Le avventure di Tommy e Sally nella Londra di Sherlock Holmes - Gianfranco Cazzaro

Pagina creata da Elena Porcu
 
CONTINUA A LEGGERE
Gianfranco Cazzaro

           Le avventure
         di Tommy e Sally
             nella Londra
               di Sherlock Holmes
Gianfranco Cazzaro

LocoSherlock

Le avventure di LocoMondo n. 1
© 2009 Gianfranco Cazzaro – Zzar Books
http://locomondo.altervista.org
locomondo@altervista.org
Seconda edizione dicembre 2009
Uno

      “Ragazzi! La locomotiva! Tommy... Sally! Dove
siete?”.
      Era la voce di papà.
      Tommy e Sally abbandonarono i giochi e si preci-
pitarono fuori casa.
      La locomotiva!
      Il babbo era stato di parola! Ne aveva promesso un
modello a vapore come quello che aveva da bambino.
Ma c’era sempre qualche intoppo. Prima il negozio era
chiuso, poi non aveva il modello, poi era scoppiato lo
sciopero... Il giorno in cui avrebbero avuto il giocattolo
si allontanava di continuo...
      Ma finalmente...
      I due fratelli sbucarono correndo in giardino.
      E si arrestarono di colpo. “Papà è a mani vuote!”,
esclamò Sally indicando babbo e mamma che li osser-

                                                        5
vavano sorridendo, appoggiati allo steccato dipinto di
bianco.
      “Già, ma tu lo conosci... Guarda come ride sotto i
baffi... Deve averla nascosta da qualche parte!”, replicò
Tommy. “Avanti, cerchiamo!”.
      “Okay, dividiamoci. Tu oltre il pesco, io di qua dal
pozzo”.
      Perlustrarono in fretta ogni angolo del giardino: ce-
spugli, macchie di fiori, alberi da frutto, aiole verdi...
      Niente.
      Nessun pacco. Nessuna scatola. Nessun regalo.
Nulla di nulla.
      “Papà”, mormorò Sally, avvicinandosi strascican-
do i piedi. “Che scherzo stupido...”.
      “Avevi promesso!”, disse Tommy. “Invece...”.
      “Ehi”, esclamò il padre incrociando le braccia. “Da
quando in qua avete smesso di fidarvi?”.
      Tommy scrollò la testa. “No, noi ci fidiamo, papà.
Ma tu––”.
      Le parole si persero in un frastuono sempre più forte.
      Un grosso autotreno luccicante spuntò dalla curva
in fondo alla strada. Avanzava a passo d’uomo, mentre
sbuffi di fumo si condensavano sopra la cabina, che esi-
biva a grandi lettere la scritta “Billy 101”. Il conducente,
un omone tarchiato, con la testa lucida e un fazzoletto-

6
ne rosso al collo, scrutava le case da un lato e dall’altro
della strada.
      Il babbo saltò la recinzione. “Qui! Da questa par-
te!”, esclamò, facendo ampi gesti con le braccia. “Qui,
Billy!”.
      L’automezzo si arrestò accanto allo steccato e il fra-
stuono diminuì. L’autotreno era splendido, rosso scarlat-
to con finiture color azzurro e oro. Ma ad attirare l’atten-
zione fu la cosa gigantesca fissata con grossi cavi sopra
il pianale. Era... era una locomotiva! Una locomotiva
vera!
      Billy saltò giù, portò due dita al frontino del ber-
retto. “Salve, gente. Dove lo volete questo gioiello?”,
chiese.
      Tommy sentiva il cuore pulsargli in gola, mentre
osservava suo padre e l’autista parlare e indicare. Non
riusciva a capire nulla, solo a fissare quella... quella lo-
co. Ecco. Il nome era perfetto. Loco.
      Come incantato, osservò Billy piazzarsi accanto al
pianale dell’autotreno. Sotto il tocco esperto delle sue di-
ta, che azionavano a tratti le corte leve gialle, la gru a ri-
dosso della cabina sembrò prender vita. Si sollevò come
un drago dei mari che stringesse tra le fauci la gomena di
una nave vichinga... E davvero un cavo pendeva aggan-
ciato all’estremità della gru. Ed emetteva a tratti degli

                                                            7
inquietanti cigolii. Il motore aumentò i giri quando Bil-
ly fece sollevare la testa del drago. Le ciminiere del ca-
mion vomitarono un denso fumo che aleggiò in una nu-
vola scura sopra le chiome degli alberi e si disperse alla
brezza leggera. Il drago sollevò due rotaie di metallo an-
nerito, collegate da traversine imbullonate, e le calò con
precisione sulla piazzola di cemento dell’angolo giochi.
      Erano delle vere rotaie, osservò Tommy, mentre
l’autista sganciava il cavo e rimetteva la gru in posizio-
ne sopra la grande locomotiva. Tommy si chinò a osser-
vare il binario. Se socchiudeva gli occhi, sembrava di
osservare una strada ferrata che si perdeva lontano.
      Un’ombra passò su di lui, oscurando il sole. Tom-
my si trovò di colpo seduto per terra, mentre la locomo-
tiva, agganciata alla gru con cavi d’acciaio grossi quan-
to le sue braccia, pendeva a qualche metro da terra. Billy
manovrò le leve con perizia e la grande macchina con-
tinuò a spostarsi lentamente, ondeggiando lieve come
mossa da una brezza leggera. Doveva pesare tonnellate,
ma sembrava soltanto un enorme giocattolo gonfiabile.
Il motore aumentò il ruggito man mano che la loco si
scostava dall’autotreno. Fino a diventare un fragore as-
sordante che obbligò Tommy e tutti gli altri a coprirsi
le orecchie. Solo Billy sembrava incurante del rumore.
Con un sorriso appena accennato, lo sguardo fisso sul-

8
la locomotiva, continuava a spostare e a rilasciare dol-
cemente le leve gialle. Finalmente, la grande macchina
calò a terra.
      Clang! Una coppia di ruote colpì il binario.
      Clang!
      Cling!
      Cling!
      Le ruote si posarono con precisione sulle rotaie. Il
ruggito del motore diminuì di colpo.
      “Fermi, ragazzi! Qualche altro momento ancora”,
esclamò Billy, allungando le braccia a palme aperte a
fermare Tommy e Sally che balzavano verso la loco.
      Il tempo non passava mai, mentre Billy, con tutta
la calma del mondo, sganciava i cavi e riportava la gru
sul pianale dell’autotreno. Finalmente, salì in cabina e
ne riemerse con un fascio di fogli. “Ora potete andare,
ragazzi”, disse. Poi continuò rivolto al papà. “Quanto a
lei, un paio di firme qui in fondo e questo gingillo è tut-
to vostro”.
      Tommy non aveva interesse per le scartoffie. Si
lanciò verso la loco, in coppia con la sorella.
      Era una macchina davvero enorme. Gigantesca.
“Sarà lunga... venti metri!”, esclamò.
      “Esagerato...”, ribattè Sally. Contò i passi dalla ca-
bina sul retro fino ai respingenti sul davanti. “Un po’ più

