ANIMA E CORPO SEI SCULTURE DI ARTURO MARTINI - CERIBELLI EDITORE - Centodieci.it
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ANIMA E CORPO SEI SCULTURE DI ARTURO MARTINI CERIBELLI EDITORE Via G. Longo 4 - 24124 Bergamo ceribellieditore@gmail.com
Pubblicato in occasione dell’esposizione ANIMA E CORPO Sei sculture di Arturo Martini Palazzo Biandrà di Banca Mediolanum, Milano 25 maggio / 15 settembre 2021 A cura di Nico Stringa Marta Ceribelli Progetto grafico Fabiana Pastorino Foto di Martino Mascherpa Marco Mazzoleni Un particolare ringraziamento al fotografo Brooks Walker Si ringrazia inoltre per la preziosa collaborazione Chiara Carnevale Garè, Arialdo Ceribelli, Massimo Ciaccio, Roberto Dulio, Angelo Garoglio, Grazia Gian Ferrari, Paola Gian Ferrari, Martino Mascherpa, Marina Reina, Annamaria Rota Nodari, Chiara Ventura ISBN 978-88-31975-14-8
ANIMA E CORPO Sei sculture di Arturo Martini Vale per tutte le opere pensate e ben medita- te, e dunque anche per le sculture di Martini: vanno viste e osservate con calma, una alla volta e in piccolo numero, ben distanziate e opportunamente spaziate, di modo che l’ani- ma di quei corpi possa emergere o almeno affiorare, nel tempo che intendiamo dedica- re loro; se vogliamo che avvenga l’incontro, il contatto, la relazione emotiva e conoscitiva. In questo caso la selezione è avvenuta al fine di mostrare il Martini più severo prima di tutto con se stesso, il che significa con la grande tradizione italiana, nel contesto amplissimo che lo scultore prendeva a riferimento ogni qualvolta si apprestava a confrontarsi con i classici per inventare, senza pretendere di uscire dal grande fiume dell’arte ma nuotan- doci dentro, magari anche controcorrente. Sono sculture lontane tra di loro nel tempo ma evidenziano le costanti del lavoro dell’ar- tista, come se fossero nate in poche ore o magari durante una lunga, operosa giornata: senso della misura, ricerca spaziale, controllo del messaggio, tensione spirituale. Siamo tra- scinati dolcemente ad assaporare il profumo dell’anima che il corpo sigilla e conserva in- tatta e intangibile. 5
Centodieci è un’iniziativa di Banca Mediola- num nata nel 2013 con l’obiettivo di diffon- dere la cultura dell’educazione intesa come strumento capace di produrre quel cambia- mento funzionale alla crescita e allo sviluppo personale e collettivo. Si articola in un web magazine, www.cen- todieci.it, che attraverso l’opinione di firme d’autore mira a fornire spunti di riflessione destinati a ispirare e stimolare la cresci- ta personale e professionale del lettore, e un articolato calendario di eventi originali e multidisciplinari, che vengono pensati e al- lestiti in esclusiva per le diverse community sul territorio. Ispirandosi ai principi fondativi del Gruppo: Libertà, Relazione, Responsabilità, Innovazio- ne Sostenibile, Positività, Centodieci individua le proprie proposte, gli eventi, gli spettaco- li, i talk show, le mostre d’arte, privilegiando 7
contenuti e incontri inediti e non teatro, diventano un potente stru- non esclusivamente finanziario. A presenti sul mercato, le storie e le mento di diffusione di valori, una tutto vantaggio delle persone, siano esperienze in grado di ispirare nuo- mappa sicura sulla quale orientarsi esse clienti o prospect o più in gene- ve prospettive valoriali, momenti in- soprattutto in un momento storico rale visitatori, attorno alle quali è co- novativi di racconto che sappiano di grandi cambiamenti quale quello struita l’intera proposta artistica che creare quel ponte con gli spettatori attuale che pare aver smarrito il suo diventa, oltre che originale e inedita, capace di rafforzare il senso di ap- senso di comunità e condivisione. anche facilmente accessibile e a partenenza alla community. Centodieci è Arte fonda la sua pro- portata di mano. Come Banca Me- posta editoriale sulla ricerca del- diolanum: costruita Intorno a te. Le diverse discipline e i campi del la bellezza, della sostenibilità, del- Centodieci è Arte seleziona le pro- sapere nei quali si è attestato nel la condivisione di valori, per farne prie proposte mettendole al servizio corso degli anni l’interesse di Cen- un’occasione di relazione interper- della relazione. todieci, hanno prodotto la seguente sonale e di accrescimento culturale classificazione delle diverse mani- ed economico, privilegiando conte- festazioni: Arte, Cultura, Empower- nuti e incontri originali e inediti che ment, Innovability. non si trovino altrove, le storie e le esperienze in grado di ispirare nuo- Centodieci è Arte ve prospettive valoriali, momenti La mission di Centodieci è rintrac- innovativi di racconto che in modo ciare e selezionare ciò che nel mon- lieve ma mai superficiale creino un do permette di entrare in relazione ponte con gli spettatori rafforzando con processi culturali e artistici di il senso di community, Centodieci è eccellenza in grado di innescare Arte sceglie di proporre una dimen- circuiti intellettuali virtuosi a livel- sione esperienziale immersiva nei lo individuale, sociale, ambientale. Family Banker Office di tutta Italia. In quest’alveo si pone Centodieci Le opere d’arte, gli artisti, gli storici, è Arte attraverso la promozione di entrano così in luoghi e spazi non mostre, incontri, dialoghi per la co- tradizionalmente dedicati a ospita- noscenza dell’arte e della cultura re questi temi. Dal canto loro i luo- moderna e contemporanea nei suoi ghi prettamente dedicati all’attività vari ambiti. Cosicché l’architettura, il bancaria espandono i propri peri- cinema, la fotografia, la letteratura, metri accogliendo manifestazioni la musica, la pittura, la scultura, il di cultura nel senso più allargato e 8 9
INTRODUZIONE
