APRILE - UFFICIO STAMPA - Provincia Regionale di Ragusa

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APRILE - UFFICIO STAMPA - Provincia Regionale di Ragusa
UFFICIO STAMPA

1 APRILE
APRILE - UFFICIO STAMPA - Provincia Regionale di Ragusa
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Rassegna Stampa del LIBERO CONSORZIO COMUNALE DI RAGUSA   1 APRILE 2019

                                 G.D.S.
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1/4/2019                                                                      Stampa Articolo

POLITICA                                                                                                               1/4/2019

Tra politica ed economia

Tria, allarme crescita zero Boccia: " Stallo?
Meglio votare"
Dopo la lite su Verona, un incontro tra Conte e il leader della Lega. L’affondo del presidente di
Confindustria

Alessandro Di Maria,

Firenze
Roma
Nel giorno in cui il premier Giuseppe Conte e Matteo Salvini firmano una tregua nel cuore della campagna toscana, il ministro
dell’Economia Giovanni Tria conferma l’allarme lanciato giorni fa da Confindustria e Bankitalia sulla crescita zero. E il
presidente degli imprenditori avverte che per come si sono messe le cose dentro la maggioranza il ritorno alle urne non va
escluso.
Ma a segnare il primo lungo pomeriggio di sole regalato dall’ora legale - nel cuore della campagna toscana - è il faccia a faccia
del tutto inatteso tra il capo del governo e il vice leghista. Soprattutto perché cade a sorpresa 24 ore dopo quel " tutti contro
tutti" scatenato sulla scia della partecipazione del ministro al congresso di Verona sulle famiglie e culminato con Conte che
invitava il suo vice a studiare le carte e stare di più in ufficio, prima di fare polemiche. Sembrava il preludio di un divorzio. E
invece Salvini - che si trovava dalla sera prima con la nuova fidanzata Francesca Verdini nella villa di famiglia ( di lei) a Pian
dei giullari – chiama al telefono il presidente del Consiglio che ha appena terminato il suo intervento al Festival dell’Economia
civile a Firenze. Anche lui è accompagnato dalla fidanzata Virginia Saba. Scatta l’incontro pomeridiano in zona "neutra", a
Villa Le Piazzole a Firenze. Con immancabile foto ( premier in abito e camicia senza cravatta e il vice in t- shirt) che entrambi
posteranno a beneficio dei social. È il vero obiettivo della missione: far passare l’immagine del " tutto risolto", almeno fino al
prossimo frontale. «Bel pomeriggio insieme nella campagna fiorentina », commentano. «Bene le parole e le discussioni, ma
non perdiamo mai di vista la ragione sociale per cui siamo al governo: gli interessi degli italiani » , chiosa Conte. Il contesto e
la presenza delle rispettive fidanzate nell’ora abbondante di faccia a faccia non ha consentito di sciogliere grandi nodi. Ma di
politica hanno parlato, eccome. Del Def da varare entro il 10 aprile, per esempio, e del metodo che dovrà sovrintendere alle
prossime nomine in Bankialia ( Salvini ha manifestato irritazione per l’ultima, quella di Fabio Panetta al ruolo di dg). E ancora,
della commissione banche che a questo punto decollerà dopo le Europee ( e difficilmente con la presidenza affidata al grillino
Gianluigi Paragone). Quindi, si sono chiariti dopo lo scontro di sabato sul tema delle adozioni e del balletto della delega tra
Chigi e ministero della Famiglia. Intesa sulla necessità di rendere più veloci le procedure e di fare luce con una commissione
sulle case famiglia, come chiede il Viminale. Infine lo sfogo di Salvini: «I Cinquestelle mi hanno attaccato per giorni per
Verona, ma io mica condividevo tutto quel che hanno detto i relatori», sono state le parole di Salvini. E Conte: «Ma anche io
sono stato frainteso per aver detto che non ero stato mai invitato». A lui e a tutti i ministri l’invito a essere « sobri nelle parole,
generosi nelle azioni » . Luigi Di Maio era stato avvertito dal premier dell’incontro agreste, i tre potrebbero vedersi a Palazzo
Chigi per mettere a punto il decreto crescita e il Def. « Felici che si siano chiariti», commenta intanto il capo del Movimento.

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Ma l’economia resta l’emergenza. È stata al centro del Festival di Palazzo Vecchio nel capoluogo toscano. «Siamo di fronte a
un rallentamento in tutta Europa, si è fermata la Germania e di conseguenza tira le somme il ministro Giovanni Tria - noi che
da anni cresciamo un punto meno degli altri Paesi, ci avviamo verso lo zero » . Sostiene però che non ci sarà una manovra
correttiva, quanto meno «non restrittiva » . Rassicurazioni che non convincono il presidente di Confindustria Vincenzo Boccia.
«Se la paralisi dovesse continuare - ha avvertito - con 23 miliardi di clausole di salvaguardia da onorare nella prossima
manovra, o affronti la situazione con responsabilità o si prenda atto che qualcosa non va » . A qual punto, è la conclusione, «il
voto non andrebbe escluso».
© RIPRODUZIONE RISERVATA
Giovanni Tria e Sergio Costa al Festival Nazionale dell’Economia Civile ieri a Firenze
ANSA

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POLITICA                                                                                                             1/4/2019