                                                          9
di dieci”, calcolò. “Facciamo dodici metri, d’accordo?
Ehi, dove sei finito?”.
      Tommy era già in cabina.
      Ding! Ding! Ding! Allo scampanellio argentino,
anche Sally si arrampicò in fretta e afferrò la cordicella.
Ding! Ding! Ding! Ding! La campanella rispose anche
ai suoi strappi con rintocchi squillanti.
      I due fratelli osservarono estasiati i quadranti di cui
era disseminata la cabina, gli indicatori di temperatura,
di velocità, di pressione, di accelerazione e chissà che
altro. Tubi misteriosi correvano lungo tutta la parete, un
grosso sportello ovale si apriva in basso, azionato da un
pedale di ferro consumato. Tommy e Sally provarono i
due sedili di metallo a destra e a sinistra, poi saltarono
giù e ammirarono il lungo profilo panciuto e il fumaio-
lo che svettava davanti alla campana per la sabbia e alla
campana del vapore. Accarezzarono la coppia di grandi
ruote alte quasi come loro, al centro della loco, e i grossi
cilindri sopra il carrello di ruote più piccole, con i lunghi
assi che le collegavano ai pistoni...
      Era davvero una bellezza. Ed era tutta per loro…
Incredibile.
      A Tommy pareva di librarsi in un sogno...
      “Allora, ragazzi, vi piace?”, chiese papà dietro di
loro. C’era bisogno di chiederlo? Ma a volte gli adul-

10
ti – anche mamma e papà –, avevano bisogno di essere
rassicurati. Così...
      “Papà, sei grande!”, esclamò insieme a Sally.
      “Ehi”, sorrise il padre. “Avevo promesso, no? Una
bella locomotiva...”.
      “Certo, caro. E doveva stare in un pacchetto, no?”,
osservò la mamma con un sorriso divertito.
      “Beh, se lo si prende abbastanza grande...”.
      “...Sì, abbastanza per una balena!”, rise Tommmy.
      “Comunque, è stata una bellissima idea”, prose-
guì la mamma. “Perciò, tutti noi ti diciamo ufficialmen-
te grazie”. Si sollevò in punta di piedi e gli schioccò un
bacio.
      “Ringraziamenti accettati”, disse il papà. Poi, come
se se ne fosse ricordato solo allora, aggiunse: “A propo-
sito, sapete che dietro questa macchina si nasconde un
mistero?”.
      “Oh, oh”, pensò Tommy. Papà aveva assunto l’aria
“da professore”: non c’era modo di evitare la lezione.
      “Locomotive come questa, a carbone, hanno fatto
un gran lavoro”, cominciò il papà–prof. “Per un paio di
secoli hanno davvero mosso il mondo. Poi sono andate
in pensione, sostituite da nuove macchine più veloci ed
efficienti. In realtà, però, la nostra locomotiva è stata
messa a riposo già parecchi anni prima”.

                                                       11
Passò la manica su un respingente che brillava un
po’ meno dell’altro, poi continuò.
      “Pare incredibile, ma nessuno voleva più condurre
questo gioiello. Nessun fuochista voleva spalarvi carbo-
ne. Nessun macchinista ci voleva più salire”, continuò.
      Era successo durante una corsa in mezzo alla fore-
sta, sotto una tremenda tempesta di pioggia, vento e nevi-
schio. D’improvviso – raccontavano – un globo azzurro
e bianco, più accecante del sole, era apparso di colpo sui
binari. La loco vi era finita dentro a tutta velocità. Ogni
cosa era diventata azzurra e bianca, incandescente...
      Come se il tempo si fosse fermato...
      Poi di colpo la foresta era riapparsa, senza più trac-
cia di quello strano sole. Ma la loco era cambiata, so-
stenevano. Aveva un’intelligenza propria. Si rifiutava di
lasciarsi guidare. Un’idea assurda, naturalmente. Eppu-
re... nessuno ci voleva più salire. Così era finita in de-
posito, dimenticata, finché il papà non l’aveva scoperta
e acquistata.
      “Grande! Una loco stregata!”, esclamò Tommy.
“Sally, pensa alle avventure... in mezzo a torme di india-
ni, in corsa indiavolata tra i ghiacci, sospesi nello spazio
in monorotaia...”.
      “Finora ho contato più di duecento bulloni”, lo in-
terruppe la sorella. “E chissà quanti ce ne sono. E val-

12
vole, e giunti... Non vedo l’ora di mettermi a lavorare su
qualcuno dei più grossi”. Sally aveva la passione della
meccanica.
      “E io ti farò il ritratto mentre ti sporchi di grasso
come al solito”, aggiunse ridendo Tommy. A lui interes-
sava di più l’arte.
      Entrambi si sfregarono le mani. Sally come se si
pulisse su uno straccio le mani sporche di lubrificante,
Tommy come se le pulisse dai colori a olio.
      Si fermarono, accorgendosi ognuno dei gesti
dell’altro. Si fissarono un momento. E scoppiarono a ri-
dere.
      Papà e mamma li abbracciarono forte.

                                                        13
Due

      A cena, pizza. Più una fetta di dolce. Poi una bel-
la porzione di gelato. Patatine. Coca Cola. Cioccolato.
Caramelle assortite. Popcorn... Forse per quell’abbuffa-
ta galattica, o per il pensiero della loco, tutta sola in giar-
dino, Tommy non riusciva a prender sonno. Gli bruciava
la pancia. Gli formicolavano le gambe. Gli sfrecciavano
in testa immagini di pioggia torrenziale, tuoni assordan-
ti, luci azzurre... Si stava girando per la millesima volta,
quando si bloccò di colpo.
      “Pssst!”.
      Spalancò gli occhi. La luce della luna filtrava at-
traverso il balcone socchiuso e... Una forma vagamente
umana, biancastra, spettrale, avanzava dalla porta verso
di lui. Il cuore gli balzò in gola... un brivido gli attraver-
sò la schiena.
      Riuscì a non gridare.

14
Per fortuna, perché non era un vero fantasma. Era
Sally, nella sua candida vestaglia a pupazzetti.
      “Pssst! Tommy, Tommy...”, continuava a bisbiglia-
re.
      “Che c’è? Proprio adesso che riuscivo a dormi-
re!”.
      “Dormire!? Scherzi? Io non riesco che a pensare
alla loco”.
      “Sss, abbassa la voce! Non avrai intenzione di an-
dar fuori? Di notte?”.
      “Perché? Tu no?”. Il tono di Sally non ammetteva
discussioni. “Io ci vado di sicuro. Solo... mi servirebbe
la tua pila. La mia non va. L’ho usata per un esperimento
e il vetro si è rotto”.
      “Tu e la tua mania di smontare le cose... “, bron-
tolò Tommy, ma scese lo stesso dal letto. Rovistò nel
canotto gonfiabile, dove teneva le sue cose. Qualche se-
condo dopo riemerse proiettando un fascio di luce sulla
parete. Si infilò la prima maglietta e i primi jeans che
gli capitarono sottomano. Sally lanciò la vestaglia sul
letto. Sotto, era già pronta, tutta vestita. Scivolarono sul
pianerottolo e rimasero immobili per un lungo minu-
to. Tutto taceva. Mamma e papà dormivano profonda-
mente. Senza far rumore, sgusciarono giù per le scale e
uscirono in giardino.

