L'ALLERGIA ALIMENTARE - Franco Tolentino
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1. L’ALLERGIA ALIMENTARE 1.1 DEFINIZIONE Il Sottocomitato Europeo per le Reazioni Avverse agli Alimenti dell’Accademia Europea di Allergologia e Immunologia Clinica ha proposto una classificazione delle reazioni avverse agli alimenti basato solo sui meccanismi patogenetici (Tabella 1.1). La prima distinzione fondamentale viene fatta tra le reazioni tossiche e non tossiche. Le reazioni tossiche sono dovute a ingestione di alimenti tossici o contaminati. Le reazioni non tossiche invece dipendono dalla suscettibilità individuale verso certi alimenti e vengono suddivise in reazioni immunomediate (allergia alimentare) e reazioni non immunomediate (intolleranza alimentare). L’allergia alimentare è quindi caratterizzata da una risposta immunologica anomala ed esagerata verso specifiche proteine alimentari e può comprendere reazioni IgE mediate e non IgE mediate. Le reazioni agli alimenti non indotte da meccanismi immunologici vengono classificate come intolleranza alimentare e i meccanismi in grado di provocarla possono essere di natura enzimatica, di tipo farmacologico o rimanere sconosciuti (idiosincrasici).1 1
REAZIONI AVVERSE AGLI ALIMENTI TOSSICHE NON TOSSICHE IMMUNOMEDIATE NON IMMUNOMEDIATE ALLERGIA ALIMENTARE INTOLLERANZA ALIMENTARE IgE MEDIATE ENZIMATICA NON IgE MEDIATE FARMACOLOGICA MECCANISMO SCONOSCIUTO Tabella 1.1 Classificazione delle reazioni avverse agli alimenti. Oltre all’allergia e all’intolleranza alimentare bisogna ricordare che esiste un altro tipo di reazione agli alimenti che è la così detta pseudoallergia alimentare. Questa è caratterizzata da reazioni avverse agli alimenti che non avvengono su base immunologica ma riproducono la tipica sintomatologia dell’allergia alimentare. È tipicamente indotta da cibi ad alto contenuto o liberatori di istamina e sostanze simil-istaminiche come i formaggi. Queste reazioni “biologiche” sono molto frequenti e vengono spesso confuse con le allergie alimentari IgE mediate. 2
1.2 EPIDEMIOLOGIA La pubblica percezione dell’importanza delle reazioni allergiche agli alimenti, eccede la prevalenza di queste reazioni identificata con gli studi clinici. Gli studi eseguiti sia nei bambini che negli adulti indicano che mediamente il 25% della popolazione crede di soffrire di allergia alimentare, mentre la prevalenza reale è in realtà molto minore. 2 Negli studi epidemiologici sotto citati viene testata la sensibilità dei soggetti verso i vari allergeni alimentari con varie metodiche. Infatti la sensibilizzazione di un soggetto nei confronti di un allergene alimentare si può studiare con parametri sia clinici (sintomi dopo l’assunzione dell’alimento, cioè durante l’esecuzione del test di scatenamento) sia laboratoristici (positività del prick test, misurazione delle IgE specifiche per l’alimento). È il fatto che vengono usati parametri diversi per misurare la sensibilità verso gli alimenti fa si, che l’incidenza e la prevalenza dell’allergia varino in certi casi anche in maniera sostanziale da studio a studio. Due studi europei hanno stimato la prevalenza dell’allergia alimentare nella popolazione generale adulta. Uno è stato svolto da Jansen e collaboratori e l’altro da Young e collaboratori. I due studi hanno evidenziato che la prevalenza si situa tra 1% e il 2% (Grafico 1.1).3, 4 3
Prevalenza dell'allergia alimentare nella popolazione adulta 2% Adulti allergici Popolazione generale 98% Grafico 1.1 La prevalenza dell’allergia alimentare nel bambino è stata studiata do Bock, in 480 soggetti pediatrici seguiti dalla nascita fino al terzo anno di età. I risultati hanno mostrato, che secondo i genitori il 43% dei bambini avrebbe avuto reazioni allergiche agli alimenti, ma il test di scatenamento orale confermava un’allergia alimentare solo nell’8% dei casi (Grafico 1.2).5 Incidenza dell'allergia alimentare nei bambini da 0 a 3 anni 8% Bambini allergici Bambini non allergici 92% Grafico 1.2 Uno studio tedesco con coorti prospettiche di nascita ha invece individuato l’incidenza della sensibilizzazione agli allergeni alimentari dalla nascita fino al 4
sesto anno di età, tramite il dosaggio delle IgE nel primo, secondo, terzo, quarto, quinto e sesto anno di vita. Nei risultati si è visto che il tasso annuo di sensibilizzazione agli allergeni alimentari decresce dal 10% nel primo anno di vita al 3% nel sesto anno di età.6 Prevalenza dell'APLV nei bambini 2,8% Bambini con APLV ambini sani 97,2% Grafico 1.3 Soffermandosi in particolare sull’allergia alle proteine del latte vaccino, Schrender e collaboratori hanno studiato la prevalenza clinica dell’allergia al latte vaccino su 1368 bambini, che risultava del 2.8% (Grafico 1.3).7 Host e Halken hanno eseguito invece uno studio prospettico per definire la storia naturale di allergia al latte vaccino, hanno quindi studiato 1759 bambini nel primo anno di vita. La prevalenza in questo studio è risultata pari a 2.2%. In fatti il 56% dei bambini allergici guarisce entro l’anno di vita, il 67% entro l’anno e mezzo, il 77% a due anni e il 87% a tre anni. 8 5
1.3 PATOGENESI L’intestino è l’organo immunologico maggiore del corpo umano. Considerando l’estensione della superficie della mucosa, la varietà e la quantità di alimenti, virus, batteri e altri materiali estranei a cui il tratto gastrointestinale e il tessuto linfoide associato (GALT) sono esposti, è sorprendente che solo una modesta, benché misurabile parte della popolazione, soffra di allergia alimentare. La principale funzione del tratto gastroenterico è quella di ridurre i cibi ingeriti ad elementi semplici, che possano essere assorbiti ed utilizzati per la produzione di energia e crescita cellulare. Per impedire che antigeni estranei e non processati passino la barriera gastrointestinale e provochino un immunizzazione indiscriminata si sono sviluppati nell’intestino particolari meccanismi di protezione di tipo immunologico e non immunologico. 9 Questi meccanismi di protezione si identificano con la barriera mucosale intestinale, che è formata dal rivestimento mucoso dell’intestino, perciò da fattori aspecifici (non immunologici) dell’ospite come: la motilità intestinale, la secrezione del muco, la presenza di acidi gastrici, gli enzimi duodeno pancreatici, e da fattori specifici (immunologici) dell’ospite rappresentati dalla produzione di IgA secretorie e dall’interazione dell’antigene con il GALT.10, 11 Dall’interazione dell’epitelio intestinale e del GALT con gli antigeni alimentari si forma una funzione fondamentale dell’intestino denominata tolleranza orale. La tolleranza orale è il processo fondamentale con il quale l’intestino mantiene un’omeostasi immunologica a livello locale e sistemico. Viene definita come un’iporesponsività immunologica specifica, che fa seguito a un precedente esposizione mucosale dell’antigene. La soppressione della risposta immunologica specifica include la soppressione dell’immunità 6
