ANIMA E CORPO SEI SCULTURE DI ARTURO MARTINI - CERIBELLI EDITORE - Centodieci.it

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ANIMA E CORPO
SEI SCULTURE DI ARTURO MARTINI

       CERIBELLI EDITORE
ANIMA E CORPO SEI SCULTURE DI ARTURO MARTINI - CERIBELLI EDITORE - Centodieci.it
ANIMA E CORPO
SEI SCULTURE DI ARTURO MARTINI

       CERIBELLI EDITORE
    Via G. Longo 4 - 24124 Bergamo
      ceribellieditore@gmail.com
ANIMA E CORPO SEI SCULTURE DI ARTURO MARTINI - CERIBELLI EDITORE - Centodieci.it
Pubblicato in occasione dell’esposizione

ANIMA E CORPO
Sei sculture di Arturo Martini
Palazzo Biandrà di Banca Mediolanum, Milano
25 maggio / 15 settembre 2021

A cura di
Nico Stringa
Marta Ceribelli

Progetto grafico
Fabiana Pastorino

Foto di
Martino Mascherpa
Marco Mazzoleni

Un particolare ringraziamento al fotografo
Brooks Walker

Si ringrazia inoltre per la preziosa collaborazione
Chiara Carnevale Garè, Arialdo Ceribelli, Massimo Ciaccio,
Roberto Dulio, Angelo Garoglio, Grazia Gian Ferrari,
Paola Gian Ferrari, Martino Mascherpa, Marina Reina,
Annamaria Rota Nodari, Chiara Ventura

ISBN 978-88-31975-14-8
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ANIMA E CORPO
Sei sculture di Arturo Martini

Vale per tutte le opere pensate e ben medita-
te, e dunque anche per le sculture di Martini:
vanno viste e osservate con calma, una alla
volta e in piccolo numero, ben distanziate e
opportunamente spaziate, di modo che l’ani-
ma di quei corpi possa emergere o almeno
affiorare, nel tempo che intendiamo dedica-
re loro; se vogliamo che avvenga l’incontro, il
contatto, la relazione emotiva e conoscitiva.
In questo caso la selezione è avvenuta al fine
di mostrare il Martini più severo prima di tutto
con se stesso, il che significa con la grande
tradizione italiana, nel contesto amplissimo
che lo scultore prendeva a riferimento ogni
qualvolta si apprestava a confrontarsi con i
classici per inventare, senza pretendere di
uscire dal grande fiume dell’arte ma nuotan-
doci dentro, magari anche controcorrente.
Sono sculture lontane tra di loro nel tempo
ma evidenziano le costanti del lavoro dell’ar-
tista, come se fossero nate in poche ore o
magari durante una lunga, operosa giornata:
senso della misura, ricerca spaziale, controllo
del messaggio, tensione spirituale. Siamo tra-
scinati dolcemente ad assaporare il profumo
dell’anima che il corpo sigilla e conserva in-
tatta e intangibile.

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Centodieci è un’iniziativa di Banca Mediola-
num nata nel 2013 con l’obiettivo di diffon-
dere la cultura dell’educazione intesa come
strumento capace di produrre quel cambia-
mento funzionale alla crescita e allo sviluppo
personale e collettivo.
Si articola in un web magazine, www.cen-
todieci.it, che attraverso l’opinione di firme
d’autore mira a fornire spunti di riflessione
destinati a ispirare e stimolare la cresci-
ta personale e professionale del lettore, e
un articolato calendario di eventi originali e
multidisciplinari, che vengono pensati e al-
lestiti in esclusiva per le diverse community
sul territorio.

Ispirandosi ai principi fondativi del Gruppo:
Libertà, Relazione, Responsabilità, Innovazio-
ne Sostenibile, Positività, Centodieci individua
le proprie proposte, gli eventi, gli spettaco-
li, i talk show, le mostre d’arte, privilegiando

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contenuti e incontri inediti e non             teatro, diventano un potente stru-           non esclusivamente finanziario. A
presenti sul mercato, le storie e le           mento di diffusione di valori, una           tutto vantaggio delle persone, siano
esperienze in grado di ispirare nuo-           mappa sicura sulla quale orientarsi          esse clienti o prospect o più in gene-
ve prospettive valoriali, momenti in-          soprattutto in un momento storico            rale visitatori, attorno alle quali è co-
novativi di racconto che sappiano              di grandi cambiamenti quale quello           struita l’intera proposta artistica che
creare quel ponte con gli spettatori           attuale che pare aver smarrito il suo        diventa, oltre che originale e inedita,
capace di rafforzare il senso di ap-           senso di comunità e condivisione.            anche facilmente accessibile e a
partenenza alla community.                     Centodieci è Arte fonda la sua pro-          portata di mano. Come Banca Me-
                                               posta editoriale sulla ricerca del-          diolanum: costruita Intorno a te.
Le diverse discipline e i campi del            la bellezza, della sostenibilità, del-       Centodieci è Arte seleziona le pro-
sapere nei quali si è attestato nel            la condivisione di valori, per farne         prie proposte mettendole al servizio
corso degli anni l’interesse di Cen-           un’occasione di relazione interper-          della relazione.
todieci, hanno prodotto la seguente            sonale e di accrescimento culturale
classificazione delle diverse mani-            ed economico, privilegiando conte-
festazioni: Arte, Cultura, Empower-            nuti e incontri originali e inediti che
ment, Innovability.                            non si trovino altrove, le storie e le
                                               esperienze in grado di ispirare nuo-
Centodieci è Arte                              ve prospettive valoriali, momenti
La mission di Centodieci è rintrac-            innovativi di racconto che in modo
ciare e selezionare ciò che nel mon-           lieve ma mai superficiale creino un
do permette di entrare in relazione            ponte con gli spettatori rafforzando
con processi culturali e artistici di          il senso di community, Centodieci è
eccellenza in grado di innescare               Arte sceglie di proporre una dimen-
circuiti intellettuali virtuosi a livel-       sione esperienziale immersiva nei
lo individuale, sociale, ambientale.           Family Banker Office di tutta Italia.
In quest’alveo si pone Centodieci              Le opere d’arte, gli artisti, gli storici,
è Arte attraverso la promozione di             entrano così in luoghi e spazi non
mostre, incontri, dialoghi per la co-          tradizionalmente dedicati a ospita-
noscenza dell’arte e della cultura             re questi temi. Dal canto loro i luo-
moderna e contemporanea nei suoi               ghi prettamente dedicati all’attività
vari ambiti. Cosicché l’architettura, il       bancaria espandono i propri peri-
cinema, la fotografia, la letteratura,         metri accogliendo manifestazioni
la musica, la pittura, la scultura, il         di cultura nel senso più allargato e

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VETRINE
DI PALAZZO BIANDRÀ
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INTRODUZIONE
“SONO COSE DI PENSIERO”
riflessioni su alcune sculture di Arturo Martini

Da sempre, la scultura (sia essa intesa come
modellazione per aggiunte successive, oppu-
re come sottrazione di materia dal blocco) è
in agone. Donatello o Michelangelo? Costruire
modellando o togliendo il “superchio”? Marti-
ni stesso, che ha proposto con una certa fre-
quenza nei suoi scritti e nel suo operare questa
dicotomia, ha a volte radicalizzato e altre volte
banalizzato l’alternativa. E dopo tanti anni da
‘modellatore’, quando il ciclo delle grandi ter-
recotte (1930-1933) chiudeva un’epoca per lui
e – possiamo dirlo? - per la scultura universale,
sappiamo cosa significò il suo proporsi come
‘scultore’ in pietra e in marmo; significò sepa-
rare drasticamente l’idea iniziale dall’opera
finale, ponendosi nella posizione di colui che
stabilisce tra sé e l’opera una ‘distanza’ che in
precedenza non aveva immaginato.
Questa pausa, inesistente nella continuità che
contraddistingue la prassi modellativa, portò
l’artista a esiti diversi: sospensione del bozzetto
preparatorio e sua sostituzione con altra idea
(è il caso del Tito Livio per l’Università di Pado-
va); lavorazione en-plein-air con ‘spettatori’
alla cava di pietra di Finale, per il Pegaso de-
stinato alla città di Savona; decisioni dramma-
tiche come nel caso della decapitazione del
marmo Donna che nuota sott’acqua (mossa
decisiva, in netto scarto con il modello prepa-

