Superare e Vincere Ansia e Stress - nella scuola, nel lavoro e nella vita personale - CENPIS ORION

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Superare e Vincere Ansia e Stress - nella scuola, nel lavoro e nella vita personale - CENPIS ORION
ATTI DEL CONVEGNO

Superare e Vincere Ansia e Stress
nella scuola, nel lavoro e nella vita personale

Le cause ed i principali effetti dell’ansia e dello stress
               sul corpo e sulla mente

               Conseguenze e cure innovative

              Roma, 23 Novembre 2016

           Comune di
        Musei Capitolini – Sala Pietro Da Cortona
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Programma

                          Dr. Antonio Popolizio
               PSICOLOGO - PSICOTERAPEUTA - DIRETTORE CENPIS ORION

                                  Interventi
            Corpo e Mente: le diverse espressioni di Ansia e Stress

        Dr.ssa Patrizia Del Sole - Dr.ssa Francesca Zonzo
              FARMACISTA OMEOPATA                    PSICOLOGA

                                Intervento scritto
                           Dr.ssa Michela Marino
                             PSICOLOGA PSICOTERAPEUTA

                           STRESS A SCUOLA

                             Dr. Pietro Castiello
  PSICOLOGO – RESPONSABILE E COORDINATORE PROGETTI SCUOLE CENPIS ORION

                               Testimonianze
             Stress dell’alunno, stress del genitore, stress a scuola

                         STRESS NEL LAVORO
                            Dr. Pietro Tranfaglia
                  QUADRI DIRIGENTI AZIENDA MULTINAZIONALE

             Stress nel mondo del lavoro: cause, effetti, interventi

                         STRESS NEL SOCIALE
                           Dr. Antonio Popolizio
  L’inconscio collettivo, perdita delle sicurezze sociali e personali … lo stress

 STRESS E CURA INTEGRATA PSICOLOGIA E MEDICINA
            Disturbi psicosomatici nelle diverse aree della medicina

Dr. Fabio Fabiano - Dr. Alessandro Ficara - Prof. Nicola Dardes
      NEUROLOGO                     CARDIOLOGO                   PNEUMOLOGO
                                                                                    2
Introduzione al Convegno
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                                      Antonio Popolizio
                                   Psicologo, Psicoterapeuta
                         Direttore ASSOCIAZIONE CENPIS ORION

Benvenuti a tutti e grazie per essere qui presenti. Sono Antonio Popolizio, direttore del
Cenpis Orion, Psicologo e Psicoterapeuta.
Vediamo il percorso che faremo questa mattina insieme. Io aprirò il tema con una relazione
introduttiva su cos'è lo stress in tutti i suoi significati, perché questa parola è molto sfruttata e
confusa con il termine stanchezza: quando siamo stanchi spesso utilizziamo l’espressione
“sono stressato” e non è corretto. Lo stress è qualcosa di molto complesso, un processo
biochimico con delle conseguenze dirette sulle persone, che analizzeremo nel corso del
percorso di stamattina. In seguito, tratteremo il tema della psicosomatica. La psicosomatica è
la scienza della psicologia e medicina indicata per rispondere a tutte le domande sullo stress.
Dov’è nata? Da S.Freud. Vedremo un breve filmato proprio su Freud che fu il padre della
psicoanalisi. Lui fece all’inizio della sua carriera di medico una grossa scoperta scientifica:
l’esistenza dell’inconscio e come la maggior parte dei conflitti in questo ambito possono
generare una psico-somatizzazione e sintomi psicosomatici curabili a livello più profondo
della psiche umana da lui chiamata inconscio. Parleremo dell’interpretazione dei sogni, come
espressione dell’inconscio, un tema interessante che desta sempre grande curiosità, dei
sintomi psicosomatici da stress e la portata del fenomeno nella società attuale.
Successivamente, passerò la parola alla Dottoressa Del Sole, omeopata e farmacista, che
spiegherà cosa succede nel cervello a livello di stress. Ho il piacere di presentare il Dott.
Pietro Castiello, Responsabile dell’area Psicologia e dell’Area Scuola-Famiglia, l’équipe
medica del nostro Centro Psicosomatica, in particolare il cardiologo Dott. Alessandro Ficara,
il neurologo Dott. Fabio Fabiano e il Dott. Nicola Dardes, pneumologo, che faranno una
relazione su quanto stress e disturbi psicosomatici trovano nella loro medicina specialistica.
Interverrà anche la Dott.ssa Francesca Zonzo, Psicologa, che opera nel mondo della scuola da
anni con noi, che parlerà di un caso di stress di una ragazzina di quattordici anni.

