Le avventure di Tommy e Sally nella Londra di Sherlock Holmes - Gianfranco Cazzaro
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Gianfranco Cazzaro Le avventure di Tommy e Sally nella Londra di Sherlock Holmes
Gianfranco Cazzaro LocoSherlock Le avventure di LocoMondo n. 1
© 2009 Gianfranco Cazzaro – Zzar Books http://locomondo.altervista.org locomondo@altervista.org Seconda edizione dicembre 2009
Uno “Ragazzi! La locomotiva! Tommy... Sally! Dove siete?”. Era la voce di papà. Tommy e Sally abbandonarono i giochi e si preci- pitarono fuori casa. La locomotiva! Il babbo era stato di parola! Ne aveva promesso un modello a vapore come quello che aveva da bambino. Ma c’era sempre qualche intoppo. Prima il negozio era chiuso, poi non aveva il modello, poi era scoppiato lo sciopero... Il giorno in cui avrebbero avuto il giocattolo si allontanava di continuo... Ma finalmente... I due fratelli sbucarono correndo in giardino. E si arrestarono di colpo. “Papà è a mani vuote!”, esclamò Sally indicando babbo e mamma che li osser- 5
vavano sorridendo, appoggiati allo steccato dipinto di bianco. “Già, ma tu lo conosci... Guarda come ride sotto i baffi... Deve averla nascosta da qualche parte!”, replicò Tommy. “Avanti, cerchiamo!”. “Okay, dividiamoci. Tu oltre il pesco, io di qua dal pozzo”. Perlustrarono in fretta ogni angolo del giardino: ce- spugli, macchie di fiori, alberi da frutto, aiole verdi... Niente. Nessun pacco. Nessuna scatola. Nessun regalo. Nulla di nulla. “Papà”, mormorò Sally, avvicinandosi strascican- do i piedi. “Che scherzo stupido...”. “Avevi promesso!”, disse Tommy. “Invece...”. “Ehi”, esclamò il padre incrociando le braccia. “Da quando in qua avete smesso di fidarvi?”. Tommy scrollò la testa. “No, noi ci fidiamo, papà. Ma tu––”. Le parole si persero in un frastuono sempre più forte. Un grosso autotreno luccicante spuntò dalla curva in fondo alla strada. Avanzava a passo d’uomo, mentre sbuffi di fumo si condensavano sopra la cabina, che esi- biva a grandi lettere la scritta “Billy 101”. Il conducente, un omone tarchiato, con la testa lucida e un fazzoletto- 6
ne rosso al collo, scrutava le case da un lato e dall’altro della strada. Il babbo saltò la recinzione. “Qui! Da questa par- te!”, esclamò, facendo ampi gesti con le braccia. “Qui, Billy!”. L’automezzo si arrestò accanto allo steccato e il fra- stuono diminuì. L’autotreno era splendido, rosso scarlat- to con finiture color azzurro e oro. Ma ad attirare l’atten- zione fu la cosa gigantesca fissata con grossi cavi sopra il pianale. Era... era una locomotiva! Una locomotiva vera! Billy saltò giù, portò due dita al frontino del ber- retto. “Salve, gente. Dove lo volete questo gioiello?”, chiese. Tommy sentiva il cuore pulsargli in gola, mentre osservava suo padre e l’autista parlare e indicare. Non riusciva a capire nulla, solo a fissare quella... quella lo- co. Ecco. Il nome era perfetto. Loco. Come incantato, osservò Billy piazzarsi accanto al pianale dell’autotreno. Sotto il tocco esperto delle sue di- ta, che azionavano a tratti le corte leve gialle, la gru a ri- dosso della cabina sembrò prender vita. Si sollevò come un drago dei mari che stringesse tra le fauci la gomena di una nave vichinga... E davvero un cavo pendeva aggan- ciato all’estremità della gru. Ed emetteva a tratti degli 7
inquietanti cigolii. Il motore aumentò i giri quando Bil- ly fece sollevare la testa del drago. Le ciminiere del ca- mion vomitarono un denso fumo che aleggiò in una nu- vola scura sopra le chiome degli alberi e si disperse alla brezza leggera. Il drago sollevò due rotaie di metallo an- nerito, collegate da traversine imbullonate, e le calò con precisione sulla piazzola di cemento dell’angolo giochi. Erano delle vere rotaie, osservò Tommy, mentre l’autista sganciava il cavo e rimetteva la gru in posizio- ne sopra la grande locomotiva. Tommy si chinò a osser- vare il binario. Se socchiudeva gli occhi, sembrava di osservare una strada ferrata che si perdeva lontano. Un’ombra passò su di lui, oscurando il sole. Tom- my si trovò di colpo seduto per terra, mentre la locomo- tiva, agganciata alla gru con cavi d’acciaio grossi quan- to le sue braccia, pendeva a qualche metro da terra. Billy manovrò le leve con perizia e la grande macchina con- tinuò a spostarsi lentamente, ondeggiando lieve come mossa da una brezza leggera. Doveva pesare tonnellate, ma sembrava soltanto un enorme giocattolo gonfiabile. Il motore aumentò il ruggito man mano che la loco si scostava dall’autotreno. Fino a diventare un fragore as- sordante che obbligò Tommy e tutti gli altri a coprirsi le orecchie. Solo Billy sembrava incurante del rumore. Con un sorriso appena accennato, lo sguardo fisso sul- 8
la locomotiva, continuava a spostare e a rilasciare dol- cemente le leve gialle. Finalmente, la grande macchina calò a terra. Clang! Una coppia di ruote colpì il binario. Clang! Cling! Cling! Le ruote si posarono con precisione sulle rotaie. Il ruggito del motore diminuì di colpo. “Fermi, ragazzi! Qualche altro momento ancora”, esclamò Billy, allungando le braccia a palme aperte a fermare Tommy e Sally che balzavano verso la loco. Il tempo non passava mai, mentre Billy, con tutta la calma del mondo, sganciava i cavi e riportava la gru sul pianale dell’autotreno. Finalmente, salì in cabina e ne riemerse con un fascio di fogli. “Ora potete andare, ragazzi”, disse. Poi continuò rivolto al papà. “Quanto a lei, un paio di firme qui in fondo e questo gingillo è tut- to vostro”. Tommy non aveva interesse per le scartoffie. Si lanciò verso la loco, in coppia con la sorella. Era una macchina davvero enorme. Gigantesca. “Sarà lunga... venti metri!”, esclamò. “Esagerato...”, ribattè Sally. Contò i passi dalla ca- bina sul retro fino ai respingenti sul davanti. “Un po’ più 9
