RASSEGNA STAMPA CGIL FVG - lunedì 28 ottobre 2019

Pagina creata da Raffaele Fortunato
 
CONTINUA A LEGGERE
RASSEGNA STAMPA CGIL FVG – lunedì 28 ottobre 2019
(Gli articoli di questa rassegna, dedicata prevalentemente ad argomenti locali di carattere economico e sindacale, sono
scaricati dal sito internet dei quotidiani indicati. La Cgil Fvg declina ogni responsabilità per i loro contenuti)

ATTUALITÀ, REGIONE, ECONOMIA (pag. 2)
Oltre 700 domande decadute per il Reddito di cittadinanza (Piccolo)
La Uil difende il 112 unico: «La scelta più ragionevole» (Piccolo)
Manutenzioni pagate a peso d'oro, ditte senza lavoro, Comuni nel caos (M. Veneto, 2 articoli)
Treni nuovi, ma lenti. Così per spostarsi i friulani continuano a scegliere l'auto (M. Veneto, 3 articoli)
Crociere, in arrivo un anno da record. Anche Trieste partecipa al boom (Piccolo)
CRONACHE LOCALI (pag. 7)
Ipotesi riorganizzazione degli uffici postali. A Servola raccolta firme contro la chiusura (Piccolo Trieste)
«Emergenza Ferriera, Patuanelli e Fedriga non voltino le spalle» (Piccolo Trieste)
Stop al social housing di Rozzol. Impresa fallita, cantiere chiuso (Piccolo Trieste)
«Macchinari supertecnologici? Bene, ma mancano infermieri» (Piccolo Gorizia-Monfalcone)
La Cgil attacca Vecchiet: «Snobbare i sindacati va a scapito dei cittadini» (Piccolo Go-Mo, sab. 26/10)

                                                          1
ATTUALITÀ, REGIONE, ECONOMIA

Oltre 700 domande decadute per il Reddito di cittadinanza (Piccolo)
Marco Ballico - L'incremento delle domande per reddito e pensione di cittadinanza era andato in calando
già tra metà luglio e inizio settembre, ma l'ultimo aggiornamento Inps conferma un ulteriore rallentamento.
In poco più di un mese - dal 4 settembre all'8 ottobre - si sono aggiunti solo 340 nuovi beneficiari, su un
totale (11.320) che va tra l'altro decurtato di 728 domande decadute (ne restano 10.592, per un totale di
quasi 20 mila persone coinvolte). Se dunque da fine aprile a metà luglio l'aumento delle procedure accolte
di Rdc e Pdc in regione era stato del 37%, e nel successivo mese e mezzo ci si era invece fermati al +7%, ora
non si va oltre una crescita del 3%. Il contesto è quello di 982 mila nuclei che ricevono l'assegno in Italia, di
cui 39 mila decaduti dal diritto (è la prima volta che l'Inps fornisce questo dato). I motivi? Rinuncia del
beneficiario (5% dei nuclei), variazione della situazione reddituale (10%), variazione della composizione del
nucleo a eccezione di nascita e morte (37%), variazione congiunta della composizione della situazione
economica del nucleo (48%). Le 943 mila famiglie restanti (sono state coinvolte 2,3 milioni di persone, di cui
1,5 milioni al Sud e nelle Isole, 493 mila al Nord e 315 mila al Centro) sono costituite per 825 mila da
percettori di Rdc, con 2,2 milioni di persone coinvolte, e per 118 mila da percettori di Pdc, con134 mila
persone coinvolte. Nel dettaglio del Fvg, dei 10.592 beneficiari, 8.717 ricevono il reddito di cittadinanza
(17.877 persone coinvolte), 1.875 la pensione (la definizione per i nuclei familiari composti da uno o più
componenti di età pari o superiore a 67 anni) per 2.037 coinvolti. A Trieste le domande accolte sono 3.709,
di cui 215 decadute. A Gorizia siamo invece a 1.538, di cui 96 decadute. L'Inps informa inoltre che risultano
in lavorazione in Fvg 1.814 domande, mentre 6.530 sono già state respinte. Una situazione che pare
dunque avviarsi verso gli stessi numeri della Mia, il sostegno al reddito introdotto in regione dal 2015 che
mediamente ha coinvolto 12 mila famiglie nella fase di coesistenza con il Rei (Reddito di inclusione).
L'importo medio del Rdc in Fvg è di 406 euro al mese e scende a 365,40 euro per la Pdc. Cifre inferiori a
quelle della media Italia, con erogazioni di 520 euro mensili nel primo caso e 482 nel secondo. Nelle
province gli importi più alti sono quelli di Pordenone (419 euro per il Rdc, 378 per la Pdc). A Trieste si
toccano i 405 e i 362 euro al mese, a Gorizia 404 e 356. A livello nazionale, i nuclei percettori si concentrano
al Sud e nelle Isole (61% del totale). Seguono le regioni del Nord con il 24% e quelle del Centro con il 15%.
La regione con il maggior numero di beneficiari è la Campania (19% delle prestazioni erogate), seguita dalla
Sicilia (17%), dal Lazio e dalla Puglia (9%). Il Fvg è all'1,2%. Analizzando le domande pervenute per canale di
trasmissione, emerge che il 79% viene trasmesso dai Caf e dai Patronati e solo il 21% dalle Poste Italiane (la
media tra il 32% delle regioni del Nord e il 16% del Centro-Sud). Quanto alla cittadinanza del richiedente,
nel 90% la prestazione risulta erogata a un italiano, nel 6% a un cittadino extra-comunitario in possesso di
un permesso di soggiorno, nel 3% a un cittadino europeo e nell'1% a familiari dei casi precedenti. Nel primo
mese di erogazione, aprile, sono state pagate 569 mila prestazioni, nei due mesi successivi la crescita è
stata del 27% e del 15%. Tra settembre e ottobre del 3%, proprio come in regione.