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ratorio di cui si conserva il bronzo ad          (risalente appunto a quel momento)      collezione e in altre consimili, come                       quanto mai all’idea di un nuovo clas-
esemplare unico al Museo di Treviso).            e in altre opere come Busto di ragaz-   quella detta il Sasso, regalata ai co-                      sicismo, quindi sobrio e astratto dal
Gli esordi e la prima notorietà per il           za, di ascendenza quattrocentesca e     niugi Calzavara-Mazzolà e imperdo-                          presente, prossimo alla metafisica
giovane Martini furono contrassegna-             la severa e spoglia Testa di ragazza,   nabilmente distrutta poi dall’artista.                      dechirichiana più che al primitivismo
ti, nel corso del secondo decennio del           esposta agli Ipogei e subito acquisi-   Busto di ragazza è il gesso più vicino                      di un Carrà; ed è anche molto affine a
’900, da una scultura privilegiata dal           ta da Margherita Sarfatti per la sua    al gusto di “Valori Plastici”, aderente                     quella atarassia a cui sono improntati
punto di vista del profilo (Maternità,                                                                                                               i volti delle allegorie nel Monumento di
Fanciulla piena d’amore, La prostitu-                                                                                                                Vado Ligure, di quella fase.
ta) con soluzioni in alcuni casi addirit-                                                                                                            Fin dal titolo, Fecondità è l’opera più
tura bifronti, come in Carnaval. Pierrot,                                                                                                            legata all’idea del “grembo plastico”;
Colombina e Arlecchino, alla scultura                                                                                                                ne appare l’esplicitazione letterale,
a tuttotondo ancora legata in preva-                                                                                                                 come la verifica di un’idea program-
lenza al punto di vista principale, fron-                                                                                                            matica. Il nudo femminile stante dai
tale, con La monaca (primo titolo: Al                                                                                                                volumi grossolani è raffigurato come
di là del limite), Fanciulla verso sera,                                                                                                             in un momento di trance, di inconsa-
Amica del cipresso. Trasferitosi a Mila-                                                                                                             pevolezza, di sogno che sta per finire
no nel 1920, in contatto con Carlo Car-                                                                                                              ma che non è ancora propriamen-
rà e con Margherita Sarfatti, nel clima                                                                                                              te un risveglio. Fecondità, si discosta
di ritorno all’ordine, Martini si vede                                                                                                               clamorosamente dal contesto neo
spinto a teorizzare pubblicamente                                                                                                                    quattrocentista degli artisti suoi co-
una nuova idea di scultura tenendo                                                                                                                   etanei, impegnati nella riscoperta del
una ‘conferenza’ in occasione della                                                                                                                  Museo, ma anche, va detto, rispetto a
mostra personale alla Galleria degli                                                                                                                 tante altre sue sculture del momento;
Ipogei di Via Dante. In quell’incontro,                                                                                                              è una sorta di amuleto d’età arcaica
autunno del 1920, l’artista propose per                                                                                                              quello che Martini ci presenta, inquie-
la prima volta l’idea, rimasta centrale                                                                                                              tante prelievo da lontani ricordi gau-
nel suo lavoro, del “grembo plastico”.                                                                                                               guiniani (aveva già sperimentato una
Il testo del suo discorso è perduto ma                                                                                                               conclamata affinità con Gauguin nel-
i frequenti richiami nell’epistolario e                                                                                                              la terracotta del 1913: Ritratto di bam-
soprattutto nei Colloqui sulla scultu-                                                                                                               bina nell’età indecisa, nella collezione
ra consentono di ricostruire quel giro           Testa di ragazza, 1920,                 Medardo Rosso, Madame X, 1906 circa,                        di Gianni Mattioli); segno che il sintag-
                                                 già collezione Margherita Sarfatti      Venezia, Galleria Internazionale d'Arte Moderna
di pensieri che vediamo ripercuoter-                                                     di Ca' Pesaro, dono di Etha Fles 1914, fotografia di        ma “grembo plastico” non garantiva
si nel gesso patinato della Fecondità                                                    Angelo Garoglio (2012)                                      affatto un allineamento scontato da

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Deposizione, 1944-45

                                      parte del trevigiano agli ideali classi-
                                      cheggianti, ma intendeva gravitare
                                      attorno a quella zona oscura che è la
                                      tensione creativa orientata a realizza-
                                      re oggetti tridimensionali che portino
                                      il segno della loro genesi; il che signi-
                                      ficava conferire, alla cosa raggiunta
                                      dalla sua forma, almeno l’idea del fat-
                                      to che il convesso deriva dal concavo
                                      e ne porta la traccia, i segni, l’impronta.
                                      In quel contesto milanese una teoria
                                      avversa alla dissoluzione della forma
                                      poteva essere facilmente individua-
                                      ta e riconosciuta come polemica nei
                                      confronti di Medardo Rosso e dovet-
                                      te apparire perfino eccessiva, se si
                                      tiene conto del fatto che lo scultore
                                      italo-francese (dedicatosi esclusi-
                                      vamente alla modellazione) aveva
                                      cessato di operare nel campo della
                                      scultura da vent’anni ed era (stato)
                                      tra gli artisti prediletti della Sarfatti.
                                      Non solo; se si pensa che al Museo di
                                      Ca’ Pesaro, Martini aveva potuto am-
                                      mirare con calma e ripetutamente
                                      una cera come Madame X, esposta
                                      alla Biennale del 1914 e donata da
                                      Etha Fles subito dopo a quel “Museo
                                      della Biennale” che era allora la Gal-
                                      leria Internazionale d’Arte Moderna di
                                      Ca’ Pesaro, si potrebbe pensare addi-
                                      rittura che la scaturigine del “grembo
L’atmosfera di una testa, 1944        plastico” sia da rinvenire proprio nelle

                                 24
opere dello scultore che veniva pre-
so di mira come responsabile dello
sfaldamento dell’immagine in chia-
ve postimpressionista. Madame X,
un ovale còlto nella luce al chiudersi
in se stesso oppure al contrario fer-
mato provvisoriamente nel momento
della sua germinazione primordiale,
poteva essere letto come embrione
di quel “sasso” che Martini inseguiva
come esito assoluto del fare plasti-
co: il positivo che appare come frutto
plastico appunto del grembo, inteso
quest’ultimo alla stregua del vuoto
generatore. Un riferimento altrettan-
to problematico potrebbe riguardare
l’opera di Adolfo Wildt, altro artista di
casa Sarfatti, il quale proprio nel 1920
stava ultimando il suo libro L’arte del
marmo (pubblicato l’anno dopo) in
cui, al di là dei metodi tecnici illustrati
alla pari di un maestro di corporazio-
ne dell’età medievale, lo scultore mi-
lanese evocava tanti suoi lavori im-
postati sul rapporto pieno-vuoto.
Le soluzioni opposte agli incalzanti
problemi formali non devono distrarci
dal fatto che il pensiero che le gover-
na è il medesimo: il Torso di ragazzo
e il San Giovannino (‘Michelangelo’,
questa volta intermediato da Wildt, e
                                                   La Carità, marmo di Carrara, 1937, partic. della Giu-
‘Donatello’), così lontani e in apparen-           stizia Corporativa, Bologna, Genus Boboniae, Casa       Dedalo e Icaro, 1937,
za inconciliabili, sono soluzioni com-             Saraceni                                                partic. della Giustizia Corporativa, Bologna, Genus Boboniae, Casa Saraceni

