Dal secondo figlio l'asilo non si paga Ecco come cambia l'aiuto per le rette - Anci Fvg

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IL MESSAGGERO VENETO
12 SETTEMBRE

Alle famiglie con un bimbo contributi da 122 a 240 euro in base all'Isee: super
bonus da 600 euro per i nuclei numerosi

Dal secondo figlio l'asilo non si paga
Ecco come cambia l'aiuto per le rette

Riccardo De Toma UDINE. «Questo Governo, quale prima misura di intervento a favore delle famiglie
con redditi bassi e medi, si adopererà con le Regioni per azzerare totalmente le rette per la frequenza
di asili nido e micro nidi a partire dall'anno 2020-2021». Questo l'impegno del presidente del Consiglio
Giuseppe Conte, annunciato nel suo discorso programmatico alla Camera. Ma il Friuli Venezia Giulia si
è portato avanti. Le rette dei nidi, infatti, da quest'anno sono già azzerate per tutte le famiglie con due o
più figli minori e un Isee fino a 50 mila euro, mentre per i figli unici la soglia Isee resta di 30 mila euro e
lo sconto da 122 a 240 euro graduato a seconda del reddito.aiuti anche aI REDDITI ALTIForte dal 2005
di una sua legge sul sostegno ai servizi alla prima infanzia, la nostra Regione quest'anno ha impresso
una forte accelerazione ai suoi interventi, quadruplicando le risorse (da 5,2 a 18,9 milioni) e istituendo
un nuovo contributo che copre una retta a tempo pieno fino all'importo di 600 euro mensili per le
famiglie con almeno due figli. L'unico requisito di reddito è un Isee non superiore ai 50 mila euro: al di
sotto di tale tetto il contributo è uguale per tutti. Soltanto per le famiglie con un solo figlio il taglio della
retta resta commisurato all'Isee, e con importi identici a quelli in vigore lo scorso anno (da 240 euro al
mese fino a 10 mila euro Isee, 194 euro nella fascia 10-15 mila euro, 168 nella fascia 15-20 mila e 122
per gli Isee compresi tra i 20 e 30 mila). Con il risultato che una famiglia con due figli e un Isee da 50
mila euro, quindi decisamente benestante, non pagherà nulla, mentre una famiglia con un Isee da 10 o
15 mila euro e un solo figlio si dovrà accontentare di uno sconto. E se è vero che per le fasce Isee più
basse c'è anche l'accesso alle risorse Fse (Fondo sociale europeo), che possono garantire sconti
superiori a quelli della Regione, il legame con la situazione economica delle famiglie si è decisamente
allentato.La strategia della giunta«La filosofia è di investire sui bambini, per questo diamo a tutti lo
stesso importo dal secondo figlio in poi». L'assessore a Lavoro e Famiglia, Alessia Rosolen, spiega
così la scelta, che non sarebbe economicamente sostenibile a livello nazionale, di "premiare" anche i
redditi alti. «Non premiamo nessuno - prosegue Rosolen -, semplicemente riteniamo che i bambini,
soprattutto in una realtà a forte invecchiamento demografico come la nostra, siano un bene prezioso su
cui investire indipendentemente dal reddito dei genitori, tanto è vero che stiamo lavorando a una misura
unica di sostegno della natalità».RESIDENTI PRIVILEGIATIL'altro grande cambiamento riguarda
l'introduzione, anche in materia di nidi, del criterio di residenza: se fino al 2018 l'unica condizione era
che uno dei genitori fosse residente in regione da almeno un anno, da quest'anno chi risiede in Fvg da
meno di cinque anni ha diritto a un importo dimezzato. È lo stesso criterio che è costato alla nostra
Regione l'impugnazione da parte del Governo della legge sui contributi per le nuove assunzioni: un
rischio che però non si corre più con il nuovo testo per l'abbattimento delle rette, riscritto a marzo di
quest'anno modificando un decreto del 2015, perché è scaduto il tempo (fissato in 60 giorni dalla
pubblicazione) per l'impugnazione davanti alla Corte Costituzionale.MAMMA REGIONEMatrigna con i
"forestieri", la Regione si mostra invece una "mamma" molto generosa per i residenti. Le risorse messe
a disposizione delle famiglie per l'anno scolastico 2019-2020 ammontano a ben 18,9 milioni, contro i
5,2 milioni deliberati sia nel 2017 dalla giunta Serracchiani sia nel 2018 dall'attuale esecutivo Fedriga. A
queste vanno aggiunti altri 3 milioni che i servizi sociali dei Comuni o delle Uti possono usare per
abbattere le rette dei servizi pubblici e privati alla prima infanzia a chi ha un Isee sotto i 20 mila euro. In
tutto, quindi, c'è un "tesoretto" da ben 22 milioni.BOOM DI DOMANDELa grande potenza di fuoco
impiegata ha consentito alla Regione di incrementare i bonus e di estendere la platea fino ai fatidici 50
mila euro di Isee. Da qui il balzo delle domande, che sono passate dalle 2.673 dell'annata 2018-2019
alle 3.775 accolte per il 2019-2020, con un incremento del 41%. Da notare anche come i due terzi delle
richieste, ben 2.504 su 3.775, siano ricadute proprio nell'ambito del nuovo contributo di 600 euro: per
queste domande non è stata fornita una suddivisione per fasce di reddito, ma è presumibile che una
parte consistente dei nuovi richiedenti (1.100 in più rispetto allo scorso anno) si collochi tra i 30 e 50
mila euro Isee.