Entriamo nel vivo. Un certo signore dunque di nome Freud, che tutti conosciamo “di nome e
di fatto”, ha rivoluzionato il mondo della scienza medica, facendo il medico, e seguendo le
cure innovative di Charcot su disturbi e malattie nervose condotte con l’ipnosi del paziente.
Charcot fu il primo a scoprire che attraverso l’ipnosi era possibile accedere a una parte della
coscienza in cui, lasciando dei comandi, la persona direttamente obbediva anche in fase di
veglia: come al comando “non devi avere questa paura”, la persona si svegliava e non aveva
questa paura. Il problema era che non durava, per cui gli effetti erano a tempo. Charcot fu il
primo a capire che c'è una parte del cervello che non è cosciente. Freud, grande studioso
viennese e medico, si chiese: “perché non dura?”. C’è dunque qualcosa che noi non
conosciamo che chiamò inconscio. Noi in realtà abbiamo tre menti: se ne conosce una
soprattutto, la razionalità, attraverso cui pensiamo di dominare la nostra vita. In realtà c'è un
secondo mondo interiore, la seconda mente subcosciente che è il mondo delle emozioni, degli
affetti, dell'attaccamento, dei traumi che è molto forte e molto più importante.
La razionalità serve a vivere la quotidianità, a risolvere problemi, a capire il mondo, mentre le
emozioni sono la spinta, il motore delle persone. Una persona motivata, come voi qui oggi,
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ha una spinta nel subcosciente, nelle emozioni, la curiosità di conoscere e sapere, una spinta
quindi di emozione e non di razionalità.
Freud ha scoperto una terza mente che lui chiama inconscio. Cominciò a lavorare a fondo su
di esso e scoprì come mezzo innovativo d’indagine per esplorarla l’interpretazione dei sogni.
Pensava: come mai si sogna come in codice, come un codice cifrato? Capì cosi che i sogni
tirano fuori dal nostro inconscio traumi, paure, blocchi, conflitti, che vengono messi in una
parte di noi che non conosciamo, come se non volessimo sapere e conoscere il suo contenuto.
Questo inconscio si esprime all’esterno col comportamento e con i sintomi psicosomatici.
Freud cominciò, dunque, a differenziare i sintomi comportamentali dai sintomi fisici e curò il
primo caso di isteria, come somatizzazione di qualcosa non risolto, angosciante e
preoccupante che si scarica su un organo bersaglio del corpo, invalidandolo in parte.
In seguito, il Dott. Castiello mostrerà, come nella scuola, attraverso tre casi molto
interessanti, si vede come ci sono dei blocchi in questa zona del cervello, dei blocchi di
paura, casi di alunni che studiano, ma che durante le interrogazioni non rendono secondo le
loro possibilità.
Faccio l’esempio su un sintomo molto diffuso oggi che è l'attacco di panico. Che cos’è
l’attacco di panico? Sembra un attacco d'ansia dovuto a qualche paura; il 40% della
popolazione soffre di pre-panico da ansia o panico. L'attacco di panico visto nella chiave di
Freud è l'inconscio che esplode nella coscienza attraverso un sintomo di immobilità, perché
l’attacco di panico è un attacco di morte: per chi l’ha provato sembra di morire. Ci sono dei
farmaci molto efficaci di nuova generazione che i nostri medici usano che risolvono la crisi
psicosomatica vera e propria. Si è visto però che, se si lavora solo con il farmaco, il problema
ritorna. Infatti, se quella è un’espressione dell’inconscio che sta parlando, dobbiamo
immaginare i sintomi come un messaggio dal profondo.
Freud provò a curare la somatizzazione di un paziente con l'interpretazione dei sogni e le
libere associazioni. Per intenderci, se io chiedo a un ragazzo: “che cos’hai? Perché non
studi?” e lui risponde che vorrebbe studiare ma non ci riesce la spiegazione di tutto questo
potrebbe stare nel suo inconscio! Faccio un esempio pratico: a volte un ragazzo, per non
permettere ai genitori di separarsi, con l'inconscio, non con la ragione, può creare un
problema scolastico. La sua paura di perdere i genitori gli fa mettere in atto dei sintomi che
sono comportamentali, ma a sua insaputa e questi comportamenti riuniscono i genitori e
impediscono loro di separarsi, mantenendo i genitori e la loro famiglia. Molto spesso i
docenti intuitivamente hanno una percezione dell’inconscio degli alunni; infatti mi è capitato
che i docenti mi dicessero “qui i conti non tornano, è un ragazzo in gamba, ci deve essere
qualcosa nella famiglia”. Ci sono, dunque, delle professioni in cui si ha a che fare con le
persone per cui acquistare questa chiave di lettura più profonda aiuta a intervenire con
maggiore efficacia. Questo è uno dei nostri intenti. Quando Freud scoprì questo, disse che il
corpo non era il solo responsabile dei sintomi, ma corpo e mente sono in interazione tra loro,
esprimendosi in quella società Ottocentesca con la frequente isteria. Nella società del 2000,
l’ansia e l’attacco di panico sono i sintomi più frequenti ed è per questo che vi dobbiamo
porre attenzione. E’ l’espressione di un inconscio collettivo in paura prodotto dalla società
moderna. La psicosomatica è la giusta risposta a questo fenomeno.

Un dato importante a riprova che gli attacchi di panico così frequenti oggi sono l’espressione
di una paura di vivere inconscia dell’uomo moderno! Sapete che nella Seconda Guerra
Mondiale, gli inglesi che stavano sotto i bombardamenti tutte le notti e dormivano nella
metropolitana o nelle cantine delle loro case non avevano attacchi di panico, avevano paura si

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della morte ma sono due cose ben diverse. La paura era fisica, di morire, mentre l’attacco di
panico è la paura di perdere l’IO, di avere una grossa perdita affettiva, una grossa decisione
da prendere, un conflitto morale dentro di sé, per cui l’IO profondo si spezza, si immobilizza
e la persona per la paura regredisce come un bambino impaurito.
Freud scoprì dunque che i metodi d’indagine dell’inconscio e di cura erano due: il primo
costituito dalla tecnica delle libere associazioni, nel quale il paziente ferma la ragione e parla
a ruota libera con il suo profondo senza interruzioni. Dopo un po’ uscivano alcune verità,
attraverso domande e risposte con lo psicoterapeuta, da cui emergeva l’origine del conflitto
inconscio.
Il secondo metodo d’indagine dell’inconscio di Freud era costituito dall’interpretazione dei
sogni con i quali l’inconscio in codice si manifesta.
(A questo punto della sua relazione il prof. Antonio Popolizio avvia un filmato scientifico nel
quale un noto psicoanalista moderno interpreta i dieci sogni più ricorrenti ed il loro
significato creando un notevole aumento dell’interesse da parte del pubblico in sala).
In particolare vengono dall’interpretazione i significati più ricorrenti come la paura di non
avere più la sicurezza, la fiducia in se stessi, la compattezza; la paura di perdere qualcosa o
qualcuno. A tutto questo non ci pensiamo tutti i giorni, ma abbiamo un “retropensiero” con
cui dentro di noi agiamo per condotte di vita; ma quando questo retropensiero giunge al
subconsciente significa che non ce la fa più a controllarsi e si manifesta scaricando su un
organo bersaglio più debole ma anche figurativamente che rappresenta il tipo di problema
inconscio che l’ha generato come ad esempio la tachicardia per conflitti di cuore.
L’ansia, lo stress e l’attacco di panico, per cui, non sono stanchezza: se sono stanco mi
riposo. Il cervello ha un dialogo dentro di noi nel cosciente, subcosciente e inconscio.
Vediamo, dunque cosa sono l’ansia e lo stress, come riconoscerli in tempo per curarli,
misurare la grandezza del fenomeno al fine di trovare un metodo efficace per sconfiggerlo.
Questo è il nostro percorso. Lo scopo del convegno non è solo informare e formare, ma anche
far partire un progetto su Roma che si chiama “Vincere ansia e stress” con un’azione di
sensibilizzazione attraverso conferenze, ricerche, corsi e percorsi per associazioni, scuole,
enti e mondo medico. Questi sono i nostri strumenti per aiutare le persone a potenziarsi e
acquisire una chiave di lettura per andare più in profondità e capire cosa c’è dietro un sintomo
psicosomatico.
Il sistema nervoso è studiato con un approccio corpo e mente: quello che succede nel corpo
va sulla mente e quello che succede sulla mente va sul corpo. Se io dovessi dare una diagnosi
mortale o di invalidità ad un paziente, questo avrà una conseguenza sulla mente della
persona: potrebbe aumentare la difesa dicendo “no, io non l’accetto, lotterò fino in fondo”
oppure dire “è finita”. Lo sanno bene questo molti farmacisti, infatti quando non è andato a
buon fine il rapporto medico-paziente, quest’ultimo spesso chiede al farmacista cosa ne pensa
e cambia la cura del medico a suo modo, facendo danni. Questi sono fenomeni dovuti al
cattivo rapporto medico-paziente, a volte sottovalutati. Il medico è attento al rapporto e alle
conseguenze perché è uno degli elementi più forti. Per esempio, ho notato che il nostro
neurologo, Dott. Fabiano non è il medico “dei dieci minuti”, ma spiega a fondo tutta la
situazione, come funziona il cervello, cosa fa, cosa succederà, come e perché “è un approccio
psicosomatico che si attiva già nel rapporto medico-paziente.... un approccio “corpo e
mente”.
La scienza medica ha lanciato la psico-neuro-endocrino-immunologia che studia da vicino
tutti i sintomi e le cause dei disturbi e malattie psicosomatiche, fino a spiegare con
completezza gli attacchi di panico, l’ansia, lo stress in tutte le sue forme…!