                                              26
plementari. Nel primo il corpo è ridot-                     di modo che il conflitto tra spazio inter-     del piacentiniano Palazzo di Giustizia
to a guscio, scorza, involucro tagliato                     no e spazio esterno alla figura risulta        di Milano, non potrà sfuggire a questa
due volte (in verticale e in orizzontale)                   in equilibrio perfetto. Nel 1935, quan-        sensazione di essere davanti a corpi
e svuotato (ma meglio sarebbe dire:                         do Martini lavora al “Ciclo di Blevio”, la     che respirano; se poi fosse possibile
riempito di vuoto) in uno squilibrio che                    pausa dai lavori monumentali lo porta          collocare di fronte al rilievo martiniano
si annuncia inquietante; nel secondo                        a riflettere, come aveva fatto attorno al      le due estrapolazioni a tutto tondo che
il confine tra spazio e corpo è talmen-                     1920, sulla scultura come respiro inter-       Martini ha ricavato dall’insieme – De-
te sottile che quasi non si percepisce,                     no alla materia; e, anche questo è un          dalo e Icaro e La Carità – esposte alla
                                                            particolare che sappiamo dai Collo-            III Quadriennale di Roma del 1939 nella
                                                            qui sulla scultura, la sperimentazione         disattenzione generale e ora conser-
                                                            consistette allora nei lavori di Blevio, tra   vate al Museo della Città di Bologna,
                                                            cui spicca per assonanza donatelliana          si avrebbe palpabile la sensazione di
                                                            il San Giovannino, in una tecnica sofi-        un grembo che ha partorito, di un po-
                                                            sticatissima da orefice-chirurgo, con-         tenziale sorgivo non più esteticamente
                                                            sistente nel tagliare la creta e operare       rattenuto ma finalmente manifestatosi
                                                            per spinte interne, così che, appunto,         appieno.
                                                            l’esito risentisse (come infatti risente) di   Prossimo al San Giovannino, e forse
                                                            un’aura specifica, non priva di grazia,        precedente, è l’ineffabile Pastorello,
                                                            così rara nelle opere dell’artista. Non va     privo di peso, leggero senza essere
                                                            dimenticato che la pausa ‘comasca’             atletico, classico e non neoclassico              Ragazzo seduto, 1930
                                                            avrà una ripercussione immediata nel           (potremmo dire con Lionello Venturi),
                                                            grande formato; la Giustizia Corpo-            dinamicamente in stato di riposo, pre-            Per quanto indifferente o addirittura a
                                                            rativa del 1937 si distingue da tutte le       sente-assente, dimentico di sé, discro-           volte ostile alla versione in bronzo dei
                                                            altre opere monumentali di Martini e           nico, grazioso non lezioso, è opera dif-          suoi ‘modelli’, lo scultore veneto avrà
                                                            dall’intera scultura monumentale fa-           ficile da datare con precisione perché            dovuto ammettere che la versione
                                                            scista, non solo per aver evitato le più       compendia in sé antitetiche aspirazioni           definitiva, se in bronzo, di un’opera mo-
                                                            abusate iconografie del regime, ma             martiniane: e, si direbbe, anche questo           dellata da lui, era pur sempre la più
                                                            in primo luogo per quel pneuma che             suo sottrarsi a un preciso momento, a             prossima alla creta (e al gesso che egli
                                                            la sorregge, che la fa lievitare verso         una data di nascita fissa e indiscutibile,        stesso ne aveva ricavato) predispo-
                                                            l’osservatore. Chi può osservare da            appare come la cifra stessa dell’opera,           sta per la fusione. Proprio l’esperienza
                                                            vicino l’altorilievo martiniano, posto in      indubbiamente modellata con mano                  milanese-carrarina successiva, negli
                                                            mezzo tra quelli di Romano Romanel-            felice o nella seconda metà dei ’20 op-           anni ’30 con le opere monumentali, gli
retro del Ritratto di Ferrarin di Adolfo Wildt, 1929        li e di Arturo Dazzi, al secondo piano         pure a metà anni ’30.                             avrà fatto sperimentare che il lavoro

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Orfeo, 1946
                                                                                                    litoceramica Piccinelli, collezione privata

di mediazione degli scalpellini non era               ignude, soave nel suo martirio, pallido
solo una tappa tecnicamente neces-                    nell’argilla chiara, palpitante nello spa-
saria dal gesso al marmo compiuto,                    zio, è una scultura esemplare di un pe-
ma una approssimazione alla versione                  riodo nel quale le contraddizioni della
finale che spingeva a modificare l’im-                statuaria sembrano placarsi in un dia-
pianto iniziale, suggerendo o forse im-               logo sommesso, non più di contrasto,
ponendo innovazioni stilistiche a volte               tra spazio e volume, come era acca-
sostanziali (l’esempio più chiaro è nei               duto attorno al 1920 sempre a Milano.
riquadri per il Palazzo dell’Arengario di             In queste estreme prove sappiamo
Piazza Duomo, poco osservati e poco                   che l’artista manipolava la creta non
discussi). La modellazione diretta in ar-             prima di averla infagottata con panni
gilla, culminata nelle grandi terrecotte              umidi, così da evitare il contatto diretto
di due metri del 1930-32, poteva arriva-              delle sue mani con una superfice che
re a effetti sintetici molto efficaci, ac-            egli voleva quasi intonsa, appena ac-
colse gli spacchi, le aperture, le finestre           cennata nei passaggi delicati, come se
che egli aveva sperimentato nelle ma-                 essa si fosse espansa autonomamen-
ioliche prodotte in Liguria, ad Albisola              te, senza l’intervento sensibile dell’auto-
e a Nervi, nella fine anni ‘20; ma furono             re. Si percepisce in atto la tanto perse-
le schegge del marmo di Carrara ad                    guita utopia della scultura come pane
avvicinarlo al ‘cubismo’ maturo della                 che lievita, un’altra metafora che ricor-
stagione veneziana.                                   re nelle sue esternazioni, equivalente a
Alla fine della sua vita, nella Bergama-              quella così fondamentale di “grembo
sca prima e nella Milano semidistrutta                plastico”. Nel San Sebastiano (come
dai bombardamenti poi, con l’ener-                    in tutte le altre ceramiche modellate
gia elettrica razionata, letti provvisori             allora per la ditta Piccinelli) si percepi-
dove passare la notte, pasti irregolari,              sce che queste teorie martiniane non
insomma nella precarietà dell’esisten-                erano sovrapposizioni ideologiche ma
za, Martini trova rifugio, è il caso di dirlo,        sentitissime esigenze espressive; che
per l’ultima volta nella terracotta e in              nelle situazioni nuove permettevano
generale dunque nella ceramica che                    all’artista di modulare risposte adat-
lo aveva visto imporsi da giovane, a                  te seguendo quell’a-priori maturato a
Treviso, attorno al 1909. Il San Seba-                Milano nel 1920.
stiano, morbido quanto mai nelle carni                Sono portato a interpretare così la dia-