Il tetto della situazione economica elevato a 50 mila euro
L'obiettivo è incoraggiare nascite e conciliazione con il lavoro

Favorite le giovani coppie
Neo-residenti penalizzati
udine. Marco e Anna sono una giovane coppia con due figli: il primo va a scuola, il secondo ha due
anni e per lui è stata rinnovata l'iscrizione all'asilo nido. Anche quest'anno la famiglia, che ha un Isee
(Indice della situazione economica equivalente) di 25 mila euro, ha presentato ai servizi sociali del
proprio Comune la domanda per accedere all'abbattimento delle rette, e lo sconto riconosciuto nel
2019-20 sarà sensibilmente più alto: se l'anno scorso pagavano 378 euro, 122 in meno rispetto alla
retta piena di 500 euro mensili, da settembre la fattura sarà a zero, dal momento che la presenza del
secondo figlio garantisce a Marco e Anna un super bonus che copre l'intera retta (e la coprirebbe fino
all'importo massimo di 600 euro).E le notizie sarebbero ancora migliori se Marco e Anna avessero un
Isee superiore ai 30 mila euro, soglia per colpa della quale, invece, nel 2018 erano stati esclusi dal
bonus: quest'anno, grazie all'innalzamento della soglia Isee fino a 50 mila euro, non pagheranno nulla,
dal momento che il super bonus che non è commisurato all'Isee.Nel caso di due figli entrambi iscritti al
nido, invece, lo sconto fino a 600 euro viene garantito solo per uno dei due bambini, mentre lo sconto
sulla retta del secondo viene calcolato con le regole del contributo base, quindi dai 240 euro della
fascia Isee più bassa ai 122 della fascia tra i 20 mila e i 30 mila euro, per azzerarsi al di sopra dei 30
mila. Marco e Anna, con un Isee di 25 mila euro e due figli iscritti al nido, pagherebbero quindi una
fattura mensile complessiva di 378 euro, con l'azzeramento totale di una delle due rette e lo sconto di
122 sulla seconda. Ma se l'Isee fosse compreso tra i 30 mila e i 50 mila euro, invece, non avrebbero
nessuna riduzione sulla seconda retta, e invece resterebbe lo sconto pieno sulla prima, per un costo
complessivo di 500 euro.Gli esempi concreti basati sulle nuove regole volute dalla giunta, dicono anche
che nulla cambia se al nido ci va solo un figlio: fasce ed entità dei contributi, infatti, sono le stesse dello
scorso anno, differenziate tra tempo pieno e part-time (e se l'orario è parziale il contributo è dimezzato).
Gli effetti possono essere paradossali: ipotizzando sempre di partire da una retta piena di 500 euro, per
un figlio unico si pagherebbero 378 se l'Isee arriva a quota 21 mila euro, mentre con un secondo figlio e
un Isee di 49 mila euro, quindi l'esempio è per una famiglia decisamente più agiata, si avrebbe diritto
all'abbattimento totale della retta. A non sorridere insieme ai nuclei familiari con figli unici, sono anche
gli immigrati dall'estero o da altre regioni, perché se almeno uno dei genitori non ha almeno cinque anni
di residenza in Friuli Venezia Giulia, lo sconto è dimezzato. È il welfare padano, bellezza.Le famiglie
numerose, invece, possono tirare un sospiro di sollievo. E con esse anche i gestori di molti asili nido.
Con le nuove regole e il nuovo super bonus per le famiglie con più figli, infatti, aumenta la sostenibilità
delle rette e aumenta anche l'appeal degli asili nido, con probabili effetti positivi sulle iscrizioni dei
prossimi anni.