                                                         15
*
                            * *
      Un cane abbaiò lontano. Una volta. Due volte.
Tommy aspirò l’aria della notte, che sapeva di un profu-
mo fresco e bagnato. La luna illuminava il paesaggio di
un chiarore di neve. Le foglie fremevano leggere. L’er-
ba, tanto scura da sembrar nera, luccicava di goccioline
minute. “Accidenti”, esclamò Tommy, “ho i piedi fradi-
ci!”.
      “È solo rugiada. Poi si asciuga... Però, che stra-
no...”, disse Sally arrestandosi a pochi passi dalla loco.
      “Cos’è strano?”.
      Sally non rispose. Passò le palme sul metallo lu-
cido e rotondo di un pistone. Le appoggiò sul robusto
asse che correva parallelo alle ruote. Poi le volse verso
Tommy. “Fai luce”, disse. Tommy premette il pulsante
e la luce della pila illuminò di colpo le palme bianche di
Sally. “Beh?”, chiese.
      “Guarda, la loco è asciutta. Ma tutto intorno è zup-
po di rugiada. Come lo spieghi?”.
      “Non lo so. Sei tu la scienziata. Anzi, no, la spiega-
zione è semplice. L’ha detto papà: la loco è stregata!”.
      “Stregata... stupidaggini. Ci dev’essere una spiega-
zione naturale... ah, e non è neanche troppo difficile. Ci
saresti potuto arrivare anche tu. Guarda, la loco è di me-

16
tallo, giusto? Ha assorbito il calore del sole. Quando la
rugiada è scesa, qui è subito evaporata. Semplice, no?”.
      “Ehi, davvero impressionante!”, convenne Tommy,
facendo scivolare i raggi della pila sulla loco e il terreno
intorno. “E anche davvero impossibile. Guarda qui, que-
sto come lo spieghi?”.
      Si chinò accanto alle ruote: alla luce della pila, mi-
nuscole gocce di rugiada brillavano sulle rotaie.
      “Anche questo è metallo. Ma mica è asciutto... Ho
ragione io, la loco è stregata!”, disse.
      “Oh, certo”, ribattè Sally, alzando le spalle con una
smorfia. “Magari adesso si metterà a svolazzare in aria!
Anzi, no, si trasformerà in un dinosauro mostruoso e di-
vorerà la città!”.
      Parlava in tono esasperato, ma non aveva la solita
espressione della Sally sicura di sé. Così Tommy conti-
nuò: “Puoi dire quello che vuoi. Non cambierò idea. La
loco è stregata. E io... ne sono arcicontento!”.
      “Oh, basta con le chiacchiere”, tagliò corto la so-
rella. “Mica siamo venuti per parlare, no? Voglio gioca-
re con la loco!”.
      Alla luce della pila, salirono sul predellino e si is-
sarono in cabina.

                                                         17
*
                           * *
      “Quante leve!”, esclamò Sally con voce estasiata.
“Voglio scoprire come funzionano”.
      “Ti ci vorrebbe un macchinista”, disse Tommy, stu-
diando il profilo della loco contro lo sfondo degli alberi.
“Anche se papà ha detto che nessuno le sa più guidare,
queste macchine. Adesso è tutto automatico. Schiacci i
bottoni e fanno tutto da sole...”.
      “Ha parlato l’esperto”, ribattè Sally. “Non capisci
nulla di queste cose. Sennò sapresti che non è tutto così
facile”.
      “Guarda qui”, disse Tommy, indicando il robusto
sportello nero. “Non sarò un esperto, ma so che si chia-
ma ‘focolare’. È la fornace, dove ruggivano le fiam-
me!”.
      Premette la leva col piede e lo sportello si spalan-
cò. Fece scorrere all’interno il fascio della pila. Ne ri-
cavò l’impressione di un’enorme pancia buia, qua e là
graffiata e riparata con lamine e bulloni.
      “Ehi, pensavo fosse vuoto, qui dentro”, disse Sally.
“Invece, guarda quanto carbone. Sarà rimasto dall’ulti-
mo viaggio...”.
      “Il viaggio in cui è diventata magica!... Ehi, non
toccare, Sally. Ti sporcherai tutta”. La voce di Tommy

18
rimbombava all’interno della cavità, ma Sally non stette
ad ascoltare. Continuò ad allungare il braccio nella for-
nace e a frugarvi dentro. A un tratto lo ritirò di colpo.
“Preso!”, esclamò.
      Tommy scosse la testa: il carbone aveva annerito la
manica della sorella. Che le avesse anche affumicato il
cervello…?
      “Hai trovato una pepita d’oro?”, sbuffò.
      Sally non rispose, ma alzò il pugno mettendolo be-
ne in vista. Aprì le dita a una a una ed espose la sua sco-
perta: un bellissimo cristallo, che brillava di riflessi ver-
di alla luce della pila!
      Tommy sgranò gli occhi. Ma non ebbe tempo per
altro. La loco sembrò sbriciolarsi in minuscoli fram-
menti. Tommy afferrò il braccio di Sally. Ma la sorella
gli venne strappata via, mentre affondava roteando in un
vortice infinito.

                                                          19
Tre

      Sally si sentì gelare. Il freddo le penetrò nelle os-
sa d’improvviso. Il più intenso che avesse mai provato.
Rabbrividì.
      Cos’era successo? Dove si trovava?
      Ricordò di colpo il cristallo verde, il bagliore di
smeraldo... Dov’era Tommy? E quei suoni intorno? Di
sicuro quello non era il giardino.
      No. Si trovava all’angolo di un strada, in mezzo
a una nebbia giallastra, che si spostava in gelide fola-
te. Tra gli squarci della nebbia intravide case di pietra
grigia e cremisi, e lunghe cancellate nere coperte da un
velo di brina. La superò una coppia di passanti, infagot-
tati in lunghi cappotti scuri, con in testa lucidi cappelli
a cilindro.
      E non c’era traffico, nessuna macchina... anzi, no,
sgranò gli occhi quando un veicolo le passò davanti sfer-

20
ragliando sull’acciottolato: era una carrozza tirata da ca-
valli!
      Sally aspirò l’aria che sapeva di fuliggine e la sof-
fiò di nuovo in una candida nuvola di vapore gelato... In
quel momento, la storia della loco stregata non le sem-
brava più così impossibile.
      Abbassò gli occhi a guardarsi. Era ancora tutta in-
tera? Le sembrava di sì, ma i suoi vestiti erano cambiati.
Indossava un abitino corto, con uno strappo lungo la ma-
nica, e uno scialle d’un rosso sbiadito. I piedi calzavano
un paio di scarpe troppo grandi, logore e ammaccate. Un
cappello di lana e una sciarpa gialla sfilacciata comple-
tavano il tutto. Neanche l’ombra di calzini o di un bel
paio di guanti. O di un morbido paraorecchie... Accanto
a sé, sul marciapiede, aveva una scatola di cartone aper-
ta, con delle scatoline azzurre e dei pezzi di spago. Le
sue dita intirizzite stringevano altre due scatoline.
      Per qualche strano motivo, Sally scoprì di cono-
scerne il contenuto. Ne aprì una per controllare. Aveva
ragione, conteneva proprio fiammiferi.
      “Quanto costano, piccina?”, la interruppe una vo-
ce. Una signora anziana, avvolta in un morbido cappotto
di lana, la stava fissando.
      Sally scoprì di conoscere la risposta. Consegnò i
fiammiferi alla donna e accettò una monetina.

                                                        21
“Così, questa è la città di Londra più di un secolo
fa...”, si disse. “E io vendo fiammiferi. Mi chiamo Mol-
ly. In fondo, non è così diverso dal mio nome...”.
      Battè i piedi per terra, tentando di scaldarli. Si stro-
picciò le mani e le infilò in tasca assieme alla moneti-
na. Era bella lucida, ma valeva troppo poco per com-
prarsi qualcosa di caldo. Doveva vendere altre scatole di
fiammiferi. Parecchie altre... Il che era improbabile. Con
quel freddo e la nebbia non c’era molta gente in giro. E
tutti parevano aver fretta di rifugiarsi in qualche posto
caldo e accogliente.
      Ma forse quel signore... Sally osservò speranzosa
l’uo­mo che camminava verso di lei. Era basso di statura,
robusto, col cappello calcato sulle orecchie e protetto da
un’ampia sciarpa che gli copriva quasi tutto il volto. Si fer-
mò proprio davanti a lei e indicò la scatola ai suoi pie­di.
      “Dammene tre”, brontolò.
      Sally si chinò a prendere i fiammiferi. Ma non riu-
scì neppure a sfiorarli. L’uomo l’afferrò per la vita e la
sollevò come una bambola. Con un unico movimento la
buttò in una carrozza che si era accostata al marciapie-
de. Sally fece per gridare, ma una rozza mano le tappò
la bocca e una voce minacciosa le intimò di non fiatare.
Lo sportello si richiuse di colpo e la carrozza partì di
gran carriera.

