BUONI A NULLA Drammaturgia

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BUONI A NULLA Drammaturgia
Finalista bando testinscena® 2020

                BUONI A NULLA                                                              Buoni
                                                 Un’indagine etnografica teatrale sulle persone senz
                      Drammaturgia
         a cura di LorenzoDiPonte
                            e con Markoe Paola
                                       Buqakeja, TobiaGalassi
                                                      Dal Corso, Paola Galassi, Francesca M
                                                                                      Regia di Loren
                                                                                    Scena di Davide
                                                                                     Dramaturg Pao
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PROGETTO PRESENTATO DA:

Compagnia Occhi Aperti

Regia Lorenzo Ponte
Drammaturgia a cura di Lorenzo Ponte e Paola Galassi
Con Marko Bukaqeja, Tobia Dal Corso, Paola Galassi e Francesca
Muscatello
Scene Davide Signorini
Costumi Compagnia Occhi Aperti
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1.
“Marko”

Marko attacca il video in modalità selfie.

Francesca:
       Fuori dalla finestra, grande quanto tutta la parete, la vista delle undici e un quarto di sera
       da un appartamento di Milano sud.
       I vetri sottili non trattengono il rumore delle ambulanze.

Tobia:
         La lampada è accesa in un angolo.
         Due valigie a terra, una rella ikea, una pianta, una poltrona.
         Sopra un letto a una piazza e mezzo, tre cuscini ordinati in cima, le coperte piegate ai
         piedi.
         Tu.

Marko sistema il telefono.

Paola:
         Guardi il telefono. Bevi un bicchiere d’acqua. Riguardi il telefono. Scorri. Spegni lo schermo,
         poggi il telefono. Bevi un altro sorso d’acqua.
         Anche oggi è andata.

Francesca:
       Esci dalla stanza, prendi una candela. Rientri. Non è una classica candela di cera. La metà di
       una buccia d’arancia che hai tagliato con precisione, con la colonnina bianca ancora
       attaccata che fa da stoppino, colma di olio vegetale su un piattino da caffè.

Tobia:
         Ti siedi di fronte alla candela.
         La candela brucia.
         Respiri.

Paola:
         Le cose che devi fare il giorno dopo.

Tobia:
         Le cose che vuoi fare il giorno dopo.

Francesca:
       Le cose che non vuoi fare il giorno dopo.

Paola:
         Respira.
         Le cose che vorresti.
         Concentrati sul respiro.

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Tobia:
         Sei lontano da te, staccato dagli altri, vorresti partire.

Francesca:
       Se la tua mente vaga, annota il pensiero e torna al respiro.

Paola:
         Non ti senti a casa qui.

Tobia:
         Apri gli occhi, bevi un sorso d’acqua. Spegni la candela soffiandoci sopra.

Francesca:
      Se perdessi la passione e il desiderio di fare quello che hai scelto, saresti perduto.

Paola:
         Prendi il telefono, guardi il telefono mentre chiudi le tende.

Tobia:
         Se fallissi saresti come uno che vaga, assopito. Un assopito che vede ma non sente più
         niente.

Francesca:
       Tu vuoi sentire.

Paola:
         Spegni la luce.

Tobia:
         Vuoi sentire il più possibile.

Paola:
         Ti sdrai a letto e metti il cuscino tra le gambe.

Tobia:
         Chiudi gli occhi.

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                                                           Un mosaico di voci di persone senza dimora
                                            in cui sentiamo spezzoni dei sogni che ci hanno raccontato.

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2.
“La prima volta”

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                                                                      Forte rumore di treno che fischia.

Tobia: (a microfono)
        Avete uno due euro? Ho le scarpe piene d'acqua, in piedi inzuppati. Se hai i piedi nell'acqua
        non puoi rimanere serio. Risata. Vi saluto.

Paola:
         Ho appuntamento con un’associazione di volontari che si occupa di senza dimora nella mia
         città. Fatti trovare alle nove nel piazzale davanti alla stazione. Certo. Peccato che il piazzale
         sia gigante, inondato dalla solita fretta milanese, gente ovunque. Chi aspetta, chi trascina
         le valigie, le bancarelle degli occhiali da sole, gente che fuma. Sicuramente, pensavo, sarà
         facilissimo distinguere un milanese medio da un milanese senza dimora.

Marko:
         Quando ne incrocio uno per strada spero sempre non mi chieda nulla. Evito di incrociare il
         suo sguardo. Penso ad una risposta pronta, uno “scusa vado di fretta” o il classico “ho solo
         la carta”.

Paola:
         Vedo un ragazzo con una bella barba rossiccia, un ciuffo da college americano sotto un
         berretto colorato. Parla con tre ragazze magre, bionde, vestite bene. La scena mi colpisce
         perché tiene banco da solo, con tre ragazze così. Forse lui è un senza dimora. Ma mi
         vergogno e distolgo lo sguardo.

Tobia:
         Come gli parlo? Come mi presento? ... mi presento?

Francesca:
       Sorridi, gentile, disponibile. Ma cosa stiamo facendo qui?

