Comunicazione 2020 - Smart Marketing
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La Copertina d’Artista - Tutto è comunicazione 2020 Una donna ci fissa diritto negli occhi, ha un megafono e delle strane extension applicate ai capelli, sicuramente è una manifestante, impegnata in una delle innumerevoli proteste esplose in questa fase post lockdown da coronavirus. È strano, ma il megafono copre la sua bocca e parte del suo naso e, in un periodo di distanziamento sociale e dispositivi di protezione individuale, come quello che viviamo, quest’immagine non può non ricordarci che anche le mascherine coprono la stessa porzione di viso. Quindi, questa “anonima manifestante”, che potrebbe essere chiunque, e protestare per qualunque cosa, in una maniera sibillina e curiosa ci immerge nell’attualità più stringente.
casuale da parte dell’artista. Gli occhi di questa manifestante ci fissano, ci scrutano, quasi ci sfidano, eppure noi non possiamo distogliere lo sguardo, siamo calamitati, catturati, forsanche sedotti ed inquietati da questa donna che ci trafigge con i suoi occhi e che sembrano scavare nella nostra più recondita intimità. Fra tutte le domande che si affollano nella nostra testa, una prende il sopravvento su tutte le altre, ed è: “quale sarà mai la protesta a cui prende parte questa manifestante?”. Incuriositi e smaniosi di scoprirlo, ci concentriamo sulla scena, che però non ci aiuta più di tanto a capire la causa per cui si batte questa giovane donna. L’artista, e lo capiamo proprio dallo sfondo, ha utilizzato la tecnica del collage, ed infatti la scenografia, le strane extention dei capelli, il viso e addirittura il megafono sono formati da piccole strisce di carta accuratamente selezionate e tagliate per comporre un meta-racconto, un racconto nel racconto. B o n d M e s B o n d , 2 0 2 0 . Queste strisce di carta, tagliate così fini da sembrare gli sfilacci di una distruggi documenti come quelle presenti negli uffici, sono il definitivo colpo di coda che l’artista di questo mese, Paola Montanaro (classe 1969), ci assesta. Come in una di quelle word-cloud che troviamo nelle immagini
di Google, l’opera addensa e stratifica altri significati, come nella migliore tradizione Pop, è insieme immediata e complicata, semplice ma pure complessa, chiara ma anche difficile. Ma capire la tecnica non ci aiuta ancora a capire la natura della protesta, potrebbe essere una contro il razzismo, oppure contro l’ennesimo monumento ritenuto politicamente scorretto, od ancora la protesta di una qualunque di quelle categorie di lavoratori e commercianti ridotte sul lastrico da più di due mesi circa di chiusura e lockdown? Scopri il nuovo numero: Tutto è Comunicazione La comunicazione è diventata centrale nella vita di tutti noi ed è cambiata molto nell’ultimo periodo a causa dell’epidemia. Abbiamo assistito all’esplosione di nuove piattaforme digitali come Zoom, alla comparsa degli scienziati nei talk show televisivi e ad una comunicazione di brand incentrata su valori diversi rispetto al recente passato. Forse il titolo può trarci d’impaccio, ed aiutarci a collocare correttamente manifestante, causa e protesta; l’opera si intitola “Urlo”, e d’un tratto un’illuminazione ci abbaglia, le nostre lezioni di storia dell’arte durante le scuole superiori ci ricordano lo sconvolgente “Urlo” (o Grido) di Edvard Munch, il geniale pittore norvegese che nel 1895, sul finire del secolo, dipinse una serie di quadri dai colori pastosi e tinte fosche che ritraevano un uomo in primo piano che, guardando in faccia lo spettatore, si contorceva in un urlo di disperazione. Munch dava sfogo alle angosce esistenziali di fine secolo, tecnologia e scienza galoppavano velocemente, il capitalismo si affermava in tutto il mondo, il divario fra ricchi e poveri aumentava e all’orizzonte si addensavano le nubi del primo conflitto mondiale. Insomma, il quadro dell’artista norvegese era un ritratto della condizione dell’uomo di fronte al progresso ed alla tecnologia ed insieme il presagio di una catastrofe che stava per arrivare.
S e p u l v e d a , 2 0 2 0 . E la nostra artista Paola Montanaro cosa vuole presagire? Forse che in un mondo iperconnesso e virtualizzato come il nostro, dove abbiamo più informazioni di quelle che riusciamo ad analizzare, più foto di quelle che riusciremmo mai a guardare e un autentico surplus di comunicazione, comunque alla fine non riusciamo a dare priorità ed importanza o quantomeno a scegliere le informazioni corrette, importanti o quanto meno più utili per noi? Oppure, l’Urlo della nostra artista ci racconta che per fare emergere una protesta, un messaggio, dal confuso rumore di fondo della comunicazione odierna, abbiamo bisogno necessariamente di un megafono? O, infine, che dobbiamo rassegnarci al fatto che i poteri forti hanno compreso che, nel mondo virtuale e non, la censura non deve più oscurare o rimuovere una giusta causa o un messaggio, ma basta che lo sommerga, anzi lo affoghi, in una marea indistinta e confusa di altre informazioni perché, di fatto, non sia più visibile?
M a r l e n e D i e t r i c h , 2 0 1 6 . Credo che lo scopo, sotteso a questa bellissima opera, consapevole o inconscio che sia, è quello di farci capire l’importanza dei concetti di “attenzione” e “concentrazione”, qualità che i neurologi ci dicono siano drasticamente diminuite negli ultimi 10 anni, passando dai 10 secondi circa a meno di 5; l’opera densa, stratificata e magnetica della Montanaro ci esorta a fermarci, a riflettere, a concentraci, e così facendo ci aiuta a districarci ed orientarci nel mondo d’oggi.
