DARIO - SPETTACOLO PICASSO DESNUDO MILANO - SETTEMBRE 2012
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DARIO – SPETTACOLO PICASSO DESNUDO MILANO - SETTEMBRE 2012 (copertina 1 – copertina 2) MUSICA Scenografia: su due grandi schermi fondoscena vengono proiettate le immagini dei dipinti che illustrano le situazioni. Entra in scena Dario Fo. (imm.1) PEZZO DA AGGIUNGERE: Sia chiaro, non è stato facile, se pur aiutato da allievi portentosi, realizzare un numero così alto di falsi; abbiamo dovuto inventarci una notevole mestiere nel falsificare quelle opere. Abbiamo capito che gli unici formidabili imitatori del vero, fra tutti i mestieri, sia senz’altro quello dei politici . Gli unici che riescono a falsificare perfettamente la realtà senza farsi scoprire, sono loro ??? ??? ??? non è una dote. PEZZO INSERITO OGGI IN TESTO: Su internet, agli inizi di agosto, è apparsa la notizia che a Milano nel prossimo mese di settembre verrà allestita una mostra di Picasso proveniente dal Musée National Picasso di Parigi. Non è passata una settimana, e agli uffici del Palazzo Reale dove è in programma l’allestimento sono giunte a valanga, la bellezza di centocinquantamila prenotazioni d’ingresso alla mostra.
È un fatto veramente eccezionale! Negli stessi giorni mi è capitato un altro fatto imprevedibile – per quanto mi riguarda: mi si è proposto, da parte dell’Assessorato alla Cultura di Milano, leggi Stefano Boeri, di presentare (imm.2) le duecento e più opere esposte alla mostra e commentare la storia e la genialità di questo irripetibile personaggio che è Picasso; abbiamo scritto il testo, abbiamo già provato con il pubblico lo spettacolo, ma all’improvviso è sorto un dubbio: con tutto che noi, come compagnia teatrale si stia lavorando nell’ambito della mostra a vantaggio dell’esposizione stessa; ecco che qualcuno ha ricordato che l’agenzia che raccoglie i diritti di autore per gli eredi di Picasso in situazioni analoghe ha bloccato la produzione (in un caso addirittura un film sull’artista già girato e prodotto) con la richiesta che venissero pagati i diritti sulle opere riprodotte. Notate bene, nel nostro caso noi mettiamo in scena una vera e propria lezione- spettacolo, l’ingresso alla rappresentazione è gratuito e non percepiamo alcun vantaggio economico di sorta. E’ come se all’istante, in un’Accademia o in una Università, in seguito a una serie di lezioni su un artista di grande valore, pittore architetto musicista... si presentasse la società degli autori per riscuotere una congrua mercè. E’ paradossale, infatti non esiste! Quindi, per non entrare in polemica, abbiamo avuto un’idea, permetteteci, geniale. Non presenteremo opere originali di Picasso ma soltanto riproduzioni rielaborate, come dire dei falsi, falsi d’autore si intende! Da noi eseguiti ad hoc e dichiarati falsi fin dalla nascita! che rischiamo di rimanere bloccati per il fatto che gli eredi di Picasso, attraverso la loro Agenzia, pretendono che vengano corrisposte delle quote sui diritti d’autore per le immagini proiettate e introdotte nello spettacolo e nel libro. debbano essere corrisposti e l’utilizzo delle immagini delle opere autorizzato. E’ assurdo, ma come si dice proprio in teatro, ad un folle assurdo si risponde con una trovata da follia, cioè voi ci imponete una tassa sulle opere originali e noi le opere le facciamo tutte false, originali s’intende! Quindi le immagini che vedrete proiettate saranno per almeno il 40% falsi d’autore. mi sono preso l’arbitrio di riprodurli uno per uno aiutato da uno staff di giovani pittori, anche loro folli e incoscienti. Sono sicuro che nell’aldilà, in questo momento, Picasso se la sta ridendo come un matto… come vedremo lui era il campione dei falsificatori! Ma torniamo alla Mostra e alla lezione su Picasso Desnudo. DARIO: Su internet, agli inizi di agosto, è apparsa la notizia che a Milano nel prossimo mese di settembre verrà allestita una mostra di Picasso proveniente dal Museo Nazionale Picasso di Parigi. Non è passata una settimana e agli uffici del Palazzo Reale dove è in programma l’allestimento, sono giunte a valanga la bellezza di centocinquantamila prenotazioni d’ingresso alla mostra. E’ un fatto veramente eccezionale! A mia volta, negli
stessi giorni, mi è capitato un altro fatto imprevedibile - per quanto mi riguarda - cioè mi si è proposto, da parte dell’Assessorato alla Cultura di Milano, leggi Stefano Boeri, di presentare (imm.2) le duecento e più opere esposte alla mostra e commentare la storia e la genialità di questo irripetibile personaggio che è Picasso. Abbiamo scritto il testo, abbiamo già provato con il pubblico lo spettacolo, ma all’improvviso è sorto un ostacolo: con tutto che noi, come compagnia teatrale si stia lavorando nell’ambito della mostra, a vantaggio dell’esposizione stessa, ecco che rischiamo di rimanere bloccati per il fatto che gli eredi di Picasso, attraverso la loro Agenzia, pretendono che vengano corrisposte delle quote sui diritti d’autore per le immagini proiettate durante questa lezione-spettacolo e introdotte libro che contiene il testo. E’ assurdo, ma come si dice proprio in teatro, ad un folle assurdo si risponde con una trovata da follia, cioè voi, che da questa nostra conferenza non potete trarre che vantaggio, ci imponete una tassa sull’uso delle opere originali e noi le opere le facciamo tutte false, originali s’intende, falsi d’autore! Sono sicuro che nell’aldilà, in questo momento, Picasso se la sta ridendo come un matto... Ma andiamo a Picasso Desnudo! Non è certo un compito da poter svolgere a cuor sottile: Picasso non è soltanto un artista eccezionale, è una leggenda. Un personaggio fuori norma che in