22
*
                             * *
      Tommy salì a due a due i gradini e raggiunse il
pianerottolo protetto da uno spesso tappeto. Si volse a
guardare indietro la signora grassa che sbraitava per le
macchie di fango che aveva lasciato. In quel momento,
la porta di fronte a lui si spalancò. Un signore alto e ma-
gro, dal naso affilato, lo invitò a entrare nella sua stanza,
riscaldata dal fuoco vivace del caminetto.
      “Non si preoccupi, signora Hudson”, esclamò l’uo-
mo. “Terrò a bada io questo monello”.
      Senza attendere risposta, rientrò nella stanza e chiu-
se la porta dietro di sé. “Bene, Wiggins”, disse rivolto a
Tommy. “Puoi anche andare a scaldarti. Non temere, la
signora Hudson è una brava padrona di casa, ma è fana-
tica della pulizia. E non ha in grande simpatia voi mo-
nelli di strada”.
      A Tommy non parve strano esser chiamato Wiggins.
Sentiva che in quel momento il suo nome era quello. Era
un nome abbastanza piacevole. Un po’ scivoloso, maga-
ri, ma tutto sommato piacevole. E non era male neppure
quel tipo, pensò, guardandolo mentre si accomodava in
poltrona reggendo in mano una pipa dal lungo bocchino.
      “Ho un compito per te, ragazzo mio”, continuò lo
sconosciuto, sottolineando le parole col movimento del-

                                                          23
le lunghe dita macchiate d’inchiostro e di sostanze chi-
miche. “Come vedi, il mio amico Watson non c’è. Un
viaggio urgente lo terrà lontano qualche giorno. Quindi,
mi servi tu e forse anche i tuoi Irregolari”.
      Tommy spalancò la bocca. Il cuore prese a battergli
furioso in petto. Aveva udito bene? Non si stava ingan-
nando? Quell’uomo aveva parlato del dottor Watson,
aveva nominato gli Irregolari... ma allora non poteva...
doveva... era di sicuro Sherlock Holmes, l’investigatore,
uno dei suoi eroi preferiti! Ne aveva letto e riletto tutte
le avventure. E adesso era proprio in casa sua, a Londra,
al 221/B di Baker Street!
      Si sentiva la testa frastornata, come se la stanza gli
vorticasse intorno, e per poco non perse le parole di Hol-
mes. Si stropicciò gli occhi e fece un profondo respiro. I
sensi gli si schiarirono a sufficienza per udire di nuovo:
“... a questo indirizzo: Pinchin Lane 3, sulla parte più
bassa di Lamberth. Il padrone si chiama Sherman. Digli
che ti mando io e che mi serve Toby. Capito?”.
      Tommy afferrò al volo la moneta che gli lanciava il
detective e assentì. “Perfetto, signore”, rispose. “Si fidi
di me”.
      Aprì la porta e sgattaiolò lungo le scale. La signora
Hudson era affaccendata in cucina, così scivolò in strada
indisturbato.

24
Si ritrovò in un oceano di nebbia e di fuliggine che
si posava dappertutto. Avvertì un bruciore acre in gola.
Appoggiò la mano all’intonaco gelido della casa e tos-
sì più volte, senza potersi trattenere. E poi parlavano di
inquinamento al suo tempo, pensò. Non sapevano quel
che dicevano...
      Dopo qualche istante affannoso, riuscì a respirare
in modo più libero. Si avviò lungo Baker Street, supe-
rò una serie di vetrine fiocamente illuminate, svoltò in
una viuzza sulla destra e si inoltrò in un dedalo di vico-
li. Scoprì di non avere difficoltà a orientarsi, anche se
di certo non era mai stato a Londra. E men che meno al
tempo di Sherlock Holmes! Non lo ostacolava neppure
la nebbia, con le sue lente volute giallastre. Anzi, si sen-
tì d’un tratto allegro ed eccitato, proprio come i monelli
di strada che davano ogni tanto una mano ad Holmes. Si
strinse addosso la giacca troppo corta, tirò più in giù il
berretto per proteggersi dal freddo intenso, infilò le ma-
ni in tasca e proseguì canticchiando.
      Non impiegò molto per arrivare a destinazione.
Svoltò in Pinchin Lane e bussò con insistenza al nume-
ro 3. Non rispose nessuno, così picchiò più forte. Final-
mente, da una finestra al piano superiore una voce sgar-
bata gli intimò di farla finita, altrimenti...
      “Signor Sherman! Mi chiamo Tomm–– Wiggins!”,

                                                         25
gridò Tommy, accostando le mani alla bocca. “Vengo da
parte del signor Holmes!”.
      Come se avesse pronunciato una parola magica, la
voce tacque di colpo. Qualche secondo dopo, la porta si
spalancò. Tommy si trovò sotto lo sguardo sospettoso di
un vecchietto magro magro, dalle spalle cadenti e gli oc-
chi quasi invisibili dietro le lenti affumicate.
      “Il signor Holmes, hai detto? Sei sicuro? Non mi
stai prendendo in giro, vero?”, lo interrogò con voce
stridula.
      “Le assicuro, signor Sherman, è la sacrosanta ve-
rità. Sarebbe venuto il dottor Watson, ma è fuori città,
così è toccato a me”.
      “Ah, bene, bene, allora. Se ti ha mandato il signor
Holmes, scommmetto che gli serve Toby, eh? Ho ra-
gione?”.
      “Proprio così, signor Sherman”, confermò Tommy.
Seguì il vecchio oltre la soglia e lo osservò staccare un
guinzaglio da un chiodo e avviarsi lungo il corridoio.
      Fece qualche passo in avanti e scorse file e file di
gabbie. Da ognuna lo fissavano piccoli animali dagli oc-
chietti vivaci e curiosi.
      Dopo qualche minuto, il signor Sherman fu di ri-
torno. Teneva al guinzaglio un cane dal lungo pelo bian-
co e marrone. Appena lo scorse, la bestiola gli saltò in

26
braccio e cominciò a scodinzolare e a leccargli il viso in
lungo e in largo.
      “Basta così, Toby. Comportati bene!”, ordinò il
vecchio. Afferrò il cane e lo poggiò sul pavimento. “Di-
rei proprio che tu gli sia simpatico, direi”, osservò, men-
tre Tommy si ripuliva il viso con la manica della giac-
chetta.
      Tommy accettò il guinzaglio che l’uomo gli porge-
va, fece un cenno di saluto e riprese la direzione dalla
quale era arrivato. Toby lo seguiva, trotterellando al suo
fianco con un’andatura buffa e scoordinata.