L’arte contemporanea quindi, come mappa e bussola, o se preferite come navigatore, strumento privilegiato per indicarci il cammino, accompagnare i nostri viaggi, e, perché no, anche le nostre cause e le nostre proteste. Un tool, uno strumento, quello dell’arte, che spesso dimentichiamo di utilizzare, ma che può essere quello più importante che abbiamo nella nostra cassetta degli attrezzi, qualunque sia la nostra professione. La bellezza forse non salverà il mondo, ma di sicuro può aiutarci a vivere meglio e più “consapevolmente” le nostre vite, e quindi, alla fine, un poco ci salva. Paola Montanaro classe 1969, originaria di Massafra, ma residente a Lecce, dove vive ed opera. Appassionata fin da giovane di disegno e fotografia, intraprende studi prettamente scientifici che però le forniranno una base essenziale ed originale per la sua ricerca artistica. All’inizio è la grafica che l’avvicina all’arte, ed un materiale che più di tutti caratterizzerà la sua cifra stilistica: la carta. Utilizzata dapprima come supporto, diverrà in seguito, sminuzzata, tagliata e frammentata, materia e mezzo privilegiato per comporre le suo opere artistiche, che vedranno nel collage di carta l’approdo definitivo dell’artista. Composizioni meticce sospese fra grafic art, illustrazione e pop art, i lavori della sua ultima produzione si concentrano sulle tematiche sociali, politiche e dell’attualità che diventano, in virtù della tecnica usata, vere meta-opere, con un significato palese ed uno, o molti, nascosti nelle scritte delle strisce di carta che l’artista ritaglia dalle riviste. Una sfida posta alla nostra capacità di fermarci, concentrarci e scoprire tutti i significati dell’opera. Per informazioni e per contattare l’artista Paola Montanaro: paolamontanaroart@gmail.com – www.paolamontanaro.com – Instagram: paolacollageart Ultime mostre 2019 ARTE MUSA, 1ª edizione Concorso Letterario Germinazioni Arte – Scrivi un quadro d’autore, Lecce; 2018 I Collage di carta, in collaborazione con GeoArk // Arte e Arredo e Antonio Palma ph; Lecce Bene Comune Incontro di lettura de #ilpaneelerose “Per raccontare la realtà con le immagini” – “Dall’autoritratto alle foto di una irrecuperabile ribelle”; Collettiva a tema libero in occasione dell’inaugurazione della nuova sede di Labirinti Artistici, Lecce; 2017 Lecce Fashion Night, Partecipazione, con Madmood, alla serata targata “Confindustria Lecce
Fashion Night”; MUST Museo Storico della città di Lecce – Esposizione di un’opera, omaggio al fotografo Steve McCurry, in occasione della serata inaugurale della mostra fotografica e incontri a tema, a cura della Pro Loco di Lecce; Itinerari Rosa Pro Loco in Puglia tra cielo e… mare, Open Space Palazzo Carafa, Lecce. Ricordiamo ai nostri lettori ed agli artisti interessati che è possibile candidarsi alla selezione della sesta edizione di questa interessante iniziativa scrivendo ed inviando un portfolio alla nostra redazione: redazione@smarknews.it Ti è piaciuto? Cosa ne pensi? Faccelo sapere nei commenti. Rispondiamo sempre. Resta aggiornato sulle nostre pubblicazioni e sulle ultime novità dal mondo del marketing e della comunicazione. Nome Cognome Email * Consenso Consentici di usare i tuoi dati Qui, se vuoi, puoi consultare la nostra Privacy Policy Iscriviti alla newsletter Tutto è comunicazione - L’editoriale di Raffaello Castellano
Dove eravamo rimasti??? Gli ultimi 4 mesi hanno visto l’Italia ed il Mondo intero sprofondare nell’incubo della pandemia da SARS-CoV-2 che tra le altre cose ha monopolizzato e verticalizzato totalmente la comunicazione e l’informazione. Ne è un esempio anche questo magazine, che, a partire dal numero di febbraio “Virale” fino al numero di maggio “Upgrade”, ha dipanato un racconto del quotidiano che si è concentrato interamente sulle problematiche, ma pure le opportunità che un cambio di paradigma così radicale come una pandemia virale porta insite in sé. L’agenda politica, sociale, economica e culturale ha visto l’adozione di un lessico nuovo, di nuovi linguaggi e soprattutto di nuovi comunicatori. Le parole nuove le conosciamo bene, sono: quarantena, lockdown, coronavirus, Covid-19, emergenza sanitaria, zona rossa, contagio, infetti, terapia intensiva, etc.. Il linguaggio nuovo è stato quello dei bollettini della Protezione Civile, delle Conferenze Stampa del Governo a tarda notte, delle dirette Facebook, delle stanze di Zoom, delle videochat di Skipe, degli innumerevoli webinar, videoconferenze e corsi online che si sono susseguiti senza soluzione di continuità. I nuovi comunicatori sono stati un po’ a sorpresa gli scienziati, soprattutto epidemiologi, virologi, biologi, medici, veterinari, esperti di statistica e giornalisti scientifici, che hanno spopolato su tutti i media, soprattutto la televisione, che è passata con “estrema” naturalezza da prime serate animate da Panzironi e il Mago Otelma direttamente a virologi di fama come Ilaria Capua e Roberto Burioni.
I v i r o l o g h i R o b e r t o Burioni e Ilaria Capua Insomma, la scienza, quella ufficiale e rigorosa, ha goduto di uno spazio e di un’attenzione mai viste prima. Vuoi per paura, vuoi per disperazione, tutti noi, all’inizio della pandemia, perfino terrapiattisti, no-vacs e complottisti vari, ci siamo rivolti alla scienza per avere una qualche indicazione, una parola di speranza, un conforto, un’informazione sicura. Ma tutto questo è durato poco, sono stati diversi i fattori che ci hanno piano piano allontanato dalla scienza. Due su tutti, secondo chi scrive, i motivi principali: da una parte la diffusa ignoranza del pubblico generalista sul funzionamento del metodo scientifico, e dall’altro gli scienziati stessi, che, ubriacati dall’attenzione mediatica e abbagliati dalla luce dei riflettori, hanno per la maggior parte sprecato questa occasione d’oro che il virus gli aveva offerto. Ma analizziamo più approfonditamente entrambi i motivi. Per quale motivo l’ignoranza su come funziona la scienza ha portato lentamente ma inesorabilmente le persone a disaffezionarsi agli scienziati? La scienza, al contrario di quello che pensa la gente comune, non fornisce certezze, ma anzi va avanti per tentativi ed errori, teorie e confutazioni, successi e fallimenti. Fra i postulati fondamentali del metodo scientifico ci sono: che una teoria possa essere falsificata, che un esperimento possa essere replicato da un altro gruppo di scienziati, che un articolo scientifico, prima della pubblicazione, debba essere validato da una comunità di pari. Quindi la scienza, nelle migliori condizioni, propone teorie, ipotesi e studi che hanno una funzione pratica, temporanea e possibile di verifiche future. Spingendo più in là il nostro ragionamento, potremmo dire che se qualcuno propone una certezza inconfutabile, assoluta ed immutabile, possiamo stare certi che non si tratta di scienza, ma di qualcos’altro.
