24 LUGLIO - UFFICIO STAMPA - Provincia Regionale di Ragusa

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UFFICIO STAMPA

24 LUGLIO
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LIBERO CONSORZIO COMUNALE DI RAGUSA

                      già Provincia Regionale di Ragusa

                                   Ufficio Stampa
Comunicato n. 093 del 23.07.19
Il sindaco di Acate ringrazia il Commissario straordinario per intervento
manutentivo sul territorio.

Il Commissario straordinario del Libero Consorzio comunale di Ragusa Salvatore
Piazza, ha ricevuto una lettera di ringraziamenti dal sindaco di Acate Giovanni Di
Natale, per l’intervento di sfalcio delle erbacce ai margini di alcune strade comunali,
effettuato da personale dell’ex Provincia. Nella missiva inviata dal sindaco, si
sottolinea l’attenzione dimostrata dal Commissario Piazza nei confronti della
comunità acatese per aver disposto un intervento che è stato fondamentale per evitare
incidenti e salvaguardare l’incolumità dei cittadini poiché alcune strade, a causa
dell’incuria di anni e anni, erano quasi completamente chiuse dall’eccessiva presenza
di erbacce, sterpaglie e canneti.

(antoninorecca)
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Rassegna Stampa del LIBERO CONSORZIO COMUNALE DI RAGUSA   24 LUGLIO 2019

                               LA SICILIA
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24/7/2019                                                                     Stampa Articolo

POLITICA                                                                                                              24/7/2019

i l dibattito

I 5S socchiudono la porta ai dem “Con loro nulla
da spartire. Per ora”
Le prove d’intesa denunciate da Faraone. Cancelleri: “ Il dialogo resta impossibile con chi disprezza
misure come il reddito di cittadinanza. In caso di elezioni anticipate a Roma vedremo. L’altra volta fu
Renzi a dire no”
di Giusi Spica Il leader dei Cinquestelle siciliani mette le mani avanti: «Finché continuerà ad avere posizioni di disprezzo verso
provvedimenti come il reddito di cittadinanza, non avremo nulla a che spartire con questo Pd». All’indomani del siluro lanciato
dall’ex segretario regionale dem Davide Faraone, che ha parlato ( in modo dispregiativo, per lui) della Sicilia come «
laboratorio politico di un’intesa fra Pd e M5s», Giancarlo Cancelleri e la squadra dei deputati grillini all’Ars parafrasano le
parole del capo politico Luigi Di Maio, che ha chiuso all’intesa coi dem. «Se ci saranno elezioni anticipate – continua
Cancelleri – ci penseremo. Del resto l’ultima volta è stato il loro ex segretario Matteo Renzi a dire no a un contratto di governo
». Ma ora che Renzi non detta più la linea del partito, ora che è caduto il principale ostacolo al dialogo, cosa faranno i
Cinquestelle? Nessuno, per ora, ha voglia di venire allo scoperto.
Una convergenza all’Ars – lo aveva già detto Cancelleri il 9 luglio a Repubblica – sarebbe possibile solo sui singoli temi. «
Potremmo parlare di collaborazione se abbandonano scelte del passato assurde: potremmo confrontarci sul lavoro, sulle
infrastrutture, sui rifiuti, sull’acqua » . Parole che avevano scatenato il dibattito fra deputati e attivisti, tanto che lo stesso
Cancelleri era stato costretto a chiarire le sue parole con un video pubblicato sulla sua pagina Facebook.
Di certo, nella pattuglia dei deputati all’Ars, c’è chi non ha mai digerito l’abbraccio con la Lega. Soprattutto l’anima di sinistra
rappresentata da Giampiero Trizzino e Luigi Sunseri, da sempre critici su temi come l’ambiente e la questione migranti. « È
vero, siamo diversi dalla Lega, ma anche dal Pd», dice Sunseri. Che però non sbatte la porta all’idea rilanciata dal capogruppo
del Pd Giuseppe Lupo di dialogare a Sala d’Ercole per portare avanti l’opposizione al governo Musumeci: « All’Assemblea
regionale – continua Sunseri - siamo entrambi all’opposizione, per cui è normale che possano esserci battaglie comuni sui
singoli temi». Le due principali forze di opposizione dialogano da inizio legislatura: i grillini hanno votato mozioni importanti
proposte dal Pd su autonomia differenziata e migranti, solo per fare due esempi. « Ma questo – dice Sunseri – non significa che
ci sarà un accordo elettorale. Sono convinto che la scelta giusta sia quella di andare da soli in caso di elezioni anticipate ».
La linea, almeno pubblicamente, è una per tutti. E la detta Di Maio. « Con il Pd non c’è nessun dialogo. Non mi riconosco nei
loro valori, così come non mi riconosco in quelli della Lega. All’Ars non votiamo insieme, ma contro. Nel caso specifico
contro il governo Musumeci » , taglia corto il deputato siracusano Stefano Zito. L’unico a cogliere l’assist lanciato da esponenti
del Pd del calibro di Dario Franceschini, che in un’intervista al “ Corriere” ha parlato di dialogo possibile, è il deputato
nazionale M5s Giorgio Trizzino, palermitano: « Non posso che apprezzare l’apertura: M5s è portatore di valori che in parte
sono comuni a un mondo moderato rappresentato anche da settori del Pd».
Di certo nell’Isola qualcosa si muove. E c’è un certo nervosismo della base grillina sui social. «Il Movimento Cinquestelle non
può mischiarsi con questo Pd, il M5s è altra cosa » , scrive per esempio Rosanna Caria sulla pagina Facebook di Cancelleri.
«Sarà sempre impossibile fare alleanza con i pidduini», rilancia il simpatizzante Matteo Sardo.

