APPLE: INNOVAZIONE E POTERE CARISMATICO IN VENT'ANNI DI STORIA AZIENDALE
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Federico Fasce - Mat.2763543 Organizzazione del lavoro e comunicazione aziendale APPLE: INNOVAZIONE E POTERE CARISMATICO IN VENT’ANNI DI STORIA AZIENDALE UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI GENOVA Corso di Laurea in Scienze della Comunicazione A.A. 2005-2006 Quest'opera è stata rilasciata sotto la licenza Creative Commons Attribuzione-NonCommerciale-StessaLicenza 2.0 Italy. Per leggere una copia della licenza visita il sito web http://creativecommons.org/licenses/publicdomain/ o spedisci una lettera a Creative Commons, 559 Nathan Abbott Way, Stanford, California 94305, USA.
Sommario Introduzione ..................................................................................................................................................... 3 Un padre temerario .......................................................................................................................................... 4 90 hours a week, and loving it! ......................................................................................................................... 6 Vision 6 Organizzazione 7 Azienda o religione?........................................................................................................................................ 10 Il popolo di Apple 10 I simboli religiosi 10 La messa 10 Mediagrafia..................................................................................................................................................... 11 Testi 11 Film 11 Web 11 2
Introduzione È impossibile parlare di Apple senza parlare di Steve Jobs. Jobs ha caratterizzato il modo di pensare e di agire dell'azienda Americana anche durante i dieci anni passati al di fuori di essa. È il manager più vicino al concetto weberiano di leadership carismatica. Una figura controversa, capace di licenziare a vista un dipendente, di annullarne l'autostima di fronte a tutti, ma anche di grandi riconoscimenti. La sua idea di Apple è sempre stata quella di un crociato, più che quella di un manager. Jobs ha sempre vissuto il suo lavoro come una missione, qualcosa di più grande del semplice profitto personale. Attraverso questo lavoro analizzerò come l'organizzazione aziendale di Apple abbia sempre subito l'influenza della figura di Steve Jobs, e come tutti i dipendenti condividessero un concetto quasi religioso del lavoro. Vedremo anche come il forte carattere dato ad Apple dal suo co-fondatore sia arrivato persino ad influenzarne i clienti, che riconoscono nell'eclettico ex figlio dei fiori l'irrinunciabile leader carismatico. 3
Un padre temerario Una delle parole più amate da Steve Jobs è chutzpah. Si tratta di un termine yiddish che significa "spavalderia". Qualcuno potrebbe obiettare che quella di Jobs è in realtà hybris, tracotanza, quella che per i greci era fatale ai condottieri. Ed in effetti tutta la carriera manageriale di Steve è incentrata su una temerarietà incomprensibile per le regole dell'organizzazione razionale tradizionale, da continui colpi di testa e da decisioni inaspettate. La formazione culturale di Jobs inizia a Berkeley, in California, proprio nel periodo più caldo della contestazione giovanile. Appassionato dell'india e della cultura hippy, Jobs sogna di sconfiggere la IBM, che rappresenta la multinazionale diabolica e senza scrupoli, con un computer che tutti si possano permettere. Il concetto stesso di personal computer è figlio di Jobs, e caratterizzerà quella che ancor oggi è la vision di Apple. Insieme all’amico Steve Wozniak fonda la Apple, e, grazie a quello che molti chiamano il “campo di distorsione della realtà di Steve Jobs”, ovvero la sua indiscussa capacità di presentare un prodotto per venderlo, convince un investitore ad avviare la produzione