Il retroscena
La strategia del Carroccio

Il diktat di Salvini "Un cambio di passo o può
crollare tutto"
CLAUDIO TITO,

ROMA
«Per andare avanti serve un cambio di passo, non si tratta solo di un chiarimento». Lo stato di crisi endemica in cui ormai vive
la maggioranza gialloverde e il governo guidato da Giuseppe Conte è ben descritto in questa frase che Matteo Salvini ripete da
giorni e che nella sostanza ha ribadito ieri nell’incontro con il presidente del Consiglio.
Lo stato dei rapporti tra i due soci grillo-leghisti è ai minimi termini. Il colloquio tra premier e vicepremier è stato solo un
palliativo. Il segretario leghista ne è consapevole. Soprattutto sa di essere a questo punto non il "capitano" ma il "comandante"
di questa alleanza nata dieci mesi fa. Il suo peso è cresciuto dal 4 marzo 2018 e ora vuole farlo valere. Vuole essere lui a
decidere. Per questo, al di là della propaganda, le porte di una crisi di governo hanno iniziato a materializzarsi. E le chiavi sono
nelle mani del ministro dell’Interno. Che vede nelle prossime elezioni europee non solo un test, ma in primo luogo uno
spartiacque.
Le liti dei giorni scorsi e la pace apparente di ieri sono del resto due facce della stessa medaglia.
La prima rappresenta l’esigenza e la voglia di porre fine a questa esperienza. L’altra è l’immagine plastica della necessità di non
apparire davanti agli elettori come il responsabile dell’ennesima interruzione traumatica di una legislatura.
Come si dice in "politichese" è il classico gioco del cerino. Che da sempre accompagna la politica e gli intrighi italiani. Ogni
passo, allora, è compiuto per costruire una "fase nuova" che equivale a un nuovo equilibrio dentro la maggioranza e nel
gabinetto o una crisi di governo. Tutto insomma «può saltare» ma senza che la Lega se ne assuma la colpa.
Del resto tra i salviniani è ormai conclamato il riconoscimento che dopo dieci mesi di vita, l’esecutivo grillo-leghista è già
paralizzato dai veti e dalla corsa verso le europee di maggio.
Voto, peraltro, che può costituire l’ufficializzazione del paradosso che questa coalizione sta vivendo: segnare l’inversione nei
rapporti di forza tra i due partiti della coalizione governativa. Senza contare che rappresenta nello stesso tempo un test di
sopravvivenza per il Movimento 5Stelle. Tutti elementi che certo non aiutano la stabilità. Basti vedere come Conte si sia
precipitato ieri a Firenze per incontrare il suo vice che in Parlamento vale la metà dei grillini.
«Mi sono stancato di essere attaccato e soprattutto mi sono stancato che il governo non faccia. Bisogna cambiare passo è il
ragionamento del leader lumbard - dopo le europee nessuno può pensare che si possa andare avanti in questo modo».
Certo, in questa sostanziale svolta di Salvini hanno giocato un ruolo importante gli ultimi litigi sul decreto che Tria ancora non
ha firmato per il rimborso ai risparmiatori truffati, lo scontro sulla manifestazione di Verona che ha fatto riemergere il concetto
reazionario di famiglia («quando si toccano certi argomenti le risposte sono immediate»), le incertezze sulla legge cosiddetta
"codice rosso".

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Ma c’è stato un momento nei giorni scorsi che ha segnato un passaggio nelle convinzioni di Salvini. Quando si è tenuta una
riunione con l’intera delegazione ministeriale della Lega. E tutti, a cominciare dal sottosegretario Giorgetti, hanno avanzato al
segretario una sola richiesta: «Staccare la spina».
Non era la prima volta. Ma è stata la prima in cui il capo del Carroccio non ha frenato gli ardori dei suoi ministri. Il silenzio su
questo punto è stato in questo caso più eloquente di tante parole.
Sullo sfondo del dopo 26 maggio, poi, restano dei dubbi che per il ministro dell’Interno iniziano ad essere assillanti. Il titolare
dell’Economia, Tria, ha confermato che la crescita nel 2019 sarà - se va bene - pari a zero. La legge di Bilancio si presenta
drammatica, da lacrime e sangue. Affrontarla con un atteggiamento competitivo tra Lega e M5S sembra quasi impossibile.
Anche perché la probabile batosta che subiranno i pentastellati alle europee li spingerà su una linea di maggiore intransigenza
nei confronti dell’alleato. «Oppure è stato l’interrogativo posto durante il summit dei ministri leghisti - rischiano di rompersi al
loro interno. Spaccandosi tra i governasti di Di Maio e Casaleggio, e i movimentisti di Fico e Grillo. A quel punto varrà la pena
andare avanti?».
La crisi di governo a giugno, insomma, non è più un’ipotesi remota per il vicepremier: «Soprattutto se non c’è un cambio di
passo». E non è un caso che Salvini abbia ammorbidito i toni sulla Banca d’Italia e sulla Commissione parlamentare d’inchiesta
relativa agli istituti di credito.
Come se volesse riconquistare un profilo "istituzionale". Non è un caso che nella trattativa per le prossime amministrative abbia
lasciato a Forza Italia il candidato governatore del Piemonte, ossia la regione più importante chiamata al voto quest’anno. Un
modo per lasciare socchiusa la porta del dialogo con Berlusconi se ne emergesse la necessità. E per tutti i leghisti, non è
nemmeno un caso che Salvini dal 4 marzo 2018 non abbia tolto dal polso il braccialetto con la scritta che è qualcosa di più di
un semplice slogan: "Salvini premier".
© RIPRODUZIONE RISERVATA
La richiesta del capo leghista ribadita anche ieri al premier Dopo le Europee vuole essere lui a prendere le decisioni nella
maggioranza
Sui social
La foto dell’incontro in Toscana tra il premier Conte, 54 anni, e Salvini, 46, postata ieri su Instagram. Per l’occasione il
ministro si è tolto la maglietta del Family Day, criticato da Conte, indossata in mattinata