“SONO COSE DI PENSIERO” riflessioni su alcune sculture di Arturo Martini Da sempre, la scultura (sia essa intesa come modellazione per aggiunte successive, oppu- re come sottrazione di materia dal blocco) è in agone. Donatello o Michelangelo? Costruire modellando o togliendo il “superchio”? Marti- ni stesso, che ha proposto con una certa fre- quenza nei suoi scritti e nel suo operare questa dicotomia, ha a volte radicalizzato e altre volte banalizzato l’alternativa. E dopo tanti anni da ‘modellatore’, quando il ciclo delle grandi ter- recotte (1930-1933) chiudeva un’epoca per lui e – possiamo dirlo? - per la scultura universale, sappiamo cosa significò il suo proporsi come ‘scultore’ in pietra e in marmo; significò sepa- rare drasticamente l’idea iniziale dall’opera finale, ponendosi nella posizione di colui che stabilisce tra sé e l’opera una ‘distanza’ che in precedenza non aveva immaginato. Questa pausa, inesistente nella continuità che contraddistingue la prassi modellativa, portò l’artista a esiti diversi: sospensione del bozzetto preparatorio e sua sostituzione con altra idea (è il caso del Tito Livio per l’Università di Pado- va); lavorazione en-plein-air con ‘spettatori’ alla cava di pietra di Finale, per il Pegaso de- stinato alla città di Savona; decisioni dramma- tiche come nel caso della decapitazione del marmo Donna che nuota sott’acqua (mossa decisiva, in netto scarto con il modello prepa- 21
ratorio di cui si conserva il bronzo ad (risalente appunto a quel momento) collezione e in altre consimili, come quanto mai all’idea di un nuovo clas- esemplare unico al Museo di Treviso). e in altre opere come Busto di ragaz- quella detta il Sasso, regalata ai co- sicismo, quindi sobrio e astratto dal Gli esordi e la prima notorietà per il za, di ascendenza quattrocentesca e niugi Calzavara-Mazzolà e imperdo- presente, prossimo alla metafisica giovane Martini furono contrassegna- la severa e spoglia Testa di ragazza, nabilmente distrutta poi dall’artista. dechirichiana più che al primitivismo ti, nel corso del secondo decennio del esposta agli Ipogei e subito acquisi- Busto di ragazza è il gesso più vicino di un Carrà; ed è anche molto affine a ’900, da una scultura privilegiata dal ta da Margherita Sarfatti per la sua al gusto di “Valori Plastici”, aderente quella atarassia a cui sono improntati punto di vista del profilo (Maternità, i volti delle allegorie nel Monumento di Fanciulla piena d’amore, La prostitu- Vado Ligure, di quella fase. ta) con soluzioni in alcuni casi addirit- Fin dal titolo, Fecondità è l’opera più tura bifronti, come in Carnaval. Pierrot, legata all’idea del “grembo plastico”; Colombina e Arlecchino, alla scultura ne appare l’esplicitazione letterale, a tuttotondo ancora legata in preva- come la verifica di un’idea program- lenza al punto di vista principale, fron- matica. Il nudo femminile stante dai tale, con La monaca (primo titolo: Al volumi grossolani è raffigurato come di là del limite), Fanciulla verso sera, in un momento di trance, di inconsa- Amica del cipresso. Trasferitosi a Mila- pevolezza, di sogno che sta per finire no nel 1920, in contatto con Carlo Car- ma che non è ancora propriamen- rà e con Margherita Sarfatti, nel clima te un risveglio. Fecondità, si discosta di ritorno all’ordine, Martini si vede clamorosamente dal contesto neo spinto a teorizzare pubblicamente quattrocentista degli artisti suoi co- una nuova idea di scultura tenendo etanei, impegnati nella riscoperta del una ‘conferenza’ in occasione della Museo, ma anche, va detto, rispetto a mostra personale alla Galleria degli tante altre sue sculture del momento; Ipogei di Via Dante. In quell’incontro, è una sorta di amuleto d’età arcaica autunno del 1920, l’artista propose per quello che Martini ci presenta, inquie- la prima volta l’idea, rimasta centrale tante prelievo da lontani ricordi gau- nel suo lavoro, del “grembo plastico”. guiniani (aveva già sperimentato una Il testo del suo discorso è perduto ma conclamata affinità con Gauguin nel- i frequenti richiami nell’epistolario e la terracotta del 1913: Ritratto di bam- soprattutto nei Colloqui sulla scultu- bina nell’età indecisa, nella collezione ra consentono di ricostruire quel giro Testa di ragazza, 1920, Medardo Rosso, Madame X, 1906 circa, di Gianni Mattioli); segno che il sintag- già collezione Margherita Sarfatti Venezia, Galleria Internazionale d'Arte Moderna di pensieri che vediamo ripercuoter- di Ca' Pesaro, dono di Etha Fles 1914, fotografia di ma “grembo plastico” non garantiva si nel gesso patinato della Fecondità Angelo Garoglio (2012) affatto un allineamento scontato da 22 23
Deposizione, 1944-45 parte del trevigiano agli ideali classi- cheggianti, ma intendeva gravitare attorno a quella zona oscura che è la tensione creativa orientata a realizza- re oggetti tridimensionali che portino il segno della loro genesi; il che signi- ficava conferire, alla cosa raggiunta dalla sua forma, almeno l’idea del fat- to che il convesso deriva dal concavo e ne porta la traccia, i segni, l’impronta. In quel contesto milanese una teoria avversa alla dissoluzione della forma poteva essere facilmente individua- ta e riconosciuta come polemica nei confronti di Medardo Rosso e dovet- te apparire perfino eccessiva, se si tiene conto del fatto che lo scultore italo-francese (dedicatosi esclusi- vamente alla modellazione) aveva cessato di operare nel campo della scultura da vent’anni ed era (stato) tra gli artisti prediletti della Sarfatti. Non solo; se si pensa che al Museo di Ca’ Pesaro, Martini aveva potuto am- mirare con calma e ripetutamente una cera come Madame X, esposta alla Biennale del 1914 e donata da Etha Fles subito dopo a quel “Museo della Biennale” che era allora la Gal- leria Internazionale d’Arte Moderna di Ca’ Pesaro, si potrebbe pensare addi- rittura che la scaturigine del “grembo L’atmosfera di una testa, 1944 plastico” sia da rinvenire proprio nelle 24
