DARIO - SPETTACOLO PICASSO DESNUDO MILANO - SETTEMBRE 2012

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DARIO – SPETTACOLO PICASSO
                               DESNUDO
             MILANO - SETTEMBRE 2012

(copertina 1 – copertina 2)
MUSICA

Scenografia: su due grandi schermi fondoscena
vengono proiettate le immagini dei dipinti che
illustrano le situazioni.
Entra in scena Dario Fo.

(imm.1)

PEZZO DA AGGIUNGERE: Sia chiaro, non è
stato facile, se pur aiutato da allievi portentosi,
realizzare un numero così alto di falsi; abbiamo
dovuto inventarci una notevole mestiere nel
falsificare quelle opere. Abbiamo capito che gli unici
formidabili imitatori del vero, fra tutti i mestieri, sia
senz’altro quello dei politici . Gli unici che riescono a
falsificare perfettamente la realtà senza farsi scoprire,
sono loro ??? ??? ??? non è una dote.

PEZZO INSERITO OGGI IN TESTO:
Su internet, agli inizi di agosto, è apparsa la notizia che a Milano nel prossimo mese di
settembre verrà allestita una mostra di Picasso proveniente dal Musée National Picasso di
Parigi. Non è passata una settimana, e agli uffici del Palazzo Reale dove è in programma
l’allestimento sono giunte a valanga, la bellezza di centocinquantamila prenotazioni
d’ingresso alla mostra.
È un fatto veramente eccezionale! Negli stessi giorni mi è capitato un altro fatto
imprevedibile – per quanto mi riguarda: mi si è proposto, da parte dell’Assessorato alla
Cultura di Milano, leggi Stefano Boeri, di presentare (imm.2) le duecento e più opere
esposte alla mostra e commentare la storia e la genialità di questo irripetibile personaggio
che è Picasso; abbiamo scritto il testo, abbiamo già provato con il pubblico lo spettacolo,
ma all’improvviso è sorto un dubbio: con tutto che noi, come compagnia teatrale si stia
lavorando nell’ambito della mostra a vantaggio dell’esposizione stessa; ecco che
qualcuno ha ricordato che l’agenzia che raccoglie i diritti di autore per gli eredi di
Picasso in situazioni analoghe ha bloccato la produzione (in un caso addirittura un film
sull’artista già girato e prodotto) con la richiesta che venissero pagati i diritti sulle opere
riprodotte. Notate bene, nel nostro caso noi mettiamo in scena una vera e propria lezione-
spettacolo, l’ingresso alla rappresentazione è gratuito e non percepiamo alcun vantaggio
economico di sorta. E’ come se all’istante, in un’Accademia o in una Università, in
seguito a una serie di lezioni su un artista di grande valore, pittore architetto musicista...
si presentasse la società degli autori per riscuotere una congrua mercè. E’ paradossale,
infatti non esiste! Quindi, per non entrare in polemica, abbiamo avuto un’idea,
permetteteci, geniale. Non presenteremo opere originali di Picasso ma soltanto
riproduzioni rielaborate, come dire dei falsi, falsi d’autore si intende! Da noi eseguiti ad
hoc e dichiarati falsi fin dalla nascita!

 che rischiamo di rimanere bloccati per il fatto che gli eredi di Picasso, attraverso la loro
Agenzia, pretendono che vengano corrisposte delle quote sui diritti d’autore per le
immagini proiettate e introdotte nello spettacolo e nel libro. debbano essere corrisposti e
l’utilizzo delle immagini delle opere autorizzato.
E’ assurdo, ma come si dice proprio in teatro, ad un folle assurdo si risponde con una
trovata da follia, cioè voi ci imponete una tassa sulle opere originali e noi le opere le
facciamo tutte false, originali s’intende!
Quindi le immagini che vedrete proiettate saranno per almeno il 40% falsi d’autore.
mi sono preso l’arbitrio di riprodurli uno per uno aiutato da uno staff di giovani pittori,
anche loro folli e incoscienti. Sono sicuro che nell’aldilà, in questo momento, Picasso se
la sta ridendo come un matto… come vedremo lui era il campione dei falsificatori!
Ma torniamo alla Mostra e alla lezione su Picasso Desnudo.

DARIO: Su internet, agli inizi di agosto, è apparsa la
notizia che a Milano nel prossimo mese di settembre
verrà allestita una mostra di Picasso proveniente dal
Museo Nazionale Picasso di Parigi. Non è passata
una settimana e agli uffici del Palazzo Reale dove è
in programma l’allestimento, sono giunte a valanga
la bellezza di centocinquantamila prenotazioni
d’ingresso alla mostra.
E’ un fatto veramente eccezionale! A mia volta, negli
stessi giorni, mi è capitato un altro fatto
imprevedibile - per quanto mi riguarda - cioè mi si è
proposto, da parte dell’Assessorato alla Cultura di
Milano, leggi Stefano Boeri, di presentare (imm.2)
le duecento e più opere esposte alla mostra e
commentare la storia e la genialità di questo
irripetibile personaggio che è Picasso. Abbiamo
scritto il testo, abbiamo già provato con il pubblico lo
spettacolo, ma all’improvviso è sorto un ostacolo:
con tutto che noi, come compagnia teatrale si stia
lavorando nell’ambito della mostra, a vantaggio
dell’esposizione stessa, ecco che rischiamo di
rimanere bloccati per il fatto che gli eredi di Picasso,
attraverso la loro Agenzia, pretendono che vengano
corrisposte delle quote sui diritti d’autore per le
immagini proiettate durante questa lezione-spettacolo
e introdotte libro che contiene il testo.
E’ assurdo, ma come si dice proprio in teatro, ad un
folle assurdo si risponde con una trovata da follia,
cioè voi, che da questa nostra conferenza non potete
trarre che vantaggio, ci imponete una tassa sull’uso
delle opere originali e noi le opere le facciamo tutte
false, originali s’intende, falsi d’autore!

Sono sicuro che nell’aldilà, in questo momento,
Picasso se la sta ridendo come un matto...
Ma andiamo a Picasso Desnudo!
Non è certo un compito da poter svolgere a cuor
sottile: Picasso non è soltanto un artista eccezionale,
è una leggenda. Un personaggio fuori norma che in
novant’anni di vita è riuscito a inventarsi un numero
incredibile di vite diverse, come in un’enorme favola.
Un lavoro come questo bisogna però sperimentarlo...
e ho pensato proprio a voi, cittadini della mia
Milano,
perchè mi aiutiate a verificare e capire dove questo
mio discorso risulti agile e piacevole e quanto rischi
di apparire un erudito bla bla bla.
Naturalmente vi aiuteremo proiettando un notevole
numero di dipinti, ritratti e autoritratti di Picasso, tutti
immancabilmente falsi! (imm.40)

Aiutateci con la vostra attenzione e con la vostra
fantasia... conosciuta e apprezzata in tutto il pianeta.
(scoppia in una risata)
Dunque andiamo senz’altro a cominciare...