F o t o d i G e r d A l t m a n n d a Pixabay Quindi, alla luce del funzionamento del metodo scientifico, abbiamo capito che chiedere certezze alla scienza è non solo sbagliato ma addirittura bizzarro, perché la scienza non è un dogma immutabile, ma un processo dinamico ed in continua evoluzione. Ma veniamo al secondo motivo: è indubbio che la maggior parte degli scienziati passati per la radio, le dirette web e soprattutto la TV, abbiano peccato di narcisismo, finendo molto spesso per litigare fra loro, urlando e contribuendo alla confusione e disaffezione del pubblico, che invece era alla ricerca di rassicurazioni e di qualche parola di speranza. La colpa di questo purtroppo risiede nella natura degli esseri umani, che, posti sotto i riflettori e la ribalta mediatica, spesso perdono la bussola e dimenticano il loro ruolo. A discolpa della categoria si potrebbe addurre il fatto che, ignorati per anni, mai ascoltati, sottopagati e frustrati, gli scienziati si siano fatti prendere la mano e non abbiano saputo gestire un processo comunicativo così ampio, articolato e complesso come quello mediatico, nel quale non ci si rivolge a pochi ricercatori sparsi per il mondo, che in definitiva parlano la stessa lingua, ma ad un pubblico generalista, a digiuno di sapere scientifico e bisognoso di un linguaggio più divulgativo, piano e chiaro. Scopri il nuovo numero: Tutto è Comunicazione La comunicazione è diventata centrale nella vita di tutti noi ed è cambiata molto nell’ultimo periodo a causa dell’epidemia. Abbiamo assistito all’esplosione di nuove piattaforme digitali come Zoom, alla comparsa degli scienziati nei talk show televisivi e ad una comunicazione di brand incentrata su valori diversi rispetto al recente passato.
Ma, come ho ribadito all’inizio di questo editoriale, una cosa è l’informazione, altra cosa è la comunicazione, saper divulgare è una capacità che bisogna saper imparare, coltivare ed esercitare, e gli esempi di semplificazione e potabilizzazione di termini e discipline complesse abbondano. Pensiamo al lavoro di divulgatori scientifici come Piero ed Alberto Angela, Mario Tozzi, Luca Mercalli, di quelli storici come Alessandro Barbero o Paolo Mieli, o di quelli economici come Carlo Cottarelli o Francesco Specchia, quest’ultimo fautore di un comunicazione economica non solo divulgativa, ma addirittura pop, come il fortunato esperimento del canale multipiattaforma POP Economy dimostra. Ed è proprio il giornalista e direttore di POP Economy, Francesco Specchia, che abbiamo intervistato sul tema di “tutto è comunicazione” e che ci ha aiutato ad orientarci meglio in questo particolare periodo storico, congestionato ed intasato di parole, informazioni contraddittorie, dichiarazioni politiche e fake news. I l g i o r n a l i s t a e D i r e t t ore di POP Economy, Francesco Spechhia Prima di concludere, permettetemi un’ultima digressione, che come mia abitudine sarà “laterale”. Quale è, se c’è, la forma di comunicazione che meglio ci può aiutare a comprendere, filtrare e classificare meglio l’immensa quantità di informazione e comunicazione che quotidianamente ci sommerge? Penso, ma sono molto sicuro, che la forma di comunicazione migliore per comprendere il presente sia l’arte, soprattutto contemporanea. Come sapete, quasi dall’inizio della sua nascita questo magazine affida ogni mese il tema alla sensibilità di un artista sempre diverso, scelto proprio per le
sue caratteristiche di stile e linguaggio. Lo sappiamo benissimo che un’immagine ci dice molte più cose di un articolo: è più immediata, più interessante, più seducente, certo non sempre risulta facile, o di univoca o rapidissima lettura, però l’arte (come tutta la cultura) ci costringe in un mondo scandito da tempi sempre più concitati, come questi della ripartenza da Fase 3, a fermarci, guardare, ammirare e riflettere, insomma l’arte, come ho detto altrove, ci aiuta a concentrare la nostra attenzione, affinare il nostro pensiero ed ad approfondire il nostro senso critico. Pensate che stia esagerando? Allora vi propongo un piccolo e veloce test, proponendovi le tre Copertine d’Artista che il nostro magazine ha dedicato negli anni al macro-tema della comunicazione: la prima, del giugno 2015, realizzata da Michele Petrelli, dall’iconico titolo “Enforced Silence” (Silenzio Forzato); la seconda, del giugno 2019, realizzata da Vincenzo Maraglino, dal lapidario titolo “Atrofizzati”, e la terza, quella di questo 74° numero, del giugno 2020, realizzata da Paola Montanaro, dall’emblematico titolo “Urlo”, e vi sfido a trovare tre “sintesi” migliori per raccontare l’attualità, il contemporaneo, la nostra stessa vita. L’arte, e la cultura in generale, ci aiutano a comprendere il presente, immaginare il futuro e ad addestrarci al cambiamento, ed è anche per questi motivi che questo magazine si sforza di avere un approccio laterale ed originale al contemporaneo, proponendovi rubriche come quelle del cinema, della musica e quella della Copertina d’Artista, perché, all’apparenza, potrebbero sembrare superflue od off topic in un mensile di marketing ed innovazione come il nostro, ma in realtà sono quelle che più caratterizzano la nostra natura, il nostro stile, la nostra linea editoriale, e che voi, i nostri lettori, numeri alla mano, sembra apprezziate particolarmente. Buona lettura Raffaello Castellano
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I l g i o r n a l i s t a e D i r e t t ore di POP Economy, Francesco Spechhia Per aiutarci a districarci in questo “assembramento” caotico di dati, informazioni e comunicazioni, noi di Smart Marketing abbiamo intervistato un comunicatore doc, il dott. Francesco Specchia, giornalista, scrittore e conduttore radiofonico e televisivo di lungo corso, noto soprattutto per “POP Economy – Il luna park dell’economia”, famoso ed innovativo format televisivo che approccia il complicato mondo dell’economia con un linguaggio fresco, divulgativo e al contempo approfondito. Domanda: Dott. Specchia, per cominciare, quanto ha inciso nella sua formazione ed esperienza il fatto che lei abbia iniziato i suoi primi passi da giornalista e comunicatore nel mondo della carta stampata in quotidiani come “Libero” e soprattutto “La Voce” di Indro Montanelli? Risposta: “Ha inciso parecchio. Sono stato molto fortunato a vivere, come ragazzo di bottega, l’esperienza di quel covo di spiriti folli che era la Voce, nel ’94. Montanelli era riuscito nell’impresa di riunire sotto la sua ala grandi innovatori grafici e giornalistici come Vittorio Corona, giovanissimi talentuosi come Travaglio e Gomez, firme che avevano fatto la storia della carta stampata come Sergio Saviane. Ha reso il giornalismo libero, è stato gambizzato per questo; e ci ha instillato un senso della scrittura, della notizia e dell’onore inarrivabili. Il mio primo figlio si chiama Gregorio Indro non a caso. Libero, invece, l’ho vissuto da padre fondatore: rispetto alla Voce è meno geniale ma più solido, e Feltri è la naturale prosecuzione – anche se animato da sentimenti opposti – di Montanelli, solo più bravo nel dirigere l’orchestra”. Scopri il nuovo numero: Tutto è Comunicazione La comunicazione è diventata centrale nella vita di tutti noi ed è cambiata molto nell’ultimo