IgE e cellulo mediata, ma non previene la produzione di anticorpi IgG anti alimenti.12, 13 Il meccanismo di come si verifica questa iporesponsività specifica non è ancora stato ben chiarito, ma studi recenti hanno ipotizzato che, siano gli enterociti ad avere un ruolo chiave, catturando gli antigeni solubili e attivando selettivamente le cellule sopressorie CD8+. Sembra invece che gli antigeni particolati e i microrganismi siano riconosciuti dalle cellule M che portano ad un’immunità attiva e produzione di IgA. Una rottura anche temporanea di questi meccanismi protettivi può portare a perdita della tolleranza e alla sensibilizzazione ad alimenti.11 È stato ipotizzato che gli enterociti regolano la rapidità e il tipo di assorbimento degli antigeni ingeriti (Figura 1.1). Figura 1.1 Assorbimento e presentazione dell’antigene a livello intestinale. 1= Frammenti immunologici attivi. 2= Recettori specifici per l’antigene. 3= Allontanamento delle tight junctions da parte di mediatori. 4= Enterociti in grado di riconoscere e processare l’antigene. 5= Cellule dendritiche specializzate al trasporto dell’antigene al GALT. 7
L’assorbimento dell’antigene sembra composto da due fasi, durante le quali negli esperimenti condotti in laboratorio l’animale sensibilizzato presenta un assorbimento maggiore. Nella prima fase il trasporto, che è antigene specifico, avviene tramite gli endosomi. L’assorbimento tramite gli enterociti sembra dipendere da un recettore specifico, simile ad un’immunoglobulina. Durante la prima fase vengono liberati dei mediatori che innescano la seconda fase caratterizzata dall’allargamento delle tight junction tra le cellule epiteliali, così si crea un flusso più generalizzato dell’allergene. In questa fase predomina il trasporto mastocita dipendente, che è paracellulare, e non antigene specifico. Questi studi indicherebbero che nelle reazioni IgE mediate l’assorbimento intestinale sarebbe aumentato, e fanno pensare che ci sia una via specifica di trasporto che coinvolge gli anticorpi e una via aspecifica che coinvolge le citochine. Entrambe le vie a quanto sembra possono accelerare il trasporto dell’antigene attraverso l’ epitelio. 14, 15 Per quanto sia ancora poco conosciuta la reazione allergica a livello intestinale è indubbio che sotto l’effetto delle condizioni patologiche la risposta immune cellulomediata gioca il ruolo maggiore nel provocare danno mucosale. Questa risposta cellulomediata può portare a modifiche locali per rilascio di citochine particolari e attivazione preferenziale dei linfociti Th2 (secernono: IL4, IL5, IL10 e IL13) che favoriscono la produzione di IgE e provocano un circuito di amplificazione infiammatoria (attrazione di eosinofili e altri tipi di cellule) che porta ad alterazione della morfologia e funzione della mucosa (Figura 1.2). 8
Figura 1.2 Ipotesi patogenetica dell’allergia alimentare. Fenomeni secondari come l’aumento della permeabilità intestinale e l’aumento della formazione di complessi immuni circolanti possono accompagnare sintomi clinici che possono manifestarsi in qualsiasi parte dell’organismo. 10, 16, 17 In pazienti allergici alle arachidi è stato possibile dimostrare la presenza di linfociti Th2 alimento specifici.18 Questo perciò conferma che a livello intestinale nei soggetti atopici con allergia alimentare si forma per la presenza di mastociti, eosinofili e linfociti il pattern citochinico di tipo Th2. Sembra così evidente che anche la patogenesi dell’allergia alimentare può essere spiegata tramite l’ipotesi Th2 dell’allergia.10, 16, 17 La maggiore frequenza dell’allergia alimentare nel bambino piccolo potrebbe essere giustificata dall’ immaturità sia immunologica sia strutturale del tratto gastrointestinale che nei bambini geneticamente predisposti dopo l’ingestione dell’antigene può portare ad una risposta immunologica anomala. La maturazione del sistema immune e della barriera intestinale spiegherebbe pure la frequente acquisizione della tolleranza nei primi anni di vita.2 9
1.4 CLASSIFICAZIONE DELL’ALLERGIA ALIMENTARE Nell’ospite suscettibile un fallimento nello sviluppo della tolleranza orale può risultare in una varietà di risposte. Per chiarezza le risposte immuni presenti nell’allergia alimentare sono suddivise in quattro tipi (classificazione secondo Gell e Coombs) benché è evidente che i disordini allergici coinvolgono più di un meccanismo. TIPO 1 Anticorpi IgE alimento specifici hanno alta affinità per i recettori Fc€R1 di mastociti, basofili, macrofagi, cellule dendritiche e hanno bassa affinità per recettori Fc€R2 di macrofagi, monociti, linfociti, eosinofili e piastrine. Gli allergeni alimentari penetrano la barriera mucosa e raggiungono gli anticorpi IgE che sono diretti verso i mastociti e i basofili che liberano i mediatori che provocano i sintomi dell’ipersensibilità immediata. I mastociti una volta attivati producono una grande varietà di mediatori (come IL4, TNF, PAF) che inducono la fase tardiva della risposta IgE mediata. Durante la fase tardiva vengono attratti nel sito di reazione gli eosinofili, i linfociti e i monociti che rilasciano i mediatori dell’infiammazione. Dopo l’ingestione ripetuta dell’allergene, i mastociti secernono l’histamine release factors, che aumenta la risposta immunologica, che è associata con l’ipersensibilità cutanea e polmonare ed un aumento dei sintomi. 10
TIPO 2 E TIPO 3 La tipo 2 è caratterizzata da reazioni citotossiche antigene anticorpo dipendenti, che sono alla base della trombocitopenia secondaria ad allergia alle proteine del latte vaccino. La tipo 3 è caratterizzata da complessi antigene-anticorpo; l’aumento dei livelli dei complessi antigene-anticorpo per alimenti specifici è frequente in gruppi di pazienti con ipersensibilità ad alimenti. Comunque la loro rilevanza clinica è difficilmente quantificabile. TIPO 4 L’ipersensibilità cellulomediata è implicata in disordini di allergia alimentare. È questo il meccanismo principale in causa nella enteropatia allergica. I sintomi gastrointestinali si manifestano svariate ore dopo l’ingestione dell’alimento.19 11