(fig.50)
Come frontespizio alla storia di Pablo Picasso
abbiamo scelto questa sua dichiarazione: “Sono
venuto al mondo nel 1881, in ottobre, e devo dirlo
ero un bimbo molto dotato nella pittura! Ho avuto
difficoltà a farmi conoscere all’inizio, come succede
a ogni giovane che intraprenda il cammino dell’arte.
Poi, sempre con fatica mi sono fatto apprezzare,
quindi più tardi ho compiuto la più importante delle
mie azioni: ho inventato Picasso. (imm.51)
Sono stato fortunato, la sorte mi ha regalato come
primo insegnante di pittura nientemeno che mio
padre, (ancora imm. RAGAZZINO IMM. 53 -
imm.60) don Josè, professore all’Accademia di
Belle Arti in Malaga. Ero ancora un ragazzino
quando mio padre rimase letteralmente sconvolto
nello scoprire una mia pittura - di cui lui stesso mi
aveva dettato il tema - un dipinto di fattura talmente
straordinaria da mandarlo in crisi. Nello stesso giorno
mio padre decise di regalarmi la sua tavolozza, le tele
e i colori e da allora non dipinse più.
Da subito ho imparato ad amare i grandi pittori
antichi, specie quelli del mio Paese. (imm.69 -
(imm.70): Velazquez, El Greco e Goya (imm.71),
quest’ultimo famoso per la Maja Vestida e la Maja
Desnuda. A proposito di questo stupendo doppio
ritratto di donna mi sono subito chiesto: ‘Ma perché,
dopo aver dipinto questa sua innamorata dolcemente
sdraiata su una chaise-longue, indossante un abito
così raffinato, Goya l’ha poi spogliata nuda nello
stesso atteggiamento mostrandola così a tutta la città?
E’ semplice, Francisco amava questa donna più
d’ogni altra creatura al mondo, quindi l’ha mostrata
ignuda non perché volesse vendicarsi e punirla per
essere stato tradito e abbandonato, proprio come
pensano stupidamente certi eruditi commentatori, ma
per farle un grande dono: (imm.72) denudarla perché
ognuno potesse rendersi conto per intero di quanto
fosse impossibile non perdere la testa per lei’.
(indicando la proiezione) Non capita tutti i giorni di
incontrare Venere in persona!
A proposito di opere sublimi Pablo soleva ripetere un
paradossale concetto: “La mediocrità di un pittore la
si misura osservando come faccia propria l’opera di
un grande artista. Quasi sempre il pittore in questione
dichiara di non copiare l’opera del grande maestro
ma di ispirarsi a lui. Ed è qui la stupida banalità,
infatti un pittore di grande qualità – e scusate se io mi
permetto di pensare di essere uno di quelli – non si
limita mai a tradurre l’emozione che gli procura un
grande maestro, ma si prende tutto intero il suo
dipinto: colori, forme, linguaggio, e si porta via
anche la cornice se scopre che è di valore.”

E’ noto che il suo primo periodo pittorico è detto blu
(imm. 80 – 80 bis), (imm. 80 TRIS) periodo durante
il quale ritrasse una popolazione ai margini della
società: personaggi del circo, giocolieri e attori di
strada. (imm.81) Bimbi che imparano dalle madri
l’arte dell’acrobazia e che si lanciano rotolando
nell’aria con leggerezza ed eleganza straordinarie
(imm.82).
Ecco che qui avremmo bisogno di qualcuno che
questo mondo lo conosca veramente a fondo,
avendolo vissuto fin dalla nascita, e questo qualcuno
è senz’altro Franca, figlia d’arte e depositaria
dell’antico Teatro all’italiana. Franca!

ENTRA FRANCA

FRANCA: Picasso amava molto lo spettacolo, in
particolare il teatro satirico, come quello proveniente
dalla Commedia dell’Arte (imm.90 – imm. 90 bis).
Non a caso il personaggio che Pablo ha fatto
fisicamente e spiritualmente proprio, è Arlecchino.
(imm.91)
Conosciamo decine, anzi centinaia di disegni e suoi
dipinti in cui Picasso si ritrae addobbato di questa
maschera di servo furbo, spietato e candido insieme
(imm.92) una maschera di cui egli conosce tutti i
paradossi e i lazzi: le giullarate, gli sberleffi, lo
sghignazzo e soprattutto l’insulto al potere. (imm.93-
imm. 94).
Con Dario abbiamo voluto condurre una indagine, e
in biblioteche diverse, a cominciare da quelle della
Romagna dove ci trovavamo a provare, abbiamoo
scoperto che i dipinti, le statue, le incisioni sul tema
di Arlecchino eseguite da Picasso in 70 anni e più,
sorpassano il numero di 300: (imm. 95 – imm. 96)
un’enormità! Alcuni grandi suoi dipinti in particolare
illustrano canovacci dei comici italiani famosi, come
quello in cui Arlecchino recita la parte del sensale di
matrimoni. Una storia che con la mia compagnia di
famiglia, la compagnia Rame, abbiamo messo in
scena più di una volta.
La trama è semplice e giocosa. Pantalone, ricco
mercante veneziano, si è pazzamente innamorato di
Isabella, che da ragazza era proprio il mio
personaggio, giovane ospite di casa che a sua volta è
innamorata di Flavio, ‘bello figliolo’, primogenito di
Pantalone. Costui quando scopre che Flavio gli sta
portando via la donna amata, impazzito di gelosia
scaccia di casa il giovane contendente (imm.97), suo
figlio, obbligandolo a raggiungere l’Università di
Bologna, e così se lo toglie dai piedi. Arlecchino,
naturalmente, come tutti i servi della tradizione sta
dalla parte dei giovani innamorati e riesce a far
trangugiare immediatamente a Pantalone una pozione
magica. Una volta assunto quell’intruglio il vecchio
mercante si innamorerà della prima femmina che
transiterà davanti ai suoi occhi e dimenticherà
all’istante Isabella. Ma destino vuole che davanti a sé
appaia non una femmina ma lo stesso incantatore:
Arlecchino!, che accidentalmente indossa un costume
da donna. Pantalone sotto incantesimo si getta
affascinato verso Arlecchino (imm.98),

DARIO: Bella donna che tu sè!

FRANCA: E così dicendo lo solleva fra le braccia
urlando

DARIO: “mia sei, adorata signora!”.

FRANCA: Lo zanni si divincola

DARIO: “còsa ch’el fà siòr dotór, l’è mato!” “Bella
creadùra tè vòjo mastecàre tùta desnùda!”