servizi educativi

Dai nidi familiari appello alla giunta:
tempi dei rimborsi troppo lunghi
Riccardo De Toma UDINE. Ridono le famiglie numerose, ma sorridono anche i gestori di molti asili
nido. Con le nuove regole e con il nuovo super bonus per le famiglie con più figli, infatti, aumenta la
sostenibilità delle rette e aumenta anche l'appeal degli asili nido, con probabili effetti positivi sulle
iscrizioni dei prossimi anni. Ma c'è anche chi guarda con qualche preoccupazione ai nuovi criteri: in
particolare i nidi familiari, cioè i servizi educativi domiciliari (Sed) secondo la nomenclatura ufficiale,
preoccupati perché, di fatto, l'incremento dei bonus regionali rischia di allungare sensibilmente i tempi
di incasso delle rette. «Forse non si è tenuto sufficientemente conto delle condizioni e delle esigenze di
tutti gli operatori», dichiarano Silvia Melotti e Antonella Buzzi, a nome delle associazioni Le Casette e
La Gerla, che rappresentano 34 strutture e 280 utenti, la quasi totalità dei Sed delle province di Udine,
Pordenone e Gorizia.Ricostruire il meccanismo di erogazione degli aiuti regionali può aiutare a
comprendere le loro preoccupazioni. Sono i gestori, infatti, ad anticipare lo sconto di "mamma
Regione", che viene direttamente detratto dall'importo delle rette mensili. «I tempi d'attesa del rimborso
- spiegano Melotti e Buzzi - sono di 75 giorni, cui si possono sommare ritardi nell'erogazione dei
rimborsi da parte di alcuni Comuni e Uti». Dal momento che da quest'anno l'entità dei contributi
regionali, in molti casi, sarà tale da coprire l'intera retta, è evidente che i gestori temono di trovarsi a
gestire un sensibile allungamento dei tempi di incasso dei propri corrispettivi.«I servizi educativi
domiciliari - sottolineano Melotti e Buzzi - sono privati, con un volume d'affari limitato, in quanto
rientrano all'interno di regimi fiscali agevolati. Il fatturato massimo, infatti, è limitato proprio dal numero
di bambini, con un rapporto di un educatore ogni cinque bambini oppure di due ogni otto. Abbiamo
messo al corrente la Regione delle nostre difficoltà e chiesto una riduzione dei tempi di attesa dei
rimborsi, proponendo inoltre altre strategie, come ad esempio il rimborso direttamente alle famiglie».Un
altro problema posto dai Sed riguarda i nidi familiari con due educatrici. «Il fatto che la Regione non
riconosca la contitolarità della seconda educatrice - spiegano Melotti e Buzzi - fa sì che i posti garantiti
con abbattimento della retta siano soltanto cinque, escludendo le altre famiglie, senz'altra causa se non
un impedimento burocratico. Questo rischia di determinare una selezione poco etica degli utenti:
sarebbe necessario, pertanto, non solo individuare modalità di erogazione dei contributi più sostenibili
per i gestori, ma anche riconoscere la contitolarità del secondo educatore».Da qui l'appello finale a una
maggiore sensibilità verso i gestori dei nidi familiari: «Non prendere in considerazione le nostre difficoltà
- concludono le due educatrici - significherebbe trascurare le aspettative di centinaia di famiglie e di
posti di lavoro che si sono creati soprattutto in questi anni di crisi, senza alcun sostegno da parte delle
istituzioni neppure per la formazione delle educatrici, che hanno pagano tutto di tasca propria».

L'ex governatrice pare l'esponente del Fvg con più chance di essere nominata
nell'esecutivo Conte

In arrivo l'elenco dei sottosegretari
La regione "punta" su Serracchiani
Mattia Pertoldi udine. Il Governo torna a riunirsi oggi, dopo il Consiglio dei ministri flash nel giorno del
giuramento che ha portato all'impugnazione della "omnibus" del centrodestra regionale e, stando alle
parole di Giuseppe Conte da Bruxelles, dovrebbe vistare l'elenco dei sottosegretari nei vari ministeri.La
partita dei dicasteri, come noto, è terminata con un nulla di fatto per il Friuli - anche se la regione è
tornata ad avere un ministro 18 anni dopo Willer Bordon grazie al triestino Stefano Patuanelli - che
adesso si aggrappa alla partita per i ruoli di sottogoverno per non scomparire, completamente, dal
panorama geografico dell'esecutivo. L'unico vero friulano doc che in questi giorni è stato dato in corsa,
anche se ultimamente il suo nome non rimbalza da Roma a Nordest con la stessa frequenza del
recente passato, è quello del senatore del Pd Tommaso Cerno che certamente sarebbe visto di buon
occhio anche dalla componente grillina dell'esecutivo. Verosimilmente, però, colei che sembra avere le
maggiori chance di entrare al Governo, per quanto possa essere al massimo definita come friulana
d'adozione, è Debora Serracchiani attorno al cui nome ruotano fattori positivi, per la nomina, e negativi.
Nel primo caso va annoverato il fatto di essere entrata a pieno titolo nella corrente di Maurizio Martina
che in sede di spartizione dei ministeri è stata, di fatto, esclusa da ogni dicastero. Per questo sembra
che Martina abbia chiesto quattro posti - ma dovrebbe doversi accontentare di due - tra cui uno per
Serracchiani che approfitterebbe anche del fatto di essere donna e della necessità di bilanciare le quote
di genere. Nel novero dei fattori negativi, invece, va elencata sia la sua posizione di vicepresidente del
partito - e quindi già "accontentata" quanto a ruoli e posizioni - sia un territorio, il nostro, che non pare
spingere con forza per una sua promozione al Governo.Basterà aspettare poco, in ogni caso, per
sapere se Serracchiani diventerà o meno sottosegretaria (si sussurra al Lavoro), mentre ampliando il
discorso a livello regionale è di fatto esclusa qualsiasi possibilità di Ettore Rosato. Il deputato triestino è
stato, fino all'ultimo, in predicato per diventare ministro e adesso non pare avere alcuna intenzione di
vestire i panni di sottosegretario. Resterà, infatti, vicepresidente della Camera e si dedicherà alla
creazione e all'ampliamento dei Comitati Civici di Matteo Renzi.E se in casa del M5s l'unico che pare
potersela giocare è l'uscente Vincenzo Zoccano - per quanto Conte non lo abbia esplicitamente
confermato nel momento in cui nel suo discorso alla Camera ha citato la volontà di mantenere un
sottosegretario a palazzo Chigi con delega alla Disabilità -, è più complicato il discorso relativo a
Francesco Russo. Il consigliere dem, molto vicino a Nicola Zingaretti, è inserito nel mini-elenco di
coloro che potrebbero finire al ministero dell'Istruzione, ma è penalizzato prima di tutto dal non essere
donna. E in più, particolare per nulla insignificante, alla fine potrebbe essergli, politicamente, molto più
utile restare in Consiglio. Perchè in fondo, tra meno di due anni, si potrebbe giocare l'opportunità di
strappare la sua città, Trieste, al controllo del centrodestra.

