne pensa della cinematografia della Mongolia di oggi? Il vero apprezzamento viene col tempo, quando ci saranno molti più i film arrivati al pubblico. È il pubblico che prende le vere decisioni. Quel che penso, è che ci dovrebbero invece essere fatti nuovi regolamenti nella struttura amministrativa della nostra istituzione cinematografica e della produzione Mongol Kino. Che cosa ne pensa della televisione mongola? Pensa che la televisione non apprezzerà abbastanza il genere dei film documentari? I film lungometraggi invece riusciranno a prendere il posto loro nella televisione? Dove e come andrà a sviluppare l’arte cinematografica e la televisione non saprei dire. Se qualcosa si crea, qualcuno sarà sempre più o meno apprezzato, giustamente e non. Le cose si vedranno e verranno col tempo, aspettiamo! (articolo tradotto da Ayana Sambuu con la gentile concessione di www.mongolia.it)
Anteprima video spot “Raptus”- Giovedì 31 gennaio – In diretta dagli studi Rai a “Buongiorno Regione Lazio” si parlerà di “Virtus – La connessione tra il reale e il virtuale” ( dal 7 al 12 febbraio 2019 Fabbrica del Vapore di Milano) Domani mattina In diretta dagli studi Rai -Buongiorno Regione Lazio – Pagina ufficiale , condotto da Mariella Anziano,parleremo di un tema molto attuale: la dipendenza dal mondo virtuale. In studio Antonietta Campilongo che parlerà di Virtus – La connessione tra il reale e il virtuale ( dal 7 al 12 febbraio 2019 Fabbrica del Vapore – Spazio The Art Land – lotto 10) Con presentazione anteprima del video “Raptus” . Interamente girato nella struttura romana storica del Santa Maria della Pietà con la gentile concessione della ASL Roma 1. Ideato ed interpretato da Lara Ferrara per la regia di: Juan Diego Puerta Lopez
foto di Andrés Arce Maldonado Direttore Fotografia e montaggio: Andrés Arce Maldonado. …Partiamo dal fatto degli impulsi, della flessibilità cognitiva e della capacità di assumere decisioni in base all’appagamento. Bisogna accettare l’idea che la tecnologia non sia affatto neutra ma possa produrre effetti sulla mente largamente indipendenti dalla consapevolezza e razionalità di chi li subisce, e tanto più insidiosi perché si presentano sotto una forma accattivante e seducente Lara Ferrara Alberto Sordi: segreto –
Lunedì 28 gennaio alla Casa del Cinema,Roma Lara Ferrara Lunedì 28 gennaio 2019 dalle ore 17:30 alle 18:30 Casa del Cinema, Roma. Incontro moderato da Alberto Crespi con Alberto Anile, Walter Veltroni, Carlo Verdone. Nel corso dell’incontro verrà presentato dal suo direttore, Felice Laudadio, il n. 592 della rivista «Bianco e nero» interamente dedicato ad Alberto Sordi. «”Il momento più felice della mia giornata è quello in cui posso mettermi in vestaglia e pantofole, e allungare i piedi sotto il tavolo, con un bicchiere di vino accanto”. Parola di Alberto Sordi, l’interprete di quasi duecento film, una carriera stipatissima di cinema, teatro, televisione, radio, canzoni, che affettava una pigrizia romana ma era più laborioso di un giapponese. Un attore che nella sua acuminata analisi di tipi e persone, e nella sua pervicace ricerca di verità, fu un pioniere controcorrente e uno straordinario autore di sé stesso. Al grande artista, “Bianco e nero”, il quadrimestrale del Centro Sperimentale diretto dal presidente Felice Laudadio, dedica il n. 592, basato sul Fondo Alberto Sordi depositato presso la Cineteca Nazionale. Nel volume, Goffredo Fofi mette in luce l’aspetto lucido e crudele del Sordi migliore, “cattolico e romano, anzi catto- belliano e per niente apostolico e universale”, Maurizio Porro racconta i trascorsi teatrali e di cantante, “rapper in anticipo con una spiccata vena per il surreale”, Stefano Masi illumina il sodalizio con Silvana Mangano, accoppiata ardita de “la bella e la bestia”. Come suggerisce il titolo Sordi segreto, abbiamo cercato di esplorare gli aspetti meno noti dell’attore, a cominciare dai progetti non realizzati (dallo pseudo western Il trombettiere del generale Custer a Il mio amico Henry, basato sulle traversie di un sosia di Kissinger,
