Nella notte, con il profumo di un grosso mango maturo
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Nella notte, con il profumo di un grosso mango maturo… Carissime/i, Prima di ogni cosa vi chiedo di rigirare l’email a quanti non trovate tra i destinatari, se pensate che possa loro interessare o far piacere leggerla. Se poi la stampate e la date a quanti non hanno la posta elettronica siete veramente bravi (penso a Riziero e Vanda o a Eleonora, ecc.). Casomai ne fate un po’ di copie e la date a chi avrà piacere riceverle durante le celebrazioni del Triduo Pasquale Ecco la prima cronistoria (ce ne saranno altre? Vedremo…) di questo veloce viaggio al Salvador. Come potrete immaginare è difficile raccontare quello che io e Cristiano stiamo vedendo, ascoltando, vivendo. Le parole scritte lasciano intravedere o poco più. Per chi è stato da queste parti forse molto risuonerà più vicino, più familiare. Comunque credo sia bello condividere con voi quello che segue… Il viaggio è iniziato con un contrattempo che ha accorciato la nostra permanenza da queste parti. Come già era successo alle nostre amiche salvadoregne e ad altre persone, Iberia c’ha fatto partire martedì 12 con 5 ore di ritardo. Conseguenza: persa connessione a Madrid con El Salvador e permanenza fino al giovedì mattina. La cosa simpatica è che in coda al check-in c’erano vari nostri amici che andavano chi in Guatemala, chi in Ecuador, ecc. Insomma manco a farlo apposta ci si conosceva in tanti nel volo per Madrid e così la permanenza e la battaglia per essere indennizzati e coperti per le varie traversie è stata comune. A Madrid poi mi sono trovato nello stesso albergo (ci siamo trovati al buffet della cena uno accanto all’altro) con un altro amico di San Ponziano, la parrocchia dove sono stato anni fa’… era lì per un convegno. Insomma due giorni passati tra inutili perdite di tempo a amici vari con cui scambiare chiacchiere e cose serie… Giovedì in serata siamo riusciti ad arrivare alla fine all’aeroporto di San Salvador… aspetta e aspetta e, imperturbabile come sempre, e con molta calma (e un’oretta di ritardo), è arrivato a prenderci Armando, il carissimo amico direttore di FUNDAHMER, l’associazione locale tramite la quale portiamo avanti diversi progetti SAL e anche l’appoggio per la “maestra” e per le “borse di studio” per le comunità di Los Naranjos, Las Mesas, Sacacoyo, ecc. Conosciamo Armando dal 2001… è una grande amico. Chi di voi lo ha conosciuto sa come dietro la calma imperturbabile si nasconda una persona con una passione grandissima, una grande capacità di gestione e un cuore generoso… il tutto condito con un’ironia semplice e spassosa… Non vedevamo Armando da circa sei anni (anche se spesso ci siamo sentiti per email e per telefono). Sembra una frase fatta ma ritrovandosi sul pick-up a fare un po’ il punto di tante cose, darsi notizie dei nostri paesi e chiedersi delle diverse vite… beh… sembrava che ci fossimo incontrati il mese scorso e semplicemente stavamo velocemente aggiornando alcune ultime cose che non si era riusciti a condividere poco tempo prima… è strana e bellissima la sensazione di avere amici (fratelli) che vivono dall’altra parte del mondo e con i quali bastano cinque minuti per ritrovarsi come se il tempo non fosse passato. Così tra racconti di cose serie, aggiornamenti vari e battute siamo arrivati alla sede di Fundahmer, che è quella di sempre anche se hanno ripulito e rimodernato diverse cosette. Ci aspettavano in tanti ed è stato un abbracciarsi e raccontarsi… Tra loro anche persone nuove con le quali abbiamo iniziato a presentarci. Ad aspettarci c’era anche Ricardo (della famiglia di Los Naranjos che ospitò Laura e Alessandro). Ora ha tre figli, quando ospitò Laura e Alessandro aveva solo Mari Luz che ora ha 8 anni ed è carinissima…( vedrete le foto). Da qualche anno Ricardo collabora con Fundahmer e ci accompagnerà insieme ad Armando e a Edgardo (nuovo