opere dello scultore che veniva pre- so di mira come responsabile dello sfaldamento dell’immagine in chia- ve postimpressionista. Madame X, un ovale còlto nella luce al chiudersi in se stesso oppure al contrario fer- mato provvisoriamente nel momento della sua germinazione primordiale, poteva essere letto come embrione di quel “sasso” che Martini inseguiva come esito assoluto del fare plasti- co: il positivo che appare come frutto plastico appunto del grembo, inteso quest’ultimo alla stregua del vuoto generatore. Un riferimento altrettan- to problematico potrebbe riguardare l’opera di Adolfo Wildt, altro artista di casa Sarfatti, il quale proprio nel 1920 stava ultimando il suo libro L’arte del marmo (pubblicato l’anno dopo) in cui, al di là dei metodi tecnici illustrati alla pari di un maestro di corporazio- ne dell’età medievale, lo scultore mi- lanese evocava tanti suoi lavori im- postati sul rapporto pieno-vuoto. Le soluzioni opposte agli incalzanti problemi formali non devono distrarci dal fatto che il pensiero che le gover- na è il medesimo: il Torso di ragazzo e il San Giovannino (‘Michelangelo’, questa volta intermediato da Wildt, e La Carità, marmo di Carrara, 1937, partic. della Giu- ‘Donatello’), così lontani e in apparen- stizia Corporativa, Bologna, Genus Boboniae, Casa Dedalo e Icaro, 1937, za inconciliabili, sono soluzioni com- Saraceni partic. della Giustizia Corporativa, Bologna, Genus Boboniae, Casa Saraceni 26
plementari. Nel primo il corpo è ridot- di modo che il conflitto tra spazio inter- del piacentiniano Palazzo di Giustizia to a guscio, scorza, involucro tagliato no e spazio esterno alla figura risulta di Milano, non potrà sfuggire a questa due volte (in verticale e in orizzontale) in equilibrio perfetto. Nel 1935, quan- sensazione di essere davanti a corpi e svuotato (ma meglio sarebbe dire: do Martini lavora al “Ciclo di Blevio”, la che respirano; se poi fosse possibile riempito di vuoto) in uno squilibrio che pausa dai lavori monumentali lo porta collocare di fronte al rilievo martiniano si annuncia inquietante; nel secondo a riflettere, come aveva fatto attorno al le due estrapolazioni a tutto tondo che il confine tra spazio e corpo è talmen- 1920, sulla scultura come respiro inter- Martini ha ricavato dall’insieme – De- te sottile che quasi non si percepisce, no alla materia; e, anche questo è un dalo e Icaro e La Carità – esposte alla particolare che sappiamo dai Collo- III Quadriennale di Roma del 1939 nella qui sulla scultura, la sperimentazione disattenzione generale e ora conser- consistette allora nei lavori di Blevio, tra vate al Museo della Città di Bologna, cui spicca per assonanza donatelliana si avrebbe palpabile la sensazione di il San Giovannino, in una tecnica sofi- un grembo che ha partorito, di un po- sticatissima da orefice-chirurgo, con- tenziale sorgivo non più esteticamente sistente nel tagliare la creta e operare rattenuto ma finalmente manifestatosi per spinte interne, così che, appunto, appieno. l’esito risentisse (come infatti risente) di Prossimo al San Giovannino, e forse un’aura specifica, non priva di grazia, precedente, è l’ineffabile Pastorello, così rara nelle opere dell’artista. Non va privo di peso, leggero senza essere dimenticato che la pausa ‘comasca’ atletico, classico e non neoclassico Ragazzo seduto, 1930 avrà una ripercussione immediata nel (potremmo dire con Lionello Venturi), grande formato; la Giustizia Corpo- dinamicamente in stato di riposo, pre- Per quanto indifferente o addirittura a rativa del 1937 si distingue da tutte le sente-assente, dimentico di sé, discro- volte ostile alla versione in bronzo dei altre opere monumentali di Martini e nico, grazioso non lezioso, è opera dif- suoi ‘modelli’, lo scultore veneto avrà dall’intera scultura monumentale fa- ficile da datare con precisione perché dovuto ammettere che la versione scista, non solo per aver evitato le più compendia in sé antitetiche aspirazioni definitiva, se in bronzo, di un’opera mo- abusate iconografie del regime, ma martiniane: e, si direbbe, anche questo dellata da lui, era pur sempre la più in primo luogo per quel pneuma che suo sottrarsi a un preciso momento, a prossima alla creta (e al gesso che egli la sorregge, che la fa lievitare verso una data di nascita fissa e indiscutibile, stesso ne aveva ricavato) predispo- l’osservatore. Chi può osservare da appare come la cifra stessa dell’opera, sta per la fusione. Proprio l’esperienza vicino l’altorilievo martiniano, posto in indubbiamente modellata con mano milanese-carrarina successiva, negli mezzo tra quelli di Romano Romanel- felice o nella seconda metà dei ’20 op- anni ’30 con le opere monumentali, gli retro del Ritratto di Ferrarin di Adolfo Wildt, 1929 li e di Arturo Dazzi, al secondo piano pure a metà anni ’30. avrà fatto sperimentare che il lavoro 28 29
Orfeo, 1946 litoceramica Piccinelli, collezione privata di mediazione degli scalpellini non era ignude, soave nel suo martirio, pallido solo una tappa tecnicamente neces- nell’argilla chiara, palpitante nello spa- saria dal gesso al marmo compiuto, zio, è una scultura esemplare di un pe- ma una approssimazione alla versione riodo nel quale le contraddizioni della finale che spingeva a modificare l’im- statuaria sembrano placarsi in un dia- pianto iniziale, suggerendo o forse im- logo sommesso, non più di contrasto, ponendo innovazioni stilistiche a volte tra spazio e volume, come era acca- sostanziali (l’esempio più chiaro è nei duto attorno al 1920 sempre a Milano. riquadri per il Palazzo dell’Arengario di In queste estreme prove sappiamo Piazza Duomo, poco osservati e poco che l’artista manipolava la creta non discussi). La modellazione diretta in ar- prima di averla infagottata con panni gilla, culminata nelle grandi terrecotte umidi, così da evitare il contatto diretto di due metri del 1930-32, poteva arriva- delle sue mani con una superfice che re a effetti sintetici molto efficaci, ac- egli voleva quasi intonsa, appena ac- colse gli spacchi, le aperture, le finestre cennata nei passaggi delicati, come se che egli aveva sperimentato nelle ma- essa si fosse espansa autonomamen- ioliche prodotte in Liguria, ad Albisola te, senza l’intervento sensibile dell’auto- e a Nervi, nella