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ECONOMIA                                                                                                                    1/4/2019

Pensioni
Corsa a favorire Quota 100 via ai primi 25 mila E tutti gli altri in coda

VALENTINA CONTE,

ROMA
Fare in fretta. Anche chiudendo un occhio sulle pratiche. Si vedrà poi. Ciò che conta è dare priorità a quota 100. I primi 25 mila
— su 104.390 domande arrivate sin qui — andranno in pensione oggi. Con i requisiti scontati da Cinque Stelle e Lega: almeno
62 anni e 38 di contributi. Tutti gli altri in coda. Se ne sono accorti i cittadini che chiedono gli assegni di vecchiaia, anzianità o
reversibilità, finiti in un imbuto. Se ne sono accorti patronati e sindacati. E lo sa anche Inps, visto che in una comunicazione
dell’11 marzo scorso — l’ormai famosa 1008, non c’è patronato o sede che non la citi — chiede alle direzioni regionali e alle
strutture territoriali di avanzare spediti su quota 100.
«Esclusivamente per le pensioni quota 100 con decorrenza 1 aprile 2019, si ritiene opportuno consentire in via straordinaria di
procedere alla liquidazione provvisoria sulla base delle dichiarazioni di cessazione contenute nella domanda», si legge.
Tradotto: erogate le pensioni anche senza sapere se chi fa richiesta ha smesso di lavorare o no. E dunque anche senza le
certificazioni Unilav.
Arriveranno dopo. E poi si controllerà.
«Non era mai successo», ammette Matteo Ariano, Fp Cgil. «Si deroga a una prassi, rischiando una discriminazione tra cittadini.
Chi va con quota 100 ha una corsia preferenziale. Gli altri aspettano di più».
Quanto non si sa. Nel 2018, in linea con l’anno prima, le pensioni dei dipendenti privati sono state erogate in 100 giorni di
media. Quelle dei pubblici in 200. Per legge l’Inps ha 120 giorni, dalla domanda. Se sfora, deve pagare gli interessi legali.
E con gli statali sfora quasi sempre, per la difficoltà a ricostruire le carriere e mettere in fila i contributi versati.
Quest’anno, per via del passo spedito imposto su quota 100, si prevede uno sforamento dei tempi. «Ma va detto che l’Inps è
sotto organico», osserva Ariano. «Il fabbisogno è di 32 mila persone, siamo ben sotto i 30 mila. Nei prossimi mesi ne
entreranno 4 mila, ma non bastano». E in effetti Inps, temendo l’ondata dei quotisti, ha imposto gli straordinari nel mese di
marzo. I dipendenti hanno lavorato nei fine settimana oppure allungando l’orario feriale.
«I disagi ci sono comunque», aggiunge Fulvia Colombini, Inca Cgil. «E ora che arriveranno anche le domande di reddito di
cittadinanza la situazione peggiorerà». Ne sono state inoltrate 853 mila.
L’Inps ha dichiarato di poterle valutare entro il 15 aprile.
«Quota 100 è stata messa sin dall’inizio su un binario accelerato», prosegue Colombini. «Le domande sono partite all’indomani
della pubblicazione del decreto. Di solito si aspetta la conversione in legge. E ora l’ulteriore spinta in vista dell’1 aprile. Siamo
contenti per i quotisti che vanno in pensione. Ma non mi sembra corretto che non ci sia la stessa attenzione per gli altri
pensionati, passati in secondo piano. L’interesse elettoralistico qui mi sembra chiaro». Mario Fraccascia, coordinatore dei
patronati Inca Cgil della Puglia, racconta di non aver mai vissuto una situazione del genere. «Ho fatto domanda online per una
signora alle 8.30 del mattino.
Dopo due ore l’Inps l’ha chiamata per chiederle se stava lavorando ancora, perché era pronta già a liquidare l’assegno. Anche
in un altro caso ci sono voluti appena tre giorni dalla domanda. Cose mai viste.
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Quando invece per una pensione di vecchiaia ci vogliono almeno due mesi. Se si tratta di statali, soprattutto insegnanti, ancora
di più».
Anche Fabrizio Baiocchi, coordinatore dei patronati Inca Cgil del Lazio, conferma la corsia sprint. «Quota 100 viene liquidata
in 10-15 giorni. Le prime già a metà marzo, con decorrenza 1 aprile.
Indubbiamente la comunicazione Inps ha accelerato i tempi. Ma ora stiamo verificando le pratiche ferme. C’è un commerciante
che ha un negozio di fiori molto preoccupato: aspetta la pensione di vecchiaia da settembre. Non credo sia corretto lasciare le
persone senza soldi. Tra l’altro gli assegni di quota 100 sono erogati "in via provvisoria".
Significa che le verifiche si fanno dopo. E se Inps scopre che hai intascato sia pensione che stipendio, sospende la prima e
recupera l’indebito a rate».
Il risvolto spiacevole di tanta accelerazione potrebbe alla fine essere proprio questo.
Alcuni quotisti potrebbero dover restituire qualche mensilità. Il decreto che istituisce quota 100 autorizza il cumulo della
pensione con un reddito fino a 5 mila euro lordi annui. Ma solo se proveniente da prestazione occasionale. Se si supera quel
limite, la pensione può essere revocata per un anno. Il caso qui è diverso: la sovrapposizione potrebbe verificarsi, si presume
solo per un mese o poco più, tra lavoro dipendente e pensione anticipata. Al Nord la situazione sembra meno complicata. «In
Lombardia ad esempio non abbiamo segnalazioni di ritardi clamorosi nella gestione delle richieste diverse da quota 100», dice
Gigi Petteni, presidente di Inas Cisl. Il terreno è comunque scivoloso per il governo.
Accontentare i quotisti e scontentare tutti gli altri può rivelarsi una mossa poco furba.
Visto che sono molti di più. E assai arrabbiati per le promesse tradite. Non solo pensionati al minimo (2,9 milioni) e invalidi
(3,1 milioni). Ma anche i 5,6 milioni che da oggi avranno una pensione più bassa per colpa del nuovo adeguamento
all’inflazione.
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ECONOMIA                                                                                                              1/4/2019