periodo a causa dell’epidemia. Abbiamo assistito all’esplosione di nuove piattaforme digitali come Zoom, alla comparsa degli scienziati nei talk show televisivi e ad una comunicazione di brand incentrata su valori diversi rispetto al recente passato. Domanda: A proposito di Indro Montanelli, cosa pensa della recente ondata di sdegno anti razzista e politicamente corretto che sta travolgendo l’opinione pubblica mondiale, al seguito dell’omicidio da parte della polizia americana di George Floyd, e che si sta abbattendo anche, e soprattutto, sulle statue di personaggi storici del passato? Risposta: “Il caso della sposa bambina è ciclico e alimentato da avversari politici che a Montanelli non son degni di lustrare le scarpe. Indro spiegò bene quali erano le condizioni storiche e giuridiche di quel matrimonio. Non tirerò fuori tutte le eccezioni del caso, dalle unioni con ultraminorenni di Maometto al concetto storico di “maggiore età” che cambia nella storia. E l’attacco alla sua statua non ha nulla a che vedere con George Floyd. Dovrebbero prendere quei quattro idioti vandali e spiegar loro di un signore che è stato condannato a morte dai nazisti, a cui hanno sparato le Brigate Rosse, che è stato cacciato sia dal giornale di cui era il campione sia da quello che egli stesso aveva fondato. Il vecchio Cilindro ha rifondato il nostro mestiere, dovremmo amarlo in silenzio solo per questo”. Domanda: Come è cambiata, se lo ha fatto, la comunicazione politica, scientifica, sociale ed economica durante questa pandemia? Risposta: “Quella politica si è spinta in modo ossessivo sugli annunci e sulle promesse non
mantenute (Alex Zanardi diceva che se un allenatore facesse quelle promesse sarebbe licenziato, i politici invece li rieleggono). Quella scientifica, specie dei virologi, ha occupato tutti gli interstizi della comunicazione, sostituendosi pericolosamente a quella politica. Le comunicazioni sociale ed economica sono diventate una fastidiosa appendice della realtà nel mondo descritto dalla comunicazione politica. E’ un circolo vizioso che prima o poi dovrà rompersi. E allora andremo alle elezioni”. Domanda: Durante il lockdown abbiamo assistito a due fenomeni comunicativi in antitesi fra loro. Da una parte abbiamo avuto la prepotente ascesa degli scienziati, soprattutto virologi, biologi ed epidemiologi, su tutti i media, dalla radio alle dirette facebook, dalla carta stampata alla tv, dove mai prima d’ora si era visto un tale spazio dedicato alla scienza. Dall’altra parte, nel clima di paura ed incertezza, è esplosa la produzione e circolazione di fake news e bufale che hanno intossicato il dibattito pubblico e, cosa assai più grave, anche quello politico. Come possono stare insieme le due cose, scienza e fake news, scienziati e complottisti? Sono davvero il sintomo di un’arteriosclerosi della comunicazione? Risposta: “Più che arteriosclerosi io parlerei di cortocircuito. Le fake sono il vero dramma del secolo, perché con questo giornalismo “a rete”, conseguenza nefasta del web e dei social, è sempre più difficile distinguerle dalla verità; mentre i virologi sono un fenomeno temporaneo ma che sta anchilosando, come dicevo, la nostra comunicazione. In Italia, oggi, i virologi hanno una voce oracolare, qualsiasi boiata dicano. Mentre in Usa, per dire, sono già diventati una caricatura. Si tratta di aspettare e ancorarsi, come una volta, alla veridicità delle fonti”. D a s x l o p s i c ologo e filosofo austriaco Paul Watzlawick e il giornalista e politologo statunitense Walter Lippman Domanda: A proposito di arteriosclerosi della comunicazione, concetto caro alle teorie di Paul Watzlawick, come si concilia, secondo lei, il primo assioma della comunicazione: “è impossibile non comunicare”, postulato dallo psicologo e filosofo austriaco, principale esponente della Scuola di Palo Alto, nel mondo iperconnesso e virtualizzato di oggi? Questo assioma ha perso vigore, o è più valido che mai? Risposta: “Nel mondo iperconnesso si sprecano le teorie e le definizioni: Walter Lippmann, per esempio, dice che le notizie formano una sorta di pseudo-ambiente, ma le nostre reazioni a tale ambiente non sono affatto pseudo-azioni, bensì azioni reali. Si comunica sempre, forsennatamente, anche se in modo sempre diverso. Nel mio mestiere ora si staglia perfino la moda del “robot
journalism”, una definizione che viene associata all’uso di software in grado di realizzare testi di senso compiuto senza l’intervento dell’uomo. Credo che passerà anche questa. Ma, certo, così com’è messa la società, non puoi evitare di esprimerti…”. Domanda: Per concludere, lei è un esperto riconosciuto di comunicazione, soprattutto economica, che attraverso i suoi vari programmi, in particolare con POP Economy, ha reso divulgativa e chiara; secondo lei, guardando agli ultimi mesi, come si è comportata la comunicazione scientifica sul web ed in tv? Gli scienziati hanno avuto un approccio divulgativo, sono ancora troppo complicati, o hanno sprecato un’occasione, anche per eccesso di vanità e protagonismo? E, alla luce della pandemia di Covid-19, quanto è e sarà importante la “comunicazione scientifica” nelle nostre vite? Risposta: “La comunicazione scientifica del Covid, volgarizzandosi, diventando seriale e adeguandosi alle esigenze televisive, ha senz’altro perso un po’ in autorevolezza, spesso rendendo narcisi personaggi di un’austerità di solito invincibile. Ma tornerà a riacquisire i propri spazi e le propria ineluttabilità quando passerà il Coronavirus e gli Italiani torneranno ad essere – a secondo dei momenti – soltanto un popolo di poeti, santi, navigatori, allenatori di calcio, costituzionalisti, espertoni di fondi europei…”. Francesco Specchia, fiorentino di nascita, veronese d’adozione è giornalista, scrittore e autore tv. Ha una laurea in legge e una specializzazione in comunicazioni di massa e antropologia criminale, ma non gli sono servite a nulla. Tra i fondatori del quotidiano “Libero” dove scrive di politica, cultura, tv e mass media, ha lavorato, tra gli altri, per Indro Montanelli alla Voce e per Angese assieme ai grandi satirici italiani. Per anni titolare del “Telebestiario” sul TgCom, in radio ha firmato trasmissioni per Radio Monte Carlo e R101 e “Prima pagina” su Radio3 Rai; e partecipato alla fondazione di “Agorà” su Raitre. Ha scritto e condotto programmi televisivi disparati e disperati, tra cui i talk show politici “Iceberg”, “Alias” , “Versus”, e “I Tartassati- Storie di fisco e dintorni”. Tra i suoi libri: saggi tra cui “Diario inedito del Grande Fratello” (Gremese), “Gli Inaffondabili” (Marsilio), “Terrorismo -L’altra storia” e “Giulio Andreotti-Parola di Giulio” (Aliberti). Bazzica spesso la tele, in programmi seriosissimi. Tifa per la Fiorentina, i film di genere e i fumetti d’autore. Ha due figli; il suo primogenito si chiama Gregorio Indro (e ancora si chiede il perché, ma quando sarà grande capirà…).