                                                       2
La Uil difende il 112 unico: «La scelta più ragionevole» (Piccolo)
«In una regione di 1,2 milioni abitanti, optare per una centrale operativa unica è la scelta più ragionevole».
C'è il sindacato che vorrebbe il ritorno alla gestione a livello provinciale dell'emergenza, e su questo incalza
Riccardo Riccardi, e c'è la Uil Fpl che, con il segretario regionale Luciano Bressan, dà invece ragione
all'assessore alla Salute: sbagliato tornare indietro.L'intervento della Uil è anche una ricostruzione della
situazione a Palmanova, dove 31 infermieri su 38 hanno presentato richiesta di mobilità: «Stanchi dei
proclami che hanno portato a continui e gravi errori, con un percorso traballante e insicuro sin dall'inizio,
cerchiamo di far chiarezza». Secondo Bressan, il sistema Sores «ha retto solo perché incentivato
economicamente. Poi, a distanza di solo un anno, tutto è tornato come prima. Gli operatori, forse
manovrati e illusi da false promesse, hanno continuato professionalmente e con grande responsabilità a
rispondere a questo importante lavoro finché alla resa dei conti, probabilmente mal consigliati da alcuni,
hanno dichiarato di voler rientrare alle attività assistenziali dirette. Il personale va sempre valorizzato e reso
partecipe di ogni attività con trasparenza e condivisione, ma la battaglia non si vince con i ricatti». Doveroso
dunque, insiste il segretario della Uil Fpl, «ritornare alla realtà, in un'ottica di collaborazione, ma
soprattutto nel solo ed esclusivo interesse del cittadino. Chiediamo pertanto agli operatori di mantenere un
atteggiamento responsabile al fine di potere condividere una soluzione definitiva». Come uscire
dall'impasse? «Il futuro assetto organizzativo/gestionale dovrà derivare da una comunicazione
collaborativa con l'amministrazione regionale, utile a superare gli elementi di criticità. Fino alla
stabilizzazione dell'equipe Sores, sarà quindi necessario cercare personale su base volontaria e incentivata,
senza però gravare sull'attività dei Pronto soccorso. E poi servirà prevedere la corretta rotazione turno
dopo turno affinché i professionisti possano vedere rispettata la normativa contrattuale sul riposo
settimanale». Un ultimo ragionamento della Uil Fpl è rivolto alle aziende. «Nonostante la carenza di
personale infermieristico e medico in cui versano tutti i servizi del soccorso territoriale 118 e del Pronto
soccorso - sottolinea Bressan -, al fine di consentire l'apertura della Sores nessuno mai si è sottratto
all'impegno richiesto. Le varie aziende sanitarie della regione hanno provveduto a inviare il loro personale,
riversando sulle realtà lavorative rimanenti l'attività, per garantire la continuità assistenziale. Ma nulla è
stato imposto, visto che l'adesione al progetto regionale del 112 unico è stata costruita su una scelta
volontaria».