Il caso

Il grande pasticcio dei vertici Inps Tridico e
Morrone già traballano
valentina conte giovanna vitale,

Il numero uno non è né presidente né commissario e il vice nominato prima della creazione della carica
roma
Traballano i nuovi vertici Inps. Pasquale Tridico — consigliere economico del ministro Di Maio fino al 19 febbraio scorso e
docente all’università di Roma Tre in aspettativa dal 14 marzo — a livello formale non risulta né commissario né presidente. E
può firmare atti e comunicazioni solo sotto la bizzarra dicitura: " Organo munito dei poteri del presidente". Mentre il suo vice,
Adriano Morrone — dirigente di seconda fascia della stessa Inps, incarico cessato da poco — non si è ancora messo in
aspettativa senza assegni. E cammina dunque sul filo della illegittimità, nonostante abbia dichiarato l’insussistenza di
incompatibilità con firma su apposito modulo del 14 marzo. Proprio il giorno in cui i ministri Di Maio e Tria (Lavoro ed
Economia) hanno nominato con decreto interministeriale i due alla guida dell’istituto di previdenza. Quindici giorni prima però
che il decretone di fine gennaio, con le nuove regole Inps, diventasse legge prevedendo anche la figura del vicepresidente.
Un pasticcio, insomma. Figlio del caos politico e della solita logica spartitoria. Non è bastato dunque a Cinque Stelle e Lega
chiudere con la stagione dell’uomo solo al comando — identificata nel presidente uscente Tito Boeri — reintroducendo un
consiglio di amministrazione a cinque componenti. Alla fine di uno scontro estenuante attorno al nome da piazzare sulla
poltrona più importante, alla guida per quattro anni di un gigante da 350 miliardi tra pensioni e assistenza — cruciale per la
gestione delle misure bandiera: reddito di cittadinanza e quota 100 — Di Maio e Salvini hanno siglato la tregua inventando la
figura del vicepresidente. Che tuttavia il decretone non contemplava. Arrivata via emendamento in zona Cesarini. Con Tridico
e Morrone già in sella. E un rebus politico e normativo tutto da sciogliere.
Politico perché si tratta di nomine transitorie. La Lega, si sa, preferiva Mauro Nori alla presidenza e Tridico vice. Il ticket si è
poi ribaltato, a causa delle resistenze stellate. E alla fine Nori, consigliere del ministro Tria ed ex direttore generale Inps, si è
sfilato. Rimpiazzato dapprima da Francesco Verbaro, ex consigliere giuridico del ministro Sacconi. Quindi, vista
l’indisponibilità di Verbaro, da Morrone. Un balletto concluso in armistizio. Destinato tuttavia a cessare dopo le Europee: se la
Lega sorpasserà i Cinque Stelle anche l’assetto dell’istituto previdenziale è destinato a cambiare. E le norme sostengono questo
piano.
Tridico e Morrone necessitano di un altro decreto di nomina per diventare presidente e vice a tutti gli effetti. Un provvedimento
lasciato a bagnomaria. Nel frattempo però le grane non mancano. Lo segnala il magistrato della Corte dei Conti Antonio
Buccarelli, delegato al controllo di Inps, in una comunicazione inviata il 26 marzo al ministero del Lavoro. In tre pagine
Buccarelli chiede «indicazioni chiarificatrici » a Di Maio su cinque punti fondamentali. L’intestazione di due poteri —
presidenza di Inps e del consiglio di amministrazione — in capo ad una stessa persona: Tridico. La nomina di un vicepresidente
— Morrone — benché la figura non sia prevista dal decretone (il numero 4, entrato in vigore il 29 gennaio), ma solo dalla legge
( entrata in vigore il 29 marzo, successiva al decreto di nomina di Morrone e Tridico datato 14 marzo). I poteri dello stesso