FRANCA: L’oggetto del desiderio fugge inseguito,
inciampa,       rotola     travolto      dall’impeto
dell’appassionato Pantalone che ad ogni costo lo vuol
far suo. L’amato fuggente si arrampica su un albero
(imm. 99) dove viene raggiunto da Brighella, il servo
raziocinante che dice:

DARIO: Arlekìn, tranquilate! ‘Sta metamòrfosi che
t’è capitat de stciambiarte de omo in fèmena, l’è ‘na
gran fortùna. E Arlekìn de contra: “Ma che fortuna?!
Me cojòn! L’è fortuna forse farse sbusetàr le ciàpe
‘me ‘na putàna?” – ma Brighela non mòla –
“Arlekìn, vardémose bèn in te i ògi. Chi sèt ti?
L’ùltemo dei desperàt! Un strasciùn malarbèto!
Sémper in ziérca de magnà! Afamà pì d’un càn
randàzzo. Catàt a pesciàdi d’ogne cùsinier! Biastemà
fin de l’ùltimo servidór. E all’improvìsa, incó, par
meravigióso incantamento, tèl chì, un Arlekìn amàt e
sbasücà, lèca-lèca à la fulìa. Ma te se réndet cunto:
sèm arivà adiritùra a un padrón inamuràt à la folìa del
so’ servidór! Ma quando mai l’è capitàt al mund?!
AHAH L’è ‘na maravégia!”
“Eh sì – or replica Arlekìn – maravégia d’un mato! A
l’è proprio ‘na folìa! Quel lì me vor far el servìssio,
cumpàgn de ‘na ziuvénca, giàmbe per aria e cùl al
vento, muntà ‘me ‘na cavra!”. BEEEH BEEEEH
VAAAAA PIAN CHE BRÙSA!
“E ti dighe de no, ma dólzo! Impara a stopàrlo come
se fa coi cavrón in calór ‘sto sacripante! Daghe mièl
e sale in quantità... e ogni tanto un lecadìn! La
vostra matamòrfosi, tì vedarà, se intorsicarà cumpàgn
d’un melùn riempiegnì de parsùto e la tua sarà ‘na
vida de fa’ negòtt con la panza sémper impiegnìda de
vìn e de salàm!”

FRANCA: Arlecchino si convince e si mette alla
prova. Danza con il suo padrone innamorato.
(imm.100) Accetta tenerezze e riceve regalie
preziose, manciate di denaro, anelli, collane e
bracciali da odalisca. Isabella e Flavio si ritrovano a
loro volta sconvolti: “Abbiamo sì – dice Isabella -
guadagnato la libertà di amarci, ma non possiamo
accettare questo connubio da incantamento triviale,
per non parlare di tutto il denaro di famiglia
sperperato. Bisogna intervenire facendo bere al
vecchio Pantalone una pozione d’antidoto. In che
consiste? Si tratta dello stesso liquido che lo ha
incantato: bevuto una seconda volta, farà tornare
Pantalone normale. Inquadratura su Franca “Sarebbe
a dire - esclama Isabella - che lo rivedremmo di
nuovo innamorato pazzo di me!?”

DARIO: “No no no! Niente pagùra, - la fa tranquila
Brighela - ol retornarà in te la norma, ma castrà ‘me
un vitelón!”

FRANCA: Ma ecco che all’istante Arlecchino si
rifiuta.

DARIO: “No, ma niànca morto! No’ torno indré
nemanco se me cusiné ‘me ’n ’aròsto sul fògo dei
purscèi. Cosa ghe guadagni mì? Quando l’è
comensàda sta metamòrfosi con incatamento, viàltri
dòi cigulàvi felìz ‘me dòi fringuèli e adès, de bòto, vi
fèit catàr de la bona moralità! L’è miga par caso che
gh’avé timór de pèrdeghe l’entréga eredità del vègio
incujunàt? E mi? A l’estànte dovarìa returnà indrìo a
la miseria de sémper, ai pesciàdi in te le ciàpe, senza
respècto de sòrta de ognùn? No! Mi quel respècto
che me sòn guadagnàt m’el vòjo mantenìr san e tüto
insèmbia a l’amor e à la degnità. Sigùro, ho
descovèrto che per un omo, la degnità l’è tüto,
sovratùto ‘ndel particolàr mùment che scòvre de ves
deventà ‘na fèmena!”.

FRANCA: La compagnia dei comici allontana di
forza Arlecchino che scalcia come un ciuco
impazzito. Intanto si preparano i bicchieri e li si
riempiono di spumante, tutti salvo che per il boccale
offerto a Pantalone che conterrà la solita bevanda con
l’incantesimo. Il mercante innamorato sta per portare
il proprio bicchiere alle labbra ma ecco che
Arlecchino con gesto rapido afferra il boccale e
trangugia il beverone a gran velocità.

DARIO: “Nianca per idea! Pitòsto ‘sta malarbèta
pozión me la sgòrgolo tüta mi’, capita quel che
capita, no’ m’importa!”.

FRANCA: Beve e quindi immediatamente spalanca
gli occhi e urla:

DARIO: “Maledisiùn! No’ ghe végo più! Orbo son
deventà de entrambi i ögi!”.

FRANCA: Tutti i personaggi della commedia
sentendosi responsabili di quel disastro si fanno in là,
sul fondo. Arlecchino spalanca di nuovo gli occhi e
grida:

DARIO: “Ghe végo! I mè ögi i véghe de nòvo! Dio
che calór che me sento ‘gnir adòso!”.

FRANCA: In quel momento una deliziosa capretta
(imm.101) attraversa la scena e Arlecchino le va
incontro ed esclama:

DARIO: “Maravegiósa criadùra, che te spónti
deréntro el méo sguardo. Inamorò col còre tüto in
tòchi, me sento devànti a tì!”

FRANCA: Si china verso la tenera capretta, la
solleva tenendola stretta fra le braccia (imm.102 –
inquadratura su Dario) La sbaciucchia con passione
mentre quella bela quasi cantando e Arlecchino,
annodandosela intorno al collo come uno scialle
prezioso esclama:

DARIO: “Ooh, che roba maravegiósa sentìrse
inamorò come un cavròn in calór!”. BUAAAAAH
(imm.103)
FRANCA: Picasso è informato anche del fatto che
Arlecchino, nelle sue infinite metamorfosi, non si
limita a recitare il pagliaccio sguaiato e bugiardo, ma
si trasforma nell’acrobata del medico volante (imm.
104), nell’avvocato arraffatutto, nel Tartufo di
Molière e nel Don Giovanni sciupafemmine
(imm.105 – imm.106).
Egli è cosciente che se mette a confronto la sua
propria vita con quella di Arlecchino, si accorgerà
che la maggior parte delle sue storie con donne
(imm.107) di cui è stato amante, sposo, innamorato
per sempre o per una notte e via, sembrano tratte di
peso dalla Commedia dell’Arte. (imm.108)
Le ha amate tutte e spesso le ha travestite da
saltimbanchi, danzatrici, ninfe e divinità. (imm.109)
Picasso si trova spesso come davanti alla porta
girevole di un Grand Hotel: entra solo, esce
accoppiato, rientra con un’altra femmina e sorte con
due nuove innamorate.
Eccole: la donna di Maiorca (imm.132), stupenda, la
donna nuda (imm.133) di cui si tace il nome, Olga
Koklova (imm.134) ritratta decine di volte in diversi
atteggiamenti e situazioni, madame Cañals (imm.
135), moglie splendida di un notevole pittore di cui
Picasso si era pazzamente innamorato, innamorato
della moglie, non di lui!, e per finire la signora H.B.
(imm.136) ricchissima... soprattutto di capelli, come
potete vedere! Belle eh! Ma nessuno di questi ritratti
è l’originale, sono tutti rigorosamente ricostruiti, cioè
dei falsi... sempre autentici! Ma attenzione, quanti
ritratti ha eseguito di alcune di loro? Di alcune, come
Françoise Gilot, ha eseguito più di 400 ritratti. Della
Koklova ne ha realizzati più di 500... il che significa
un grande amore!
Posso testimoniarlo io di persona. ho un marito, con
il quale ho vissuto una vita intera e mi ha ritratta
almeno 150 volte! Un amore appena tenero!