                                                        3
Manutenzioni pagate a peso d'oro, ditte senza lavoro, Comuni nel caos (M. Veneto)
Giacomina Pellizzari - I servizi cimiteriali sono in mano a una ditta di Lecce, gli sfalci a un'impresa di
Ravenna, le manutenzioni degli impianti elettrici sono finiti a un gruppo di Milano. Gli appalti, stiamo
parlando di 98 milioni di euro, gestiti dalla Centrale unica di committenza (Cuc) sono stati affidati ad
aziende non friulane e i Comuni sono costretti a pagarli a peso d'oro. Quando va bene i prezzi raddoppiano,
mentre i bilanci degli enti continuano a calare. Ed è solo l'inizio perché il peggio deve ancora arrivare: «Gli
effetti si vedranno a fine anno quando alle nostre imprese non saranno rinnovati i contratti». Il vice sindaco
di Fagagna, Sandro Bello, non esclude, infatti, che i maggiori costi non previsti dai Comuni possano ricadere
sui cittadini.L'adesione obbligatoria alla Cuc rischia di portare al caos. A sollevare il problema sono stati i
consiglieri regionali del Patto per l'autonomia, Massimo Moretuzzo e Giampaolo Bidoli: «L'assessore
Roberti avrebbe dovuto bloccare i bandi e prevedere prima il meccanismo della soglia». La giunta Fedriga
ha ereditato la Cuc dall'amministrazione di centrosinistra che adeguandosi a una norma di contenimento
della finanza pubblica nazionale, ha optato per la norma più restrittiva. Ora Roberti sta correndo ai ripari,
ma per i bandi già pubblicati difficilmente si tornerà indietro. Chi come Martignacco non ha ancora aderito
alla Cuc si guarda bene dal farlo: «I colleghi che sono già partito - spiega il sindaco Gianluca Casali -
segnalano sensibili aumenti di costo e subappalti alle imprese che già lavorano per noi, a prezzi molto più
bassi». Fagagna, invece, ha già aderito per la manutenzione dell'impiantistica e il vice sindaco si riserva di
valutare quanto effettivamente peserà sul bilancio. «Abbiamo le mani legati - aggiunge - quando i Comuni
spendono più del previsto sono costretti a girare l'aumento di spesa sulla comunità». Non a caso il sindaco
di Premariacco, Roberto Trentin, dopo essersi trovato con un conto salatissimo sugli sfalci passato, in un
triennio, da 29.900 a 114.407 euro, spera che «la Regione se ne renda conto, trasferendoci la differenza.
Quanto sta accadendo è paradossale». Il problema resta anche perché l'aumento dei costi non sempre si
traduce in maggiori servizi. È il caso degli sfalci che, come fa notare il vicesindaco di Tramonti di Sotto, Luca
Cleva, «se in passato alcuni comuni piccoli spendevano 6 mila euro l'anno per due passaggi a stagione, ora
pagano circa 2 mila euro in più e si ritrovano con un passaggio e mezzo a stagione». E ancora: «La ditta che
fa gli sfalci è di Milano e ha subappaltato il lavoro a una ditta locale, sottopagandola». I sindaci segnalano
capitolati carenti con voci incomplete. A questo punto la domanda non può che essere: «Se a Erto e Casso
un abitante muore il venerdì sera, la ditta di Lecce che ha appaltato i servizi cimiteriali ce la farà a
intervenire il sabato mattina visto che, in questo caso, il subappalto non è ammesso?». Sull'altro versante
alzano la voce pure i rappresentanti delle imprese. Il vicepresidente e responsabile del gruppo edile
Confapi, Denis Petrigh, si sofferma sui requisiti richiesti dai bandi europei che le piccole e medie imprese
non hanno: «Le ricadute le vedremo a fine anno» ripete facendo notare che la stragrande maggioranza
delle imprese appaltatrici ha sede fuori regione e quindi anche il pagamento delle imposte finirà nelle casse
di altre Regioni». Petrigh non ha alcun dubbio: «Quei bandi sono indifendibili. Siamo solo all'inizio, le nostre
imprese hanno al massimo una decina di dipendenti, quelle iscritte alla Confartigianato quattro o cinque,
come hanno potuto pensare di strutture i bandi in questo modo?». Tra gli aspetti più preoccupanti c' è
anche la possibile ricaduta sulle persone più svantaggiate. Il presidente del settore cooperazione della
Legacoop Fvg, Gian Luigi Bettoli, ha già fatto sapere che «500 lavoratori svantaggiati a fine anno rischiano di
rimanere a casa».
«Sui bandi già pubblicati non possiamo fare passi indietro»
testo non disponibile