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del distanziamento sociale, in questo nuovo scenario un ruolo chiave nella fase promozionale deve essere attribuito allo storytelling aziendale che si deve adattare al nuovo “mondo” e deve non solo essere in grado di comunicare i nuovi valori ma anche scegliere il modo più giusto. Cambio di rotta La priorità, adesso, è comunicare la sicurezza, la pulizia e soprattutto il distanziamento sociale. Le persone che ancora sono “scosse” dal momento storico che stiamo vivendo, e dal lungo periodo di reclusione che hanno subito, si ricorderanno e apprezzeranno sui brand che puntano sulle persone e sulla solidarietà. In una strategia comunicativa non deve mai essere sottovalutato il posizionamento, inteso come posizione che il brand occupa nella mente del consumatore, in quanto potrebbe determinare il successo o il fallimento di una campagna promozionale. Basti pensare alle perdite subite dal famoso brand di birre Corona che proprio a casa dell’associazione al nome del temuto virus, specie in Cina, ha subito una calo delle vendite per un ammontare di circa 285 milioni di dollari. Oppure il caso contrario quello di Barilla che elencando i nomi delle persone che continuavano a lavorare e quindi permettevano di produrre la pasta per gli italiani, è entrata favorevolmente nell’immaginario collettivo ed ha mantenuto le sue vendite anche
in una fase di pandemia. Il caso Burger King Comunicare dei valori, però, non vuol dire non poter introdurre nella propria strategia la creatività e l’ironia. Lo sa bene Burger King che ha puntato tutto proprio sull’ironia per risultare credibile e al tempo stesso affidabile. Al centro del discorso c’è sempre il panino più famoso della catena, il Whooper. Ovviamente oltre a comunicare la sicurezza dei propri locali, adeguati alle norme vigenti, Burger King non si ferma (ed è qui la sua forza), ma lancia un nuovo panino con una dose tripla di cipolla che garantisce l’assoluto distanziamento sociale, il tutto comunicato con claim e grafica accattivante sui propri social network. Un modo ironico e creativo che ha permesso al fast food di continuare a lavorare anche in questo periodo così difficile, con un posizionamento nella mente del cliente assolutamente unico, coerente e vincente. Ti è piaciuto? Cosa ne pensi? Faccelo sapere nei commenti. Rispondiamo sempre. Resta aggiornato sulle nostre pubblicazioni e sulle ultime novità dal mondo del marketing e della comunicazione. Nome Cognome Email *
Consenso Consentici di usare i tuoi dati Qui, se vuoi, puoi consultare la nostra Privacy Policy Iscriviti alla newsletter Pubblicità durante il lockdown: 3 approcci comunicativi Il mondo, lo vediamo tutti ogni giorno, sta vivendo un rapido cambiamento che ha avuto inizio con il lockdown e l’emergenza sanitaria. Non solo sono cambiate le nostre vite e il nostro modo di approcciarci al Web, con la diffusione di video e sistemi di messaggistica, ma anche il modo di fare pubblicità. Tutte le aziende hanno dovuto ripensare al modo in cui trasmettere i messaggi commerciali in questa fase, per parlare nel migliore dei modi a consumatori chiusi in casa. Meglio mantenere la comunicazione pre lockdown o utilizzare nuovi approcci? Ecco i risultati di uno studio del gruppo Dentsu Aegis Network e Toluna che presenta i 3 approcci comunicativi utilizzati dalle aziende. I 3 macro approcci alla comunicazione pubblicitaria durante il lockdown Dentsu Aegis Network e Toluna, agenzie di ricerca specializzate in digital marketing hanno realizzato uno studio per analizzare gli approcci alla comunicazione pubblicitaria durante il lockdown. I risultati hanno permesso di capire come il mondo della pubblicità abbia risposto all’emergenza coronavirus dei primi mesi del 2020. Scopri il nuovo numero: Tutto è Comunicazione La comunicazione è diventata centrale nella vita di tutti noi ed è cambiata molto nell’ultimo periodo a causa dell’epidemia. Abbiamo assistito all’esplosione di nuove piattaforme digitali come Zoom, alla comparsa degli scienziati nei talk show televisivi e ad una comunicazione di brand incentrata su valori diversi rispetto al recente passato. Tutte le aziende, infatti, hanno dovuto rivedere le strategie di comunicazione, la creatività dei messaggi e la pianificazione della distribuzione. Sono stati così individuati tre macro approcci usati dal brand per fare pubblicità durante il lockdown: 1. Approccio go ahead: è l’approccio utilizzato da tutte quelle aziende che hanno deciso di mandare in onda uno spot progettato già prima della pandemia e dell’emergenza COVID-19. 2. Approccio capitalize: è la strategia utilizzata dalle aziende che hanno creato uno spot adatto alle circostanze, ad esempio usando lo slogan #andratuttobene e #iorestoacasa. 3. Approccio adaptive: si tratta delle aziende che hanno modificato in parte spot televisivi