Marko:
         Le volte che mi è capitato di lasciare due spicci, mi ha fatto bene.

Paola:
Vedo un capannello di gente. Ma nessuna traccia di pasti da distribuire. Non sono ancora sicura
che siano loro. Mi avvicino: “Scusate, c’è Luca?” Luca è un nome di fantasia per il volontario che mi
aspetta…

Francesca:
D’ora in poi, tutti i nomi delle persone di cui parleremo saranno inventati.

Marko:
Vedo spesso il barbone del Carrefour dietro casa mia. Si lamenta che nessuno gli dà un soldo.
Quando lo vedo ubriaco, mi sento sollevato: non ho contribuito al suo autolesionismo.

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Paola:
Una donna magra, pelle avvizzita anche se giovane, mi risponde con voce rauca da fumatrice:

Francesca (a microfono):
“Quale Luca? Quello alto o quello basso? Perché quello alto si prende cura di me”.

Paola:
Aspetto con loro, non so che dire. Mi sento fuori luogo. Quando arriva Luca succede tutto di fretta,
è pieno di borse con sacchetti di cibo. Mi metto a distribuire senza fare domande.

Tobia:
Non ci posso credere… C’è il mio bidello. Il bidello di un liceo classico in centro a Milano. Quanti
anni fa ho finito il liceo? 6 anni fa. Da quanti anni sarà in strada?

Paola:
Noto che la maggioranza delle persone è divisa in gruppetti. Gli anziani stanno con gli anziani. I
Tunisini con i Tunisini. Napoletani e Palermitani fumano insieme, la vecchia storia del regime
Borbonico. In disparte coppie di ragazzi neri. Poche donne. Accompagnate. Alcuni, soli, prendono i
sacchetti in fretta, un cenno con gli occhi, e poi se ne vanno. C’è il cane di Luca, l’altro Luca, è
l’unico animale presente.

Francesca:
Guardalo. Come scodinzola. Una coccola e un po’ di cibo ed è felice. Sta bene dove lo metti.

Marko:
La gente pensa mangiare bere dormire, vive la giornata invece bisogna guardare avanti. Io quando
riapre i ristoranti, torno a lavoro e poi vengo qui a dare cibo, non li butto più i soldi. Vengo qui e
accompagno le persone a mangiare e bere. Io ringrazio Dio mi ha lasciato in mezzo alla strada ho
capito miei errori.

Tobia:
Il primo impatto è l’odore, penetrante. Eppure pare ci si abitui. Il primo impatto è l’odore.

Francesca:
Ecco, dai. Puzzare. Ci sono delle docce. Perché devi puzzare? Vuoi allontanare tutti e tutto. Vuoi
essere lasciato stare.

Tobia:
Non è sempre puzza. È più odore di qualcosa di diverso che ti entra nelle narici e ti scomoda.

Marko:
Io ho bisogno di vederlo così. Sennò non lo riconoscerei. Così invece posso dire: ecco, un
poveraccio. Tieni una moneta. Io me ne vado rasserenato e anche lui ha il suo ruolo nella vita
cittadina.

Tobia:

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Il fatto è che oltre al sacchetto del cibo in mano, non riesco a trovare tanti tratti comuni tra loro o
delle differenze tra noi e loro, non a prima a vista almeno.

Marko:
(a microfono)
In sti giorni non riesco a dormire. Mi fa male la schiena. Qua. Perché io, mi vedete così, in queste
condizioni qua, ma va bene. Dormo su una panchina. Lasciamo perdere il perché e il percome. Non
c'entra. Sono una persona come un'altra, con un pensiero mio, faccio la mia vita, che è questa qua
da povero. Ma povero nel senso dell'euro, non poveretto che sfortunato o povero di spirito. E
allora va bene, son qui. Però io mai andrei a cercare in un cestino, o per terra. Invece in stazione ci
sono quelli che frugano nell'immondizia. A momenti si mettono a leccare il marciapiede. Quello io
non lo farei mai. Quelli si prostituiscono, fanno qualunque cosa. E si lasciano così, andare. Quelli
sono barboni, che è diverso. Invece ci vuole, no, rispettarsi. Integrità. Perché non è la ricchezza che
definisce un uomo. Ti possono togliere tutto, ma la dignità te la puoi togliere solo tu.

Paola:
Qualche giorno dopo, sono a cena con i miei. Il telegiornale annuncia che è morto l’attore Flavio
Bucci. Solo, alcolizzato e senza un soldo… Mia madre se ne esce così: “Ha fatto delle scelte
sbagliate e le ha pagate”.

Francesca digita Flavio Bucci sul cellulare, da cui sentiamo:
https://www.youtube.com/watch?v=Wh5g1mLDpzU

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3.
“Fallire”

Tobia:
Prima di iniziare questa ricerca, non fumavo. Un paio di sigarette con gli amici. Adesso mi compro
pacchetti da 20 più o meno ogni settimana.
Durante le uscite, camminando per strada, ogni tanto qualcuno di noi si ferma e inizia a rollare una
sigaretta. Allora in silenzio ci si passa il tabacco e ci si ritrova in cerchio a fumare insieme. Ci
guardiamo. Un ragazzo che vive in strada e con cui parlo spesso, mi ha detto che c’è una vecchia
che dà sigarette disinfettate.
In stazione, come in qualsiasi angolo della città, è una buona scusa per attaccare bottone.