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Al di là delle dichiarazioni di intenti, sull’apertura di un canale di comunicazione fra Pd e M5s - in cui la Sicilia potrebbe
giocare un ruolo chiave - molto peserà la scelta del commissario che prenderà in mano le sorti del Pd nell’Isola. Una scelta che
prelude all’apertura di una battaglia anche legale: il deputato nazionale Pd, Fausto Raciti, annuncia il ricorso alla giustizia
ordinaria contro la decisione del comitato nazionale di garanzia di annullare le primarie che hanno incoronato Faraone. La
partita, insomma, è ancora aperta.
© RIPRODUZIONE RISERVATA
l 5 Stelle Un raduno grillino. M5S vanta 20 deputati all’Assemblea regionale

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L’Assemblea regionale

Via libera dell’aula ai concorsi Palazzo d’Orleans
torna ad assumere
Dopo undici anni la Regione siciliana torna ad assumere. Ieri l’Ars ha dato il via libera alla norma presentata dal governo
Musumeci che sblocca i concorsi in assessorati e uffici regionali svuotati dall’ondata di pensionamenti (tremila negli ultimi tre
anni). Già a partire dal 2020 - sulla base del fabbisogno di ogni dipartimento e in proporzione ai pensionamenti dell’anno
precedente - potranno essere bandite le selezioni. Concorsi per assumere nuove leve ai quali sono vincolati anche le promozioni
del personale già in servizio. «Un risultato storico che ci permetterà di dare nuova linfa e una vitale boccata d’ossigeno agli
uffici regionali, ormai da tempo afflitti, come tutta la pubblica amministrazione, da una grave carenza di personale», esulta il
presidente della Regione Nello Musumeci.
Ma quanti sono i posti subito disponibili? E quali gli step?
L’obiettivo del piano triennale del fabbisogno è reclutare seimila nuovi regionali entro il 2024. Si parte per gradi: la norma
prevede che quest’anno sia assunto il 75 per cento dei dipendenti “semplici” andati in pensione l’anno scorso, con le porte di
Palazzo d’Orléans che si aprirebbero — secondo una stima preliminare — per un massimo di 500 persone, mentre l’anno
prossimo si potrà riempire l’85 per cento delle caselle lasciate libere dai pensionamenti 2019 e nel 2021 si potrà assumere un
nuovo dipendente per ogni pensionato dell’anno prima. Passo più ridotto per i dirigenti: quest’anno saranno celebrati i concorsi
per il 30 per cento dei posti lasciati liberi l’anno scorso, nel 2020 si passerà al 40 e nel 2021 al 50 per cento. I dipartimenti dove
si assumerà di più sono I Beni culturali, a caccia di oltre 1.900 nuovi impiegati fra archivisti, esperti nella gestione dei siti e
altre figure. Seguono Rifiuti, Infrastrutture e Lavoro. «Questa legge - sottolinea l’assessore alla Funzione pubblica Bernardette
Grasso - rappresenta un passo decisivo per mettere ordine nell’assetto dell’amministrazione regionale. Per effetto del blocco
delle assunzioni e dei prepensionamenti – argomenta l’assessora - gli uffici della Regione si sono trovati a operare con un
organico spesso sottodimensionato. A ciò si aggiunge l’elevata età media del personale attualmente in servizio, che incide sulla
propensione alle nuove tecnologie». Secondo uno studio della Regione, in assenza dei concorsi il punto di non ritorno si
sarebbe raggiunto già dal 2020, quando in un ufficio su due sarebbe rimasto senza il capo.
— g.sp.
© RIPRODUZIONE RISERVATA
Il governatore Nello Musumeci: «Un risultato storico che ci permetterà di dare nuova linfa agli uffici regionali, afflitti da una
grave carenza di personale»