progettati prima del coronavirus, aggiungendo codini o scritte in sovraimpressione. Pubblicità e COVID-19: le modalità di ricerca La ricerca condotta da Dentsu Aegis Network e Toluna ha coinvolto ben 2.250 intervistati in Italia, suddividendoli in gruppi uguali tra loro per criteri socio-demografici, conoscenza e acquisto dei prodotti pubblicizzati. Ogni gruppo ha poi visto uno specifico spot e sono state analizzate le reazioni sulla base di 4 KPI: ■ Gradimento; ■ Coerenza con il contesto e il momento storico; ■ Percepito di marca; ■ Considerazione dei prodotti e servizi pubblicizzati. Gli stessi 15 spot oggetto della ricerca sono stati raggruppati e suddivisi sulla base degli approcci go ahead, adaptive e capitalize. I risultati hanno dimostrato che le aziende che avevano realizzato uno spot su misura per il COVID-19 secondo l’approccio capitalize hanno ottenuto i migliori risultati, ma in molti casi non fare nulla e adottare una strategia go ahead ha portato a risultati pressoché identici. Cosa si può dedurre? Lo studio ha dimostrato come mantenere gli spot e la comunicazione pubblicitaria programmata sia un modo sicuro per preservare una percezione positiva del brand nella mente dei consumatori, generando un circolo virtuoso. L’approccio adaptive, invece, è stato quello che ha ottenuto i risultati di impatto e gradimento più bassi, probabilmente a causa delle diverse settimane di esposizione a pubblicità e raccomandazioni sul tema Coronavirus. Il pubblico, secondo i risultati dell’indagine, ha continuato a premiare il brand che comunicava in modo uguale
al periodo pre-emergenza. Pubblicità e COVID-19: l’importanza del contesto Analizzando in modo ancora più approfondito i risultati dell’indagine emergono anche dati utili a capire come affrontare il futuro dal punto di vista della pubblicità e come tornare alla normalità. Quello che è rimasto il miglior modo di comunicare è un messaggio pubblicitario basato su valori profondi e fondanti dei marchi, rassicurando allo stesso tempo i consumatori. Si conferma, quindi, l’efficacia di un approccio go ahead in cui i brand rispondono alle circostanze facendo leva sul sentiment dei consumatori, ma non modificano la comunicazione cercando di adattarla all’emergenza sanitaria. Sicuramente in un contesto socio-economico che sta cambiando, le aziende devono imparare a guardarsi attorno per adattare le strategie di comunicazione e comprendere le nuove abitudini e necessità dei consumatori, senza tuttavia stravolgere la loro identità e valori storici. Ti è piaciuto? Cosa ne pensi? Faccelo sapere nei commenti. Rispondiamo sempre. Resta aggiornato sulle nostre pubblicazioni e sulle ultime novità dal mondo del marketing e della comunicazione. Nome
Cognome Email * Consenso Consentici di usare i tuoi dati Qui, se vuoi, puoi consultare la nostra Privacy Policy Iscriviti alla newsletter L’ascolto mediato dalle arti sonore come strumento di comunicazione e conoscenza del territorio: Intervista alla sound artist Daniela Diurisi Le esperienze contemporanee del distanziamento sociale hanno evidenziato quanto siano importanti nella nostra vita la comunità di riferimento e la possibilità di poter mantenere con gli altri una comunicazione efficace che superi le barriere fisiche. Abbiamo preso consapevolezza di non essere affatto quegli esseri asociali e che possono vivere bene da soli che credevamo; al contempo, ci siamo riappropriati della lentezza del tempo, della riflessione, del silenzio, e, probabilmente, abbiamo ristabilito anche un equilibrio ed una connessione più profonda non solo con gli altri, ma anche con noi stessi. Nel mondo in cui niente si assapora ma tutto si consuma, persino la musica è veloce, fruita in streaming distrattamente ed in cui vanno per la maggiore brani corti e poco complessi perché non c’è il tempo per lasciare spazio a domande e riflessioni. In questo contesto, il silenzio non è contemplato e, bombardati come siamo da stimoli visivi e sonori, ci ritroviamo a non essere più capaci di guardare ed ascoltare benché abili a vedere e sentire.
L a s o u n d a r t i s t s a l e n t i n a D aniela Diurisi Non è solo un fatto di percezione, è comunicazione: l’ascolto non passa soltanto per un brano musicale ma investe tutti i campi della nostra vita, li sentiamo, ma non siamo più capaci di ascoltare veramente gli altri; non riuscendo a comprenderli, non riusciamo a stabilire una connessione efficace e la situazione peggiora se ci affidiamo alla vista per percepire il mondo circostante ed orientarci. Quante volte ci sarà capitato di prestare attenzione all’abbigliamento di qualcuno appena conosciuto per cercare di comprendere chi fosse, invece di prestare attenzione a quello che ci stava raccontando di sé? Lo stesso comportamento lo adottiamo quando cerchiamo di leggere un territorio, rimaniamo affascinati dalle sue architetture, dai colori, dal paesaggio, ma non siamo in grado di riconoscerne i suoni. Scopri il nuovo numero: Tutto è Comunicazione La comunicazione è diventata centrale nella vita di tutti noi ed è cambiata molto nell’ultimo periodo a causa dell’epidemia. Abbiamo assistito all’esplosione di nuove piattaforme digitali come Zoom, alla comparsa degli scienziati nei talk show televisivi e ad una comunicazione di brand incentrata su valori diversi rispetto al recente passato.