Tobia dà una sigaretta disinfettata a Francesca.

Al microfono:
Facci caso. Quante persone non finiscono le sigarette prima di buttarle? Io raccolgo i mozziconi,
prendo il tabacco avanzato e mi fumo la mia sigaretta.

Francesca:
Una sigaretta… Sì, per parlarci. Manco fossimo a un provino. Certo, una sigaretta. Che ci vuole…
Una sigaretta. Chi è che non sa fumare una sigaretta? A me non piace. Fumare fa male… Ok, fumo
la sigaretta. In nome della ricerca.
Allora. Com’è che si fa ragazzi? Così? Non si accende.
Fuma.
Nel preparare questo lavoro, ce lo siamo chiesti… Che cosa significa fallire?
Ecco per me fallire è non sapermi fumare una sigaretta. Fatto.
Per me fallimento è non saper dare il meglio e il massimo di me.

Tobia:
Sono in strada da tre mesi. È una fase.

Francesca:
       Sarà capitato a tutti di sentirsi inadeguati. Fisicamente, culturalmente... A me per esempio
       capita di trovarmi a parlare con qualcuno che credo essere più intelligente di me per qualche
       motivo e allora mi sento inferiore da un punto di vista intellettuale...

Tobia:
         Non ti racconto come sto perché voglio soldi.

Francesca:
       È solo un attimo, una fase, non è una cosa definitiva è un passaggio, ci sono i momenti in cui
       sei fallito poi ti rialzi, cioè non è una...

Tobia:
         Mia madre mi ha messo in un collegio di benedettini a 7 anni e ne sono uscito a 16.

Francesca:

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         È una transizione, è un passaggio appunto... Non è uno stato definitivo delle cose.
         Assolutamente non la vedo così (fuma) no.

Tobia:
         Adesso mi rifaccio la patente. C’è una pizzeria fuori Milano, cercano un fattorino.

Francesca:
       Ecco. I vizi sono un fallimento! Porca puttana se sono un fallimento i vizi! Perché sono il
       contrario della libertà. Se sei libero non sei fallito. Controllarsi!

Tobia:
         Quando bevo riesco a chiedere l’elemosina anche alle donne. Vecchi e bambini mai.

Francesca:
       Al contrario, riuscire a fumarsela senza avere il vizio: questo è un successo.

Tobia:
         In dormitorio non ci vado. Poi mi abituo a questa vita… Così mi muovo ad andarmene.

Francesca:
       L’amore.
       Sei fallito solo se non sei amato da nessuno.
       E’ finita?
       Non riesco a immaginarmelo. Ho una famiglia, degli amici che mi vogliono bene… Non
       penso mi abbandonerebbero mai.

Tobia:
         Ce l’hai una sigaretta?

Francesca:
       Mi dispiace tanto, non fumo.

Francesca crolla a letto con i vestiti addosso.
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 Adesso immaginatevi di dover far iniziare un viaggio a una persona.. cioè tu dici: facciamo questo
spettacolo.. Mattia: (interrompendolo sovrapponendosi) Lo accompagnerei. Lo accompagnerei, gli
    farei fare tutti i giri, i posti dove sono stato, quello si lo farei Lorenzo: E che giro gli faresti fare?
      Mattia: Avanti e indietro per i binari Lorenzo: Ok Mattia: A destra e a sinistra per i palazzi, per
      Milano, in cerca comunque lavoro, sigarette, monete, queste cose. E basta. Cioè, quello che…
 Alessandro: Di far capire proprio il problema. Nel senso che, ades, adesso, gli faccio entr, li farei, li
  facciamo entrare in un in un in una realtà che pochi sanno e non vogliono sapere. Mattia: In tanti
                                                                  lo sanno a modo loro. Non sanno giusto.

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4.
“Paola”

Arriva Paola già in pigiama.

Marko:
         Posso dormire da te?

Tobia:
         Ormai ti conosci, sai che stanotte è meglio non rimanere da sola.

M:
         A questo servono le amiche.

T:
         La notte, ogni rumore diventa spaventoso.

M:
         E se morissi?

T:
         Nessuno se ne accorgerebbe.

M:
         Qualcuno proverebbe a cercarti al cellulare.

T:
         Forse, dopo qualche giorno. Sanno che a volte ti piace sparire. Potrebbero arrabbiarsi e
         lasciarti lì, distesa per terra, come quelle anziane che vengono ritrovate dopo giorni
         morte da sole in casa.

M:
         O quel rumeno di cui hai letto sul giornale. Morto schiacciato dalle camionette dell’AMSA
         sotto i cartoni. Fratture scomposte delle gambe e delle braccia.