collaboratore di Fundahmer) per le montagne di Morazan. Si fa fatica ad andare a dormire tra racconti e chiacchiere varie… poi arriva anche p. Fredis, il nostro amico prete salvadoregno (socio fondatore del SAL). Insomma ad una certa, con gli occhi che si chiudevano per il viaggio e il cambio di fuso orario ce ne andiamo a dormire. La mattina dopo, considerato il tempo perso, partiamo all’alba… Infatti alle 6,30 siamo già sul pick-up in viaggio verso Morazan (Sud Oriente del Salvador, confine con Honduras). Con il Comune di Roma, quest’anno SAL ha vinto un bando per la cooperazione decentrata che sta finanziando un Progetto per la costruzione di cisterne familiari per l’acqua e l’irrigazione di orti familiari e comunitari di coltivazioni biologiche. Un progetto che vede il protagonismo di gruppi di donne e forme comunitarie di realizzazione dei diversi obiettivi. In pochi giorni visitiamo le comunità di San Pedro, El Rucio e San Miguelito: comunità rurali, disperse nelle montagne, in zone isolatissime, molto lontane anche dai piccoli comuni o centri abitati della zona. Per lo più sono collegate da strade di terra o da sentieri per la montagna. Ci si arriva con il pick-up ma dopo ore di viaggio spesso ad andatura molto lenta. In alcune di loro, per un anno o per alcuni mesi hanno vissuto e lavorato una coppia di ragazzi piemontesi (Simone e Anna, forse li avete conosciuti l’anno scorso), una ragazza abruzzese (Linda) e Gabriele (di Roma): chi per il Servizio Civile Internazionale, chi come Stage all’estero, entrambi realizzati dall’associazione SAL in convenzione con il Ministero degli Esteri, l’Università di Roma e Fundahmer in El Salvador. La semplicità e la forte capacità di amicizia che caratterizza il popolo salvadoregno si è mostrata in questi pochi giorni con queste comunità… tutti avevano il ricordo di Simone e Anna e Linda, che avevano vissuto con loro molto tempo, ma anche di Gabriele che aveva condiviso solo un mese. In alcune di queste comunità le cisterne per l’acqua già sono funzionanti in altre sono in via di costruzione ma per tutte la possibilità di conservare e disporre dell’acqua, soprattutto in questo periodo (stiamo nella stagione secca) corrisponde a poter vivere e a poter irrigare i piccoli orti familiari. Per le donne soprattutto significa risparmiare ogni giorno le 3 o 4 ore che servono per andare e tornare dal fiume o dal ruscello più vicino, senza contare la fatica. Tutti ci hanno accolto come se fossimo amici delle comunità da molto tempo. Dove arrivavamo c’era un piccolo comitato d’accoglienza con cartelloni di benvenuto e canti. Poi come sempre un “refrigerio” (cioè una bibita fatta con qualche frutta locale) e discorsi vari di saluto e di presentazione della comunità. Giacché nella presentazione usciva presto che conoscevamo El Salvador e Fundahmer da anni ed eravamo l’associazione che aveva mandato Anna, Linda, Simone e Gabriele, in poco tempo si è passati ad una confidenza che non ci aspettavamo e che non pensavamo di meritare. Sia gli anziani che alcuni adulti hanno condiviso con noi racconti della guerra (dal 1980 al 1992) quando l’esercito nazionale e gli squadroni della morte distruggevano e bruciavano campi e interi paesini e villaggi, massacrando uomini, donne, bambini per fare “terra bruciata” intorno alle forze ribelli che si opponevano ad un regime militare ed economico infastidito dalla richiesta di riforme e giustizia: la finta democrazia che nascondeva un regime violento e autoritario (manovrato e sostenuto dal governo Stati Uniti) arrivò ad uccidere l’arcivescovo della capitale, mons. Romero, più di una decina di preti, decine di suore, catechisti e contadini accusati di essere a fianco dei ribelli e inopportunamente dalla parte dei più poveri. Alla fine del conflitto, durante i trattati di pace, i ribelli (la guerriglia del FMLN, il frente Farabundo Martì de Liberacion Nacional) furono accusati di aver ucciso più di 7.000 tra soldati e appartenenti politici al regime militare. Gli appartenenti alle forze di polizia e all’esercito nazionale avevano eliminato più di 80.000 tra ribelli e soprattutto civili innocenti e fatto sparire (desaparecidos) più di 15.000 persone tra la popolazione civile, studenti, professori, sindacalisti, oppositori politici, e molti religiosi, ecc.
