CONGRESSO NAZIONALE 2018 SSNV-SINVE - ATTI DEL CONVEGNO Centro Congressi Synergyco, via Mambretti 9, 11, 13, Milano - cloudfront.net
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CONGRESSO NAZIONALE 2018 SSNV-SINVE Centro Congressi Synergyco, via Mambretti 9, 11, 13, Milano 9 giugno 2018 Evento ECM 220471, 8 crediti ECM ATTI DEL CONVEGNO
PRIMA SESSIONE 10.10-10.30 Stili vegetariani ed equilibri naturali: verso un futuro possibile-Vincenzino Siani 10.30-10.50 Determinanti alimentari maggiori di malattia e mortalità confermati dalle prove scientifiche-Alberto Donzelli 10.50-11.10 La posizione SINU sulle diete vegetariane-Prof. Nicoletta Pellegrini SECONDA SESSIONE 11.20-11.40 Determinazione della composizione degli alimenti: l’utilità della RM-Daniele Degl’In- nocenti 11.40-12.00 Il Morfogramma dello stato nutrizionale-Paolo De Cristofaro 12.00-12.20 La soia-Gianluca Rizzo TERZA SESSIONE 12.30-12.50 lo studio Groove-Marco Nuara 12.50-13.10 Il futuro di un bambino vegetariano- Angelo Vigliotti 13.10-13.30 Posizioni nazionali e internazionali sulla nutrizione vegetariana in età pediatrica-Ma- rio Berveglieri 13.30-13.50 La carenza preclinica di B12 nel neonato-Ilaria Fasan QUARTA SESSIONE 14.30-14.50 Il panorama della celiachia in Italia/l’interesse verso il vegetarismo-Massimiliano Biondi 14.50-15.10 Dieta vegan senza glutine-Maria Alessandra Tosatti 15.10-15.30 La steatosi epatica non alcolica, approccio con plant-based diet: risultati prelimina- ri-Alberto Fantin QUINTA SESSIONE 15.40-16.00 Abitudini alimentari prima della gravidanza e rischio di Diabete Gestazionale-Cinzia Murgia 16.00-16.20 Intervento di educazione alimentare per anziani ricoverati in strutture riabilitative e residenziali-Antonino Frustaglia 16.20-16.40 Il PiattoVeg per la dieta Low fat-Luciana Baroni SESTA SESSIONE 16.50-17.10 L’importanza della formazione nell’ambito della nutrizione vegetariana –Maurizio Battino 17.10-17.30 Il cavallo di Troia e i corsi per chef vegani-Alberto Berto 17.30-17.50 Prodotti vegani, un mercato emergente- Silvia Goggi 2
PRIMA SESSIONE Stili vegetariani ed equilibri naturali: verso un futuro possibile Dr. VINCENZINO SIANI, MD L’aumentata concentrazione atmosferica di gas serra (GHG) è riconosciuta causa primaria della crisi da riscaldamento globale che investe il pianeta. La sua origine è stata attribuita alle attività dell’uomo e si ritiene che per limitarne gli effetti sugli ecosistemi naturali e antropici e per non su- perare il punto di non ritorno le emissioni totali di GHG dovranno essere ridotte del 40-70% entro il 2050 (Conferenza di Parigi sul cambiamento del clima, 2015). La crisi ambientale si abbatte sugli ecosistemi: sono già evidenti la perdita di habitat naturali, la de- gradazione ambientale, la riduzione di biodiversità. Nell’ultimo secolo sono scomparsi tre quarti delle diversità genetiche delle colture agricole e, nello stesso tempo, 1350 su 6300 varietà animali si sono estinte o rischiano l’estinzione. L’alimentazione umana contribuisce in maniera sostanziale alla produzione di GHG. Attualmente i sistemi agro-alimentari liberano circa il 30% delle emissioni totali di gas serra; il rapporto FAO “Livestock’s Long Shadow” (2006), - vera pietra miliare sull’argomento - afferma che il settore zootecnico è responsabile del 18% delle emissioni totali di GHG. E continua ad aumentare. La popolazione mondiale cresce di circa 80 milioni di persone per anno e secondo le previsioni raggiungerà i 9,1 miliardi di individui entro il 2050. Oggi l’umanità produce abbastanza da alimentare la popolazione mondiale e da più parti si pren- dono iniziative per meglio distribuire le risorse e per eliminare non solo la fame ma tutte le forme di malnutrizione del mondo. Tuttavia, entro il 2050, l’agricoltura dovrà produrre il 60% di alimenti in più a livello globale, il 100% in più nei paesi in via di sviluppo; la FAO prevede che il consumo di carne nel mondo crescerà del 73 per cento entro il 2050. Con quali conseguenze? L’incremento della produzione agro-alimentare comporterà una maggiore utilizzazione di suolo (deforestazione), di acqua e di energia; il conseguente maggiore rilascio di GHG nell’atmosfera causerà il progressivo aggravamento della crisi ambientale che stiamo vivendo. Non lo possiamo permettere! La sicurezza alimentare per l’intera umanità va raggiunta in un quadro di sostenibilità ambientale. I punti sui quali intervenire sono molteplici: l’entità e i modi della produzione primaria e industria- le, la distribuzione delle risorse, lo spreco, l’equilibrio idrico, l’educazione sono i principali fra tutti. L’insufficiente disponibilità di acqua dolce è il problema planetario emergente. Crescita della popolazione, urbanizzazione, industrializzazione e aumento della produzione e dei consumi sono tutti fattori che hanno generato una domanda costantemente crescente di acqua dolce. Già oggi vi è carenza idrica in molte zone del pianeta: circa 1,2 miliardi di persone vivono in zone in cui si registra una scarsa presenza fisica di acqua. Dappertutto è segnalata l’inefficienza delle reti idriche che arrivano a perdere circa il 50% dell’acqua trasportata. Al settore agroalimentare è indirizzato circa il 70% di tutti i prelievi di acqua dolce a livello globale: si stima che entro il 2030 il mondo dovrà far fronte a un deficit di risorse idriche di circa il 40%. Gli attuali tassi di crescita della domanda globale di acqua dolce del settore agricolo sono insoste- nibili. La situazione è aggravata dallo spreco: ogni anno, il cibo prodotto e non consumato, perduto, sperpera un volume di acqua pari al flusso annuo del fiume Volga. Acqua è utilizzata nei sistemi che portano alla produzione di energia termica e idroelettrica (rispet- tivamente 80% e 15% della produzione globale di energia). 3