dell’Apple ][, che passerà alla storia come il primo, vero, personal computer. Da quel momento in poi, Steve Jobs, ossessionato dal design essenziale e dalla facilità d’uso, continuerà a guidare Apple fino alla realizzazione del primo Macintosh, nel 1984. In tutto questo periodo si vede emergere la doppia faccia del manager americano: da una parte l’ex hippy allegro e gioviale, che abolisce ogni formalità e come un vulcano sforna idee innovative ogni giorno, dall’altra Steve il cattivo, che non pensa due volte ad insultare i dipendenti, a licenziare a vista e ad esercitare su di essi quello che oggi chiameremmo mobbing. Ciononostante Jobs è amato per la sua innata capacità di rendere partecipi le persone al suo progetto, di motivarle in maniera quasi religiosa. Come si vedrà in seguito, chi lavora ad Apple da sempre si sente parte di un sogno, sa di lavorare in un’azienda diversa da tutte le altre. La legittimazione del potere di Steve è senza dubbio di tipo carismatico. Lo dimostra questa dichiarazione di un ex impiegato di Apple: Lavorare con Steve fu un’esperienza terribile ed affascinante. Poteva dirti che il tuo lavoro, le tue idee e a volte addirittura la tua esistenza non avevano alcun valore, proprio in faccia, di fronte a tutti. Guardarlo crocifiggere qualcuno spaventava al punto di portarti a lavorare moltissime ore. Ma lavorare con Steve era anche meraviglioso. A volte ti diceva che eri grande, e questo compensava tutto il resto. Vederlo santificare qualcuno motivava ad andare oltre le proprie capacità. 1 Dopo il 1985 però in Apple avviene una svolta. L’organizzazione è molto cambiata rispetto al 1977, e i manager non vedono di buon occhio le bizze di Jobs, e il suo modo di generare competitività tra il suo team (quello assegnato al progetto Macintosh) e il resto dell’azienda. Per questo viene tolto dalla direzione del 1 Tradotto da Guy Kawasaki, The Macintosh way (glenview, Ill.: Scott, Foresman, 1990) 4
progetto Mac. Jobs risponde rassegnando le dimissioni. Hanno così inizio dieci anni di storia aziendale senza più il capo carismatico. Eppure, anche in questi lunghi anni, con un manager tradizionale a capo dell’azienda come John Sculley, che arrivò dalla Pepsi proprio per volere di Steve (famosa la frase con cui si dice lo convinse: “vuoi passare il resto della tua vita a vendere acqua zuccherata, o vieni con noi a cambiare il mondo?”), l’ombra del fondatore e dell’ideologo non svanisce. Jobs ritornerà in Apple nel 1990, anno buio sia per l’azienda che per il suo fondatore. E grazie alla geniale intuizione di iMac darà nuova vita alla sua creatura. Oggi Apple è una delle aziende più innovative del mercato. Grazie ad una serie di ottimi prodotti, e alla sempre viva attenzione all’innovazione e al design, la casa di Cupertino è leader nel campo della musica digitale, ed inizia a configurarsi come unica vera concorrente di Microsoft nel campo dei sistemi operativi. Questo successo è dovuto per buona parte alla visione e al modo di concepire l’azienda di Jobs che, come si vedrà, è stato capace di estendere quell’aura quasi religiosa anche ai suoi clienti, trasformandoli in qualcosa di simile a fedeli evangelizzatori. 5
90 hours a week, and loving it! Vision La vision di Apple può aiutarci a capire molte scelte organizzative prese durante la storia della società. Recita più o meno così: Cambiare il mondo migliorando le potenzialità degli individui attraverso la tecnologia.2 Se analizziamo la frase notiamo come il mezzo usato da Apple sia appunto la tecnologia. Osservazione che può sembrare ovvia se pensiamo a ciò che Apple produce e vende, ma che lo è molto meno se correlata al termine generico “individui”. L’attenzione dell’azienda di Cupertino, infatti, non è rivolta solo ai clienti, ma agli stessi dipendenti dell’azienda. La scelta di un termine come “individui”, però, ha almeno un risvolto interessante: esso