                                                 30
Pietà, 1946
litoceramica Piccinelli, collezione privata

                                              lettica anima/corpo che Martini stesso              ostacolata dalla difficile presa di visio-
                                              ha pensato e enunciato nei momenti                  ne diretta delle singole opere.
                                              di crisi (crisi, nel suo caso va tradotto,          Ci viene in soccorso, a questo punto,
                                              alla lettera, come scelta).                         la filosofia di Hannah Arendt che nella
                                              Ogniqualvolta l’artista percepisce che              diagnosi elaborata all’altezza del 1958
                                              la sua vena narrativa ha preso o ri-                (The human condition*), chiudeva i
                                              schia di prendere il sopravvento, allora            conti, senza nominarla, con la faticosa
                                              ecco il momento di crisi. Nel prevalere             indagine del suo maestro tedesco su
                                              del narrativo, potremmo dire, è il corpo            questo aspetto specifico, con una af-
                                              che, di primo acchito, sembra preva-                fermazione che facciamo nostra, dopo
                                              lere; è nelle pause invece, più o meno              quanto si è detto a proposito dell’ar-
                                              prolungate, che l’anima manifesta                   tista italiano che apparentemente
                                              tutta la sua essenza. Nelle pause, negli            sembra distante da questa imposta-
                                              intervalli, nelle periodiche sospensioni,           zione, e che suona come ammoni-
                                              nelle interruzioni anche lunghe, nelle ri-          mento per chi si è accostato a Martini
                                              nunce, nei passi falsi, nelle intraviste al-        con superficialità: ”Le opere d’arte sono
                                              ternative alla scultura (per esempio: il            cose di pensiero”.
                                              disegno e l’incisione, sempre; la pittura,
                                              dal 1939) – maturava la necessità della                                                   Nico Stringa
                                              crisi, della scelta. Non si tratta dunque
                                              di provvisorio intuito, colpo d’ala o mo-
                                              mento felice, né di improvvisazione o               *Hannah Arendt, Vita activa. La condizione umana,
                                              ispirazione ad effetto; al contrario, pre-          tr. it. Milano 1991 p. 121; “The works of art are thought
                                                                                                  things, but this does not prevent their beeing things”
                                              senza sotterranea o affiorante di alcu-             p. 169 della seconda edizione, Chicago e Londra, 1998
                                              ne idee regolative che si impongono                 La bibliografia minima per seguire il tracciato di que-
                                              perentorie in alcune fasi, che sembra-              sto intervento è costituita dalle seguenti voci:
                                                                                                  Arturo Martini. Catalogo ragionato delle sculture,
                                              no svanire in altre, per affermarsi con             a cura di Gianni Vianello, Claudia Gian Ferrari, Nico
                                              sempre maggiore decisione negli anni                Stringa, Vicenza, Neri Pozza ed., 1998
                                                                                                  Arturo Martini, Le lettere 1909 – 1947, a cura di Natale
                                              finali della sua attività. Questo percor-           Mazzolà, prefazione di Giovanni Comisso, Note bio-
                                              so ambivalente e ricco di sorprese è                grafiche di Bepi Mazzotti, Firenze, Vallecchi ed. 1967
                                                                                                  Arturo Martini, Colloqui sulla scultura 1944-45 raccolti
                                              probabilmente alla base della con-                  da Gino Scarpa, a cura di Nico Stringa, Treviso, Cano-
                                              trastata acquisizione critica dell’opera            va ed., 1993 (1997)
                                                                                                  Giorgio Agamben, Divagazioni sulle “Collegiali” di Ar-
                                              martiniana nel suo complesso, spesso                turo Martini, in “Ricche Minere”, n. 11, 2019, p. 119-120

                                                                                             33
OPERE
Fecondità

            Arturo Martini
            (Treviso 1889 - Milano 1947)

            F E C O N D I TÀ
            1920 – 1921
            gesso patinato a terracotta, cm 68 x 23 x 23
            collezione privata

            Chiamato a far parte del gruppo di artisti
            ruotanti attorno alla rivista “Valori Plastici”,
            Martini non lavora tanto sul ritorno al mu-
            seo ma propone soluzioni come Fecon-
            dità in cui l’arcaismo si manifesta come
            forma in espansione, spazio interno libero
            di lievitare e quindi anche di deformare.

                        36
Fanciulla col passero

                        Arturo Martini
                        (Treviso 1889 - Milano 1947)

                        FAN CI U LL A CO L PAS S E RO
                        1922 circa
                        bronzo del “centenario” (1989) dal modello in
                        gesso del 1922, cm 77 x 40 x 24
                        collezione privata

                        Il tema già presente in un’opera giovani-
                        le proviene dai motivi decorativi dei piatti
                        popolari dell’800, per non parlare dell’i-
                        conografia cristiana e di ambito classico
                        antico. La compostezza della figura, la ve-
                        ste ondulata e aderente, le braccia con-
                        serte – tutto converge a trattenere il silen-
                        zio che avvolge questa giovinetta assorta
                        nei suoi vaghi pensieri.

                                   38
Pastorello

             Arturo Martini
             (Treviso 1889 - Milano 1947)

             PASTO R E LLO
             1928 circa
             terracotta chiara, esemplare unico, cm 35 x 17 x 20
             collezione privata

             Non cessa di sorprendere questa terracotta
             di Martini, nota in esemplare unico, ricca di
             fascino come se fosse una porcellana del
             ‘700; il modellatore, infatti, si è messo all’o-
             pera con una sensibilità rara, trasferita em-
             paticamente nella resa perfetta dei volumi
             solidi ma scattanti, libero da richiami mu-
             seografici, come se tutta la grazia del “fare
             forma” si fosse concentrata in quell’ora, in
             quello spazio.

                          40                                       41
Torso di giovinetto

                      Arturo Martini
                      (Treviso 1889 - Milano 1947)

                      TO RSO D I G I OVI N ET TO
                      1929
                      bronzo, cm 74 x 37 x 21
                      collezione privata

                      Subito apprezzato dai contemporanei al pun-
                      to di venir installato in importanti occasioni
                      da parte degli architetti razionalisti milanesi, il
                      Torso di giovinetto, pensato come un guscio,
                      come la scorza strappata da un albero, ci mo-
                      stra un Martini sperimentale già a fine anni ’20,
                      proteso alla ricerca di quella “scultura cava”
                      che diventerà centrale negli anni veneziani
                      quando, come ultimo frutto di questa indagi-
                      ne, l’artista arriverà a concepire Atmosfera di
                      una testa, conservata al Museo del Paesaggio
                      di Verbania Pallanza.
                                   42                                       43
San Giovannino

                 Arturo Martini
                 (Treviso 1889 - Milano 1947)

                 SAN G I OVAN N I N O
                 1935
                 bronzo, cm 47 x 18 x 12,5
                 collezione privata

                 Modellato in creta a Blevio, sul Lago di Como,
                 esprime la sfida antimonumentale dello scul-
                 tore nel momento in cui egli era sempre più
                 coinvolto in grandi opere per il regime. In quella
                 fase, il richiamo esplicito al modellato donatel-
                 liano indicava la volontà di Martini di mettere
                 in evidenza la necessità della misura, del ritmo,
                 delle proporzioni, nel pieno rispetto della gran-
                 de tradizione rinascimentale.

                              44                                      45
San Sebastiano

                 Arturo Martini
                 (Treviso 1889 - Milano 1947)

                 SAN S E BASTIAN O
                 1946
                 terracotta, cm 45 x 13 x 12

                 È una delle ultime creazioni martiniane in terra-
                 cotta, la materia prediletta dall’artista che tra il
                 1946 e il 1947 modella una serie di opere di pic-
                 cole e medie dimensioni ispirate sia a temati-
                 che religiose che mitologiche, tornando come
                 per un addio ai modi dei primi anni ’20: volu-
                 mi morbidi tesi a far percepire la forma come
                 confine tra spazio interno e spazio esterno, in
                 questo caso in perfetto equilibrio.

                              46                                        47
MARTINI
N E L L A C I T TÀ D I M I L A N O
PALAZZO DELL’ARENGARIO
Le sculture esterne, quotidianamente sotto i
nostri occhi, rischiano grosso, e non solo per-
ché sono aggredite da agenti esterni corrosivi,
ma anche perché sono ‘consumate’ da una
nostra sottile ‘malattia’: l’abitudine, che spes-
so porta all’assuefazione. In una occasione
come questa, che rende visibili sculture di Ar-
turo Martini in centro a Milano, abbiamo volu-
to richiamare l’attenzione sugli splendidi rilievi
che lo scultore ha scolpito e posizionato (1942)
tra gli archi e sotto la balconata dell’Arenga-
rio progettato da Giovanni Muzio, in Piazza
Duomo, ora sede del Museo del Novecento.
Vi sono raffigurati momenti centrali, emble-
matici, della storia della Città, quasi potesse o

            51
dovesse trattarsi – in quei mesi ter-
ribili – di un’opera a futura memoria.
Rimaste intatte dai bombardamenti
aerei, le sculture sono una eloquente
e pubblica testimonianza della svolta
postcubista che Martini imprime alle
sue opere monumentali, segnando
una netta distanza dall’altro suo ca-
polavoro ‘civile’, la Giustizia Corpora-
tiva collocata all’interno del Palazzo
di Giustizia di Marcello Piacentini, nel
1937. E’ qui opportuno ricordare che,
nel 1990, il restauro dei marmi fu or-
ganizzato dal Comune di Milano e
sostenuto dall’Associazione Amici
di Arturo Martini guidata da Claudia
Gian Ferrari che allora, con la colla-
borazione di Giovanna Alessandrini,
curò un prezioso volumetto pubbli-
cato da Franco Maria Ricci con le
splendide fotografie di Brooks Walker
che ha gentilmente acconsentito di
ripubblicarle qui oggi.