DARIO: Ma stiamo attenti a non crearci l’idea di un
personaggio esclusivamente preso per le femmine.
Picasso era anche quello che si dice un uomo
civilmente e socialmente impegnato.
“Raccontate uomini la vostra storia – ripeteva con
Savinio (imm.193) - siate testimoni implacabili del
vostro tempo, del diritto per ognuno alla libertà, ed
ogni ingiustizia denunciatela fino a sgolarvi!”.
Naturalmente entrambi - Picasso e Savinio - nel loro
comportamento davanti ai grandi e spesso orrendi
momenti della storia, non si tirarono mai indietro.
Basti ricordare con che slancio furente e indignato
Picasso dipinse nel 1937 la grande tela dedicata alla
strage di Guernica. (imm.200)

FRANCA: Naturalmente il pittore ha evitato di
cadere nella retorica illustrativa del dramma: non ci
sono gli Stukas, i bombardieri tedeschi in picchiata,
né granate a grappoli né esplosioni, ma una parete di
casa che crolla, piedi di uomini e cavalli che si
muovono correndo, tremende grida di donne che
spalancano le braccia disperate, animali colpiti che
stramazzano, bambini uccisi fra le braccia della
madre, uomini rovesciati al suolo ormai senza vita e
lo slancio di una donna che regge una lampada che
proietta luce fra le tenebre della morte.
Guernica è la pittura che Picasso riuscì a far
diventare memoria di tutte le violenze e i massacri
del suo tempo.

DARIO: Lo stesso discorso va fatto per la grande
tavola di compensato dipinta per la fucilazione di
innocenti avvenuta in Corea (imm.210) negli anni
Cinquanta per mano di un plotone di esecuzione
degli Stati Uniti, dove le vittime sono rappresentate,
donne e bambini ignudi, proprio come l’innocenza.
In questo caso l’idea compositiva si rifà chiaramente
al massacro, avvenuto all’inizio dell’800 dipinto da
Francisco Goya (imm.210 - imm. 211) che
testimonia la strage della popolazione spagnola da
parte dell’esercito francese.
(imm.212) I fucili posti in primo piano da Picasso
nella sua narrazione sono macchine da guerra da
fantascienza e anche l’atteggiamento meccanico dei
militari americani allude ad un’ammucchiata di
robot, automi della morte, evidentemente privi di
ogni dimensione umana.

FRANCA: Va subito detto che qui si tratta di un altro
falso, assolutamente straordinario!
(imm.213) Queste due opere, accompagnate dai
conseguenti abbozzi preparatori, furono mostrate al
Palazzo Reale di Milano nel 1953, accolti da una
straripante presenza di pubblico.
Naturalmente sul coinvolgimento umano e civile di
Picasso, in più di un’occasione e con coerenza totale
durante tutta la sua vita, si è tentato da parte dei soliti
pompieri culturali, di svicolare assicurando che
quelle opere del grande maestro dovevano essere
lette come una civile esortazione alla pace, solo alla
pace contro ogni sorta di conflitto.

DARIO: Quelle colombe (imm.220) che Picasso ha
dipinto sospese in un cielo lugubre durante il periodo
della cosiddetta guerra fredda, secondo alcuni
conformisti erano la dimostrazione che Picasso
tendeva a rimanere fuori dai coinvolgimenti morali di
parte. (imm.221) Insomma, qui i pompieri moderati
ribadiscono con foga che Pablo, come tutti i grandi
artisti, deve essere visto e catalogato come uomo di
pace, estraneo ad ogni coinvolgimento estremista
della politica.
E’ la solita ballata ipocrita di un’arte che deve volare
alta (imm.222) e fuori d’ogni impegno diretto alla
vita sociale e politica. Insomma, procuriamoci tutti
un bel cervello vuoto, privo d’ogni contaminazione
di parte. Il mondo delle idee è pericoloso: crea
fanatici del pensiero. Meglio starsene fuori e vedere
ogni dramma come pupazzi e spaventapasseri che si
agitano sbattendo le braccia mossi dal vento del
nulla.
FRANCA: Siamo nel 1907, Pablo a Parigi, (IMM. ex
230 – Demoiselles D’Avignon) vive un’esperienza di
surrealismo espressionista. E’ quello il tempo in cui
conosce Duchamp, Villon, Braque, Picabia e molti
altri artisti compreso qualche italiano coi quali,
analizzando le composizioni pittoriche di Cézanne
(imm.233) e soprattutto dell’arte africana (imm.235),
AGGIUNGERE OPERA sviluppa una specie di
frammentazione di volumi geometrici che vanno
componendosi in forme dinamiche.

DARIO: Matisse, che non era tenero con i surrealisti,
osservando uno di questi dipinti eseguito da Braque
esclama con una certa ironia: “Bella questa specie di
cubettismo!”. (imm.236)

FRANCA: Venutolo a sapere, Braque e Picasso
esclamano quasi all’unisono: “Grazie Matisse, con
questo tuo gioco a sfottò ci hai dato una grossa idea,
chiameremo questa nostra pittura Cubismo”.
E Duchamp ci mette un carico da undici: “Per
ringraziarti, caro Matisse ti faremo un ritratto tutto
cubetti, cubettini e cubacchi!” - e mantennero la
promessa, eccola! (imm.237) Naturalmente una
riedizione un po’ arbitraria.

DARIO: Ma a parte le frecciate e il sarcasmo, quel
movimento destò uno straordinario interesse, specie
presso alcuni importanti collezionisti. All’inizio però
i seguaci del naturalismo espressionista reagirono
con atteggiamenti di sdegno.
“Ma che è quella? Nient’altro che una provocazione
mercantile, tanto per stupire, épater le couille”...
Come dire, per incantare i coglioni!”

FRANCA: Gertrude Stein, (imm.240) bellissima
donna, una delle più colte fra gli innovatori... si dice
fosse l’amante di Picasso, e c’è da crederci poiché il
grande maestro non ha mai scelto come amante una
donna che non fosse almeno affascinante... La Stein
dichiarava che con il cubismo (imm.242 – 243)
l’incorniciatura della vita andava a pezzi, e
finalmente colori e composizioni potevano muoversi
liberi oltre la dimensione del quadro, annotazione
veramente intelligente! Bella testa!
Pur operando distanti l’uno dall’altro in diversi
atelier, Picasso e Braque riuscivano a realizzare
opere tanto simili che si sarebbero dette composte a
quattro mani dai due artisti. (imm.248)

DARIO: Però c’era un inciampo cromatico e
Duchamp fu il primo ad accorgersene: quella pittura
viveva di un croma neutro, privo di una luce che
proietti ombra e movimento. (imm.249) “Stiamo
dipingendo corpi senza ragione e anima – affermava
- una pittura estremamente decorativa, elegante,
anche raffinata se volete, ma ogni quadro sembra più
un paradossale armadio con ante sfasciate, illogiche e
senza storia. L’uomo è uscito a prendersi un caffé ma
ha perso la strada e non torna più.”.
(stacco su Franca)

FRANCA: Di lì a qualche anno arrivò la grande
guerra che spazzò via all’istante ogni estetismo
astratto e monocromo.
Poi finì la guerra, ci fu il fascismo e un’altra guerra,
anche quella mondiale. Picasso non si mosse da
Parigi e visse con difficoltà la situazione della
Francia occupata dai nazisti.