fine anni ‘20; ma furono re. Si percepisce in atto la tanto perse- le schegge del marmo di Carrara ad guita utopia della scultura come pane avvicinarlo al ‘cubismo’ maturo della che lievita, un’altra metafora che ricor- stagione veneziana. re nelle sue esternazioni, equivalente a Alla fine della sua vita, nella Bergama- quella così fondamentale di “grembo sca prima e nella Milano semidistrutta plastico”. Nel San Sebastiano (come dai bombardamenti poi, con l’ener- in tutte le altre ceramiche modellate gia elettrica razionata, letti provvisori allora per la ditta Piccinelli) si percepi- dove passare la notte, pasti irregolari, sce che queste teorie martiniane non insomma nella precarietà dell’esisten- erano sovrapposizioni ideologiche ma za, Martini trova rifugio, è il caso di dirlo, sentitissime esigenze espressive; che per l’ultima volta nella terracotta e in nelle situazioni nuove permettevano generale dunque nella ceramica che all’artista di modulare risposte adat- lo aveva visto imporsi da giovane, a te seguendo quell’a-priori maturato a Treviso, attorno al 1909. Il San Seba- Milano nel 1920. stiano, morbido quanto mai nelle carni Sono portato a interpretare così la dia- 30
Pietà, 1946 litoceramica Piccinelli, collezione privata lettica anima/corpo che Martini stesso ostacolata dalla difficile presa di visio- ha pensato e enunciato nei momenti ne diretta delle singole opere. di crisi (crisi, nel suo caso va tradotto, Ci viene in soccorso, a questo punto, alla lettera, come scelta). la filosofia di Hannah Arendt che nella Ogniqualvolta l’artista percepisce che diagnosi elaborata all’altezza del 1958 la sua vena narrativa ha preso o ri- (The human condition*), chiudeva i schia di prendere il sopravvento, allora conti, senza nominarla, con la faticosa ecco il momento di crisi. Nel prevalere indagine del suo maestro tedesco su del narrativo, potremmo dire, è il corpo questo aspetto specifico, con una af- che, di primo acchito, sembra preva- fermazione che facciamo nostra, dopo lere; è nelle pause invece, più o meno quanto si è detto a proposito dell’ar- prolungate, che l’anima manifesta tista italiano che apparentemente tutta la sua essenza. Nelle pause, negli sembra distante da questa imposta- intervalli, nelle periodiche sospensioni, zione, e che suona come ammoni- nelle interruzioni anche lunghe, nelle ri- mento per chi si è accostato a Martini nunce, nei passi falsi, nelle intraviste al- con superficialità: ”Le opere d’arte sono ternative alla scultura (per esempio: il cose di pensiero”. disegno e l’incisione, sempre; la pittura, dal 1939) – maturava la necessità della Nico Stringa crisi, della scelta. Non si tratta dunque di provvisorio intuito, colpo d’ala o mo- mento felice, né di improvvisazione o *Hannah Arendt, Vita activa. La condizione umana, ispirazione ad effetto; al contrario, pre- tr. it. Milano 1991 p. 121; “The works of art are thought things, but this does not prevent their beeing things” senza sotterranea o affiorante di alcu- p. 169 della seconda edizione, Chicago e Londra, 1998 ne idee regolative che si impongono La bibliografia minima per seguire il tracciato di que- perentorie in alcune fasi, che sembra- sto intervento è costituita dalle seguenti voci: Arturo Martini. Catalogo ragionato delle sculture, no svanire in altre, per affermarsi con a cura di Gianni Vianello, Claudia Gian Ferrari, Nico sempre maggiore decisione negli anni Stringa, Vicenza, Neri Pozza ed., 1998 Arturo Martini, Le lettere 1909 – 1947, a cura di Natale finali della sua attività. Questo percor- Mazzolà, prefazione di Giovanni Comisso, Note bio- so ambivalente e ricco di sorprese è grafiche di Bepi Mazzotti, Firenze, Vallecchi ed. 1967 Arturo Martini, Colloqui sulla scultura 1944-45 raccolti probabilmente alla base della con- da Gino Scarpa, a cura di Nico Stringa, Treviso, Cano- trastata acquisizione critica dell’opera va ed., 1993 (1997) Giorgio Agamben, Divagazioni sulle “Collegiali” di Ar- martiniana nel suo complesso, spesso turo Martini, in “Ricche Minere”, n. 11, 2019, p. 119-120 33
OPERE
Fecondità Arturo Martini (Treviso 1889 - Milano 1947) F E C O N D I TÀ 1920 – 1921 gesso patinato a terracotta, cm 68 x 23 x 23 collezione privata Chiamato a far parte del gruppo di artisti ruotanti attorno alla rivista “Valori Plastici”, Martini non lavora tanto sul ritorno al mu- seo ma propone soluzioni come Fecon- dità in cui l’arcaismo si manifesta come forma in espansione, spazio interno libero di lievitare e quindi anche di deformare. 36
Fanciulla col passero Arturo Martini (Treviso 1889 - Milano 1947) FAN CI U LL A CO L PAS S E RO 1922 circa bronzo del “centenario” (1989) dal modello in gesso del 1922, cm 77 x 40 x 24 collezione privata Il tema già presente in un’opera giovani- le proviene dai motivi decorativi dei piatti popolari dell’800, per non parlare dell’i- conografia cristiana e di ambito classico antico. La compostezza della figura, la ve- ste ondulata e aderente, le braccia con- serte – tutto converge a trattenere il silen- zio che avvolge questa giovinetta assorta nei suoi vaghi pensieri. 38
Pastorello Arturo Martini (Treviso 1889 - Milano 1947) PASTO R E LLO 1928 circa terracotta chiara, esemplare unico, cm 35 x 17 x 20 collezione privata Non cessa di sorprendere questa terracotta di Martini, nota in esemplare unico, ricca di fascino come se fosse una porcellana del ‘700; il modellatore, infatti, si è messo all’o- pera con una sensibilità rara, trasferita em- paticamente nella resa perfetta dei volumi solidi ma scattanti, libero da richiami mu- seografici, come se tutta la grazia del “fare forma” si fosse concentrata in quell’ora, in quello spazio. 40 41