novant’anni di vita è riuscito a inventarsi un numero incredibile di vite diverse, come in un’enorme favola. Un lavoro come questo bisogna però sperimentarlo... e ho pensato proprio a voi, cittadini della mia Milano, perchè mi aiutiate a verificare e capire dove questo mio discorso risulti agile e piacevole e quanto rischi di apparire un erudito bla bla bla. Naturalmente vi aiuteremo proiettando un notevole numero di dipinti, ritratti e autoritratti di Picasso, tutti immancabilmente falsi! (imm.40) Aiutateci con la vostra attenzione e con la vostra fantasia... conosciuta e apprezzata in tutto il pianeta. (scoppia in una risata) Dunque andiamo senz’altro a cominciare... (fig.50) Come frontespizio alla storia di Pablo Picasso abbiamo scelto questa sua dichiarazione: “Sono venuto al mondo nel 1881, in ottobre, e devo dirlo ero un bimbo molto dotato nella pittura! Ho avuto difficoltà a farmi conoscere all’inizio, come succede a ogni giovane che intraprenda il cammino dell’arte. Poi, sempre con fatica mi sono fatto apprezzare, quindi più tardi ho compiuto la più importante delle mie azioni: ho inventato Picasso. (imm.51) Sono stato fortunato, la sorte mi ha regalato come primo insegnante di pittura nientemeno che mio
padre, (ancora imm. RAGAZZINO IMM. 53 - imm.60) don Josè, professore all’Accademia di Belle Arti in Malaga. Ero ancora un ragazzino quando mio padre rimase letteralmente sconvolto nello scoprire una mia pittura - di cui lui stesso mi aveva dettato il tema - un dipinto di fattura talmente straordinaria da mandarlo in crisi. Nello stesso giorno mio padre decise di regalarmi la sua tavolozza, le tele e i colori e da allora non dipinse più. Da subito ho imparato ad amare i grandi pittori antichi, specie quelli del mio Paese. (imm.69 - (imm.70): Velazquez, El Greco e Goya (imm.71), quest’ultimo famoso per la Maja Vestida e la Maja Desnuda. A proposito di questo stupendo doppio ritratto di donna mi sono subito chiesto: ‘Ma perché, dopo aver dipinto questa sua innamorata dolcemente sdraiata su una chaise-longue, indossante un abito così raffinato, Goya l’ha poi spogliata nuda nello stesso atteggiamento mostrandola così a tutta la città? E’ semplice, Francisco amava questa donna più d’ogni altra creatura al mondo, quindi l’ha mostrata ignuda non perché volesse vendicarsi e punirla per essere stato tradito e abbandonato, proprio come pensano stupidamente certi eruditi commentatori, ma per farle un grande dono: (imm.72) denudarla perché ognuno potesse rendersi conto per intero di quanto fosse impossibile non perdere la testa per lei’. (indicando la proiezione) Non capita tutti i giorni di incontrare Venere in persona! A proposito di opere sublimi Pablo soleva ripetere un
paradossale concetto: “La mediocrità di un pittore la si misura osservando come faccia propria l’opera di un grande artista. Quasi sempre il pittore in questione dichiara di non copiare l’opera del grande maestro ma di ispirarsi a lui. Ed è qui la stupida banalità, infatti un pittore di grande qualità – e scusate se io mi permetto di pensare di essere uno di quelli – non si limita mai a tradurre l’emozione che gli procura un grande maestro, ma si prende tutto intero il suo dipinto: colori, forme, linguaggio, e si porta via anche la cornice se scopre che è di valore.” E’ noto che il suo primo periodo pittorico è detto blu (imm. 80 – 80 bis), (imm. 80 TRIS) periodo durante il quale ritrasse una popolazione ai margini della società: personaggi del circo, giocolieri e attori di strada. (imm.81) Bimbi che imparano dalle madri l’arte dell’acrobazia e che si lanciano rotolando nell’aria con leggerezza ed eleganza straordinarie (imm.82). Ecco che qui avremmo bisogno di qualcuno che questo mondo lo conosca veramente a fondo, avendolo vissuto fin dalla nascita, e questo qualcuno è senz’altro Franca, figlia d’arte e depositaria dell’antico Teatro all’italiana. Franca! ENTRA FRANCA FRANCA: Picasso amava molto lo spettacolo, in particolare il teatro satirico, come quello proveniente
dalla Commedia dell’Arte (imm.90 – imm. 90 bis). Non a caso il personaggio che Pablo ha fatto fisicamente e spiritualmente proprio, è Arlecchino. (imm.91) Conosciamo decine, anzi centinaia di disegni e suoi dipinti in cui Picasso si ritrae addobbato di questa maschera di servo furbo, spietato e candido insieme (imm.92) una maschera di cui egli conosce tutti i paradossi e i lazzi: le giullarate, gli sberleffi, lo sghignazzo e soprattutto l’insulto al potere. (imm.93- imm. 94). Con Dario abbiamo voluto condurre una indagine, e in biblioteche diverse, a cominciare da quelle della Romagna dove ci trovavamo a provare, abbiamoo scoperto che i dipinti, le statue, le incisioni sul tema di Arlecchino eseguite da Picasso in 70 anni e più, sorpassano il numero di 300: (imm. 95 – imm. 96) un’enormità! Alcuni grandi suoi dipinti in particolare illustrano canovacci dei comici italiani famosi, come quello in cui Arlecchino recita la parte del sensale di matrimoni. Una storia che con la mia compagnia di famiglia, la compagnia Rame, abbiamo messo in scena più di una volta. La trama è semplice e giocosa. Pantalone, ricco mercante veneziano, si è pazzamente innamorato di Isabella, che da ragazza era proprio il mio personaggio, giovane ospite di casa che a sua volta è innamorata di Flavio, ‘bello figliolo’, primogenito di Pantalone. Costui quando scopre che Flavio gli sta portando via la donna amata, impazzito di gelosia
scaccia di casa il giovane contendente (imm.97), suo figlio, obbligandolo a raggiungere l’Università di Bologna, e così se lo toglie dai piedi. Arlecchino, naturalmente, come tutti i servi della tradizione sta dalla parte dei giovani innamorati e riesce a far trangugiare immediatamente a Pantalone una pozione magica. Una volta assunto quell’intruglio il vecchio mercante si innamorerà della prima femmina che transiterà davanti ai suoi occhi e dimenticherà all’istante Isabella. Ma destino vuole che davanti a sé appaia non una femmina ma lo stesso incantatore: Arlecchino!, che accidentalmente indossa un costume da donna. Pantalone sotto incantesimo si getta affascinato verso Arlecchino (imm.98), DARIO: Bella donna che tu sè! FRANCA: E così dicendo lo solleva fra le braccia urlando DARIO: “mia sei, adorata signora!”. FRANCA: Lo zanni si divincola DARIO: “còsa ch’el fà siòr dotór, l’è mato!” “Bella creadùra tè vòjo mastecàre tùta desnùda!” FRANCA: L’oggetto del desiderio fugge inseguito, inciampa, rotola travolto dall’impeto dell’appassionato Pantalone che ad ogni costo lo vuol