T:
         Due camionette. Due. Non se ne sono neanche accorti, a farlo apposta non sarebbe stato
         tanto perfetto: un senzatetto ucciso dai camion dei rifiuti.

M:
         La notte a volte vedi le ombre entrare dalla porta e assalirti.

T:
         Ti raggeli nel letto, fino a quando non trovi il coraggio di accendere la luce.

M:
         Prendi un bastone dall’armadio, guardi sotto il letto e poi tutta la casa, ogni pertugio.

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T:
         La parte peggiore è la porta dello sgabuzzino all’ingresso che lasci sempre socchiusa - e
         invece dentro ci sono solo le scarpe.

M:
         Sei felice di essere qui ora, dalla tua migliore amica.

Paola:
         La mia faccia nei suoi capelli
         le mani piccole
         sono felice di abbracciarla
         sono felice anche di baciarla,
         ma aspetta
         aspetta
         pensavo di volerlo ma no
         aspetta
         aspetta
         ti salgo sopra e mi inciti a continuare
         pensavo di volerlo
         ma mentre vieni penso che no
         non era questo il punto.

         Qualcuno ti consola
         La notte vola
         All'ombra di un respiro
         Io ti sarò vicino
         Ti prego resta ancora bambino.

         Mi sarebbe piaciuto limitarmi alla tenerezza,
         sentire di avere qualcuno di cui prendermi cura,che si prenda cura…
         Che non mi dimentichi.

                                                                                                    Audio:
                                                                     Ho sognato che vincevo all’Enalotto.
                                         Facevo questi numeri: 67, 46, 8, 17. Vincevo 400 euro. E niente...
                                                          Ci andavo avanti. Gioco 1 euro alla settimana.
5.
“Il lavoro rende liberi”

Tutti:
         Lotteria Italia,
                            Lotteria Italia,
                                               Lotteria Italia.

Francesca:
       Sotto i portici di Galleria Vittorio Emanuele II c’è uno degli ultimi gabbiotti della Lotteria.
       Un signore di 86 anni, foggiano, fa questo lavoro da quando a 11 anni è rimasto cieco per
       lo scoppio di una bomba carta. Riconosce le banconote al tatto. Importo e validità. Quando

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         è arrivato l’euro ha pensato di smettere. Si tiene sempre l’ultimo biglietto, ma non ha mai
         vinto.
         Si chiama come il nostro regista, magari ci porta fortuna… Compriamo un biglietto.
         (        ). Se vinciamo almeno ci paghiamo la produzione di questo lavoro. Ci saluta con un
         proverbio.

Marko:
                                               Si ricordi questa frase: Ambo lavorare, terno continuare.

Francesca:
       Stacca il biglietto e prima di darcelo, lo sbatte contro un ferro di cavallo. SBAM.

Tobia:
         Il primo martedì in stazione con l’associazione cattolica, il secondo, il terzo. Il giovedì alla
         mensa dei francescani, la caffettiera il sabato mattina. Un lockdown di mezzo ma ci fanno
         un permesso e usciamo lo stesso, le camminate per la città, le chiacchiere sotto i portici
         intorno ad un’altra stazione di Milano, quella Centrale. Alcuni senza dimora ormai si
         aspettano di vederci; per altri siamo un* dei tanti che porta da mangiare e se ne va.

Marko:
         Senza dimora… Perché definire una persona attraverso ciò che non ha? Io allora cosa
         sarei? Se non lavoro? Un disoccupato?

Francesca:
       Alcuni volontari ci dicono di chiamarli “Amici di strada”. Amici.

Paola:
         Un giorno mi chiama un frate francescano e mi chiede di dare una mano a un ragazzo che è
         finito in strada da pochi giorni. Siamo a giugno.

Marko:
             È un ragazzo giovane, ha 22 anni. Io non me ne intendo per niente di computer, magari
         puoi dargli una mano tu a sistemarsi il curriculum. È albanese, ma viveva a Udine con la sua
                             famiglia. Adesso dorme a San Babila. Mi sembra veramente in gamba.

Tobia:
         Invito a casa mia Andrea. È stata una delle prime persone che ho conosciuto in stazione. Mi
         sono offerto di aiutarlo a sistemare il curriculum… Preparo una pasta alla carbonara.
         Quanta ne faccio?

Marko:
         Non hai pensato potesse essere vegetariano?

Tobia:
         Ero più preoccupato di cosa dire al mio coinquilino…

Paola:

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Finalista bando testinscena® 2020

         Incontro il ragazzo albanese nella mensa dei francescani. È di poche parole. Non sembra
         triste, non sembra allegro, ma nemmeno apatico. È lì per il CV. Non fa chiacchiere. Mi
         chiede di fargli una foto. Da inserire nel cv. Mette le mani dietro la schiena, fa un sorriso
         sornione. Così.

Marko:
         Ciao Nike, un qjuhem Marko e jam prej Shkodret. Kur kam ken 7 vjeç kam arrit me mamin
         ne Itali e jena bashku me Babin qe punote tash dy vjet ktu. Tani mundohem te punoj si
         aktor.