Torso di giovinetto Arturo Martini (Treviso 1889 - Milano 1947) TO RSO D I G I OVI N ET TO 1929 bronzo, cm 74 x 37 x 21 collezione privata Subito apprezzato dai contemporanei al pun- to di venir installato in importanti occasioni da parte degli architetti razionalisti milanesi, il Torso di giovinetto, pensato come un guscio, come la scorza strappata da un albero, ci mo- stra un Martini sperimentale già a fine anni ’20, proteso alla ricerca di quella “scultura cava” che diventerà centrale negli anni veneziani quando, come ultimo frutto di questa indagi- ne, l’artista arriverà a concepire Atmosfera di una testa, conservata al Museo del Paesaggio di Verbania Pallanza. 42 43
San Giovannino Arturo Martini (Treviso 1889 - Milano 1947) SAN G I OVAN N I N O 1935 bronzo, cm 47 x 18 x 12,5 collezione privata Modellato in creta a Blevio, sul Lago di Como, esprime la sfida antimonumentale dello scul- tore nel momento in cui egli era sempre più coinvolto in grandi opere per il regime. In quella fase, il richiamo esplicito al modellato donatel- liano indicava la volontà di Martini di mettere in evidenza la necessità della misura, del ritmo, delle proporzioni, nel pieno rispetto della gran- de tradizione rinascimentale. 44 45
San Sebastiano Arturo Martini (Treviso 1889 - Milano 1947) SAN S E BASTIAN O 1946 terracotta, cm 45 x 13 x 12 È una delle ultime creazioni martiniane in terra- cotta, la materia prediletta dall’artista che tra il 1946 e il 1947 modella una serie di opere di pic- cole e medie dimensioni ispirate sia a temati- che religiose che mitologiche, tornando come per un addio ai modi dei primi anni ’20: volu- mi morbidi tesi a far percepire la forma come confine tra spazio interno e spazio esterno, in questo caso in perfetto equilibrio. 46 47
MARTINI N E L L A C I T TÀ D I M I L A N O
PALAZZO DELL’ARENGARIO Le sculture esterne, quotidianamente sotto i nostri occhi, rischiano grosso, e non solo per- ché sono aggredite da agenti esterni corrosivi, ma anche perché sono ‘consumate’ da una nostra sottile ‘malattia’: l’abitudine, che spes- so porta all’assuefazione. In una occasione come questa, che rende visibili sculture di Ar- turo Martini in centro a Milano, abbiamo volu- to richiamare l’attenzione sugli splendidi rilievi che lo scultore ha scolpito e posizionato (1942) tra gli archi e sotto la balconata dell’Arenga- rio progettato da Giovanni Muzio, in Piazza Duomo, ora sede del Museo del Novecento. Vi sono raffigurati momenti centrali, emble- matici, della storia della Città, quasi potesse o 51
dovesse trattarsi – in quei mesi ter- ribili – di un’opera a futura memoria. Rimaste intatte dai bombardamenti aerei, le sculture sono una eloquente e pubblica testimonianza della svolta postcubista che Martini imprime alle sue opere monumentali, segnando una netta distanza dall’altro suo ca- polavoro ‘civile’, la Giustizia Corpora- tiva collocata all’interno del Palazzo di Giustizia di Marcello Piacentini, nel 1937. E’ qui opportuno ricordare che, nel 1990, il restauro dei marmi fu or- ganizzato dal Comune di Milano e sostenuto dall’Associazione Amici di Arturo Martini guidata da Claudia Gian Ferrari che allora, con la colla- borazione di Giovanna Alessandrini, curò un prezioso volumetto pubbli- cato da Franco Maria Ricci con le splendide fotografie di Brooks Walker che ha gentilmente acconsentito di ripubblicarle qui oggi. 52
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IL GRUPPO SCULTOREO DELL’OSPEDALE MAGGIORE 57
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DOCUMENTI E TESTIMONIANZE
IL TRUCCO DI MICHELANGELO* Un giudizio inedito di Arturo Martini Comodità di rima, probabilmente, indusse Mi- chelangelo a dire in un sonetto che la scul- tura si fa levando il superfluo. L’affermazione assunse nei secoli un tale valore di giudizio da far ritenere tutte le sculture «modellate» come opere inferiori in purezza: quella frase, insomma, parrebbe voler mettere in un piano superiore la scultura fatta levando dal bloc- co, rispetto a quella fatta mettendo, tanto da meritare la qualifica di vero scultore soltanto a quello che opera col primo sistema mentre l’altro si sentì definire, spregiativamente, mo- dellatore. Se per caso anche Donatello avesse avuto la passione di scrivere, certamente avrebbe detto che la scultura si fa mettendo il neces- sario. Quel tale criterio convenzionale nel giu- dicare la scultura si sarebbe semplicemente invertito. Se non fosse assiomatico che si può raggiungere lo stesso punto di grandezza tanto col levare di Michelangelo che col met- tere di Donatello, bisognerebbe negare tre quarti dei capolavori della scultura del pas- sato. Ma io voglio andare in là, discorrendo della maggiore facilità di raggiungere il peso assoluto da parte di Michelangelo rispetto a Donatello. Ogni opera d’arte quando è raggiunta pos- siede un peso assoluto, tant’è vero che tut- 65
te le arti, per questa ragione, hanno deve levare il superfluo e Donatello tista classico come Donatello, dalla nel muro, diventa simpatica, mentre una parente; codesta condizione di che deve mettere il necessario – Mi- materia molle e pronta allo svolazzo, la scultura aggiungendo è un po’ peso assoluto o pienezza si può ri- chelangelo si trova ad avere minor si trova tentato, durante il lavoro, da come la pittura ad olio, ostica e che, scontrare per solennità, per compo- percorso per raggiungere il peso soddisfazioni improvvise di carattere lavorando, più facilmente può inari- stezza: una specie di peso specifico assoluto o punto ideale spostato romantico. Tant’è vero che quest’uo- dire lungo la strada. che, se anche non si può definire, si verso la interezza del blocco, e an- mo si contentò di fermarsi più volte, Come l’oro per diventare espressio- sente precisamente. che se non lo raggiunge gli bastano dopo avere appena ricoperto l’ar- ne umana, cioè monile o marengo, Per spiegare i due casi che abbiamo pochi tocchi per far vibrare il blocco matura, come si vede nei suoi San ha bisogno di un tanto di rame, così identificato in Michelangelo e in Do- informe; mentre Donatello doveva Giovannino; cosa che non si vede la scultura ha sempre la partenza natello, immagineremo questi due cominciare dal nulla, facendo una quando, in un caso isolato, leva dal da