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L’ormone dello stress nel corpo è il cortisolo che se sollecitato dalla situazione di stress
nell’individuo va a sollecitare le difese abbassandole.
Ci sono malattie del sistema nervoso che dipendono dalla società. La società ha fatto saltare
tutti i punti di riferimento: la sicurezza economica non c’è più, la coppia è instabile e non più
duratura, il rapporto genitori e figli non è più guidato da regole, la fiducia è saltata. Com’è
possibile vivere tranquillamente in una società così? La nostra proposta è: riparti da te stesso
aiutato dai nostri percorsi di gruppo anti-stress.
L’attacco di panico è chiamato “killer silenzioso” perché va in incubazione; le persone non
hanno segnali di riconoscimento, alla prima avvisaglia sottovalutano tutti ed invece dopo un
certo tempo esplode improvviso l’attacco di ansia o attacco di panico.
Qui è messo in ordine tutto il meccanismo di formazione di un disturbo nervoso da stress. E’
un disagio psicologico che, se rimane oltre un certo tempo, va sotto stress. La scarica di
emozioni di questo stress va sul corpo verso un organo bersaglio (stomaco attraverso il
reflusso, mal di testa con l’emicrania, disagi nella sessualità con impotenza…. ecc) e si crea
un disturbo specifico, che non va approcciato solo a livello medico ma anche psicologico,
vale a dire un intervento specialistico integrato corpo e mente…con medicina e psicologia
Quello che ha scoperto Freud per primo è che il tipo di organo bersaglio è collegato al tipo di
problema: se il problema è mentale, hai il mal di testa o problemi di equilibrio, se è di
soffocamento va a toccare la respirazione, se è di cuore va a toccare il cuore. Il sintomo
diventa un messaggio. L’inconscio, quando supera una certa sopportazione e non ha via di
scarico, diventa subcosciente o mentalizzato, la persona ha problemi psicologici grossi; il
percorso vero è lavorare sulla base, l’inconscio, l’emozione.
Vi faccio l’esempio di un attacco di panico di una paziente che ricordo bene. Venne anni fa
una signora nel nostro Centro per un attacco di panico. Ha fatto una visita psicosomatica: un
incontro con il medico e uno con me, lo psicologo. Quando non c’è una vera sintomatologia,
incontra anche la Dottoressa omeopata per un approccio di sostegno con gli integratori.
La signora non si spiegava l’attacco di panico: racconta “va tutto bene, non ho mai avuto
problemi” e lo ha collegato con quello che stava accadendo nella sua vita. Mi ha dichiarato
espressamente che aveva puntato tutta la sua vita sulla sicurezza economica, tanto che aveva
deciso da giovane di non sposarsi per amore tanto l’amore passa. Ha sposato un uomo che
rispondeva a questi requisiti, le ha voluto bene ma si è privata dell’amore, compensando
l’amore mancante con l’amore verso i figli. Quando domandai perché la sicurezza economica
fosse così importante per lei, rispose di aver sperimentato la povertà e di non voler
assolutamente rivivere quella condizione. Le chiesi: “Perché non punta su di lei, costruendo
la sicurezza economica da sola?” poiché da un lato aveva risolto un problema, dall’altro era
stata anche prigioniera degli affetti. Mentre lavorava con il tempo si innamorò di un uomo,
l’amore mancante ma troncò dopo un certo tempo il rapporto con lui perché ne era rimasta
destabilizzata. Inizia un primo stato d’ansia tamponato con le medicine… Passano gli anni e i
due figli crescono, diventano uomini e quando il secondo figlio esce di casa, iniziano gli
attacchi di panico. La risposta è che doveva stare con un uomo che non amava e non aveva
più i figli a compensare l’affetto. La sua vita era vuota. Mi riportò un sogno che interpretato
ha messo in luce il suo serio conflitto inconscio, il desiderio forte di trovare l’amore e la
paura di trovarlo rischiando la povertà…conflitto inconscio che aveva scatenato l’attacco di
panico! Il sogno rivelatore è questo:
Era notte e lei era andata a una festa, ma nel momento in cui a mezzanotte voleva tornare a
casa non c’erano più taxi, ma solo un tram vecchio stile. Sale sul tram, va dal bigliettaio per

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fare il biglietto ma si accorge di non avere soldi. Un signore presente sul tram le dice che
glieli avrebbe dati lui, a condizione che lei gli desse un bacio. Lei gli dette il bacio e ricevette
i soldi, lui scese dal tram. Lei andò a pagare, ma il bigliettaio le disse che i soldi erano falsi.
A questo punto si svegliò.
Cosa sta dicendo l’inconscio? In modo cifrato le sta dicendo che “l’uomo non ti dà niente e se
dà qualcosa, è falso”. Aveva dentro un’immagine dell’uomo abbastanza negativa. Appena
abbiamo affrontato il tema del sogno e il problema connesso, compare una prima guarigione:
sapere cosa le ha generato il malessere, la fa immediatamente stare meglio. Quando si porta il
problema dall’inconscio al subcosciente, non scarica più sul corpo.
Ora immaginate una persona che viene trattata in modo esclusivo con i farmaci…vedete
chiaro come tutto questo mondo sommerso inconscio viene trascurato. Sanno bene i medici
che alcune persone rispondono bene ai farmaci, mentre altre no perché dipende dalla natura
del problema “sotto”: se è piccolo, è sufficiente il farmaco, se è troppo grande la medicina
funge da tappo non da cura delle cause.
La medicina ha motivo di esistere quando arriva la crisi perché ormai il sintomo è
psicosomatico, non solo più psico ma non ancora somatico. Nel momento in cui diventa
somatico, emerge la malattia vera e propria. Vi sono dunque dei tempi d’azione.

Ora mi fermo ed entriamo nel mondo dello stress analizzandolo nei vari settori di vita: stress
nella scuola, stress nel lavoro e stress nel sociale.
Ora ho il piacere di far parlare il Dott.re Castiello. Posso fare un piccolo encomio? E’ una
persona straordinaria che mette passione, cuore e una grande responsabilità e capacità nel suo
lavoro.