fino al film in Brasile – su cui riferisce Tatti Sanguineti – del quale si girano alcune scene al Carnevale di Rio); Daniela Currò, conservatrice della Cineteca Nazionale, recupera le bobine radiofoniche di Io, Alberto Sordi; si svelano i segreti di Mamma mia che impressione!, e si raccontano le puntate inedite di Storia di un italiano. Fra gli ospiti e i testimoni, Francis Ford Coppola ricorda una cena insieme a San Francisco, Moraldo Rossi giura che sul set felliniano di Lo sceicco bianco Sordi si sia scritto tutte le battute, ci sono omaggi di Gigi Proietti e dello scrittore spagnolo Arturo Pérez-Reverte. Altri testi e interventi sono di Walter Veltroni, Benedetto Gemma, Gabriele Gimmelli, Marco Vanelli, Alberto Crespi, Maria Gabriella Giannice, Gianni Amelio, Steve Della Casa, David Grieco, Luca Martera, Domenico Monetti, Luca Pallanch, Simone Starace, Giovanni D’Ercole, Francesca Angelucci, Marina Cipriani, e del sottoscritto. Buona lettura» (Alberto Anile, curatore di «Bianco enero», n. 592). ore 16.00 Fumo di Londra di Alberto Sordi (1966, 131′) È la prima regia di Alberto Sordi, assieme a Polvere di stelle sicuramente il suo miglior film da autore a 360 gradi e uno dei lavori ai quali era maggiormente legato. Sordi vi interpreta un elegante e colto antiquario di Perugia, innamorato degli ambienti e delle atmosfere di una Londra più immaginaria che reale. Il film racconta un amore per la cultura, la società e la musica britanniche che in quello stesso 1966 veniva ribadito da Blow-Up di Antonioni, e che due anni dopo avrebbe dato vita a La ragazza con la pistola di Monicelli. Testimonia anche la dimensione cosmopolita dell’uomo Sordi, un artista aperto a suggestioni internazionali e tutt’altro che ripiegato su un’identità esclusivamente italiana e “romana”. Il film viene presentato nella preziosa versione integrale restaurata dalla Cineteca Nazionale, che ha ritrovato e
reintegrato numerose scene utilizzate da Sordi solo nell’edizione della prima uscita. ore 19.30 Il medico della mutua di Luigi Zampa (1968, 100′) Dopo la presentazione del Sordi segreto, verrà proiettato un altro restauro eccellente della Cineteca Nazionale, Il medico della mutua (1968), realizzato anche grazie a un crowdfunding lanciato nel 2017, fra i massimi risultati del regista Luigi Zampa e dell’interprete Albertone. «Al centro del film – scrive Anile – c’è il corpo come merce, secondo una visione marxista comune ad Amidei e a Zampa, e conciliabile con quella dell’uomo Sordi, che nel segreto dell’urna votava conservatore ma era dotato di un’indignazione istintiva che gli guadagnò (per Una vita difficile) perfino un abbraccio da Togliatti». Arriva nelle sale il 21, 22 e 23 gennaio il documentario Mathera, terzo appuntamento della stagione de “L’Arte al cinema” Lara Ferrara Nelle sale il 21, 22 e 23 gennaio il documentario Mathera, terzo appuntamento della stagione de “L’Arte al cinema” “Mettetevi in ascolto e i muri vi racconteranno la storia” Antonio Acito, architetto “Matera è un messaggio per tutto il Mediterraneo, per tutti i
paesi del mondo, per tutti i villaggi, per il recupero di tutti i luoghi abbandonati. È un messaggio per l’Europa intera” Pietro Laureano, storico dell’arte Diretto da Francesco Invernizzi e prodotto da MAGNITUDO FILM, racconta del riscatto e della rinascita di Matera, dalle sue origini ad oggi. Un viaggio attraverso ricordi e aneddoti, da quando la città venne definita “vergogna d’Italia” sino ai giorni nostri che vedono questo centro abitato una delle mete turistiche più desiderate d’Italia. La città si trova al centro di un territorio estremamente dinamico dove tradizione, scienza e tecnologia consentono un viaggio tra il passato, il presente e il futuro dell’intera umanità. Il documentario