una presunta sfera che bisogna rappresentanti ognuno alle estre- armatura ipotetica che – si sa per blocco e fa il David. profanare con un tanto di umano da mità di un medesimo segmento. pratica – è sempre approssimativa. La durezza della materia dà poi una renderla espressione. Michelangelo Metteremo lo zero a indicare quella Così, per un tanto di pigrizia, vedre- lentezza meditativa e non permette ha tutto questo; Donatello, no. Tanto di Donatello siccome egli parte dal mo Donatello fare sculture magre, divagazioni. è vero che Michelangelo scopriva la nulla, e metteremo 100 all’estremo di mentre Michelangelo, per la mede- Siccome è uso dire che la statua espressione con una candela in te- Michelangelo siccome parte da un sima dose di pigrizia – quello, mette deve conservare il blocco, Michelan- sta per proiettare una luce radente blocco. Facile è capire guardando poco; questo, leva poco – con meno gelo parte dal blocco e lo conserva; affinché gli venissero dei suggeri- qualunque scultura: e si può osser- sforzo di Donatello (sforzo non fisico, l’altro, partendo dal nulla, deve rag- menti, analogamente al consiglio varlo meglio nei Prigionieri, come nei naturalmente: e anche di questo di- giungerlo (sebbene anche questo di Leonardo ai pittori di ispirarsi dal- Memnoni egizii, o, poniamo, nell’O- scorreremo più avanti) raggiunge del blocco sia un altro luogo comu- le macchie dei muri. Donatello non beso del sarcofago etrusco al mu- o si avvicina più facilmente al peso ne sulla classicità perché anche in aveva nulla di tutto questo. seo di Firenze, e in infiniti altri capola- assoluto. bronzo si può arrivare alla scultura Ho adoperato in principio la defini- vori, nei quali il centro ideale – ossia Altro vantaggio di massima impor- classica fuori dalle leggi della prigio- zione di peso assoluto. Perché non il peso assoluto – non coincide con tanza per chi cava il superfluo dal nia del blocco, come si può vede- rimangano dubbi o equivoci, dirò la metà geometrica tra i due punti di blocco è quello di trovarsi dinanzi ad re nel Discobolo, nell’Auriga di Delfi, [che] per la scultura l’assoluto si può partenza, ma esso si trova nel tratto una maestà espressiva come può ecc.). Il senso del bloccato nel mar- rappresentare con un otre che con- che va dal 50 verso il 100. Stando così venire da una rupe o da una monta- mo credo sia un ripiego per evitare tenga dell’acqua: esso non dovrà le cose, si capisce benissimo come gna: suggerimenti di compostezza, le rotture. essere talmente turgido da costitu- la sentenza di Michelangelo possa di solennità che formano i caratteri Ancora dirò che nella scultura in le- ire l’inespressione rigida dell’oggetto. suonare allettante. dell’opera classica – e questo può vare avviene qualcosa che somiglia A questo otre deve essere permes- Dato il diverso punto di partenza dei succedere anche a un romantico a ciò che accade nella pittura ad af- so un movimento interno, un giro due modi – cioè Michelangelo che come Michelangelo – mentre un ar- fresco dove la pennellata, dilatando dell’acqua. Da questo peso assolu- 66 67
to dell’otre, la grandezza di un arti- principio e della fine di qualunque ta per guarirsi. Sanguigno era anche sta sta nell’esprimere mondi diversi estro, di qualunque fatica e di qua- Leonardo, ma per levarsi l’impeto senza mai diminuire ulteriormente il lunque stanchezza. E si sa benissi- scriveva la pagina al rovescio. volume dell’acqua: ciò vuol dire con- mo che il primo può essere stanco Quando mi riesce qualcosa, si giudi- servare il blocco o peso di scultura. fisicamente mentre il secondo si ca che io abbia dei «trucchi». Quello Una sfera è un otre turgido e quindi stancherà sempre spiritualmente. E del levare dal blocco fu il «trucco» di negato ad esprimere; per significa- qui è il pericolo rispetto alla vitalità Michelangelo, Donatello, forse con re qualcosa a suo mezzo lo si deve dell’opera in quanto il secondo, non più genio, non lo scoprì. liberare di quel tanto che conceda i essendo stanco fisicamente, conti- «movimenti» interni di rappresenta- nua a lavorare incontro al pericolo di zione umana. Chi leva troppo va ver- guastare la propria opera. Stancarsi so il gingillo, il traforo, la decorazione, fisicamente vuol dire anche purgarsi i languori romantici. Un otre riempi- di quegli scatti che sono tanto dan- to in quella adatta misura – senza nosi nell’opera. Il marmo non li per- pieghe ma anche senza rigidità che mette mai, mentre tutti gli estri sono è il peso di scultura o punto idea- permessi dalle materie molli: perico- le – se io lo schiaccio da una parte, lo al quale abbiamo già accennato. si espande dall’altra. Michelangelo L’opera d’arte è un fatto di circola- partiva sempre da questi assoluti: lui zione di sangue: la mediocre circo- non faceva che un piccolo schiac- lazione di un mediocre artista porta ciamento mantenendo il peso: quin- sempre l’opera a compimento. Una di l’otre c’era e l’acqua c’era, men- forte circolazione nell’uomo di genio tre Donatello non l’ebbe mai perché mette sempre l’opera, ogni minuto, aveva davanti uno spazio immagi- a repentaglio. Chi ha poca circola- nario. zione di sangue vede le tappe dell’o- Insomma, siccome la grandezza è pera, ne controlla i gradi e i livelli; chi una tappa verso l’impersonalità e ha una forte circolazione di sangue siccome l’uomo è sempre inferio- difficilmente si accorge che l’opera re alla Natura, il masso dominando è stata dieci o venti volte superiore Michelangelo gli proibiva il completo nelle diverse tappe. innesto della sua personalità, men- Sanguigno era anche Michelangelo tre chi mette è vittima assoluta del ma col blocco trovò la cura perfet- *da “L’Illustrazione Italiana” n. 13-14 del 4 aprile 1948 68 69