Cordialmente,

                                                               Prof. Antonio Popolizio

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Intervento
                 “Vincere la vulnerabilità dell’alunno allo stress”

                                   Dott. Pietro Castiello
                   Psicologo, Responsabile e Coordinatore Progetti Scuole
                            ASSOCIAZIONE CENPIS ORION

Buongiorno, piacere di presentarmi, sono il Dott. Pietro Castiello, Psicologo responsabile e
coordinatore dei progetti che il Cenpis Orion, insieme alla sua équipe, sta attualmente
portando avanti in 40 scuole di Roma. E’ dunque doveroso da parte di tutti noi un
ringraziamento per averci scelto nel percorrere insieme questa direzione comune che vuole
trovare le risposte più pratiche con cui ogni alunno può vincere la propria vulnerabilità allo
stress e tirare fuori le proprie potenzialità a scuola.
Come primo aspetto, ci chiediamo quali siano gli stress che colpiscono gli alunni. Ne
descriveremo i tre più importanti o, meglio, quelli che forse più frequentemente riscontriamo
nella nostra attività professionale presso il nostro Centro e insieme alle scuole con le quali
collaboriamo. Il primo, il più importante e forse più diffuso, riguarda la scarsa autostima e
l'ansia da prestazione. Che cos' è l'autostima? E’ la fiducia in me, l’immagine di me in ogni
campo di vita, dove ritengo di poter arrivare. Come funziona? L' autostima in termini pratici
si esprime in modo specifico, con le previsioni che ognuno di noi fa nella mente rispetto a
come andranno le cose prima che queste si verifichino. C' è una previsione positiva, una
previsione negativa o una previsione a metà strada tra le due. Di frequente mi capita di
ascoltare alunni con una buona autostima che dicono, per esempio: “Ho studiato un'oretta e
mezzo, adesso ripasso; so che la verifica è difficile, ma io ci posso riuscire”. Incredibilmente,
ce la fanno davvero.
Quindi, come funziona l'autostima? Mi creo nella mente un obiettivo, metto in campo le mie
risorse personali per raggiungerlo. E se raggiungo l'obiettivo prefissato, aumento la stima di
me perché non raggiungo solo l'obiettivo, ma dico a me stesso: “io posso, ci sono riuscito”.
Sappiamo, lavorando molto intensamente con i giovani e anche nelle scuole, che la scarsa
autostima genera l'ansia da prestazione. Come nel caso di Sabrina (tutti i nomi dei ragazzi che
dirò chiaramente sono fittizi per proteggere la privacy), una ragazza che si rivolge al nostro
Centro con la mamma: studia tutto il pomeriggio, ogni pomeriggio fino a sera, anche
weekend, riduce al minimo le attività di svago. Sto parlando di una ragazza di tredici anni, in
terza media, che sembra non aver mai abbastanza tempo da dedicare ai compiti.
Il Professore ha parlato di tre menti: non siamo unicamente razionalità; possediamo una
mente emotiva che dirige le nostre azioni, le modalità di relazionarci ed i nostri sentimenti; il
disegno (non tutti i disegni, ma un certo tipo di disegno fatto all'interno di una determinata
relazione di fiducia) fa parlare la mente emotiva, permette alla mente emotiva, non razionale,
di esprimersi.
[Mostra un disegno proiettato] Qui c'è Sabrina che disegna se stessa mentre studia. Si vede
benissimo l'espressione della scarsa autostima e dell'ansia da interrogazione su più livelli.
Riporta sul disegno la frase “non ricordo niente”: noi sappiamo bene che quando l'ansia
supera il livello di guardia coinvolge anche i circuiti di memoria. La povera Sabrina, durante
gli incontri mi dice: “giuro, avevo studiato; sapevo tutto ma sono andata all'interrogazione e
mi si è appannata la mente. Vuoto di memoria totale, non ho ricordato niente ed è andata
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male.” Secondo effetto sulle previsioni, sul disegno lei scrive “sarò interrogata di sicuro” e
in questo dialogo con se stessa dice: “Non ce la farò mai”. Come in una sorta di profezia
negativa che si autodetermina, tutto l'impegno profuso nello studio poi non corrisponde a
risultati scolastici adeguati o comunque in linea con quell'impegno. Il rendimento scolastico
sembra oscillare tra il 6 e il 7.
Il secondo tipo di stress riguarda un'altra area della personalità che è l’Io Sociale. A scuola si
studia, ma s’impara anche a destreggiarsi socialmente nel rapporto con gli altri e in
particolare con il gruppo classe che presenta sempre un certo tipo di dinamiche e di
funzionamento. Noi spesso troviamo una vulnerabilità proprio in questo ambito che può
generare l'ansia sociale e la paura del giudizio da parte del gruppo, di non essere accettati.
Con questo tipo di vulnerabilità, il povero Alberto subisce a scuola episodi di bullismo e
rappresenta se stesso che si gira e amplifica dentro di sé le prese in giro dei suoi compagni e
nella mente si dice “ma perché devono fare i prepotenti sempre solo con me?”.
Il terzo tipo di stress riguarda la caduta dell’immagine di sé a scuola. I docenti presenti sanno
benissimo che ogni alunno ha una sua storia, costruisce nel tempo un’immagine di se stesso a
scuola, fatta dai risultati scolastici che ha ottenuto, da come si è inserito nel gruppo classe e
anche dalla relazione con i docenti. La caduta dell’immagine di sé a scuola è uno degli aspetti
che noi riscontriamo più frequentemente soprattutto nel passaggio da un grado di scuola a un
altro, tipicamente in prima media, al termine delle elementari, o durante il primo e secondo
anno delle superiori. Al termine delle medie perché da un punto di vista psicologico è come
se si rimescolassero le carte, cambia il clima, il gruppo classe, i docenti. I nuovi docenti non
hanno memoria del regresso dei voti ottenuti. Il compito maturativo e di sviluppo è di
confermare la propria immagine di sé, se positiva, o riscattare l'immagine di sé, se negativa.
Rispetto a questo aspetto, mi ha molto colpito un caso che ho seguito insieme al Professore. Il
caso di Lorenzo che viene al nostro Centro con un terribile e apparentemente inspiegabile mal
di testa. Sono stati consultati dalla famiglia tutti gli specialisti del caso, i maggiori esperti
nell'ambito dell'emicrania e sembrava che nessuno avesse trovato una causa organica che
potesse spiegare queste crisi di mal di testa così intense e così frequenti. Già dai primi
incontri con il Professore rimaniamo colpiti da un aspetto relativo alla sua storia scolastica.
Durante la scuola elementare era stato il “numero uno”, il punto di riferimento per la classe,
tutti 10 e neanche un 9. Arriva alla scuola media in cui non solo era il primo della classe, ma
forse il primo della scuola perché aveva ottenuto in aula magna, alla presenza di tutti (dei
docenti, della preside…) dei riconoscimenti per una serie di gare interne organizzate a scuola.
Arriva alla fine della terza media e, come spesso accade, non sceglie la scuola superiore più
adatta a sé ma sceglie gli amici da non perdere: quindi metà classe si trasferisce in un noto
liceo di Roma. Nel primo anno della scuola superiore, in cui ci sono materie nuove ed è
richiesto un adattamento notevole, al primo 4 emerge il primo episodio di mal di testa.