                                           52
54
IL GRUPPO SCULTOREO
DELL’OSPEDALE MAGGIORE
     57
59
60   61
DOCUMENTI
E TESTIMONIANZE
IL TRUCCO DI MICHELANGELO*
Un giudizio inedito di Arturo Martini

Comodità di rima, probabilmente, indusse Mi-
chelangelo a dire in un sonetto che la scul-
tura si fa levando il superfluo. L’affermazione
assunse nei secoli un tale valore di giudizio
da far ritenere tutte le sculture «modellate»
come opere inferiori in purezza: quella frase,
insomma, parrebbe voler mettere in un piano
superiore la scultura fatta levando dal bloc-
co, rispetto a quella fatta mettendo, tanto da
meritare la qualifica di vero scultore soltanto
a quello che opera col primo sistema mentre
l’altro si sentì definire, spregiativamente, mo-
dellatore.
Se per caso anche Donatello avesse avuto
la passione di scrivere, certamente avrebbe
detto che la scultura si fa mettendo il neces-
sario. Quel tale criterio convenzionale nel giu-
dicare la scultura si sarebbe semplicemente
invertito. Se non fosse assiomatico che si può
raggiungere lo stesso punto di grandezza
tanto col levare di Michelangelo che col met-
tere di Donatello, bisognerebbe negare tre
quarti dei capolavori della scultura del pas-
sato. Ma io voglio andare in là, discorrendo
della maggiore facilità di raggiungere il peso
assoluto da parte di Michelangelo rispetto a
Donatello.
Ogni opera d’arte quando è raggiunta pos-
siede un peso assoluto, tant’è vero che tut-

            65
te le arti, per questa ragione, hanno              deve levare il superfluo e Donatello      tista classico come Donatello, dalla            nel muro, diventa simpatica, mentre
una parente; codesta condizione di                 che deve mettere il necessario – Mi-      materia molle e pronta allo svolazzo,           la scultura aggiungendo è un po’
peso assoluto o pienezza si può ri-                chelangelo si trova ad avere minor        si trova tentato, durante il lavoro, da         come la pittura ad olio, ostica e che,
scontrare per solennità, per compo-                percorso per raggiungere il peso          soddisfazioni improvvise di carattere           lavorando, più facilmente può inari-
stezza: una specie di peso specifico               assoluto o punto ideale spostato          romantico. Tant’è vero che quest’uo-            dire lungo la strada.
che, se anche non si può definire, si              verso la interezza del blocco, e an-      mo si contentò di fermarsi più volte,           Come l’oro per diventare espressio-
sente precisamente.                                che se non lo raggiunge gli bastano       dopo avere appena ricoperto l’ar-               ne umana, cioè monile o marengo,
Per spiegare i due casi che abbiamo                pochi tocchi per far vibrare il blocco    matura, come si vede nei suoi San               ha bisogno di un tanto di rame, così
identificato in Michelangelo e in Do-              informe; mentre Donatello doveva          Giovannino; cosa che non si vede                la scultura ha sempre la partenza
natello, immagineremo questi due                   cominciare dal nulla, facendo una         quando, in un caso isolato, leva dal            da una presunta sfera che bisogna
rappresentanti ognuno alle estre-                  armatura ipotetica che – si sa per        blocco e fa il David.                           profanare con un tanto di umano da
mità di un medesimo segmento.                      pratica – è sempre approssimativa.        La durezza della materia dà poi una             renderla espressione. Michelangelo
Metteremo lo zero a indicare quella                Così, per un tanto di pigrizia, vedre-    lentezza meditativa e non permette              ha tutto questo; Donatello, no. Tanto
di Donatello siccome egli parte dal                mo Donatello fare sculture magre,         divagazioni.                                    è vero che Michelangelo scopriva la
nulla, e metteremo 100 all’estremo di              mentre Michelangelo, per la mede-         Siccome è uso dire che la statua                espressione con una candela in te-
Michelangelo siccome parte da un                   sima dose di pigrizia – quello, mette     deve conservare il blocco, Michelan-            sta per proiettare una luce radente
blocco. Facile è capire guardando                  poco; questo, leva poco – con meno        gelo parte dal blocco e lo conserva;            affinché gli venissero dei suggeri-
qualunque scultura: e si può osser-                sforzo di Donatello (sforzo non fisico,   l’altro, partendo dal nulla, deve rag-          menti, analogamente al consiglio
varlo meglio nei Prigionieri, come nei             naturalmente: e anche di questo di-       giungerlo (sebbene anche questo                 di Leonardo ai pittori di ispirarsi dal-
Memnoni egizii, o, poniamo, nell’O-                scorreremo più avanti) raggiunge          del blocco sia un altro luogo comu-             le macchie dei muri. Donatello non
beso del sarcofago etrusco al mu-                  o si avvicina più facilmente al peso      ne sulla classicità perché anche in             aveva nulla di tutto questo.
seo di Firenze, e in infiniti altri capola-        assoluto.                                 bronzo si può arrivare alla scultura            Ho adoperato in principio la defini-
vori, nei quali il centro ideale – ossia           Altro vantaggio di massima impor-         classica fuori dalle leggi della prigio-        zione di peso assoluto. Perché non
il peso assoluto – non coincide con                tanza per chi cava il superfluo dal       nia del blocco, come si può vede-               rimangano dubbi o equivoci, dirò
la metà geometrica tra i due punti di              blocco è quello di trovarsi dinanzi ad    re nel Discobolo, nell’Auriga di Delfi,         [che] per la scultura l’assoluto si può
partenza, ma esso si trova nel tratto              una maestà espressiva come può            ecc.). Il senso del bloccato nel mar-           rappresentare con un otre che con-
che va dal 50 verso il 100. Stando così            venire da una rupe o da una monta-        mo credo sia un ripiego per evitare             tenga dell’acqua: esso non dovrà
le cose, si capisce benissimo come                 gna: suggerimenti di compostezza,         le rotture.                                     essere talmente turgido da costitu-
la sentenza di Michelangelo possa                  di solennità che formano i caratteri      Ancora dirò che nella scultura in le-           ire l’inespressione rigida dell’oggetto.
suonare allettante.                                dell’opera classica – e questo può        vare avviene qualcosa che somiglia              A questo otre deve essere permes-
Dato il diverso punto di partenza dei              succedere anche a un romantico            a ciò che accade nella pittura ad af-           so un movimento interno, un giro
due modi – cioè Michelangelo che                   come Michelangelo – mentre un ar-         fresco dove la pennellata, dilatando            dell’acqua. Da questo peso assolu-

                                              66                                                                                        67
to dell’otre, la grandezza di un arti-             principio e della fine di qualunque           ta per guarirsi. Sanguigno era anche
sta sta nell’esprimere mondi diversi               estro, di qualunque fatica e di qua-          Leonardo, ma per levarsi l’impeto
senza mai diminuire ulteriormente il               lunque stanchezza. E si sa benissi-           scriveva la pagina al rovescio.
volume dell’acqua: ciò vuol dire con-              mo che il primo può essere stanco             Quando mi riesce qualcosa, si giudi-
servare il blocco o peso di scultura.              fisicamente mentre il secondo si              ca che io abbia dei «trucchi». Quello
Una sfera è un otre turgido e quindi               stancherà sempre spiritualmente. E            del levare dal blocco fu il «trucco» di
negato ad esprimere; per significa-                qui è il pericolo rispetto alla vitalità      Michelangelo, Donatello, forse con
re qualcosa a suo mezzo lo si deve                 dell’opera in quanto il secondo, non          più genio, non lo scoprì.
liberare di quel tanto che conceda i               essendo stanco fisicamente, conti-
«movimenti» interni di rappresenta-                nua a lavorare incontro al pericolo di
zione umana. Chi leva troppo va ver-               guastare la propria opera. Stancarsi
so il gingillo, il traforo, la decorazione,        fisicamente vuol dire anche purgarsi
i languori romantici. Un otre riempi-              di quegli scatti che sono tanto dan-
to in quella adatta misura – senza                 nosi nell’opera. Il marmo non li per-
pieghe ma anche senza rigidità che                 mette mai, mentre tutti gli estri sono
è il peso di scultura o punto idea-                permessi dalle materie molli: perico-
le – se io lo schiaccio da una parte,              lo al quale abbiamo già accennato.
si espande dall’altra. Michelangelo                L’opera d’arte è un fatto di circola-
partiva sempre da questi assoluti: lui             zione di sangue: la mediocre circo-
non faceva che un piccolo schiac-                  lazione di un mediocre artista porta
ciamento mantenendo il peso: quin-                 sempre l’opera a compimento. Una
di l’otre c’era e l’acqua c’era, men-              forte circolazione nell’uomo di genio
tre Donatello non l’ebbe mai perché                mette sempre l’opera, ogni minuto,
aveva davanti uno spazio immagi-                   a repentaglio. Chi ha poca circola-
nario.                                             zione di sangue vede le tappe dell’o-
Insomma, siccome la grandezza è                    pera, ne controlla i gradi e i livelli; chi
una tappa verso l’impersonalità e                  ha una forte circolazione di sangue
siccome l’uomo è sempre inferio-                   difficilmente si accorge che l’opera
re alla Natura, il masso dominando                 è stata dieci o venti volte superiore
Michelangelo gli proibiva il completo              nelle diverse tappe.
innesto della sua personalità, men-                Sanguigno era anche Michelangelo
tre chi mette è vittima assoluta del               ma col blocco trovò la cura perfet-           *da “L’Illustrazione Italiana” n. 13-14 del 4 aprile 1948