far suo. L’amato fuggente si arrampica su un albero (imm. 99) dove viene raggiunto da Brighella, il servo raziocinante che dice: DARIO: Arlekìn, tranquilate! ‘Sta metamòrfosi che t’è capitat de stciambiarte de omo in fèmena, l’è ‘na gran fortùna. E Arlekìn de contra: “Ma che fortuna?! Me cojòn! L’è fortuna forse farse sbusetàr le ciàpe ‘me ‘na putàna?” – ma Brighela non mòla – “Arlekìn, vardémose bèn in te i ògi. Chi sèt ti? L’ùltemo dei desperàt! Un strasciùn malarbèto! Sémper in ziérca de magnà! Afamà pì d’un càn randàzzo. Catàt a pesciàdi d’ogne cùsinier! Biastemà fin de l’ùltimo servidór. E all’improvìsa, incó, par meravigióso incantamento, tèl chì, un Arlekìn amàt e sbasücà, lèca-lèca à la fulìa. Ma te se réndet cunto: sèm arivà adiritùra a un padrón inamuràt à la folìa del so’ servidór! Ma quando mai l’è capitàt al mund?! AHAH L’è ‘na maravégia!” “Eh sì – or replica Arlekìn – maravégia d’un mato! A l’è proprio ‘na folìa! Quel lì me vor far el servìssio, cumpàgn de ‘na ziuvénca, giàmbe per aria e cùl al vento, muntà ‘me ‘na cavra!”. BEEEH BEEEEH VAAAAA PIAN CHE BRÙSA! “E ti dighe de no, ma dólzo! Impara a stopàrlo come se fa coi cavrón in calór ‘sto sacripante! Daghe mièl e sale in quantità... e ogni tanto un lecadìn! La vostra matamòrfosi, tì vedarà, se intorsicarà cumpàgn d’un melùn riempiegnì de parsùto e la tua sarà ‘na vida de fa’ negòtt con la panza sémper impiegnìda de
vìn e de salàm!” FRANCA: Arlecchino si convince e si mette alla prova. Danza con il suo padrone innamorato. (imm.100) Accetta tenerezze e riceve regalie preziose, manciate di denaro, anelli, collane e bracciali da odalisca. Isabella e Flavio si ritrovano a loro volta sconvolti: “Abbiamo sì – dice Isabella - guadagnato la libertà di amarci, ma non possiamo accettare questo connubio da incantamento triviale, per non parlare di tutto il denaro di famiglia sperperato. Bisogna intervenire facendo bere al vecchio Pantalone una pozione d’antidoto. In che consiste? Si tratta dello stesso liquido che lo ha incantato: bevuto una seconda volta, farà tornare Pantalone normale. Inquadratura su Franca “Sarebbe a dire - esclama Isabella - che lo rivedremmo di nuovo innamorato pazzo di me!?” DARIO: “No no no! Niente pagùra, - la fa tranquila Brighela - ol retornarà in te la norma, ma castrà ‘me un vitelón!” FRANCA: Ma ecco che all’istante Arlecchino si rifiuta. DARIO: “No, ma niànca morto! No’ torno indré nemanco se me cusiné ‘me ’n ’aròsto sul fògo dei purscèi. Cosa ghe guadagni mì? Quando l’è comensàda sta metamòrfosi con incatamento, viàltri
dòi cigulàvi felìz ‘me dòi fringuèli e adès, de bòto, vi fèit catàr de la bona moralità! L’è miga par caso che gh’avé timór de pèrdeghe l’entréga eredità del vègio incujunàt? E mi? A l’estànte dovarìa returnà indrìo a la miseria de sémper, ai pesciàdi in te le ciàpe, senza respècto de sòrta de ognùn? No! Mi quel respècto che me sòn guadagnàt m’el vòjo mantenìr san e tüto insèmbia a l’amor e à la degnità. Sigùro, ho descovèrto che per un omo, la degnità l’è tüto, sovratùto ‘ndel particolàr mùment che scòvre de ves deventà ‘na fèmena!”. FRANCA: La compagnia dei comici allontana di forza Arlecchino che scalcia come un ciuco impazzito. Intanto si preparano i bicchieri e li si riempiono di spumante, tutti salvo che per il boccale offerto a Pantalone che conterrà la solita bevanda con l’incantesimo. Il mercante innamorato sta per portare il proprio bicchiere alle labbra ma ecco che Arlecchino con gesto rapido afferra il boccale e trangugia il beverone a gran velocità. DARIO: “Nianca per idea! Pitòsto ‘sta malarbèta pozión me la sgòrgolo tüta mi’, capita quel che capita, no’ m’importa!”. FRANCA: Beve e quindi immediatamente spalanca gli occhi e urla: DARIO: “Maledisiùn! No’ ghe végo più! Orbo son
deventà de entrambi i ögi!”. FRANCA: Tutti i personaggi della commedia sentendosi responsabili di quel disastro si fanno in là, sul fondo. Arlecchino spalanca di nuovo gli occhi e grida: DARIO: “Ghe végo! I mè ögi i véghe de nòvo! Dio che calór che me sento ‘gnir adòso!”. FRANCA: In quel momento una deliziosa capretta (imm.101) attraversa la scena e Arlecchino le va incontro ed esclama: DARIO: “Maravegiósa criadùra, che te spónti deréntro el méo sguardo. Inamorò col còre tüto in tòchi, me sento devànti a tì!” FRANCA: Si china verso la tenera capretta, la solleva tenendola stretta fra le braccia (imm.102 – inquadratura su Dario) La sbaciucchia con passione mentre quella bela quasi cantando e Arlecchino, annodandosela intorno al collo come uno scialle prezioso esclama: DARIO: “Ooh, che roba maravegiósa sentìrse inamorò come un cavròn in calór!”. BUAAAAAH (imm.103)
FRANCA: Picasso è informato anche del fatto che Arlecchino, nelle sue infinite metamorfosi, non si limita a recitare il pagliaccio sguaiato e bugiardo, ma si trasforma nell’acrobata del medico volante (imm. 104), nell’avvocato arraffatutto, nel Tartufo di Molière e nel Don Giovanni sciupafemmine (imm.105 – imm.106). Egli è cosciente che se mette a confronto la sua propria vita con quella di Arlecchino, si accorgerà che la maggior parte delle sue storie con donne (imm.107) di cui è stato amante, sposo, innamorato per sempre o per una notte e via, sembrano tratte di peso dalla Commedia dell’Arte. (imm.108) Le ha amate tutte e spesso le ha travestite da saltimbanchi, danzatrici, ninfe e divinità. (imm.109) Picasso si trova spesso come davanti alla porta girevole di un Grand Hotel: entra solo, esce accoppiato, rientra con un’altra femmina e sorte con due nuove innamorate. Eccole: la donna di Maiorca (imm.132), stupenda, la donna nuda (imm.133) di cui si tace il nome, Olga Koklova (imm.134) ritratta decine di volte in diversi atteggiamenti e situazioni, madame Cañals (imm. 135), moglie splendida di un notevole pittore di cui Picasso si era pazzamente innamorato, innamorato della moglie, non di lui!, e per finire la signora H.B. (imm.136) ricchissima... soprattutto di capelli, come potete vedere! Belle eh! Ma nessuno di questi ritratti è l’originale, sono tutti rigorosamente ricostruiti, cioè dei falsi... sempre autentici! Ma attenzione, quanti