Arriva la fine dell'anno e nel momento in cui il povero Lorenzo legge che è promosso con
sospensione di giudizio, quindi due debiti, tra l'altro sia di latino, che di greco, esplode il mal
di testa con un'intensità e una frequenza altissime tali da compromettere poi il funzionamento
del ragazzo. Era arrivato di fronte alla scuola superiore con un compito inconscio di non
essere solo sul podio, ma di dover essere sempre e comunque il numero 1. Quindi sia la
difficoltà di inserimento che una scelta sbagliata della scuola superiore, ovvero non
perfettamente in linea con le attitudini vere, aveva fatto cadere l'immagine di sé a scuola.
Dunque, la somatizzazione del mal di testa esprimeva un problema psicologico irrisolto del
ragazzo. Si stava chiedendo: “ma sono davvero il numero uno come ho sempre creduto di

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essere? sono davvero intelligente come tutti mi hanno fatto sempre pensare?” e fa male la
testa che rappresenta l'intelligenza.
Il nostro intervento in questi casi è di psicologia scolastica mirato a sbloccare la vulnerabilità:
quindi non è un intervento psicologico a tutto campo, ma è mirato proprio alla vulnerabilità.
Per esempio nel caso di Sabrina abbiamo lavorato sull' ansia da prestazione e sull' autostima
scolastica per far cambiare il dialogo interno. Oggi, mentre si approccia allo studio [mostra
disegno proiettato] è cambiato completamente il dialogo interno: dice a se stessa “fidati, ce la
puoi fare”, “che bello in due ore sono riuscita a fare tre materie”.
Uno dei modi per sbloccare la fiducia dei ragazzi è il lavoro sul metodo di studio: studiare e
saper studiare sono due aspetti diversi, non perfettamente sovrapponibili tra di loro. Nel
momento in cui si lavora con i ragazzi sul metodo di studio, prendono confidenza con quale
sia la modalità che la loro mente utilizza nello studio: studiano meglio, con maggiore
efficacia, ottengono risultati e quindi il lavoro sul metodo di studio è indirettamente un modo,
una via per riscattare l'autostima dei ragazzi.
La sicurezza sociale rappresentata dal caso di Alberto. Lui metaforicamente è riuscito a
mettere [mostra disegno proiettato] tra sé e il bullo, nella mente, uno specchio. Tutte le prese
in giro del bullo ora non lo colpiscono più come prima, ma ritornano indietro al bullo
esattamente come lui gliele ha inviate. Lavorando sulla sicurezza sociale è riuscito a mettere
un’impermeabilità al giudizio negativo, alla paura di essere giudicato dagli altri.
I tre denominatori comuni della nostra attività con le scuole sono prevenire, potenziare e
orientare. Prevenire la vulnerabilità perché cerchiamo di fare in modo, attraverso i progetti
nelle scuole e i servizi, che non si arrivi a riparare i guasti, ma di lavorare prima
promuovendo la consapevolezza del ragazzo di sé. In queste scuole, che sono le scuole in rete
del progetto “Alunni riusciti … alunni realizzati”, che ringrazio, con le quali collaboriamo
ormai da tre anni, abbiamo messo a punto una serie di strumenti e metodologie che anzitutto
fanno sì che l'alunno diventi maggiormente consapevole di quei fattori che costituiscono
un’impermeabilità allo stress stesso, dei propri punti forti e quelli da migliorare. Attraverso
un incontro mirato anche col genitore, agiamo indirettamente su questi aspetti e cerchiamo di
dare indicazioni pratiche su come potenziare nei figli queste sei risorse di impermeabilità allo
stress che sono: la responsabilità, la motivazione, l'autostima, la gestione dell'ansia, la
socializzazione, quindi l'inserimento nel gruppo, e la tenuta nelle difficoltà.
Se dovessimo individuare un quarto tipo di stress, probabilmente questo sarebbe legato alle
scelte sbagliate degli alunni: lo sanno molto bene le scuole che condividono con noi
l'esperienza del progetto “Orion”, con cui abbiamo messo in atto un progetto finalizzato
all’orientamento della scelta della scuola superiore attraverso lo screening scientifico delle
attitudini. Noi sappiamo che la mente consta di dieci aree di propensione: socio-economica,
amministrativa, musicale, scientifica, artistica, tecnica, biologica, linguistica e sociale,
motoria.
Attraverso uno screening scientifico andiamo a individuare le attitudini dei ragazzi entro le
quali far cadere la scelta della scuola superiore, con un coinvolgimento dei genitori e dei
docenti.

Mi fa piacere chiudere leggendo la testimonianza di Lorenzo, “il ragazzo col mal di testa”,
che è uno dei casi in cui si è vinta la vulnerabilità allo stress; lui si è scollato da sé quella
aspettativa così alta, quella “doverizzazione” così forte secondo cui doveva essere sempre e
comunque il numero uno.
Lorenzo scrive:

                                                                                                10
“In questo ultimo periodo è avvenuto un grandissimo cambiamento dentro di me, è stato un cambiamento
progressivo, è partito dalla scuola per arrivare fino a relazionarmi con le altre persone. A scuola ad esempio
sento una maggiore libertà, come se si fosse aperta la porta di una gabbia in cui mi ero rinchiuso da solo.
Questo cambiamento ha influito oltre che all'esterno, nello stare con gli altri, anche e soprattutto dentro di
me: ora, infatti in ogni situazione e qualsiasi cosa accada sento di mantenere una serenità che mi fa essere
felice”.

Grazie.

                                              Intervento
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                                    Dott.ssa Francesca Zonzo
                                          Psicologa
                                 ASSOCIAZIONE CENPIS ORION