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Morrone non ben specificati, sebbene desumibili dalla vecchia legge 639 del 1970. E comunque solo sostitutivi in caso di
"vacanza, assenza o impedimento" del solo Tridico, mai del cda. Poi i compensi: 103.971,76 euro spettano al presidente e
41.588,70 euro al vice. Nel primo caso la norma dice che si prendono dal bilancio Inps ( si tratta dello stipendio incassato da
Boeri). Nel secondo caso, la cifra è condizionata all’individuazione, entro il 30 aprile, di spese da tagliare. Il magistrato
contabile infine dice che «ad oggi non risulta che il soggetto indicato come vicepresidente sia stato collocato in aspettativa » .
Insinuando una possibile incompatibilità.
Anche il collegio sindacale di Inps — nel verbale 11 del 21 marzo citato da Buccarelli — segnala «l’esigenza di una precisa
definizione delle competenze e delle attività » di Morrone. E chiede che sia sciolto un potenziale conflitto di interessi, visto che
la moglie è membro dello stesso collegio sindacale. Ma il nodo è altrove. Morrone ha accettato l’incarico a patto però che gli
fosse confermata la retribuzione da dirigente, pari a circa 150 mila euro lordi annui. Nel decreto di nomina ce ne sono 41 mila.
Ecco perché non si è messo in aspettativa. Spera che il ministero del Lavoro e il dipartimento della Funzione pubblica — a cui
Inps ha chiesto un parere — gli riconosca " il fuori ruolo". Difficile, se non è disposto dalla legge. Intanto però rischia
l’incompatibilità. Esponendo gli eventuali atti da lui firmati all’impugnazione.
© RIPRODUZIONE RISERVATA
Pasquale Tridico
43 anni, economista, docente all’Università Roma Tre è il numero uno dell’Inps
Adriano Morrone
51 anni, ex direttore generale Enpaia e capo della segreteria di Nori, è vicepresidente Inps

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ECONOMIA                                                                                                              1/4/2019

La misura

Da oggi l’adeguamento all’inflazione ma gli
assegni saranno più leggeri
roma
Brutta sorpresa da oggi per 5,6 milioni di pensionati, sopra i 1.522 euro lordi al mese. Scopriranno di aver ricevuto un importo
più basso di quello incassato in gennaio, febbraio e marzo. E questo perché proprio oggi entra in vigore il nuovo sistema di
calcolo, introdotto dal governo gialloverde in legge di Bilancio, per adeguare all’inflazione le pensioni superiori a tre volte il
minimo. Un sistema un filo più conveniente di quello in vigore fino al 2018, ma peggiorativo rispetto a quanto doveva essere,
sperimentato dai 5,6 milioni di pensionati proprio nei primi tre mesi di quest’anno. Prenderanno insomma la metà di quanto
previsto dalla Finanziaria 2017 che imponeva di tornare dal 2019 al più vantaggioso meccanismo Prodi, rivalutando la pensione
secondo tre scaglioni: al 100% fino a 1.500 euro e poi ridotta solo sulla parte residua.
M5S e Lega hanno invece scelto di restare alle "fasce" di Letta, ampliandole da 5 a 7. Ma così la rivalutazione parziale
all’inflazione si applica a tutto l’importo e non solo alle parti residue. Risultato: i pensionati ci perdono. Quanto? Parecchio in
termini totali. Il governo risparmia da questa misura 3,6 miliardi al lordo delle tasse (2,2 miliardi netti) nel triennio 2019-2021 e
ben 17 miliardi nel decennio 2019-2028. E con questi soldi, tolti dalle tasche di un terzo dei pensionati italiani, ci finanziano
una parte di quota 100, l’anticipo pensionistico che al più riguarda appena 290 mila persone nel 2019.
Il premier Conte aveva ironizzato sulla misura del taglio: « Parliamo di qualche euro al mese, quasi impercettibile, forse
neppure l’Avaro di Molière se ne accorgerebbe » . È vero, per alcuni si tratterà solo di qualche spicciolo. Ma non per tutti, visto
che la misura vale 3,6 miliardi. Chi prende ad esempio 2.500 euro lordi perderà 320 euro in tre anni. Non poco. Tra l’altro una
parte di questi pensionati presto subirà pure un altro taglio — quello sugli assegni " d’oro" — che si aggiunge ai tanti prelievi
di solidarietà di questi anni. C’è poi l’odiosa questione del conguaglio. Il " di più" incassato da gennaio a marzo sarà richiesto
indietro dall’Inps. Forse a giugno, dopo le elezioni europee del 26 maggio. Si tratta di 100 milioni in totale.
- v.co.
© RIPRODUZIONE RISERVATA La rivalutazione sopra i 1.500 euro è stata ridotta In tre anni risparmi fino a 2,2 miliardi

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POLITICA                                                                                                                1/4/2019