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I l caso

Il progetto principesco di Piano si impantana alla
Regione
Un’isola monegasca da fare con sabbia siciliana Ma l’ufficio che deve dare l’ok è senza capo
di Giorgio Ruta Il progetto di un nuovo quartiere di Montecarlo costruito sull’acqua, firmato Renzo Piano, rischia di rallentare
a causa della burocrazia siciliana. Infatti, su una scrivania della Regione, tra centro pratiche ferme, c’è una richiesta che
riguarda il prelievo di sabbia siciliana da destinare all’opera del Principato di Monaco. Ma nessuno può giudicarla da quando, a
inizio luglio, la commissione di valutazione impatto ambientale dell’assessorato Territorio e ambiente è stata azzerata. Dopo lo
scandalo Arata, si è dimesso il presidente Alberto Fonte, indagato assieme a un altro membro Salvatore Pampalone. Sono
accusati di abuso d’ufficio perché avrebbero fornito informazioni riservate sullo stato della pratica degli Arata e di Nicastri su
due impianti di biometano, suggerendo le scorciatoie per evitare ulteriori lungaggini. In seguito, anche gli altri componenti
della commissione hanno fatto un passo indietro. E i progetti si sono accatastati, giorno dopo giorno, sulle scrivanie del
dipartimento.
Le risposte non arrivano e il rischio contenziosi per la Regione è altissimo. Di sicuro lo è per la pratica Montecarlo. Per
costruire il nuovo esclusivo eco quartiere di sei ettari, davanti al lungomare del Larvotto, dovrebbero arrivare 700mila metri
cubi di sabbia siciliana per formare un terrapieno alto 30 metri. A fornirla è la Arenaria che ha una concessione nel golfo di
Termini Imerese, a sei miglia dalla costa e a 120 metri di profondità. La società ha stipulato un contratto con un armatore belga
che si occupa di fornire il materiale per il progetto monegasco. Accordo che rischia di saltare se a settembre una nave speciale
non potrà prelevare la sabbia dell’Isola per portarla nel Principato. C’è da scommettere che l’Arenaria si rifarà sulla Regione
aprendo un contenzioso con cifre da capogiro. Ma, soprattutto, si verificherebbe una perdita di un milione di euro di canoni
demaniali che la Sicilia incasserebbe nel caso in cui l’affare da circa 10 milioni andasse in porto.
Gli intoppi della burocrazia dell’Isola rischiano di frenare un progetto avviato nel 2013, quando il governo del Principato
dichiarò la volontà di allargare la città stato verso il mare. Nel nuovo quartiere costruito sull’acqua verranno ospitati 60mila
metri quadri di abitazioni, un grattacielo, un parco di un ettaro, 3mila metri quadrati di negozi, un parcheggio, una estensione
del Grimaldi Forum e dell’area portuale. Sicilia, permettendo.
La pratica Montecarlo è arrivata in assessorato nel marzo dell’anno scorso. Ma in un anno e mezzo non è arrivato il via
definitivo. La commissione, prima dello scandalo Arata, ha bocciato il progetto. A questo punto l’Arenaria, società di Seci Real
Estate, Gruppo Industriale Maccaferri, ha presentato una controdeduzione che attende ancora risposta. E senza questo ok non si
può avere l’approvazione definitiva di un altro tavolo regionale. Il rischio che l’affare sfumi è altissimo. Ci sono dei tempi da
rispettare e dei contratti da onorare. Per l’affare monegasco e per le altre centro pratiche che giacciono in un ufficio.
L’assessore al Territorio e Ambiente Toto Cordaro assicura che la commissione sarà nominata prestissimo. « Tra uno, due
giorni faremo tutti gli adempimenti per metterla in piedi e per smaltire tutti gli arretrati » , promette. Una corsa contro il tempo
per non fare una magra figura a livello internazionale.
© RIPRODUZIONE RISERVATA
L’oasi