La regione del Morazan è montagnosa e impervia e molte comunità di contadini e di indigeni si salvarono vivendo nascosti per mesi e anni nei boschi o rifugiandosi negli accampamenti umanitari in Honduras. Ora si ritrovano, ancora poverissimi, in lembi di terra spesso difficilissima da coltivare, che anticamente apparteneva alle loro famiglie o che fu concessa loro da alcune riforme dopo i trattati di pace. Tutte le famiglie hanno padri, madri, figli, parenti trucidati nei massacri sommari che compiva l’esercito per stanare le forze ribelli. Tutti raccontano come il o la catechista, l’animatore della comunità o alcuni preti, li hanno guidati nei boschi fuggendo da un massacro all’altro. Tutti hanno un forte sentimento di comunità e di organizzazione comunitaria che stanno riproponendo anche per la gestione e la lotta per il conseguimento degli attuali diritti di accesso all’acqua, alla luce elettrica, ad una scuola o a un lavoro degno per i propri figli. “La luche sigue!” La lotta continua, dicono, e sono straordinariamente contenti di non essere soli nella lotta. C’è sempre qualche “hermano o hermana” (fratello, sorella), che viene da qualche altro paese a lavorare con loro, il loro martire più grande, mons. Romero, è conosciuto e celebrato in tutto il mondo. A noi può sembrar poco ma per loro è una forza che li riempie di speranza… e la loro forza riempie di speranza anche noi… anche me… Come raccontarvi questi racconti? Come narrarvi l’emozione la commozione loro e nostra? Occorre venire da queste parti e ascoltare con le proprie orecchie e i propri cuori. Giacché poi era presente un “padrecito” (cioè io, un prete) le celebrazioni si sono moltiplicate… vi assicuro che è diverso da molte nostre celebrazioni, celebrare la Via Crucis (che in queste comunità cristiane di base organizzano tutti i venerdì di Quaresima) o la Domenica delle Palme con loro: al lungo racconto di quello che ha vissuto Gesù, seguono sempre due parole di commento del prete (in questo caso io…) e poi le risonanza dei membri della comunità che condividono paragoni, attualizzazioni di quello che hanno vissuto sulla loro pelle, di quello che vissuto Gesù, di quello che stanno vivendo adesso… vangelo, vita passata e vita presente sembrano intrecciarsi e fondersi senza la necessità di lunghe e contorte interpretazioni che caratterizzano tante nostri modi dire, fare e pensare quando trattiamo le “cose” della fede. Visti da qui, tanti nostri modi di “leggere” il vangelo (giacché il viverlo ci sembra esperienza da eroi) alla fine raccontano una cosa sola: viviamo bene anche senza vangelo e alla fine dei conti, il vangelo, con la sua semplicità e franchezza, ci sembra una favoletta per chi non è costretto a vivere nel mondo reale fatto di egoismi, individualismi, arrivismi e consumismi vari (e in fondo molta solitudine). Leggerlo “con” la gente povera e impoverita sembra dischiuderlo in modo naturale, il viverlo sembra corrispondere ad uno stare con loro mentre il non viverlo coincide con lo stare contro di loro (o disinteressarsi di loro, che poi è la stessa cosa…). Altri discorsi o altre “scuse” visti con i loro occhi mi sembrano chiacchiere inutili… Così abbiamo passato i primi tre giorni, visitando varie comunità, ascoltando i racconti di tanta gente e conoscendo meglio i nostri compagni di viaggio: il caro Armando, Ricardo di Los Naranjos, Edgardo, che guidava il pick-up, un uomo ciccione ciccione, simpatico e generoso quanto è grosso, e poi Noemi, Heriberta e Agustin, collaboratori di Fundahmer che vivono a Morazan, che abbiamo recuperato da quelle parti e ci hanno accompagnato per le varie comunità. Persone di una bellezza straordinaria. D+abbiamo passao questi giorni dormendo in un piccolo hotel da 7 dollari la stanza per tre persone, oppure in un’amaca in una bellissima ma poverissima casa tra le montagne; mangiando sempre (colazione, pranzo e cena) banane fritte, fagioli, tortillas e uova strapazzate con l’eccezione dei vari polli che in occasione delle nostre visite finivano nelle zuppe che accompagnavano un po’ di riso: il piatto importante da dare agli ospiti. Alla fine abbiamo tutti concluso che gli unici a non amare la solidarietà internazionale e le conseguenti visite sono proprio i polli, i quali, in queste occasioni, fanno sempre una brutta fine…