Buongiorno, sono la Dottoressa Francesca Zonzo, sono una psicologa specializzanda in
psicoterapia.
Collegandomi all’intervento del Dott. Castiello, che ha esposto le diverse forme di ansia e di
stress nelle scuole, volevo porre l’attenzione su quanto elevate condizioni di stress e di ansia
possono portare all’emergere di patologie in alcuni individui. In tal senso, volevo
soffermarmi sul disturbo da attacco di panico, perché negli ultimi anni sta acquisendo sempre
di più una rilevanza a livello clinico e si sta molto diffondendo in particolare nella fase
adolescenziale. Perché proprio negli adolescenti? Perché è un momento critico, una fase di
sviluppo, quindi oltre ad una trasformazione corporea, a livello di sviluppo puberale, inizia
anche un processo di consapevolezza rispetto alla costruzione di un proprio progetto di vita.
In queste condizioni di stress, alcuni adolescenti che non hanno un “IO” abbastanza maturo
possono manifestare tale patologia.
Che cos’è l’attacco di panico? L’attacco di panico è un breve periodo in cui il soggetto si
trova in uno stato di terrore e di fortissima ansia, in cui ha l’impressione di perdere il
controllo, addirittura di morire. La sintomatologia è varia: nausea, palpitazioni, dispnea, ma
anche derealizzazione e depersonalizzazione.
La derealizzazione è la sensazione del soggetto di sentirsi in una situazione irreale fantastica:
ciò vuol dire che perde il contatto con la realtà; la depersonalizzazione è la sensazione di
essere distante da sé, quindi di essere un’altra persona, di non riconoscersi.
Quali sono le cause dell’attacco di panico? Possono essere di due tipi: cause psicologiche e
cause ambientali.
Rispetto ai fattori psicologici, l’attacco di panico rappresenta uno stato di malessere
psicologico molto importante, specialmente negli adolescenti può essere associato a vissuti di
solitudine, di incomunicabilità. Quei ragazzi che a volte non parlano, che si tengono tutto
dentro. I fattori ambientali, invece, possono essere eventi stressanti che vanno a scatenare
l'attacco di panico, e questi eventi stressanti sono per lo più rappresentati dai cambiamenti
che possono essere trasferimenti, passaggi da una scuola all'altra, ma anche cambiamenti
della struttura familiare.
A livello psicodinamico e terapeutico, cosa succede? Nel soggetto adolescente non c’è una
possibilità di appellarsi alle sue risorse interne, in questa situazione non riesce a gestire
l’ansia a causa di un “IO” fragile. Una delle spiegazioni, delle chiavi di lettura dell’approccio
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psicodinamico di questa fragilità dell’“IO” è data da un attaccamento di forte dipendenza con
i genitori, tale attaccamento ha come conseguenza quella di minare l’autonomia, il processo
di svincolo del ragazzo. A questo riguardo ho portato il caso di una ragazza di 14 anni; i
genitori chiamano il nostro Centro in una situazione di estrema emergenza, perché questa
ragazza da ottobre, quindi dall’inizio della scuola, ha iniziato a manifestare degli episodi
ripetuti di panico. Mi ricordo ancora la prima seduta con questa ragazza che era molto agitata,
si muoveva sulla sedia, toccava oggetti, li faceva cadere a terra, parlava in maniera veloce e
confusa, tant’è che molto spesso per aiutarsi prendeva un foglio e si appuntava delle parole o
a volte faceva degli schemi per non perdere il filo del discorso. Mi arriva da subito il forte
disagio di questa ragazza, ma ovviamente all’inizio era per lei un disagio sconosciuto,
inconsapevole, che non poteva accettare. Di conseguenza abbiamo fatto un lavoro sul
profondo; piano piano la ragazza è riuscita a riconoscere il suo disagio e abbiamo dato il
senso all’attacco di panico. Qual era il senso dell’attacco di panico? Era rappresentato dal
passaggio dalla terza media al primo superiore, al primo anno di liceo classico, quindi legato
ad un processo di autonomia, di svincolo. Il sistema familiare di questa ragazza era molto
invischiato, c’era una dipendenza molto forte tra i genitori e la paziente e questo ha creato
molta difficoltà in una situazione di passaggio in cui doveva iniziare un processo graduale di
responsabilità, di autonomia. Di conseguenza il mio intervento è stato rinforzare la struttura
dell'IO del paziente attraverso un processo di riflessione, di consapevolezza, quello di
riconoscere e accettare le emozioni forti negative che stava vivendo in quel momento, in
modo tale che nelle successive situazioni anche di stress emotivo sarebbe stata in grado di
riconoscerle e gestirle in maniera autonoma; come ultimo, l'ho accompagnata in un processo
di differenziazione graduale dal sistema familiare. Ovviamente in questo intervento è stato
necessario anche includere i genitori per riconoscere, mobilitare e potenziare le risorse
interne di questa ragazza.
Mi preme sottolineare quanto sia importante effettuare un lavoro preventivo che vada ad
individuare eventuali disagi psicologici dei ragazzi e quindi intervenire non sul sintomo, ma
sul bisogno.
Grazie.

                              Interventi dal pubblico
        ____________________________________________________________

Domanda di una mamma presente tra i partecipanti

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Buongiorno, mi sono incuriosita al discorso sugli attacchi di panico perché mio figlio ha con
me un rapporto, un attaccamento molto forte. Mi chiedevo se l’attaccamento che i giovani
hanno nei confronti dei genitori può essere anche dovuto alla perdita di riferimenti nella
società. Perché io cerco di stimolare mio figlio a essere interessato a ciò che avviene al di
fuori dalla famiglia, ma vedo che lui ha molte difficoltà.

Risposta Dott. Pietro Castiello, psicologo

Sicuramente la perdita dei punti di riferimento della società c’è; molto spesso noi
riscontriamo proprio questo, nel senso che sembra che fino a qualche generazione fa tutti
dicessero la stessa cosa, cioè fondamentalmente che ci fosse un unico messaggio di fondo
detto in modi diversi. Invece io adesso vedo, lavorando con i giovani, che c’è un relativismo
assoluto: quindi il rifugio e l’attaccamento con l’ambiente familiare è forte, è come se non si
fosse pronti all’esterno, dove tutto è più confusivo e valutativo rispetto all’ambiente
familiare; anche parlando di autostima, c’è un trasmettere autostima in modo più gratuito
rispetto all’esterno, dove tutto è più incerto. Quindi questo attaccamento può essere spiegato
anche in questi termini.

Risposta Dott. Antonio Popolizio, psicoterapeuta

Ricordate l’attacco di panico descritto prima? Non a caso quando i figli escono di casa,
comincia l’attacco di panico. L’ottica di intervento è quasi sempre sull’adolescente. Noi la
ribaltiamo di 180 gradi, cioè facciamo un percorso coinvolgendo i genitori, perché i genitori
che riversano eccessive aspettative sui figli per compensare certe carenze sono delle mine
vaganti, poiché il figlio adolescente deve spiccare il volo e fare la sua vita cambiando il
rapporto con i genitori; tuttavia se il genitore vive questo come perdita del figlio fa un errore
di costrizione e di dipendenza. Per esempio, il caso dell’attacco di panico della ragazza di cui
abbiamo parlato, in cui il genitore vive il cambio di rapporto come un abbandono, è molto
diffuso. Conosco molti genitori di pazienti che pensano che il figlio non li ami più perché
dicono “non sta più con me” “non mi parla”, non considerando che il ragazzo sta per entrare
nella società degli adulti e per tale ragione si comporta così. Troviamo spesso due problemi:
il genitore inadeguato a gestire la fase dell’adolescenza, che non sa “che pesci prendere” e
non sa leggere l’adolescenza, che oggi è molto difficile da leggere perché è l’espressione
della crisi della società. I sintomi dei bambini si vedono ad occhio nudo mentre quelle degli
adolescenti sono nascosti e sono le dipendenze: dal gioco, dalla droga, dal fumo, dagli amici
con cui hanno un rapporto morboso; questi sono sintomi, segnali e non la malattia in sé. Noi
in questo progetto partendo dall’orientamento nelle scuole abbiamo incontrato genitori
facendo una conferenza per genitori come questa in ogni scuola in cui operiamo perché
riteniamo che le due entità, docenti e genitori, debbano parlare di più mentre invece di solito
si accusano a vicenda: chi ha colpa e chi ha ragione? Molto spesso, togliendo colpa e ragione
comincia il dialogo.
                            Testimonianze dal pubblico