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CRONACA                                                                                                                24/7/2019

la mappa dei disagi

Sciopero dei trasporti, Sicilia in tilt
di Gioacchino Amato Saranno garantite le fasce protette per i pendolari e quelle per i collegamenti con le isole minori e per
l’attraversamento dello stretto di Messina ma oggi anche in Sicilia ci si prepara a un mercoledì nero nel settore dei trasporti che
arriva mentre l’Isola è affollata di turisti. La situazione più pesante riguarderà i treni con l’astensione dal lavoro che inizierà alle
9 per concludersi alle 17. Prevista la soppressione della quasi totalità dei convogli previsti nella fascia oraria e un’adesione
piuttosto alta che coinvolgerà anche i servizi sostitutivi di bus al momento operativi per l’interruzione della Palermo- Messina
fra Patti e Gioiosa Marea. Anche la ferrovia metropolitana di Palermo e i collegamenti da e per l’aeroporto saranno coinvolti
nello sciopero dalle 9 alle 17. Gli autobus urbani e extraurbani si fermeranno dalle 9 alle 13 come la ferrovia e i bus della
Circumetnea di Catania e il tram di Messina. Regolari i bus urbani della Amt di Catania perché il personale ha scioperato pochi
giorni fa. A Palermo le ripercussioni dello sciopero si dovrebbero avvertire più nelle linee di bus e meno nel servizio del tram.
Per il trasporto su gomma extraurbano è tradizione che lo sciopero abbia più effetti sulle tratte gestite dall’azienda regionale Ast
e meno in quelle gestite dai privati. Anche i collegamenti via mare saranno drasticamente ridotti come i servizi assicurati nei
porti. Il personale degli scali sciopera per 24 ore come pure i marittimi. I collegamenti nello stretto di Messina e per le isole
minori verranno garantiti solo per le corse essenziali, generalmente saranno effettuate la prima e l’ultima corsa della giornata.
Anche sulle strade statali e sulle autostrade si potrebbero verificare problemi per lo sciopero sia del personale Anas che di
quello del Cas, il consorzio regionale che gestisce la Palermo- Messina, la Messina- Catania e il tratto in esercizio della
Siracusa- Gela. Si astengono dal lavoro sia i cantonieri che i casellanti per l’intera giornata. Solo i cantonieri Cas assicureranno
i controlli radio e di sicurezza e sciopereranno per quattro ore. In Sicilia la vertenza nazionale si lega con i temi locali, primo
fra tutti la carenza delle infrastrutture stradali e ferroviarie. Davanti le nove prefetture i sit in dei sindacati, che parlano di «
latitanza del governo regionale su riforma del trasporto pubblico, la riforma del Cas, la riorganizzazione del sistema
aereoportuale » . « Dopo gli annunci sulle gare per aggiudicare le tratte dei bus – spiega Franco Spanò, segretario regionale Filt
Cgil – l’assessore Falcone ha firmato l’ennesima proroga fino al 2022, i cantieri delle strade rimangono fermi, le ferrovie
continuano a ridurre i servizi, adesso stanno eliminando anche quasi tutte le biglietterie presidiate dal personale. Ma da
affrontare c’è anche lo sviluppo degli aeroporti e il destino di Trapani e Comiso e il potenziamento del trasporto navale » . E
venerdì si replica, stavolta nei collegamenti aerei con uno sciopero dalle 10 alle 14 che per il personale Alitalia durerà invece
l’intera giornata. L’Ente nazionale aviazione civile ha già indicato quali sono i voli che dovranno essere garantiti. Tutti quelli
dalle 7 alle 10 e dalle 18 alle 21 e undici voli da e per i sei scali siciliani. Fra oggi e domani Alitalia e le altre compagnie
forniranno l’elenco dei voli cancellati ma è chiaro che i disagi soprattutto per chi vola con la ex compagnia di bandiera saranno
pesanti.
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k Le vertenze Sciopero dei trasporti, i disagi in Sicilia

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Rassegna Stampa del LIBERO CONSORZIO COMUNALE DI RAGUSA   24 LUGLIO 2019