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MEMORIETTE DI VITA
ARTISTICA*
A Scuola da Martini

Arturo Martini era uomo di fantasia non sol-
tanto quando inventava le forme delle sue
grandi terrecotte, ma anche quando raccon-
tava col suo vocione spiegato le astuzie con
cui riusciva a formarle: grandi gruppi come
Chiaro di luna o Gli sport invernali.
Parlava, e muoveva le belle mani come stes-
se lavorando: «Incominci subito – diceva – a
costruire in mattoni il fornello del forno, sul
quale la scultura sarà cotta a fuoco forte. Lì,
sul piano del fornello, coi suoi buchi per il ti-
raggio del fogo, tiri in piedi le tue figure. Una
alla volta, si capisce. Tiri in piedi la prima, co-
struendola a buco d’ape. Quando arrivi alla
cintola aspetti che la terra secchi, e intanto fai
calare con una corda dal soffitto, sulla mezza
figura vuota, un «sambelo» di paglia, che ne
abbia press’a poco il volume. Su quel «sam-
belo» costruisci l’altra metà, la più delicata,
della figura. La corda, pica al soffitto, deve
essere cedevole, così da allungare a piacere
sulla mezza figura finita. Eviterai così le crepe,
perché la creta perdendo acqua rimpiccioli-
sce di un decimo del suo volume. Quando il
gruppo sarà seccato chiami i fornaciai, che
costituiscano il forno in mattoni attorno alle
due figure: il forno con i suoi sfiati e il cami-

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no, in modo che le fiamme salgono                pagine, era rimasto perplesso. Mar-       scolpito il Mazzoni, Gianlorenzo Berni-         Martini scriveva a Natale Mazzola
intorno alle figure. Il dì in cui accen-         tini non era bramoso di pubblicarlo       ni, il Mochi. Non era quindi un discor-         spedendogli la fotografia del Pega-
derai il fogo, bisognerà che sia bel-            quanto invece di scolpire e model-        so plastico nuovo. Era vitale il modo           so «Sarà in marmo di Chiampo e a
tempo, che non tiri vento, che il fumo           lare, ricchissimo com’era di idee pla-    in cui inventava i suoi personaggi,             Chiampo andrò a lavorarlo, e credo
della legna che brucia non si insac-             stiche che smentivano quel dettato        il gusto della materia, la cadenza              che incomincerò tra dieci giorni».
chi nel camino».                                 furioso: La cavalla che allatta (1943),   dei piani costruttivi; ma era sem-              E poi, alla figlia Maria, il 3 settem-
Se nello spiegare il meccanismo del-             il frammento delle Donne al mare          pre scultura che metteva l’accento              bre: «…Grazie della tua gentilezza,
le figure da cuocere a regola d’ar-              (1944), e poi il marmo del Palinuro       espressivo sulla forma. Si sarebbe              che in questo momento e in que-
te non si fosse aiutato con le mani,             (1946), posto nell’atrio del Bo a Pa-     potuto per ogni statua che usciva               sto luogo desolato (Chiampo), mi
avrei capito poco le sue malizie. Così           dova. Ma come poteva essere nato          dalle sue mani prodigiose, trovare              giunge come un gran conforto. Io
aveva modellato Chiaro di luna.                  nella fantasia di Martini quel discor-    degli antefatti figurativi nella grande         sono veneto e non conoscevo i ve-
«E la balaustra davanti alle figure, coi         so paradossale sulla Scultura, lingua     tradizione della scultura italiana, da-         neti, e quando il veneto (l’ho capito
pilastrini che pendono?»                         morta, a ridosso del Tito Livio (1941),   gli etruschi ai Pisano, ai donatelliani,        qui) butta male, è veramente una
«Accessorii – rispondeva – roba da               per la sala d’ingresso del Liviano di     per arrivare – sembra scandaloso a              cosa esasperante: gente presuntuo-
bravi operai. Del resto nella fornace            Padova? Quel marmo arroventato            dirlo – ad Antonio Canova.                      sa, nella grettezza e nell’ignoranza,
di Vado Ligure ce n’erano di bravis-             smentiva in modo clamoroso le idee                                                        arrivano anche alla cattiveria. Per
simi».                                           che lo avevano fatto nascere.             Era, già nei 45 giorni di Badoglio, un          fortuna resterò poco e per questo
Martini, trasferitosi a Venezia negli            Le idee in cui Martini aveva creduto      uomo che teneva la fantasia coi                 poco cercherò di sbrigarmi e di finire
anni della guerra, abitava sulla Pun-            per quasi quarant’anni, potevano          denti. L’avevo incontrato il 26 luglio,         questo monumento lavorando sen-
ta della Dogana, Dorsoduro 46, lo                essere spezzate via da un eccesso         con Scarpa, De Luigi e altri, che face-         za passione e in fretta. Ora anche i
studio che oggi è di Vedova. In una              della fantasia? Le sue, in opposizione    vano festa per la caduta del Regime,            committenti mi rompono le scato-
di quelle stanze avevo visto, nel 1943,          a quelle di Medardo Rosso, non era-       a colazione alla Colomba. «Trovami i            le: proprio ora, che ho comperato il
il grande bozzetto in gesso del Pe-              no apparse in lui come il presagio di     marmi per scolpire il Pegaso caduto»            marmo col loro consenso, vorreb-
gaso caduto in mare, modellato in                un nuovissimo stile? Ora quelle idee      aveva detto quel dì con un’aggressi-            bero che fosse il marmo di Carra-
preparazione del marmo dedicato                  naufragavano paurosamente, forse          vità improvvisa. La voce rotonda era            ra, e pensa che sono già a un terzo
ad Arturo Ferrarin. Il cavallo che pre-          nel clima di una depressione ina-         impotente. Voleva due blocchi im-               della lavorazione… però credo non
cipitava con le ali spezzate era una             spettata.                                 possibili da sovrapporre: lunghezza             sia proprio il marmo: ma che siano
grande architettura, infranta poeti-             C’era, in questa situazione, quasi un     cinque metri, altezza due metri; e a            spaventati proprio del bozzetto che
camente nel tragico volo. Aveva già              segno premonitore. La sua arte non        Carrara non si erano trovati.                   è molto moderno, e che per me è
manoscritto, con uno sprezzo prepo-              aveva aperto la strada a un nuovo         Gli avevo risposto che li avrei cerca-          bellissimo, bello veramente». E an-
tente, il libello Scultura, lingua morta;        modo di vedere e rappresentare la         ti a Chiampo; e la ricerca ebbe esi-            cora in settembre, a Aldo Buttini, di
e Silvio Branzi, dopo aver letto quelle          forma. Con gli stessi stilemi avevano     to fortunato. Il giorno 11 agosto 1943          Carrara, «Io sono qui a Chiampo, alle