ritratti ha eseguito di alcune di loro? Di alcune, come Françoise Gilot, ha eseguito più di 400 ritratti. Della Koklova ne ha realizzati più di 500... il che significa un grande amore! Posso testimoniarlo io di persona. ho un marito, con il quale ho vissuto una vita intera e mi ha ritratta almeno 150 volte! Un amore appena tenero! DARIO: Ma stiamo attenti a non crearci l’idea di un personaggio esclusivamente preso per le femmine. Picasso era anche quello che si dice un uomo civilmente e socialmente impegnato. “Raccontate uomini la vostra storia – ripeteva con Savinio (imm.193) - siate testimoni implacabili del vostro tempo, del diritto per ognuno alla libertà, ed ogni ingiustizia denunciatela fino a sgolarvi!”. Naturalmente entrambi - Picasso e Savinio - nel loro comportamento davanti ai grandi e spesso orrendi momenti della storia, non si tirarono mai indietro. Basti ricordare con che slancio furente e indignato Picasso dipinse nel 1937 la grande tela dedicata alla strage di Guernica. (imm.200) FRANCA: Naturalmente il pittore ha evitato di cadere nella retorica illustrativa del dramma: non ci sono gli Stukas, i bombardieri tedeschi in picchiata, né granate a grappoli né esplosioni, ma una parete di casa che crolla, piedi di uomini e cavalli che si muovono correndo, tremende grida di donne che spalancano le braccia disperate, animali colpiti che
stramazzano, bambini uccisi fra le braccia della madre, uomini rovesciati al suolo ormai senza vita e lo slancio di una donna che regge una lampada che proietta luce fra le tenebre della morte. Guernica è la pittura che Picasso riuscì a far diventare memoria di tutte le violenze e i massacri del suo tempo. DARIO: Lo stesso discorso va fatto per la grande tavola di compensato dipinta per la fucilazione di innocenti avvenuta in Corea (imm.210) negli anni Cinquanta per mano di un plotone di esecuzione degli Stati Uniti, dove le vittime sono rappresentate, donne e bambini ignudi, proprio come l’innocenza. In questo caso l’idea compositiva si rifà chiaramente al massacro, avvenuto all’inizio dell’800 dipinto da Francisco Goya (imm.210 - imm. 211) che testimonia la strage della popolazione spagnola da parte dell’esercito francese. (imm.212) I fucili posti in primo piano da Picasso nella sua narrazione sono macchine da guerra da fantascienza e anche l’atteggiamento meccanico dei militari americani allude ad un’ammucchiata di robot, automi della morte, evidentemente privi di ogni dimensione umana. FRANCA: Va subito detto che qui si tratta di un altro falso, assolutamente straordinario! (imm.213) Queste due opere, accompagnate dai conseguenti abbozzi preparatori, furono mostrate al
Palazzo Reale di Milano nel 1953, accolti da una straripante presenza di pubblico. Naturalmente sul coinvolgimento umano e civile di Picasso, in più di un’occasione e con coerenza totale durante tutta la sua vita, si è tentato da parte dei soliti pompieri culturali, di svicolare assicurando che quelle opere del grande maestro dovevano essere lette come una civile esortazione alla pace, solo alla pace contro ogni sorta di conflitto. DARIO: Quelle colombe (imm.220) che Picasso ha dipinto sospese in un cielo lugubre durante il periodo della cosiddetta guerra fredda, secondo alcuni conformisti erano la dimostrazione che Picasso tendeva a rimanere fuori dai coinvolgimenti morali di parte. (imm.221) Insomma, qui i pompieri moderati ribadiscono con foga che Pablo, come tutti i grandi artisti, deve essere visto e catalogato come uomo di pace, estraneo ad ogni coinvolgimento estremista della politica. E’ la solita ballata ipocrita di un’arte che deve volare alta (imm.222) e fuori d’ogni impegno diretto alla vita sociale e politica. Insomma, procuriamoci tutti un bel cervello vuoto, privo d’ogni contaminazione di parte. Il mondo delle idee è pericoloso: crea fanatici del pensiero. Meglio starsene fuori e vedere ogni dramma come pupazzi e spaventapasseri che si agitano sbattendo le braccia mossi dal vento del nulla.
FRANCA: Siamo nel 1907, Pablo a Parigi, (IMM. ex 230 – Demoiselles D’Avignon) vive un’esperienza di surrealismo espressionista. E’ quello il tempo in cui conosce Duchamp, Villon, Braque, Picabia e molti altri artisti compreso qualche italiano coi quali, analizzando le composizioni pittoriche di Cézanne (imm.233) e soprattutto dell’arte africana (imm.235), AGGIUNGERE OPERA sviluppa una specie di frammentazione di volumi geometrici che vanno componendosi in forme dinamiche. DARIO: Matisse, che non era tenero con i surrealisti, osservando uno di questi dipinti eseguito da Braque esclama con una certa ironia: “Bella questa specie di cubettismo!”. (imm.236) FRANCA: Venutolo a sapere, Braque e Picasso esclamano quasi all’unisono: “Grazie Matisse, con questo tuo gioco a sfottò ci hai dato una grossa idea, chiameremo questa nostra pittura Cubismo”. E Duchamp ci mette un carico da undici: “Per ringraziarti, caro Matisse ti faremo un ritratto tutto cubetti, cubettini e cubacchi!” - e mantennero la promessa, eccola! (imm.237) Naturalmente una riedizione un po’ arbitraria. DARIO: Ma a parte le frecciate e il sarcasmo, quel movimento destò uno straordinario interesse, specie presso alcuni importanti collezionisti. All’inizio però i seguaci del naturalismo espressionista reagirono
con atteggiamenti di sdegno. “Ma che è quella? Nient’altro che una provocazione mercantile, tanto per stupire, épater le couille”... Come dire, per incantare i coglioni!” FRANCA: Gertrude Stein, (imm.240) bellissima donna, una delle più colte fra gli innovatori... si dice fosse l’amante di Picasso, e c’è da crederci poiché il grande maestro non ha mai scelto come amante una donna che non fosse almeno affascinante... La Stein dichiarava che con il cubismo (imm.242 – 243) l’incorniciatura della vita andava a pezzi, e finalmente colori e composizioni potevano muoversi liberi oltre la dimensione del quadro, annotazione veramente intelligente! Bella testa! Pur operando distanti l’uno dall’altro in diversi atelier, Picasso e Braque riuscivano a realizzare opere tanto simili che si sarebbero dette composte a quattro mani dai due artisti. (imm.248) DARIO: Però c’era un inciampo cromatico e Duchamp fu il primo ad accorgersene: quella pittura viveva di un croma neutro, privo di una luce che proietti ombra e movimento. (imm.249) “Stiamo dipingendo corpi senza ragione e anima – affermava - una pittura estremamente decorativa, elegante, anche raffinata se volete, ma ogni quadro sembra più un paradossale armadio con ante sfasciate, illogiche e senza storia. L’uomo è uscito a prendersi un caffé ma ha perso la strada e non torna più.”.