                                LA SICILIA
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Moscopoli, Conte in Senato il leader
leghista non ci sarà
Il capo del governo ribadirà l’atlantismo dell’Italia difendendo, ma senza strafare, il vicepremier. Che
dice di essere impegnato col comitato per la sicurezza. Nuovo rinvio per l’autonomia. La ministra
Stefani: "Così non reggiamo"

di Goffredo De Marchis

ROMA — Ancora il Senato, ancora un fuga. Dopo il ripensamento sul caso Diciotti (prima sì all’autorizzazione a procedere,
poi il no votato dalla maggioranza di governo), Matteo Salvini si eclissa anche dal dibattito sui presunti finanziamenti russi alla
Lega. Aveva detto: «Andrò ». Poi: «Parlerò dopo il premier ». Era trapelato che lo avrebbe fatto dai banchi della Lega
marcando una distanza dall’esecutivo di cui fa parte e dal Movimento 5 stelle. Ma adesso dal Viminale arriva il dietrofront: il
ministro dell’Interno ha altro da fare, ha convocato il Comitato per l’ordine e la sicurezza proprio alle 16 di oggi, mezz’ora
prima dell’intervento di Giuseppe Conte a Palazzo Madama. Timing perfetto. Non ascolterà il presidente del Consiglio che
riferisce su Moscopoli, non seguirà il dibattito che ne seguirà (durante il quale interverrà Renzi), non prenderà la parola
tornando così alla posizione originaria: «Non intervengo su una cosa che non esiste. Sono tutte balle ».
Dicono che come per il caso Diciotti la regia comunicativa di una vicenda tanto delicata sia ancora una volta stata quella
dell’avvocato Giulia Bongiorno, ministra della Pubblica amministrazione ma in questo caso fidata consigliera su processi veri o
parlamentari. Secondo il suo stile in realtà Salvini potrà comunque intervenire magari con una diretta Facebook. Ma niente
lapidazioni in un’aula parlamentare, niente assist ai suoi oppositori. Fra loro non dovrebbe esserci il premier che comincerà a
preparare il suo discorso stamattina. Sarà un testo sul filo del rasoio, in cui si starà bene attenti a non entrare nei dettagli delle
conversazioni di Gianluca Savoini con i russi all’Hotel Metropol. Non si parlerà di rubli. Semmai il messaggio dovrà arrivare
anche lontano da Roma e sarà il seguente: non è in discussione la collocazione atlantica dell’Italia, e le alleanze europee.
Nessun cedimento al progetto Euroasiatico dei seguaci di Putin. Dal punto di vista della politica estera, quindi, una linea ben
diversa da quella leghista. Probabilmente non è neanche l’occasione giusta per affrontare il tema delle sanzioni. L’obiettivo
principale infatti è ristabilire l’equilibrio delle relazioni internazionali. A cominciare da quelle con l’Unione europea dove,
dopo aver agevolato l’elezione di Ursula Von der Leyen alla commissione Ue, Conte pensa di essersi ritagliato un ruolo di
maggiore centralità e stima. E si sa cosa pensa di Putin Angela Merkel, del cui gabinetto Von der Leyen era ministro.
Non bisogna aspettarsi dunque un assist da parte di Conte che già ieri ha risolto il nodo della Tav a favore della Lega e
destabilizzando il M5s. E che dovrà continuare a muoversi sul filo perché sta arrivando al pettine anche il nodo delle
autonomie. Sebbene con il sorriso, ieri la leghista Erika Stefani, ministro degli Affari regionali, ragionava sui rinvii e i ritardi
della scelta finale. «Ogni volta che torno a casa in Veneto mi dicono una cosa sola: "Mi raccomando, l’autonomia". Hanno fatto
un referendum e non vogliono che sia tradito». Però i tempi si allungano. «E questo diventa un problema. Io non voglio più
nemmeno dare una data. È il modo migliore per non deludere le speranze. Ma così non reggiamo. Dobbiamo ancora affrontare
lo scoglio delle risorse, il più grande». Se lo schema è quello di dare dispiaceri pari agli alleati di governo, Conte si prepara a
non dare il 100 per cento delle richieste di Zaia e Fontana. Con quali conseguenze, non si sa.

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L’INCHIESTA

Chi pagò le missioni di Savoini a Mosca? Il
premier chiede Salvini non risponde
La domanda inoltrata da giorni da Palazzo Chigi agli uffici del ministro Nel telefono dell’ex
portavoce, in mano ai pm, la verità sui rapporti con la Lega