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prese con questo marmo… Qui man-                 tre attraversava quasi correndo il          tini in Piazza della Vittoria a Brescia,        li, nei cantoni di Palazzo Ducale, dei
ca il più piccolo spirito d’arte e cre-          piazzale della chiesa della Salute,         e distrutta in seguito a un bombar-             Lamberti, dei Bon; e meglio anco-
do di destare in questi bifolchi solo            il 7 ottobre. Accompagnavo Anto-            damento aereo; e poi aveva fatto                ra sbirciando l’Eva di Antonio Rizzo,
ilarità…». Il 26 gennaio 1944, ancora a          nio Bartolini, ricercato dalla polizia e    vedere Ofelia (la Giovinetta morta),            dentro il cortile. E tuttavia gli pareva
Natale Mazzola: … «ora il monumento              fuggiasco da Vicenza, dove aveva            ancora del 1931. Intanto il Nudo al             più congeniale al suo modo di mo-
dell’aviatore Ferrarin, giudicato ope-           diretto il giornale durante i 45 gior-      sole (1930) aveva destato allarme tra           dellare qualche figura anonima as-
ra eccellente dai migliori, è sospeso            ni di Badoglio. Martini ci vide, fece       i discepoli di Libero Andreotti da una          sisa sul pilastrino di un monumento,
perché è un salumaio di Thiene, che              un grande saluto; poi, accortosi che        parte, e quelli del grande marmora-             un po’ fissa e allocchita da un estre-
è nel Comitato, non lo vuole…».                  gli andavamo dietro, levò ancora la         ro Arturo Dazzi. Forse i giovani peri-          mo candore.
L’interruzione della scultura non sarà           mano e con il suo vocione di bas-           tissimi in ogni sorte di astuzie erano
stata provocata soltanto dal salu-               so gridò: «Addio, addio, io non vi ho       sul punto di imparare la lezione; e                                                      Neri Pozza
maio di Thiene. Il fatto sta che in pie-         visto». Il tono del saluto superava le      magari qualcuno di loro l’avrebbe
no inverno Martini lascia Chiampo                strilla della gente. «Io non vi ho visto»   messa a frutto se non si fossero la-
per riparare a Venezia. Non cono-                ripete; e allungava il passo precipi-       sciati corrompere dalle pressioni del
sco il seguito dei fatti. A guerra finita        tosamente.                                  Regime, che voleva commemorati i
l’abbozzo del monumento venne ta-                Eppure, malgrado le disavventure            suoi fasti. Non presero esempio dalla
gliato in tante lastre per farne rive-           occorse a un temperamento im-               terracotta del 1932 e nemmeno dal
stimenti di edifici. Così venne perdu-           pulsivo, fantasioso e appassionato          bronzo celebrativo del Minniti, (1936),
ta una delle grandi occasioni della              come quello di Martini, la sua scul-        col quale Martini giocava la sua car-
scultura moderna: averne, in con-                tura ruppe le consuetudini alle quali       ta, (non era la prima volta che lo fa-
to di un monumento, una scultura                 era abituata la plastica del terzo de-      ceva); e del resto assolve al suo ruo-
d’eccezione.                                     cennio del secolo: anzi, nel 1932, ven-     lo celebrativo con una rara dignità
                                                 ne addirittura sconvolta dalle cin-         formale.
Dopo il reperimento dei marmi,                   que terrecotte esposte alla Biennale.       Forse Martini non sapeva riportare la
mentre lavorava, Martini mi aveva                Oltre al Chiaro di luna e agli Sport        scultura, con il suo linguaggio plasti-
invitato a Chiampo, si sarebbe guar-             invernali, c’erano La veglia, Il son-       co ricco di senso vitale interno alla
dato l’impianto della scultura e poi             no (rivisto quest’anno al padiglione        forma, a quella suggestione inventi-
mi avrebbe invitato a colazione da               italiano del Beaubourg), e l’Aviatore.      va che era mancata ai suoi colleghi
Patta. Gli avvenimenti successivi all’8          Già nel 1931 aveva scandalizzato il         europei: la spontanea bellezza che
settembre mi avevano impedito di                 mondo sottoculturato degli scultori         soltanto i primitivi italiani avevano
farlo.                                           italiani con L’Annunciazione, murata        trafuso nei loro marmi. Ah, i marmi!
Avevo rivisto Martini a Venezia, men-            sulla parete di un edificio di Piacen-      Come si divertiva Martini a scrutar-            *da “Il Gazzettino” del 10 giugno 1982

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FIRENZE: 50 SCULTURE*
Martini, corpi ancora vivi

Firenze. Un’altra bella mostra dedicata ad Ar-
turo Martini, stavolta a Palazzo Medici Riccardi,
aperta fino al 15 settembre. Curata da Mario
De Micheli, Jean Clair e Claudia Gian Ferrari,
la mostra vanta una cinquantina di sculture
tra cui spiccano capolavori come «Ofelia» del
1922, il grande «Figliol Prodigo» del 1926, «La Pi-
sana» del 1928, «La Nena» dello stesso anno,
«La Lupa» del 1930-’31, «Donna al Sole» sempre
del 1931, «La Convalescente» del ’32, «Tobiolo»
del ’34, «La Chimera» del ’35 e «Testa di Ra-
gazza» del 1947.
Nato nel 1889 a Treviso e morto a Milano nel
1947, Martini ebbe una vita quanto mai col-
ma di eventi e di creatività, ispirato da gran-
di artisti come Gino Rossi e dalla «scuola di
Monaco», oltre alla serie delle sue inesauribili
meditazioni sull’antico. Che fosse uno scul-
tore sempre disposto a entrare nel perso-
naggio per caratterizzarlo più a fondo è ben
noto e così che fosse capace di far vibrare
ogni figura di una sua verità emotivo-gestua-
le assoluta, perentoria, spesso inarrivabile in
quanto a qualità espressiva. Così, nella sua
arte, confluiscono insieme creatività plastica
e emozionale, capacità di bloccare il gesto in
una sorta di perennità, malinconia e fierezza
vissute insieme in una «summa» inspiegabile
ma anche ricorrente e integrante e la fanta-

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sia e la realtà.                                mente fuori dal comune.                   arte. Che, come s’è accennato, s’e-
Perché in Arturo Martini la vita intera         Si pensi, oltre ai capolavori suddetti,   sprimeva al massimo sia nel gran-
confluiva nella sua creatività plasti-          anche a piccole figure in terracot-       de che nel piccolo, sia nei colossi
ca e la verità quotidiana e la misti-           ta, «Il Pastorello», e si capirà come     suddetti che in operine come, oltre
ca spirituale maturavano insieme e              in questo straordinario artista re-       al citato «Pastorello», «La moglie del
indissolubilmente. Quanto e in qual             altà e spiritualità leghino insieme       pescatore» oppure «Ospitalità» o la
misura lo dicono i capolavori che               in un unico blocco umano certo e          citata «Nena» oppure «La contadina»
abbiamo descritto più sopra e che si            perentoriamente autentico. In più,        o «Toro» o «Testa di Madonna» o lo
trovano esposti a Firenze. Quello che           l’extra-temporalità delle sue figure,     scattante «Ratto delle Sabine» op-
più stupisce in queste opere è l’ar-            il loro poter esistere in ogni momen-     pure il mirabile «Violinista».
monia delle forme, l’estrema purez-             to e situazione, il loro crescere come    Insomma, una mostra dove ancora
za del loro svolgersi e snodarsi nello          apparizioni nel mondo, il loro sonan-     una volta Martini risulta un grande
spazio, la forza della loro espressi-           te e risonante vivere d’una vita che      protagonista capace di affascinare
vità per cui molte di queste figure,            solo la grande arte può conferire alle    ogni volta lo si veda, anche se certe
oltreché perenni, sembran vive, lì lì           sue immagini.                             opere le si son viste e riviste più vol-
per uscire dalla figura di argilla o di         La mostra – che è stata presenta-         te. Eppure ogni volta sorprendono,
piombo per camminare per la via.                ta, anche se lievemente diversa, a        spesso come vere e proprie novità.
Le positure martiniane, in effetti, sono        Londra – vanta un insieme certo su-
oltreché numerosissime (quasi una               perbo, con capolavori come il citato
per statua) anche di una intensità              colossale «Figliol Prodigo» o come                                 Giorgio Mascherpa
assolutamente unica; bisogna far                «Donna al Sole» o «La Pisana». Ca-
paragoni con artisti come Jacopo                polavori che sono anche di grande
della Quercia o Donatello o Bernini             formato e che lasciano intuire quan-
per poter istituire dei confronti utili         to di cuore oltreché di mano, Martini
con Martini, tra i moderni non esi-             immettesse nelle sue opere. Inten-
stendo invece chi gli si possa para-            diamoci, non tutto quanto è in mo-
gonare. Siano, le sue figure, uomini o          stra è indimenticabile ma la mag-
donne, figure in piedi, sedute, a mez-          gioranza, certo, sì.
zo busto, sdraiate o in punta di piedi,         Chi riuscirà a visitare la mostra fio-
in ogni caso la loro carica espressiva          rentina non se ne pentirà di certo,
e i loro significati sono colmi di veri-        riporterà anzi l’intatta immagine del-
tà umana e di «situazioni» assoluta-            la grandezza di Martini e della sua       *da “Avvenire” luglio 1991