                                                       4
Treni nuovi, ma lenti. Così per spostarsi i friulani continuano a scegliere l'auto (M. Veneto)
Riccardo De Toma - Una cura del ferro per le città italiane. A chiederla è Legambiente, che considera lo
sviluppo del trasporto locale come una delle ricette per provare a vincere la grande battaglia sul clima.
L'associazione, in particolare, guarda agli investimenti su ferrovie, metropolitane e tram, fondamentali per
allentare la morsa del traffico sulle città. In Friuli Venezia Giulia, però, nessuna città sembra avere la massa
critica per suggerire il ferro come alternativa per velocizzare il trasporto urbano. Quanto alla rete
ferroviaria, con 445 chilometri di binari dedicati al trasporto passeggeri, 41 milioni di costo anno
complessivo (Iva inclusa) dei contratti di servizio con Trenitalia e Fuc e un parco mezzi tra i più moderni
d'Italia, dopo gli 80 milioni sborsati nel 2015 dalla Regione per l'acquisto di otto nuovi treni Minuetto, il
Friuli Venezia Giulia può vantare un livello di investimenti più altro rispetto alla media italiana. Il che non
basta però a definirci virtuosi, tenuto conto che il nostro Paese è molto lontano dagli standard degli altri
grandi Stati europei.
Se i numeri diffusi da Legambiente promuovono la nostra regione, quantomeno nel confronto con il resto
del paese, resta l'evidenza di un flusso di passeggeri, 21 mila 240 al giorno, piuttosto basso. Con 41,3
milioni di spesa ordinaria sui contratti di servizio, extra esclusi, a fronte di 7,8 milioni di viaggiatori all'anno,
ogni volta che saliamo sul treno, di fatto, c'è un biglietto occulto di 5,3 euro che le casse pubbliche versano
ai gestori per garantire la sostenibilità economica del servizio. A rafforzare la percezione di uno scarso
appeal del treno la flessione del 3% nel numero di passeggeri tra il 2017 e il 2018 e una tendenza di lungo
periodo in lieve calo anche rispetto ai dati del 2001, in controtendenza con il resto l'Italia (+7% sul 2001) e
in particolare con i nostri vicini del Nordest, Veneto, Trentino Alto Adige e Romagna, che hanno fatto
segnare incrementi rispettivamente del 22%, 48% e 80% dei viaggiatori sui regionali.
Nel migliore dei casi, in sostanza, il Friuli Venezia Giulia resta stabile, nonostante scelte virtuose, almeno
sulla carta, come la riapertura del tratto Sacile-Maniago nel 2017. Il ritorno è stato però snobbato dagli
utenti, tanto che le corse sono scese dalle 20 iniziali alle attuali 12 e che il prezzo del biglietto, per provare a
rendere più attrattivo il treno, è stato dimezzato dai 4,15 euro di "listino" alla tariffa promozionale di 2,05
euro. Dati recenti sui flussi di passeggeri non ce ne sono: si era parlato di una quindicina di persone a corsa,
cifra forse non troppo sottostimata, se è vero che la riapertura della linea non ha portato ad alcun
incremento apprezzabile nei flussi di traffico regionali. Sacile-Maniago a parte, l'analisi dei dati sul traffico
passeggeri conferma una scarsa attrattività del treno. A spiegarla anche le caratteristiche della nostra
regione, con un territorio dove prevalgono i piccoli paesi, molti dei quali montani o pedemontani, e dove il
traffico verso i centri urbani non tocca ancora i livelli di guardia che si registrano, oltre che nelle metropoli,
anche in molte città della pianura padana. Incidono anche i fattori demografici, cioè il calo e
l'invecchiamento della popolazione, che implicano minori spostamenti. Al di là delle cause strutturali, però,
se si viaggia poco in treno è anche per le inefficienze della rete ferroviaria. Due ore come tempo ordinario
di percorrenza tra Udine o Trieste e Mestre, più di un'ora per i 75 chilometri che separano il capoluogo del
Friuli da quello regionale, tempo che sostanzialmente raddoppia tra Trieste e Pordenone, sono sicuramente
tra le cause che spingono ancora molti pendolari a preferire la macchina. Soprattutto in una regione dove
l'integrazione tra trasporto ferroviario e bus è ancora sulla carta e dove gli sconti-benzina sono un incentivo
in più all'utilizzo dell'auto.
Grazie al polo intermodale aumenti di traffico del 5%
Cento milioni di investimenti in dieci anni
testi non disponibili