Tobia:
         Il cv di Andrea ha dei buchi. Da quando aveva 18 anni e ha lasciato la famiglia affidataria,
         due anni lavora e uno no. Sei mesi sì, sei mesi vuoti. È un continuo susseguirsi di lavoretti.
         Quasi sempre in nero. Carichiamo il CV su un portale di ricerca di lavoro. Arrivano le prime
         offerte.

Marko:
         Fantastico.

Tobia:
         Magazziniere in un supermercato.

Marko:
         Bello no?

Francesca:
                                      Se dormo in strada non posso andarci, qui non è che c’è igiene…
                                                    sarei pericoloso per gli altri, i miei colleghi, capito.

Marko:
         Vabbé ma intanto vai a lavorare poi si trova una stanza.

Tobia:
         Svuotatutto!

Francesca:
                        Non ho la patente. Magari ora la rifaccio, non so, se devo pagare è un casino..

Tobia:
         Addetto alla sicurezza Covid per Trenord!

Francesca:
                                                             Come ci arrivo tutte le mattine a Saronno?

Marko:
         Vabbeh, senti Andrea…

Francesca:

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            Le nostre storie alla fine sono tutte uguali. Perdita del lavoro perdita della famiglia... Voi
         potete anche darci dei consigli, da persone che vivono fuori ma io ho nella testa dei pensieri
                                                                              e delle voci che sono mie.

Francesca:
       Una volta ho provato una specie attrazione erotica per lui. Non so se era attrazione, ma ho
       pensato che se non avessi certi schemi, gli avrei detto di venire da me… A dormire. Ma
       forse di questa cosa non è il caso di parlarne.

Paola:
         Braccia dietro la schiena e sorriso sornione, 22 anni.
         Operaio in catena di montaggio, ambisce a qualcosa di più. Mette da parte qualche
         stipendio e parte per l’Olanda, scoppia una pandemia mondiale, perde il lavoro, dai suoi
         però non ci torna… Non mi è dato sapere nient’altro. Gli ho mandato una mail sperando
         volesse rivedermi, ma non mi ha mai risposto. Non me la sono sentita di andare in San
         Babila a trovarlo. Lo penso, sorrido tra me quando mi rendo conto che il suo nome in greco
         antico significa vittoria.

Marko:
         -Me ke jeni aty? - Ci sono i volontari, e i compagni di... - Po a e dini se nuk muneni me
         dal? - Abbiamo l’autorizzazione… - Po a e dini se ka virus? - Abbiamo le mascherine
         e si fa tutto mantenedo... - Po ça t’duhet ty me dal po lene at pun - Allora papà,
         facciamo così… lasciate perdere ci penso io.

Tobia:
         Per un po’ non riesco ad andare alle uscite dei volontari. Andrea mi scrive.

-:
         Ciao com'è? Oggi ci sei?

Tobia:
         Ciao Andrea, oggi non riesco
         mi spiace
         Tu come stai?

-:
         Bene dai andiamo avanti. Ma la situazione è simile all'anno scorso
         Poca gente poche siga pochi spiccì

T:
         In questo momento non riesco a esserci, ti scrivo per un caffè quando sono più libero,
         magari venerdì.

-:
         Dai l'importante che stai bene. Quando vuoi volentieri.se venerdi non posso dalle 15 alle 17
         ok? Per il resto posso. Comunque non so se lo sai e lo conoscevi oggi è venuto a mancare
         Pasquale. Quello in carrozzina.

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Tobia:
         Mi dispiace molto. Io ho la mattina libera venerdì, fino alle 14. Potremmo mangiare un
         kebab insieme?

-:
         Sempre volentieri. se riesci ne sarei lusingato

Tobia:
         Ci vediamo la settimana dopo.
         Dopo un anno che vive in strada, ha accettato di chiedere il reddito di cittadinanza.
         Insiste per offrirmi il pranzo. Vuole ricambiare.
         Ci sediamo su una panchina. Parla tanto, ma meno del solito.
         Ci godiamo l’ultimo sole di Milano.
         Sta arrivando il freddo.
         Sembra che si sia chiuso un ciclo.

Paola:
         Braccia dietro la schiena e sorriso sornione, 22 anni. Il suo nome in greco antico significa
         vittoria. Domenica sono uscita a farmi una passeggiata mattutina nel parco sotto casa.
         Pieno di famiglie: genitori che parlano tra di loro e i bambini che giocano. Giovani che
         fanno jogging. Vecchi accompagnati da badanti. Una domenica mattina con la rugiada sul
         prato. Tra gli alberi vedo un corpo avvolto da coperte. Accanto alle coperte c’è uno zaino
         quadrato azzurro fluo con una faccia stilizzata che ricorda un po’ un coniglio, un po’ un
         canguro, un po’ una mano che fa il segno della vittoria.