1.5 GLI ALIMENTI Tutti i cibi contengono potenziali allergeni, che possono indurre una sensibilizzazione all’alimento e manifestazioni cliniche di ogni grado di severità. In realtà solo alcuni alimenti ricorrono frequentemente come causa di allergia alimentare. Gli alimenti implicati variano da luogo a luogo a seconda delle abitudini alimentari dei vari paesi. Gli alimenti che più frequentemente inducono l’allergia sono: il latte vaccino, le uova, il pesce, la verdura e la frutta fresca, soia, frumento e nei paesi Anglosassoni anche le arachidi e le noccioline.20 ALIMENTO CROO-REATTIVITÀ PERCENTUALE UOVA POLLAME < 5% LATTE VACCINO MANZO / VITELLO 10% LATTE VACCINO LATTE DI CAPRA 90% MANZO / VITELLO AGNELLO 50% PESCE ALTRI TIPI DI PESCE 50% ARACHIDI LEGUMI 10% SOIA LEGUMI 5% FRUMMENTO CEREALI 25% ARACHIDI NOCCIOLONE 35% NOCCIOLINE ALTRI TIPI DI NOCI >50% Tabella 1.2 La cross-reattività tra alimenti Esiste pure una cross-reattività tra alimenti appartenenti alla stessa famiglia biologica o animale, che può mostrarsi con una reattività clinica a diversi alimenti della stessa famiglia (Tabella 1.2).21, 22 12
1.6 I QUADRI CLINICI L’ipersensibilità agli alimenti IgE mediata è caratterizzata da un’enorme varietà di quadri clinici che si manifestano in un tempo variabile da alcuni minuti a poche ore dopo l’ingestione del cibo offendente. I sintomi possono coinvolgere qualsiasi organo. Le reazioni possono manifestarsi a carico dell’orofaringe, del tratto gastrointestinale, dell’apparato respiratorio e della cute. Le manifestazioni a carico dell’orofaringe sono: prurito e formicolio alle labbra, palato, lingua o gola; gonfiore delle labbra e della gola; sensazione di ristrettezza (spasmo) in gola, raucedine, disfonia e/o tosse secca. Le manifestazioni a carico del tratto gastrointestinale sono: nausea, vomito, crampi addominali, coliche e diarrea. Le manifestazioni a carico del naso e degli occhi possono provocare prurito, lacrimazione e congestione nasale associata alla rinocongiuntivite. Le manifestazioni a carico del polmone è caratterizzato da broncospasmo, dispnea e respiro corto. Le manifestazioni a carico della cute sono: l’orticaria, l’angioedema e la dermatite atopica (Tabella 1.3). 23, 24, 25 REAZIONI CUTANEE ORTICARIA/ANGIOEDEMA DERMATITE ATOPICA REAZIONI RESPIRATORIE RINOCONGUNTIVITE ASMA REAZIONI SINDROME ORALE ALLERGICA GASTROINTESTINALI ANAFILASSI INTESTINALE Tabella 1.3 Quadri clinici dell’allergia alimentare IgE mediata. 13
L’anafilassi L’anafilassi è la più temibile conseguenza dell’allergia alimentare e può essere scatenata anche da quantità minime di alimento. L’anafilassi è definita come una reazione sistemica che produce difficoltà respiratorie (asma, edema laringeo) e ipotensione ed è dovuta ad un rapido rilascio in circolo di mediatori da parte di mastociti tessutali e basofili circolanti. Insorge a distanza di secondi o minuti dal contatto con l’allergene causale, le reazioni anafilattiche tardive (dopo un’ora) sono eccezionali e sono caratterizzate da un decorso più benigno, infatti la reazione è tanto meno grave quanto maggiore è l’intervallo di tempo che intercorre tra esposizione e reazione. I sintomi iniziali sono caratterizzati da eritema, prurito localizzato a mani, piedi inguine e cavo ascellare e il soggetto ha la sensazione di un evento grave e incombente. Le manifestazioni cutanee poi si trasformano in orticaria e angioedema e non spariscono prima di 24 ore. Le reazioni respiratorie tipiche sono caratterizzate da edema laringeo che si manifesta inizialmente con raucedine, dispnea, sensazione di nodo alla gola e quindi con stridore laringeo, tosse, gemiti espiratori, broncospasmo con conseguente dispnea e cianosi. Le alterazioni respiratorie possono aggravarsi fino all’asfissia. Le manifestazioni gastrointestinali sono caratterizzate da vomito crampi addominali e diarrea. Nei casi più gravi si può avere una sintomatologia a carico dell’apparato cardiocircolatorio con dolore retrosternale che può essere seguito da sincope per ipotensione e collasso vascolare. Altri sintomi, che si possono verificare nel corso di anafilassi, comprendono prurito al palato, agli occhi e al naso, starnuti, sudorazione, disorientamento, perdita del controllo dei sfinteri (Tabella 1.3). In alcuni soggetti la reazione può avere un andamento bifasico con comparsa dopo un intervallo libero di 4-8 ore di una seconda ondata di sintomi. 14
Nell’ allergia alimentare l’anafilassi si manifesta caratteristicamente con edema delle labbra, del volto e del laringe e con sintomi gastrointestinali. 26 La terapia dell’anafilassi deve essere eseguita il più rapidamente possibile dal momento che l’intervento precoce si associa ad una prognosi nettamente migliore, sebbene la morte del paziente sia ancora possibile anche in casi di intervento terapeutico tempestivo. SINTOMI INIZIALI Sensazione di calore, prurito, pizzicore alle mani, ai piedi e all’inguine, sensazione di oppressione e svenimento, ansia, vomito, crampi addominali, diarrea MANIFESTAZIONI Eritema diffuso, CUTANEE orticaria generalizzata, angioedema MANIFESTAZIONI Disfonia, raucedine, RESPIRATORIE sensazione di nodo alla gola, stridore (edema laringeo), oppressione toracica (broncospasmo), dispnea, cianosi, asfissia MANIFESTAZIONI Ipotensione, CARDIOVASCOLARI shock Tabella 1.3 Manifestazioni cliniche dell’anafilassi. 15
L’anafilassi associata a sforzo fisico Esiste inoltre un’anafilassi che deriva dall’associazione tra sforzo fisico e allergia alimentare. Per il verificarsi dell’anafilassi entrambi gli stimoli sono strettamente necessari, infatti insorge se successivamente all’assunzione dell’alimento viene praticato dello sforzo fisico.27, 28, 29 La sindrome orale allergica Vengono dette sindrome orale allergica le manifestazioni che interessano prevalentemente il cavo orale e insorgono dopo il contatto del cibo allergizzante con la cavità orale. Di solito i sintomi (prurito e pizzicore orofaringei, papule e vescicole della mucosa e edema labbiale) si risolvono rapidamente, ma in certi casi la sindrome orale allergica evolve in sintomi sistemici. L’allergia a qualsiasi alimento può manifestarsi con la sindrome orale allergica, ma generalmente tale sindrome insorge in pazienti allergici alla frutta e alla verdura fresca, che tipicamente sono anche pazienti pollinosici.30, 31 Negli ultimi anni è stata segnalata una cross-reattività tra alimenti vegetali e pollini (Tabella 1.4). Sono stati eseguiti vari studi che hanno appurato la presenza di epitopi comuni nei pollini e negli alimenti vegetali. Due dei più importanti epitopi responsabili della cross-reattività inalanti-alimenti sono stati recentemente purificati e clonati, sono l’allergene maggiore della betulla (Bet v1) e la profilina (Bet v2). La profilina è presente in vari pollini e alimenti vegetali (come sedano, patata, pomodori, carote, pesche, pere, noci) e nel 50% dei pollinosici con accertata ipersensibilità ai vegetali sono state riscontrate IgE specifiche per la profirina.32, 33, 34 16