                                                         5
Crociere, in arrivo un anno da record. Anche Trieste partecipa al boom (Piccolo)
Marco Ballico - L'industria crocieristica italiana vede numeri record in arrivo. E Trieste partecipa al boom
nazionale previsto nel 2020: la stima è di una movimentazione di 217mila passeggeri per 97 toccate nave,
con crescite superiori all'80%. Sono queste le aspettative rese note nella nona edizione dell'Italian Cruise
Day, il forum di riferimento per il comparto, organizzato da Risposte Turismo e sbarcato quest'anno a
Cagliari. Il dato triestino emerge dalle informazioni di Ttp. La società fa sapere che il trend così in ascesa
non è legato più di tanto all'annosa questione del transito delle navi nella laguna di Venezia, «ma è il frutto
di un lavoro di promozione e marketing per far conoscere Trieste come destinazione turistica». Le
provenienze? «Quello tedesco è sempre più mercato di riferimento. E alla Costa Crociere si aggiunge ora
Msc, che scalerà regolarmente in città il prossimo anno con 12 toccate».La proiezione di Risposte Turismo
contenuta nel report Italian Cruise Watch è stata effettuata sulle previsioni di 39 porti crocieristici nazionali
che rappresentano il 99% del traffico in movimento passeggeri e il 97% delle toccate nave sul totale Italia. Il
risultato è un record storico: 13 milioni di passeggeri (imbarchi, sbarchi e transiti), con un aumento del 6,2%
sulle stime di chiusura 2019 e 4.952 toccate (+3%). Dopo anni in cui si è galleggiato attorno alla soglia degli
11 milioni di movimenti, osserva il presidente di Risposte Turismo Francesco Di Cesare, «il triennio 2018-
2020 ha consentito e consentirà di raggiungere prima l'obiettivo dei 12 milioni e poi quello dei 13».Il
contesto è quello di un Paese primo del Mediterraneo nel settore, con una copertura del 40% dell'area, ma
con la Spagna che nell'ultimo quinquennio - con 21 scali crocieristici - ha dimezzato il gap passando da 7,3
milioni di passeggeri movimentati nel 2014 a 9,7 milioni. L'Italia risponde però con un nuovo scatto. Nel
dettaglio dei singoli porti, Civitavecchia nel 2020 consoliderà la leadership in classifica con 2,69 milioni di
passeggeri movimentati (+0,5%). Alle sue spalle, pur se in calo del 1,6%, si conferma Venezia con 1,52
milioni di passeggeri movimentati, un dato di stabilità in attesa della soluzione dei guai in laguna. Al terzo
posto Napoli (1,4 milioni) che, qualora le previsioni fossero confermate (+3,7%), potrebbe registrare un
record di crocieristi movimentati, grazie a ulteriori 20 toccate e a un aumento nei transiti così come negli
imbarchi/sbarchi. Ai piedi del podio Genova, in virtù di 1,38 milioni di passeggeri movimentati previsti
(+2,2%), in leggero incremento dopo il +33,5% che si sta registrando nel 2019 e grazie a frequenti
operazioni di imbarco e sbarco anche nei mesi invernali. Al quinto posto Livorno (923mila passeggeri
movimentati, +10,1%), in crescita a doppia cifra con un calendario accosti distribuito su tutto l'anno e
maggio e ottobre che conteranno il maggior numero di toccate (57 e 60).Tra gli altri scali - stando alle
comunicazioni fornite dalle società di gestione dei terminal - spiccano le variazioni di traffico attese a La
Spezia (900 mila passeggeri movimentati, +38,5%) e, con valori assoluti più contenuti, Trieste (+81,9%),
l'incremento percentuale più alto dopo quello di Ravenna (85 mila passeggeri movimentati, +387,3%). Lo
stesso report fra l'altro su Trieste cita le 57 toccate per 92.848 passeggeri totalizzati nel 2018. Per quanto
riguarda le toccate nave, la classifica in numeri assoluti vede ancora in testa Civitavecchia (827 toccate,
+1,7%), seguita da Napoli (475, +4,2%) e Venezia (470, -6,4%).