misura cautelativa

Musei friulani sotto Miramare:
Franceschini congela i decreti
udine. «È soltanto una misura cautelativa perché sono decreti fatti in agosto, quando la crisi politica era
già aperta e quindi non c'è la volontà di disfare. Semplicemente guardiamo con attenzione». Lo ha
detto il neo ministro dei Beni culturali e del turismo, Dario Franceschini a proposito del ritiro dei decreti
attuativi della riforma Bonisoli. Il provvedimento dell'ex ministro Cinque Stelle impatta fortemente anche
sulla situazione dei musei in regione. Secondo tale disegno, infatti, Miramare avrebbe scippato la
gestione dei musei statali al Friuli. Le collezioni archeologiche di Aquileia e Cividale dovevano essere
gestite a Trieste. Una volta completato, a questi si sarebbe aggiunto il museo di Grado. Il primo decreto
attuativo della del ministro Alberto Bonisoli non avrebbe riguardato i musei gestiti dalla Fondazione
Aquileia e tanto meno quello di Zuglio che, a differenza del sito archeologico, è un bene comunale. A
ridosso di Ferragosto, in Friuli Venezia Giulia il provvedimento è arrivato come un fulmine a ciel sereno
e c'è già chi si stava preparando a dare battaglia. Il primo a non comprendere la decisione del ministro
era stato il sindaco leghista di Udine Pietro Fontanini: «È un fatto grave, frutto di una visione poco
attenta della storia che provoca un declassamento di Aquileia e Cividale». Il provvedimento, che
contiene disposizioni sull'organizzazione e sul funzionamento dei musei statali, avrebbe dovuto entrare
in vigore il 22 agosto. I poli museali regionali dovevano essere sostituiti dalle direzioni territoriali delle
reti museali. «Il provvedimento firmato da Bonisoli - si legge in una nota del Mibac - istituisce il parco
del castello di Miramare a Trieste, di cui fanno parte i musei inseriti nel polo museale del Friuli Venezia
Giulia». Adesso, come detto, il provvedimento resta quantomeno congelato, anche se i referenti locali,
in primis l'assessore regionale alla Cultura Gibelli, attendono notizie più dettagliate.«Franceschini
ritirerà i decreti attuativi della riforma dell'amministrazione del Mibac voluta da Bonisoli. Fratelli d'Italia
fu l'unica forza politica a contrastare questa assurda concentrazione di potere verso la segreteria
generale, non a caso voluta proprio dal segretario generale Panebianco e di cui Bonisoli è stato mero
esecutore. Franceschini mostri discontinuità con l'azione di Bonisoli, ma anche con le politiche da lui
attuate durante la sua precedente guida del ministero di Via del Collegio Romano». Lo ha dichiarato
Federico Mollicone di Fdi, durante la partecipazione all'evento di celebrazione dei 150 anni
dell'Associazione italiana editori (Aie), alla quale ha partecipato anche il presidente della Repubblica
Sergio Mattarella.
Si pensa a creare delle "Comunità" per le funzioni associate
Mano tesa di Roberti al Pd per analizzare la bozza di legge