Minore impatto sulle risorse idriche hanno i processi relativi al solare fotovoltaico e all’energia eo- lica: attualmente, tuttavia, tali fonti producono insieme appena il 3% del mix energetico totale. Un discorso simile si può fare per le energie rinnovabili. Nel futuro immediato, secondo le proiezioni, la domanda di energia crescerà a livello globale di circa un terzo entro il 2035; la richiesta di elettricità aumenterà del 70% e tutto ciò comporterà un incremento del 20% del totale dei prelievi di acque dolci per far funzionare i sistemi che utilizzano le tecnologie energetiche attuali. Massimizzare l’efficienza nell’utilizzo dell’acqua delle centrali elettriche e ottimizzare la “governan- ce” costituirà un elemento chiave per il conseguimento di un futuro idrico sostenibile. Il cibo prodotto e sprecato impegna annualmente circa 1,4 miliardi di ettari di terreno - quasi il 30% della superficie agricola mondiale - ed è responsabile della produzione di 3,3 miliardi di ton- nellate di gas serra. Il 54% degli sprechi alimentari si verifica in fase di produzione, raccolta e immagazzinaggio; il 46% avviene nelle fasi di trasformazione, distribuzione e consumo. “Oltre all’imperativo ambientale, ve n’è anche uno di natura etica: non possiamo permettere che un terzo di tutto il cibo prodotto nel mondo vada perduto, quando vi sono 870 milioni di persone che soffrono la fame”. Come intervenire? Organizzazioni internazionali hanno espresso politiche e suggerito interventi finalizzati a mode- rare gli effetti di una crisi che, al momento, non sembra possibile controllare: la concentrazione di gas serra nell’atmosfera continua a crescere al ritmo di due parti per milione per anno. Più efficaci e tempestivi saranno i nostri interventi più limitate le conseguenze della crisi sugli ecosistemi e sull’intera umanità. Da vegetariani, come singoli e come società scientifiche, sosteniamo innanzitutto l’adozione di uno stile alimentare basato sulle piante e sui loro prodotti per coprire le nostre ne- cessità energetico-nutrizionali: in tal modo, al di là di qualsiasi questione etica (che pure esiste), potremmo evitare, o almeno ridurre ampiamente, le enormi emissioni di gas serra legate all’alle- vamento animale. Crediamo e sosteniamo le tecnologie per la produzione di energia da risorse rinnovabili e ce ne auguriamo il potenziamento e l’ottimizzazione. Ci affidiamo alla Scienza e, in particolare, alla Biologia (cui molti vogliono assegnare la primazia per il ventiduesimo secolo), perché raggiungano nuove conoscenze sulla natura e sull’uomo che ci consentano di capire di più e di meglio operare. Crediamo nell’educazione, nella cultura, nel sapere condiviso affinchè i futuri passi dell’uomo e il suo rapporto con il mondo naturale e con se stesso possano consentirgli di godere al meglio la sua breve esistenza. 4
Determinanti alimentari maggiori di malattia e mortalità confermati dalle prove scientifiche Dott. ALBERTO DONZELLI, MD C’è generale accordo delle diverse ricerche su un aumento di mortalità totale (e per molte cause specifiche) associato a maggior consumo di cibi animali e a modelli alimentari “occidentali” rispet- to a modelli alimentari a base vegetale. In particolare, ci sono forti prove di associazione di modelli alimentari e di gruppi di alimenti con la mortalità da ogni causa. Dove disponibili, si riportano stime relative all’impatto sulla popolazione italiana (con qualche sintetico riferimento bibliografico). Adesione a un modello alimentare mediterraneo (dieta Med) Riduzione della mortalità totale: -47% nel gruppo di maggior aderenza (Martinez-Gonzalez et al. PREDIMED. Clin Nutr 2015). Inoltre, nel terzile di maggior adesione vs quello di minor adesione, in combinazione con attività fisica leggera o vigorosa nel tempo libero: -73% (Càrdenas-Fuentes et al. PREDIMED. Eur J Nutr 2018). Risultati simili si sono ottenuti nel Progetto spagnolo SUN: mortalità totale -34% per adesione superiore alla media a dieta Med, e - 64% se abbinata a livelli moderati o alti di attività fisica (Alvarez-Alvarez I et al. SUN. Prev Med 2018). In diabetici italiani per ogni 2 punti di maggior aderenza a dieta Med: mortalità totale -37% (Bo- naccio M et al. MOLI-SANI. Eur J Prev Cardiol 2016). In una coorte di maschi italiani di mezza età seguiti per 50 anni (98% morti), la riduzione di morta- lità totale è stata -33% per chi seguiva un modello alimentare Med vs chi non lo seguiva (Menotti A et al. Int J Cardiol 2016). Le metanalisi internazionali non sono tutte coerenti. Insufficiente consumo di frutta secca oleosa Mortalità totale -25% per consumo di ~24 g al dì di noci, mandorle, pistacchi o nocciole (Aune D et al. Sist. Rev. e metanalisi. BMC Med 2016). In Italia si è stimato che un consumo di 20 g al dì (rispetto a quello medio attuale di soli 2 g al dì) risparmierebbe ogni anno quasi 70.000 morti (Ibidem). Insufficiente consumo di frutta e verdura Mortalità totale -30% per consumo di 800 g totali al dì (Aune D et al. Syst. Rev. e metanalisi. Intern J Epidemiol 2017). In Italia si è stimato che un consumo di 500 g al dì (anziché di quello attuale) risparmierebbe ogni anno oltre 35.000 morti (Ibidem). Insufficiente consumo di cereali integrali Mortalità totale -30% per consumo di 230 g totali al dì (Aune D et al. Sist. Rev. e metanalisi. BMJ 2016). Un consumo giornaliero di 100 g sarebbe già in grado di ridurre la mortalità totale a -20% (Ibidem). Caffè Il terzo e quarto quartile di maggior consumo sono associati con mortalità ~-10% rispetto a chi non consuma caffè, in 10 paesi europei inclusa l’Italia (Gunter MG et al. EPIC. Ann Intern Med 2017). Un’ampia coorte multietnica USA mostra risultati simili: 2-3 e ≥4 tazze al dì: mortalità -18% (Park S-Y et al. MEC. Ann Intern Med 2017). Alto consumo di carne rossa e lavorata Categoria di maggior consumo vs quella di minor consumo: mortalità +10% (n.s.) per carne rossa, 5
+23% per carne lavorata, +29% per consumo totale di entrambe (Larsson S, Orsini N. Rev sist. e me- tanalisi. Amer J Epidemiol 2014). Risultati simili si sono avuti in altra revisione (Abete I et al. Metanalisi. Br J Nutr 2014) e nelle coorti di 10 paesi europei, Italia inclusa (Rohrmann S et al. EPIC. BMC Med 2013), e in un’ampia coorte di pensionati USA: mortalità +25% nel quintile di maggior consumo vs quello di consumo minore (Etemadi A et al. NIH-AARP Diet and Health Study. BMJ 2017). Un alto consumo di proteine (soprattutto animali), espresso come % delle calorie introdotte, è ri- sultato associato con un aumento di mortalità totale se sostituite a pari % di calorie da carboidrati (+59%) o da grassi (+66%) (Hernandez-Alonso P et al. PREDIMED. Clin Nutr 2016) rispetto a consumi medio-bassi. Grassi trans Alto vs basso consumo: mortalità +34% (de Souza RJ et al. Sist. Rev. e metanalisi. BMJ 2015). 6
La posizione SINU sulle diete vegetariane Prof. NICOLETTA PELLEGRINI La progressiva sostituzione di fonti vegetali con quelle animali è una prerogativa della “occiden- talizzazione della dieta”. Diversi studi epidemiologici hanno messo in evidenza un ruolo di questa sostituzione nell’insorgenza di patologie cronico degenerative, come le malattie cardiovascolari e i tumori1 ed hanno inoltre individuato nell’aumento del rapporto “alimenti vegetali/animali”, in ter- mini di consumo nella dieta delle popolazioni occidentali, un obiettivo di sanità pubblica. Come reazione a queste evidenze scientifiche, ma anche per motivazioni etiche, ecologiche, filosofiche /animaliste /religiose, la scelta di eliminare dalla propria dieta la carne o tutte le fonti animali è diventata sempre più popolare. La Società Italiana di Nutrizione Umana (SINU) ha deciso di approfondire l’argomento delle diete vegetariane, seguite da un numero sempre crescente di italiani, al fine di fornire un parere scien- tifico su come massimizzare i benefici e minimizzare i rischi per chi segue questo tipo di diete. A tal fine è stato costituito un gruppo di studio (http://www.sinu.it/html/pag/gruppi-di-studio---die- te-vegetariane.asp) che ha effettuato una revisione sistematica della letteratura riguardante la bio- disponibilità e la copertura del fabbisogno energetico nutrizionale dei seguenti nutrienti: proteine, vitamina B12, ferro, zinco, calcio, vitamina D e omega-3, nell’età pediatrica, adulta, nell’invecchia- mento e negli atleti al fine di stilare delle raccomandazioni specifiche per la popolazione italiana. Dagli studi revisionati è emerso come una dieta vegetariana che includa un’ampia gamma di pro- dotti vegetali fornisca un adeguato apporto di nutrienti in tutte le fasi del ciclo vitale. È importante però prestare attenzione nei confronti di alcuni nutrienti chiave, che potrebbero essere non sem- pre presenti in quantità adeguate in alcuni tipi di diete vegetariane. In particolare, la digeribilità delle proteine in una dieta vegetariana è ridotta. Le proteine contenu- te in alimenti di origine animale (latte, carne ecc.) e le proteine vegetali concentrate o purificate (ad esempio le proteine della soia e del glutine) hanno un’elevata digeribilità (>95%), mentre i prodotti vegetali integri (cereali in chicco e legumi) hanno una digeribilità intermedia (80-90%), e le verdure una digeribilità bassa (50-80%) per la presenza della parete cellulare, di alcuni fattori an- tinutrizionali e in conseguenza dei processi di lavorazione e trattamento termico. Quindi potrebbe essere opportuno per i vegetariani assumere un quantitativo di proteine leggermente superiore rispetto a quanto suggerito per la popolazione generale. I vegetariani che limitano o escludono alimenti contenenti vitamina B12 metabolicamente utilizza- bile dall’organismo sviluppano una compromissione dello stato nutrizionale di questa vitamina. Tutte le persone che seguono una dieta vegetariana dovrebbero integrare la loro dieta con una fonte affidabile di vitamina B12 (alimenti fortificati o integratori). I vegetariani possono migliorare il loro stato di nutrizione riguardo gli acidi grassi omega-3 con diversi accorgimenti dietetici: assumendo regolarmente buone fonti di acido alfa linolenico (es. noci, semi di lino e di chia, oli da essi derivati); riducendo le fonti di acido linoleico (es. oli vegetali quali olio di mais, olio di girasole). Le diete vegetariane hanno spesso un contenuto di ferro simile o superiore a quello delle diete omnivore. La biodisponibilità del ferro degli alimenti vegetali (ferro non-eme) è minore rispetto a quella del ferro eme presente nelle carni. Nei vegetariani, l’assunzione dello zinco attraverso la dieta è simile a quella degli onnivori, tuttavia, a causa di inibitori presenti negli alimenti vegetali (principalmente fitati) l’assorbimento è ridotto. In ragione della minore biodisponibilità di ferro e zinco, i vegetariani dovrebbero aumentare l’assunzione di zinco e ferro rispetto a quanto racco- mandato per la popolazione generale e adottare alcune modalità di preparazione degli alimenti (macinazione, ammollo e germinazione di cereali e legumi, lievitazione acida del pane) che dimi- 7