fornisce alla vision la connotazione individualistica che è distintiva di Apple. A Cupertino l’individualismo, l’idea del singolo, l’autonomia decisionale sono sempre stati, nei limiti di un lavoro di team, fortemente incoraggiati. Quest’ultimo è un retaggio dell’idea di azienda di Jobs che non è mai venuto meno nel tempo. I dipendenti Apple erano spesso incoraggiati a seguire idee e inclinazioni personali, e questo ha spesso portato allo sviluppo di prodotti di successo. Allo stesso modo i clienti sono fortemente individualizzati: un passo molto intelligente per fidelizzarli, facendoli sentire in qualche modo unici. Inoltre il termine “tecnologia” connota il metodo di lavoro di Apple. La dichiarazione di un marketing manager lo dimostra molto bene: Ecco il punto più interessante della nostra cultura. Noi siamo quello che facciamo. Non ho mai visto un’azienda nella quale la personalità dell’organizzazione sia così indissolubilmente legata all’organizzazione del prodotto - individualistica, pura, senza compromessi, avanti a tutti, così elegante da non poter fallire - noi, qui, siamo i Macintosh. Già dal 1979 tutte le macchine da scrivere erano scomparse dagli uffici. Ogni dipendente aveva un computer a disposizione al lavoro, e poteva contare su forti sconti per l’acquisto di un Apple ][. Il collegamento in rete dei computer, unito ad un sistema di posta e di chat, permise alla società di impedire un eccessivo accentramento di potere nelle mani del top management, e nello stesso tempo causò una certa tendenza alla decentralizzazione. Le idee in Apple circolano liberamente attraverso il sistema Applelink, e pare che almeno un matrimonio abbia avuto origine da questo sistema comunicativo. Anche l’ambiente di lavoro a Cupertino ha sempre seguito l’ideale della vision. L’atmosfera all’interno degli uffici è sempre stata decisamente informale. Per esempio non esiste l’obbligo di giacca e cravatta, per molto tempo non ci sono stati uffici chiusi (ed ancora oggi questi hanno porte a vetri), le sale riunione hanno nomi 2 To change the world by empowering individuals through technology. 6
evocativi come “Serenity” o “Destiny”. Per finire un sistema di benefit e azioni premiano direttamente i dipendenti per i successi dell’azienda. Organizzazione Nel corso della sua storia l’organizzazione di Apple ha subito diversi mutamenti. L’ingrandimento costante dell’azienda, l’introduzione di nuove tecnologie e il costante obbligo di confrontarsi con la cultura imposta da Steve Jobs sono stati i principali responsabili dei momenti di crisi che hanno portato a nuovi schemi organizzativi. Apple nasce il primo Aprile del 1976, nell’ormai leggendario garage della famiglia Jobs, a Cupertino, in California. I due fondatori, Steve Jobs e Steve “Woz” Wozniak, avevano appena lasciato il college per vendere un personal computer progettato da Woz. L’Apple I vendette 200 pezzi, e questo causò un primissimo mutamento di organizzazione. Grazie all’aiuto di Mike Markkula, un manager esperto nel campo dell’hi-tech, Jobs riuscì a trovare alcuni investitori, mentre Wozniak lavorava al progetto Apple ][. Mike Markkula divenne presidente della società, che mantenne però, per volere di Steve Jobs, un’organizzazione innovativa. Già da allora i dipendenti sentivano di far parte di una missione, di portare avanti una particolare cultura: quella espressa già da allora nella vision. Non è un caso che molti dipendenti portassero magliette con lo slogan “Working 90 hours a week, and loving it”. Il potere carismatico di Jobs era evidente fin dai primi anni di vita di Apple. Apple ][ fu un grandissimo successo. Nel 1981 Mike Markkula passò il testimone a John Sculley, ex manager di Pepsi. Dal 1981 al 1983 Apple continuò a crescere molto velocemente (da 1000 a 4000 dipendenti), fino a quando l’audace strategia di IBM (basata sulla creazione di uno standard hardware