La polemica

Adozioni in crisi, scontro Lega-5S Spadafora: da
Fontana solo proclami
Il Carroccio: commissione d’inchiesta sulle case famiglia e pratiche più veloci. L’allarme degli enti
Dalla nostra inviata
verona
Quanti sono davvero i bambini nelle case famiglia? Quante sono le coppie in attesa di un’adozione, nazionale o internazionale?
E perché i tempi per diventare genitori di un bambino senza famiglia sono così lunghi? Ci sono queste domande, vere, dietro lo
scontro (tutto politico invece) tra il ministro dell’Interno Salvini, il presidente del Consiglio Conte, il vicepremier Di Maio e il
sottosegretario Spadafora.
Una polemica esplosa a Verona, al congresso delle famiglie che si è chiuso ieri, quando Salvini, dopo aver ( erroneamente)
affermato che in Italia ci sono 30mila coppie in attesa di adozione, si è rivolto a Spadafora dicendogli di non pensare solo
all’evento per le Famiglie Arcobaleno ( annunciato dal sottosegretario) ma di « velocizzare le adozioni». Peccato però che le
deleghe sulle adozioni non siano di Spadafora, ma del ministro leghista per la Famiglia, Lorenzo Fontana.
Di qui un botta e risposta rovente tra i 5Stelle e Salvini, accusato di polemizzare senza conoscere nemmeno i compiti dei suoi
ministri. Un caos acuito dalla notizia, poi smentita, che Fontana, in disaccordo su alcune nomine alla Cai, la Commissione
adozioni internazionali, di cui è presidente il premier Conte, avrebbe deciso di rimettere le sue deleghe. Tanto che Conte stesso
ha invitato i ministri « a studiare prima di parlare». Un vero pasticcio, definito da Spadafora un « autogol per la Lega » ,
soprattutto perché, al di là dei proclami, da parte del pro-life Fontana «di aperture di asili nido o di sostegno alle madri per ora
non c’è traccia».
Oggi comunque la Lega presenterà un disegno di legge « per istituire una commissione d’inchiesta sulle case famiglia e
velocizzare le procedure sulle adozioni » . Ma quello che emerge è da un lato l’ignoranza generalizzata su temi delicatissimi,
come infatti sottolineano il Ciai e il Cifa, enti storici per le adozioni internazionali, dall’altro la fotografia di un mondo in forte
crisi. Dice Paola Strocchio del Cifa: « Al di là delle polemiche, chiediamo che qualcuno si prenda davvero a cuore le adozioni, i
bambini e i loro diritti». Mentre Paola Crestani del Ciai ribadisce che lo scontro politico mostra la vera debolezza del sistema:
avere «due referenti diversi per le adozioni nazionali e internazionali » . Intanto i numeri: nel 2018 i bambini adottati
dall’estero sono stati 1.394, a fronte di 3.400 domande. I piccoli italiani adottati sono stati nel 2016, ultimo dato disponibile,
circa 900, a fronte di oltre 8mila domande. – m.n.d.l.
© RIPRODUZIONE RISERVATA

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POLITICA                                                                                                              1/4/2019

Mappe
Il sondaggio Demos- Repubblica

Giù la fiducia nella Chiesa ma gli italiani credono
ancora meno nello Stato
Ilvo Diamanti

Il "Congresso Mondiale delle Famiglie" che si è svolto a Verona, nei giorni scorsi, ha suscitato polemiche, in ambito pubblico.
La presenza del ministro Fontana e, prima ancora, del vice-premier Salvini, peraltro, ha marcato il segno "politico" assunto
dalla manifestazione. Al di là di altre valutazioni. E delle intenzioni. Ma, soprattutto, ha alimentato il dibattito dentro – e
"intorno" - al mondo cattolico.
Quindi: nella Chiesa. La famiglia, infatti, è al centro della società, in Italia e non solo. Ma è anche un riferimento essenziale
dell’etica cristiana. E cattolica.
Così è significativo che il card.
Pietro Parolin, Segretario di Stato del Vaticano, si sia detto «d’accordo sulla sostanza ma non sulla modalità». Prendendo,
dunque, le distanze dal significato assunto dalla – e attribuito alla -manifestazione.
Che rischia (com’è puntualmente avvenuto) di "politicizzare" l’argomento.
Papa Francesco, a sua volta, ha condiviso questa posizione, definendola «giusta ed equilibrata». È, quindi, utile ragionare sul
rilievo che caratterizza ancora la presenza cattolica in Italia. Non tanto per entrare nel merito della questione – la famiglia -, ma
per riflettere su quale influenza abbia ancora la Chiesa sulla morale e sui comportamenti.
In Italia, anzitutto, la grandissima maggioranza della popolazione si definisce "cattolica": il 75%, secondo il Rapporto Eurispes
del 2016.
Tuttavia, solo una minoranza, il 25%, afferma di recarsi a messa con frequenza e regolarità. Ma in misura molto diversa, in base
al genere (le donne sono più assidue) e, soprattutto, all’età.
Come ha osservato il sociologo Franco Garelli, fra i più accreditati studiosi del fenomeno religioso: "I luoghi di culto sono
sempre più frequentati da persone con i capelli bianchi, e meno da giovani e da adulti". Anche se il declino della pratica
religiosa, negli ultimi anni, si è stabilizzato e non si è tradotto in un tracollo.
Quanto all’autorevolezza "pubblica", l’ultima indagine di Demos dedicata agli orientamenti degli italiani verso lo Stato e le
istituzioni (dicembre 2018) valuta il grado di fiducia verso Chiesa intorno al 38%. Sensibilmente in calo (20 punti in meno)
durante gli ultimi dieci anni. Ma, comunque, ancora elevato, rispetto alle istituzioni pubbliche e allo Stato. Tanto più che il
riferimento privilegiato dai cittadini resta, di gran lunga, il Papa. Che riscuote un elevato grado di fiducia presso oltre il 70%
dei cittadini.
Ma l’influenza della Chiesa risulta significativa anche sul piano degli orientamenti personali. Delle opinioni e dei valori della
società. È ciò che pensano oltre 2 persone su 10, secondo un recente sondaggio condotto da Demos per Repubblica. Per la
precisione, il 22%: 4 punti in più rispetto a quanto emergeva da un’indagine realizzata nel 2005.