GRAMINACEE FRUMENTO, MELONE, ANGURIA, POMODORO, ARANCIA, KIWI, PESCA, ALBICOCCA, CILIEGIA, PRUGNA URTICACEE GELSO, BASILICO, PISELLI COMPOSITE SEDANO, MELONE, ANGURIA, MELA, BANANA, ZUCCA, CAMOMILLA BETTULACEE MELA, PERA, ALBICOCCA, CILIEGIA, BANANA, NOCE, NOCCIOLA, CAROTA, FINOCCHIO, SEDANO, PATATA Tabella 1.4 Cross-reattività frequentemente riscontrata tra pollini ed alimenti vegetali. I quadri clinici dell’allergia alimentare non IgE mediata L’ipersensibilità ad alimenti non IgE mediata si manifesta tipicamente con sintomi a livello del tratto gastroenterico, i quadri clinici sono: l’enterocolite, la proctocolite, l’enteropatia allergica, la gastroenterite allergica eosinofila, il reflusso gastro-esofageo.35 17
1.7 LA STORIA NATURALE La storia naturale dell’allergia alimentare è caratterizzata da una spiccata tendenza alla guarigione in tempi variabili qualunque sia il momento della sensibilizzazione. Si è visto che la prevalenza dell’ipersensibilità agli alimenti è maggiore nel primo anno di vita, uno studio prospettico ha infatti dimostrato che l’80% dei sintomi confermati si manifestano nel primo anno.5 I bambini di solito acquisiscono la tolleranza entro pochi anni nella maggior parte dei casi tranne che per le arachidi, noccioline e pesce. 36 In uno studio prospettico sull’allergia alle proteine del latte vaccino, condotto su bambini fino ai tre anni di età, si è visto che il 56% dei bambini guarisce entro l’anno, il 77% entro i due anni e il 87% entro i tre anni. Questo studio ha anche rilevato che il 92% dei bambini, che soffre di allergia alle proteine del latte vaccino, presenta almeno due sintomi, mentre il 72% ha sintomi localizzati in due o più organi differenti contemporaneamente. Il 49% ha all’anamnesi una storia familiare di atopia e nel 23% dei casi la familiarità atopica riguarda entrambi i genitori.8 Tutti i bambini con prick test negativo a un anno di età sono diventati tolleranti al latte vaccino entro i tre anni, mentre il 25% dei soggetti con prick test positivo all’anno presentava ancora allergia al terzo anno. E il 35% dei bambini con IgE specifiche per le proteine del latte vaccino a un anno ha sviluppato altre allergie alimentari entro i dieci anni.37 Come si è visto dai dati esposti i bambini con allergia alle proteine del latte vaccino non IgE mediata hanno una buona prognosi infatti tutti guariscono entro i tre anni di vita, mentre quelli con allergia IgE mediata hanno un aumentato rischio, sia che l’ipersensibilità persista, sia che sviluppino un’altra allergia alimentare. 18
Studiando la persistenza della reattività clinica nell’allergia alle proteine del latte vaccino sembra che la caseina giochi un ruolo molto importante. Le IgE specifiche per la caseina sono prevalenti nei bambini più grandi e negli adulti. È stato pure rilevato che i bambini, nei quali persiste l’allergia, presentano livelli più elevati di IgE specifiche per la caseina rispetto ai più piccoli.38 È stato inoltre ipotizzato che la persistenza di allergia alle proteine del latte vaccino sia correlata, come per l’allergia all’uovo39, allo sviluppo di IgE verso epitopi lineari mentre epitopi conformazionali sarebbero in causa nella forma transitoria (Figura 1.3). EPITOPO LINEARE EPITOPO CONFORMAZIONALE VH VK CH1 CK VKH V IgE CH1 CK IgE ALLERGIA ALLERGIA PERMANENTE TRANSITORIA Figura 1.3 Rappresentazione grafica dei epitopi delle IgE Uno studio recente ha in effetti determinato gli epitopi per le IgE sulla α1s caseina. Due epitopi lineari sono stati riconosciuti solo dai pazienti con allergia persistente. Il riconoscimento di questi epitopi non era correlato all’età 19
potendo essere dimostrata in tali pazienti sia all’esordio sia dopo anni di malattia. Lo sceening per le IgE specifiche per tali epitopi potrebbe essere utile per identificare fin dall’esordio i pazienti che non supereranno la loro allergia.40 Anche se i bambini più piccoli divengono più facilmente tolleranti verso l’alimento allergizzante,41, 42sembra evidente che anche bambini più grandi ed adulti possono superare l’allergia alimentare.43, 44, 45 20
1.8 LA DIAGNOSI La diagnosi di allergia alimentare è a tutt’oggi essenzialmente clinica. È basata sugli elementi anamnestici, sull’età di insorgenza soprattutto per quel che riguarda l’allergia alle proteine del latte vaccino che tipicamente insorge nel lattante e nel bambino molto piccolo. Anche la clinica può orientare verso la diagnosi anche se le manifestazioni dell’allergia sono estremamente varie. Comunque la diagnosi di allergia alimentare si deve basare soprattutto su di un attenta analisi causa \ effetto tra l’assunzione dell’alimento sospetto e i sintomi del paziente. Tramite una accurata anamnesi si cerca di individuare l’alimento e questo è successivamente eliminato dalla dieta per un dato periodo durante il quale se il paziente è veramente affetto da allergia alimentare i sintomi scompaiono.46 La conferma diagnostica può venire comunque solo dai successivi test di scatenamento, che possono essere eseguiti o in aperto, o in singolo cieco con cibo fresco, o in doppio cieco contro placebo con materiale liofilizzato. Il test di scatenamento consiste nella somministrazione per os a dosi crescenti dell’alimento sospetto fresco, oppure in capsule contenenti proteine alimentari industrialmente preparate ed è perciò in grado di definire il nesso casuale tra l’ingestione dell’alimento e la reazione clinica del paziente. 47 48 Infatti se il paziente è affetto da allergia alimentare l’assunzione dell’alimento gli provoca la comparsa dei sintomi per i quali è giunto all’osservazione del medico. Il test di scatenamento va eseguito in ambiente protetto e deve essere interrotto immediatamente se compaiono reazioni gravi (anafilassi) e non deve mai essere eseguito come conferma diagnostica nei bambini con storia di reazioni anafilattiche. In questi casi c’è l’indicazione di eseguire il test di scatenamento dopo un congruo periodo di dieta di eliminazione per verificare se c’è stata acquisizione della tolleranza (test di uscita).49 Se l’eziologia alimentare dell’allergia è certa, l’alimento è stato identificato ed eliminato 21