                                                       6
CRONACHE LOCALI

Ipotesi riorganizzazione degli uffici postali. A Servola raccolta firme contro la chiusura (Piccolo Trieste)
Andrea Pierini - Una raccolta di firme per chiedere a Poste italiane di non chiudere l'ufficio di Servola. I
residenti del rione hanno deciso di avviare una sottoscrizione visto che, da alcune voci circolate negli ultimi
giorni, sembra che entro gennaio la sede di via Soncini cesserà la sua attività. Il termine ultimo per firmare,
partecipando così alla mobilitazione, è fissato al 6 novembre e i moduli sono stati lasciati in numerosi locali
pubblici del quartiere. Quello di Servola non sarebbe peraltro l'unico ufficio postale interessato da
un'eventuale chiusura nella zona di Trieste, visto che analoga voce gira a Duino Aurisina, comune nel cui
territorio sono presenti due punti al servizio di un totale di oltre 8 mila residenti. All'ufficio postale di
Servola i dipendenti non rilasciano dichiarazioni e invitano a rivolgersi all'ufficio stampa di Poste, che al
momento conferma come non ci sia alcuna decisione presa in proposito. «L'azienda - spiega una nota di
Poste italiane - ribadisce che nessun ufficio postale verrà chiuso senza una completa e preventiva
condivisione con le competenti autorità». Il piano in ogni caso va visto in un'ottica più ampia: già lo scorso
anno erano state paventate delle chiusure in particolare nei comuni con meno di 5 mila abitanti. A seguito
di un accordo con lo Stato, però, si era deciso di confermare la presenza dei presidi perché ritenuti un
punto di riferimento importante per le comunità. «In alcune grandi città ad alta densità abitativa e capillare
presenza di sportelli - spiegano ancora dalle Poste - è stato avviato un progetto di rimodulazione della
presenza in aree urbane, con il solo scopo di implementare il servizio e migliorare l'articolazione territoriale
per cittadini, imprese e pubblica amministrazione. I criteri adottati sono particolarmente stringenti e
riguardano esclusivamente città con numero di abitanti superiore a 100 mila, uffici postali con esiguo
numero di operazioni effettuate al giorno, presenza di altro ufficio limitrofo entro poche centinaia di metri
e soprattutto adeguamento ai processi di trasformazione urbana che negli ultimi decenni hanno coinvolto il
territorio». Nella provincia di Trieste sono attivi 32 uffici postali e dovrebbero essere oggetto di
riorganizzazione quelli con un flusso di clienti tale da non garantirne la sostenibilità. Oltre a Servola,
potrebbe essere dunque fortemente a rischio anche uno dei due presidi nel comune di Duino Aurisina. «Al
momento - spiega il presidente della Settima circoscrizione Stefano Bernobich - non c'è nulla di ufficiale. Ci
sono stati diversi rumors e delle voci che sono girate nel quartiere, i residenti quindi si sono organizzati per
scongiurare questa chiusura. Scegliere di abbassare le serrande alla posta di Servola sarebbe una brutta
notizia per un rione che ha già le sue problematiche. Avevamo chiesto invece di installare il Postamat per
agevolare i prelievi. Al momento l'unica cosa positiva è la volontà di Poste di confrontarsi col territorio».
Una delle ipotesi avanzate da alcuni residenti è che lo sportello postale non sia cresciuto anche perché non
è riuscito ad acquisire i clienti dopo la chiusura della banca. Sui social ormai si parla di una decisione già
presa: infatti per il ritiro delle raccomandate il punto di riferimento indicato è quello di via D'Alviano. È
possibile firmare la sottoscrizione in difesa dell'ufficio postale di Servola al bar all'Angolo, da Roby
Abbigliamento, nella latteria da Claudia, al Pane Quotidiano, alla macelleria Da Piero, al panificio Sanna, nel
minimarket Servola Più e nella tabaccheria Fulvia.

                                                       7
«Emergenza Ferriera, Patuanelli e Fedriga non voltino le spalle» (Piccolo Trieste)
È stata l'artefice della chiamata del gruppo Arvedi a Trieste per salvare la Ferriera dalla crisi di Severstal e
ha sempre difeso la possibilità di coniugare impresa, lavoro, salvaguardia dell'ambiente e diritto alla salute.
Ora l'ex presidente della Regione e deputata Debora Serracchiani invoca il protagonismo del ministro
Stefano Patuanelli e del governatore Massimiliano Fedriga per mettere chiarezza in una situazione che
rischia di avvitarsi davanti alla ribadita decisione di Siderurgica Triestina di chiudere l'altoforno il 31
dicembre. «Per i posti di lavoro che si stanno perdendo e per quelli che sono a rischio già nei prossimi mesi
- scrive Serracchiani in una nota - ci sono responsabilità precise della politica, regionale e anche nazionale.
La volontà di chiudere la Ferriera, al più presto e comunque, è stato uno dei pochi punti chiari del
programma della destra e dei Cinquestelle: e pur di raggiungerlo hanno messo in un angolo il sacrificio dei
lavoratori. L'assenza più grave all'incontro con i lavoratori era quella del commissario per la Ferriera, cioè
Fedriga, che al Circolo Ferriera avrebbe dovuto esserci e portare risposte a chi aveva negli occhi l'angoscia
del futuro». Ma Serracchiani ne ha anche per Patuanelli: «Siamo ancora in tempo per guidare un processo
che eviti la deindustrializzazione di Trieste, che costringa l'imprenditore a sedersi a un tavolo nazionale con
istituzioni e lavoratori. Ma deve volerlo Fedriga e deve volerlo il ministro Patuanelli: nessuno dei due può
voltare le spalle a un territorio che sta precipitando verso una crisi industriale diffusa. È difficile impegnarsi
e mostrare la faccia quando arriva la tempesta sull'economia ma devono farlo e senza delegare, perché più
passa il tempo e meno si può fare».