propone una riflessione sulle bellezze e sulle potenzialità di Matera rivelate dalle voci e dai volti dei suoi abitanti, in un affresco corale unico nel suo genere reso possibile dalla tecnologia delle immagini in 8k e dal drone che accompagnano lo spettatore in un viaggio indimenticabile tra cultura, arte e storia. Un’esperienza che porta alla riflessione di quanto il passato sia un’esperienza di cui fare tesoro per incoraggiare a guardare il futuro in un’ottica di rispetto e sostenibilità. Un’avventura cinematografica dalla storia dall’alba lucana fino ad arrivare alle luci del tramonto che trasformano la città in un presepe vivente. “Mathera” un film documentario dedicato alla Capitale della Cultura 2019. Voci autorevoli del mondo della storia dell’arte e dell’architettura si alternano alle testimonianze di chi ha scelto di vivere nei Sassi o di lavorarci. Ne emerge un quadro struggente, di una città che è una delle più antiche del mondo ancora abitate e che oggi più che mai continua a incantare e attrarre turisti da tutto il mondo.
“Semplicemente Godard” a gennaio e febbraio al MIC di Milano di Lara Ferrara Dal 17 gennaio al 2 febbraio, presso il MIC, Museo Interattivo del Cinema a Milano, Fondazione Cineteca Italiana proporrà la retrospettiva “Semplicemente Godard”, rassegna dedicata al grande regista francese Jean-Luc Godard con tredici suoi capolavori degli anni’60, decennio in cui rivoluzionò il linguaggio cinematografico: tutte le pellicole in programmazione. Insuperabile nell’illustrare le parole con immagini e luci, critico ancor prima che regista, Jean-Luc Godard è uno dei grandi maestri del cinema francese. Storia della sua lunga carriera, dalla militanza nei “Cahiers du Cinema” ai suoi ultimi lungometraggi Nato il 3 dicembre del 1930 a Parigi, Jean-Luc Godard proviene da una famiglia protestante molto ricca, appartenente all’alta borghesia svizzera: la madre è figlia di banchieri, mentre il padre è medico. Dopo aver compiuto i primi studi in un collegio elvetico, durante l’adolescenza torna nella città natale, dove frequenta il liceo e la Sorbona: nel 1949 ottiene il diploma in Etnologia. Poco dopo, inizia a scrivere critiche cinematografiche su riviste specializzate come “Cahiers du cinéma” e “Arts”. Il primo articolo risale al 1950, si intitola “Joseph Mankiewicz” e compare sulla “Gazette su cinéma”. L’approdo ai “Cahiers du cinéma”, invece, avviene due anni più tardi, quando,
utilizzando lo pseudonimo di Hans Lucas, si occupa della recensione de “L’altro uomo”, opera di Alfred Hitchcock, e propone un saggio chiamato “Difesa e illustrazione del decoupage classico” nel quale manifesta la propria visione delle arti totalizzante. Godard è prima di tutto un critico che un cineasta. Nel 1950 fonda con Rivette e Rohmer il mensile “La revue du cinéma”, di cui però vedranno la luce solo 5 numeri, nei quali egli realizzerà una manciata di scritti con lo pseudonimo di Hans Lucas. Frequenta costantemente i piccoli cineclub e la Cinémathèque, preferendo questi a un’istruzione specifica alla Sorbona, nell’istituto di filmologia. E’ in questo periodo che si avvia il suo vero e proprio processo cinematografico attivo, con la concezione di Cinema come continuazione della realtà e della vita, con la militanza nei Cahiers du Cinema e con i suoi primi cortometraggi quali “Une femme coquette”, “Charlotte et Véronique”, “Charlotte et son Jules” (con un già brillantissimo Jean-Paul Belmondo) e “Une histoire d’eau” dove la Lei dice “Di solito me ne frego dell’immagine, è il testo che conta. Ma questa volta ho torto perché qui tutto è bello”. Il racconto si snoda sopra le inquadrature, non come commento o al loro servizio, ma come materia cinematografica autonoma, colonna sonora dichiaratamente sovrapposta. Il rapporto fra parole e immagini trascina con sé il problema del rapporto fra le parole e le cose, che per Godard è il problema stesso della regia.