Ritorno alle Province
Riforma a metà ottobre
e via con i commissari

Mattia Pertoldi udine. Tra la volontà politica - il ritorno effettivo a enti di area vasta elettivi cancellando
definitivamente il sistema delle Uti - e l'effetto concreto - cioè la rinascita delle Province anche in Friuli
Venezia Giulia - c'è di mezzo lo Statuto regionale e la posizione del nuovo Governo nazionale che
difficilmente si mostrerà aperto e disponibile come (teoricamente) il precedente esecutivo, ma per
Pierpaolo Roberti cambia poco.L'assessore regionale, infatti, ha incontrato ieri i rappresentanti della
maggioranza - presenti Mauro Bordin e Vannia Gava per la Lega, Giuseppe Nicoli e Sandra Savino per
Forza Italia, Mauro Di Bert in rappresentanza di Progetto Fvg e Claudio Giacomelli per Fratelli d'Italia,
oltre a Giulia Manzan in quota Ar - spiegando come la bozza di riforma degli enti locali sia
sostanzialmente pronta con l'obiettivo di portarla in giunta, per l'approvazione, entro la prima metà di
ottobre. «Andiamo avanti come previsto - ha spiegato Roberti -. Nelle prossime settimane incontrerò le
forze politiche, separatamente, e prenderò parte a una serie di vertici con i vari soggetti interessati,
come Anci e Uncem ad esempio. Incontreremo tutti e infatti nei prossimi giorni verrà invitato anche il Pd
ad analizzare, assieme al presidente Fedriga, la bozza».La strada, dunque, è tracciata, ma adesso
bisogna percorrerla fino alla fine. Nel mezzo, però, cominciano a esserci un paio di punti di fissi. Prima
di tutto il fatto che le Province, o come si chiameranno, dovranno sì essere elettive, ma in un percorso a
step. I nuovi enti, infatti, nasceranno inizialmente attraverso una forma commissariale e saranno
affiancati da una serie di norme transitorie che permetteranno loro di cominciare a lavorare su quelle
materie di cui la Regione deciderà di spogliarsi. Soltanto successivamente, perciò, si passerà
all'elezione diretta.E qui, davanti al centrodestra, si manifesta un problema non da poco. Secondo
qualcuno, infatti, basterebbe un passaggio in Paritetica - peraltro al momento bloccata con la
decadenza dei tre componenti di nomina governativa in virtù del cambio di maggioranza Roma -, per
altri, e non sono pochi, sarebbe invece necessaria una legge di rango costituzionale, esattamente
come avvenuto per la cancellazione delle Province dallo Statuto regionale. In questo caso, inoltre,
l'ostacolo da superare sarebbe anche politico. Non soltanto perché la Consulta ha già bocciato
un'iniziativa simile da parte della Sicilia, ma anche perché è oggettivamente difficile pensare che un
Governo in cui siede il Pd, che della trasformazione delle Province in enti a elezione indiretta ne ha
fatto da sempre un cavallo di battaglia, possa approvare un iter di questo genere. A quel punto, quindi,
si aprirebbe un nuovo scontro con Roma che, almeno ad ascoltare le parole dei leghisti, il Carroccio
pare aver, tra l'altro, già messo in conto.Questo, in ogni caso, riguarda il futuro più lontano. Quello più
vicino, invece, punta sui commissariamenti degli enti intermedi che, tra l'altro, potrebbero veder nascere
a un livello inferiore anche delle nuove realtà. L'idea è quella di chiamarle "Comunità" - probabilmente
in omaggio a quelle autonome spagnole - e garantirebbero ai diversi Municipi di associarsi per gestire
assieme alcune funzioni non prettamente di competenza delle Province oppure della Regione. Una
specie di Uti? Non proprio, perché se è vero che un sistema di questo tipo salvaguarderebbe le Uti
esistenti e che funzionano, è altrettanto vero che le associazioni sarebbero su scala totalmente
volontaria in modo tale da rispettare l'autonomia di Comuni e territori.

polemiche sull'immigrazione

La Lega: barriere fisiche al confine
Replica dem: stop alle sparate
udine. Torna acceso, anche in Friuli Venezia Giulia, il confronto dialettico sull'immigrazione, dopo che la
Lega è andata all'opposizione al governo nazionale. «Se oggi possiamo ragionare sui dati concreti
legati all'effetto dell'immigrazione in Friuli Venezia Giulia, lo si deve al monitoraggio e alle registrazioni
che, diversamente da quanto accadeva in passato, sono diventate consuetudine nell'ultimo anno di
governo», afferma l'assessore regionale alla Sicurezza, Pierpaolo Roberti, che coglie l'occasione per
ringraziare, anche a nome del governatore Fedriga, le Forze dell'ordine per il lavoro svolto e per
chiarire quanto «prima del 2018, le uniche statistiche a disposizione fossero quelle relative ai migranti
accolti: un numero che in 16 mesi è stato ridotto del 40,6%, da 4.663 a 2.795, ma che, con ogni
probabilità, non offre un quadro complessivo dei flussi che hanno interessato il territorio negli anni
precedenti». Guardando al futuro, Roberti rende noto che l'amministrazione regionale chiederà al
ministro dell'Interno Lamorgese un ulteriore potenziamento dei controlli, anche avvalendosi di
tecnologie avanzate e barriere fisiche. «L'obiettivo - chiarisce l'assessore - è quello di non accontentarsi
di drastiche riduzioni nell'ingresso di irregolari, ma di lavorare invece all'impermeabilizzazione della
fascia confinaria ricorrendo anche, quale ultima soluzione, alla sospensione di Schengen».Non si è
fatta attendere la risposta del centrosinistra, che ora è al governo. «Fedriga e Roberti almeno si
sintonizzino, se devono spararle grosse sui migranti, l'unico argomento cui sono aggrappati come
naufraghi alla zattera, visto il buco nero in cui stanno trascinando l'economia della regione. Uno vuole
mettere il Consiglio regionale a fare leggi anti-migranti con il solo scopo di vederle impugnate, l'altro si
vanta del calo dei richiedenti asilo, ma rivuole il muro e la sospensione di Schengen». Lo afferma la
deputata del Pd Debora Serracchiani, replicando alle dichiarazioni del presidente Fvg Massimiliano
Fedriga e dell'assessore regionale alla Sicurezza, Pierpaolo Roberti. «La prontezza con cui annunciano
le loro richieste al nuovo ministro dell'Interno - rileva Serracchiani - è pari solo alla muta subordinazione
e adorazione verso quello che c'era prima e che li ha astutamente mollati. In questi 14 mesi di
"sicurezza leghista" abbiamo visto come Salvini si è occupato del Friuli Venezia Giulia: a chiacchiere,
come Fedriga e Roberti. Da quando ci sono loro i problemi sono solo aumentati, al contrario del
personale delle forze dell'ordine».
Lettera dell'assessore Rosolen a Fioramonti: «Speriamo non rallenti il processo»
Perplessi Moretuzzo (Patto) e Russo (Pd): solo paroloni, la propaganda è finita