dalla dieta con la conseguente risoluzione dei sintomi, non sembra ragionevole, anche nei soggetti che non presentano reazioni gravi, eseguire in tempi ravvicinati il test di scatenamento per la conferma diagnostica, ma conviene posticiparlo ad un’età in cui vi è elevata probabilità che la tolleranza sia stata raggiunta. 50 In questo contesto clinico svolgono un loro ruolo anche i test di provocazione cutanea e i vari test di laboratorio soprattutto nel fornire delle orientazioni indicative al clinico.46, 51 Per riconoscere le reazioni IgE mediate sono molto utili i test cutanei eseguiti con la metodica del prick usando estratti alimentari stardandizzati. Gli estratti vegetali e la frutta vanno testati con la metodica del prick by prick (usando piccole quantità di alimento fresco). Un altro test utile per individuare le reazioni IgE mediate è la ricerca di anticorpi alimento specifici in vitro (RAST).49 Però sia il prick che il RAST hanno un difetto di specificità e di sensibilità. La sensibilità e l’accuratezza del valore predittivo negativo sono abbastanza buoni, mentre la specificità e il valore predittivo positivo sono molto più scarsi. Negli ultimi anni sono stati eseguiti vari studi che hanno esaminato il valore dei prick test e dei RAST nel predire le reazioni avverse ai test di scatenamento. Questi studi sono stati condotti nei soggetti che avevano già ricevuto diagnosi di allergia alimentare.52, 53, 54, 55 Sampson in uno studio del 1997 ha accertato che in soggetti con l’allergia da uovo, latte vaccino, arachidi e pesce i livelli diagnostici di IgE possono predire la reattività clinica al test di scatenamento con accuratezza maggiore del 95%.52 Lo stesso è stato visto per i test cutanei da Sporik, il quale ha collegato il diametro della reazione cutanea dopo l’esecuzione del prick test con la positività al test di scatenamento. È risultato che la specificità aumentava con l’aumentare del diametro della 22
reazione e raggiunge il 100% per diametri di 8mm per il latte vaccino e le arachidi e 7mm per l’uovo. 53 Per quello che concerne anticorpi anti-alimenti non IgE, ovvero anticorpi di classe IgG e IgA, va ricordato che la presenza nel siero di IgG contro alimenti è un fenomeno fisiologico, anche se un certo gruppo di individui allergici alle proteine del latte vaccino presenta titoli anticorpali più alti. Nel complesso comunque questi test hanno un limitato valore diagnostico.46 Un altro esame orientativo nella diagnosi è la conta degli eosinofili, infatti un valore di eosinofili superiore a 800-1000/mm3 in assenza di parassitosi è orientativo per una condizione di allergia alimentare. La conta degli eosinofili è un esame anche molto utile e molto pratico per valutare (in tempi più brevi che con la risposta clinica) l’effetti della dieta di eliminazione e l’andamento di un test di scatenamento.56 I test che esplorano le alterazioni mucosali e in particolare i test di permeabilità intestinale agli zuccheri sono utili soprattutto nei bambini con enteropatia allergica alle proteine del latte vaccino in fase attiva. Infatti la permeabilità intestinale risulta alterata con diminuito assorbimento di piccole molecole come lo xilosio. Il test allo xilosio è utilizzato anche per rendere più sensibile il test di scatenamento, se infatti il test si positivizza durante il test di scatenamento abbiamo un’evidenza significativa dell’effetto lesivo dell’alimento.46 23
1.9 IL TRATTAMENTO E LA PREVENZIONE La stretta eliminazione dell’allergene offendente è l’unica terapia immediatamente e completamente come efficacie dopo che è stata fatta diagnosi di ipersensibilità agli alimenti. Tuttavia prescrivere la dieta di eliminazione non è differente dal prescrivere una medicina; entrambe possono avere effetti collaterali indesiderati.49 La dieta di eliminazione può portare a malnutrizione e/o disordini alimentari, specialmente se include un largo numero di cibi e/o è usata per lunghi periodi. La presenza di malnutrizione si verifica più facilmente se riguarda alimenti molto comuni e di valore nutrizionale elevato presenti in una serie molto ampia di cibi. È anche più facile che insorga nei soggetti a rischio come i bambini, soprattutto se affetti da poliallergie, che vanno seguiti e compensati tramite opportune supplementazioni.57 I pazienti e i loro familiari devono essere inoltre addestrati ad esaminare l’etichettatura dei cibi per trovare fonti potenziali di allergeni alimentari nascosti. L’eliminazione di certi cibi è in effetti difficile. Tra gli alimenti difficili da eliminare, per quanto riguarda il bambino, c’è soprattutto il latte vaccino e i suoi derivati, che sono contenuti in molti alimenti come il burro, le salsicce, la carne e il pesce in scatola, in prodotti di pasticceria e in certi farmaci.58, 59 La reattività clinica per allergeni alimentari è di solito molto specifica e i pazienti sono di solito reattivi solo a un componente della famiglia botanica o animale alla quale appartengono, bisogna assicurarsi che il paziente non presenti una cross-reattività per alimenti che appartengono alla stessa specie animale o vegetale, che può portare a manifestazioni allergiche anche se l’alimento incriminato è stato accuratamente eliminato. 21, 22 24
I bambini acquisiscono la tolleranza per la maggior parte degli alimenti entro i tre anni, perciò la dieta di eliminazione non va mantenuta a tempo indeterminato, ma vanno programmate le prove di reintroduzione dell’alimento dopo che è passato un tempo ragionevole differente per alimenti diversi e valutabile caso a caso. Per quel che riguarda il latte vaccino la maggioranza dei bambini con allergia non IgE mediata guarisce entro l’anno di vita, perciò è doveroso testare l’acquisizione della tolleranza al compimento dell’anno di età. Anche la maggior parte dei bambini con allergia IgE mediata diventa tollerante entro i tre anni, perciò anche in questo gruppo di pazienti bisogna programmare delle prove di reintroduzione dell’alimento al compimento dell’ anno, dei due e dei tre anni. 8, 57 Anche se è dimostrato che nel tempo trascorso a dieta si giunge spesso a tollerare l’alimento43, 44 alcune segnalazioni in letteratura hanno riportato come la dieta di eliminazione stretta possa portare ad un aggravamento del quadro clinico. Infatti, sono descritti casi riguardanti soggetti con sintomi di lieve entità, messi a dieta di esclusione, che hanno sviluppato reazioni gravi in seguito all’assunzione accidentale di piccole quantità dell’alimento.60, 61 Secondo alcuni Autori la terapia dell’allergia alimentare nel lattante si dovrebbe basare su misure che modifichino la flora batterica e l’immunologia intestinale, in uno studio eseguito su lattanti con dermatite atopica grave si è visto che la sintomatologia migliorava con l’aggiunta di ceppi selezionati di lattobacilli alla formula di idrolisato estensivo. Comunque per confermare tale teoria sono necessari altri studi.62 La terapia medica non è molto efficace, infatti, spesso non è in grado di prevenire la sintomatologia clinica dopo l’assunzione dell’alimento offendente. Vengono impiegati vari farmaci come: gli antistaminici, il chetotifene, il disodiocromoglicato e i corticosteroidi. Tutti questi farmaci hanno però un utilizzo limitato o perché producono un effetto minimo o perché presentano degli effetti collaterali inaccettabili. 49 25