                                                        27
Quattro

      Scaraventata nella carrozza, Sally cercò un appi-
glio. La vettura vibrava tutta, trainata dai cavalli al ga-
loppo. Le ruote sobbalzavano sui ciottoli della strada,
tra gli schiocchi della frusta e lo scalpitio degli zocco-
li. Un modo sicuro per causare qualche incidente, con
quella nebbia. Ma in quel momento a Sally premeva di
più evitare di cadere e farsi male. Una mano la sostenne
un istante e l’aiutò a issarsi sul sedile. Una mano piccola
e delicata, non la manaccia rozza che le aveva tappato la
bocca. Apparteneva a una ragazzina suppergiù della sua
età. Aveva le trecce bionde coperte da un ampio berret-
to che le scendeva fino alle orecchie e le nascondeva in
parte il viso. Sally la giudicò simpatica e le rivolse un
sorriso di ringraziamento.
      Aggrottò le sopracciglia, invece, verso l’altro oc-
cupante della carrozza, uno spilungone tutto pelle e os-

28
sa, con i denti in fuori e i capelli in ciocche disordinate.
Continuava a fissarla con espressione divertita, come se
ci fosse qualcosa di allegro in quella situazione.
      “Benvenuta, ragazzina”, gracchiò l’uomo. Aveva
la stessa voce di una gazza che Sally aveva visto allo
zoo. “A quanto pare Saul ha trovato un altro esempla-
re”, ghignò.
      Gli occhi dell’uomo erano pungenti come aghi, ma
Sally riuscì a non abbassare lo sguardo. Fu l’uomo inve-
ce a strofinarsi gli occhi, che avevano preso a lacrimare,
e ad asciugarseli con un fazzoletto pieno di macchie.
      “Visto che dobbiamo lavorare insieme, tanto va-
le conoscerci”, proseguì l’uomo. “Il mio nome è signor
Rudy. Ricordate bene. Signor Rudy. Tu come ti chia-
mi?”. Si rivolgeva a Sally, ma lei le ignorò. “Dove mi
state portando? Cosa volete da me?”, chiese invece.
      Alla sua voce, anche l’altra ragazza sembrò ani-
marsi. “Esatto. Perché ci avete rapito? Vi pare che pos-
siamo essere ricche? Io no di sicuro. Non ho nessuno al
mondo e nessuno si preoccupa per me. Non ricaverete
un centesimo––”.
      “Fate silenzio!”, sbraitò l’uomo levandosi dal sedi-
le. “Silenzio, ho detto!”.
      Le due ammutolirono. L’uomo si bilanciò sulle lun-
ghe gambe e allungò le braccia per sostenersi. La car-

                                                         29
rozza aveva moderato un po’ la velocità, ma ugualmen-
te scossoni e sobbalzi minacciavano di buttare a terra i
passeggeri.
      “Ah, così le maniere buone non funzionano, eh?”,
continuò Rudy. “Va bene, se non volete fare una brut-
ta fine, vi conviene obbedire senza fiatare. Allora, ti ho
chiesto come ti chiami!”, esclamò, rivolto di nuovo a
Sally.
      Era meglio non complicare quella situazione già
poco allegra, così Sally rispose: “Io... tutti mi chiamano
Molly”.
      Anche l’altra ragazza sembrò essere scesa a patti.
“Io sono Agatha....”, disse piano.
      Sally la osservò con maggiore attenzione. Agatha
indossava un abito rattoppato in diversi punti e aveva le
dita macchiate di nero. Emanava uno strano profumo,
una fragranza familiare, che però non riusciva a identifi-
care. La carrozza intanto continuava a filare, affrontan-
do una curva dopo l’altra di gran carriera. Sally tentò di
dare un’occhiata fuori, ma i finestrini erano coperti da
pezzi di stoffa inchiodati. Comunque, con quella nebbia
e a quella velocità, non avrebbe visto granché.
      Viaggiarono ancora per diversi minuti. Poi final-
mente la carrozza rallentò. Si fermò con un lungo ci-
golio.

30
“Siamo arrivati. Scendete!”, ordinò Rudy. Spalan-
cò lo sportello e saltò a terra. Afferrò Agatha e Sally per
un braccio e le tirò giù. Sally riuscì a intravedere un ar-
co di pietra e un cortile ingombro di rottami, prima che
Rudy la trascinasse oltre una porta e la depositasse con
Agatha in una stanza umida e spoglia.
      In quel momento Sally intuì quale fosse il profumo
di Agatha. Era un profumo singolare: quella bambina
odorava di liquirizia!
      “State qui buone e non fate rumore!”, intimò Rudy.
“E non vi venga in mente di scappare... Sentite?”, disse
sollevando l’indice. Da qualche punto poco lontano un
cane abbaiava con ferocia. Doveva essere grosso, a giu-
dicare dal volume dei latrati. “Il mio amico Diavolo vi
troverebbe in un attimo. E non vi piacerebbe farvi mas-
saggiare dalle sue zanne. No davvero”. Scoppiò in una
risata senza senso e sbatté la porta dietro di sé, lascian-
dole nel buio quasi completo.
      “Dove ci hanno portato? Cosa vogliono farci?”,
chiese Agatha in un sussurro.
      Certo non avevano intenzioni gentili, pensò Sally,
mentre i suoi occhi si abituavano alla fioca luminosi-
tà della stanza. Riuscì a scorgere solo pareti nude e un
pavimento di terra battuta. In qualche punto la terra era
smossa e fradicia, ed emanava un odore acidulo e nau-

                                                        31
seante, come di radici putride. Si frugò in tasca e tro-
vò una scatolina mezzo schiacciata. Al tatto ne sondò
il contenuto. Uno, due, tre, quattro bastoncini. Quattro
fiammiferi.
      Ne sfregò uno e la fiammella improvvisa guizzò e
diffuse un vago chiarore. Sally osservò con disgusto le
macchie di umidità, la sporcizia accumulata negli angoli
e le ragnatele che pendevano dalle travi. Doveva esserci
un modo per scappare... anche tenendo conto del cane.
      Era così intenta nel suo esame, da non accorgersi
che la fiammell––
      “Ahi!”, gridò, lanciando via il fiammifero bruciato.
“Mi sono scottata, cavoli!”.
      Agatha non riuscì a trattenere una risatina, pur in
mezzo alle lacrime. Sally si succhiò il dito, poi scoppiò
anch’essa a ridere. Sally appoggiò le mani sulle spalle di
Agatha e la scosse leggermente, come a infondere fidu-
cia. Alla sua amica e a se stessa. Poi si avvicinò al mu-
ro, dove aveva notato una specie di rientranza, come dei
mattoni smossi. Poteva essere una via di fuga?
      Si chinò e tastò con le mani. E di colpo fu sicura
che alcuni mattoni fossero stati asportati, perché una vo-
ce filtrò burbera attraverso la parete: “.... d’accordo, io
avverto il capo. Voi due, sistemate la carrozza e pensate
ai cavalli. E attenti che quelle due non scappino. Ci frut-

32
tano una sterlina a testa, le piccole. E non immaginano
neppure la sorte che le aspetta!”.

                              *
                            * *
      Tommy e il cane raggiunsero il 221/B di Baker
Street. Il ragazzo si chinò, arrotolò il guinzaglio e prese
Toby in braccio. L’animale dimenò pazzamente la coda
e uggiolò di gioia.
      “Ssst, buono, o ci farai scoprire”, gli bisbigliò. Co-
me se avesse capito, la bestiola si quietò.
      Dall’interno non veniva alcun suono. Così Tom-
my aprì la porta, la richiuse piano e imboccò di corsa la
rampa di scale.
      “Oh, bentornato, Wiggins!”, esclamò Sherlock Hol-
mes. Era seduto alla scrivania, intento a catalogare dei
ritagli di giornale. “E un benvenuto anche a te, Toby!”,
disse. Trasse di tasca una zolletta di zucchero e la lanciò
in aria. Il cane si liberò dall’abbraccio in cui era stretto
e afferrò al volo la leccornia. Poi si ritirò in un angolo a
sgranocchiarla con gusto.
      Tommy sorrise a quella prodezza. Poi di colpo vol-
se la testa. Aveva percepito un odorino delizioso che––
      “Te le ha preparate la signora Hudson”, disse Hol-
mes seguendo il suo sguardo. “Come vedi, non è poi co-
sì antipatica...”.