nuiscono il contenuto di inibitori. Infine i vegetariani devono rispettare le assunzioni di riferimento per il calcio previste dai LARN. In particolare, i vegani dovrebbero porre una particolare attenzione all’assunzione di prodotti ali- mentari che siano buone fonti di calcio (verdure a basso contenuto di ossalati e fitati, alimenti a base di soia, bevande vegetali addizionate, acqua ad elevato contenuto di calcio e alcuni tipi di frutta secca e semi oleaginosi). A titolo di esempio si riporta una tabella dove è presentata la bio- disponibilità di calcio di alcune fonti vegetali a confronto con quella del latte. Tabella. Fonti alimentari di calcio e percentuale di assorbimento Contenuto Porzione Calcio Assorbimento Assorbimento di calcio (g) per porzione frazionale di frazionale (mg/100 g) (mg) calcio di calcio per (%) porzione (mg) cavolfiore 44a 200c 88 68.62 60.4 cavoli di Bruxelles 51a 200c 102 63.82 65.1 broccoli 72 a 200c 144 61.33 88.3 cavoli cinesi (pak choi) 105b 200c 210 53.83 113.0 cavolo nero 150b 200c 300 49.33 147.9 rabarbaro 86b 200c 172 8.53 14.6 spinaci 78a 200c 156 5.13 8.0 tofu con calcio 105a 100 c 105 31.03 32.6 fagioli, freschi 44a 150c 66 21.8-26.73 14.4-17.6 semi di sesamo non decorticati 975b 30 292 20.82 60.8 mandorle tostate 236a 30c 70.8 21.22 15.0 acqua con solfato di calcio (467 mg/L) 46.74 200 93.4 23.6-36.14 22.0-33.7 acqua con bicarbonato di calcio 32.2-444 200 64.4-88 37-47.54 23.8-41.8 (322-440 mg/L) latte 120a 125c 150 32.13 48.2 IEO data bank, http://www.ieo.it/bda2008/homepage.aspx (consultata il 15.03.14); a USDA data base, http://ndb.nal.usda.gov/ (consultata il 15.03.14); cIV Revisione SINU 2014. b Nel documento è stato fatto accenno anche agli alimenti alternativi proposti come sostituti dei prodotti di origine animale, principalmente della carne e dei latticini, arrivando alla conclusione che questi alimenti non sono necessari se si vuole seguire una dieta vegetariana adeguata e bi- lanciata. Il lavoro effettuato dal gruppo di studio ha dato origine a 2 documenti: uno di sintesi, che contiene solo le raccomandazioni per ogni nutriente (http://www.sinu.it/public/aa-documen- to%20SINU-diete%20vegetariane.pdf ) e uno che riassume tutte le evidenze scientifiche che han- no portato a definire le raccomandazioni (http://www.sinu.it/public/pdf/documento-diete-veg-e- steso-finale-2018.pdf ). Inoltre la posizione SINU è stata recentemente pubblicata su una rivista internazionale5. Bibliografia citata: 1. Craig WJ. Nutrition concerns and health effects of vegetarian diets. Nutr Clin Pract. 2010, 25,613-620. 2. Weaver CM, Plawecki KL. Dietary calcium: adequacy of a vegetarian diet. Am J Clin Nutr. 1994, 59(5 Suppl), 1238S-1241S. 3. Weaver CM, Proulx WR, Heaney R. Choices for achieving adequate dietary calcium with a vegetarian diet. Am J Clin Nutr. 1999, 70(3 Suppl), 543S-548S. 4. Heaney RP. Absorbability and utility of calcium in mineral waters. Am J Clin Nutr. 2006;84(2):371-4. 5. Agnoli C, Baroni L, Bertini I, Ciappellano S, Fabbri A, Papa M, Pellegrini N, Sbarbati R, Scarino ML, Siani V, Sieri S. Position paper on vegetarian diets from the working group of the Italian Society of Human Nu 8
SECONDA SESSIONE Determinazione della composizione degli alimenti: l’utilità della RM Dr. DANIELE DEGL’INNOCENTI, PhD La metabolomica è lo studio sistematico dei metaboliti prodotti dall’attività degli esseri viventi. La combinazione tra la genetica dell’individuo, vegetale o animale, e l’ambiente produce “impronte” chimiche uniche, lasciate da specifici processi cellulari. Gli stimoli fisiopatologici risultano amplificati nel “metaboloma” che ne rappresenta il risultato finale. Per questo è il più adatto a descrivere le attività funzionali della cellula. Inoltre le quantità dei metaboliti sono regolate, oltre che dall’espressione genica, da meccanismi post-trascrizionali e post-traduzionali influenzati da fattori xenobiotici rendendo il metaboloma più vicino al fenotipo. La spettroscopia di risonanza magnetica nucleare (RMN) studia i profili metabolici a molecole piccole, ossia con peso molecolare inferiore ai 3000 Da. L’analisi metabolomica mediante spettroscopia NMR è una tecnica analitica utilizzata sia in ambito biomedico sia agroalimentare che permette di riconoscere e quantificare moltissimi metaboliti direttamente da sistemi biologici complessi con accuratezza e precisione. Ha il vantaggio di non ri- chiedere particolari trattamenti dei campioni ed è di rapida esecuzione L’isotopo magneticamente attivo più utilizzato nella maggior parte delle applicazioni di NMR per il profiling metabolico è l’1H. Fig.1: Spettri NMR di vino Amarone Per individuare i profili metabolici, i dati ottenuti vengono analizzati utilizzando la statistica multivariata. Il metodo più utilizzato è l’analisi delle componenti principali (PCA) che consente di valutare le correlazioni tra le variabili e la loro rilevanza, visualizzare gli oggetti, individuare l’eventuale presenza di outliers e di clusters e sintetizzare la descrizione dei dati. In ambito bio- medico questo approccio, eseguito su fluidi biologici (plasma o siero, urine, saliva, ecc.) permet- te di identificare l’intero spettro di metaboliti presenti nel campione, ottenendo un profilo che caratterizza la condizione dell’individuo. In ambito agroalimentare fornisce profili metabolici che permettono di controllare l’origine degli alimenti e di studiarne le qualità nutrizionali e funzionali. 9
Fig.2: Vini Amarone provenienti da due aziende, PCA e loadings Le pubblicazioni scientifiche nel comparto agroalimentare iniziano in modo consistente negli anni ’80 ed hanno riguardato tutte le categorie di alimenti, sia di origine vegetale sia animale. Molti han- no avuto come obiettivo il riconoscimento dell’origine sia su base genetica, sia sulla provenienza territoriale, sia sulla qualità nutrizionale e persino organolettica. Di recente alcuni studi hanno dimostrato che con la spettroscopia NMR è possibile riconoscere le produzioni ottenute mediante tecniche di agricoltura biologica rispetto a quelle di agricoltura convenzionale. Le indagini iniziate dieci anni fa presso l’Università degli Studi di Verona sugli alimenti e sui metaboliti di animali di laboratorio, hanno evidenziato la sensibilità di questa tecnologica permettendo di realizzare profili metabolici sulle materie prime anche utilizzando con pochi campioni, sugli esiti di diverse tecniche di cottura di alimenti di origine vegetale e animale, e di verificare come profili metabolici diversi di ingredienti determinino, in animali da laboratorio profili metabolici serici diversi. Per quanto riguarda gli alimenti solidi, di notevole interesse si è rivelato l’imaging di risonanza ma- gnetica (magneti resonance imaging o MRI) che permette di vedere la distribuzione dei substrati acquosi e lipidici. Fig.3: Tartufi a diverso stadio di crescita I numerosi studi pubblicati sulle riviste scientifiche dimostrano l’utilità della risonanza magnetica per la determinazione della composizione e della qualità degli alimenti, sia mediate l’utilizzo della spettroscopia sia dell’imaging. Le nostre ricerche indicano che vi sono delle relazioni tra il meta- boloma degli alimenti e quello di chi li ha assunti per un certo periodo. Inoltre le nostre ricerche mostrano che è possibile trasferire agevolmente queste tecnologie nella filiera produttiva ed otte- nere dei profili metabolici significativi anche con pochi campioni iniziali. 10
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Il Morfogramma dello stato nutrizionale (Morphogram®) Dr. PAOLO DE CRISTOFARO, MD Premesse: Il Morfogramma dello stato nutrizionale nasce dalla constatazione che, malgrado l’an- tropometria sia un’indagine preliminare e indispensabile nell’esame obiettivo sia in ambito fisiolo- gico che patologico, per molte discipline medico-scientifiche e sia, quindi, basilare per l’operatività del nutrizionista e non solo, risulta tuttora una procedura poco utilizzata nella prassi abituale. Obiettivi: Il Morfogramma dello stato nutrizionale è un approccio antropometrico rapido e sem- plificato alla valutazione dello stato nutrizionale (basta una bilancia, un altimetro e un centimetro). Attraverso un’innovativa sequenza delle 10 misure richieste (Altezza, Peso, Collo, Polso, Circ. Braccio, Circ. Avambraccio, Circ. Vita, Circ. Addominale, Circ. Fianchi, Circ. a metà Coscia) offre una rappre- sentazione grafica dei rispettivi centili per fasce di età (18-25; 26-50; 51-65; 66-75; >75), con solidi riferimenti nella letteratura scientifica. Guida alla definizione del biotipo costituzionale, attraverso l’analisi delle proporzioni corpo- ree, consente la stima della massa magra metabolicamente attiva e del metabolismo a ripo- so, attraverso appropriate equazioni predittive, valuta separatamente gli indicatori di mas- sa magra e di massa grassa ed evidenzia la distrettualità adiposa ed il rischio ad essa relativo. Rende partecipe il cliente alla comprensione del proprio biotipo costituzionale e dei cambiamenti indotti dall’alimentazione e dall’attività fisica, risultando di grande utilità nel monitoraggio. Risultati: Nel nostro team di lavoro multidisciplinare è risultato più utile e attendibile rispetto alla plicometria, nel monitoraggio dei pazienti in trattamento, in quanto le misure richieste sono più facilmente standardizzabili e attendibili anche cambiando operatore. Conclusioni: Il Morfogramma dello stato nutrizionale è uno strumento per apprendere e utilizzare alcune misure antropometriche, facilmente standardizzabili, con disponibilità di valori di riferi- mento, che pongono in primo piano la valutazione della massa magra, rendendo agevole e prati- cabile la valutazione antropometrica dello stato nutrizionale, da parte di qualsiasi figura professio- nale, in contesti epidemiologici e clinico-riabilitativi. Bibliografia essenziale 1) Frisancho AR. Anthropometric standards fot the assessment of growt and nutritional status. Ann Arbor: University of Michi- gan Press;1990. 