DARIO: Nel ’46, appena finito quell’ultimo
conflitto, molti giovani pittori partirono da Milano
per Parigi, per incontrare e conoscere il grande
maestro spagnolo.
A quel tempo avevo appena vent’anni e a mia volta,
con alcuni compagni d’Accademia, decidemmo di
andare da lui, in Francia, per sollecitarlo, perché
venisse a Milano.
Eravamo decisi ed emozionati al tempo, non capita
tutti i giorni di andare a visitare un monumento
vivente.
In coro lo invitavamo a scendere da noi: “Ci fareste
un gran regalo Maestro e sarebbe per ognuno una
straordinaria iniezione di coraggio e fiducia!”.
Picasso si diceva lusingato e prometteva che appena
gli si fosse aperto uno spazio di tempo disponibile, ci
avrebbe accontentati.
Passavano le settimane, i mesi, ma della visita che ci
aspettavamo da Picasso nessuna notizia. Scrivemmo
più di una lettera ma ricevemmo solo laconiche
risposte dai suoi collaboratori: “Abbiate pazienza, fra
poco arriveremo.”. Ma noi pazienza non ne avevamo
più, anzi quando si sparse la voce che Roma, in
particolare Cinecittà, era riuscita a convincere Pablo
a raggiungerli di lì a qualche settimana, esplose una
vera e propria bagarre di rabbia indicibile.
Ci fu una riunione nell’Aula Magna di Brera,
(imm.255) mai vista una folla del genere, gente che
s’ammucchiava e sbaccagliava disperata. Morlotti era
fra di noi il più saggio e accorto e disse: “E’ inutile
tutta questa caciara. E’ evidente che Picasso ha
preferito Roma a noi. Forse nel ritorno può darsi che
si fermi a darci un saluto.”. Quella non era acqua
fresca, ma una tanica di benzina buttata sul fuoco,
tant’è che qualcuno fuori di testa propose: “E se lo
andassimo a rapire?” “Sì, il Picasso rapito! - sbottò
Peverelli – Che idea, io mi prenoto per fare il palo.”.
Tutti risero più per la stizza che per la battuta. Parzini
rispose seccato: “C’è poco da sfottere, la soluzione
c’è ed è questa lettera che abbiamo ricevuto dal suo
ufficio. Terremo buona solo la busta; per il contenuto
basta riscriverlo da capo, pressappoco così:
(imm.256) cari amici, saprete che sto per giungere a
Roma ma ho pensato che, transitando da Milano,
giacché verrò in treno, potrei fermarmi per
abbracciarvi e stare un poco con voi. Il giorno che mi
andrebbe a pennello, scusate ma un pittore si scopre
sempre, sarebbe l’ultimo fine settimana di questo
mese, fra quindici giorni circa. Un abbraccio, Pablo”.
Un gruppo fra i convenuti se ne andò a dir poco
schifato: “Ma sono pagliacciate, andiamo!”. Ma i
molti che restarono si diedero un gran da fare per
metter giù la lettera cercando di imitare la scrittura di
Pablo. Poi fotografammo la missiva e la facemmo
circolare fra le varie testate di giornali.
Qualche cronista fanatico dello scoop, fregandosene
di verificare, pubblicò la notizia: “Pablo Picasso
prossimamente a Milano per un vernissage della
mostra di sue incisioni (IMM. 258 NUOVA -
INSERIRE IMMAGINI) alla nuova Galleria
Manzoni”. La mostra si inaugurava davvero, ma è
chiaro che la notizia della sua venuta era
completamente falsa. Altri giornali hanno ripreso il
lancio dell’evento e, come se non bastasse, un
mercante mai identificato, aveva confermato,
assicurando la visita del Maestro.
A nostra volta abbiamo deciso di cavalcare la tigre
dell’immaginifico: “Lo faremo arrivare qui per
davvero! Picasso sarà a Milano in carne ed ossa!”
La nostra chiave di volta era Otello, (imm.262) un
anziano bidello dell’Accademia di Brera, un
brianzolo assistente al calco dell’atelier di Marini:
era il sosia di Pablo sputato. Un uomo sui
cinquant’anni, di bassa statura, ben piazzato con il
cranio ornato di pochi capelli bianchi e la faccia
identica a quella del maestro malagueño. Insomma,
una fotocopia vivente!
È deciso: cerchiamo di convincere Otello a prestarsi
al gioco. Risposta: “Mì Picasso?! Ma sì matt?!”
FRANCA: Riuscì a convincerlo Olga, (IMM.262
BIS, IN REALIZZAZIONE) una stupenda allieva e
modella di Manzù: “Se accetti ballerò tutta la sera
con te!” “Affare fatto!”

DARIO: Per colmo di fortuna, Otello aveva lavorato
a Marsiglia per dieci anni da ragazzo e parlava un
francese quasi perfetto. Diamo la conferma a radio e
giornali: Picasso arriverà con il treno delle 11.30 in
Centrale, via Mentone. Lo faremo arrivare (imm.263)
abbigliato con il suo solito trench bianco e la sua
immancabile valigia, anche lei bianca.
Siamo alla stazione Garibaldi un’ora prima e
facciamo salire il sosia accompagnato da Alik
Cavaliere, Morlotti e Bobo Piccoli, sul treno che va a
Rho. I quattro scendono alla stazione stabilita e
attendono il rapido da Mentone che fermerà, come di
regola, a quello svincolo di quattro linee.
Alla stazione Centrale, binario dieci, c’è una folla
incredibile: giornalisti, fotografi, cineoperatori,
studenti, artisti, intellettuali… c’è perfino una
bandiera rossa, che sventola… per Picasso!
Ecco il treno, la folla va incontro all’artista.
“Sarà sui primi vagoni o più in fondo?”
Scendono i viaggiatori.
“Avete visto Picasso in qualche vagone?”
“Picasso?!”
Ci guardano come una massa di deficienti.
Sono quasi scesi tutti. Picasso non si vede.
“Eccolo!”
“Sì, è lui. (imm. 265) Si è sporto da un finestrino!” -
saluta e poi scompare. È sceso sull’altro marciapiedi.
“Che originale!”
La gente sale sui vagoni per poi ridiscendere dall’alta
parte. È sparito!
“Di sicuro si è infilato in un sottopassaggio!”
I fotografi e i giornalisti si danno a rincorrerlo. Una
voce di donna grida:

FRANCA: “Calma, non è fuggito! È che la folla gli
crea panico. Se lo volete incontrare tranquillo, venite
tutti questa sera al salone dei Filodrammatici, a
fianco della Scala. Ci sarà un rinfresco e una
tranquilla conferenza stampa.”