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BIOGRAFIA
ARTURO MARTINI
Arturo Martini è nato l’11 agosto 1889 nel centro
storico di Treviso, come tante altre famiglie
povere dell’epoca che potevano usufruire di
abitazioni di proprietà del Comune; nel suo
caso ha avuto la possibilità, fortuita, di abita-
re nella torre medievale Cornarotta, nei pressi
del Duomo, dove si era allestito uno studio che
affascinò il giovane Comisso. Autodidatta, si
segnalò nella grafica con gustose caricature
a quindici anni e potè in seguito apprendere
le tecniche della formatura dallo scultore lo-
cale Antonio Carlini. Attratto dalle numerose
manifatture di ceramica della sua città, pro-
dusse le prime terrecotte e disegnò e model-
lò per la Fornace di Gregorio Gregorj, anche
durante la lunga permanenza a Monaco di
Baviera finanziata dall’industriale trevigiano,
una serie di piccole sculture che rimangono
tra i gioielli della ceramica italiana dell’epoca.
Agli esordi in mostre cittadine nel 1907 e nel
1908 trovò in don Luigi Bailo, fondatore del
Museo Civico, le prime committenze; fece se-
guito l’affermazione a Venezia nelle mostre
Bevilacqua La Masa, a Ca’ Pesaro, dove Nino
Barbantini lo riconobbe come uno dei più pro-
mettenti giovani di quella stagione culminata
nel 1913, quando, tornato dal viaggio a Parigi
del 1912, sia pure senza aderire al Futurismo,
con Gino Rossi recepì le istanze rivoluzionarie
dell’avanguardia italiana. Arruolato nel 1915

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riuscì ad evitare il fronte e, trasferito         mensioni, un monumento per la città         resistente alle alte temperature, la-            vole, della critica d’arte. In qualità di
in uno stabilimento militare a Vado               di Worcester, realizzato a nome di un       vorata all’I.L.V.A., e un forno dentro al        scultore ormai celebre è spronato a
Ligure, conobbe Brigida Pessano                   altro artista, grafica, mostre anche        quale può modellare direttamente le              cimentarsi nei lavori monumentali in
che avrebbe sposato nel 1920; subi-               importanti a Roma, Firenze, Venezia.        grandi sculture evitandone gli spo-              pietra di Finale e in marmo; comincia
to dopo il matrimonio, trasferitosi a             Nel 1926 partecipa alla Prima Mostra        stamenti, messogli a disposizione                il momento più difficile e discusso
Milano, entrò in contatto con gli am-             del Novecento Italiano, chiamato da         dall’ing. Publio Fusconi. E’ il momento          della sua intera attività con opere a
bienti artistici e culturali della città e        Margherita Sarfatti, con Leda e il ci-      di massima concentrazione da par-                Napoli (la Vittoria delle bandiere alle
durante una mostra personale pre-                 gno (il gesso al Museo di Monza) non        te dello scultore che sforna, è il caso          Poste), Roma (la Minerva all’Universi-
sentò la sua idea di scultura come                avendo fatto a tempo a realizzare           di dire, le celebri grandi terrecotte            tà) e soprattutto a Milano dove porta
“grembo plastico”, ossia come forza               la fusione del Figliuol prodigo, grup-      ‘refrattarie’, di due metri, ad esem-            a termine il Monumento agli Sforza e
sorgiva che porta con sé il contras-              po importante esposto solo tre anni         plare unico (modellate in tempi brevi            l’altorilievo per cui è giustamente fa-
segno dello spazio generatore. In-                dopo. Nel 1927, chiamato dall’archi-        e con tecniche differenti) che lo por-           moso: la Giustizia Corporativa al Tri-
sediatosi a Vado Ligure fu cooptato               tetto Mario Labò, modella un gruppo         tano ai più alti riconoscimenti (Qua-            bunale di Milano.
come unico scultore dalla rivista di              consistente di maioliche di piccola         driennale di Roma 1931, Biennale di              La frequentazione assidua dei la-
Mario Broglio “Valori Plastici” a con-            serie per la Fornace “La Fenice” di         Venezia 1932): Donna al sole, Il pa-             boratori di Carrara (Studio Nicoli,
tatto quindi con Carrà, De Chirico,               Manlio Trucco e due anni dopo un            store, Le stelle, Chiaro di luna, Sogno,         specialmente) lo mette di fronte a
Savinio in una impresa culturale di               gruppo di animali in esemplare uni-         Aviatore, La veglia, Sport invernali, La         dubbi e incertezze che portano l’ar-
respiro europeo. In questi anni lavora            co presso l’I.L.C.A. di Nervi; esposte      Lupa, Ragazzo seduto, Venere dei                 tista a un distacco dai soggetti mo-
in terracotta e in gesso, realizzando             alle Biennali di Monza e alla Galleria      porti, Annunciazione, Convalescen-               numentali; si dedica allora a piccole
opere straordinarie che però rimar-               Pesaro di Milano gli spianano la stra-      te, Ofelia. Sulla scia di queste opere           sculture modellate dall’interno (il co-
ranno di fatto sconosciute per molti              da all’insegnamento all’Istituto Sta-       pensate come rapporto tra la figura              siddetto “Ciclo di Blevio”, 1935, cui ap-
decenni fino a che Claudia Gian Fer-              tale per le Industrie Artistiche di Mon-    e lo spazio circostante (quinte, spac-           partiene anche il San Giovannino) e
rari non le ritroverà e farà conoscere            za tra il 1929 e il 1930, dove, chiamato    chi, finestre, balconate), spostando             si dedica alla pittura, un settore che
(donandone alcune, come L’amante                  da Guido Balsamo Stella, porta a            la questione del “grembo plastico”               lo vedrà impegnato, con fasi alterne,
morta, al FAI di Milano a Villa Necchi).          termine sculture subito riconosciute        dalla singola opera a una conce-                 fino al 1946. Il ritorno al marmo nel
Dopo aver vinto il concorso e realiz-             da personalità come Lionello Ventu-         zione “spazialista” più ampia, nasce             1941-42 coincide con la svolta che
zato il Monumento ai caduti di Vado               ri: La Pisana, Tomba di Ippolito Nievo.     anche la figura sospesa e in fragile             contraddistingue l’ultimo frenetico
Ligure (1923), impostato su figure                Tornato a Vado Ligure intenzionato          equilibrio del Tobiolo in bronzo, crea-          quinquennio quando Martini mette
allegoriche di severa impostazione                a riprendere le sperimentazioni sulla       to per i più importanti collezionisti di         in campo con nuovi risultati il pen-
classica, si trasferisce a Roma e ad              terracotta avviate a Nervi con il Be-       allora, gli Ottolenghi Wedekind di Ac-           siero utopistico centrato sul “grembo
Anticoli Corrado impegnato su vari                vitore del 1928, può usufruire di due       qui Terme, ed esposto alla Biennale              plastico”. Per capire questa situazio-
fronti: sculture anche di grandi di-              elementi decisivi: l’argilla refrattaria,   del 1934 con coro unanime, favore-               ne occorre osservare i rilievi dell’A-

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