di dieci”, calcolò. “Facciamo dodici metri, d’accordo? Ehi, dove sei finito?”. Tommy era già in cabina. Ding! Ding! Ding! Allo scampanellio argentino, anche Sally si arrampicò in fretta e afferrò la cordicella. Ding! Ding! Ding! Ding! La campanella rispose anche ai suoi strappi con rintocchi squillanti. I due fratelli osservarono estasiati i quadranti di cui era disseminata la cabina, gli indicatori di temperatura, di velocità, di pressione, di accelerazione e chissà che altro. Tubi misteriosi correvano lungo tutta la parete, un grosso sportello ovale si apriva in basso, azionato da un pedale di ferro consumato. Tommy e Sally provarono i due sedili di metallo a destra e a sinistra, poi saltarono giù e ammirarono il lungo profilo panciuto e il fumaio- lo che svettava davanti alla campana per la sabbia e alla campana del vapore. Accarezzarono la coppia di grandi ruote alte quasi come loro, al centro della loco, e i grossi cilindri sopra il carrello di ruote più piccole, con i lunghi assi che le collegavano ai pistoni... Era davvero una bellezza. Ed era tutta per loro… Incredibile. A Tommy pareva di librarsi in un sogno... “Allora, ragazzi, vi piace?”, chiese papà dietro di loro. C’era bisogno di chiederlo? Ma a volte gli adul- 10
ti – anche mamma e papà –, avevano bisogno di essere rassicurati. Così... “Papà, sei grande!”, esclamò insieme a Sally. “Ehi”, sorrise il padre. “Avevo promesso, no? Una bella locomotiva...”. “Certo, caro. E doveva stare in un pacchetto, no?”, osservò la mamma con un sorriso divertito. “Beh, se lo si prende abbastanza grande...”. “...Sì, abbastanza per una balena!”, rise Tommmy. “Comunque, è stata una bellissima idea”, prose- guì la mamma. “Perciò, tutti noi ti diciamo ufficialmen- te grazie”. Si sollevò in punta di piedi e gli schioccò un bacio. “Ringraziamenti accettati”, disse il papà. Poi, come se se ne fosse ricordato solo allora, aggiunse: “A propo- sito, sapete che dietro questa macchina si nasconde un mistero?”. “Oh, oh”, pensò Tommy. Papà aveva assunto l’aria “da professore”: non c’era modo di evitare la lezione. “Locomotive come questa, a carbone, hanno fatto un gran lavoro”, cominciò il papà–prof. “Per un paio di secoli hanno davvero mosso il mondo. Poi sono andate in pensione, sostituite da nuove macchine più veloci ed efficienti. In realtà, però, la nostra locomotiva è stata messa a riposo già parecchi anni prima”. 11
Passò la manica su un respingente che brillava un po’ meno dell’altro, poi continuò. “Pare incredibile, ma nessuno voleva più condurre questo gioiello. Nessun fuochista voleva spalarvi carbo- ne. Nessun macchinista ci voleva più salire”, continuò. Era successo durante una corsa in mezzo alla fore- sta, sotto una tremenda tempesta di pioggia, vento e nevi- schio. D’improvviso – raccontavano – un globo azzurro e bianco, più accecante del sole, era apparso di colpo sui binari. La loco vi era finita dentro a tutta velocità. Ogni cosa era diventata azzurra e bianca, incandescente... Come se il tempo si fosse fermato... Poi di colpo la foresta era riapparsa, senza più trac- cia di quello strano sole. Ma la loco era cambiata, so- stenevano. Aveva un’intelligenza propria. Si rifiutava di lasciarsi guidare. Un’idea assurda, naturalmente. Eppu- re... nessuno ci voleva più salire. Così era finita in de- posito, dimenticata, finché il papà non l’aveva scoperta e acquistata. “Grande! Una loco stregata!”, esclamò Tommy. “Sally, pensa alle avventure... in mezzo a torme di india- ni, in corsa indiavolata tra i ghiacci, sospesi nello spazio in monorotaia...”. “Finora ho contato più di duecento bulloni”, lo in- terruppe la sorella. “E chissà quanti ce ne sono. E val- 12
vole, e giunti... Non vedo l’ora di mettermi a lavorare su qualcuno dei più grossi”. Sally aveva la passione della meccanica. “E io ti farò il ritratto mentre ti sporchi di grasso come al solito”, aggiunse ridendo Tommy. A lui interes- sava di più l’arte. Entrambi si sfregarono le mani. Sally come se si pulisse su uno straccio le mani sporche di lubrificante, Tommy come se le pulisse dai colori a olio. Si fermarono, accorgendosi ognuno dei gesti dell’altro. Si fissarono un momento. E scoppiarono a ri- dere. Papà e mamma li abbracciarono forte. 13
Due A cena, pizza. Più una fetta di dolce. Poi una bel- la porzione di gelato. Patatine. Coca Cola. Cioccolato. Caramelle assortite. Popcorn... Forse per quell’abbuffa- ta galattica, o per il pensiero della loco, tutta sola in giar- dino, Tommy non riusciva a prender sonno. Gli bruciava la pancia. Gli formicolavano le gambe. Gli sfrecciavano in testa immagini di pioggia torrenziale, tuoni assordan- ti, luci azzurre... Si stava girando per la millesima volta, quando si bloccò di colpo. “Pssst!”. Spalancò gli occhi. La luce della luna filtrava at- traverso il balcone socchiuso e... Una forma vagamente umana, biancastra, spettrale, avanzava dalla porta verso di lui. Il cuore gli balzò in gola... un brivido gli attraver- sò la schiena. Riuscì a non gridare. 14
Per fortuna, perché non era un vero fantasma. Era Sally, nella sua candida vestaglia a pupazzetti. “Pssst! Tommy, Tommy...”, continuava a bisbiglia- re. “Che c’è? Proprio adesso che riuscivo a dormi- re!”. “Dormire!? Scherzi? Io non riesco che a pensare alla loco”. “Sss, abbassa la voce! Non avrai intenzione di an- dar fuori? Di notte?”. “Perché? Tu no?”. Il tono di Sally non ammetteva discussioni. “Io ci vado di sicuro. Solo... mi servirebbe la tua pila. La mia non va. L’ho usata per un esperimento e il vetro si è rotto”. “Tu e la tua mania di smontare le cose... “, bron- tolò Tommy, ma scese lo stesso dal letto. Rovistò nel canotto gonfiabile, dove teneva le sue cose. Qualche se- condo dopo riemerse proiettando un fascio di luce sulla parete. Si infilò la prima maglietta e i primi jeans che gli capitarono sottomano. Sally lanciò la vestaglia sul letto. Sotto, era già pronta, tutta vestita. Scivolarono sul pianerottolo e rimasero immobili per un lungo minu- to. Tutto taceva. Mamma e papà dormivano profonda- mente. Senza far rumore, sgusciarono giù per le scale e uscirono in giardino. 15
* * * Un cane abbaiò lontano. Una volta. Due volte. Tommy aspirò l’aria della notte, che sapeva di un profu- mo fresco e bagnato. La luna illuminava il paesaggio di un chiarore di neve. Le foglie fremevano leggere. L’er- ba, tanto scura da sembrar nera, luccicava di goccioline minute. “Accidenti”, esclamò Tommy, “ho i piedi fradi- ci!”. “È solo rugiada. Poi si asciuga... Però, che stra- no...”, disse Sally arrestandosi a pochi passi dalla loco. “Cos’è strano?”. Sally non rispose. Passò le palme sul metallo lu- cido e rotondo di un pistone. Le appoggiò sul robusto asse che correva parallelo alle ruote. Poi le volse verso Tommy. “Fai luce”, disse. Tommy premette il pulsante e la luce della pila illuminò di colpo le palme bianche di Sally. “Beh?”, chiese. “Guarda, la loco è asciutta. Ma tutto intorno è zup- po di rugiada. Come lo spieghi?”. “Non lo so. Sei tu la scienziata. Anzi, no, la spiega- zione è semplice. L’ha detto papà: la loco è stregata!”. “Stregata... stupidaggini. Ci dev’essere una spiega- zione naturale... ah, e non è neanche troppo difficile. Ci saresti potuto arrivare anche tu. Guarda, la loco è di me- 16