MEMORIETTE DI VITA ARTISTICA* A Scuola da Martini Arturo Martini era uomo di fantasia non sol- tanto quando inventava le forme delle sue grandi terrecotte, ma anche quando raccon- tava col suo vocione spiegato le astuzie con cui riusciva a formarle: grandi gruppi come Chiaro di luna o Gli sport invernali. Parlava, e muoveva le belle mani come stes- se lavorando: «Incominci subito – diceva – a costruire in mattoni il fornello del forno, sul quale la scultura sarà cotta a fuoco forte. Lì, sul piano del fornello, coi suoi buchi per il ti- raggio del fogo, tiri in piedi le tue figure. Una alla volta, si capisce. Tiri in piedi la prima, co- struendola a buco d’ape. Quando arrivi alla cintola aspetti che la terra secchi, e intanto fai calare con una corda dal soffitto, sulla mezza figura vuota, un «sambelo» di paglia, che ne abbia press’a poco il volume. Su quel «sam- belo» costruisci l’altra metà, la più delicata, della figura. La corda, pica al soffitto, deve essere cedevole, così da allungare a piacere sulla mezza figura finita. Eviterai così le crepe, perché la creta perdendo acqua rimpiccioli- sce di un decimo del suo volume. Quando il gruppo sarà seccato chiami i fornaciai, che costituiscano il forno in mattoni attorno alle due figure: il forno con i suoi sfiati e il cami- 71
no, in modo che le fiamme salgono pagine, era rimasto perplesso. Mar- scolpito il Mazzoni, Gianlorenzo Berni- Martini scriveva a Natale Mazzola intorno alle figure. Il dì in cui accen- tini non era bramoso di pubblicarlo ni, il Mochi. Non era quindi un discor- spedendogli la fotografia del Pega- derai il fogo, bisognerà che sia bel- quanto invece di scolpire e model- so plastico nuovo. Era vitale il modo so «Sarà in marmo di Chiampo e a tempo, che non tiri vento, che il fumo lare, ricchissimo com’era di idee pla- in cui inventava i suoi personaggi, Chiampo andrò a lavorarlo, e credo della legna che brucia non si insac- stiche che smentivano quel dettato il gusto della materia, la cadenza che incomincerò tra dieci giorni». chi nel camino». furioso: La cavalla che allatta (1943), dei piani costruttivi; ma era sem- E poi, alla figlia Maria, il 3 settem- Se nello spiegare il meccanismo del- il frammento delle Donne al mare pre scultura che metteva l’accento bre: «…Grazie della tua gentilezza, le figure da cuocere a regola d’ar- (1944), e poi il marmo del Palinuro espressivo sulla forma. Si sarebbe che in questo momento e in que- te non si fosse aiutato con le mani, (1946), posto nell’atrio del Bo a Pa- potuto per ogni statua che usciva sto luogo desolato (Chiampo), mi avrei capito poco le sue malizie. Così dova. Ma come poteva essere nato dalle sue mani prodigiose, trovare giunge come un gran conforto. Io aveva modellato Chiaro di luna. nella fantasia di Martini quel discor- degli antefatti figurativi nella grande sono veneto e non conoscevo i ve- «E la balaustra davanti alle figure, coi so paradossale sulla Scultura, lingua tradizione della scultura italiana, da- neti, e quando il veneto (l’ho capito pilastrini che pendono?» morta, a ridosso del Tito Livio (1941), gli etruschi ai Pisano, ai donatelliani, qui) butta male, è veramente una «Accessorii – rispondeva – roba da per la sala d’ingresso del Liviano di per arrivare – sembra scandaloso a cosa esasperante: gente presuntuo- bravi operai. Del resto nella fornace Padova? Quel marmo arroventato dirlo – ad Antonio Canova. sa, nella grettezza e nell’ignoranza, di Vado Ligure ce n’erano di bravis- smentiva in modo clamoroso le idee arrivano anche alla cattiveria. Per simi». che lo avevano fatto nascere. Era, già nei 45 giorni di Badoglio, un fortuna resterò poco e per questo Martini, trasferitosi a Venezia negli Le idee in cui Martini aveva creduto uomo che teneva la fantasia coi poco cercherò di sbrigarmi e di finire anni della guerra, abitava sulla Pun- per quasi quarant’anni, potevano denti. L’avevo incontrato il 26 luglio, questo monumento lavorando sen- ta della Dogana, Dorsoduro 46, lo essere spezzate via da un eccesso con Scarpa, De Luigi e altri, che face- za passione e in fretta. Ora anche i studio che oggi è di Vedova. In una della fantasia? Le sue, in opposizione vano festa per la caduta del Regime, committenti mi rompono le scato- di quelle stanze avevo visto, nel 1943, a quelle di Medardo Rosso, non era- a colazione alla Colomba. «Trovami i le: proprio ora, che ho comperato il il grande bozzetto in gesso del Pe- no apparse in lui come il presagio di marmi per scolpire il Pegaso caduto» marmo col loro consenso, vorreb- gaso caduto in mare, modellato in un nuovissimo stile? Ora quelle idee aveva detto quel dì con un’aggressi- bero che fosse il marmo di Carra- preparazione del marmo dedicato naufragavano paurosamente, forse vità improvvisa. La voce rotonda era ra, e pensa che sono già a un terzo ad Arturo Ferrarin. Il cavallo che pre- nel clima di una depressione ina- impotente. Voleva due blocchi im- della lavorazione… però credo non cipitava con le ali spezzate era una spettata. possibili da sovrapporre: lunghezza sia proprio il marmo: ma che siano grande architettura, infranta poeti- C’era, in questa situazione, quasi un cinque metri, altezza due metri; e a spaventati proprio del bozzetto che camente nel tragico volo. Aveva già segno premonitore. La sua arte non Carrara non si erano trovati. è molto moderno, e che per me è manoscritto, con uno sprezzo prepo- aveva aperto la strada a un nuovo Gli avevo risposto che li avrei cerca- bellissimo, bello veramente». E an- tente, il libello Scultura, lingua morta; modo di vedere e rappresentare la ti a Chiampo; e la ricerca ebbe esi- cora in settembre, a Aldo Buttini, di e Silvio Branzi, dopo aver letto quelle forma. Con gli stessi stilemi avevano to fortunato. Il giorno 11 agosto 1943 Carrara, «Io sono qui a Chiampo, alle 72 73