DARIO: Il salone dei Filodrammatici (imm.268) in
restauro era una specie di impianto scenico che
serviva da sala prove. Lo stavano ristrutturando
perciò era ingombro di tralicci e centine di sostegno e
mancava assolutamente del soffitto. Insomma, era
veramente un salone all’aperto. Ma quelle strutture a
colonnati funzionavano a meraviglia per sostenere un
decor scenografico davvero sconvolgente. Per
arricchirlo avevamo coinvolto gli allievi di
scenografia e decorazione e i tecnici del Piccolo
Teatro. Con un camion avevamo fatto portare in quel
salone scene di spettacoli fuori repertorio e dal
vecchio magazzino della Scala eravamo riusciti a
recuperare enormi statue in cartapesta e perfino un
leone e due cavalli rampanti. (imm.269) Il montaggio
è stato laborioso, ma eccitante. Si è brigato tutta una
notte.
Con un gruppo di attori e qualche sceneggiatore di
film si è poi abbozzata una scaletta delle situazioni
da                                       rappresentare.
La sera, i primi ad arrivare sono stati i musicisti del
Santa Tecla (imm.270) e la Lambro Jazz Band. Si
sono sistemati su una specie di palco mentre ancora
si stavano approntando le luci. Tutti commentavano
dell’arrivo di Picasso alla stazione: erano in molti a
non immaginare si trattasse di una beffa!
Gli scenografi e i decoratori, fra di loro mi par di
ricordare ci fosse anche Enrico Baj, stavano intanto
pitturando i cavalli, il drago e le statue in oro e
argento. Fra gli altri eravamo riusciti a ingaggiare il
gruppo di clown del Circo Togni...

FRANCA: ...ed io che con la gente del circo ero di
casa, mi ero infilata nel gruppo addobbata da
domatrice di leoni, ero irriconoscibile...

DARIO: ...infatti è lì che l’ho incontrata per la prima
volta, ma non ci ho fatto nemmeno caso!

FRANCA: E nemmeno io l’ho preso in
considerazione: aveva un naso tondo, classico dei
clown, due occhi da pagliaccio che facevano scintille
e una bocca coi labbroni rosso carminio!
DARIO: Finalmente comincia ad arrivare la gente.
Noi si metteva a posto le sedie in un ordine davvero
caotico. La Lambro Jazz Band apre con un pezzo
famoso, è un blues: “Tutti i figli di Dio hanno le
scarpe”. (canta a ritmo di blues)
In ritardo stanno entrano anche i camerieri per il
rinfresco.
“Ma chi paga tutta ‘sta roba?” chiedo io.
Mi fanno il nome di due grossi collezionisti.
“Hanno coinvolto anche l’ufficio pubblicitario della
Pirelli!”
Non ci credo... me lo giurano!

FRANCA: C’è più gente del previsto… belle signore
in gran pompa. In molti hanno disertato la prima del
Lirico. Ecco Ghiringhelli, il direttore della Scala,
Scala ridotta dai bombardamenti ad un rudere e
Schwarz, il principe dei mercanti d’arte con tutta la
sua corte.

DARIO: Il pubblico non ha ancora preso posto che,
sostenute dalle bande, hanno inizio le entrate
comiche (imm.273): lassù appeso ai tralicci un clown
truccato da imbianchino in tuta, grida: “Aiutooo, sto
cadendo!”. Si lascia scivolare giù per un cavo e
comincia ad oscillare in modo sconnesso. Precipita!
No, si è abbrancato ad una centina. Degli acrobati,
travestiti da pompiere, montano scale che vanno a
pezzi. TUM TUM TUM, uno spettacolo! I Vigili del
Fuoco si salvano aggrappandosi a funi che li fanno
danzare qua e là. Urla di signore spaventate.
Ora anche la band del Santa Tecla s’è unita alla
Lambro Jazz in un sound frenetico. Le giravolte, gli
scontri e le stcentrate creano scompiglio.

FRANCA: Qualcuno chiede a gran voce: “Scusate
ma quando arriva Picasso?” (imm.275)

DARIO: “Sarà qui a momenti. Intanto lei balli
signora!”
Suona una sirena e si spalanca un portale: dal fondo
entra un vigile in moto che impone silenzio. “Cos’è
‘sto bordello? Siamo pazzi? Avete il permesso per lo
spettacolo? E chi è il capocomico, l’impresario? Si
può sapere cosa ci fate qui?”
“Aspettiamo Pablo Picasso!”
“Pablo viene qua?!”. E il vigile motorizzato manda
un urlo e fa ruggire il motore ROAAAAR!, quindi si
lancia in un carosello a gran velocità ed esce con la
sirena accesa gridando: “Pablo! Pablo! Arriva
Pablo!” ROAAAAR!

FRANCA: L’orchestra sta andando su di giri. Intanto
entrano in scena cinque imbianchini che pretendono
di ultimare il loro lavoro. (imm.278)

DARIO: Anch’io, col mio nasone, faccio parte della
squadra di quei clown spennellatori. Andiamo
trascinando un enorme telone sotto il quale
costringiamo il pubblico ad infilarsi come si fa coi
mobili in caso di sbiancamento dei locali.

FRANCA: Due anziane signore chiedono a gran
voce: “Ma quando arriva Picasso?”

DARIO: “Arriva, arriva!”
Ora gli imbianchini si lanciano i secchi l’un l’altro,
UAH UAH s’annaffiano con sbroffate di pittura.

FRANCA: Spaventato dalle grida e dai tonfi, il
pubblico tira di qua e di là il gran telone finché,
strappo dopo strappo, non viene ridotto a brandelli.
Qualche coppia danza. (imm.279) E altri chiedono:
“Ma quando arriva Picasso?”.

DARIO: “Arriva, arriva!” Un altoparlante avverte:
“Attenzione, arriva Picasso!”

FRANCA: L’orchestra suona una marcia trionfale.
Petardi esplodono fra le gambe delle danzanti.

DARIO: Eccolo là! In mezzo al fumo appare la
sagoma di Otello, (imm.279 bis) sempre con il suo
trench bianco. Applausi. (batte le mani)
“Ma è proprio lui!”
Otello sta per parlare: “Mes amis, je suis ravì d’être
ici…”, ma si trova avvolto da uno sfumazzo denso e
puzzolente. Tossisce.
“Mon dieu, quelle bagarre!”. E quindi all’istante
inizia a parlare in dialetto lombardo stretto: “Ma se
po’ minga respirà in ‘sta fuméra e per el calùr peu
che ven föra. Gh’é de stciopà!” Così dicendo si toglie
il trench e rimane seminudo ma con le mutande.
imm. 280

FRANCA: “E’ lui, è proprio Picasso! L’ho visto
fotografato in quella mise un sacco di volte!”
Picasso riprende a parlare tenendo un microfono
vicino alla bocca:

DARIO: “Me piàse ‘sta Milan l’è proprio ‘na folìa de
stciopà! Sun cuntént de ves chi!”.
Scoppiano altri petardi e anche un fuoco d’artificio.

FRANCA: Un botto esplode proprio fra le gambe del
falso Picasso della Brianza

DARIO: “Eh no, cassoo! Me vorsì brusà i cujùni?!”
(imm.282)
Alcuni signori scattano a gran voce: “Ma per Dio, è
tutta una presa per il sedere, si son fatti gioco di noi!
Una beffa indegna.”
FRANCA: “Zitti, non si offende un ospite così
riguardevole!”
Una splendida signora inzuppata d’acqua colorata
esclama: “Stupendo! Una festa così me la ricorderò
finché campo!”

DARIO: E un vecchio signore esplode a tutta voce:
“Io non so se quello sia o no il vero Pablo, ma che sia
o non sia a me va bene anche così...

DARIO E FRANCA (in coro): viva Pabloooo!”

FRANCA: E un’ultima voce tonante grida: “Ma
quello è Picasso o no?”

DARIO: Tutto il coro dei clown (imm. 282 bis)
sbotta: “Sì, è lui, è l’unico Picasso al mondo, gli altri
sono tutti fasulli!” (canta)

DARIO E FRANCA (in coro): Che festa!