che permettesse a chiunque di produrre microcomputer compatibili) assestò un durissimo colpo alle quote di mercato di Cupertino. Proprio in quel momento l’eccessiva crescita stava causando non pochi problemi alla società. L’organizzazione era fortemente frammentata, i dipendenti cambiavano ruolo molto velocemente, e spesso era impossibile trovare la giusta coordinazione. In questo periodo i progetti in lavorazione erano due: Lisa, il legittimo successore di Apple ][, e Macintosh, un computer progettato per essere semplice da usare e per avere una forte penetrazione sul mercato. Nonostante la grande allocazione di risorse su Lisa, Jobs si sentì presto frustrato del progetto, e assunse il comando del team Macintosh. Il piccolo gruppo di lavoro venne separato dal resto dell’azienda, e motivato attraverso una fortissima competitività con il team Lisa. Steve Jobs faceva di tutto per contrapporre il Team Mac agli altri. Addirittura nel palazzo assegnato ai progettisti di Mac venne issato un vessillo pirata, a rimarcare il loro essere “un mondo a parte” anche all’interno dell’innovativa Apple. L’esaltazione dell’individualità è sempre stato il sistema preferito di Jobs per motivare i dipendenti. E con Macintosh ebbe successo: alla sua uscita, nel 1984, era evidente che avesse superato ogni attesa. La presenza del mouse e soprattutto di un’interfaccia ad icone lo rendevano un computer avanti di almeno cinque anni rispetto alla concorrenza. All’interno dello chassis erano incisi gli autografi dei progettisti. Macintosh era presentato come un’opera d’arte, piuttosto che come un computer. Costava circa 3500 dollari, meno della metà del Lisa, che alla fine uscì di produzione. In questi anni Sculley si diede da fare per fronteggiare i problemi di organizzazione dell’azienda. Iniziò a farlo monitorando 7
severamente le finanze e cambiando spesso le linee manageriali, alla ricerca di un sistema organizzativo appropriato. Nel 1984 John Sculley annunciò la riorganizzazione di Apple. Il sistema adottato fu multidivisionale: una divisione, capeggiata da Del Yocam, si sarebbe occupata del mercato casalingo, scolastico e relativo alla piccola azienda; l’altra, il Macintosh team, si sarebbe focalizzata sui mercati delle università e delle grandi aziende. Sfortunatamente i rapporti con Steve Jobs si stavano incrinando. Secondo quest’ultimo Sculley stava tradendo la vision dell’azienda causando troppe divisioni al suo interno. Inoltre i risultati di vendita erano al di sotto delle aspettative. Per questo Jobs chiese segretamente al consiglio di amministrazione di rimuovere Sculley dall’incarico. Ma a maggio del 1985, quando il consiglio gli tolse l’incarico di manager della linea Macintosh, Steve Jobs rassegnò le sue dimissioni da Apple. Sculley si trovò così alla guida di un’azienda che aveva perso rapidamente quote di mercato, aveva appena attraversato una fase di pesante riorganizzazione, e soprattutto era orfana del suo capo carismatico. Lo stesso Sculley affermò: Dopo la partenza di Jobs, non c’erano rimasti molti errori da commettere. Avevamo perso otto delle nostre nove vite. Allo stesso tempo ero il nuovo leader non tecnologico di Apple, ed ero visto come quello che aveva cacciato il capo carismatico. Il dubbio e l’ansia serpeggiavano dentro e fuori l’azienda. Il fatto era particolarmente serio, se si pensa che molte persone non lavoravano per una società, ma per un sogno. Nel Giugno del 1985 Sculley decise di cambiare nuovamente l’organizzazione: la forma divisionale scelta aveva prodotto una frammentazione interna potenzialmente pericolosa. Lo schema organizzativo rimase quello multidivisionale, ma questa volta Sculley si fece carico delle responsabilità relative alla strategia, alla finanza, alla tecnologia, alle risorse umane, alla ricerca e sviluppo, e al marketing. Una seconda divisione, guidata da Del Yocam, si sarebbe