2) Bedogni G, Cecchetto G. Manuale ANDID di valutazione dello stato nutrizionale. SEU Editrice. Roma 2009. 3) Brennan EH. Development of a binomial involving abthropometric measurement for predicting lean mass in young women. Master thesis. Incarnate World College, San Antonio, Texas. 1974. 4) Fuchs RJ, Theis CF, Lancaster MC. A nomogram to predict lean body mass in men. Am J Clin Nutr. 1978;31:673-678. 5) M EJ Lean, Thang S Han, and Paul Deurenberg. Predicting body composition by densitometry from simple anthropometric measurements. Am J Clin Nutr 1996; 63:4-14. American Society for Clinical Nutrition. 6) Carly L. Steed, MFN, RD; Benjamin R. Krull, MFN, RD; et al.: Relationship between body fat and physical fitness in army rotc cadets. Military Medicine, 181,9:1007,2016. 7) Weltman A, Seip RL, Tran ZV: Practical assessment of body composition in adult obese males. Hum Biol 1987. June:59(3):523- 55. 8) Weltman A, Levine S, Seip RL, Tran ZV: Accurate assessment of body composition in obese females. Am J Clin Nutr. 1988 Nov:48 (5):1179-83. 12
La soia Dr. GIANLUCA RIZZO, PhD I maggiori consumatori di soia sono individuabili storicamente tra le popolazioni dell’Asia orien- tale. Tuttavia, negli ultimi decenni, il consumo di soia è aumentato anche nei paesi occidentali in concomitanza con la crescente adozione di un’alimentazione vegetariana e della percezione salu- tistica del consumo di soia [1]. Nei paesi europei l’utilizzo di soia è davvero basso e riguarda circa 1-2% della popolazione; tutta- via, se si selezionano individui con particolare attenzione alla salute (non consumatori di carne, ve- getariani o vegani), la percentuale sale al 35% per le donne e al 24% per gli uomini, evidenziando come in Europa gli individui tendenzialmente vegetariani siano i maggiori fruitori [2] La soia, Glicine max (l.), è una pianta di origini asiatiche che fa parte della famiglia delle Fabaceae. I maggiori produttori mondiali sono USA, Brasile, Argentina, Cina e India con i rispettivi volumi di produzione del 35%, 28%, 17%, 4% e 3%. L’Italia è il paese europeo con la maggiore produzione di fagioli di soia, con 933.140 tonnellate all’anno [3]. La componente proteica di questo legume rappresenta una delle principali attrattive che hanno stimolato l’interesse verso la soia e i suoi derivati da parte dei vegetariani [4]. L’alto contenuto in proteine e la ridotta componente carboidratica la caratterizzano come un’otti- ma fonte proteica vegetale in rapporto ad altri legumi [5]. Tabella 1. Fonti di proteine vegetali da legumi1. Alimento Energia 2 Proteine 3 Carboidrati 3 Grassi 3 Fibre 3 PUFA 3,4 Ferro 5 Calcio 5 Fagioli Azuki 329 19,87 62,90 0,53 12,7 0,113 4,98 66 Fave 341 26,12 58,29 1,53 25,0 0,627 6,70 103 Ceci 378 20,47 62,95 6,04 12,2 2,731 4,31 57 Piselli 352 23,82 63,74 1,16 25,5 0,495 4,82 37 Fagioli Kidney 333 23,58 60,01 0,83 24,9 0,457 8,20 143 Lenticchie 352 24,63 63,35 1,06 10,7 0,526 6,51 35 Fagioli Lima 338 21,46 36,38 0,69 19,0 0,309 7,51 81 Lupini 371 36,17 40,37 9,74 18,9 2,439 4,36 176 Fagioli Mug 347 23,86 62,62 1,15 16,3 0,384 6,74 132 Fagioli Mungo 341 25,21 58,99 1,64 18,3 1,071 7,51 138 Fagioli Navy 337 22,33 60,75 1,50 15,3 0,873 5,49 147 Arachidi 567 25,80 16,13 49,24 8,5 15,558 4,58 92 Fagioli Pinto 347 21,42 62,55 1,23 15,5 0,407 5,07 113 Soia 446 36,49 30,16 19,94 9,3 11,255 15,70 277 1 Da USDA Food Composition Databases [6]. 2 Kcal per 100 g. 3 g per 100 g. 4 PUFA: acidi grassi polinsaturi. 5 mg per 100 g. Il metodo attualmente più accettato per la comparazione della qualità proteica dei cibi è dato dalla digeribilità corretta per il punteggio chimico (PDCAAS) [7]. La soia ha mostrato sperimen- talmente una qualità proteica molto simile al latte vaccino e alle proteine dell’uovo, questi ultimi usati tradizionalmente come standard di riferimento [8] I Livelli di Assunzione di Riferimento di Nutrienti ed Energia per la popolazione italiana (LARN) [9], non pongono alcuna distinzione per la qualità proteica circa le necessità giornaliere. Nei paesi occidentali il fabbisogno proteico nella dieta vegetariana può comunque essere facil- mente raggiunto grazie alla varietà degli alimenti assunti e, in particolare, non rappresenta di nor- ma un problema se soddisfatta la quota calorica [10]Oltre alla composizione in macro e micronu- trienti, la soia contiene alte concentrazioni di isoflavoni. 13
Essi appartengono a una classe funzionale di fitochimici non steroidei (insieme a lignani e coume- stani) chiamati fitoestrogeni, che possiedono una struttura chimica simile agli estrogeni endogeni animali [11]. Le piante sintetizzano gli isoflavoni in seguito a vari stimoli ambientali stressogeni, come le infezioni (agendo quindi come fitoalessine) o la scarsità di nutrienti [12]. Differenti con- dizioni climatiche e differenti partiche di coltivazione portano alla produzione di fagioli di soia di diversa taglia e di contenuto differente in isoflavoni [13]. Tabella 2. Contenuto di isoflavoni nella soia da diversi paesi di coltivazione 1. Paese Isoflavoni per 100 g Australia 120,84 Brasile 99,82 Cina 118,28 Europa 103,56 Giappone 130,56 Corea 178,81 Taiwan 85,68 USA 159,98 1 Da USDA Database for the Isoflavone Content of Selected Foods [14]. È stato ipotizzato che gli isoflavoni della soia agiscano da regolatori tessuto-specifici