(copertina 1 – copertina 2)

__________________________________________

SECONDO TEMPO:
[Musica]
(copertina 1 – copertina 2)

DARIO: La beffa organizzata a Milano con la messa
in scena della partecipazione del falso Picasso ai
Filodrammatici, di fianco alla Scala, avveniva più di
tre anni prima che si realizzasse al Palazzo Reale la
grande retrospettiva del 1953, (TAV. 290) cioè
sessant’anni fa, e che proveniva dalla Galleria
Nazionale d’Arte Moderna in Roma, dove furono
presentati 137 dipinti più numerose sculture e opere
grafiche e ceramiche.
Per di più a Milano le opere esposte al Palazzo Reale
in quell’occasione erano più numerose in
conseguenza dell’intervento diretto di Picasso che
riuscì a far esporre anche la grande tela di Guernica
che venne spedita per via aerea da New York;
FRANCA: insieme a Guernica era anche presentato
il Massacro in Corea la grande tavola, come
avevamo già detto, nella quale era raccontata la
fucilazione di un gruppo di innocenti contadini; a
Roma quest’opera non fu presentata, pare per
l’intervento di Giulio Andreotti (TAV. 295) che vietò
l’esposizione per non offendere l’alleato americano.
“Sì, abbiamo verificato, e siamo certi che sia stato
proprio lui, il Divo Giulio a mettere in atto quel veto
di alta piaggeria politica. Ma quell’Andreotti lo
troviamo dappertutto, in ogni tempo, proprio eterno e
puntuale come la morte!”
DARIO: Ancora a Milano, furono esposti altri quadri
che Picasso aveva fatto arrivare da musei di Mosca e
Barcellona.
Ma perchè? Come mai tanta generosità verso la
nostra città?
Di certo a Milano (TAV. 300 – tavola nuova con il
tram) rispetto a Roma, Picasso ne era ben cosciente,
si respirava tutt’altra aria, non era ancora intossicata
dallo smog, sia industriale che politico.
FRANCA: Nel dopoguerra la nostra città godeva di
un fermento civile e culturale di straordinario peso e
Picasso ne era bene al corrente. Un giornale della
sera, mi pare si chiamasse Milano Notte, assicurava
inoltre che quando Pablo seppe della messa in scena
dei Filodrammatici (TAV. 305) con bande, clown e
la presenza di un sosia che lo impersonava fra lo
stupore e il divertimento di tutti i presenti anche
quando avevano scoperto della finzione, aveva
esclamato: (TAV. 310) “Ma è una messa in scena
degna di un Pantagruel! Che spasso! Bisogna proprio
che mi decida ad andarci in questa città, (TAV. 311
nuova) e con una grande esposizione! Gente con
tanto spirito bisogna proprio premiarla!” (TAV. 312)
DARIO: Di certo come osservavano cronisti presenti
all’esposizione, grazie alle molte opere aggiunte
rispetto all’edizione romana questa di Milano
appariva molto più impegnata, specie sul piano della
denuncia civile; insomma, come dichiarava più di un
visitatore: “E’ un’esposizione proprio di sinistra!”.
FRANCA: Guernica, (IMM. 313) in particolare,
aveva assunto per i giovani artisti del Nord un
assoluto valore emblematico, poiché a Milano si era
fatto di Picasso e di questo suo quadro una vera e
propria bandiera del loro impegno d’avanguardia, in
presa diretta con l’attualità storica e sociale, non più
verista e naturalista, e in opposizione all’astrattismo
formalista.
(RIPRESA SU DARIO)
DARIO: Ma non va dimenticato che Picasso aveva
creato con il linguaggio delle sue opere una forma di
realismo post-cubista inaccettabile per una certa
borghesia e che entrava in forte contrasto con la linea
ufficiale del PCI che si era allineata ai dettami del
realismo socialista sovietico dogmatizzato da
Zhdanov e ribadito anche da Togliatti. Questo
atteggiamento crea un forte conflitto fra gli
intellettuali italiani di sinistra che in gran numero
erano per la completa libertà d’espressione e di
pensiero.
FRANCA: Ma ecco che poco prima della mostra di
Picasso a Milano, nel marzo ‘53 si riunisce in Italia il
Comitato Centrale per una cultura libera, moderna,
nazionale che all’istante neutralizza tutte le
imposizioni dogmatiche provenienti dall’Unione
Sovietica e da qualche dirigente politico nostrano.
A ‘sto punto Picasso, applaudito da tutto il
movimento democratico di sinistra, viene eletto come
principale punto di riferimento per lo sviluppo di un
nuovo linguaggio dell’arte. Così si rende omaggio al
più grande pittore dei tempi nostri, il “compagno”
Picasso che si era iscritto al Partito Comunista
Francese nel 1944.
In quel tempo stavo terminando l’Accademia, avevo
poco più di vent’anni e più volte mi era capitato di
partecipare a Brera ad eccezionali dibattiti, proprio
sulla questione dell’autonomia espressiva. Se ne
parlava anche in centri di cultura che nascevano uno
appresso all’altro nella città; non si affrontava solo il
tema delle arti figurative ma si coinvolgevano anche
il cinema, la musica e soprattutto il teatro che aveva
nel Piccolo e nella Scala i suoi centri d’azione.
Da tre anni esatti personalmente avevo cominciato ad
occuparmi anche di teatro, (TAV. 315) in particolare
quello satirico e grottesco. Proprio al Piccolo, con
Parenti, Durano e Jacques Lecoq avevamo formato
un gruppo di commedianti con l’intento di mettere in
scena uno spettacolo di azione totale quindi legato
alla pantomima, nella quale appunto Jacques Lecoq
era il nostro maestro. Il tema doveva essere
assolutamente quello dell’attualità, raccontato con
brevi scene, rapide e stilisticamente rigorose, dove
oltre alle parole, ridotte al minimo indispensabile,
venivano inseriti il mimo appunto, la danza, il canto
e, soprattutto, l’acrobazia. Con noi il costume era
unico, una specie di salopette nera che veniva
indossata anche dalle attrici (TAV. 320) fra le quali
in primo piano c’era anche Franca.
I temi erano quelli del lavoro, dello sfruttamento e
degli incidenti nei cantieri, la cultura dominante, la
politica, l’input della chiesa in ogni frangente della
società, la questione femminile e la sessualità
nell’amore.
Proprio nel tempo in cui si provava la messa in
scena, ci capitò con la compagnia al completo –
eravamo esattamente tredici più i tecnici e il
suggeritore - di visitare la mostra di Picasso al
Palazzo Reale e con tutto che personalmente
conoscevo le immagini studiate sulle foto dei testi
stampati, l’impatto con le tele originali fu
straordinario.
Dopo due ore che si era in visita ai saloni, ci
rendemmo conto che avevamo percorso solo un
quinto della mostra. Dovemmo tornare un’altra volta
e, in quell’occasione, ci accorgemmo che molti temi
del nostro spettacolo erano già raccontati sui dipinti
di Picasso e sulle incisioni e sui suoi disegni.
Decidemmo allora di studiare con più attenzione la
sintesi e lo svolgimento gestuale di quelle pitture per
trarne uno stile più incisivo e originale. E’ lì che a
nostra volta scoprimmo il legame che il maestro di
Guernica aveva con la rappresentazione teatrale,
(TAVOLA DA COPERTINA “PUPAZZI” TAV.
325 e sull’altro proiettore 326) sia nel modo con cui
impostava le composizioni, che per l’uso
spregiudicato della prospettiva e dello scorcio, per
non parlare di quello della luce. Di questo nostro
intento di rifarci a Picasso non ne parlammo con
nessuno, ma per meglio realizzarlo acquistammo
tutte le riproduzioni che trattavano di quella mostra e
le immagini di dipinti presenti in vari musei.
Il debutto del nostro spettacolo che aveva per titolo Il
dito nell’occhio avvenne alla fine di maggio di quello
stesso anno, proprio al Piccolo Teatro. Strehler e
Grassi, che ne erano i direttori, ci avevano offerto di
recitare su quel palcoscenico per tutto il mese, ma lo
spettacolo ebbe più successo di quanto si sperasse.
Dopo una settimana tutto il mese di maggio risultava
esaurito; quindi Grassi ci allungò il periodo fino a
tutto giugno. Ancora, dopo venti giorni, ci
rinnovarono il contratto fino a tutto agosto. Vennero
a vederci da ogni angolo della Lombardia, facemmo
una breve pausa e recitammo in altri due teatri di
Milano, fra i quali il Carcano e il Puccini. Poi
cominciammo la tournèe, tutto andava come a
Milano, esauriti uno dietro l’altro... quanto la nostra
compagnia dovesse a Picasso e al clima che si era
formato nella città non saprei proprio dimostrarlo, ma
di certo noi in quel 1953 siamo partiti proprio con il
vento in poppa e con tante vele da sembrare un
bragozzo impazzito. (TAVOLA 328)
Per festeggiare tanta fortuna Franca ed io abbiamo
deciso di sposarci e fare un figlio subito! Come si
dice... la fortuna bisogna coltivarla e applaudirla,
sempre!