occupata del lato operativo per tutto il mondo. Per finire le divisioni Apple e Macintosh vennero fuse in una nuova divisione con organizzazione di tipo funzionale, che avrebbe lavorato su produzione e vendita. La forza lavoro venne ridotta del 20%; fu la prima, grande riduzione di personale della storia dell’azienda. Nel 1988 incontriamo la prima decentralizzazione di Apple. Fino ad ora il layout aziendale era contenuto all’interno del campus al numero 1 di Infinite Loop, Cupertino, California. Ma l’azienda aveva bisogno di una maggiore flessibilità sul mercato, e di un’organizzazione meno monolitica. Per questo Sculley mantenne il ruolo di presidente e CEO, e creò tre divisioni regionali: Apple Education and Pacific, Apple Europe, e Apple U.S.A. Inoltre creò una divisione che coordinasse il “viaggio” del prodotto verso il mercato. Essa includeva il Marketing, lo sviluppo e la produzione, oltre a una nuova funzione denominata ATG, acronimo di Advanced Technology Group. Questa funzione si sarebbe occupata dello sviluppo di tecnologie high-end ad alto rischio. L’intera divisione fu affidata a Jean-Louis Gassée, mente creativa ed estrosa, dotato di una lungimiranza e di un carisma simili a quelli di Jobs. Nel frattempo, gli avversari correvano ai ripari: Macintosh era diventato esattamente quello che Steve Jobs aveva in mente: non solo un computer, ma un vero ambiente creativo che rendesse i programmi più disparati tutti simili e soprattutto semplici da utilizzare. Microsoft iniziò a lavorare alacremente e, nel 1990, lanciò Windows 3.0. Pur funestato da numerosi bug, e palesemente “ispirato” dal sistema concorrente, Windows prometteva quasi le stesse cose realizzabili su un Mac, al 50% del prezzo. Nel frattempo, la 8
decisione di Gassée di produrre computer di altissimo livello (e conseguentemente di prezzo più elevato) fece crollare le quote di mercato di Apple. Ma Cupertino doveva affrontare altri due problemi, che avrebbero presto portato ad una crisi e a una nuova organizzazione. Entrambi i problemi riguardavano il rapporto tra il personale e la cultura aziendale; molti impiegati infatti avevano avvertito l’acuirsi delle gerarchie nel corso degli anni, e sentivano venir meno quella centralità dell’individuo che era tipica dei primi anni di vita di Apple. Il secondo problema era che molti dei manager e dei nuovi impiegati giunti a Cupertino erano lì perché attratti dai successi dell’azienda più che dalla sua cultura. E data la forte impronta quasi religiosa impressa da Steve Jobs, i nuovi arrivi spesso non erano ben visti dalla vecchia guardia. Il secondo grande licenziamento avvenne nel 1990, quando Jean-Louis Gassèe lasciò Apple. John Sculley si trovò nella spiacevole situazione di dover contenere i costi. Per questo, 385 dipendenti furono licenziati in Febbraio. A maggio il vicepresidente del settore HR, Kevin Sullivan, commissionò un sondaggio per scoprire eventuali errori di gestione passati inosservati. Sculley fu molto sorpreso dai risultati: molti dipendenti criticavano aspramente la mancanza di una chiara direzione organizzativa. D’altra parte tutti sentivano ancora un forte attaccamento alla cultura aziendale e alla vision. Proprio questo sentimento portò Apple, arrivata a un punto di non ritorno nel 1997, sotto una disastrosa presidenza di Gil Amelio, a bussare nuovamente alla porta di Steve Jobs. Il quale peraltro non navigava in buone acque dopo aver tentato di avviare una sua società, la NeXt, che avrebbe dovuto produrre una linea di computer per le università. Nel 1998, al Macworld, Jobs annunciò il suo ritorno alla casa della mela, e presentò il nuovo iMac. Colorato, con un design innovativo, iMac fu acclamato dall’intera comunità. Era l’inizio di una nuova risalita. Da allora al 2005 Apple ha vissuto un periodo di crescita costante, grazie non solo ai computer e all’introduzione del nuovo sistema operativo Mac OSX (basato tra l’altro proprio su quel NeXt al quale Jobs lavorò nei dieci anni di “esilio”), ma soprattutto con la geniale intuizione di iPod, uno dei primi lettori di musica digitale lanciati sul mercato. Il 2006 vedrà la casa di Cupertino impegnata nella transizione dai processori PPC ai chip Intel (gli stessi dei computer basati su Windows). Questo passaggio è molto delicato perché tocca uno dei “dogmi” della fedeltà ad Apple: basarsi cioè su un’architettura distante da quella dei normali PC. 9