Questo accade perché l’ascolto presuppone una lentezza che non siamo più abituati a sperimentare, ma di cui dovremmo riappropriare per riconnetterci ai luoghi ed alle persone che li hanno abitati, anche per ridisegnare un futuro diverso, più sostenibile e più equo, cercando di mediare tra le varie istanze di tutti gli attori di un territorio. Abbiamo chiesto alla sound artist salentina Daniela Diurisi, che ha realizzato la traccia sonora della nostra Copertina d’Artista del maggio 2020 (Upgrade), di raccontarci le trame e gli aspetti che investono la comunicazione non visiva concentrata sull’ascolto e, più in generale, le enormi potenzialità delle arti sonore come strumento di comunicazione intergenerazionale, coesione sociale e conoscenza del territorio, a partire dalla sua esperienza di organizzatrice del 9° forum internazionale sul paesaggio sonoro, all’interno degli spazi della Distilleria “De Giorgi” a San Cesario di Lecce dove, dal 2018, si occupa di progettazione di eventi, didattica e produzione come artista sonora nell’ambito del progetto “Alchimie – la Distilleria De Giorgi residenza artistica di comunità”. Domanda: Nel corso della sua esperienza, ha avuto modo di confrontarsi con la realizzazione di percorsi sonori “al buio” insieme ad associazioni di non vedenti, come nasce un progetto di questo tipo ed a chi si rivolge? Risposta: Nel 2008 lavoravo ancora in uno studio di post produzione audio a Bologna. È stata un’esperienza molto densa che mi ha permesso di immergermi nel mondo dei suoni a 360°. In quegli anni mi stavo riavvicinando al mio territorio di origine, Lecce, dove poi mi sono trasferita e dove adesso abito. Mi sono occupata, proprio nel 2008, di portare all’interno di un convegno sulla comunicazione a Lecce un percorso, strutturato dallo studio in cui lavoravo, relativo alla comunicazione non visiva,
concentrato sull’ascolto. Su suggerimento dei responsabili dello studio abbiamo organizzato, fra le varie iniziative, una cena al buio con il coinvolgimento di un’associazione di non vedenti, composta da cuochi e camerieri professionisti, della provincia di Bologna. Abbiamo pensato ad una proposta di questo tipo, rivolta a persone che partecipavano al convegno come esperti o uditori, quindi interessate ai temi della comunicazione, perché l’inversione dei ruoli permette l’apertura sensoriale a nuove prospettive. È stato molto complicato oscurare perfettamente la sala, perché gli occhi cercano a tutti i costi di vedere ed un minimo bagliore fa sì che pian piano tutto appare. Solo con il buio totale ci immergiamo nell’oscurità e gli altri sensi sono liberi di prendere il posto della vista e guidarci nell’esperienza. L’egemonia dello sguardo perde la sua forza e il mondo intorno cambia forme e dimensioni. Ovviamente i non vedenti si muovono abitualmente in questo spazio per noi inesplorato ed ecco che i ruoli sono capovolti. L’udito, in questa particolare condizione, ci aiuta ad orientarci nello spazio, disegnando distanze, e a cercare di riconoscere le persone che ci sono vicine dall’intonazione della voce, ma in generale, come accade per il gusto, il tatto e l’olfatto, il senso si apre e comincia ad ascoltare con profondità e il mondo sonoro appare in tutte le sue trame. I luoghi hanno in sé una propria identità sonora che li rende unici? Certamente. Si parla infatti di “Impronta sonora” definendo un suono di riferimento (soundmark) di una determinata comunità, che per la sua unicità contribuisce a determinarne l’identità culturale. Chi è incuriosito da questi temi non può non leggere quello che è il punto di riferimento degli studi sul paesaggio sonoro, il libro del compositore, scrittore e ambientalista canadese Raymond Murray
Schafer “Il Paesaggio Sonoro”. Come fondatore del World Soundscape Project presso la Simon Fraser University, Schafer ha incoraggiato accademici e musicisti a registrare e preservare l’ambiente sonoro del pianeta. A proposito delle impronte sonore l’autore dice: “Una volta che un’impronta sonora è stata identificata, meriterebbe di essere protetta, perché le impronte sonore rendono unica la vita acustica di una comunità” (Schafer). Se pensiamo a quali possono essere i suoni identitari dello spazio che viviamo, la prima strategia utile è quella di chiudere gli occhi e ascoltare. Se siamo in un ambiente hi-fi (hight fidelity), cioè con un buon rapporto suono/rumore (ad esempio in un piccolo paese del sud alla controra), possiamo trovare qualcosa che solo noi ascoltiamo o comunque ascoltiamo in quel particolare modo. Provo a fare un esempio: nel mio paese c’è l’arrotino. Ogni tanto passa per le vie con il suo camioncino munito di altoparlante, solitamente lo fa dopo pranzo; credo che da quando sono nata ho sentito l’arrotino. È un suono particolare perché è in movimento. Oltre ad avere delle frasi che annunciano il suo passaggio, queste frasi “camminano”, cambiano i loro parametri: il volume, il pan (per intenderci passando dall’orecchio destro al sinistro), il timbro (se il camioncino passa dietro casa i palazzi fanno da “scudo” e il suono della voce cambia). Insomma l’arrotino è una vera e propria composizione in movimento, mai uguale a se stessa, e posso dire che è un’impronta sonora del mio paese. Naturalmente l’ho più volte registrato per preservarne la memoria.
L’ascolto di suoni, rumori, racconti, memorie, voci, possono ridisegnare uno spazio fisico, ristabilendo una connessione tra chi abitava quei luoghi e chi li abita o li abiterà in futuro? Il dialogo si basa sull’ascolto, l’ascolto ci permette di ottenere un dialogo trasversale che può produrre contenuti condivisi. Ascoltando ci si può confrontare da un lato su quello che potrebbe essere migliorato, dall’altro su quello che può essere recuperato e infine su quello che alle volte è presente ma si fa fatica a focalizzare e quindi valorizzare. Per affrontare la questione alla luce di questa tripartizione: passato/presente/futuro, è necessario che tutti facciano la loro parte. La costruzione che alle volte può divenire decostruzione ha bisogno di uno sguardo multisensoriale e infragenerazionale. Il suono ricopre un ruolo importante non solo per la parte più immediata legata al linguaggio, ma anche per la sua dimensione impalpabile più legata all’ambiente e all’ecologia. Ci troviamo molto spesso di fronte all’incomunicabilità tra vari attori di un territorio, mossi da interessi e visioni differenti: i soundscape studies possono essere concretamente il mezzo con cui la comunità dialoga, favorendo così lo scambio intergenerazionale e la coesione sociale? I soundscape studies che, interpretando il paesaggio sonoro come scatola sonora in cui accade la nostra vita, testimoniano l’identità dei luoghi e delle persone, che a loro volta vivono in queste
scatole, si concentrano sulle modalità con cui il suono partecipa alla percezione e alla comprensione dello spazio, possono essere mezzo per connettere gli abitanti al luogo in una modalità lenta, dove il tempo dell’ascolto diviene fondamentale per l’intreccio delle visioni e la costruzione collettiva del nostro presente. Il concentrarci sull’ascolto tramite i soundscape studies ci consente di avvicinarci ad un linguaggio inesplorato con un tempo inusuale. Il tempo dell’ascolto richiede “tempo”, traduciamo questo gioco di parole in un fatto concreto che riguarda l’indisponibilità all’ascolto, un’inevitabile causa di distacco generazionale, superficialità anche dovuta ad una diffusione di una moltitudine di informazioni “veloci”. L’esperienza del lockdown ha cambiato il nostro modo di comunicare e ridisegnato il paesaggio sonoro di molte città. Secondo lei, le mappe sonore potrebbero costituire un modo differente di fruire di un territorio senza recarsi materialmente sul posto? Abbiamo vissuto per tre mesi un’esperienza fuori dal comune. Molti di noi si sono interrogati su questioni qualitative: abbiamo visto le acque trasparenti e piene di pesci dei canali di Venezia, abbiamo vissuto le nostre case in ambienti acustici nuovi, dove il canto degli uccelli ha sostituito il rumore delle macchine, la natura si è riappropriata dei suoi spazi. Possiamo pensare che abbiamo vissuto un paesaggio sonoro del passato, possiamo solo immaginarlo, ma forse la strada in cui viviamo suonava proprio così, se avessimo registrato i vari punti di un paese durante il lockdown avremmo potuto impostare una mappa immaginaria dei luoghi nel passato.