Appello al ministro per salvare
l'autonomia dell'istruzione

Maura Delle Case UDINE. Timori per il percorso di regionalizzazione dell'istruzione non universitaria.
L'avvento del nuovo governo Conte allunga un'ombra sulla richiesta dell'amministrazione Fvg che,
nominato il nuovo inquilino del Miur, non ha perso tempo. Lunedì, l'assessore regionale all'istruzione,
Alessia Rosolen, ha scritto infatti una missiva al neo-ministro Lorenzo Fioramonti (M5s) chiedendogli un
incontro a stretto giro per proseguire il discorso avviato tra giugno e luglio con la commissione paritetica
Stato-Regione. La speranza è poter continuare con la "formazione" corrente - un cambio in corsa
comporterebbe a cascata un rallentamento del processo - e di poterlo fare contando anche sul
supporto dell'attuale direttore all'ufficio scolastico regionale, Patrizia Pavatti, che Rosolen ha chiesto al
ministro di confermare. A Fioramonti l'assessore ha quindi ricordato la ratio della norma di attuazione,
ben più soft rispetto alle richieste avanzate in materia d'istruzione da altre Regioni (ordinarie). «La
strada che porta alla regionalizzazione - si legge nella lettera inviata al ministro - non prevede alcuna
ingerenza in ordine alla didattica né al personale docente e non lascia margini di equivoci rispetto alle
competenze statali sul comparto».L'assessore lo ha ribadito anche ieri nel corso dell'audizione in VI
commissione presieduta da Giuseppe Sibau (Progetto Fvg/Ar). «Non chiediamo né di effettuare
passaggi di personale dal ruolo statale al ruolo regionale né di fare selezioni di personale a livello
regionale - ha chiarito Rosolen -, ma di acquisire le competenze e funzioni che l'Ufficio scolastico
regionale esercita con la clausola della delega amministrativa».Accanto a questo Rosolen ha
evidenziato il supporto regionale su personale Ata e insegnanti di sostegno, i fondi a disposizione del
sistema scolastico e il distacco di personale regionale nelle sedi dell'Ufficio scolastico regionale, già 3
unità sulle 10 previste.Dall'opposizione la norma è guardata con più di qualche perplessità.
«Regionalizzazione è una parolona, le Regioni ordinarie hanno chiesto ben di più», ha dichiarato a
margine della commissione il consigliere Massimo Moretuzzo (Patto per l'autonomia).Sulla stessa
lunghezza d'onda il consigliere del Pd Francesco Russo, concorde nel dire che «non basta parlare di
regionalizzazione, serve indicare quali saranno i cambiamenti reali nella vita di insegnanti e studenti,
altrimenti resteranno solo slogan. I tempi della propaganda sono finiti».Quanto al mutato governo, non
timore, ma speranza cova Mauro Capozzella (M5s): «Prima c'era un ministro "amico" della giunta
regionale (il leghista Marco Bussetti), da cui però non è stato ottenuto nulla, oggi c'è un'interlocuzione
nuova da cui si spera di raggiungere obiettivi che in più di un anno sono stati soltanto promessi».
IL PICCOLO
12 SETTEMBRE

Svelata la bozza della riforma degli enti locali. Ipotesi confronto con le
opposizioni per evitare future spallate dal governo