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6.
Tobia

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                 Io mi continuo a fare sto sogno che sono... eh... che sono una ragazza. Eh c'è questo
             ragazzo che mi dice: “Vieni con me che ti faccio fare una bella esperienza”. E io inizio ad
         inoltrarmi in questo – in questo tunnel dove mi passano i treni e io continuo a inciampare e
               quasi finisco sotto i treni. Eh passiamo davanti a questi... tre nicchie che sono coperte,
          dove vedo della gente legata al muro e seviziata, torturata e io mi spavento e mi sveglio di
                                                                                                   colpo.

Paola
         Sai per certo, ora, che quando dormi in un letto nuovo, sogni più attivamente, o almeno
         ricordi con più facilità ciò che sogno.

Fra:
         Stai dormendo, finché a un certo punto apri gli occhi. Non sai spiegare bene la condizione
         in cui ti trovi questa notte; sia sveglio che dormiente.

Paola:
         Il tuo corpo si muove, te ne rendi conto, ma non sei in grado di governarlo. Ti alzi.
         Ti sembra tutto molto reale.

Francesca:
       Ti chini sul tuo compagno di stanza e gli dai un bacio sulla fronte.

Paola:
         Lui rimane attonito, mentre tu torni a sdraiarti e dormire senza dire una parola.

Francesca:
       Quando ti sei svegliato la mattina dopo, ricordavi perfettamente l'accaduto.

Paola:
         Superato il pizzico di imbarazzo provato, sentivo che in quel gesto si celava un desiderio di
         tenerezza inespresso. Come se avessi voluto qualcuno di cui prenderti cura.

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             In più nel sogno inciampo anche e quasi finiscono sotto il treno, ma sono una ragazza –
             sono una ragazza piccola eh coi capelli – coi capelli rossi, che aveva dei pircieng e se li è
                                                levati e sta con un ragazzino che gli fa fare questo -
                                                                                   “il tour della morte”.

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7.
“Beati i poveri”

Tobia:
Poco prima del messaggio di Andrea, mi ha chiamato Luca.

Devo darti una notizia molto triste. (Pausa)
È morto Pasquale. (Pausa)
Una serie di concause. (Pausa)
Sabato alle 11 c’è il funerale. (Pausa)
Ho chiamato i familiari. Stanno a Biella. Era tanto tempo che lo cercavano.
Purtroppo uno di loro è risultato positivo al Covid e non potranno esserci.

Francesca:
Su ogni seduta, c’è un santino con la foto di Pasquale. Un sorriso sdentato con un berretto blu. 14
12 1966 - 16 11 2020. Pensavo avesse vent’anni di più.
Sul retro, una frase: “Qui l’amicizia non finisce mai“.
Un prete, giovane, che ho conosciuto in stazione, intona l’omelia con una voce piatta.

La morte di Pasquale rappresenta per noi una sconfitta.

Paola:
         Di Pasquale conservo una foto sul cellulare.
         Aprile, stazione Garibaldi.
         La protezione civile ha montato una tenda gigantesca tra il binario 7 e 8.
         Sarà per le persone che non hanno dove stare durante il lockdown. E invece è chiusa. Giro
         l’angolo e poco più in là c’è una coperta che avvolge una persona seduta/corpo seduto su
         una sedia a rotelle.
         Vorrei mostrarvela, ma non so se è giusto.
         Sembrava un mobile lasciato fuori dal portone in attesa dei netturbini (camion dei rifiuti).

È morto nell’indifferenza. Non la nostra che siamo qui presenti, ma quella di questa città.

Tobia:
         Pasquale è la prima persona che ho incontrato. Luca lo aiutava ad asciugarsi dopo una
         doccia calda. Luca, che mi parlava continuamente di Pasquale. Luca che ogni settimana
         andava in ospedale, ritirava i farmaci psichiatrici e poi lo cercava in tutti gli sgabuzzini della
         stazione dove si rifugiava, e dove gli addetti lo lasciavano stare.
         Pasquale è le lacrime di Luca al funerale.

Pasquale era già in paradiso. Cantava ogni volta che ci incontrava.
E ci ringraziava. Mi fate sentire amato.

Francesca:
       Luca che due settimane prima che Pasquale morisse mi ha raccontato che non lo trovava
       da un po’ finché non ha scoperto che era ricoverato in un ospedale milanese per
       un’infezione all’inguine. I medici hanno sanato l’infezione e l’hanno rilasciato con un
       certificato in cui attestavano che era capace di intendere e di volere. L’hanno fatto prima

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         che potessero visitarlo i servizi sociali. Si occupano di chi può essere guarito, non possono
         prendersi carico di questi casi…

Pasquale era povero, ma era anche ricco.
Era ricco dell’amicizia. Vestiva l’abito dell’amicizia.

Paola:
         Luca io non lo capivo. Luca e la sua morale cattolica. Luca che io giudicavo, insieme a sua
         moglie, anche lei volontaria. Ora l’unico sconfitto mi sembra lui.
         Luca che telefona, che porta sacchi a pelo, coperte, Luca che si sbatte la trafila in comune
         per i documenti.