                                                         33
Ciambelle! Una collinetta di ciambelle era impila-
ta su un largo piatto al centro della tavola! Tommy non
esitò. Ne addentò una. Ingoiò un paio di bocconi prima
di riuscire ad avvertirne il sapore, poi masticò piano, go-
dendosi la sensazione perfetta di uova, burro, marmella-
ta, zucchero e––
      “A quanto pare, hai fatto amicizia con Toby”, lo
interruppe Holmes. “E hai conosciuto il tasso e la mar-
motta del signor Sherman... Per non parlare del fatto che
vi siete fermati alla fontanella di Rossmore Road. E un
altro po’ di tempo l’avete impiegato a giocare a biglie,
ma anche ad accompagnare Emma, la vecchia mendi-
cante...”.
      Cough! Cough! A Tommy andò di traverso il boc-
cone. Iniziò a tossire furiosamente, mentre Toby balzava
dal suo angolo e lo osservava sollevando un orecchio.
Quando finalmente riuscì a dominare i colpi di tosse,
guardò Holmes ad occhi sgranati.
      “Ma... lei ci ha seguito, signor Holmes....”, balbet-
tò, versandosi una tazza di tè. “O mi ha fatto pedinare
da qualcuno...”.
      Holmes scosse la testa. “Ormai dovresti conoscer-
mi, Wiggins. Non farei mai cose del genere... per quanto
a volte ne dubiti persino il mio amico Watson”, osservò
con aria pensierosa.

34
Tommy mise la mano all’altezza del cuore. “Mi
scusi, signor Holmes. Ho parlato senza pensare. Sa che
mi fido di lei, ma proprio non capisco come abbia fatto
a indovinare...”.
      “Io non indovino mai, Wiggins!”, lo interruppe il
detective con il lungo indice alzato ad ammonire. “Io
sono un investigatore. Osservo i particolari e ragiono in
base ad essi”.
      L’espressione di Holmes era severa, ma un attimo
dopo i suoi lineamenti si ammorbidirono. Raccolse la
pipa dalla mensola del caminetto e riprese: “Vedi, Wig-
gins, tu sei ancora giovane. Ma certo la vita per le strade
ti ha reso più sveglio e scaltro di altri della tua età. Ebbe-
ne, se vuoi davvero diventare qualcuno, devi imparare a
osservare con cura. Osservare i dettagli delle persone e
dell’ambiente”, disse. Raccolse con le molle un tizzone
dal caminetto e lo accostò al fornello della pipa, aspiran-
do e soffiando dei perfetti anelli di fumo. “Più ti allene-
rai a osservare e agire di conseguenza, ragazzo mio, più
ti sarà facile capire le cose. Solo così farai strada nella
vita. Vuoi un esempio? Ti spiegherò come ho fatto a ca-
pire i particolari che ti hanno tanto meravigliato. Che tu
sia simpatico a Toby, non c’è bisogno di un esperto per
dirlo: guarda come ti osserva e scondizola ogni volta
che ti muovi... In più, hai ancora sulla faccia tracce evi-

                                                           35
denti di qualche bella leccata, nonostante tu abbia cer-
cato di pulirti. Con la manica, nientemeno... A quella
stessa manica sono rimasti attaccati dei ciuffetti di pelo.
La mia esperienza mi dice che provengono da un tas-
so e una marmotta. Due animali del signor Sherman, è
evidente. E visto che quel caro vecchietto non permette
quasi a nessuno di accostarsi ai suoi animali, possiamo
star sicuri che sei risultato loro molto simpatico”.
      Tommy si chinò ad accarezzare la testa di Toby, giù
giù fino alle lunghe orecchie, ma continuò a tenere gli
occhi fissi sull’investigatore. “Il fatto che siate passati
da Rossmore Road lo testimoniano le tue scarpe. Certo,
hai cercato di pulire le suole prima di entrare, per non
irritare la signora Hudson. Ma sono rimaste comunque
tracce di fango scuro. Un tipo di fango che si trova solo
vicino a quella fontanella. E poiché per andare lì avete
dovuto allungare un po’ il percorso, suppongo tu lo ab-
bia fatto per permettere a Toby di dissetarsi. E questo
dimostra anche il tuo buon cuore”.
      Tommy arrossì a quel complimento. Per maschera-
re l’imbarazzo chiese: “Già, ma... la mendicante? Quel-
la non ha lasciato tracce. E la partita di biglie?”.
      “Ah, qui ti sbagli, Wiggins. Tutto lascia tracce. Os-
servare, osservare è la prima regola di un buon investi-
gatore. Quando sei uscito di qui, non avevi quel rigon-

36
fiamento prodotto dalle biglie nella tasca destra. Quindi,
ti sei fermato coi tuoi amici per una partitina veloce e
sei anche riuscito a vincere. E poi, l’unico modo in cui ti
sei potuto procurare il calendarietto che ti spunta dall’al-
tra tasca è aver dato una mano alla vecchia mendicante.
Emma lascia sempre un ricordo di quel tipo a chi l’ac-
compagna fino a casa. Poveretta, con quelle gambe ma-
landate...”.
      Tommy ascoltava e fissava il detective. Le sue pa-
role gli scrosciavano addosso come una pioggia impe-
tuosa.
      Era sbalordito.
      Aveva letto tutte le storie di Holmes, e conosceva
la sua capacità di ragionare sui particolari più minuti.
Ma, naturalmente, le storie erano proprio quello: delle
storie; la realtà era ben diversa. Nessuno poteva scoprire
così tanto solo con un’occhiata, figurarsi...
      E invece, era successo proprio quello. E proprio a
lui!
      Non vedeva l’ora di raccontarlo a Sally––
      Sally!
      Nella frenesia di quanto gli era successo, non ave-
va avuto tempo di preoccuparsi di sua sorella. Chissà
dov’era... Certo la loco aveva trasportato anche lei. An-
zi, soprattutto lei, che teneva il cristallo. Ma dove? Se

                                                         37
era a Londra, doveva ritrovarla al più presto. E scoprire
un modo per tornare a casa.
      Ma come fare? Avrebbe dovuto avere sottomano
qualcuno davvero in gamba...
      Ma ce l’aveva! Che stupido era. Poteva chiedere
aiuto a Sherlock Holmes. Se qualcuno era tagliato per
quell’impresa, non poteva che essere lui.
      Si volse verso la poltrona... e rimase a bocca aper-
ta, senza che ne uscisse alcun suono. Perché la poltrona
era vuota e Sherlock Holmes era sparito dalla stanza!