LA PREVENZIONE L’ unica prassi per la prevenzione dell’allergia alimentare nei neonati, a rischio (familiarità per atopia) e non, è l’allattamento al seno.63 Infatti, il latte materno è un fluido complesso che provvede al fabbisogno energetico e agli elementi essenziali necessari per la crescita e lo sviluppo del neonato. Le proprietà anti-infettive del latte materno sono ampiamente riconosciute e dipendono in parte da fattori cellulari e solubili contenuti nel latte come: la lattoferrina, immunoglobuline preferenzialmente IgA e fattori che favoriscono la crescita di microorganismi commensali utili come i lattobacilli e i bifidobatteri. È stato proposto che citochine e ormoni del latte materno possono avere la funzione di regolatori dello sviluppo del sistema immune nei neonati. Studi eseguiti in vivo e in vitro hanno dimostrato che la risposta immune cellulo mediata è diversa nei neonati allattati al seno e quelli allattati con formula sostitutiva.64 L’unica prassi da evitare è quella di somministrare latte vaccino in attesa della montata lattea, prassi dimostratamente in grado di sensibilizzare il neonato atopico con conseguenze potenzialmente severe all’atto della riassunzione del latte vaccino. 63 26
1.10 I NUOVI ORIZZONTI TERAPEUTICI Come già esposto la terapia dell’allergia alimentare non consente di risolvere in modo definitivo il problema. La dieta di eliminazione è un atto terapeutico valido e può risolvere completamente e immediatamente la sintomatologia ed accompagnare il bambino verso la spontanea guarigione, ma certamente non è facile da attuare soprattutto quando l’alimento è difficilmente eliminabile dalla dieta. Questo è un problema serio in quei soggetti che presentano reazioni anafilattiche gravi e a rischio di vita dopo l’assunzione dell’alimento allergizzante. Uno studio condotto da Bock ha rilevato che il 35% - 50% di tutti i soggetti allergici alle arachidi in un periodo di 3 – 4 anni assume accidentalmente l’alimento tramite contaminazione di altri cibi o per etticchettature non chiare di prodotti industriali non chiare.65 Questo ci fa capire che il problema per questa categoria di soggetti non è certo di piccole dimensioni. Infatti soggetti che presentano reazioni anafilattiche gravi per piccole quantità di alimenti assunti, inalati o solo per il contatto cutaneo sono molto limitati nella loro possibilità di socializzazione perché il maggior rischio di assumere cibo contaminato si verifica fuori casa con alimenti industrialmente preparati. Inoltre questi soggetti sono costretti a tenere sempre con sé l’adrenalina autoiniettiva che deve essere prontamente somministrata ai primi sintomi.66 Tutto questo conferma ancora una volta come il trattamento delle allergie alimentari gravi non sia affatto facile e che il rischio di anafilassi è costantemente presente nella vita di questi pazienti. Non stupisce perciò che si sia tentato di trovare delle terapie alternative che inducano una tolleranza verso l’alimento offendente. In questo contesto ci sono varie segnalazioni in 27
letteratura di trattamenti sperimentati su piccoli e selezionati gruppi di pazienti. Vari autori hanno sperimentato l’immunoterapia nel trattamento dell’allergia alimentare. Nelson e collaboratori hanno tentato la rush immunoterapia in soggetti con reazioni anafilattiche conseguenti all’assunzione di arachidi. I pazienti che sono riusciti a portare a termine il protocollo terapeutico riescono a tollerare una considerevole quantità di arachidi dopo un prolungato periodo di rush immunoterapia. Le gravi reazioni avverse che hanno presentato alcuni soggetti nel corso del trattamento rendono difficile l’uso di questo tipo di terapia nella pratica clinica standardizzata.67 68 In letteratura si trovano sporadiche segnalazioni di rush immunoterapia eseguita con successo per altri allergeni alimentari come per esempio il pesce.69 Inoltre l’immunoterapia specifica si è rivelata efficace anche nella sindrome orale allergica. 70 Si stanno sviluppando anche nuovi approcci di terapia per ora sperimentata solo su animale.71 Le segnalazioni nella letteratura che esaminano la possibilità di un trattamento di desensibilizzazione orale sono sporadiche, contrastanti e spesso inconsistenti. Il primo protocollo standardizzato di desensibilizzazione orale è stato proposto da Patriarca e collaboratori.72 Patriarca ha sperimentato questo protocollo su 14 bambini allergici a latte, uovo, pesce e mela di un età compresa tra i 4 e i 14 anni, che presentavano uno o più dei seguenti sintomi dopo l’ingestione dell’alimento allergizzante: orticaria, angioedema, eczema, vomito, dolore addominale, rinite e asma. Il trattamento è stato completato solo da 12 bambini, 2 bambini hanno abbandonato lo studio per motivi di compliance. Il protocollo prevede somministrazioni crescenti di alimento prima diluito e poi puro. Prendendo ad esempio il protocollo per il latte si parte da una diluizione di latte e acqua (10 gocce di latte in 10 cc di acqua) per i primi 12 28
giorni, a cominciare dal 13 giorno invece viene somministrato latte puro a partire da una goccia fino a che il soggetto il 104 giorno di trattamento assume 120 cc di latte. La dose di latte viene aumentata ogni 2 – 3 giorni. Durante i primi giorni di trattamento viene somministrato il sodiocromoglicato (250 – 500mg a seconda dell’età del paziente) 20 minuti prima dell’assunzione dell’alimento. La somministrazione viene sospesa dopo pochi giorni se i pazienti non presentano reazioni. Durante il trattamento alcuni pazienti hanno presentato qualche reazione che però era facilmente controllabile con assunzione orale di antistaminico. Il trattamento ha avuto successo nel 100% dei casi che hanno portato a termine il protocollo infatti i soggetti non presentano più nessun tipo di reazione all’assunzione dell’alimento e non necessitano più di farmaci. I bambini hanno continuato ad assumere una dose di mantenimento di 100 cc di latte almeno 2 – 3 volte a settimana. I pazienti sono stati rivalutati dopo circa 2 mesi dalla fine della desensibilizzazione e non hanno mostrato un significativo cambiamento nella positività dei test cutanei e del RAST. 72 Successivamente Patriarca ha studiato gli aspetti immunologici della desensibilizzazione orale nell’allergia alimentare in un caso che è stato sottoposto al protocollo standardizzato da lui proposto ed ha scoperto delle modificazioni immunologiche interessanti. Il prick test fortemente positivo per la β-lattoglobulina, l’α-lattoalbumina e la caseina prima della desensibilizzazione si è completamente negattivizzato entro 7 mesi e anche i livelli delle IgE specifiche hanno avuto un calo significativo. Le IgG e le IgA specifiche per β-lattoglobulina, l’α- lattoalbumina e la caseina sono progressivamente aumentate in 18 mesi. Le IgE specifiche invece dopo un iniziale incremento si sono normalizzate dopo 3 mesi dal trattamento. Sono stati misurati i livelli di citochine in vitro che hanno segnalato una diminuzione dell’IL-4 e un aumento dell’IFN-γ 29