tallo, giusto? Ha assorbito il calore del sole. Quando la rugiada è scesa, qui è subito evaporata. Semplice, no?”. “Ehi, davvero impressionante!”, convenne Tommy, facendo scivolare i raggi della pila sulla loco e il terreno intorno. “E anche davvero impossibile. Guarda qui, que- sto come lo spieghi?”. Si chinò accanto alle ruote: alla luce della pila, mi- nuscole gocce di rugiada brillavano sulle rotaie. “Anche questo è metallo. Ma mica è asciutto... Ho ragione io, la loco è stregata!”, disse. “Oh, certo”, ribattè Sally, alzando le spalle con una smorfia. “Magari adesso si metterà a svolazzare in aria! Anzi, no, si trasformerà in un dinosauro mostruoso e di- vorerà la città!”. Parlava in tono esasperato, ma non aveva la solita espressione della Sally sicura di sé. Così Tommy conti- nuò: “Puoi dire quello che vuoi. Non cambierò idea. La loco è stregata. E io... ne sono arcicontento!”. “Oh, basta con le chiacchiere”, tagliò corto la so- rella. “Mica siamo venuti per parlare, no? Voglio gioca- re con la loco!”. Alla luce della pila, salirono sul predellino e si is- sarono in cabina. 17
* * * “Quante leve!”, esclamò Sally con voce estasiata. “Voglio scoprire come funzionano”. “Ti ci vorrebbe un macchinista”, disse Tommy, stu- diando il profilo della loco contro lo sfondo degli alberi. “Anche se papà ha detto che nessuno le sa più guidare, queste macchine. Adesso è tutto automatico. Schiacci i bottoni e fanno tutto da sole...”. “Ha parlato l’esperto”, ribattè Sally. “Non capisci nulla di queste cose. Sennò sapresti che non è tutto così facile”. “Guarda qui”, disse Tommy, indicando il robusto sportello nero. “Non sarò un esperto, ma so che si chia- ma ‘focolare’. È la fornace, dove ruggivano le fiam- me!”. Premette la leva col piede e lo sportello si spalan- cò. Fece scorrere all’interno il fascio della pila. Ne ri- cavò l’impressione di un’enorme pancia buia, qua e là graffiata e riparata con lamine e bulloni. “Ehi, pensavo fosse vuoto, qui dentro”, disse Sally. “Invece, guarda quanto carbone. Sarà rimasto dall’ulti- mo viaggio...”. “Il viaggio in cui è diventata magica!... Ehi, non toccare, Sally. Ti sporcherai tutta”. La voce di Tommy 18
rimbombava all’interno della cavità, ma Sally non stette ad ascoltare. Continuò ad allungare il braccio nella for- nace e a frugarvi dentro. A un tratto lo ritirò di colpo. “Preso!”, esclamò. Tommy scosse la testa: il carbone aveva annerito la manica della sorella. Che le avesse anche affumicato il cervello…? “Hai trovato una pepita d’oro?”, sbuffò. Sally non rispose, ma alzò il pugno mettendolo be- ne in vista. Aprì le dita a una a una ed espose la sua sco- perta: un bellissimo cristallo, che brillava di riflessi ver- di alla luce della pila! Tommy sgranò gli occhi. Ma non ebbe tempo per altro. La loco sembrò sbriciolarsi in minuscoli fram- menti. Tommy afferrò il braccio di Sally. Ma la sorella gli venne strappata via, mentre affondava roteando in un vortice infinito. 19
Tre Sally si sentì gelare. Il freddo le penetrò nelle os- sa d’improvviso. Il più intenso che avesse mai provato. Rabbrividì. Cos’era successo? Dove si trovava? Ricordò di colpo il cristallo verde, il bagliore di smeraldo... Dov’era Tommy? E quei suoni intorno? Di sicuro quello non era il giardino. No. Si trovava all’angolo di un strada, in mezzo a una nebbia giallastra, che si spostava in gelide fola- te. Tra gli squarci della nebbia intravide case di pietra grigia e cremisi, e lunghe cancellate nere coperte da un velo di brina. La superò una coppia di passanti, infagot- tati in lunghi cappotti scuri, con in testa lucidi cappelli a cilindro. E non c’era traffico, nessuna macchina... anzi, no, sgranò gli occhi quando un veicolo le passò davanti sfer- 20
ragliando sull’acciottolato: era una carrozza tirata da ca- valli! Sally aspirò l’aria che sapeva di fuliggine e la sof- fiò di nuovo in una candida nuvola di vapore gelato... In quel momento, la storia della loco stregata non le sem- brava più così impossibile. Abbassò gli occhi a guardarsi. Era ancora tutta in- tera? Le sembrava di sì, ma i suoi vestiti erano cambiati. Indossava un abitino corto, con uno strappo lungo la ma- nica, e uno scialle d’un rosso sbiadito. I piedi calzavano un paio di scarpe troppo grandi, logore e ammaccate. Un cappello di lana e una sciarpa gialla sfilacciata comple- tavano il tutto. Neanche l’ombra di calzini o di un bel paio di guanti. O di un morbido paraorecchie... Accanto a sé, sul marciapiede, aveva una scatola di cartone aper- ta, con delle scatoline azzurre e dei pezzi di spago. Le sue dita intirizzite stringevano altre due scatoline. Per qualche strano motivo, Sally scoprì di cono- scerne il contenuto. Ne aprì una per controllare. Aveva ragione, conteneva proprio fiammiferi. “Quanto costano, piccina?”, la interruppe una vo- ce. Una signora anziana, avvolta in un morbido cappotto di lana, la stava fissando. Sally scoprì di conoscere la risposta. Consegnò i fiammiferi alla donna e accettò una monetina. 21
“Così, questa è la città di Londra più di un secolo fa...”, si disse. “E io vendo fiammiferi. Mi chiamo Mol- ly. In fondo, non è così diverso dal mio nome...”. Battè i piedi per terra, tentando di scaldarli. Si stro- picciò le mani e le infilò in tasca assieme alla moneti- na. Era bella lucida, ma valeva troppo poco per com- prarsi qualcosa di caldo. Doveva vendere altre scatole di fiammiferi. Parecchie altre... Il che era improbabile. Con quel freddo e la nebbia non c’era molta gente in giro. E tutti parevano aver fretta di rifugiarsi in qualche posto caldo e accogliente. Ma forse quel signore... Sally osservò speranzosa l’uomo che camminava verso di lei. Era basso di statura, robusto, col cappello calcato sulle orecchie e protetto da un’ampia sciarpa che gli copriva quasi tutto il volto. Si fer- mò proprio davanti a lei e indicò la scatola ai suoi piedi. “Dammene tre”, brontolò. Sally si chinò a prendere i fiammiferi. Ma non riu- scì neppure a sfiorarli. L’uomo l’afferrò per la vita e la sollevò come una bambola. Con un unico movimento la buttò in una carrozza che si era accostata al marciapie- de. Sally fece per gridare, ma una rozza mano le tappò la bocca e una voce minacciosa le intimò di non fiatare. Lo sportello si richiuse di colpo e la carrozza partì di gran carriera. 22