Intervento Insegnante Maria Rosaria Abballe
Insegnante scuola Primaria presso l’Istituto Comprensivo Via Boccioni, Roma

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Buongiorno, io insegno in una scuola elementare; ho appuntato alcune cose mentre ascoltavo.
Noto che ci sono alte aspettative da parte delle famiglie che non sono adeguate alla scuola e
all’età; ho notato una reazione emotiva esagerata rispetto ai piccoli fallimenti o ad episodi
come un voto negativo. C’è troppa emotività ed un senso di mortificazione.
Rispetto ai voti ci ha messo in difficoltà la riforma di qualche anno fa che ci ha costretti a
passare dai giudizi ai voti, perché poi il bambino diventa un numero, quindi quel 6, quel 5 o
l’8 sembra esprimere il suo valore numerico quando non è facile sintetizzare in un numero
l’apprendimento di una materia o l’impegno del bambino.
C’è una incongruenza tra le parole e l’esempio dell’adulto: ci vorrebbe un po’ di coerenza, i
bambini perdono i punti di riferimento e non sanno se dare retta alle parole o al
comportamento che vedono. Ci sembra di percepire che i bambini siano troppo occupati e
non sanno cosa sia “il dolce far nulla”, forse sarebbe giusto dedicare un po’ di tempo libero a
se stessi invece di una richiesta di impegno continuo.
Alcune volte i bambini non hanno nessuno con cui parlare, anche i genitori sembra che non
abbiano con chi parlare: si nota una solitudine sia nei bambini che nei genitori. Abbiamo
l’impressione che si tenda a sostituirsi ai propri figli, che ci sia una confusione di ruoli figlio-
genitore e infine una scarsa fiducia nell’istituzione scolastica e in chi la rappresenta. Per
esperienza posso dire che i risultati migliori si hanno quando c’è una collaborazione e una
fiducia tra insegnanti e genitori, una fiducia che va ovviamente guadagnata e non può essere
automatica; in assenza di ciò siamo tutti impotenti.

Intervento Prof.ssa Roberta Caradonna
Docente presso l’Istituto di Istruzione Superiore Via Tommaso Salvini 24, Roma

A parte i ringraziamenti per il lavoro che fate da noi, durante il dibattito mi venivano in
mente delle domande. Mi hanno sempre insegnato che volere è potere, se vuoi puoi emergere.
Però, sempre più spesso comincio a pensare che vada ribaltata la cosa, cioè per volere
qualcosa i nostri ragazzi devono poterla sentire e quindi il discorso sulla motivazione fatto
poco fa mi ronza nella mente. Noi docenti spesso diciamo: perché non ti impegni? Perché non
fai di più? Perché sei così svogliato? E forse i ragazzi non capiscono neanche bene le nostre
domande. Io seguo due quinte ginnasiali ed hanno una fisionomia abbastanza in
contraddizione: c’è una classe con un gruppo di ragazzi che hanno una bassa autostima e un
altro gruppo che invece aspira a prestazioni molto alte. Ascoltandovi pensavo però che questa
antitesi è abbastanza apparente perché l’ansia da prestazione e la bassa autostima sono le due
facce della stessa medaglia. Mi piacerebbe riflettere ancora su questo nella nostra scuola con
voi e con i genitori, perché il problema della fiducia cui accennava la collega prima è un
problema che anche io sto avvertendo, cioè c'è una sfiducia di partenza da parte delle famiglie
e noi dobbiamo cercare di farla diventare fiducia e questo è ancora più complesso, la realtà
scolastica sta diventando ancora più complessa parallelamente alla realtà sociale; noi come
docenti siamo messi a dura prova. Serve molto il vostro aiuto. Questa è la mia testimonianza,
grazie.

Intervento Prof.ssa Paola Casale
Docente presso l’Istituto Comprensivo Torrimpietra, Fiumicino (RM)

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In veste di insegnante di scuola media e precedentemente di liceo, posso confermare quanto
già detto dalle colleghe e dai dottori. Io credo che l’ostacolo più grande nelle scuole oggi sia
quello di rendere i genitori consapevoli delle difficoltà dei propri figli, che spesso derivano da
una mancanza di comunicazione in famiglia. Io da ex alunna, con forti problemi di ansia,
vedo ragazzi che manifestano malessere in svariati modi, dalle unghie mangiate fino alla
pelle, alle eruzioni cutanee scambiate per allergie. Istintivamente sorrido e poi invito al
dialogo e racconto la mia esperienza da studentessa per poi ascoltarli facendogli capire che le
loro debolezze sono state anche le nostre nel tentativo di trasmettergli il segnale che possono
farcela. Noi insegnanti siamo degli accompagnatori e dobbiamo trasmettere questi messaggi
in un momento di incertezza per tutti.
Io conosco il vostro lavoro e la validità del test che ai ragazzi è anche piaciuto molto e penso
che sia fondamentale un lavoro in simbiosi tra noi insegnanti e specialisti.

                                         Intervento
         ____________________________________________________________

                                 Dott.ssa Patrizia Del Sole
                                 Farmacista e omeopata
      Responsabile Servizio medicina naturale e Coordinatrice dell’area psicosomatica
                           ASSOCIAZIONE CENPIS ORION

Il servizio di medicina naturale è stato istituito nel Cenpis Orion proprio perché la medicina
naturale, partendo dalla duplice visione mente-corpo, integra all’aspetto puramente
psicologico lo studio degli stati costituzionali di ogni singolo individuo cercando di dare,
rinforzare e stimolare le difese dell’organismo. Il fine è poter reagire e superare una qualsiasi
situazione di stress evitando che un disturbo possa degenerare in una vera e propria patologia.
Per avere un approccio psicosomatico integrato è importante cogliere sia i segnali psicologici
ma anche quelli fisici perché l'uno non esclude l'altro, ma soprattutto convivono in stretto
equilibrio. Ogni organismo risponde ad una situazione di stress con dei cambiamenti
fisiologici che consentono all'organismo stesso di reagire e di metterlo nella migliore
condizione a seconda della situazione di fuga oppure combattimento per superare la
situazione stessa. Noi chiamiamo questi stimoli stressogeni “stressor”. Gli stressor possono
essere di varia natura, possono essere psicologici, possono essere fisici, biochimici; la
risposta che il nostro organismo adotta è sempre la stessa.
I primi studi sullo stress risalgono a metà degli anni ’30 e uno dei primi studiosi forse anche
uno dei più grandi è stato il Dottor Hans Selye, il quale nei suoi numerosi studi alla fine ha
individuato nella risposta da stress tre fasi fondamentali che sono: la fase di allarme, la fase di

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resistenza e la fase di esaurimento. Queste tre fasi si succedono nel nostro organismo
formando la sindrome di adattamento generale.