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Quasi 15 anni fa. Nello stesso periodo, peraltro, è calata la quota di italiani che riconoscono alla coscienza personale il ruolo
prioritario nel guidare le scelte personali. Nei primi anni 2000, questa componente superava i due terzi della popolazione. Ora
risulta sempre ampia, ma si ferma al 41%. Tuttavia, un ulteriore 20% contesta e rifiuta questa possibilità. Ritiene, cioè, che la
Chiesa dovrebbe limitare il proprio intervento all’ambito della fede. In definitiva, il credito della Chiesa continua ad essere
elevato. Oltre il 60%, però, va "oltre". Dà maggiore importanza alla coscienza personale. All’autonomia di scelta e di
valutazione degli individui. Oppure nega ogni interferenza fra questi piani. Fra religione e politica. Fra religione ed etica civile.
Il ruolo riconosciuto alla Chiesa sul piano della morale, com’era prevedibile, cresce soprattutto in base alla pratica religiosa. In
particolare, è considerato "molto importante" da circa la metà fra coloro che vanno a messa con frequenza elevata e costante.
Ma il grado di considerazione dell’influenza ecclesiale sul piano etico scende sensibilmente e, quasi, crolla quando la pratica
religiosa diventa "saltuaria". E scompare fra i non praticanti.
Il messaggio della Chiesa appare meno incisivo fra i più giovani, che hanno meno di 30 anni. E viene riconosciuto importante
soprattutto fra i più anziani (con più di 65 anni).
È, invece, interessante osservare come la pratica religiosa sia ancora collegata con l’orientamento politico. E favorisca
maggiormente Forza Italia, il partito che, negli anni Novanta, ha occupato lo spazio sociale e territoriale della DC.
Insieme alla Lega. Che, però, oggi non è più nordista e padana. E ha perduto il "legame" con la rete associativa del mondo
cattolico e imprenditoriale, di un tempo.
Questo retroterra, piuttosto, fa emergere tracce ancora visibili nella base del PD. Confluenza di esperienze post-comuniste e
post-democristiane. Radicate nel territorio e nella società.
Al contrario, la minore incidenza di praticanti si osserva fra i due partiti attualmente al governo. I protagonisti dell’ultima
stagione politica, successiva alle elezioni del 2018. La Lega (nazionale) di Salvini, appunto.
E soprattutto il M5s. Fra gli elettori a 5s, infatti, i cattolici praticanti sono una frazione. Il 15%.
Così, anche simbolicamente, si evidenzia il distacco, potremmo dire: la frattura, che si è determinata in questa fase. Tra nuove
vecchie e vecchie formazioni politiche. Un passaggio che riflette la fine un’epoca. Segnata, prima, dall’anti-comunismo.
Quindi, dall’anti-berlusconismo. Oggi, è cresciuto un nuovo muro: giallo-verde. Meglio: verde-giallo. Che supera il rapporto –
storico - fra politica e territorio. Fra politica e società.
Fra politica e tradizione.
Fra politica e religione. Perché, come ha osservato il sociologo Enzo Pace, "in un mondo globalizzato non vi sono più confini
certi. E viene meno la stretta identificazione fra una religione e un territorio".
È significativo che il laboratorio di questo cambiamento, in questi giorni, sia stato posto – e proposto - proprio a Verona.
Cuore del Nord Est, "un tempo" bianco. Democristiano. Terra di campanili. E di piccole imprese.
Familiari. Appunto.
Segno in-discutibile che siamo entrati in "un altro tempo".
© RIPRODUZIONE RISERVATA
Il Papa piace al 70% In dieci anni il cristianesimo ha perso 20 punti di autorevolezza
Elettori di Lega e 5S poco praticanti

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Giù la fiducia nella Chiesa ma gli italiani credono
ancora meno nello Stato
Ilvo Diamanti