* * * Tommy salì a due a due i gradini e raggiunse il pianerottolo protetto da uno spesso tappeto. Si volse a guardare indietro la signora grassa che sbraitava per le macchie di fango che aveva lasciato. In quel momento, la porta di fronte a lui si spalancò. Un signore alto e ma- gro, dal naso affilato, lo invitò a entrare nella sua stanza, riscaldata dal fuoco vivace del caminetto. “Non si preoccupi, signora Hudson”, esclamò l’uo- mo. “Terrò a bada io questo monello”. Senza attendere risposta, rientrò nella stanza e chiu- se la porta dietro di sé. “Bene, Wiggins”, disse rivolto a Tommy. “Puoi anche andare a scaldarti. Non temere, la signora Hudson è una brava padrona di casa, ma è fana- tica della pulizia. E non ha in grande simpatia voi mo- nelli di strada”. A Tommy non parve strano esser chiamato Wiggins. Sentiva che in quel momento il suo nome era quello. Era un nome abbastanza piacevole. Un po’ scivoloso, maga- ri, ma tutto sommato piacevole. E non era male neppure quel tipo, pensò, guardandolo mentre si accomodava in poltrona reggendo in mano una pipa dal lungo bocchino. “Ho un compito per te, ragazzo mio”, continuò lo sconosciuto, sottolineando le parole col movimento del- 23
le lunghe dita macchiate d’inchiostro e di sostanze chi- miche. “Come vedi, il mio amico Watson non c’è. Un viaggio urgente lo terrà lontano qualche giorno. Quindi, mi servi tu e forse anche i tuoi Irregolari”. Tommy spalancò la bocca. Il cuore prese a battergli furioso in petto. Aveva udito bene? Non si stava ingan- nando? Quell’uomo aveva parlato del dottor Watson, aveva nominato gli Irregolari... ma allora non poteva... doveva... era di sicuro Sherlock Holmes, l’investigatore, uno dei suoi eroi preferiti! Ne aveva letto e riletto tutte le avventure. E adesso era proprio in casa sua, a Londra, al 221/B di Baker Street! Si sentiva la testa frastornata, come se la stanza gli vorticasse intorno, e per poco non perse le parole di Hol- mes. Si stropicciò gli occhi e fece un profondo respiro. I sensi gli si schiarirono a sufficienza per udire di nuovo: “... a questo indirizzo: Pinchin Lane 3, sulla parte più bassa di Lamberth. Il padrone si chiama Sherman. Digli che ti mando io e che mi serve Toby. Capito?”. Tommy afferrò al volo la moneta che gli lanciava il detective e assentì. “Perfetto, signore”, rispose. “Si fidi di me”. Aprì la porta e sgattaiolò lungo le scale. La signora Hudson era affaccendata in cucina, così scivolò in strada indisturbato. 24
Si ritrovò in un oceano di nebbia e di fuliggine che si posava dappertutto. Avvertì un bruciore acre in gola. Appoggiò la mano all’intonaco gelido della casa e tos- sì più volte, senza potersi trattenere. E poi parlavano di inquinamento al suo tempo, pensò. Non sapevano quel che dicevano... Dopo qualche istante affannoso, riuscì a respirare in modo più libero. Si avviò lungo Baker Street, supe- rò una serie di vetrine fiocamente illuminate, svoltò in una viuzza sulla destra e si inoltrò in un dedalo di vico- li. Scoprì di non avere difficoltà a orientarsi, anche se di certo non era mai stato a Londra. E men che meno al tempo di Sherlock Holmes! Non lo ostacolava neppure la nebbia, con le sue lente volute giallastre. Anzi, si sen- tì d’un tratto allegro ed eccitato, proprio come i monelli di strada che davano ogni tanto una mano ad Holmes. Si strinse addosso la giacca troppo corta, tirò più in giù il berretto per proteggersi dal freddo intenso, infilò le ma- ni in tasca e proseguì canticchiando. Non impiegò molto per arrivare a destinazione. Svoltò in Pinchin Lane e bussò con insistenza al nume- ro 3. Non rispose nessuno, così picchiò più forte. Final- mente, da una finestra al piano superiore una voce sgar- bata gli intimò di farla finita, altrimenti... “Signor Sherman! Mi chiamo Tomm–– Wiggins!”, 25
gridò Tommy, accostando le mani alla bocca. “Vengo da parte del signor Holmes!”. Come se avesse pronunciato una parola magica, la voce tacque di colpo. Qualche secondo dopo, la porta si spalancò. Tommy si trovò sotto lo sguardo sospettoso di un vecchietto magro magro, dalle spalle cadenti e gli oc- chi quasi invisibili dietro le lenti affumicate. “Il signor Holmes, hai detto? Sei sicuro? Non mi stai prendendo in giro, vero?”, lo interrogò con voce stridula. “Le assicuro, signor Sherman, è la sacrosanta ve- rità. Sarebbe venuto il dottor Watson, ma è fuori città, così è toccato a me”. “Ah, bene, bene, allora. Se ti ha mandato il signor Holmes, scommmetto che gli serve Toby, eh? Ho ra- gione?”. “Proprio così, signor Sherman”, confermò Tommy. Seguì il vecchio oltre la soglia e lo osservò staccare un guinzaglio da un chiodo e avviarsi lungo il corridoio. Fece qualche passo in avanti e scorse file e file di gabbie. Da ognuna lo fissavano piccoli animali dagli oc- chietti vivaci e curiosi. Dopo qualche minuto, il signor Sherman fu di ri- torno. Teneva al guinzaglio un cane dal lungo pelo bian- co e marrone. Appena lo scorse, la bestiola gli saltò in 26
braccio e cominciò a scodinzolare e a leccargli il viso in lungo e in largo. “Basta così, Toby. Comportati bene!”, ordinò il vecchio. Afferrò il cane e lo poggiò sul pavimento. “Di- rei proprio che tu gli sia simpatico, direi”, osservò, men- tre Tommy si ripuliva il viso con la manica della giac- chetta. Tommy accettò il guinzaglio che l’uomo gli porge- va, fece un cenno di saluto e riprese la direzione dalla quale era arrivato. Toby lo seguiva, trotterellando al suo fianco con un’andatura buffa e scoordinata. 27