Studiando gli aspetti immunologici Patriarca ha dato un contributo alla conoscenza dei meccanismi patofisiologici che stanno alla base del trattamento iposensibilizzante del quale non si conosce ancora molto. Quello che si conosce è che nei pazienti allergici c’è uno squilibrio tra i sottogruppi linfocitari Th1 e Th2 che producono citochine che in definitiva regolano la produzione di Ig. Se prevalgono i linfociti Th2 si ha un aumento dell’IL-4 (che porta alla sintesi di IgE) e una contemporanea diminuzione dei Th1 e dell’IFN-γ (che porta a una diminuzione della sintesi di IgE) che è accompagnata ad una iperproduzione di IgE. Nei pazienti atopici l’esposizione all’allergene provoca la risposta Th2 con un aumento di produzione dell’IL-3, IL-4, IL-5 e dell’IL-13 che porta alla produzione di IgE e nell’attivazione degli eosinofili con rilascio dei mediatori della flogosi. Nell’allergia respiratoria sembra che il trattamento iposensibilizzante porti ad una diminuzione dei Th2 e ad un aumento dei Th1 con conseguente aumento dell’IL-2 e dell’ IFN-γ. Una diretta conseguenza è la diminuzione degli eosinofili e dei mediatori della flogosi correlati. Nel nostro caso è importante la negattivizzazione del prick test e la diminuzione delle IgE specifiche per la β-lattoglobulina, l’α-lattoalbumina e la caseina ed un aumento delle IgG4 specifiche che si ritrova sorprendentemente pure nei trattamenti desensibilizzanti nelle allergie respiratorie. La diminuzione dei livelli sierici di IL-4 e della produzione in vitro, accompagnata all’incremento dei livelli sierici dell’ IFN-γ e della produzione in vitro, ha fatto suggerire a Patriarca che durante la desensibilizzazione c’è uno spostamento dai Th2 (che producono IL-4) ai Th1 (che producono IFN-γ) come si osserva nell’allergia respiratoria.73 In letteratura vi sono oltre segnalazioni di desensibilizzazione orale. Bauer ha sperimentato una desensibilizzazione orale rapida per il latte vaccino in una bambina di 12 anni con orticaria generalizzata e angioedema a livello delle labbra e degli occhi che è stata eseguita in 5 giorni. Prima di iniziare è stato 30
eseguito il prick test con latte diluito ed è stato constatato che la positività del prick compariva alla diluizione di 1:100. Hanno perciò cominciato la desensibilizzazione con una diluizione di 1:100 somministrando come prima dose 1 ml di questa diluizione. Il soggetto assumeva il doppio della dose ogni seconda ora per un totale di 4 – 6 somministrazioni al giorno. Quando raggiungevano una dose di 32 ml della diluizione di 1:100 ripartivano con lo stesso schema a diluizione di 1:10. Il latte non diluito veniva somministrato in modo simile continuando con 64, 100 e 200 ml di latte. La bambina ha tollerato bene questo tipo di desensibilizzazione ed ha continuato ad assumere il latte giornalmente senza problemi e dopo 6 mesi la paziente era priva di sintomi.74 Un’altra interessante segnalazione riguarda la desensibilizzazione orale per il sedano. In questo caso è stata desensibilizzata una donna di 49 anni con orticaria e prurito generalizzati. La donna ha cominciato con assumere 0.1 ml di succo 5 volte nel 1 giorno e dopo 4 settimane la dose è stata incrementata fino a 5 ml assunti 5 volte ogni giorno. Dopo tre mesi il test di scatenamento ha mostrato che la dose di sedano crudo che il soggetto tollera senza sintomi passava da 1 a 2 a 5 a 10g invece dopo i 20g ci fu una leggera reazione avversa (l’arrossamento). Dopo 3 anni la paziente assume 25ml di succo di sedano ogni giorno e non ha più presentato sintomi.75 Da questi pochi dati qui elencati vediamo che si sta continuamente cercando di trovare nuovi approcci terapeutici per l’allergia alimentare IgE mediata e che forse si stanno pian piano trovando nuove strade terapeutiche che però hanno bisogno ancora di essere approfondite prima di poter essere definitivamente standardizzate e universalmente accettate. 31
2. OBIETTIVI Con questo studio ci siamo prefissati di raggiungere i seguenti obiettivi: - Contribuire alla conoscenza della storia naturale della malattia in particolare verificando la probabilità di un protocollo che preveda la reintroduzione precoce dell’alimento incriminato. - Verificare l’efficacia e i rischi di una desensibilizzazione orale nei pazienti con reazioni anafilattiche gravi e a rischio di vita. 32
3. PAZIENTI E METODI In totale fanno parte dello studio 56 bambini ricoverati in Clinica Pediatrica dal 1997 – 2002 con storia clinica di anafilassi da Allergia alimentare. Questo gruppo di 56 bambini comprende casi in cui la diagnosi di allergia alle proteine del latte vaccino e/o allergia alle proteine dell’uovo era stata posta precedentemente per una storia di reazioni anafilattiche. Questi 56 casi possono essere suddivisi in due gruppi: GRUPPO A: è rappresentato da 50 bambini (31 maschi e 19 femmine; età media al test di scatenamento: 35.8) con storia di reazioni anafilattiche acute con diagnosi già confermata di allergia alle proteine del latte vaccino e/o allergia alle proteine dell’uovo in cui si poneva la necessità di valutare la persistenza dell’allergia con il test di scatenamento (test di “uscita”). GRUPPO B: è costituito da 6 bambini (4 maschi e 2 femmine; età media alla desensibilizzazione 54 mesi) con storia ingravescente di reazioni anafilattiche severe, con rischio di vita con quantità minima di alimento e per i quali è stato progettato un programma di desensibilizzaione orale. 33