Azienda o religione? Il popolo di Apple Una delle più profonde implicazioni del potere carismatico esercitato da Steve Jobs, e della vision di Apple, è visibile nel comportamento dei suoi clienti. Lungi dall’essere semplici acquirenti di personal computer, i fan di Apple possono essere definiti senza dubbio dei seguaci. esattamente come se si parlasse di un’organizzazione di tipo religioso. Un utente Apple condivide con l’azienda quella stessa cultura di design di alto livello, di qualità e di avanguardia che è sempre stata portata avanti da Steve Jobs. Lo dimostrano libri come “Il Culto del Mac”3, basato proprio su un’analisi del comportamento degli utenti della casa di Cupertino: tatuaggi raffiguranti il logo della mela, stanze arredate sulla base dei computer, quasi fossero piccoli altari o cappelle, in un crescendo di bizzarrie a tema. Lo stesso termine “evangelizzare”, utilizzato dai clienti Apple quando parlano di convincere altre persone a “cambiare bandiera” è sintomatico di come l’azienda sia recepita anche dai clienti. Un’organizzazione religiosa, dunque, retta da un capo carismatico come il papa Steve Jobs. Ma come riesce Apple ad avere una presa simile sui suoi utenti? Oltre alla bontà dei prodotti, cosa rende così differente l’appartenere al gruppo di utenti dell’azienda? I simboli religiosi Apple ha sempre puntato moltissimo sulla ricercatezza del design. Questo fa sì che un cliente dell’azienda possa riconoscersi immediatamente come facente parte di quel gruppo sociale. Il simbolo per eccellenza è ovviamente il celeberrimo logo della mela, forse uno dei marchi più riusciti di sempre. Ogni prodotto Apple contiene alcuni adesivi raffiguranti il marchio, che spesso vengono applicati sulle auto dei clienti. Un sistema tutto sommato semplice, ma che crea un forte senso di appartenenza. Allo stesso modo, con l’introduzione di iPod, l’idea di utilizzare degli auricolari di colore bianco (in un mondo di cuffiette nere!) ha di fatto istituito un altro simbolo di riconoscimento. La messa Ultimo punto fondamentale di aggregazione e di appartenenza quasi religiosa è il Keynote di Steve Jobs. Si tratta delle presentazioni dei nuovi prodotti Apple condotte per stampa e sviluppatori. Solitamente questi slideshow (dall’impatto grafico decisamente elevato) sono condotti da Jobs in persona. Nessuna azienda al mondo rende pubbliche le presentazioni di un prodotto. Nessuna, tranne Apple. Il keynote è disponibile qualche ora dopo il termine, in streaming video direttamente dal sito della casa di Cupertino (e anni fa veniva addirittura mandato in diretta). Durante lo show l’attesa dei “fedeli” di Apple si fa febbrile: l’azienda è sempre molto attenta a lasciare trapelare il meno possibile, in modo da generare una grande attesa tra i clienti e gli sviluppatori su quali nuovi prodotti verranno mostrati. 3 Il culto del Mac, Kahney Leander, Mondadori Informatica, 2004 10
Mediagrafia Testi Il Culto del Mac, Kahney Leander, Mondadori Informatica, 2004 I su e giù di Steve Jobs, Alan Deutschman, Arcanapop, 2000 Apple Computer Abridged: Corporate Strategy and Culture, Gregory C. Roberts, Hardvard Business School, 1997 Film Pirates of Silicon Valley, diretto da Martyn Burke, Turner Entertainment, 1999 Web Writers Block Live, by Mike Evangelist, http://writersblocklive.com/ 11
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