Quattro Scaraventata nella carrozza, Sally cercò un appi- glio. La vettura vibrava tutta, trainata dai cavalli al ga- loppo. Le ruote sobbalzavano sui ciottoli della strada, tra gli schiocchi della frusta e lo scalpitio degli zocco- li. Un modo sicuro per causare qualche incidente, con quella nebbia. Ma in quel momento a Sally premeva di più evitare di cadere e farsi male. Una mano la sostenne un istante e l’aiutò a issarsi sul sedile. Una mano piccola e delicata, non la manaccia rozza che le aveva tappato la bocca. Apparteneva a una ragazzina suppergiù della sua età. Aveva le trecce bionde coperte da un ampio berret- to che le scendeva fino alle orecchie e le nascondeva in parte il viso. Sally la giudicò simpatica e le rivolse un sorriso di ringraziamento. Aggrottò le sopracciglia, invece, verso l’altro oc- cupante della carrozza, uno spilungone tutto pelle e os- 28
sa, con i denti in fuori e i capelli in ciocche disordinate. Continuava a fissarla con espressione divertita, come se ci fosse qualcosa di allegro in quella situazione. “Benvenuta, ragazzina”, gracchiò l’uomo. Aveva la stessa voce di una gazza che Sally aveva visto allo zoo. “A quanto pare Saul ha trovato un altro esempla- re”, ghignò. Gli occhi dell’uomo erano pungenti come aghi, ma Sally riuscì a non abbassare lo sguardo. Fu l’uomo inve- ce a strofinarsi gli occhi, che avevano preso a lacrimare, e ad asciugarseli con un fazzoletto pieno di macchie. “Visto che dobbiamo lavorare insieme, tanto va- le conoscerci”, proseguì l’uomo. “Il mio nome è signor Rudy. Ricordate bene. Signor Rudy. Tu come ti chia- mi?”. Si rivolgeva a Sally, ma lei le ignorò. “Dove mi state portando? Cosa volete da me?”, chiese invece. Alla sua voce, anche l’altra ragazza sembrò ani- marsi. “Esatto. Perché ci avete rapito? Vi pare che pos- siamo essere ricche? Io no di sicuro. Non ho nessuno al mondo e nessuno si preoccupa per me. Non ricaverete un centesimo––”. “Fate silenzio!”, sbraitò l’uomo levandosi dal sedi- le. “Silenzio, ho detto!”. Le due ammutolirono. L’uomo si bilanciò sulle lun- ghe gambe e allungò le braccia per sostenersi. La car- 29
rozza aveva moderato un po’ la velocità, ma ugualmen- te scossoni e sobbalzi minacciavano di buttare a terra i passeggeri. “Ah, così le maniere buone non funzionano, eh?”, continuò Rudy. “Va bene, se non volete fare una brut- ta fine, vi conviene obbedire senza fiatare. Allora, ti ho chiesto come ti chiami!”, esclamò, rivolto di nuovo a Sally. Era meglio non complicare quella situazione già poco allegra, così Sally rispose: “Io... tutti mi chiamano Molly”. Anche l’altra ragazza sembrò essere scesa a patti. “Io sono Agatha....”, disse piano. Sally la osservò con maggiore attenzione. Agatha indossava un abito rattoppato in diversi punti e aveva le dita macchiate di nero. Emanava uno strano profumo, una fragranza familiare, che però non riusciva a identifi- care. La carrozza intanto continuava a filare, affrontan- do una curva dopo l’altra di gran carriera. Sally tentò di dare un’occhiata fuori, ma i finestrini erano coperti da pezzi di stoffa inchiodati. Comunque, con quella nebbia e a quella velocità, non avrebbe visto granché. Viaggiarono ancora per diversi minuti. Poi final- mente la carrozza rallentò. Si fermò con un lungo ci- golio. 30
“Siamo arrivati. Scendete!”, ordinò Rudy. Spalan- cò lo sportello e saltò a terra. Afferrò Agatha e Sally per un braccio e le tirò giù. Sally riuscì a intravedere un ar- co di pietra e un cortile ingombro di rottami, prima che Rudy la trascinasse oltre una porta e la depositasse con Agatha in una stanza umida e spoglia. In quel momento Sally intuì quale fosse il profumo di Agatha. Era un profumo singolare: quella bambina odorava di liquirizia! “State qui buone e non fate rumore!”, intimò Rudy. “E non vi venga in mente di scappare... Sentite?”, disse sollevando l’indice. Da qualche punto poco lontano un cane abbaiava con ferocia. Doveva essere grosso, a giu- dicare dal volume dei latrati. “Il mio amico Diavolo vi troverebbe in un attimo. E non vi piacerebbe farvi mas- saggiare dalle sue zanne. No davvero”. Scoppiò in una risata senza senso e sbatté la porta dietro di sé, lascian- dole nel buio quasi completo. “Dove ci hanno portato? Cosa vogliono farci?”, chiese Agatha in un sussurro. Certo non avevano intenzioni gentili, pensò Sally, mentre i suoi occhi si abituavano alla fioca luminosi- tà della stanza. Riuscì a scorgere solo pareti nude e un pavimento di terra battuta. In qualche punto la terra era smossa e fradicia, ed emanava un odore acidulo e nau- 31
seante, come di radici putride. Si frugò in tasca e tro- vò una scatolina mezzo schiacciata. Al tatto ne sondò il contenuto. Uno, due, tre, quattro bastoncini. Quattro fiammiferi. Ne sfregò uno e la fiammella improvvisa guizzò e diffuse un vago chiarore. Sally osservò con disgusto le macchie di umidità, la sporcizia accumulata negli angoli e le ragnatele che pendevano dalle travi. Doveva esserci un modo per scappare... anche tenendo conto del cane. Era così intenta nel suo esame, da non accorgersi che la fiammell–– “Ahi!”, gridò, lanciando via il fiammifero bruciato. “Mi sono scottata, cavoli!”. Agatha non riuscì a trattenere una risatina, pur in mezzo alle lacrime. Sally si succhiò il dito, poi scoppiò anch’essa a ridere. Sally appoggiò le mani sulle spalle di Agatha e la scosse leggermente, come a infondere fidu- cia. Alla sua amica e a se stessa. Poi si avvicinò al mu- ro, dove aveva notato una specie di rientranza, come dei mattoni smossi. Poteva essere una via di fuga? Si chinò e tastò con le mani. E di colpo fu sicura che alcuni mattoni fossero stati asportati, perché una vo- ce filtrò burbera attraverso la parete: “.... d’accordo, io avverto il capo. Voi due, sistemate la carrozza e pensate ai cavalli. E attenti che quelle due non scappino. Ci frut- 32
tano una sterlina a testa, le piccole. E non immaginano neppure la sorte che le aspetta!”. * * * Tommy e il cane raggiunsero il 221/B di Baker Street. Il ragazzo si chinò, arrotolò il guinzaglio e prese Toby in braccio. L’animale dimenò pazzamente la coda e uggiolò di gioia. “Ssst, buono, o ci farai scoprire”, gli bisbigliò. Co- me se avesse capito, la bestiola si quietò. Dall’interno non veniva alcun suono. Così Tom- my aprì la porta, la richiuse piano e imboccò di corsa la rampa di scale. “Oh, bentornato, Wiggins!”, esclamò Sherlock Hol- mes. Era seduto alla scrivania, intento a catalogare dei ritagli di giornale. “E un benvenuto anche a te, Toby!”, disse. Trasse di tasca una zolletta di zucchero e la lanciò in aria. Il cane si liberò dall’abbraccio in cui era stretto e afferrò al volo la leccornia. Poi si ritirò in un angolo a sgranocchiarla con gusto. Tommy sorrise a quella prodezza. Poi di colpo vol- se la testa. Aveva percepito un odorino delizioso che–– “Te le ha preparate la signora Hudson”, disse Hol- mes seguendo il suo sguardo. “Come vedi, non è poi co- sì antipatica...”. 33