Il "Congresso Mondiale delle Famiglie" che si è svolto a Verona, nei giorni scorsi, ha suscitato polemiche, in ambito pubblico.
La presenza del ministro Fontana e, prima ancora, del vice-premier Salvini, peraltro, ha marcato il segno "politico" assunto
dalla manifestazione. Al di là di altre valutazioni. E delle intenzioni. Ma, soprattutto, ha alimentato il dibattito dentro – e
"intorno" - al mondo cattolico.
Quindi: nella Chiesa. La famiglia, infatti, è al centro della società, in Italia e non solo. Ma è anche un riferimento essenziale
dell’etica cristiana. E cattolica.
Così è significativo che il card.
Pietro Parolin, Segretario di Stato del Vaticano, si sia detto «d’accordo sulla sostanza ma non sulla modalità». Prendendo,
dunque, le distanze dal significato assunto dalla – e attribuito alla -manifestazione.
Che rischia (com’è puntualmente avvenuto) di "politicizzare" l’argomento.
Papa Francesco, a sua volta, ha condiviso questa posizione, definendola «giusta ed equilibrata». È, quindi, utile ragionare sul
rilievo che caratterizza ancora la presenza cattolica in Italia. Non tanto per entrare nel merito della questione – la famiglia -, ma
per riflettere su quale influenza abbia ancora la Chiesa sulla morale e sui comportamenti.
In Italia, anzitutto, la grandissima maggioranza della popolazione si definisce "cattolica": il 75%, secondo il Rapporto Eurispes
del 2016.
Tuttavia, solo una minoranza, il 25%, afferma di recarsi a messa con frequenza e regolarità. Ma in misura molto diversa, in base
al genere (le donne sono più assidue) e, soprattutto, all’età.
Come ha osservato il sociologo Franco Garelli, fra i più accreditati studiosi del fenomeno religioso: "I luoghi di culto sono
sempre più frequentati da persone con i capelli bianchi, e meno da giovani e da adulti". Anche se il declino della pratica
religiosa, negli ultimi anni, si è stabilizzato e non si è tradotto in un tracollo.
Quanto all’autorevolezza "pubblica", l’ultima indagine di Demos dedicata agli orientamenti degli italiani verso lo Stato e le
istituzioni (dicembre 2018) valuta il grado di fiducia verso Chiesa intorno al 38%. Sensibilmente in calo (20 punti in meno)
durante gli ultimi dieci anni. Ma, comunque, ancora elevato, rispetto alle istituzioni pubbliche e allo Stato. Tanto più che il
riferimento privilegiato dai cittadini resta, di gran lunga, il Papa. Che riscuote un elevato grado di fiducia presso oltre il 70%
dei cittadini.
Ma l’influenza della Chiesa risulta significativa anche sul piano degli orientamenti personali. Delle opinioni e dei valori della
società. È ciò che pensano oltre 2 persone su 10, secondo un recente sondaggio condotto da Demos per Repubblica. Per la
precisione, il 22%: 4 punti in più rispetto a quanto emergeva da un’indagine realizzata nel 2005.

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Quasi 15 anni fa. Nello stesso periodo, peraltro, è calata la quota di italiani che riconoscono alla coscienza personale il ruolo
prioritario nel guidare le scelte personali. Nei primi anni 2000, questa componente superava i due terzi della popolazione. Ora
risulta sempre ampia, ma si ferma al 41%. Tuttavia, un ulteriore 20% contesta e rifiuta questa possibilità. Ritiene, cioè, che la
Chiesa dovrebbe limitare il proprio intervento all’ambito della fede. In definitiva, il credito della Chiesa continua ad essere
elevato. Oltre il 60%, però, va "oltre". Dà maggiore importanza alla coscienza personale. All’autonomia di scelta e di
valutazione degli individui. Oppure nega ogni interferenza fra questi piani. Fra religione e politica. Fra religione ed etica civile.
Il ruolo riconosciuto alla Chiesa sul piano della morale, com’era prevedibile, cresce soprattutto in base alla pratica religiosa. In
particolare, è considerato "molto importante" da circa la metà fra coloro che vanno a messa con frequenza elevata e costante.
Ma il grado di considerazione dell’influenza ecclesiale sul piano etico scende sensibilmente e, quasi, crolla quando la pratica
religiosa diventa "saltuaria". E scompare fra i non praticanti.
Il messaggio della Chiesa appare meno incisivo fra i più giovani, che hanno meno di 30 anni. E viene riconosciuto importante
soprattutto fra i più anziani (con più di 65 anni).
È, invece, interessante osservare come la pratica religiosa sia ancora collegata con l’orientamento politico. E favorisca
maggiormente Forza Italia, il partito che, negli anni Novanta, ha occupato lo spazio sociale e territoriale della DC.
Insieme alla Lega. Che, però, oggi non è più nordista e padana. E ha perduto il "legame" con la rete associativa del mondo
cattolico e imprenditoriale, di un tempo.
Questo retroterra, piuttosto, fa emergere tracce ancora visibili nella base del PD. Confluenza di esperienze post-comuniste e
post-democristiane. Radicate nel territorio e nella società.
Al contrario, la minore incidenza di praticanti si osserva fra i due partiti attualmente al governo. I protagonisti dell’ultima
stagione politica, successiva alle elezioni del 2018. La Lega (nazionale) di Salvini, appunto.
E soprattutto il M5s. Fra gli elettori a 5s, infatti, i cattolici praticanti sono una frazione. Il 15%.
Così, anche simbolicamente, si evidenzia il distacco, potremmo dire: la frattura, che si è determinata in questa fase. Tra nuove
vecchie e vecchie formazioni politiche. Un passaggio che riflette la fine un’epoca. Segnata, prima, dall’anti-comunismo.
Quindi, dall’anti-berlusconismo. Oggi, è cresciuto un nuovo muro: giallo-verde. Meglio: verde-giallo. Che supera il rapporto –
storico - fra politica e territorio. Fra politica e società.
Fra politica e tradizione.
Fra politica e religione. Perché, come ha osservato il sociologo Enzo Pace, "in un mondo globalizzato non vi sono più confini
certi. E viene meno la stretta identificazione fra una religione e un territorio".
È significativo che il laboratorio di questo cambiamento, in questi giorni, sia stato posto – e proposto - proprio a Verona.
Cuore del Nord Est, "un tempo" bianco. Democristiano. Terra di campanili. E di piccole imprese.
Familiari. Appunto.
Segno in-discutibile che siamo entrati in "un altro tempo".
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Il Papa piace al 70% In dieci anni il cristianesimo ha perso 20 punti di autorevolezza
Elettori di Lega e 5S poco praticanti

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