Riecco le Province, Gorizia resta autonoma
Diego D'Amelio trieste. Il centrodestra torna alle quattro Province. La speranza è che siano elettive, ma
la certezza è che la svolta nazionale renderà lo scenario complicatissimo, con grillini e dem contrari al
ritorno al passato. E così anche la giunta ammette la necessità di aprire un confronto locale con le
opposizioni: un po' per costruire una riforma degli enti locali che non sia smontata in futuro, un po' per
cercare una pur improbabile sponda per far cambiare idea al governo giallorosso. Lo scenario è
emerso ieri, nella riunione in cui l'assessore alle Autonomie Pierpaolo Roberti ha presentato a
capigruppo e segretari della maggioranza la bozza di riforma costruita nel confronto interno alla Lega.
Nulla è però ancora deciso e gli alleati si riaggiorneranno dopo le rispettive riflessioni interne. La
volontà è comunque di arrivare all'approvazione entro l'anno, costruendo gradualmente il sistema nel
corso della legislatura. L'idea della giunta Fedriga è quella delle quattro Province, dopo la levata di
scudi isontina sull'ipotesi di una fusione Trieste-Gorizia. Dal punto di vista operativo, saranno azzerate
14 Uti su18 e mantenute solo le Unioni dei capoluoghi, allargate tuttavia a coprire i confini delle quattro
ex Province. Il vantaggio è non dover creare enti ex novo e sfruttare il fatto che le Uti di Trieste, Gorizia,
Udine e Pordenone già detengono la competenza sull'edilizia scolastica, prima e più importante delle
funzioni immaginate per le aree vaste. Sul piano identitario le Province torneranno quelle di una
volta.Cessa dunque la tentazione di creare l'ente della Venezia Giulia o quello del Grande Friuli. Da
definire il destino di Trieste, dove si dovranno tenere insieme il grande comune capoluogo e i piccoli
centri dell'altipiano e di Muggia. Al momento la proposta di area vasta sembra perdere quota, così
come la fusione con Monfalcone, che a sua volta dovrà trovare una forma di convivenza con Gorizia.
Le quattro Province (ma il nome non è ancora stato individuato) cominceranno a funzionare sotto il
commissariamento operato dai sindaci dei capoluoghi o da funzionari regionali, che gestiranno la
transizione in cui il contenitore sarà riempito di una serie di funzioni oggi esercitate dalla Regione e in
futuro demandate alle aree vaste, con l'obiettivo di fare della Regione un ente di programmazione più
leggero. Come avveniva per le Uti, le Province offriranno inoltre un coordinamento ai Comuni che
vorranno facoltativamente associarsi per svolgere alcune funzioni, garantendo in modo autonomo le
risorse necessarie. Le nuove Province saranno inizialmente organi decentrati della Regione: ciò
risolverà il nodo del personale, che così non perderà prerogative e vantaggi economici dei dipendenti
regionali. Il centrodestra medita di aprire il confronto anche alle opposizioni per arrivare a una legge il
più possibile condivisa. La consapevolezza del cambio di maggioranza di governo e magari dell'attuale
composizione della Commissione paritetica richiede di trovare sponde anche sul piano locale: se Roma
si metterà di traverso, infatti, l'auspicato ritorno agli enti elettivi diventerà una chimera, con il
conseguente scontro politico fra centro e periferia che già si profila all'orizzonte.
Fedriga e Roberti annunciano cambi di rotta dopo la diffusione dei dati
sull'escalation di arrivi
Serracchiani: «Con loro i problemi sono aumentati». Ieri 53 profughi rintracciati
a San Dorligo

Legge quadro e stop Schengen
La giunta rilancia sui migranti
il caso Marco Ballico Massimiliano Fedriga pensa a una legge quadro sull'immigrazione. L'assessore
delegato, Pierpaolo Roberti, rispolvera l'opzione muro e la sospensione di Schengen. La giunta rilancia
la sua linea di gestione degli stranieri irregolari dopo aver preso atto dei numeri, resi noti dalla
prefettura, che evidenziano una frontiera "bucata" da oltre 5 mila persone nel corso del 2019. È il
presidente della Regione ad annunciare l'intenzione di un provvedimento legislativo che punti sulla
tutela del territorio e dei cittadini. Non ci sono dettagli, ma Fedriga informa che Roberti sta facendo
incontri in questi giorni con gli uffici tecnici. E, aggiungendo il veleno rispetto a una misura della
precedente legislatura, dichiara: «Utilizzeremo tutte le norme che abbiamo a disposizione perché
crediamo che l'immigrazione vada trattata anche dal punto di vista della sicurezza e non
semplicemente con il finanziamento di corsi di sci per i richiedenti asilo». I rapporti con Roma? «Non
possiamo espellere migranti, ma collaboriamo con le istituzioni nazionali su moltissimi temi. Come
collaboreremo con chiunque», precisa ancora il governatore del Fvg, se i provvedimenti saranno «in
linea con le indicazioni politiche scelte dal 57% degli elettori della regione». Da ieri ci sono anche i
numeri come punto di riferimento. Quelli che hanno evidenziato una frontiera colabrodo (pure ieri la
polizia ha rintracciato in zona San Dorligo della Valle 53 stranieri, di cui un minorenne, tra afghani e
pakistani, portati a Fernetti e in questura per il fotosegnalamento), visti gli oltre 5 mila ingressi di
irregolari da inizio anno, di cui 3600 a Trieste, con il dato aggiuntivo dei 95 rintracciamenti delle
pattuglie miste italo-slovene in azione da luglio. Dati concreti, osserva Roberti, che si devono al
monitoraggio e alle registrazioni diventate consuetudine nel 2019. L'assessore, nell'evidenziare il calo
del 40% dei richiedenti asilo da aprile 2018 a fine agosto di quest'anno, e nel rilevare che la cifra «con
ogni probabilità non offre un quadro complessivo dei flussi che hanno interessato il territorio negli anni
precedenti», fa anche sapere che la Regione si è già mossa per chiedere al ministero dell'Interno un
ulteriore potenziamento dei controlli. Non escluse le tecnologie e, ripescando l'ipotesi del filo spinato, le
«barriere fisiche». E tenendo come «ultima soluzione» la sospensione di Schengen. La replica, a
stretto giro, arriva dalla deputata Pd Debora Serracchiani: «Fedriga e Roberti almeno si sintonizzino, se
devono spararle grosse sui migranti, l'unico argomento cui sono aggrappati come naufraghi alla zattera.
Uno vuole mettere il Consiglio regionale a fare leggi antimigranti con il solo scopo di vederle impugnate,
l'altro si vanta del calo dei richiedenti asilo ma rivuole il muro e la sospensione di Schengen. Da quando
ci sono loro i problemi sono solo aumentati, al contrario del personale delle forze dell'ordine». Sulla
questione interviene anche il capogruppo dei Fratelli d'Italia Claudio Giacomelli, pronto a ricordare il
sopralluogo in Carso nei mesi scorsi di Giorgia Meloni, «che denunciò il rischio che il Fvg diventasse la
Lampedusa del Nord e rimarcò la necessità di affiancare l'esercito alle forze di polizia per un maggior
controllo dei confini». Secondo FdI «i numeri ci danno ora ragione, mentre altri sottovalutavano il
problema e ci consideravano allarmisti sostenendo che non c'è un'emergenza migranti nel Fvg». I 5
mila ingressi del Fvg, insiste il consigliere, potrebbero pure essere pochi rispetto alla realtà:
«Ragionevole ritenere che almeno altre 20 mila persone siano passate da questo confine dopo avere
attraversato, indisturbate, numerosi paesi Ue, prima di sparire».