dell’attività estrogenica (STEAR) e modulatori selettivi dei recettori degli estrogeni (SERM), in contrapposi- zione alla meno plausibile attività da interferenti endocrini, grazie ai loro meccanismi di azione diretti e indiretti sui recettori stessi [15]. L’interazione sui due tipi di recettori ERα e ERβ è variabile e con attività consistentemente ridotta rispetto agli estrogeni endogeni; dunque i fitoestrogeni non esprimono la loro funzione come classici agonisti estrogenici [16]. Nella soia, gli isoflavoni si trovano principalmente nella forma glicosidica, legati a una molecola di zucchero [17]. La fermentazione del cibo durante i metodi di produzione o durante la digestio- ne intestinale comporta la rottura del legame glicosidico ad opera dell’enzima β-glucosidasi dei microorganismi starter usati nelle trasformazioni alimentari o dei ceppi presenti nell’intestino in seguito all’ingestione. La rottura del legame glicosidico libera la porzione agliconica [18]. (a) (b) (c) Figura 1. Similitudine di struttura tra isoflavoni ed estrogeni endogeni: (a) Struttura chimica degli isoflavoni; (b) Struttura chimica del 17 β-estradiolo; (c) Residui di sostituzione della struttura isoflavonica. 14
L’idrolisi con successiva formazione dell’aglicone permette la diffusione passiva e l’assorbimento nell’intestino tenue prossimale; i glicosidi, invece, sono scarsamente assorbibili a causa della loro idrofobicità [19]. Si evidenzia che solo il 50-60% degli individui Asiatici, così come i vegetariani occidentali, riesce a produrre 3-(4’-idrossifenil)-7-chromanolo (equolo) [20], un metabolita della daidzeina rilevato nel- le urine dopo il consumo di cibi a base di soia; questo suggerisce una variabilità interindividuale di metabolizzazione degli isoflavoni. Inoltre, solo il 30% della popolazione occidentale sembra mo- strare capacità di escrezione di equolo dopo un pasto a base di soia [21]. La formazione di equolo avviene nel colon [22], dimostrando che il metabolismo degli isoflavoni della soia avviene princi- palmente nell’intestino umano ad opera di un pool eterogeneo di ceppi microbici che convertono i glicosidi in equolo attraverso l’intermedio aglicone [23]. Gli isoflavoni e le proteine rappresentano le componenti della soia che hanno stimolato mag- giormente l’interesse della ricerca [24]. Nel 1999 la Food and Drug Administration americana (FDA) autorizzò il claim sulla riduzione del rischio coronarico collegato al consumo di quattro porzioni da 6,25 g ciascuna di proteine della soia per un totale di 25 g al giorno [25]. Tuttavia, anche tra i ve- getariani in Occidente non è molto comune un consumo di tale entità; per quanto, il miglioramen- to dei livelli di colesterolo attraverso la dieta vegetariana sia stato ampiamente dimostrato [26]. Inoltre, studi epidemiologici indicano che un effetto di riduzione del rischio cardiovascolare può essere ottenuto con quantità di proteine della soia molto più basse rispetto alla soglia proposta da FDA [27,28]. Nel 2000 il comitato nutrizione dell’American Heart Association (AHA) ha rilasciato una guida per gli operatori della salute circa l’effetto protettivo della soia sulle malattie coronari- che [29]. Comunque, nel 2012 l’Autorità Europea della Sicurezza Alimentare (EFSA) ha dichiarato che attualmente la relazione causa-effetto tra proteine isolate della soia e concentrazioni di LDL sieriche è ancora assente [30]. Da notare che gli isoflavoni isolati non sembrano avere effetti sui marker dei lipidi ematici in donne in menopausa [31]. È evidente che esistono meccanismi multipli responsabili dell’effetto protetti- vo della soia che includono l’azione delle fibre, proteine, isoflavoni ma anche l’effetto della rimo- zione di fonti di acidi grassi saturi a favore di quelli polinsaturi della soia [32]. Recentemente, nei paesi occidentali l’uso di fitoestrogeni sotto forma di integratori è aumentato tra le donne in menopausa, come alternativa alla terapia sostitutiva [33]. In una dichiarazione di posizione del 2015 di un gruppo di ricercatori di varia provenienza europea, facente parte della Austrian Menopause Society, si pone il consenso dell’utilizzo degli isoflavoni della soia, come prima linea di intervento per i problemi vasomotori della menopausa con un grado I di evidenza, per l’effetto positivo sulle caratteristiche vampate [34]. L’assunzione giornaliera di 54 mg di genisteina nella forma aglicone protratta per 3 anni in donne in menopausa non ha evidenziato effetti sulla funzione tiroidea [35]. Allo stesso modo, in un trial randomizzato in doppio cieco sulla somministrazione di 200 mg/die di isofavoni per due anni in donne in menopausa non ha influenzato i livelli di TSH [36]. Si evidenzia come gli isoflavoni mostri- no un buon profilo di sicurezza circa le funzioni tiroidee [37]. La stessa EFSA nel 2015 ha concluso che l’assunzione da 35 a 150 mg/die per due anni e mezzo di isoflavoni da cibo o da integratori non presenta effetti avversi sui tessuti ormone-sensibili come il seno, l’utero e la tiroide [38]. L’azione dei fitoestrogeni in quanto modulatori selettivi del recettore degli estrogeni suggerisce che sia inverosimile un effetto negativo sulle vie metaboliche degli estrogeni endogeni. Le preoc- cupazioni circa il perturbamento degli ormoni sessuali e il possibile effetto negativo sulla fertilità, attribuita ai cibi a base di soia, sono in forte contrasto con i dati emersi da studi su ampie popo- lazioni di diversi paesi che hanno un grande consumo di soia. Il rapporto tra la soia e le funzioni riproduttive è stato postulato nel 1940 in seguito all’evidenza che la presenza di trifoglio rosso (una fonte consistente di isoflavoni) nel mangime ovino comportasse disturbi di fertilità del greg- 15