La rassegna Semplicemente Godard propone dunque una selezione dei film più incisivi di Godard, capace di rivoluzionare il linguaggio cinematografico realizzando opere di forte valore innovativo come Vivre sa vie, À bout de souffle, Le Mépris. Le Livre d’image in particolare rappresenta un film sperimentale, un lavoro di montaggio di storia del cinema e Storia recente, tra Olocausto e orrore contemporaneo, tra mondo arabo e mondo occidentale. Milano – Ecco la programmazione dei film proiettati nella rassegna Semplicemente Godard: Giovedì 17 gennaio, ore 17.00 – Le Mépris (Il disprezzo). Ore 20.30 – Le Livre d’image – in escusiva Sabato 19 gennaio, ore 17.00 – Deux ou trois choses que je sais d’elle (Due o tre cose che so di lei). Ore 20.30 – Le Livre d’image Mercoledì 23 gennaio, ore 17.00 – À bout de souffle (Fino all’ultimo respiro). Ore 20.30 – Le Livre d’image. Giovedì 24 gennaio, ore 15.00 – Une femme est une femme (La donna è donna). Venerdì 25 gennaio, ore 17.15 – La Chinoise (La cinese). Sabato 26 gennaio, ore 17.00 – Masculin féminin (Il maschio e la femmina). Ore 20.30 – Le Livre d’image. Martedì 29 gennaio, ore 15.00 – Made in U.S.A (Una storia americana). Ore 17.00 – Une femme mariée (Una donna sposata). Mercoledì 30 gennaio, ore 20.30 – Le Livre d’image. Giovedì 31 gennaio, ore 17.00 – Il bandito delle 11. Venerdì 1 febbraio, ore 15.00 – Le petit soldat. Ore 17.00 – Vivre sa vie (Questa è la mia vita). Sabato 2 febbraio, ore 15.00 – Bande à part. Ore 17.00 – Agente Lemmy Caution: Missione Alphaville. I biglietti per i film costano 6,50 euro (intero) o 5 euro (ridotto con cinetessera). Ingresso adulto + bambino 7 euro. Gratuito dai 16 ai 19 anni. Per informazioni contattare la Cineteca di Milano via telefono 02 87242114 o via email.
MIC Arriva al cinema “Van Gogh – Sulla soglia dell’eternità (At Eternity’s Gate)” – Un film di Julian Schnabel di Lara Ferrara Ventidue anni dopo Basquiat, l’acclamato regista di “Prima che sia notte e Lo scafandro e la farfalla”, torna a parlarci della grande arte e lo fa portando sul grande schermo gli ultimi, tormentati anni di Vincent Van Gogh. Ad interpretare l’irrequieto pittore olandese un sorprendente Willem Dafoe, candidato ai Golden Globe come miglior attore in un film drammatico e premiato alla Mostra d’arte Cinematografica di Venezia con la Coppa Volpi. “At Eternity’s Gate” è l’ultimo film dell’artista e regista Julian Schnabel, presentato alla 75ma mostra del cinema di Venezia, racconta la storia degli ultimi anni della vita del tormentato pittore olandese Vincent Van Gogh, mettendo in scena un aspetto della sua personalità sul quale si è scritto e raccontato molto ma che qui assume vesti nuove. “Questo è un film sulla pittura e un pittore e la loro relazione rispetto all’infinito” ha affermato Schnabel a Venezia. “Contiene quelli che sono i momenti che considero
essenziali nella sua vita; non è una biografia, ma la mia versione della storia. Una versione che spero possa avvicinarvi maggiormente all’artista”. Un film sulla creatività e sui sacrifici del genio olandese, sull’intensità febbrile della sua arte, sulla sua visione del mondo e della realtà. La storia di un pittore estremamente sensibile e dall’equilibrio mentale instabile che desiderava con forza l’amicizia e, avendo un temperamento altruista, soffriva maggiormente la propria solitudine. Il suo era un bisogno di essere amato che esprimeva giorno dopo giorno nella sua passione per l’arte. Tuttavia, la solitudine di questo fervido genio creatore, non possedeva quel buio dell’anima riscontrabile nella sue opera. Molte saranno infatti le creazioni luminose e dai colori vivaci che rispecchieranno il suo stato d’animo altalenante e pervaso da sprazzi di serenità.In vita riuscì a vendere un solo quadro e la sua esistenza fu segnata dalla povertà e dalla follia, tanto che alcuni lo ricordano come “il pazzo”. Vincent van Gogh è oggi uno degli artisti più celebrati in tutto il mondo,