Questa sindrome di adattamento generale effettivamente si può espletare in due modi diversi,
una che è quella dello stress acuto tipica ad esempio di una prova d'esame, di una prova molto
importante, in cui alla fase di allarme segue subito una fase di resistenza che dura pochi
minuti, e in questo caso l'organismo è in grado di ritornare velocemente nella sua condizione
di normalità: questo tipo di stress è uno stress positivo che in termini tecnici è conosciuto
come eustress. Poi c'è un altro tipo di stress che è invece uno stress cronico, conosciuto come
distress, in cui la fase di resistenza dura molto più a lungo e difficilmente l'organismo riesce
a ritornare in una condizione di normalità senza avere dei segni.
Ora vediamo nel dettaglio cosa accade effettivamente nel nostro organismo quando
percepiamo un segnale di stress. Nella prima fase d'allarme l'organismo percepisce questo
segnale in maniera consapevole o inconsapevole e mette in moto un processo biochimico che
è uguale indipendentemente dalla natura dello stressor che l'ha generato. La prima parte del
nostro organismo che risponde ad uno stimolo stressogeno é l'ipotalamo. L’ipotalamo è una
piccola area dell'encefalo deputata al controllo di tutte quelle che sono le funzioni
indipendenti dalla nostra volontà: la termoregolazione, la funzione respiratoria e la funzione
cardiaca. L’ipotalamo è in stretto collegamento con l'ipofisi quindi col sistema endocrino, con
il quale forma la neuroipofisi e poi a loro volta con il sistema immunitario.
Quindi fondamentale in tutta la reazione di risposta allo stress è l'asse ipotalamo-ipofisi-
surrene. L'ipotalamo come risponde allo stimolo che percepisce? Risponde attivando quindi
una serie di meccanismi e vediamo nello specifico quali: soprattutto abbiamo una maggior
produzione di ormoni quali il cortisolo, l’adrenalina e la noradrenalina. Successivamente
abbiamo un momento anche delle beta endorfine e quindi un innalzamento della soglia del
dolore; abbiamo un aumento dell'attività del sistema cardiovascolare e una riduzione invece
dell'attività dell'apparato digerente: in termini semplici nel nostro organismo accade che
aumenta la frequenza cardiaca quindi il battito più accelerato, aumenta la frequenza
respiratoria, si ha un'eccessiva respirazione e abbiamo una scarsa salivazione e tutto
accompagnato da un grande senso di vuoto allo stomaco. Questi sono i sintomi tipici di una
reazione ad uno stress che può essere di qualsiasi natura come detto e che può fare parte della
nostra vita di tutti i giorni. La cosa importante e fondamentale è la fase successiva cioè quella
di adeguamento allo stress; se questa fase si protrae per molto tempo, quindi non dura solo
alcuni minuti ma va avanti anche per giorni e anni, allora tutti questi cambiamenti che sono
fisiologici nel nostro organismo, possono trasformarsi e degenerare in vere e proprie
patologie. Quindi, è fondamentale avere un approccio integrato corpo-mente proprio per
evitare che delle alterazioni che sono appunto normalissime e fisiologiche e che servono nella
nostra vita quotidiana possano diventare delle vere e proprie patologie.

                                        Intervento
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Dott.ssa Michela Marino
                                 Psicologa, Psicoterapeuta
                              ASSOCIAZIONE CENPIS ORION

Partirei dal momento in cui la parola stress è entrata nel discorso comune, quando ha
cominciato a diffondersi in Italia dalla metà degli anni cinquanta grazie al medico Hans Selye
venuto in diverse città italiane per le sue conferenze sulla Sindrome Generale di Adattamento.
Etimologicamente la parola stress ha lo stesso etimo di strizzare, dal latino strictiare, derivato
di strictus “stretto”. Si tratterebbe dunque di una stretta, una strizzata, un’angustia (o
angoscia) e a tal proposito potremmo chiederci: chi di noi non ha mai provato questa
sensazione?
E’ certo però che se riuscissimo a dare voce sia metaforicamente che non a questa sensazione,
a scoprirne le motivazioni in superficie ed in profondità, potremmo prevenire molte di quelle
sintomatologie che poi vediamo nello stato d’emergenza presso i nostri studi, medici e non.
Tante volte ascoltiamo frasi del tipo: “già ora che ci penso da…”, “effettivamente anche
quando…”, frasi che rimandano indietro nel tempo anche ad eventi che sembravano di
piccola intensità e che il soggetto riconosce successivamente aver forse già avuto un loro
effetto, anche sul corpo.
Spesso diciamo che il corpo parla, che ciò che la funzione psichica non riesce ad elaborare a
sufficienza trova poi il canale somatico. Cosa vuol dire che un corpo parla? In primo luogo
proviamo a rispondere alla domanda: Che cos’è un corpo? Un corpo “umano”?
Domanda per altro che ha fatto lavorare molti ricercatori a partire da varie discipline. Dal
nostro canto si potrebbe dire che in primo luogo il corpo è il corpo biologico che parte
dall’unione di due cellule, quello che se in grado di sussistere con profitto nel contesto che lo
ospita è allora adatto a procedere. Se invece non ci riesce si fa da parte e lascia ad altri corpi
il compito di diffondere il patrimonio genetico. Il corpo dunque così come studiato dalla
biologia molecolare: un sistema auto-conservativo sicuramente altamente complesso e
specializzato. E’ solo a partire da questo corpo che può svilupparsi la funzione psichica,
poiché è elementare ma la psiche può esistere solo se esiste un corpo (Cotrufo, 2008).
Questo corpo biologico dell’essere umano appena nato è fin da subito inserito in un contesto
non regolato dalle sole leggi della natura, bensì immediatamente oggetto dell’attenzione
dell’adulto che se ne prende cura in un continuo scambio di messaggi. Messaggi che il
bambino non riesce a tradurre immediatamente in parole, che sperimenta sul proprio corpo,
messaggi che arrivano dall’altro e che il suo corpo traduce visibilmente ad esempio attraverso
il movimento, l’attività muscolare, la fuoriuscita della voce. Il suo primo vocabolario è
dunque il corpo attraverso cui traduce l’effetto della parola ed è proprio la parola dell’altro e
l’effetto che genera che va a formare la nostra “psiche”, anche il nostro inconscio. Fin dai
primi giorni in cui veniamo al mondo siamo all’interno di un circuito attivato dal discorso
dell’altro, dalle sue emozioni che producono quanto di più profondo è nell’essere umano. E’
dunque proprio in questa accezione che si potrebbe dire che il corpo è il primo aggancio alla
realtà intorno al quale prende avvio la costituzione della funzione psichica e del lavoro
psichico (Cotrufo, 2008). In questa accezione il corpo biologico immesso fin da subito nella
relazione con l’altro si “trasforma” in quello che potremmo chiamare corpo in un’accezione
psico-somatica. Ciò vuol dire che sul corpo biologico si appoggia la funzione psichica o in
altri termini il corpo biologico dell’umano viene subito plasmato dall’altro.
Tutto ciò è molto importante poiché se fino a diversi anni fa venivano identificate delle
specifiche malattie definite come psico-somatiche, particolarmente le così conosciute “Holy
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