ge, fenomeno che viene ricordato come malattia del trifoglio [39]. Nonostante ciò, gli studi clinici su individui maschi non mostrano alterazioni estrogeniche anche ad alti livelli di esposizione a isoflavoni [40]. In una metanalisi di 32 report non è emersa alcuna conclusione di interazione tra l’assunzione di soia o di isoflavoni e i livelli circolanti di testosterone [41]. Uno studio epidemiolo- gico retrospettivo non ha evidenziato alcun collegamento tra esposizione al latte formula di soia ed esiti sulla riproduzione [42]. In uno studio trasversale su ragazze tra i 12 e i 18 anni appartenenti alla comunità degli Avventisti (sottogruppo di popolazione dalle spiccate abitudini vegetariane) non è stata riscontrata alcuna correlazione tra l’assunzione di soia e l’età del menarca [43]. Nello studio EPIC (European Prospective Investigation into Cancer and Nutrition Study Cohort) non si notano aumenti del rischio di tumore a causa dell’apporto di isoflavoni della soia [44]. Un ampio studio epidemiologico ha mostrato che l’assunzione di soia dopo la diagnosi di tumore al seno, sia ormone sensibile che non, comporta un esito favorevole della prognosi [45]. In uno stu- dio d’intervento di un anno, randomizzato e in doppio cieco, l’apporto di soia non ha peggiorato la densità del tessuto ghiandolare del seno in pazienti oncologici precedentemente esposti a cure antineoplastiche o in donne ad alto rischio di tumore mammario [46]. Non vi è alcuna controin- dicazione per l’assunzione di isoflavoni in caso di trattamenti con tamoxifene o anastrozolo [47], piuttosto è verosimile che il consumo di soia aumenti l’efficacia del trattamento antineoplastico [48]. Le formulazioni di soia per lattanti sono utilizzate da 60 anni in tutto il mondo e hanno nutrito milioni di infanti senza effetti avversi rilevanti [49]. Le limitazioni delle prime formulazioni basate su farina di soia sono state superate dalle nuove formule derivate da proteine isolate della soia (SPI) con un miglior profilo nutrizionale, un PDCAAS più elevato e con la riduzione di ingredienti non proteici come gli inibitori delle proteasi, le fibre e i fitati [50]. Sebbene il latte umano rimanga la scelta migliore per la nutrizione del lattante [51], in Europa le formulazioni a base di SPI sono considerate sicure quanto le formule vaccine [52]. In conclusione, la soia presenta un elevato quadro di sicurezza con possibili effetti benefici ascritti soprattutto ai fitoestrogeni e alle proteine. Tuttavia, le attuali assunzioni nella popolazione occi- dentale, anche tra i vegetariani, difficilmente sono in grado di raggiungere i livelli utili a ottenere i benefici emersi dalla letteratura [53], di contro, è poco verosimile che a tali livelli di assunzione si possano riscontrare effetti nocivi. In ogni caso esistono altri alimenti tecnologicamente promettenti, come i lupini, i funghi o le pro- teine monocellulari, candidati per la produzione di analoghi della carne. L’uso di varie fonti pro- teiche vegetali rimane l’approccio migliore per evitare un’alimentazione monocromatica e basata unicamente sulla soia [4]. References 1. Huang, H.; Krishnan, H. B.; Pham, Q.; Yu, L. L.; Wang, T. T. Y. Soy and Gut Microbiota: Interaction and Implication for Human Health. J. Agric. Food Chem. 2016, 64, 8695–8709, doi:10.1021/acs.jafc.6b03725. 2. Keinan-Boker, L.; Peeters, P. H. M.; Mulligan, A. A.; Navarro, C.; Slimani, N.; Mattisson, I.; Lundin, E.; McTaggart, A.; Allen, N. E.; Overvad, K.; Tjønneland, A.; Clavel-Chapelon, F.; Linseisen, J.; Haftenberger, M.; Lagiou, P.; Kalapothaki, V.; Evangelista, A.; Frasca, G.; Bueno-de-Mesquita, H. B.; van der Schouw, Y. T.; Engeset, D.; Skeie, G.; Tormo, M. J.; Ardanaz, E.; Charrondière, U. R.; Riboli, E. Soy product consumption in 10 European countries: the European Prospective Investigation into Cancer and Nutrition (EPIC) study. Public Health Nutr. 2002, 5, 1217–1226, doi:10.1079/PHN2002400. 3. Food and Agriculture Organization of the United Nations (FAO). FAOSTAT. Available online: http://www.fao.org/faostat/ en/#home (accessed on Sep 6, 2017). 4. Kumar, P.; Chatli, M. K.; Mehta, N.; Singh, P.; Malav, O. P.; Verma, A. K. Meat analogues: Health promising sustainable meat substitutes. Crit. Rev. Food Sci. Nutr. 2017, 57, 923–932, doi:10.1080/10408398.2014.939739. 5. Hoffman, J. R.; Falvo, M. J. Protein – Which is Best? J. Sports Sci. Med. 2004, 3, 118–130. 6. US Department of Agriculture (USDA). Food Composition Databases Show Foods List. Available online: https://ndb.nal. usda.gov/ndb/search/list (accessed on Sep 7, 2017). 7. Joint FAO/WHO Expert Consultation. Protein quality evaluation: report of the Joint FAO/WHO. FAO Food Nutrition Paper, 1991. 8. Amigo-Benavent, M.; Silván, J. M.; Moreno, F. J.; Villamiel, M.; Del Castillo, M. D. Protein quality, antigenicity, and antioxidant activity of soy-based foodstuffs. J. Agric. Food Chem. 2008, 56, 6498–6505, doi:10.1021/jf800697n. 16
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