Stop al social housing di Rozzol. Impresa fallita, cantiere chiuso (Piccolo Trieste)
Massimo Greco - Rozzol avrebbe bisogno di un po' di fortuna, per sottrarsi al destino di periferia
abbandonata a se stessa. Sembrava che un discreto traino verso una nuova prospettiva urbana potesse
venire dal condominio "Housing sociale Fvg", un investimento di 5,8 milioni finanziato dalla coneglianese
Finint (Enrico Marchi, Save per intenderci) con il supporto della Regione. Obiettivo: costruire 56 alloggi a
due tornanti di distanza da piazzale De Gasperi, quasi di fianco alla stazione ferroviaria di Rozzol, anch'essa
bisognosa di cure. Finalmente in febbraio il cantiere era partito, in luglio era possibile fotografare una
costruzione in crescita, ma in agosto la mazzata: la gloriosa azienda genovese Carena, coinvolta nella
realizzazione dell'edificio, si è arresa dopo quasi 150 anni di attività. La Superba le deve lo stadio Ferraris,
l'ospedale infantile Gaslini, il museo del mare, il liceo D'Oria ... Ma purtroppo la storia non basta a scrivere i
bilanci: Carena, che a Trieste si era mossa con General Giulia 2 nel buco dell'ex Maddalena, aveva
presentato domanda di concordato preventivo ma non è riuscita a trovare una soluzione che evitasse il
fallimento. Perdite mensili superiori a 2 milioni, situazione gestionale ingovernabile, la famiglia ha gettato la
spugna: adesso 50 posti sono a rischio.Il forfait della Carena - racconta Andrea Dapretto, progettista della
"social housing" - si è riverberato sul cantiere di Rozzol, che in agosto è stato chiuso. L'architetto spera che
entro l'anno i lavori possano riprendere, perchè un buon 30% era già stato fatto.L'operazione, che ricalca il
modello dell'ex Sadoch in viale dell'Ippodromo (sempre a cura di Finint), prevede che l'80% degli
appartamenti venga destinato a canone convenzionato con una durata contrattuale tra 8 e 15 anni. Sono
dedicati a una fascia reddituale che si colloca tra l'Ater e il mercato "libero". Finint ha in animo di farne 750
in tutta la Regione, quasi un terzo dei quali a Trieste, dove maggiore è la richiesta di alloggi a condizioni
economicamente abbordabili.Peccato per lo stop di Rozzol, perchè il settore edile- costruzioni triestino,
spinto dalle commesse comunali e dalle ristrutturazioni dei privati, sta riprendendo un po' di ossigeno. In
questo momento sono all'opera 1700 addetti in circa 400 aziende. Nel mese di agosto la competente Cassa
ha censito 204 lavoratori in più rispetto all'anno precedente. Durante il 2019 l'istituto triestino ha calcolato,
in termini di ore lavorate e di occupati, un miglioramento del 10-11% in raffronto al 2018.