La sera della Domenica della Palme, cioè ieri, siamo tornati a San Salvador… C’era bisogno di una doccia per riprendersi della molta polvere che avevamo addosso… Il clima però è sopportabile. Molto caldo dalle 11 alle 17 e poi si sta freschi, come nella ultime sere d’Estate. Non piove, stiamo nella stagione secca. Le piogge inizieranno a maggio e infatti intorno a noi il verdissimo e tropicale Salvador alterna il colore di molte piante e fiori a tanta erba secca, polvere e prati riarsi e ingialliti. Basteranno le prime piogge a riportare tutto al verde intenso che qualcuno di noi ha visto da queste parti in luglio o agosto. Oggi, lunedì, siamo andati a Los Naranjos. Ci passeremo tutto il giorno ma la sera torneremo in città. Martedì e Mercoledì saremo infatti ad Arcatao, per incontrare per la prima volta, il locale “Comité de memoria sobreviviente”. La raccolta di soldi realizzata durante al veglia ecumenica delle celebrazioni romane per mons. Romero, andrà a loro e noi andremo prendere maggiori contatti e a conoscere da vicino la loro esperienza. Ad Arcatao avvenne un grande massacro di civili da parte dell’esercito, durante la guerra, ed ora la parrocchia, l’università dei gesuiti e alcune associazioni locali stanno cercando di far emergere la verità e di recuperare nomi e luoghi del massacro e delle fosse comuni, di individuare i responsabili e ricostruire la memoria esigendo anche la giustizia. A Los Naranjos torneremo pertanto giovedì per celebrare insieme il Giovedì santo (che quest’anno è anche il 20mo anniversario della mia “prrma messa”) e continuare racconti e un po’ di condivisione. Poi il venerdì santo saremo al Las Mesas, arrivandoci via terra… Sabato sera arriveremo a Jardines de Colon dove celebreremo la Pasqua e domenica sera saremo nuovamente a San Salvador… Cosa dirvi di questa prima giornata a Los Naranjos? Innanzitutto che molte cose sono cambiate. Adesso l astrada asfaltata arriva quasi fino alle metà del cammino. Poi, (con uno dei tanti progetti che l’attivissima comunità di Los Naranjos si sono inventati)il secondo tratto è in buona parte “empedrado” e cementato così che soprattutto durante il periodo delle piogge è molto sicuro. Solo qualche tratto è di strada bianca. Chiaramente all’arrivo, il grande prato, i campi intorno, li abbiamo trovati un po secchi e riarsi… siamo nella stagione secca. Però i grandi alberi alti più di 20 metri, dalla grandissima chioma, stavano ancora lì… e con loro la gente. Il primo a venirci incontro Don Goyo… allegro e vispo come sempre, poi la famiglia di Ricardo (che era con noi insieme ad Armando), David, la famiglia di Blas e così via… sullo sfondo (vedrete le foto) un’insolita costruzione nuova, con prato verde e piccolo recinto, due gazebo in legno con tavoli e sedie di legno rustico, una piccola piscina lastricata di maioliche azzurre sul prato, sul tetto pannelli solari… una bellezza. Li ci attendevano le maestre e molti altri della comunità con una cartello gigante a lettere cubitali d’oro. tenuto da sei bambini, che diceva. “bienvenidos padre Luca y Cristiano”. A lato due grandi vasche nel terreno piene d’acqua per l’allevamento di pesci. Ci hanno accolti nella veranda della nuova costruzione e alcuni giovani con dei disegni e pitture ci hanno raccontato le nuova planimetria della comunità, poi bambini e ragazze hanno fatto balli e danze tipiche. Tutta la gente festosa ci ha riempito di domande, di richieste e ci hanno raccontato in breve o per le lunghe questi ultimi cinque anni, i tanti progetti, la vita della comunità, ecc. Noi siamo rimasti molti commossi e anche un po’ senza parole. Sembrava di stare da un’altra parte eppure eravamo lì. Ci sembrava di essere lì da sempre eppure mancavamo da sei anni… Don Goyo a rifatto la cronistoria del viaggio suo e di Miriam a Roma con una precisione di nomi, luoghi ed eventi sorprendente. Parla di p. Paolo, di Riziero e Vanda, di Giulia e delle sue domande, degli incontri animati in parrocchia e cosa gli chiedeva la gente, di cosa gli diceva p. Francois, delle cene nelle varie famiglie, di Stefania e Pino, Dino e Carmela, dei bambini e delle visite per Roma. Mirian ci presenta la sua nuova nata, due anni… Così anche le famiglie si ricordavano tutte di ciascuno di noi (di tutti noi di san Giuseppe Moscati che li abbiamo visitati nel 2005) mentre noi avevamo difficoltà a riconoscere tutti.