(stacco su Franca) FRANCA: Di lì a qualche anno arrivò la grande guerra che spazzò via all’istante ogni estetismo astratto e monocromo. Poi finì la guerra, ci fu il fascismo e un’altra guerra, anche quella mondiale. Picasso non si mosse da Parigi e visse con difficoltà la situazione della Francia occupata dai nazisti. DARIO: Nel ’46, appena finito quell’ultimo conflitto, molti giovani pittori partirono da Milano per Parigi, per incontrare e conoscere il grande maestro spagnolo. A quel tempo avevo appena vent’anni e a mia volta, con alcuni compagni d’Accademia, decidemmo di andare da lui, in Francia, per sollecitarlo, perché venisse a Milano. Eravamo decisi ed emozionati al tempo, non capita tutti i giorni di andare a visitare un monumento vivente. In coro lo invitavamo a scendere da noi: “Ci fareste un gran regalo Maestro e sarebbe per ognuno una straordinaria iniezione di coraggio e fiducia!”. Picasso si diceva lusingato e prometteva che appena gli si fosse aperto uno spazio di tempo disponibile, ci avrebbe accontentati. Passavano le settimane, i mesi, ma della visita che ci aspettavamo da Picasso nessuna notizia. Scrivemmo
più di una lettera ma ricevemmo solo laconiche risposte dai suoi collaboratori: “Abbiate pazienza, fra poco arriveremo.”. Ma noi pazienza non ne avevamo più, anzi quando si sparse la voce che Roma, in particolare Cinecittà, era riuscita a convincere Pablo a raggiungerli di lì a qualche settimana, esplose una vera e propria bagarre di rabbia indicibile. Ci fu una riunione nell’Aula Magna di Brera, (imm.255) mai vista una folla del genere, gente che s’ammucchiava e sbaccagliava disperata. Morlotti era fra di noi il più saggio e accorto e disse: “E’ inutile tutta questa caciara. E’ evidente che Picasso ha preferito Roma a noi. Forse nel ritorno può darsi che si fermi a darci un saluto.”. Quella non era acqua fresca, ma una tanica di benzina buttata sul fuoco, tant’è che qualcuno fuori di testa propose: “E se lo andassimo a rapire?” “Sì, il Picasso rapito! - sbottò Peverelli – Che idea, io mi prenoto per fare il palo.”. Tutti risero più per la stizza che per la battuta. Parzini rispose seccato: “C’è poco da sfottere, la soluzione c’è ed è questa lettera che abbiamo ricevuto dal suo ufficio. Terremo buona solo la busta; per il contenuto basta riscriverlo da capo, pressappoco così: (imm.256) cari amici, saprete che sto per giungere a Roma ma ho pensato che, transitando da Milano, giacché verrò in treno, potrei fermarmi per abbracciarvi e stare un poco con voi. Il giorno che mi andrebbe a pennello, scusate ma un pittore si scopre sempre, sarebbe l’ultimo fine settimana di questo mese, fra quindici giorni circa. Un abbraccio, Pablo”.
Un gruppo fra i convenuti se ne andò a dir poco schifato: “Ma sono pagliacciate, andiamo!”. Ma i molti che restarono si diedero un gran da fare per metter giù la lettera cercando di imitare la scrittura di Pablo. Poi fotografammo la missiva e la facemmo circolare fra le varie testate di giornali. Qualche cronista fanatico dello scoop, fregandosene di verificare, pubblicò la notizia: “Pablo Picasso prossimamente a Milano per un vernissage della mostra di sue incisioni (IMM. 258 NUOVA - INSERIRE IMMAGINI) alla nuova Galleria Manzoni”. La mostra si inaugurava davvero, ma è chiaro che la notizia della sua venuta era completamente falsa. Altri giornali hanno ripreso il lancio dell’evento e, come se non bastasse, un mercante mai identificato, aveva confermato, assicurando la visita del Maestro. A nostra volta abbiamo deciso di cavalcare la tigre dell’immaginifico: “Lo faremo arrivare qui per davvero! Picasso sarà a Milano in carne ed ossa!” La nostra chiave di volta era Otello, (imm.262) un anziano bidello dell’Accademia di Brera, un brianzolo assistente al calco dell’atelier di Marini: era il sosia di Pablo sputato. Un uomo sui cinquant’anni, di bassa statura, ben piazzato con il cranio ornato di pochi capelli bianchi e la faccia identica a quella del maestro malagueño. Insomma, una fotocopia vivente! È deciso: cerchiamo di convincere Otello a prestarsi al gioco. Risposta: “Mì Picasso?! Ma sì matt?!”
FRANCA: Riuscì a convincerlo Olga, (IMM.262 BIS, IN REALIZZAZIONE) una stupenda allieva e modella di Manzù: “Se accetti ballerò tutta la sera con te!” “Affare fatto!” DARIO: Per colmo di fortuna, Otello aveva lavorato a Marsiglia per dieci anni da ragazzo e parlava un francese quasi perfetto. Diamo la conferma a radio e giornali: Picasso arriverà con il treno delle 11.30 in Centrale, via Mentone. Lo faremo arrivare (imm.263) abbigliato con il suo solito trench bianco e la sua immancabile valigia, anche lei bianca. Siamo alla stazione Garibaldi un’ora prima e facciamo salire il sosia accompagnato da Alik Cavaliere, Morlotti e Bobo Piccoli, sul treno che va a Rho. I quattro scendono alla stazione stabilita e attendono il rapido da Mentone che fermerà, come di regola, a quello svincolo di quattro linee. Alla stazione Centrale, binario dieci, c’è una folla incredibile: giornalisti, fotografi, cineoperatori, studenti, artisti, intellettuali… c’è perfino una bandiera rossa, che sventola… per Picasso! Ecco il treno, la folla va incontro all’artista. “Sarà sui primi vagoni o più in fondo?” Scendono i viaggiatori. “Avete visto Picasso in qualche vagone?” “Picasso?!” Ci guardano come una massa di deficienti. Sono quasi scesi tutti. Picasso non si vede.