Francesca:
       Luca che adesso sta solo, in prima fila, in Chiesa.

Paola:
         A pochi passi dalla bara di Pasquale, comprata all’Outlet del funerale.

Tobia:
         Luca oggi mi sembra un eroe tragico.

Se oggi c’è qualche povero in chiesa.
Si ricordi che il regno dei cieli ha le porte spalancate per chi vive nella povertà.

Tutti:
         Cosa fai fra sogni e TV
         Pomeriggi che non passano più
         Sale già leggera un'idea
         Di una moto e via, notte sei mia
         Mordila la tua fantasia

         E vola
         Con quanto fiato in gola
         Il buio ti innamora
         Qualcuno ti consola
         La notte vola
         All'ombra di un respiro
         Io ti sarò vicino
         Ti prego resta sempre bambino

                                                                                                Audio:
  Sono in Irpinia, sarebbe vicino ad Avellino. Eh c'era un campanile che è altissimo e suona, suona,
 suona, ininterrottamente. E sento la voce di mio nonno che mi dice “Vieni, vieni su, vieni su, vieni
 su”. Mio nonno era un diavolo eh. Al confronto di quello di mia madre, che era bravissimo. Allora
    c'è una scala, io mi arrampico, mi arrampico, sorpasso le nuvole ed era ancora più in alto delle
nuvole. Eh arrivo sopra c'è una nicchia e mio nonno che mi dice “Dai vieni, vieni, vieni”. Io arrivo su
  e non vedo mio nonno. Mi ritrovo con un delta- tipo un deltaplano, comunque con delle ali – c'è

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non delle ali, qualcosa di – di finto. Vedo tutto il panorama sotto e inizio a volare con questo... ma
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                                        Vedo tutto di sotto: campagne, torrenti, fiumi. È molto bello.

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NOTE SUL PROGETTO

Un’indagine etnografica teatrale sulle persone senza dimora

La ricerca, il metodo

4 attori, un regista e uno scenografo. Sono i Buoni a nulla che hanno intrapreso questa ricerca. Sei
storie per molti aspetti diverse, diverse le origini geografiche, diversi gli orientamenti politici, diversi
i percorsi artistici, accomunati dalla condivisione di uno stato, di un tempo e un luogo: il precariato
della classe cognitivo-artistica, in una metropoli italiana. Volevamo indagare l’impatto della
situazione socio-economica sulle nostre esistenze. La pandemia ha fatto esplodere una serie di
contraddizioni e disuguaglianze che erano già sul piatto. Viviamo in città in costante accelerazione,
immersi nella paura di non farcela, di non trovare il nostro posto alla grande festa. Riflettendo su
questi temi, ci siamo chiesti se davvero sappiamo cosa significhi rimanere indietro, chi sono gli
esclusi, gli emarginati, se ci sono dei punti di contatto tra noi e loro, qual è il senso di distinguere tra
noi e loro?

A gennaio 2020, siamo entrati in contatto con diverse realtà che si occupano, con approcci diversi,
di persone senza dimora a Milano: la Caritas e le sue strutture, il Centro Aiuto Stazione Centrale del
comune di Milano, la Comunità di Sant’Egidio, il NAGA e CODICI, Ricerca e intervento. In questi mesi,
anche durante il lockdown, abbiamo affiancato le unità di strada nella distribuzione pasti in stazione
Garibaldi. Presentandoci a fianco dei volontari, come ricercatori teatrali, abbiamo conosciuto le
persone che abitano la strada cercando un rapporto di fiducia reciproca dove era possibile,
ascoltandone le storie, i bisogni, le opinioni e confrontandoci anche con i volontari che da anni
portano avanti questi servizi.

In parallelo abbiamo cominciato ad andare nei luoghi dove sono solite stazionare le persone senza
dimora, ci siamo presentati e con il supporto di un registratore audio abbiamo parlato della
condizione di vivere senza un tetto sicuro. Abbiamo incontrato anziani e giovani, uomini e alcune
donne, italiani e migranti. Inoltre ci siamo fermati in luoghi della città come piazze, mezzi pubblici,
parchi e abbiamo semplicemente osservato lo scorrere della vita cittadina e le strategie di
sopravvivenza degli emarginati.

A partire da queste uscite, che continuano tuttora, abbiamo steso dei diari che costituiscono il
materiale di partenza del nostro lavoro insieme alle registrazioni e alle loro sbobinature.

Una domanda che abbiamo rivolto alle persone con cui siamo entrati in maggiore confidenza è stata
quella sulla loro attività onirica: cosa hanno sognato quella notte? Hanno sogni ricorrenti? Come li
interpretano? Il sonno di chi vive in strada è continuamente interrotto. Sogna a singhiozzi chi vive
in strada. Sogni che devono essere ogni volta ripresi, ricuciti. Abbiamo raccolto la registrazione di
una serie di sogni che entreranno nella restituzione al pubblico.