Nelle sale italiane il 3 gennaio, distribuito da Lucky Red, il genio “maledetto” di Vincent Van Gogh raccontato attraverso gli occhi di un’artista contemporaneo come Schnabel e con un cast a dir poco stellare con prestigiosa firma di Jean-Claude Carriere per la sceneggiatura. Il grande artista viene descritto quasi come un bambino e il suo disturbo prende i tratti di un capriccio infantile, che emerge sia in solitudine che nei rapporti interpersonali, da quello simbiotico con il fratello Theo, interpretato da Rupert Friend, a quello turbolento e ambiguo con Paul Gauguin, impersonato da Oscar Isaac.In un’atmosfera dalle luci e penombre calde, cullate da un silenzio ripetuto e una psicosi mai esasperata. Dal burrascoso rapporto con Gauguin a quello viscerale con il fratello, fino al misterioso colpo di pistola che gli ha tolto la vita a soli 37 anni. Tra conflitti esterni e solitudine, un periodo frenetico e molto produttivo che ha portato alla creazione di capolavori che hanno fatto la storia dell’arte e che continuano ad incantare il mondo intero Vincent Van Gogh, simbolo di quell’umanità dolente incapace di adattarsi ad una società violenta che opprime le sensibilità più acute. “Più ci penso, più mi rendo conto che non c’è nulla di più veramente artistico che amare gli altri.” Vincent Van Gogh
Roma Fringe Festival dal 7 al 27 gennaio 2019 – Mattatoio Zona La Pelanda, Testaccio – Roma di Lara Ferrara Al via la settima edizione del Roma Fringe Festival ospitato negli spazi del Mattatoio – La Pelanda in un’inedita versione invernale che vedrà confermata la mission e la storica formula che l’aveva fatto apprezzare a un vasto pubblico. Molte le novità introdotte quest’anno. La prima è la data, 7-28 gennaio, vale a dire in pieno inverno. Questa è la sfida, che rappresenta un modo per puntare l’attenzione sul teatro e sulla proposta di nuova drammaturgia che è l’essenza stessa del fringe, svincolando questo evento da una collocazione estiva che rischiava di assorbirlo nella più generale e ricchissima proposta di intrattenimento estivo della Capitale. Il teatro prima di tutto e, in particolare, il teatro indipendente. La seconda è indipendente perché ,in questa edizione, partendo da questo concetto hanno creato grazie all’adesione di 14
teatri in tutta Italia, a partire dal prestigioso Teatro Vascello di Roma, un circuito chiamato Zona Indipendente. Una rete di 14 teatri che ospiteranno nella stagione 2019/2020 lo spettacolo vincitore del Roma Fringe Festival 2019. Questo, insieme alla possibilità di partecipare a uno dei fringe mondiali, è un premio, che al di là di riconoscimenti o titoli (che sono pur sempre prestigiosi e importanti) rappresenta in concreto una seria opportunità per l’artista o la compagnia vincitrice di far conoscere il proprio lavoro. Da quest’anno, cambia anche la location. Il Roma Fringe Festival si trasferisce nei locali de La Pelanda, nel complesso del Mattatoio, nel cuore del quartiere di Testaccio che, con il suo fermento e la sua vitalità, crediamo si presti bene ad accogliere un festival come il Fringe. Per la finale, poi, appuntamento, al Teatro Vascello, un Teatro storico della Capitale. Accanto alle esibizioni delle compagnie e dei singoli artisti, ci saranno poi una serie di appuntamenti, sia all’interno de La Pelanda che al Macro Asilo, che offriranno al nostro pubblico un’offerta culturale ancora più ampia. Un ringraziamento a chi, negli scorsi anni, ha lavorato per costruire un festival che, piano piano, ha conquistato l’attenzione del pubblico e degli addetti ai lavori diventando una realtà solida nel panorama teatrale italiano. In particolare ringrazio Davide Ambrogi che, sei anni fa, ha avuto l’intuizione di portare il Fringe, conosciuto e