38
Cinque

      Sparito! Svanito nel nulla!
      Tommy fissò per qualche secondo la poltrona vuo-
ta, poi scrutò ogni angolo della stanza. Scosse la testa:
Sherlock Holmes era proprio svanito. Eppure, fino a un
attimo prima...
      “Tu che dici, Toby?”, chiese al cane che sniffava
intorno alla tavola. “Scommetto che questo è un test!
Dopo tutti quei discorsi sull’attenzione ai particolari e
sul ragionare, il signor Holmes ci mette alla prova. Dun-
que, stiamo al gioco. Osserviamo e ragioniamo”, disse,
strofinandosi il mento. Il cane lo osservò girare intorno
alla poltrona e scrutarla, senza notarvi alcunché di inso-
lito. Non era così facile emulare Holmes. Eppure dove-
va esserci qualcosa––
      Prima che Tommy potesse completare il giro della
poltrona, la porta accanto a quella delle scale si spalan-

                                                       39
cò. Fece il suo ingresso un vecchietto curvo, col viso
pieno di rughe e due denti in meno. Teneva in mano un
bastone levigato, che si mise ad agitare in direzione di
Tommy. “Allora, ragazzo, dov’è?”, esclamò con voce
catarrosa, frutto di molti sigari di scarsa qualità. “Dov’è
Holmes? Devo parlargli subito! Non dirmi che non è in
casa neanche oggi, eh?”, disse lisciandosi il ciuffo di ca-
pelli stopposi e ingrigiti che spuntava dal cappello.
      Tommy deglutì di fronte a quell’apparizione. Ma
parlò con voce franca. “Veramente, signore, non le fa-
rebbe male presentarsi, quando entra in casa d’altri.
Quanto––”.
      “Ah, abbiamo la lingua lunga, eh, giovanotto?”, ri-
battè il vecchio avanzando e fissandolo con cipiglio mi-
naccioso. “E poi, è forse casa tua, questa? Avanti, trova-
mi quello svampito di Holmes e informalo che Joshua
Peabody lo vuole per un problema urgente! Muoviti,
forza, non stare lì impalato!”.
      Tommy sentì il viso avvampare di rabbia. Come
osava quel tipo alzare la voce in tal modo? Non era nep-
pure sua, la casa. E definire Holmes uno svampito…
      “Il signor Holmes era qui un attimo fa”, rispose. “E
non appena gli farà comodo, tornerà. Anche se, a dire il
vero––”.
      “A dire il vero, non abbiamo più tempo per i gio-

40
chi”, lo interruppe il vecchietto. Tommy lo fissò. La vo-
ce era cambiata. E––
      Di colpo, sotto i suoi occhi, il vecchio sembrò tra-
sformarsi. Lasciò cadere il bastone, raddrizzò la schie-
na, si tolse cappello e parrucca... lasciando apparire al di
sotto la faccia sorridente di Sherlock Holmes!
      “Accidenti, signor Holmes!”, esclamò Tommy. “È
un travestimento perfetto. Non l’avrei mai riconosciu-
ta...”.
      “Ottimo, Wiggins”, commentò l’investigatore.
Trasse uno specchio da un cassetto e sistemò di nuovo
con cura parrucca e cappello. “Così potrò ingannare an-
che i criminali a cui dobbiamo dare la caccia”.
      “Criminali? Caccia?”, ripeté Tommy.
      “Esatto, ragazzo. E per questo ci sarà indispensabi-
le il nostro Toby”, disse raccogliendo bastone e guinza-
glio. “Andiamo, la partita è aperta!”.

                            *
                          * *
      La nebbia in strada era ancora più fitta. Tommy
aguzzava la vista, ma non riusciva a vedere al di là di
qualche metro. Holmes invece sembrava non accorger-
sene. Si muoveva sicuro. Imboccava una strada dopo
l’altra, svoltava un angolo dopo l’altro, come se splen-
desse il sole. Tommy lo seguiva da vicino, trotterellan-

                                                         41
do come Toby e badando bene a non farsi distanziare,
in quell’atmosfera lattiginosa. Soprattutto, ammirava
l’abilità dell’investigatore che, nonostante il passo ve-
loce, dava ugualmente l’impressione di un vecchio male
in arnese, bisognoso del bastone e di un buon medico.
      Holmes rallentò un poco quando sbucarono in Es-
sex Road. Trasse di tasca una moneta e attraversò la stra-
da. I suoi occhi avevano scorto un uomo accovacciato
sul marciapiede, con la schiena poggiata all’inferriata di
una casa dai balconi inchiodati. Era un cieco, con spessi
occhiali neri e un piattino vuoto davanti. Holmes lasciò
cadere la moneta nel piattino. L’altro ringraziò profusa-
mente, accennando di sì più volte con la testa. Il detecti-
ve scambiò qualche parola, poi tornò verso Tommy.
      Poche decine di metri più avanti, si fermò di nuovo,
indicando qualcosa davanti a loro. Accanto a un lampio-
ne, un vaso scheggiato giaceva sul marciapiede. Dalla
larga imboccatura era sgorgato un rivolo di palline nere
lucide, che giacevano sparse sulla pietre insieme a dei
bastoncini dalla corteccia chiara.
      Holmes girò piano attorno al vaso, tenendosi a una
certa distanza. Scrutò con attenzione il marciapiede e la
strada. Poi, senza parlare, trasse di tasca un fazzoletto.
Tommy ebbe un moto di sorpresa quando lo vide im-
mergere la stoffa bianca in una pozzanghera di acqua li-

42
vida, dai riflessi melmosi, proprio a ridosso del marcia-
piede. Holmes chiamò a sé Toby e gli pose sotto il naso
il fazzoletto impregnato di quell’acqua. Il cane annusò,
poi, naso a terra e coda in aria, cominciò a fiutare in-
torno. Qualche secondo dopo, emise un guaito di gioia.
Sempre annusando, si portò in mezzo alla strada e iniziò
a muoversi all’insù. Reggendo il guinzaglio, Holmes se-
guì il cane, che aveva preso a tirare come un ossesso.
      Tommy raccolse qualche pallina nera, poi si affret-
tò ad accodarsi alla strana coppia. “Posso sapere cosa
cerchiamo, signor Holmes?”, chiese trotterellando al
fianco dell’investigatore. “A dire il vero, non ho capito
molto di questa faccenda...”.
      Holmes indicò Toby, che continuava a seguire una
traccia che lui solo percepiva. “La trappola è scattata,
Wiggins”, disse. “Andiamo a stanare la preda!”.
      Tommy aggrottò le sopracciglia. Non aveva capito
molto di più... Per fortuna Holmes continuò. “Scotland
Yard ha saputo che da un po’ di tempo scompaiono dei
bambini. Bambini poveri, per lo più orfani, senza nes-
suno al mondo. Può darsi che abbiano trovato un posto
nuovo in cui vendere la loro mercanzia... o magari sia-
no andati via da Londra.... Ma è strano che siano spariti
tutti nel giro di pochi giorni. La prima a notare questo
fatto è stata proprio la tua amica Emma. Ha informato

                                                      43
Scotland Yard, che a sua volta si è rivolto a me. Così, in-
sieme abbiamo predisposto delle trappole, grazie a quei
mendicanti ciechi... E una si è richiusa!”.
      “Allora il mio istinto non mi ha ingannato. Ho avu-
to più di un sospetto che quel cieco fosse un suo allea-
to...”.
      “Bravo, Wiggins. E, a dirla tutta, quel signore non
è affatto cieco. È l’ispettore Hopkins di Scotland Yard.
Per tutto il giorno ha sorvegliato una delle possibili vit-
time. Un’orfana di nome Agatha, che vende bastoncini
e caramelle di liquirizia. Proprio quelle che hai raccolto
da terra...”.
      Trattenne il guinzaglio appena prima che Toby ve-
nisse travolto da un carro sbucato da una laterale, poi la-
sciò di nuovo il cane a seguire la pista. “Mentre tornavi
con Toby, gli uomini dell’ispettore mi hanno recapitato
un biglietto: Agatha è stata fatta entrare a forza in una car-
rozza senza targa, fuggita poi a tutta velocità. E qui entra
in ballo il nostro amico a quattro zampe. Non potevamo
seguire la carrozza da vicino, per non rischiare di essere
individuati. E neppure da lontano, in mezzo a questa neb-
bia. Invece Toby è la soluzione perfetta. Potrebbe seguire
una debole traccia di qualsiasi odore fino al Polo!”.
      “Quel fazzoletto che prima gli ha fatto annusare...”,
iniziò Tommy.