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L’abbiamo già detto: Picasso aveva una certa
attenzione particolare per la sessualità. (imm. 330)
Tutte le storie del teatro, della pittura e dei romanzi
famosi dove apparivano accoppiamenti appassionati
e fuori dal comune, lo coinvolgevano fino alla follia.
(imm. 335) Conosceva a memoria la Celestina di
Rojas, capolavoro teatrale del ‘500, ridondante di
prostitute, lenone, amplessi paradossali comprati ed
organizzati come in una kermesse erotica. Queste
vicende lo conducevano a dipingere, disegnare,
incidere giorno e notte. Perfino i Tre Moschettieri
(imm. 340) lo sollecitavano a mettere su carta e tela i
famosi spadaccini che duellano tenendo fra le braccia
donne ignude, sventolate come trofei.
Egualmente era coinvolto dal Don Chisciotte (imm.
345 - imm. 350) che scambia prostitute con regine e
che nella sua follia, rimane infilzato dalle pale di un
mulino a vento (imm.355) che lo fa roteare nell’aria
abbracciato alla sua sgualdrina incoronata.
I bordelli (imm. 360) l’abbiamo già detto, li
rappresenta ad ogni occasione, con prostitute d’ogni
razza, forma ed età.
Un giorno scopre un dipinto di Ingres, (imm. 365) il
famoso pittore neoclassico della fine del Settecento
che dedica un quadro a Raffaello, appassionatamente
abbracciato alla sua modella, la Fornarina. All’istante
Picasso si entusiasma per questa inconsueta storia
d’amore e comincia a leggere cronache fantasiose
che raccontano dei due amanti; (imm. 370) sono veri
e propri feuilleton [INIZIO RIPRESA DARIO SU
TUTTI E DUE GLI SCHERMI] carichi di colpi di
scena, tipo la bravata di Benvenuto Cellini che spara
un colpo di cannone contro Carlo III di Borbone
proprio nell’istante in cui sta attraversando il Tevere
sulla sua carrozza: PAM!, lo becca con una palla di
bronzo e lo ammazza pure! O storie come quella di
Giovanni da Gravedona un personaggio un po’ pazzo
e autolesionista che alla maniera di Van Gogh si
mozzò un orecchio per farne dono alla sua amata “Ti
piace cara? L’ho tagliato di fresco per te. Puoi
metterci un orecchino se vuoi!”

(imm. 375 - imm.380) Ma ecco che a Pablo capita fra
le mani anche un altro testo su Raffaello,
completamente originale: le cronache di Giulio
Romano, il più importante fra i suoi aiuti; qualche
ricercatore assicura invece si tratti di Peplo
fiorentino, altro suo allievo e collaboratore; a parte la
discussa provenienza letteraria, Picasso all’istante si
trova     dinanzi      un    Raffaello    assolutamente
imprevedibile: prima di tutto un uomo di coraggio e
determinazione inconsueti, che attacca vescovi e
cardinali, principi e baroni accusandoli di ruberie e
intrallazzi ignobili... Che tempi di infame corruzione
erano quelli! Menomale che viviamo in un’altra
epoca, finalmente civile e democratica, con un Papa
vero pastore d’anime. Dicevo che, Raffaello, non
risparmia nemmeno la figura del Pontefice, che
pubblicamente denuncia per aver fatto sradicare le
pietre e i sampietrini della vie principali di Roma, per
servirsene nella costruzione di un proprio palazzo;
Raffaello ci appare quindi come un uomo di grande
correttezza e onestà, che però sorprende ognuno per
l’altra faccia della sua personalità: quella di un
erotismo sfrenato al limite dell’osceno.
Il Maestro di Urbino è uno che sa quanto vale e
pretende che tutti lo apprezzino, (imm.385) a
cominciare proprio dalle ragazze, dalle dame, dalle
modelle, dalle prostitute, che per lui vanno via tutte
di testa. Il cronista che per evitare contestazioni
chiameremo l’anonimo infatti testimonia che quando
a Roma, a Carnevale, il carro sul quale stavano
vocianti le ragazze da marito transitava sotto le
finestre del palazzotto di Raffaello, tutte quelle donne
in coro eseguivano una serenata di sperticati elogi al
giovane pittore, un canto che diceva:

“Bello figliolo che tu se’, Raffaello,
come te mòvi appresso a lu Papa
quanno sorte a passaggiare,
tu se’ l’àgnolo Gabriele,
ìllo pare lo tòo camarière.
Dòlze creatura con ‘sto cuòrpo tuo che pare in danza,
(imm.390)
comme me vorrìa rotolar co’ te
panza panza dentro lu vento,
appesa alle labbra tue da non staccàrme mai uno
momento:
Raffaello méttime dinta ‘na tua pittura
dove ce sta ‘no retràtto de te tutto intero
così de notte ce se potrebbe cerca’
e infrattàti nell’oscuro facce l’amore.
Si nun me voi amà, Raffaello dòlze, canzéllame da la
tua pittura,
méjo morì se non son tua.”

Bella!

E a ‘sto punto Picasso, estasiato, (imm.395) comincia
ad incidere su una lastra la scena degli abbracci fra le
donne ammaliate e il meraviglioso pittore, che viveva
la sua vita con una voracità sconvolgente.

Quando morì Raffello aveva appena trentasette anni.
Si racconta che per il dolore a Roma anche i
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