frequentato in tutto il mondo, in Italia. Raccolgo il suo testimone con orgoglio e con la certezza di poter dare il mio contributo per continuare a farlo crescere in vitalità e prestigio. Direttore Artistico, Fabio Galadini DUE NOTE SULLA STORIA DEL ROMA FRINGE FESTIVAL Il Fringe è il più importante festival mondiale di spettacolo dal vivo. Un evento che si replica in ogni capitale culturale del mondo. Nato nel 1947 a Edimburgo (UK), conta oggi circa 240 festival annuali, dall’Australia agli Stati Uniti, dall’Asia alla nostra Europa. Per capire che cos’è il Fringe e cosa rappresenta per il settore delle arti sceniche basta dare un’occhiata ai numeri: ogni anno, 19 milioni di persone in tutto il mondo vedono 170 mila artisti replicare 79 mila spettacoli. Una vera e propria fucina di talenti, ma non solo. Sono moltissimi, infatti, gli attori affermati che vogliono provare l’ebbrezza e l’emozione di un contatto diretto con un pubblico schietto e verace. All’estero, negli oltre 60 anni di vita, il Fringe è stato scelto come palco da attori del calibro di Ewan McGregor, Hugh Jackman, Tim Roth e Hugh Grant. Il Fringe arriva a Roma nel 2012, patrocinato dalla World Fringe Society, grazie all’impegno e alla direzione artistica di Davide Ambrogi. Fin dal primo anno si colloca come vera e propria festa del teatro, coinvolgendo un vasto pubblico non sempre avvezzo al teatro, in un gioco di premi e arte. La caratteristica del Roma Fringe Festival nei suoi primi anni romani è, infatti, quella di portare il teatro e la nuova drammaturgia all’attenzione di un pubblico variegato, un pubblico solitamente lontano dai teatri, mettendo così in gioco le compagnie provenienti da tutta Italia, Europa e a volte anche USA con un pubblico “vero” e “verace”.
Grazie a Roma Fringe Festival, dal 2012 al 2014, nasce a Roma il Parco del Teatro, a Villa Mercede, poi spostato nel 2015 nei Giardini di Castel Sant’Angelo, per poi tornare a San Lorenzo nel 2017. Oggi rappresenta un punto di riferimento per tutti gli artisti indipendenti che ambiscono a una platea internazionale. A testimoniare l’attenzione che il Roma Fringe Festival riceve da parte del pubblico e di tutto il settore delle arti sceniche, le numerose richieste di partecipazione che ogni anno aumentano in modo esponenziale. Nel 2017 sono state 350 le compagnie che si sono iscritte alla selezione per un cartellone che prevedeva 40 spettacoli. Fra le ragioni di questo successo, il pubblico folto e genuino composto da turisti, addetti ai lavori e non, le location prestigiose (Villa Ada, Castel Sant’Angelo, Villa Mercede e, quest’anno, La pelanda), ma soprattutto la possibilità, grazie alla partnership con World Fringe Network, di accedere a una vetrina internazionale. Diversi sono stati negli anni scorsi i vincitori del Roma Fringe Festival che hanno ottenuto premi e riconoscimenti nel mondo. I vincitori del Roma Fringe 2013, 2014 e 2016 hanno trionfato come miglior spettacolo al San Diego Fringe 2014, 2015 e 2018. I vincitori dell’edizione del 2012 sono stati menzionati dal New York Times partecipando l’anno successivo, grazie al Roma Fringe, al New York City Fringe Festival. Lo spettacolo vincitore dell’edizione 2015 è stato considerato dalla critica il miglior spettacolo della stagione teatrale italiana. Mentre i vincitori dell’edizione 2017 debutteranno al Sidney Fringe nel 2019.
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