Le mappe sonore sono senz’altro una possibilità di fruizione del territorio differente e sì, possono essere strumento “a distanza”, ma vedo le loro potenzialità anche come ausilio ad una visita fisica. Le mappe possono contenere racconti, suoni reali o immaginati, e se costruite insieme alle comunità possono restituire una visione dei luoghi dal di dentro. Proprio in questo periodo stiamo attivando un percorso partecipato con gli abitanti del paese in cui vivo, il progetto si chiama “Il paese che parla”, creeremo una mappa dotata di QrCode che conterranno audio narrazioni a cura degli abitanti e paesaggi sonori privati, cioè individuati dai cittadini come tratti distintivi della loro percezione acustica del luogo. Penso che sarà un progetto molto interessante sia per gli avventori esterni, che potranno conoscere il paese in una chiave del tutto differente, che per gli stessi abitanti che si ascolteranno e ascolteranno l’auto percezione della comunità. Per i fruitori esterni credo che sia un po’ come quando per caso, in un viaggio, si ha occasione di essere invitati a cena da una persona del luogo, si gustano i cibi locali, si vive la dimensione privata, insomma un viaggio vissuto. Daniela Diurisi ha studiato musica al DAMS di Bologna, ha conseguito nel 2016 la laurea di Secondo livello in Musica Elettronica presso il Conservatorio “T. Schipa” di Lecce. E’ sassofonista (sax baritono e tenore), si occupa di sound design e arte sonora, in particolare sperimentando le possibilità di incontro fra il suono ed il teatro, sviluppando un percorso di ricerca a cavallo fra le arti performative e il puro ascolto. Realizza composizioni sonore per il teatro e per i media. Ha lavorato nella post produzione audio per il cinema, tv, localizzazione di videogames, ha condotto progetti «al buio» con il coinvolgimento di associazioni di non vedenti per nuovi percorsi della comunicazione non visiva. Si occupa di esecuzione e composizione Acusmatica. Per informazioni e per contattare l’artista: Daniela Diurisi: danieladiurisi@tiscali.it Soundcloud Ti è piaciuto? Cosa ne pensi? Faccelo sapere nei commenti. Rispondiamo sempre. Resta aggiornato sulle nostre pubblicazioni e sulle ultime novità dal mondo del marketing e della comunicazione. Nome
Cognome Email * Consenso Consentici di usare i tuoi dati Qui, se vuoi, puoi consultare la nostra Privacy Policy Iscriviti alla newsletter Si avvicina l'attesa edizione 2020 dei Nastri d'Argento del cinema italiano Periodo non facile anche per il cinema, ormai lo diciamo da un po’, ma questo non ha mai fermato la sua voglia di ripartire e di riprendersi i suoi spazi. Così assistiamo, in questa strana estate 2020, alla creazione di nuove aree di cinema all’aperto, a nuove modalità di fruizione del prodotto film e alla trasformazione di formule collaudate per conformarsi alle necessarie regole di sicurezza. In questo scenario si inseriscono premi, festival e anche la cerimonia dei Nastri d’Argento, il più antico premio cinematografico italiano, assegnato ogni anno dal Sindacato nazionale giornalisti cinematografici italiani (SNGCI), dal 1946; quest’anno la cerimonia, spostata al Museo MAXXI di Roma, si svolgerà in presenza il 6 luglio. Sarà un’edizione necessariamente diversa dalle altre; la diretta, che andrà in onda su Rai Movie, si svolgerà sicuramente nel rispetto delle norme di sicurezza e adotterà inevitabilmente un registro
meno sfavillante e più pacato rispetto alle scorse edizioni, ma quello che possiamo dire è sicuramente che il nostro paese ha bisogno di tornare a sognare e di conseguenza ha bisogno del cinema per farlo, qualsiasi forma esso adotti. Il pensiero va automaticamente ad un altro premio cinematografico importante, svolto in piena pandemia, il David di Donatello, che l’8 maggio scorso, in presenza solo del presentatore Carlo Conti, ha avuto luogo con una cerimonia, sicuramente sottotono, ma che è ugualmente riuscita a regalare momenti d’emozione agli attori e professionisti protagonisti e anche al pubblico a casa. Diversi saranno, per fortuna, i Nastri d’Argento che si svolgeranno in presenza a Roma, ma ciò che resta uguale è l’esigenza che abbiamo di andare avanti e di riappropriarci di una sorta di normalità che ci faceva sentire tranquilli, quella parte di normalità sana, che produce bellezza, arte e cultura. Scopri il nuovo numero: Tutto è Comunicazione La comunicazione è diventata centrale nella vita di tutti noi ed è cambiata molto nell’ultimo periodo a causa dell’epidemia. Abbiamo assistito all’esplosione di nuove piattaforme digitali come Zoom, alla comparsa degli scienziati nei talk show televisivi e ad una comunicazione di brand incentrata su valori diversi rispetto al recente passato. In attesa del 6 luglio, qui i film, gli attori ed i professionisti del settore candidati all’ambito premio: Miglior film Gli anni più belli Hammamet La Dea Fortuna Favolacce Pinocchio Migliore regia Gianni Amelio – Hammamet Pupi Avati – Il Signor Diavolo Cristina Comencini – Tornare Fratelli D’Innocenzo – Favolacce Matteo Garrone – Pinocchio Pietro Marcello – Martin Eden Mario Martone – Il sindaco del rione Sanità Gabriele Muccino – Gli anni più belli Ferzan Ozpetek – La Dea Fortuna Gabriele Salvatores – Tutto il mio folle amore Miglior regista esordiente Stefano Cipani – Mio fratello rincorre i dinosauri Marco D’Amore – L’Immortale Roberto De Feo – The Nest Ginevra Elkann – Magari
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