“Eccolo!” “Sì, è lui. (imm. 265) Si è sporto da un finestrino!” - saluta e poi scompare. È sceso sull’altro marciapiedi. “Che originale!” La gente sale sui vagoni per poi ridiscendere dall’alta parte. È sparito! “Di sicuro si è infilato in un sottopassaggio!” I fotografi e i giornalisti si danno a rincorrerlo. Una voce di donna grida: FRANCA: “Calma, non è fuggito! È che la folla gli crea panico. Se lo volete incontrare tranquillo, venite tutti questa sera al salone dei Filodrammatici, a fianco della Scala. Ci sarà un rinfresco e una tranquilla conferenza stampa.” DARIO: Il salone dei Filodrammatici (imm.268) in restauro era una specie di impianto scenico che serviva da sala prove. Lo stavano ristrutturando perciò era ingombro di tralicci e centine di sostegno e mancava assolutamente del soffitto. Insomma, era veramente un salone all’aperto. Ma quelle strutture a colonnati funzionavano a meraviglia per sostenere un decor scenografico davvero sconvolgente. Per arricchirlo avevamo coinvolto gli allievi di scenografia e decorazione e i tecnici del Piccolo Teatro. Con un camion avevamo fatto portare in quel salone scene di spettacoli fuori repertorio e dal vecchio magazzino della Scala eravamo riusciti a recuperare enormi statue in cartapesta e perfino un
leone e due cavalli rampanti. (imm.269) Il montaggio è stato laborioso, ma eccitante. Si è brigato tutta una notte. Con un gruppo di attori e qualche sceneggiatore di film si è poi abbozzata una scaletta delle situazioni da rappresentare. La sera, i primi ad arrivare sono stati i musicisti del Santa Tecla (imm.270) e la Lambro Jazz Band. Si sono sistemati su una specie di palco mentre ancora si stavano approntando le luci. Tutti commentavano dell’arrivo di Picasso alla stazione: erano in molti a non immaginare si trattasse di una beffa! Gli scenografi e i decoratori, fra di loro mi par di ricordare ci fosse anche Enrico Baj, stavano intanto pitturando i cavalli, il drago e le statue in oro e argento. Fra gli altri eravamo riusciti a ingaggiare il gruppo di clown del Circo Togni... FRANCA: ...ed io che con la gente del circo ero di casa, mi ero infilata nel gruppo addobbata da domatrice di leoni, ero irriconoscibile... DARIO: ...infatti è lì che l’ho incontrata per la prima volta, ma non ci ho fatto nemmeno caso! FRANCA: E nemmeno io l’ho preso in considerazione: aveva un naso tondo, classico dei clown, due occhi da pagliaccio che facevano scintille e una bocca coi labbroni rosso carminio!
DARIO: Finalmente comincia ad arrivare la gente. Noi si metteva a posto le sedie in un ordine davvero caotico. La Lambro Jazz Band apre con un pezzo famoso, è un blues: “Tutti i figli di Dio hanno le scarpe”. (canta a ritmo di blues) In ritardo stanno entrano anche i camerieri per il rinfresco. “Ma chi paga tutta ‘sta roba?” chiedo io. Mi fanno il nome di due grossi collezionisti. “Hanno coinvolto anche l’ufficio pubblicitario della Pirelli!” Non ci credo... me lo giurano! FRANCA: C’è più gente del previsto… belle signore in gran pompa. In molti hanno disertato la prima del Lirico. Ecco Ghiringhelli, il direttore della Scala, Scala ridotta dai bombardamenti ad un rudere e Schwarz, il principe dei mercanti d’arte con tutta la sua corte. DARIO: Il pubblico non ha ancora preso posto che, sostenute dalle bande, hanno inizio le entrate comiche (imm.273): lassù appeso ai tralicci un clown truccato da imbianchino in tuta, grida: “Aiutooo, sto cadendo!”. Si lascia scivolare giù per un cavo e comincia ad oscillare in modo sconnesso. Precipita! No, si è abbrancato ad una centina. Degli acrobati, travestiti da pompiere, montano scale che vanno a pezzi. TUM TUM TUM, uno spettacolo! I Vigili del Fuoco si salvano aggrappandosi a funi che li fanno
danzare qua e là. Urla di signore spaventate. Ora anche la band del Santa Tecla s’è unita alla Lambro Jazz in un sound frenetico. Le giravolte, gli scontri e le stcentrate creano scompiglio. FRANCA: Qualcuno chiede a gran voce: “Scusate ma quando arriva Picasso?” (imm.275) DARIO: “Sarà qui a momenti. Intanto lei balli signora!” Suona una sirena e si spalanca un portale: dal fondo entra un vigile in moto che impone silenzio. “Cos’è ‘sto bordello? Siamo pazzi? Avete il permesso per lo spettacolo? E chi è il capocomico, l’impresario? Si può sapere cosa ci fate qui?” “Aspettiamo Pablo Picasso!” “Pablo viene qua?!”. E il vigile motorizzato manda un urlo e fa ruggire il motore ROAAAAR!, quindi si lancia in un carosello a gran velocità ed esce con la sirena accesa gridando: “Pablo! Pablo! Arriva Pablo!” ROAAAAR! FRANCA: L’orchestra sta andando su di giri. Intanto entrano in scena cinque imbianchini che pretendono di ultimare il loro lavoro. (imm.278) DARIO: Anch’io, col mio nasone, faccio parte della squadra di quei clown spennellatori. Andiamo trascinando un enorme telone sotto il quale costringiamo il pubblico ad infilarsi come si fa coi
mobili in caso di sbiancamento dei locali. FRANCA: Due anziane signore chiedono a gran voce: “Ma quando arriva Picasso?” DARIO: “Arriva, arriva!” Ora gli imbianchini si lanciano i secchi l’un l’altro, UAH UAH s’annaffiano con sbroffate di pittura. FRANCA: Spaventato dalle grida e dai tonfi, il pubblico tira di qua e di là il gran telone finché, strappo dopo strappo, non viene ridotto a brandelli. Qualche coppia danza. (imm.279) E altri chiedono: “Ma quando arriva Picasso?”. DARIO: “Arriva, arriva!” Un altoparlante avverte: “Attenzione, arriva Picasso!” FRANCA: L’orchestra suona una marcia trionfale. Petardi esplodono fra le gambe delle danzanti. DARIO: Eccolo là! In mezzo al fumo appare la sagoma di Otello, (imm.279 bis) sempre con il suo trench bianco. Applausi. (batte le mani) “Ma è proprio lui!” Otello sta per parlare: “Mes amis, je suis ravì d’être ici…”, ma si trova avvolto da uno sfumazzo denso e puzzolente. Tossisce. “Mon dieu, quelle bagarre!”. E quindi all’istante inizia a parlare in dialetto lombardo stretto: “Ma se
po’ minga respirà in ‘sta fuméra e per el calùr peu che ven föra. Gh’é de stciopà!” Così dicendo si toglie il trench e rimane seminudo ma con le mutande. imm. 280 FRANCA: “E’ lui, è proprio Picasso! L’ho visto fotografato in quella mise un sacco di volte!” Picasso riprende a parlare tenendo un microfono vicino alla bocca: DARIO: “Me piàse ‘sta Milan l’è proprio ‘na folìa de stciopà! Sun cuntént de ves chi!”. Scoppiano altri petardi e anche un fuoco d’artificio. FRANCA: Un botto esplode proprio fra le gambe del falso Picasso della Brianza DARIO: “Eh no, cassoo! Me vorsì brusà i cujùni?!” (imm.282) Alcuni signori scattano a gran voce: “Ma per Dio, è tutta una presa per il sedere, si son fatti gioco di noi! Una beffa indegna.” FRANCA: “Zitti, non si offende un ospite così riguardevole!” Una splendida signora inzuppata d’acqua colorata esclama: “Stupendo! Una festa così me la ricorderò finché campo!” DARIO: E un vecchio signore esplode a tutta voce: “Io non so se quello sia o no il vero Pablo, ma che sia