Ciambelle! Una collinetta di ciambelle era impila- ta su un largo piatto al centro della tavola! Tommy non esitò. Ne addentò una. Ingoiò un paio di bocconi prima di riuscire ad avvertirne il sapore, poi masticò piano, go- dendosi la sensazione perfetta di uova, burro, marmella- ta, zucchero e–– “A quanto pare, hai fatto amicizia con Toby”, lo interruppe Holmes. “E hai conosciuto il tasso e la mar- motta del signor Sherman... Per non parlare del fatto che vi siete fermati alla fontanella di Rossmore Road. E un altro po’ di tempo l’avete impiegato a giocare a biglie, ma anche ad accompagnare Emma, la vecchia mendi- cante...”. Cough! Cough! A Tommy andò di traverso il boc- cone. Iniziò a tossire furiosamente, mentre Toby balzava dal suo angolo e lo osservava sollevando un orecchio. Quando finalmente riuscì a dominare i colpi di tosse, guardò Holmes ad occhi sgranati. “Ma... lei ci ha seguito, signor Holmes....”, balbet- tò, versandosi una tazza di tè. “O mi ha fatto pedinare da qualcuno...”. Holmes scosse la testa. “Ormai dovresti conoscer- mi, Wiggins. Non farei mai cose del genere... per quanto a volte ne dubiti persino il mio amico Watson”, osservò con aria pensierosa. 34
Tommy mise la mano all’altezza del cuore. “Mi scusi, signor Holmes. Ho parlato senza pensare. Sa che mi fido di lei, ma proprio non capisco come abbia fatto a indovinare...”. “Io non indovino mai, Wiggins!”, lo interruppe il detective con il lungo indice alzato ad ammonire. “Io sono un investigatore. Osservo i particolari e ragiono in base ad essi”. L’espressione di Holmes era severa, ma un attimo dopo i suoi lineamenti si ammorbidirono. Raccolse la pipa dalla mensola del caminetto e riprese: “Vedi, Wig- gins, tu sei ancora giovane. Ma certo la vita per le strade ti ha reso più sveglio e scaltro di altri della tua età. Ebbe- ne, se vuoi davvero diventare qualcuno, devi imparare a osservare con cura. Osservare i dettagli delle persone e dell’ambiente”, disse. Raccolse con le molle un tizzone dal caminetto e lo accostò al fornello della pipa, aspiran- do e soffiando dei perfetti anelli di fumo. “Più ti allene- rai a osservare e agire di conseguenza, ragazzo mio, più ti sarà facile capire le cose. Solo così farai strada nella vita. Vuoi un esempio? Ti spiegherò come ho fatto a ca- pire i particolari che ti hanno tanto meravigliato. Che tu sia simpatico a Toby, non c’è bisogno di un esperto per dirlo: guarda come ti osserva e scondizola ogni volta che ti muovi... In più, hai ancora sulla faccia tracce evi- 35
denti di qualche bella leccata, nonostante tu abbia cer- cato di pulirti. Con la manica, nientemeno... A quella stessa manica sono rimasti attaccati dei ciuffetti di pelo. La mia esperienza mi dice che provengono da un tas- so e una marmotta. Due animali del signor Sherman, è evidente. E visto che quel caro vecchietto non permette quasi a nessuno di accostarsi ai suoi animali, possiamo star sicuri che sei risultato loro molto simpatico”. Tommy si chinò ad accarezzare la testa di Toby, giù giù fino alle lunghe orecchie, ma continuò a tenere gli occhi fissi sull’investigatore. “Il fatto che siate passati da Rossmore Road lo testimoniano le tue scarpe. Certo, hai cercato di pulire le suole prima di entrare, per non irritare la signora Hudson. Ma sono rimaste comunque tracce di fango scuro. Un tipo di fango che si trova solo vicino a quella fontanella. E poiché per andare lì avete dovuto allungare un po’ il percorso, suppongo tu lo ab- bia fatto per permettere a Toby di dissetarsi. E questo dimostra anche il tuo buon cuore”. Tommy arrossì a quel complimento. Per maschera- re l’imbarazzo chiese: “Già, ma... la mendicante? Quel- la non ha lasciato tracce. E la partita di biglie?”. “Ah, qui ti sbagli, Wiggins. Tutto lascia tracce. Os- servare, osservare è la prima regola di un buon investi- gatore. Quando sei uscito di qui, non avevi quel rigon- 36
fiamento prodotto dalle biglie nella tasca destra. Quindi, ti sei fermato coi tuoi amici per una partitina veloce e sei anche riuscito a vincere. E poi, l’unico modo in cui ti sei potuto procurare il calendarietto che ti spunta dall’al- tra tasca è aver dato una mano alla vecchia mendicante. Emma lascia sempre un ricordo di quel tipo a chi l’ac- compagna fino a casa. Poveretta, con quelle gambe ma- landate...”. Tommy ascoltava e fissava il detective. Le sue pa- role gli scrosciavano addosso come una pioggia impe- tuosa. Era sbalordito. Aveva letto tutte le storie di Holmes, e conosceva la sua capacità di ragionare sui particolari più minuti. Ma, naturalmente, le storie erano proprio quello: delle storie; la realtà era ben diversa. Nessuno poteva scoprire così tanto solo con un’occhiata, figurarsi... E invece, era successo proprio quello. E proprio a lui! Non vedeva l’ora di raccontarlo a Sally–– Sally! Nella frenesia di quanto gli era successo, non ave- va avuto tempo di preoccuparsi di sua sorella. Chissà dov’era... Certo la loco aveva trasportato anche lei. An- zi, soprattutto lei, che teneva il cristallo. Ma dove? Se 37
era a Londra, doveva ritrovarla al più presto. E scoprire un modo per tornare a casa. Ma come fare? Avrebbe dovuto avere sottomano qualcuno davvero in gamba... Ma ce l’aveva! Che stupido era. Poteva chiedere aiuto a Sherlock Holmes. Se qualcuno era tagliato per quell’impresa, non poteva che essere lui. Si volse verso la poltrona... e rimase a bocca aper- ta, senza che ne uscisse alcun suono. Perché la poltrona era vuota e Sherlock Holmes era sparito dalla stanza! 38
Cinque Sparito! Svanito nel nulla! Tommy fissò per qualche secondo la poltrona vuo- ta, poi scrutò ogni angolo della stanza. Scosse la testa: Sherlock Holmes era proprio svanito. Eppure, fino a un attimo prima... “Tu che dici, Toby?”, chiese al cane che sniffava intorno alla tavola. “Scommetto che questo è un test! Dopo tutti quei discorsi sull’attenzione ai particolari e sul ragionare, il signor Holmes ci mette alla prova. Dun- que, stiamo al gioco. Osserviamo e ragioniamo”, disse, strofinandosi il mento. Il cane lo osservò girare intorno alla poltrona e scrutarla, senza notarvi alcunché di inso- lito. Non era così facile emulare Holmes. Eppure dove- va esserci qualcosa–– Prima che Tommy potesse completare il giro della poltrona, la porta accanto a quella delle scale si spalan- 39