GRUPPO A: SOGGETTI INDAGATI PER VERIFICARE L’ACQUISIZIONE DELLA TOLLERANZA TRAMITE IL TEST DI SCATENAMENTO Tutti questi pazienti presentavano all’anamnesi sintomi e segni tipici dell’allergia alimentare caratterizzati da reazioni cutanee (dermatite atopica, orticaria, angioedema), gastrointestinali (vomito, diarrea, coliche, diminuita crescita, RGE), respiratorie (dispnea, laringospasmo, broncospasmo, tosse) e generalizzate (shock anafilattico). Di tutti i pazienti sono state esaminate le seguenti caratteristiche: il sesso, la familiarità per malattie allergiche, l’età di insorgenza della prima reazione, l’età all’esecuzione del test di scatenamento, la presenza di allergia a più allergeni alimentari contemporaneamente, positività o meno ai test cutanei (prick test) ed i risultati del test di scatenamento (che era sempre eseguito secondo un protocollo standard che riportiamo in seguito). Sono state anche rivalutate le decisioni terapeutiche prese in base ai diversi risultati dei vari test di scatenamento tramite un follow up telefonico. IL TEST DI SCATENAMENTO Il test di scatenamento è stato attuato con la somministrazione di dosi crescenti dell’alimento offendente, secondo il seguente protocollo. Prima di avviare il test è stato eseguito un prick test ed è stata posizionata un’agocanula per eventuali emergenze (nei bambini risultati prick + o con una storia clinica di reazioni gravi). È stato somministrato l’alimento secondo il seguente schema: partendo dal tempo 0, ad intervalli di 10’ rispettivamente 1, 2, 4, 6, 8, 16 gocce; poi ad intervalli di 15’ rispettivamente 2, 4, 8, 16 cc e in seguito ad intervalli di 20’ rispettivamente 32, 64 e 150 cc (Tabella 3.1). Complessivamente i bambini assumevano un totale di almeno 270 cc dell’alimento e per quanto riguarda l’uovo questo veniva assunto per intero. 34
Al termine della somministrazione dell’alimento il controllo clinico è stato proseguito, sempre in ambiente ospedaliero, per tre ore in assenza di sintomi e per almeno tre ore dopo la risoluzione dei sintomi qualora fossero stati presenti. Il test di scatenamento è stato prontamente interrotto in quei casi nei quali si sono verificate reazioni di una certa gravità ed è stata iniziata adeguata terapia (antistaminici, cortisone e adrenalina). TEMPO QUANTITÀ 0’ 1 gtt 10’ 2 gtt 20’ 4 gtt 30’ 8 gtt 40’ 16 gtt 55’ 2 ml 70’ 4 ml 1,15h 8 ml 1,30h 16 ml 1,50h 32 ml 2,10h 64 ml 2,30h 150 ml Tabella 3.1 Schema progressivo di incremento delle dosi nel tempo 35
GRUPPO B: SOGGETTI CON ALLERGIA ALIMENTARE GRAVE CHE HANNO SPERIMENTATO LA DESENSIBILIZZAZIONE ORALE. Sei bambini sono giunti alla nostra osservazione per sottoporsi alla desensibilizzazione orale per il latte vaccino di questi 4 sono maschi e 2 sono femmine. L’ età media alla prima reazione era di 2 mesi. I primi sintomi sono stati tutti di tipo cutaneo: orticaria generalizzata in 1 caso e dermatite atopica in 5 casi. L’ età media alla quale sono comparse le prime reazioni gravi, è di 5.3 mesi. Le reazioni erano caratterizzate da orticaria generalizzata, vomito e edema delle mucose orotracheali. La familiarità è presente in 5 bambini, mentre è negata in 1. I gravi sintomi presentati durante la dieta di esclusione per contatti accidentali cutanei, inalazioni o assunzioni di piccole quantità che hanno contaminato altri cibi, sono: laringospasmo dopo inalazione, broncospasmo dopo inalazione, broncospasmo dopo quantità minime di latte, laringospasmo dopo quantità minime di latte, tosse dopo contatto cutaneo e cianosi. A tutti questi bambini che seguivano una dieta di esclusione molto stretta, per i casi nei quali potevano accidentalmente venire a contatto con minime quantità di latte, sia perché assumevano cibi “contaminati”, sia per inalazione o solo per contatto cutaneo era stata prescritta l’adrenalina da somministrare intra muscolo e per areosol, come pure in certi casi il cortisone. (Tabella 3.2) Tutti i 6 bambini erano positivi al prick test per le proteine del latte vaccino. L’ età media all’inizio della desensibilizzazione era di 54 mesi. 36
SESSO PRIMA REAZIONE REAZIONI TRATTAMENTO ETÀ ALLA ALIMENTO IMPORTANTI IN IN ATTO DIAGNOSI DIETA DI ESCLUSIONE M ORTICARIA LARINGOSPASMO DIETA DI 1 MESE GENERALIZZATA PER INALAZONE DI ESCLUSIONE LATTE VAPORI DI LATTE ADRENALINA AL BOLLITO BISOGNO M ORTICARIA BRONCOSPASMO DIETA DI 2 MESI VOMITO PER INALAZONE DI ESCLUSIONE LATTE VAPORI DI LATTE ADRENALINA E BOLLITO CORTISONE AL BISOGNO M ORTICARIA BRONCOSPASMO DIETA DI 3 MESI GENERALIZZATA PER MINIME ESCLUSIONE LATTE QUANTITÀ DI ADRENALINA E TORTELLINI IN CORTISONE AL BRODO BISOGNO M ANGIOEDEMA BRONCOSPASMO DIETA DI 3 MESI MUCOSA PER INALAZONE ESCLUSIONE OROFARINGEA (ODORE DI ADRENALINA E LATTE FORMAGGIO ALLA CORTISONE AL PIASTRA) BISOGNO F ORTICARIA LARINGOSPASMO DIETA DI 3 MESI GENERALIZZATA CIANOSI PER ESCLUSIONE VOMITO MINIME QUANTITÀ ADRENALINA AL LATTE DI MINESTRA BISOGNO “CONTAMINATA” F ORTICARIA LARINGOSPASMO DIETA DI 2 MESI GENERALIZZATA PER MINIME ESCLUSIONE LATTE QUANTITÀ ADRENALINA AL (1 CUCCHIAINO) BISOGNO TABELLA 3.2 Caratteristiche cliniche dei bambini desensibilizzati (gruppo B) 37
IL PROTOCOLLO DI DESENSIBILIZZAZIONE La desensibilizzazione secondo questo protocollo è condotta in ambiente ospedaliero sotto stretto controllo medico e prevede la somministrazione di dosi crescenti di latte diluito sino alla tolleranza di latte puro, previo consenso informato della famiglia . Viene somministrata quotidianamente una dose di antistaminico. Prima di iniziare viene posizionata un’agocanula e vengono eseguiti prick test e prelievo ematico per emocromo, ALA, IgA, IgG, IgM, IgE, multirast per alimenti. Viene preparata una fiala di adrenalina pura ed una diluita 1/10 in modo da essere prontamente disponibile in caso di emergenza. Ogni giorno viene somministrata una dose di antistaminico prima di iniziare la somministrazione. -Nel primo giorno di ricovero viene somministrato nel corso della giornata latte vaccino 1 gtt diluita in 10 cc di H2O partendo da 1gtt di tale diluizione ed incrementando la dose ogni ora sino a raggiungere una dose massima di 4.5 cc finale. -Il secondo giorno viene somministrato latte vaccino 4gtt diluite in 20 cc di H2O partendo da 1cc di tale diluizione ed incrementando la dose ogni due ore sino a raggiungere una dose massima finale di 8 cc. -Il terzo giorno viene somministrato latte vaccino 20 gtt diluite in 20 cc di H2O partendo da 1 cc di tale diluizione e incrementando la dose ogni due ore. -Il quarto giorno viene somministrato latte vaccino 3 cc in 20 cc di H2O partendo da 1 cc di tale diluizione e incrementando la dose ogni due ore. -Il quinto giorno viene somministrato latte vaccino 5 cc in 10 cc di H2O partendo da 4cc di tale diluizione e incrementando la dose ogni due ore. -Il sesto giorno viene somministrato latte vaccino 10 cc in 10 cc di H2O partendo da 4cc di tale diluizione ed incrementando la dose ogni due ore. 38
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