di Carlo Bonini e Tommaso Ciriaco

ROMA — Di fronte al fantasma russo, il vicepremier e ministro dell’Interno Matteo Salvini resta ibernato nel suo arrocco
disperato - «Savoini chi?» - e ora fugge anche da Giuseppe Conte. Da due giorni, i suoi uffici di vicepremier a Palazzo Chigi
negano infatti alla Presidenza del Consiglio, con la goffaggine di chi non sa cosa dire perché quel che dovrebbe dire non può
dirlo, informazioni sui rapporti che quegli uffici hanno avuto con Gianluca Savoini in occasione delle sue ripetute trasferte a
Mosca dall’estate del 2018 a oggi. Una serie di domande a ben vedere molto semplici. Su circostanze altrettanto semplici da
verificare. Gli uffici di Salvini hanno sostenuto in tutto o in parte le spese di viaggio aereo e di soggiorno di Savoini a Mosca?
E se è così, quando? Nel luglio del 2018, in occasione del vertice bilaterale dei ministeri dell’Interno italiano e russo? Per il
convegno di Confindustria Russia nell’ottobre dello stesso anno? E ancora: Savoini ha mai fatto parte o è mai stato accreditato
in delegazioni ufficiali di Governo in missioni a Mosca?
Le domande erano state inoltrate agli uffici di Salvini dal premier, attraverso il segretario generale di Palazzo Chigi Roberto
Chieppa, in vista delle comunicazioni che oggi farà in Senato su Moscopoli. «Faremo sapere entro martedì», aveva assicurato
alla presidenza del Consiglio lo staff del vicepremier. Per poi, ieri, buttare di nuovo la palla più in là. «Abbiamo bisogno di
altro tempo». E nessuna risposta è arrivata neppure dal Viminale. In questo caso, la richiesta era stata girata in via informale
dallo staff di Conte a quello di Salvini. Siamo dunque fermi a quanto detto a Repubblica due settimane fa dalla portavoce di
Salvini. E cioè che Savoini «non faceva parte della delegazione italiana a Mosca in occasione del bilaterale con il ministero
dell’Interno Russo nel luglio 2018». Ricostruzione che, come ormai noto, fa visivamente a pugni con la ormai celebre foto
(postata dallo stesso Salvini) che ritrae Savoini seduto al tavolo di quella delegazione.
Per quanto grottesco possa apparire, siamo dunque al punto che alla terza settimana dell’affaire Metropol, il governo di questo
Paese non è stato in grado di scoprire se, quando, come e perché un nazista di Alassio, plenipotenziario della Lega a Mosca,
abbia partecipato, ufficialmente o ufficiosamente, rimborsato in tutto o in parte, a missioni del nostro Paese in Russia.
Sappiamo solo che, il 4 luglio, a Villa Taverna, Savoini fu invitato alla cena di gala per Putin da Claudio D’Amico, "consigliere
strategico" di Salvini a Palazzo Chigi attraverso il cerimoniale. Sappiamo anche che il biglietto aereo per Mosca di D’Amico
per partecipare al convegno di Ottobre 2018 di Confindustria (nei giorni del "patto" del Metropol) fu pagato da Palazzo Chigi.
E sappiamo anche che, nell’altra occasione istituzionale, la festa nazionale russa del 7 luglio scorso a villa Abamelek, sede
dell’ambasciata a Roma, tra gli invitati presenti figuravano Salvini, la presidente del Senato Elisabetta Casellati (che definì
d’acchito l’affaire Metropol "un pettegolezzo"), Savoini, D’Amico e l’avvocato Gianluca Meranda.
C’è un motivo all’origine della nebbia in cui sono stati avvolti Savoini, le sue mosse e il suo ruolo nel cerchio magico di
Salvini. Il vicepremier non è nella condizione di potersi impiccare di fronte al Parlamento e tanto meno con il presidente del

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Consiglio Conte e l’altro vicepremier Di Maio, a una versione dei suoi rapporti, istituzionali o meno, con Gianluca Savoini che
potrebbe essere immediatamente smentita da circostanze documentali. Non era in grado di farlo tre settimane fa. Non è, a
maggior ragione, in grado di farlo dalla scorsa settimana, da quando la Guardia di Finanza ha bussato alle abitazioni e negli
uffici di Savoini e Meranda, entrambi indagati per corruzione internazionale dalla Procura di Milano, sequestrando telefoni,
computer e documenti a entrambi. Il telefono di Savoini, nella cui memoria è rimasta traccia di chat, contatti, telefonate,
spostamenti, è una micidiale spada di Damocle su Salvini. E questo il vicepremier lo sa. Perché in quel telefono, il cui esame è
cominciato da parte della Finanza, sarà documentabile presto quello che Salvini potrebbe negare o omettere oggi. A cominciare
dalla questione decisiva: quale consapevolezza avesse il vicepremier del tipo di mercato che i suoi uomini a Mosca (Savoini e
D’Amico) avevano messo in piedi per finanziare la campagna elettorale della Lega. E questo vale per il caso Metropol e non
solo. Identico il discorso sugli scenari che possono aprire il telefono di Meranda e i documenti che gli sono stati sequestrati.
Ieri, a Milano, i pm titolari dell’inchiesta (Gaetano Ruta e Sergio Spadaro) e l’aggiunto che li coordina (Fabio De Pasquale)
hanno fatto un punto con gli uomini della Finanza che hanno cominciato a esaminare il materiale. La storia camminerà.