o non sia a me va bene anche così... DARIO E FRANCA (in coro): viva Pabloooo!” FRANCA: E un’ultima voce tonante grida: “Ma quello è Picasso o no?” DARIO: Tutto il coro dei clown (imm. 282 bis) sbotta: “Sì, è lui, è l’unico Picasso al mondo, gli altri sono tutti fasulli!” (canta) DARIO E FRANCA (in coro): Che festa! (copertina 1 – copertina 2) __________________________________________ SECONDO TEMPO: [Musica] (copertina 1 – copertina 2) DARIO: La beffa organizzata a Milano con la messa in scena della partecipazione del falso Picasso ai Filodrammatici, di fianco alla Scala, avveniva più di tre anni prima che si realizzasse al Palazzo Reale la grande retrospettiva del 1953, (TAV. 290) cioè sessant’anni fa, e che proveniva dalla Galleria Nazionale d’Arte Moderna in Roma, dove furono presentati 137 dipinti più numerose sculture e opere
grafiche e ceramiche. Per di più a Milano le opere esposte al Palazzo Reale in quell’occasione erano più numerose in conseguenza dell’intervento diretto di Picasso che riuscì a far esporre anche la grande tela di Guernica che venne spedita per via aerea da New York; FRANCA: insieme a Guernica era anche presentato il Massacro in Corea la grande tavola, come avevamo già detto, nella quale era raccontata la fucilazione di un gruppo di innocenti contadini; a Roma quest’opera non fu presentata, pare per l’intervento di Giulio Andreotti (TAV. 295) che vietò l’esposizione per non offendere l’alleato americano. “Sì, abbiamo verificato, e siamo certi che sia stato proprio lui, il Divo Giulio a mettere in atto quel veto di alta piaggeria politica. Ma quell’Andreotti lo troviamo dappertutto, in ogni tempo, proprio eterno e puntuale come la morte!” DARIO: Ancora a Milano, furono esposti altri quadri che Picasso aveva fatto arrivare da musei di Mosca e Barcellona. Ma perchè? Come mai tanta generosità verso la nostra città? Di certo a Milano (TAV. 300 – tavola nuova con il tram) rispetto a Roma, Picasso ne era ben cosciente, si respirava tutt’altra aria, non era ancora intossicata dallo smog, sia industriale che politico. FRANCA: Nel dopoguerra la nostra città godeva di un fermento civile e culturale di straordinario peso e Picasso ne era bene al corrente. Un giornale della
sera, mi pare si chiamasse Milano Notte, assicurava inoltre che quando Pablo seppe della messa in scena dei Filodrammatici (TAV. 305) con bande, clown e la presenza di un sosia che lo impersonava fra lo stupore e il divertimento di tutti i presenti anche quando avevano scoperto della finzione, aveva esclamato: (TAV. 310) “Ma è una messa in scena degna di un Pantagruel! Che spasso! Bisogna proprio che mi decida ad andarci in questa città, (TAV. 311 nuova) e con una grande esposizione! Gente con tanto spirito bisogna proprio premiarla!” (TAV. 312) DARIO: Di certo come osservavano cronisti presenti all’esposizione, grazie alle molte opere aggiunte rispetto all’edizione romana questa di Milano appariva molto più impegnata, specie sul piano della denuncia civile; insomma, come dichiarava più di un visitatore: “E’ un’esposizione proprio di sinistra!”. FRANCA: Guernica, (IMM. 313) in particolare, aveva assunto per i giovani artisti del Nord un assoluto valore emblematico, poiché a Milano si era fatto di Picasso e di questo suo quadro una vera e propria bandiera del loro impegno d’avanguardia, in presa diretta con l’attualità storica e sociale, non più verista e naturalista, e in opposizione all’astrattismo formalista. (RIPRESA SU DARIO) DARIO: Ma non va dimenticato che Picasso aveva creato con il linguaggio delle sue opere una forma di realismo post-cubista inaccettabile per una certa borghesia e che entrava in forte contrasto con la linea
ufficiale del PCI che si era allineata ai dettami del realismo socialista sovietico dogmatizzato da Zhdanov e ribadito anche da Togliatti. Questo atteggiamento crea un forte conflitto fra gli intellettuali italiani di sinistra che in gran numero erano per la completa libertà d’espressione e di pensiero. FRANCA: Ma ecco che poco prima della mostra di Picasso a Milano, nel marzo ‘53 si riunisce in Italia il Comitato Centrale per una cultura libera, moderna, nazionale che all’istante neutralizza tutte le imposizioni dogmatiche provenienti dall’Unione Sovietica e da qualche dirigente politico nostrano. A ‘sto punto Picasso, applaudito da tutto il movimento democratico di sinistra, viene eletto come principale punto di riferimento per lo sviluppo di un nuovo linguaggio dell’arte. Così si rende omaggio al più grande pittore dei tempi nostri, il “compagno” Picasso che si era iscritto al Partito Comunista Francese nel 1944. In quel tempo stavo terminando l’Accademia, avevo poco più di vent’anni e più volte mi era capitato di partecipare a Brera ad eccezionali dibattiti, proprio sulla questione dell’autonomia espressiva. Se ne parlava anche in centri di cultura che nascevano uno appresso all’altro nella città; non si affrontava solo il tema delle arti figurative ma si coinvolgevano anche il cinema, la musica e soprattutto il teatro che aveva nel Piccolo e nella Scala i suoi centri d’azione. Da tre anni esatti personalmente avevo cominciato ad
occuparmi anche di teatro, (TAV. 315) in particolare quello satirico e grottesco. Proprio al Piccolo, con Parenti, Durano e Jacques Lecoq avevamo formato un gruppo di commedianti con l’intento di mettere in scena uno spettacolo di azione totale quindi legato alla pantomima, nella quale appunto Jacques Lecoq era il nostro maestro. Il tema doveva essere assolutamente quello dell’attualità, raccontato con brevi scene, rapide e stilisticamente rigorose, dove oltre alle parole, ridotte al minimo indispensabile, venivano inseriti il mimo appunto, la danza, il canto e, soprattutto, l’acrobazia. Con noi il costume era unico, una specie di salopette nera che veniva indossata anche dalle attrici (TAV. 320) fra le quali in primo piano c’era anche Franca. I temi erano quelli del lavoro, dello sfruttamento e degli incidenti nei cantieri, la cultura dominante, la politica, l’input della chiesa in ogni frangente della società, la questione femminile e la sessualità nell’amore. Proprio nel tempo in cui si provava la messa in scena, ci capitò con la compagnia al completo – eravamo esattamente tredici più i tecnici e il suggeritore - di visitare la mostra di Picasso al Palazzo Reale e con tutto che personalmente conoscevo le immagini studiate sulle foto dei testi stampati, l’impatto con le tele originali fu straordinario. Dopo due ore che si era in visita ai saloni, ci rendemmo conto che avevamo percorso solo un