44
“Esatto, Wiggins. Dove Agatha ha il suo angolo
per vendere la merce, si forma spesso un’ampia poz-
zanghera... un’idea che le ho suggerito tempo fa: è più
facile che la gente prosegua verso di lei lungo il marcia-
piede, senza scendere in strada; così qualcuno può esse-
re invogliato a spendere una moneta... E proprio quella
pozzanghera ci è tornata utile. Le ruote della carrozza vi
sono finite dentro, mentre si accostava al marciapiede.
Così, Toby ne sta seguendo l’odore. E ci mette anche
tutto il suo impegno, questa brava bestiola. Guarda co-
me tira!”.
      Infatti, invece di essere stanco per il tragitto percor-
so, Toby mostrava sempre più entusiasmo per la caccia.
      Tommy rimuginò un poco sulle parole del detecti-
ve. Non era del tutto convinto. “Naturalmente, speria-
mo che Toby stia seguendo la traccia giusta...”, obiettò.
“Voglio dire, signor Holmes, una traccia di fango è... è
uguale a qualsiasi altra traccia di fango...”.
      Il detective lanciò un’occhiata oltre il parapetto del
ponte che stavano attraversando, poi riportò l’attenzione
su Tommy. “Non questo fango!”, esclamò. “Ti dirò una
cosa. L’acqua di quella pozzanghera è impregnata di una
sostanza particolare... Liquirizia! È di liquirizia l’odore
che Toby sta seguendo!”.

                                                           45
Sei

      Sally e Agatha rimasero in ascolto per un minuto
buono, ma dall’incavo sulla parete non vennero altre vo-
ci. I banditi dovevano essere usciti.
      “Quei loro discorsi non mi piacciono per niente”,
bisbigliò Sally. “Dobbiamo scappare!”.
      “Sì, ma come?”, sussurrò Agatha. “La porta è sbar-
rata. Finestre... c’è solo quel lucernario arrugginito sul
soffitto. Ma è troppo in alto”.
      Sally indicò l’incavo. “Proviamo qui...”, disse.
Sfregò il secondo fiammifero e alla sua luce ispeziona-
rono il muro. Una parte di mattoni era stata asportata
da tempo. Restava solo una sottile intercapedine che si
sfaldava per la forte umidità.
      Il fiammifero si spense, ma ormai Sally aveva una
chiara idea di cosa fare. Spiegò ad Agatha sottovoce il
suo piano. L’altra annuì. Si sfilò una scarpa e, rabbri-

46
videndo, posò il piede sul pavimento gelido. Armeggiò
sulla calzatura e riuscì a levare la fibbia di metallo. La
calzò di nuovo e ripetè il procedimento con la seconda.
Sally, intanto, armata della prima fibbia, aveva iniziato
a scalfire i mattoni. La terracotta era talmente fradicia e
malridotta che in pochi colpi decisi riuscì ad asportare
quasi metà mattone. Quando Agatha le diede man forte
con la seconda fibbia, il lavoro procedette spedito. Un
lumicino di speranza iniziò a brillare nell’animo di Sal-
ly. Con un po’ di fortuna ce l’avrebbero fatta. Bastava
allargare l’apertura di quel tanto da poterci sgusciare at-
traverso. Poi, una volta passate, sarebbero corse via co-
me il vento. E sfidava chiunque, anche il cane, a trovarle
nel labirinto di strade e stradine. E non appena avessero
incontrato un poliziotto, sarebbero state al sicuro.
      Lavora di fibbia, Sally, non di fantasia, si disse, ac-
corgendosi di avere rallentato il ritmo di scavo.
      Si rimise di buona lena a smangiare i frammenti di
mattone. Ma il lavoro rallentava comunque. I mattoni
più interni non erano corrosi come le parti esposte ed
era una gran fatica staccarne anche solo dei pezzetti, con
quelle piccole fibbie.
      Si fermarono a far riposare le dita doloranti.
      “Dobbiamo lavorare più in fretta”, disse Sally. “O
trovare un modo migliore”.

                                                          47
“Potremmo tendere una trappola a uno dei banditi.
Attirarlo dentro e poi saltargli addosso. Tutt’e due insie-
me, forse ce la faremo a buttarlo a terra. E poi, fuori del-
la porta e via...”, propose Agatha.
      Forse non era un’idea troppo furba. Ma, nelle con-
dizioni in cui si trovavano, era sempre meglio che conti-
nuare quello scavo faticoso e senza futuro.
      “Val la pena di tentare, d’accordo”, acconsentì
Sally.
      Accese il penultimo fiammifero. Fece una smorfia
alla vista delle dita dalla pelle sbucciata e arrossata, poi
si affrettò con Agatha verso la porta. Ma erano appena a
metà stanza, che il battente si spalancò. Nel vano illumi-
nato si stagliò la sagoma di uno sconosciuto.

                            *
                          * *
      “Ehi, che succede, piccolo?”, chiese Tommy. Hol-
mes gli aveva offerto di tenere il guinzaglio e lui aveva
accettato con entusiasmo. Aveva continuato a cammina-
re di buon passo dietro a Toby, che trotterellava col suo
modo buffo di procedere, ma non esitava mai. Aveva-
no superato negozi e vetrine che esponevano ogni sorta
di mercanzia e prodotti. Tommy aveva scoperto che il
“Crinodene” era “il migliore rivitalizzante per capelli”,
mentre le “Pillole Beechams” guarivano un elenco di

48
malattie lungo come la loro scarpinata.
       Il ragazzo stava ancora guardando gli annunci
quando, improvvisamente, Toby si era messo a fiutare
in tondo.
       “Si direbbe che la traccia si sia confusa”, osservò
Holmes. “Oppure potrebbe darsi che–– Ma certo, ecco
perché!”.
       In due passi delle sue lunghe gambe raggiunse il
marciapiede di fronte a loro. Tommy lo seguì con il ca-
ne che continuava a fiutare. Due monelli stavano curvi a
raccattare una dozzina di scatole di fiammiferi sparse sul
marciapiede. Appena Holmes spuntò dalla nebbia, fece-
ro un balzo e fuggirono lungo il marciapiede. O meglio,
tentarono di farlo, perché le braccia di Holmes li acciuf-
farono dopo qualche metro. Tommy arricciò il naso. I
due emanavano un odore pungente. Tannino. Doveva-
no aver lavorato per un po’ alla concia del cuoio, ma di
sicuro non erano abbastanza abili o fidati e li avevano
cacciati. Di quell’attività era rimasto loro addosso solo
l’odore acre.
       “Ci lasci andare! Non abbiamo fatto niente!”, escla-
marono i due, mentre il detective li riportava indietro.
       “Calma, calma, ragazzi”, li rassicurò Holmes. “Già
il fatto che gridiate di non aver fatto nulla potrebbe far-
mi sospettare il contrario. Ma non ho tempo per questo.

                                                        49
Puoi anche leggere