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POLITICA                                                                                                                       24/7/2019

Via libera alla Tav Conte: bloccarla costa più
che farla
Il premier smina la strada del governo ma abbatte il totem dei 5S La Lega: "Abbiamo sempre chiesto di far
partire l’opera"

di Paolo Griseri

TORINO - Forse inevitabilmente il via libera del governo alla Tav arriva via Facebook alle 19,50 da un presidente del Consiglio
indicato dal Movimento 5 stelle. Quando Giuseppe Conte prende al parola sulla rete è ormai chiaro che sta per fischiare la partenza del
treno veloce in val di Susa. La frase chiave è: «Non realizzarla costerebbe molto più che completarla». Il contrario di quel che aveva
stabilito l’analisi costi-benefici voluta dal ministro Toninelli. Ma anche l’inevitabile riconoscimenti di un principio di realtà.
Il fischio del capostazione Conte è l’esito finale di un lungo braccio di ferro iniziato più di un anno fa, all’indomani delle elezioni
politiche e ben prima della formazione del governo. I 5 Stelle non avevano la forza di governare da soli ma chiedevano ministeri chiave.
Uno erano i trasporti proprio per bloccare il supertreno. Nel totonomine si fece il nome della piemontese Laura Castelli. La Lega si
oppose proprio per evitare di avere una No Tav a Porta Pia. Ironia della sorte, Laura Castelli sarebbe poi diventata una delle esponenti
dell’ala trattativista sul supertreno.
Il secondo tentativo di bloccare l’opera fu nella scrittura del contratto di governo. Nella prima versione del testo la Tav era
semplicemente abolita. Ma la frase venne modificata con un compromesso. Il governo si impegnava alla «ridiscussione integrale del
progetto nel rispetto degli accordi internazionali ». Gli accordi, votati dal parlamento, prevedevano di fare la Tav ma la «ridiscussione
integrale» avrebbe potuto cancellarla. Una ambiguità calcolata. L’autunno e l’inverno sono trascorsi a trovare il modo di proseguire i
lavori senza irritare troppo i grillini che avrebbero avuto il loro scalpo con l’analisi costi-benefici del gruppo Ponti che sconsigliava di
realizzare la ferrovia. Mentre in Italia venivano rinviati gli appalti, in Francia si continuava a scavare la galleria di base. Il ministro
Toninelli si rifiutava di andare a visitare il cantiere per non dover prendere atto della realtà e poter sostenere che era possibile bloccare
l’opera.
In primavera lo scontro più duro. A marzo il governo rischia la crisi perché Telt, la società italo-francese che realizza la Torino-Lione,
deve far partire le gare d’appalto per i 45 chilometri del lato francese della galleria. I grillini minacciano di far saltare tutto. Si trova un
compromesso all’ultimo momento sfruttando una norma del diritto francese che consente di avviare la gara d’appalto senza impegnare
denaro pubblico. Si prende così tempo. Di Maio fa scrivere che l’avvio dei bandi di gara sarà ulteriormente sottoposto all’approvazione
dei governi. Nel frattempo Bruxelles sega le gambe all’analisi costi-benefici voluta da Toninelli. Perché l’Europa si dice disposta a
pagare non il 40 ma il 55 per cento del costo del tunnel di base e a pagare metà dei costi delle tratte nazionali. Una scelta che rende
molto difficile dire di no. Anche perché, come ha riconosciuto Conte ieri sera in un passaggio del suo discorso, «bloccare adesso
vorrebbe dire far fronte a costi». Le famose penali che i contrari all’opera hanno sempre definito «inesistenti », dunque esistevano.
L’intervento di Conte ieri sera ha rimandato all’opposizione i No Tav che in questi quindici mesi erano stati al governo. Si intesta il
risultato invece la Lega: «Abbiamo sempre chiesto di far partire l’opera», dice Salvini. Ora il cantiere potrà accelerare i tempi anche sul
lato italiano. Forse solo un governo a maggioranza grillina avebbe potuto davvero far partire la Tav.
ALESSANDRO CONTALDO/PHOTONEWS No Tav
Il fondatore del Movimento Cinque Stelle Beppe Grillo ad una protesta organizzata dai militanti No Tav