                                                        8
«Macchinari supertecnologici? Bene, ma mancano infermieri» (Piccolo Gorizia-Monfalcone)
Francesco Fain - «L'assenza di una persona non può mettere in crisi un servizio pubblico». La Cgil-Funzione
pubblica martella dopo il caso-Ortopedia, con il reparto costretto a lavorare senza segreteria visti i numeri
risicati del personale. Un rilievo mosso non a caso dopo l'incontro tra i sindacati e l'assessore alla Salute
Riccardo Riccardi, arrivato a Gorizia per illustrare la riforma ai rappresentanti dei lavoratori dell'Aas 2. «Il
vicepresidente ci ha spiegato che la sua riforma rende molto più centrale il ruolo del territorio e in
particolare del Distretto sanitario, ma non ha chiarito come questi condivisibili propositi si potranno
concretizzare. Perché le riforme non si fanno a risorse zero o addirittura sottozero, ma solo se si investe sul
personale che, invece, scarseggia», attacca Alessandro Crizman.La Cgil non chiede soltanto di spingere sul
pedale delle assunzioni, ma anche di stabilizzare e internalizzare alcuni servizi sperimentali che hanno dato
esiti positivi. È il caso dell'ambulatorio Rau di Monfalcone, che ha contribuito ridurre gli accessi impropri al
Pronto Soccorso del San Polo, «ma impiega - prosegue Crizman - personale esterno che, pur
preparatissimo, lavora in condizioni di precarietà, come avviene per tutti i servizi appaltati non solo nel
privato, vedi Fincantieri, ma anche nel pubblico. Serve assumere personale pubblico da destinare ai servizi
in sofferenza, che negli ospedali di Monfalcone e Gorizia e negli altri presidi del territorio, come Grado,
Gradisca, Cormons, sono tanti». Questo, aggiunge Crizman, andrebbe fatto in particolare per le attività di
diagnostica e per ridurre le famose liste d'attesa. Gli investimenti, infatti, non dovrebbero servire solo
all'acquisto di macchinari medici all'avanguardia. «Questi - ammonisce il segretario provinciale - devono
essere ben utilizzati, assumendo il personale necessario nei vari reparti, altrimenti si rischia che le
attrezzature diventino vecchie senza essere pienamente utilizzate: non un buon esempio di gestione dei
soldi dei cittadini, che hanno tutto il diritto di ricevere un servizio pubblico di qualità e con tempi di
erogazione che siano uguali a quelli di una clinica privata».Se il caso della chiusura della segreteria di
Ortopedia ha mostrato al pubblico una faccia della medaglia, la faccia forse meno nota, sostiene il
sindacato, sono i turni gravosi e i carichi di lavoro spesso usuranti con cui deve fare i conti il personale a
causa dei tagli alle assunzioni.Ecco perché l'episodio di Gorizia, conclude la Cgil, dovrebbe far riflettere tutti
«se l'interesse reale dell'amministrazione regionale sia quello di far funzionare bene la sanità pubblica o di
favorire, facendo leva su ritardi e inefficienze, un maggiore ricorso agli appalti ai privati, con il rischio di
trasformare la sanità in business e un diritto di tutti come quello alla salute in un privilegio per pochi».

La Cgil attacca Vecchiet: «Snobbare i sindacati va a scapito dei cittadini» (Piccolo Go-Mo, sab. 26/10)
Sindacati e amministratori ai ferri corti a Ronchi dei Legionari. Amministrazione comunale inadempiente e
restia al confronto. Inascoltata perfino una proposta di ampliamento dell'orario al pubblico avanzata dai
dipendenti. Queste le dure accuse mosse dalla Cgil Funzione pubblica nei confronti della municipalità. «Le
relazioni sindacali - sottolinea il segretario provinciale, Alessandro Crizman - non sono mai state a livello
così basso. Quello a cui stiamo assistendo è un deciso peggioramento del clima lavorativo e una scarsissima
attenzione verso le richieste dei lavoratori, rimasti inascoltati persino quando hanno proposto un
ampliamento dell'orario al pubblico, pensando di contribuire così a una maggiore efficienza dei servizi
erogati».Ad aggravare ulteriormente la situazione, secondo la Cgil, le inadempienze del Comune su
numerosi istituti, tra cui la contrattazione decentrata annuale. «Tutto questo avviene - aggiunge Crizman -
mentre l'amministrazione riorganizza i servizi con delibere di giunta, senza confronto con le parti sindacali e
forse, il che sarebbe ancora più grave, senza neppure coinvolgere il Consiglio comunale, ovvero chi è stato
eletto direttamente dai cittadini». Crizman ricorda anche che ci sarebbe pure l'intento di negare il buono
pasto ai dipendenti, che pure ne hanno tutto il diritto. Vani, finora, i tentativi di aprire un dialogo e di
trovare dei punti di contatto con l'amministrazione non solo per assicurare ai lavoratori un buon posto di
lavoro, fatto di diritti, di doveri e con un clima organizzativo orientato alla collaborazione e non alla
repressione, ma anche per garantire ai cittadini un buon servizio in termini di qualità e di quantità.
«L'appello è a riaprire il dialogo con il sindacato. Non dovrebbero essere solo i dipendenti comunali -
conclude - a fare esercizio di flessibilità. Essere più flessibili potrebbe essere utile anche a sindaco, giunta e
segretario generale. La Fp Cgil, da parte sua, resta disponibile a trovare dei punti d'intesa prima che la
situazione diventi difficilmente recuperabile». Laconica la replica del primo cittadino: «Risponderò a tempo
debito a queste falsità - sono le parole di Livio Vecchiet - ma voglio solo dire che, sino a qualche tempo fa, i
nostri dipendenti godevano di una flessibilità di 2 ore che non esiste in nessun Comune italiano, ben che
meno in un'azienda privata». Lu. Pe.

                                                        9
Puoi anche leggere