cò. Fece il suo ingresso un vecchietto curvo, col viso pieno di rughe e due denti in meno. Teneva in mano un bastone levigato, che si mise ad agitare in direzione di Tommy. “Allora, ragazzo, dov’è?”, esclamò con voce catarrosa, frutto di molti sigari di scarsa qualità. “Dov’è Holmes? Devo parlargli subito! Non dirmi che non è in casa neanche oggi, eh?”, disse lisciandosi il ciuffo di ca- pelli stopposi e ingrigiti che spuntava dal cappello. Tommy deglutì di fronte a quell’apparizione. Ma parlò con voce franca. “Veramente, signore, non le fa- rebbe male presentarsi, quando entra in casa d’altri. Quanto––”. “Ah, abbiamo la lingua lunga, eh, giovanotto?”, ri- battè il vecchio avanzando e fissandolo con cipiglio mi- naccioso. “E poi, è forse casa tua, questa? Avanti, trova- mi quello svampito di Holmes e informalo che Joshua Peabody lo vuole per un problema urgente! Muoviti, forza, non stare lì impalato!”. Tommy sentì il viso avvampare di rabbia. Come osava quel tipo alzare la voce in tal modo? Non era nep- pure sua, la casa. E definire Holmes uno svampito… “Il signor Holmes era qui un attimo fa”, rispose. “E non appena gli farà comodo, tornerà. Anche se, a dire il vero––”. “A dire il vero, non abbiamo più tempo per i gio- 40
chi”, lo interruppe il vecchietto. Tommy lo fissò. La vo- ce era cambiata. E–– Di colpo, sotto i suoi occhi, il vecchio sembrò tra- sformarsi. Lasciò cadere il bastone, raddrizzò la schie- na, si tolse cappello e parrucca... lasciando apparire al di sotto la faccia sorridente di Sherlock Holmes! “Accidenti, signor Holmes!”, esclamò Tommy. “È un travestimento perfetto. Non l’avrei mai riconosciu- ta...”. “Ottimo, Wiggins”, commentò l’investigatore. Trasse uno specchio da un cassetto e sistemò di nuovo con cura parrucca e cappello. “Così potrò ingannare an- che i criminali a cui dobbiamo dare la caccia”. “Criminali? Caccia?”, ripeté Tommy. “Esatto, ragazzo. E per questo ci sarà indispensabi- le il nostro Toby”, disse raccogliendo bastone e guinza- glio. “Andiamo, la partita è aperta!”. * * * La nebbia in strada era ancora più fitta. Tommy aguzzava la vista, ma non riusciva a vedere al di là di qualche metro. Holmes invece sembrava non accorger- sene. Si muoveva sicuro. Imboccava una strada dopo l’altra, svoltava un angolo dopo l’altro, come se splen- desse il sole. Tommy lo seguiva da vicino, trotterellan- 41
do come Toby e badando bene a non farsi distanziare, in quell’atmosfera lattiginosa. Soprattutto, ammirava l’abilità dell’investigatore che, nonostante il passo ve- loce, dava ugualmente l’impressione di un vecchio male in arnese, bisognoso del bastone e di un buon medico. Holmes rallentò un poco quando sbucarono in Es- sex Road. Trasse di tasca una moneta e attraversò la stra- da. I suoi occhi avevano scorto un uomo accovacciato sul marciapiede, con la schiena poggiata all’inferriata di una casa dai balconi inchiodati. Era un cieco, con spessi occhiali neri e un piattino vuoto davanti. Holmes lasciò cadere la moneta nel piattino. L’altro ringraziò profusa- mente, accennando di sì più volte con la testa. Il detecti- ve scambiò qualche parola, poi tornò verso Tommy. Poche decine di metri più avanti, si fermò di nuovo, indicando qualcosa davanti a loro. Accanto a un lampio- ne, un vaso scheggiato giaceva sul marciapiede. Dalla larga imboccatura era sgorgato un rivolo di palline nere lucide, che giacevano sparse sulla pietre insieme a dei bastoncini dalla corteccia chiara. Holmes girò piano attorno al vaso, tenendosi a una certa distanza. Scrutò con attenzione il marciapiede e la strada. Poi, senza parlare, trasse di tasca un fazzoletto. Tommy ebbe un moto di sorpresa quando lo vide im- mergere la stoffa bianca in una pozzanghera di acqua li- 42
vida, dai riflessi melmosi, proprio a ridosso del marcia- piede. Holmes chiamò a sé Toby e gli pose sotto il naso il fazzoletto impregnato di quell’acqua. Il cane annusò, poi, naso a terra e coda in aria, cominciò a fiutare in- torno. Qualche secondo dopo, emise un guaito di gioia. Sempre annusando, si portò in mezzo alla strada e iniziò a muoversi all’insù. Reggendo il guinzaglio, Holmes se- guì il cane, che aveva preso a tirare come un ossesso. Tommy raccolse qualche pallina nera, poi si affret- tò ad accodarsi alla strana coppia. “Posso sapere cosa cerchiamo, signor Holmes?”, chiese trotterellando al fianco dell’investigatore. “A dire il vero, non ho capito molto di questa faccenda...”. Holmes indicò Toby, che continuava a seguire una traccia che lui solo percepiva. “La trappola è scattata, Wiggins”, disse. “Andiamo a stanare la preda!”. Tommy aggrottò le sopracciglia. Non aveva capito molto di più... Per fortuna Holmes continuò. “Scotland Yard ha saputo che da un po’ di tempo scompaiono dei bambini. Bambini poveri, per lo più orfani, senza nes- suno al mondo. Può darsi che abbiano trovato un posto nuovo in cui vendere la loro mercanzia... o magari sia- no andati via da Londra.... Ma è strano che siano spariti tutti nel giro di pochi giorni. La prima a notare questo fatto è stata proprio la tua amica Emma. Ha informato 43
Scotland Yard, che a sua volta si è rivolto a me. Così, in- sieme abbiamo predisposto delle trappole, grazie a quei mendicanti ciechi... E una si è richiusa!”. “Allora il mio istinto non mi ha ingannato. Ho avu- to più di un sospetto che quel cieco fosse un suo allea- to...”. “Bravo, Wiggins. E, a dirla tutta, quel signore non è affatto cieco. È l’ispettore Hopkins di Scotland Yard. Per tutto il giorno ha sorvegliato una delle possibili vit- time. Un’orfana di nome Agatha, che vende bastoncini e caramelle di liquirizia. Proprio quelle che hai raccolto da terra...”. Trattenne il guinzaglio appena prima che Toby ve- nisse travolto da un carro sbucato da una laterale, poi la- sciò di nuovo il cane a seguire la pista. “Mentre tornavi con Toby, gli uomini dell’ispettore mi hanno recapitato un biglietto: Agatha è stata fatta entrare a forza in una car- rozza senza targa, fuggita poi a tutta velocità. E qui entra in ballo il nostro amico a quattro zampe. Non potevamo seguire la carrozza da vicino, per non rischiare di essere individuati. E neppure da lontano, in mezzo a questa neb- bia. Invece Toby è la soluzione perfetta. Potrebbe seguire una debole traccia di qualsiasi odore fino al Polo!”. “Quel fazzoletto che prima gli ha fatto annusare...”, iniziò Tommy. 44