Una mattinata veramente sorprendente e molto gioiosa. In certi momenti proprio commovente. Siamo stati a pranzo dalla famiglia che ha ospitato Edoardo e Sabina, da don Alfonso, padre di Miriam che venne a Roma e della moglie di Ricardo (che ospitò Laura e Sandro). Oi abbiamo fatto una visita ai diversi orti biologici che hanno messo su e anche a qualche esperimento di Apicultura. Quindi alle 14, evento alla scuola con tutti i bambini e i ragazzi, venuti apposta, anche molti da Las Mesas, per l’incontro. Di per sé la scuola era chiusa da qualche giorno per le vacanze pasquali. Erano tutti lì, in uniforme scolastica, con le maestre e le famiglie per salutare noi. Ogni singolo/a bambino/a e ragazzo/a ci ha scritto un biglietto personale a me e a Cristiano. Quindi divisi per grado, hanno fatto balli, recitato poesie, fatto drammatizzazioni, cantato canzoni. Poi siamo stati con loro un’ora a chiacchierare della scuola, della sua importanza, di quello che vorranno fare dopo,,, abbiamo fatto qualche video intervista (speriamo di farvela vedere presto…). Abbiamo avuto modo di parlare a lungo con Ana Gloria, la maestra, e chi l’aiuta. Veramente una persona dedicata con passione all’insegnamento nelle scuole rurali. Alle 18 poi grande cena comunitaria. Pupusas e caffè per tutti. Abbiamo messo una quindicina di tavoli e relative panche in un grande cerchio sotto l’immenso conacaste (l’albero alto 20 metri che sta sul lato del grande prato). Dentro tutti i bambini, nel cerchio esterno tutti gli adulti. Dopo che si è mangiato un po’ sono iniziati vari discorsi, ringraziamenti, ricordi e proposte per i giorni seguenti… si stava facendo scuro quando ho presentato il pacco con le nostre lettere, fotografie, CD e il crocifisso di San Damiano che abbiamo loro inviato… son rimasti molto contenti ma abbiamo rimandato la condivisione e la presentazione/traduzione delle lettere e dei messaggi a giovedì… anche loro avevano vari doni. Alcuni ce l’hanno consegnati, altri li abbiamo rimandati all’incontro prossimo… stava facendo notte ma nessuno voleva che terminasse l’evento… Alla fine Armando, preoccupato di dover tornare con il buio, ha chiesto a tutti di rimandare tante cose al giovedì e tutti hanno acconsentito… così tra abbracci, scherzi, e tante parole commosse ci siamo salutati… una festa che veramente non è ancora finita… mentre ci si salutava, nel buio di un immenso prato (giacché il comune ritiene che non vale la pena portare l’energia elettrica fino a questa comunità di poveri) mi si è avvicinato don Joachim, un vecchietto, minuto e magrolino, reduce della guerra… mi ha biascicato (…facevo fatica a capirlo) che lui non aveva niente da donarmi. Che gli dispiaceva… che anche gli ultimi raccolti erano andati molto male. L’ho abbracciato e gli ho detto che non doveva preoccuparsi, che era bello stare insieme e basta. Lui poi ha iniziato a parlarmi di una grosso mango, un mango grandissimo che mai gli era cresciuto sul suo albero, che i manghi di solito vengono piccolini in questa stagione. Io facevo molta fatica a capirlo e alla fine ho ricostruito la sua idea che sarebbe stato bello che io vedessi il mango. Armando già aveva messo in moto il pick-up, e dopo gli ultimi saluti ho abbracciato il vecchietto, qualche signora un po’ di bimbi. Con noi, dentro e nella parte posteriore aperta del pick.up, c’era molta gente, ognuna per farsi dare un passaggio qua o la… e siamo partiti. Dopo aver fatto meno di un di cinquecento metri, lungo la stradina totalmente buia e sconnessa che percorrevamo lentamente con il pick-up si, spuntato fuori da un campo laterale, si è parato davanti a fari don Joachim… in mano un grosso mango di almeno mezzo chilo. Ci siamo fermati. Lui ha raggiunto il mio finestrino e, sempre con il suo parlere poco comprensibile e sbiascicato, mi ha detto: “Padre Luca, ecco il mango. Le avevo detto che non poteva andar via senza vederlo… l’ho colto per lei questa mattina. E’ il frutto più bello del mio campo… que Dios la bendiga…”, mi ha consegnato il mango, ha salutato tutti ed è sparito nell’oscurità del suo campicello. Il mango gigantesco ha riempito la macchina del suo profumo. Intenso, persistente, delicatissimo, dolce… Io non ho detto niente per un po’ di minuti. Solo il profumo parlava. In mondo intenso, delicatissimo e dolce raccontava la storia di un piccolo popolo, povero, spesso calpestato, capace comunque e sempre di una generosità persistente come il profumo di quel frutto maturo…
Ora qui siamo dopo la mezzanotte… da voi saranno le 8,30 della mattina… vorrei farvi conoscere questo profumo e condividere con voi quante è dolce il grosso mango… ma non si può… occorre venire da queste parti… Un abbraccio a tutti. Luca
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