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Grillo parla da ex "È un tradimento" Ma
Toninelli resta
Di Maio conosceva già l’esito e chiede il voto del Parlamento sapendo che i 5S saranno sconfitti: "Resto
contrario"

di Tommaso Ciriaco

ROMA — Sembra la fine del mondo. E forse lo è davvero. «Mi hanno tradito », commenta Beppe Grillo. Così, almeno, riferiscono a
Luigi Di Maio alcuni ambasciatori sconvolti dalla rabbia del fondatore. «Ci ha chiamato traditori e poltronari». Parla quasi come un
"ex", il comico. Chissà che non lo diventi, nei prossimi mesi. Lo hanno umiliato. Messo ai margini in casa sua. Soffocato col cinismo di
chi si nasconde dietro la ragione di Stato. Il delfino di Pomigliano ha sempre risposto con un’alzata di spalle, «Beppe, ma che possiamo
fare?». Non hanno fatto nulla. E adesso è furia. Scheggia impazzita.
È una serata di passioni e dolori. «Che giornata di merda, che sconfitta durissima», si tormenta il senatore Emanuele Dessì. Ma c’è un
uomo che riesce a sorprendere anche quando tutto sembra possibile, in questa ecatombe della storia grillina. Si chiama Danilo Toninelli.
Da ministro ha giurato, spergiurato che avrebbe messo il proprio corpo fra l’Italia e la Tav. Cinque minuti dopo il via libera del premier,
fa trapelare: «Resto al mio posto. Conte ha riconosciuto che i tre miliardi risparmiati sono anche grazie al lavoro del ministero. Li
useremo per opere utili». Eppure, per un giorno intero non si parla d’altro che delle sue dimissioni. Sconcertato dal suo resistere, Matteo
Salvini consegna ai suoi un concetto: «Dovrebbe lasciare, se non altro per dignità». Non è detto che resista a questo disastro, in effetti.
Quanti grillini si spiaccicano in queste ore sul cinismo del capo. Uno passionale come il senatore Alberto Airola, piemontese, attivista,
non si dà pace. «Sulla Tav ho mandato un sms a Grillo. Gli ho detto "Beppe, si avvicina l’ora X, dimmi tu cosa fare". La risposta? Non
c’è stata, era il suo compleanno. Ora sono affranto ».
Il vicepremier 5S non batte ciglio. Da mesi aveva deciso di mollare al proprio destino gli attivisti No-Tav, piemontesi cresciuti nel mito
della battaglia contro la Torino-Lione. «Si farà, dopo le Europee si farà», andava confidando. Adesso che non c’è più nulla da salvare,
che il cedimento più mortificante è consumato, al Movimento resta soltanto la "dottrina Di Maio", buona neanche per sedare le proteste
di Beppe Grillo. «Rispetto Conte, ma resta un’opera dannosa e un regalo a Macron. Adesso si esprima il Parlamento. E in Aula vedremo
chi è d’accordo con Renzi e Berlusconi». I capigruppo 5S D’Uva e Patuanelli ascolteranno le comunicazioni del presidente del
Consiglio e presenteranno la loro risoluzione. Poco più di un proclama vuoto, perché gli altri gruppi voteranno comunque a favore:
«Vedremo chi sceglierà di avere coraggio. La posizione del Movimento non cambia. Il nostro No a un’opera che rischierebbe di nascere
già vecchia è deciso».
Grillo, come detto, non fa neanche finta di crederci. Già gli avevano ammazzato la regola del doppio mandato, poche ore prima,
costringendolo a cantare sulle note di Julio Iglesias «il mandato ora è in corso è il primo di un lungo viaggio/ ma di andarmene a casa
non ho proprio il coraggio...». Adesso gli mettono in mano la paletta di capotreno della Tav. Badando solo a non rovinargli il
compleanno.
E già, perché domenica 21 luglio si è sfiorato anche questo incidente. Il fondatore del Movimento compie 71 anni, mentre Giuseppe
Conte comunica allo staff: «Oggi intervengo per dire agli italiani che la Tav si farà». «Presidente, è sicuro?», domanda un consigliere
pietoso, ricordandogli la ricorrenza: «Oggi Beppe compie gli anni, forse sarebbe meglio…». Rimandano, ma soltanto di due giorni. E
adesso "Beppe" parla come un ex.

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