“Esatto, Wiggins. Dove Agatha ha il suo angolo per vendere la merce, si forma spesso un’ampia poz- zanghera... un’idea che le ho suggerito tempo fa: è più facile che la gente prosegua verso di lei lungo il marcia- piede, senza scendere in strada; così qualcuno può esse- re invogliato a spendere una moneta... E proprio quella pozzanghera ci è tornata utile. Le ruote della carrozza vi sono finite dentro, mentre si accostava al marciapiede. Così, Toby ne sta seguendo l’odore. E ci mette anche tutto il suo impegno, questa brava bestiola. Guarda co- me tira!”. Infatti, invece di essere stanco per il tragitto percor- so, Toby mostrava sempre più entusiasmo per la caccia. Tommy rimuginò un poco sulle parole del detecti- ve. Non era del tutto convinto. “Naturalmente, speria- mo che Toby stia seguendo la traccia giusta...”, obiettò. “Voglio dire, signor Holmes, una traccia di fango è... è uguale a qualsiasi altra traccia di fango...”. Il detective lanciò un’occhiata oltre il parapetto del ponte che stavano attraversando, poi riportò l’attenzione su Tommy. “Non questo fango!”, esclamò. “Ti dirò una cosa. L’acqua di quella pozzanghera è impregnata di una sostanza particolare... Liquirizia! È di liquirizia l’odore che Toby sta seguendo!”. 45
Sei Sally e Agatha rimasero in ascolto per un minuto buono, ma dall’incavo sulla parete non vennero altre vo- ci. I banditi dovevano essere usciti. “Quei loro discorsi non mi piacciono per niente”, bisbigliò Sally. “Dobbiamo scappare!”. “Sì, ma come?”, sussurrò Agatha. “La porta è sbar- rata. Finestre... c’è solo quel lucernario arrugginito sul soffitto. Ma è troppo in alto”. Sally indicò l’incavo. “Proviamo qui...”, disse. Sfregò il secondo fiammifero e alla sua luce ispeziona- rono il muro. Una parte di mattoni era stata asportata da tempo. Restava solo una sottile intercapedine che si sfaldava per la forte umidità. Il fiammifero si spense, ma ormai Sally aveva una chiara idea di cosa fare. Spiegò ad Agatha sottovoce il suo piano. L’altra annuì. Si sfilò una scarpa e, rabbri- 46
videndo, posò il piede sul pavimento gelido. Armeggiò sulla calzatura e riuscì a levare la fibbia di metallo. La calzò di nuovo e ripetè il procedimento con la seconda. Sally, intanto, armata della prima fibbia, aveva iniziato a scalfire i mattoni. La terracotta era talmente fradicia e malridotta che in pochi colpi decisi riuscì ad asportare quasi metà mattone. Quando Agatha le diede man forte con la seconda fibbia, il lavoro procedette spedito. Un lumicino di speranza iniziò a brillare nell’animo di Sal- ly. Con un po’ di fortuna ce l’avrebbero fatta. Bastava allargare l’apertura di quel tanto da poterci sgusciare at- traverso. Poi, una volta passate, sarebbero corse via co- me il vento. E sfidava chiunque, anche il cane, a trovarle nel labirinto di strade e stradine. E non appena avessero incontrato un poliziotto, sarebbero state al sicuro. Lavora di fibbia, Sally, non di fantasia, si disse, ac- corgendosi di avere rallentato il ritmo di scavo. Si rimise di buona lena a smangiare i frammenti di mattone. Ma il lavoro rallentava comunque. I mattoni più interni non erano corrosi come le parti esposte ed era una gran fatica staccarne anche solo dei pezzetti, con quelle piccole fibbie. Si fermarono a far riposare le dita doloranti. “Dobbiamo lavorare più in fretta”, disse Sally. “O trovare un modo migliore”. 47
“Potremmo tendere una trappola a uno dei banditi. Attirarlo dentro e poi saltargli addosso. Tutt’e due insie- me, forse ce la faremo a buttarlo a terra. E poi, fuori del- la porta e via...”, propose Agatha. Forse non era un’idea troppo furba. Ma, nelle con- dizioni in cui si trovavano, era sempre meglio che conti- nuare quello scavo faticoso e senza futuro. “Val la pena di tentare, d’accordo”, acconsentì Sally. Accese il penultimo fiammifero. Fece una smorfia alla vista delle dita dalla pelle sbucciata e arrossata, poi si affrettò con Agatha verso la porta. Ma erano appena a metà stanza, che il battente si spalancò. Nel vano illumi- nato si stagliò la sagoma di uno sconosciuto. * * * “Ehi, che succede, piccolo?”, chiese Tommy. Hol- mes gli aveva offerto di tenere il guinzaglio e lui aveva accettato con entusiasmo. Aveva continuato a cammina- re di buon passo dietro a Toby, che trotterellava col suo modo buffo di procedere, ma non esitava mai. Aveva- no superato negozi e vetrine che esponevano ogni sorta di mercanzia e prodotti. Tommy aveva scoperto che il “Crinodene” era “il migliore rivitalizzante per capelli”, mentre le “Pillole Beechams” guarivano un elenco di 48
malattie lungo come la loro scarpinata. Il ragazzo stava ancora guardando gli annunci quando, improvvisamente, Toby si era messo a fiutare in tondo. “Si direbbe che la traccia si sia confusa”, osservò Holmes. “Oppure potrebbe darsi che–– Ma certo, ecco perché!”. In due passi delle sue lunghe gambe raggiunse il marciapiede di fronte a loro. Tommy lo seguì con il ca- ne che continuava a fiutare. Due monelli stavano curvi a raccattare una dozzina di scatole di fiammiferi sparse sul marciapiede. Appena Holmes spuntò dalla nebbia, fece- ro un balzo e fuggirono lungo il marciapiede. O meglio, tentarono di farlo, perché le braccia di Holmes li acciuf- farono dopo qualche metro. Tommy arricciò il naso. I due emanavano un odore pungente. Tannino. Doveva- no aver lavorato per un po’ alla concia del cuoio, ma di sicuro non erano abbastanza abili o fidati e li avevano cacciati. Di quell’attività era rimasto loro addosso solo l’odore acre. “Ci lasci andare! Non abbiamo fatto niente!”, escla- marono i due, mentre il detective li riportava indietro. “Calma, calma, ragazzi”, li rassicurò Holmes. “Già il fatto che gridiate di non aver fatto nulla potrebbe far- mi sospettare il contrario. Ma non ho tempo per questo. 49
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