istruzione

Rosolen in pressing su Roma
per blindare la scuola autonoma
trieste. Alessia Rosolen, dopo aver aperto il dossier regionalizzazione con il leghista Marco Bussetti al
Miur, prova a tenere aperta la partita anche se in viale Trastevere, adesso, c'è il grillino Lorenzo
Fioramonti. Un ministro che, in un'intervista al Corriere della Sera, non è sembrato disposto a trattare:
«La scuola è un bene nazionale. E l'autonomia c'è già».Non siamo ancora allo scontro, ma Rosolen fa
subito capire che la Regione terrà duro. E come prima azione informa Fioramonti sui contenuti di quel
dossier, a partire da quanto fatto in questi mesi, in modo particolare su ruolo e competenze dell'Ufficio
scolastico regionale. L'assessore Fvg, nel chiedere un incontro, scrive una lettera al ministro spiegando
innanzitutto che l'obiettivo del processo in atto, già approdato all'attenzione della Paritetica (che si
tornerà a riunire il 18 settembre), «è esercitare in modo compiuto una gestione maggiormente
autonoma del settore, creando i presupposti per lo sviluppo e l'ampliamento di alcuni programmi
didattici e formativi coerenti con le prospettive di crescita del tessuto sociale della regione». Insomma,
contrariamente a quanto pensa il ministro 5 Stelle, l'autonomia non c'è già. Anzi, rimarca Rosolen, «è il
tema centrale, da declinare in un'accezione responsabile e consapevole». Senza trascurare la
formazione, a partire da rafforzamento dei percorsi Its, ritenuti i più efficaci per trovare un'occupazione
compatibile con il percorso didattico. Rassicurando il ministro, che nella stessa intervista mostra il
timore che le istanze locali arrivino a ipotizzare insegnanti dipendenti delle Regioni, l'assessore spiega
in ogni caso che la strada che porta alla regionalizzazione «scelta e condivisa tra amministrazione e
governo non prevede ingerenze su didattica e personale docente e non lascia margini di equivoci
rispetto alle competenze statali sul comparto». Un regionalismo "soft" lo definisce Mauro Capozzella,
consigliere regionale M5s, al termine dell'audizione di ieri in sesta commissione. Occasione per
Rosolen per illustrare i contenuti del ddl e precisare i temi su cui è aperto il confronto con il governo,
compreso il supporto che la Regione vuole dare sul personale Ata e sugli insegnanti di sostegno.
L'invito di Capozzella è comunque a cogliere il «mutato scenario» per evitare «distorsioni nel rapporto
con il ministero. Prima c'era un ministro "amico", da cui però non è stato ottenuto nulla, oggi c'è
un'interlocuzione nuova da cui si spera di raggiungere obiettivi che in più di un anno sono stati solo
promessi». Nel pomeriggio Rosolen si è vista pure con i sindacati di categoria. Nessuna sorpresa sulla
confermata contrarietà alla regionalizzazione. «Ben vengano le risorse aggiuntive della Regione per il
sistema - scrive in una nota Ugo Previti della Uil -, utili specie per l'assunzione di personale Ata. Ma la
scuola deve rimanere unica a livello nazionale».

IL GAZZETTINO IN ALLEGATO
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