quinto della mostra. Dovemmo tornare un’altra volta e, in quell’occasione, ci accorgemmo che molti temi del nostro spettacolo erano già raccontati sui dipinti di Picasso e sulle incisioni e sui suoi disegni. Decidemmo allora di studiare con più attenzione la sintesi e lo svolgimento gestuale di quelle pitture per trarne uno stile più incisivo e originale. E’ lì che a nostra volta scoprimmo il legame che il maestro di Guernica aveva con la rappresentazione teatrale, (TAVOLA DA COPERTINA “PUPAZZI” TAV. 325 e sull’altro proiettore 326) sia nel modo con cui impostava le composizioni, che per l’uso spregiudicato della prospettiva e dello scorcio, per non parlare di quello della luce. Di questo nostro intento di rifarci a Picasso non ne parlammo con nessuno, ma per meglio realizzarlo acquistammo tutte le riproduzioni che trattavano di quella mostra e le immagini di dipinti presenti in vari musei. Il debutto del nostro spettacolo che aveva per titolo Il dito nell’occhio avvenne alla fine di maggio di quello stesso anno, proprio al Piccolo Teatro. Strehler e Grassi, che ne erano i direttori, ci avevano offerto di recitare su quel palcoscenico per tutto il mese, ma lo spettacolo ebbe più successo di quanto si sperasse. Dopo una settimana tutto il mese di maggio risultava esaurito; quindi Grassi ci allungò il periodo fino a tutto giugno. Ancora, dopo venti giorni, ci rinnovarono il contratto fino a tutto agosto. Vennero a vederci da ogni angolo della Lombardia, facemmo una breve pausa e recitammo in altri due teatri di
Milano, fra i quali il Carcano e il Puccini. Poi cominciammo la tournèe, tutto andava come a Milano, esauriti uno dietro l’altro... quanto la nostra compagnia dovesse a Picasso e al clima che si era formato nella città non saprei proprio dimostrarlo, ma di certo noi in quel 1953 siamo partiti proprio con il vento in poppa e con tante vele da sembrare un bragozzo impazzito. (TAVOLA 328) Per festeggiare tanta fortuna Franca ed io abbiamo deciso di sposarci e fare un figlio subito! Come si dice... la fortuna bisogna coltivarla e applaudirla, sempre! ____________________________________________________________________ L’abbiamo già detto: Picasso aveva una certa attenzione particolare per la sessualità. (imm. 330) Tutte le storie del teatro, della pittura e dei romanzi famosi dove apparivano accoppiamenti appassionati e fuori dal comune, lo coinvolgevano fino alla follia. (imm. 335) Conosceva a memoria la Celestina di Rojas, capolavoro teatrale del ‘500, ridondante di prostitute, lenone, amplessi paradossali comprati ed organizzati come in una kermesse erotica. Queste vicende lo conducevano a dipingere, disegnare, incidere giorno e notte. Perfino i Tre Moschettieri (imm. 340) lo sollecitavano a mettere su carta e tela i famosi spadaccini che duellano tenendo fra le braccia donne ignude, sventolate come trofei. Egualmente era coinvolto dal Don Chisciotte (imm.
345 - imm. 350) che scambia prostitute con regine e che nella sua follia, rimane infilzato dalle pale di un mulino a vento (imm.355) che lo fa roteare nell’aria abbracciato alla sua sgualdrina incoronata. I bordelli (imm. 360) l’abbiamo già detto, li rappresenta ad ogni occasione, con prostitute d’ogni razza, forma ed età. Un giorno scopre un dipinto di Ingres, (imm. 365) il famoso pittore neoclassico della fine del Settecento che dedica un quadro a Raffaello, appassionatamente abbracciato alla sua modella, la Fornarina. All’istante Picasso si entusiasma per questa inconsueta storia d’amore e comincia a leggere cronache fantasiose che raccontano dei due amanti; (imm. 370) sono veri e propri feuilleton [INIZIO RIPRESA DARIO SU TUTTI E DUE GLI SCHERMI] carichi di colpi di scena, tipo la bravata di Benvenuto Cellini che spara un colpo di cannone contro Carlo III di Borbone proprio nell’istante in cui sta attraversando il Tevere sulla sua carrozza: PAM!, lo becca con una palla di bronzo e lo ammazza pure! O storie come quella di Giovanni da Gravedona un personaggio un po’ pazzo e autolesionista che alla maniera di Van Gogh si mozzò un orecchio per farne dono alla sua amata “Ti piace cara? L’ho tagliato di fresco per te. Puoi metterci un orecchino se vuoi!” (imm. 375 - imm.380) Ma ecco che a Pablo capita fra le mani anche un altro testo su Raffaello, completamente originale: le cronache di Giulio
Romano, il più importante fra i suoi aiuti; qualche ricercatore assicura invece si tratti di Peplo fiorentino, altro suo allievo e collaboratore; a parte la discussa provenienza letteraria, Picasso all’istante si trova dinanzi un Raffaello assolutamente imprevedibile: prima di tutto un uomo di coraggio e determinazione inconsueti, che attacca vescovi e cardinali, principi e baroni accusandoli di ruberie e intrallazzi ignobili... Che tempi di infame corruzione erano quelli! Menomale che viviamo in un’altra epoca, finalmente civile e democratica, con un Papa vero pastore d’anime. Dicevo che, Raffaello, non risparmia nemmeno la figura del Pontefice, che pubblicamente denuncia per aver fatto sradicare le pietre e i sampietrini della vie principali di Roma, per servirsene nella costruzione di un proprio palazzo; Raffaello ci appare quindi come un uomo di grande correttezza e onestà, che però sorprende ognuno per l’altra faccia della sua personalità: quella di un erotismo sfrenato al limite dell’osceno. Il Maestro di Urbino è uno che sa quanto vale e pretende che tutti lo apprezzino, (imm.385) a cominciare proprio dalle ragazze, dalle dame, dalle modelle, dalle prostitute, che per lui vanno via tutte di testa. Il cronista che per evitare contestazioni chiameremo l’anonimo infatti testimonia che quando a Roma, a Carnevale, il carro sul quale stavano vocianti le ragazze da marito transitava sotto le finestre del palazzotto di Raffaello, tutte quelle donne in coro eseguivano una serenata di sperticati elogi al
giovane pittore, un canto che diceva: “Bello figliolo che tu se’, Raffaello, come te mòvi appresso a lu Papa quanno sorte a passaggiare, tu se’ l’àgnolo Gabriele, ìllo pare lo tòo camarière. Dòlze creatura con ‘sto cuòrpo tuo che pare in danza, (imm.390) comme me vorrìa rotolar co’ te panza panza dentro lu vento, appesa alle labbra tue da non staccàrme mai uno momento: Raffaello méttime dinta ‘na tua pittura dove ce sta ‘no retràtto de te tutto intero così de notte ce se potrebbe cerca’ e infrattàti nell’oscuro facce l’amore. Si nun me voi amà, Raffaello dòlze, canzéllame da la tua pittura, méjo morì se non son tua.” Bella! E a ‘sto punto Picasso, estasiato, (imm.395) comincia ad incidere su una lastra la scena degli abbracci fra le donne ammaliate e il meraviglioso pittore, che viveva la sua vita con una voracità sconvolgente. Quando morì Raffello aveva appena trentasette anni. Si racconta che per il dolore a Roma anche i
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