Abbiamo accompagnato e interrogato l’osservazione partecipata di questa realtà con letture e
incontri, muovendoci tra l’antropologia e la filosofia politica, intervistando e confrontandoci con
professionisti di questi settori - psicologi, urbanisti ed operatori sociali - sui temi dell’emergenza
abitativa, dell’assistenzialismo, delle politiche sociali in atto. Se da una parte crediamo che le storie
delle persone abbiano sempre un aspetto misterioso e unico, dall’altra ci siamo resi conto che le
persone incontrate si sentivano fallite e scartate in base a un contesto sociale che ci riguarda e agisce
su tutti.
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La messa in scena

Ciò che alla fine porteremo in scena sarà un reportage della nostra esplorazione. Un racconto che si
snoderà tra gli incontri, le parole, le immagini, le letture e le riflessioni che questa esperienza ha
provocato.

Sul palco stanno quattro lampadine domestiche, una per ogni attore, ognuna segna un piccolo
spazio domestico sospeso in un mare di scarti. Il palco è il fondo di una discarica. Sparsi a terra vestiti
buttati, resti di pasti, bottiglie. È un luogo sospeso tra una stanza in stato di decomposizione e un
angolo non frequentato della strada. La ricerca si articola nel dialogo tra due polarità, all’inizio
chiaramente distinte: l’interno e l’esterno. L’interno sono le nostre stanze, i pensieri che si
affacciano quando rimaniamo soli, l’esterno è la strada, il racconto di quello che abbiamo visto e
vissuto. Le luci e il linguaggio attorale raccontano questa differenza. L’interno è raccontato con una
recitazione intima, in situazione, spiamo i corpi mentre cercano un riparo in un momento in cui
sembra che tutto vada in fiamme. Che certezze ci sono, che senso ha lo scorrere dei giorni, che cosa
ci aspetta domani, come farò a prendere sonno. L’esterno si avvicina a un teatro di narrazione, le
luci accomunano la platea e gli spalti, non c’è artificio apparente.

Lo spaccato temporale in cui ci fotografiamo da soli e la fascia oraria in cui usciamo e osserviamo la
vita dei senza dimora è principalmente la notte, il momento in cui i confini tra le nostre identità si
fanno allo stesso tempo più stridenti e labili. Come può una persona recuperare le redini della
propria esistenza quando ogni notte diventa una lotta per la sopravvivenza? E noi, come ci
addormentiamo, come ci svegliamo? Se la qualità delle nostre vite si misurasse sulla qualità del
nostro sonno?

Nel riportare le voci di chi abbiamo incontrato vorremmo mantenere una distanza, da qui il metodo
della registrazione e della sbobinatura per cercare di modificare il meno possibile ciò che abbiamo
ascoltato. Non vogliamo portare in scena dei personaggi, ma riportare situazioni e parole delle
persone conosciute. Che effetto hanno sui nostri corpi, come si è depositato? Se lo schermo è il
luogo dove viene restituito un documentario cinematografico, i corpi degli attori saranno lo
strumento per fare risuonare quello che abbiamo visto: la scomodità dei giacigli, il costante
movimento a vuoto per cercare una moneta o una sigaretta, il dolore delle malattie mentali che si
deteriorano.

Il confine tra le nostre stanze e la realtà della strada sfuma e si confonde quando entriamo nelle
immagini dei sogni raccolti in queste uscite, che diventano i nostri stessi sogni, l’inconscio rimosso
di tutta la città. Dal teatro narrativo entriamo in un’atmosfera onirica. Entriamo in sogni ossessionati
dai soldi, in mense con angeli camerieri, seguiamo il ritorno nella prima casa di una donna che vive
in strada da 5 anni, incontriamo un giovane vestito da donna che propone un tour della morte tra i
cunicoli della stazione.

Più stiamo in strada, più si aprono delle domande che vorremmo condividere con il pubblico, senza
cercare di dare facili soluzioni. I giudizi si spostano continuamente, le convinzioni politiche ed
esistenziali sono messe in discussione. Come ci ha cambiati conoscere da vicino questa realtà? Come
continua ad agire in noi quest’esperienza? Ogni volta che rievochiamo il viaggio, vorremmo
condividere queste domande con il pubblico.

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Bibliografia di supporto

Reportages della vita in strada
Roma senza fissa dimora, Gabriele Del Grande
Diario di un senza fissa dimora, Marc Augé
Tutta la vita in un giorno, Francesca Barra
Senza un soldo a Parigi e Londra, George Orwell
Io sono nessuno. storia di un clochard alla riscossa, Wainer Molteni

Ricerche etnografiche
The culture of homelessness, Phd thesis di Megan Honor Ravenhill, London school of Economics
Torino, un profilo etnografico, C.Cappello e G. Semi
SENZA DIMORA Storie, vissuti, aspettative delle persone senza dimora in cinque aree
metropolitane, Quaderni della ricerca sociale.

Saggi socio-economici e filosofici
Le nuove povertà, Zygmunt Bauman
Il capitalismo come religione, Walter Benjamin Il capitalismo all’assalto del sonno, J. Cray
La società della stanchezza, Byung-Chul Han Città sola di Olivia Laing

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