prese con questo marmo… Qui man- tre attraversava quasi correndo il tini in Piazza della Vittoria a Brescia, li, nei cantoni di Palazzo Ducale, dei ca il più piccolo spirito d’arte e cre- piazzale della chiesa della Salute, e distrutta in seguito a un bombar- Lamberti, dei Bon; e meglio anco- do di destare in questi bifolchi solo il 7 ottobre. Accompagnavo Anto- damento aereo; e poi aveva fatto ra sbirciando l’Eva di Antonio Rizzo, ilarità…». Il 26 gennaio 1944, ancora a nio Bartolini, ricercato dalla polizia e vedere Ofelia (la Giovinetta morta), dentro il cortile. E tuttavia gli pareva Natale Mazzola: … «ora il monumento fuggiasco da Vicenza, dove aveva ancora del 1931. Intanto il Nudo al più congeniale al suo modo di mo- dell’aviatore Ferrarin, giudicato ope- diretto il giornale durante i 45 gior- sole (1930) aveva destato allarme tra dellare qualche figura anonima as- ra eccellente dai migliori, è sospeso ni di Badoglio. Martini ci vide, fece i discepoli di Libero Andreotti da una sisa sul pilastrino di un monumento, perché è un salumaio di Thiene, che un grande saluto; poi, accortosi che parte, e quelli del grande marmora- un po’ fissa e allocchita da un estre- è nel Comitato, non lo vuole…». gli andavamo dietro, levò ancora la ro Arturo Dazzi. Forse i giovani peri- mo candore. L’interruzione della scultura non sarà mano e con il suo vocione di bas- tissimi in ogni sorte di astuzie erano stata provocata soltanto dal salu- so gridò: «Addio, addio, io non vi ho sul punto di imparare la lezione; e Neri Pozza maio di Thiene. Il fatto sta che in pie- visto». Il tono del saluto superava le magari qualcuno di loro l’avrebbe no inverno Martini lascia Chiampo strilla della gente. «Io non vi ho visto» messa a frutto se non si fossero la- per riparare a Venezia. Non cono- ripete; e allungava il passo precipi- sciati corrompere dalle pressioni del sco il seguito dei fatti. A guerra finita tosamente. Regime, che voleva commemorati i l’abbozzo del monumento venne ta- Eppure, malgrado le disavventure suoi fasti. Non presero esempio dalla gliato in tante lastre per farne rive- occorse a un temperamento im- terracotta del 1932 e nemmeno dal stimenti di edifici. Così venne perdu- pulsivo, fantasioso e appassionato bronzo celebrativo del Minniti, (1936), ta una delle grandi occasioni della come quello di Martini, la sua scul- col quale Martini giocava la sua car- scultura moderna: averne, in con- tura ruppe le consuetudini alle quali ta, (non era la prima volta che lo fa- to di un monumento, una scultura era abituata la plastica del terzo de- ceva); e del resto assolve al suo ruo- d’eccezione. cennio del secolo: anzi, nel 1932, ven- lo celebrativo con una rara dignità ne addirittura sconvolta dalle cin- formale. Dopo il reperimento dei marmi, que terrecotte esposte alla Biennale. Forse Martini non sapeva riportare la mentre lavorava, Martini mi aveva Oltre al Chiaro di luna e agli Sport scultura, con il suo linguaggio plasti- invitato a Chiampo, si sarebbe guar- invernali, c’erano La veglia, Il son- co ricco di senso vitale interno alla dato l’impianto della scultura e poi no (rivisto quest’anno al padiglione forma, a quella suggestione inventi- mi avrebbe invitato a colazione da italiano del Beaubourg), e l’Aviatore. va che era mancata ai suoi colleghi Patta. Gli avvenimenti successivi all’8 Già nel 1931 aveva scandalizzato il europei: la spontanea bellezza che settembre mi avevano impedito di mondo sottoculturato degli scultori soltanto i primitivi italiani avevano farlo. italiani con L’Annunciazione, murata trafuso nei loro marmi. Ah, i marmi! Avevo rivisto Martini a Venezia, men- sulla parete di un edificio di Piacen- Come si divertiva Martini a scrutar- *da “Il Gazzettino” del 10 giugno 1982 74 75
FIRENZE: 50 SCULTURE* Martini, corpi ancora vivi Firenze. Un’altra bella mostra dedicata ad Ar- turo Martini, stavolta a Palazzo Medici Riccardi, aperta fino al 15 settembre. Curata da Mario De Micheli, Jean Clair e Claudia Gian Ferrari, la mostra vanta una cinquantina di sculture tra cui spiccano capolavori come «Ofelia» del 1922, il grande «Figliol Prodigo» del 1926, «La Pi- sana» del 1928, «La Nena» dello stesso anno, «La Lupa» del 1930-’31, «Donna al Sole» sempre del 1931, «La Convalescente» del ’32, «Tobiolo» del ’34, «La Chimera» del ’35 e «Testa di Ra- gazza» del 1947. Nato nel 1889 a Treviso e morto a Milano nel 1947, Martini ebbe una vita quanto mai col- ma di eventi e di creatività, ispirato da gran- di artisti come Gino Rossi e dalla «scuola di Monaco», oltre alla serie delle sue inesauribili meditazioni sull’antico. Che fosse uno scul- tore sempre disposto a entrare nel perso- naggio per caratterizzarlo più a fondo è ben noto e così che fosse capace di far vibrare ogni figura di una sua verità emotivo-gestua- le assoluta, perentoria, spesso inarrivabile in quanto a qualità espressiva. Così, nella sua arte, confluiscono insieme creatività plastica e emozionale, capacità di bloccare il gesto in una sorta di perennità, malinconia e fierezza vissute insieme in una «summa» inspiegabile ma anche ricorrente e integrante e la fanta- 77
sia e la realtà. mente fuori dal comune. arte. Che, come s’è accennato, s’e- Perché in Arturo Martini la vita intera Si pensi, oltre ai capolavori suddetti, sprimeva al massimo sia nel gran- confluiva nella sua creatività plasti- anche a piccole figure in terracot- de che nel piccolo, sia nei colossi ca e la verità quotidiana e la misti- ta, «Il Pastorello», e si capirà come suddetti che in operine come, oltre ca spirituale maturavano insieme e in questo straordinario artista re- al citato «Pastorello», «La moglie del indissolubilmente. Quanto e in qual altà e spiritualità leghino insieme pescatore» oppure «Ospitalità» o la misura lo dicono i capolavori che in un unico blocco umano certo e citata «Nena» oppure «La contadina» abbiamo descritto più sopra e che si perentoriamente autentico. In più, o «Toro» o «Testa di Madonna» o lo trovano esposti a Firenze. Quello che l’extra-temporalità delle sue figure, scattante «Ratto delle Sabine» op- più stupisce in queste opere è l’ar- il loro poter esistere in ogni momen- pure il mirabile «Violinista». monia delle forme, l’estrema purez- to e situazione, il loro crescere come Insomma, una mostra dove ancora za del loro svolgersi e snodarsi nello apparizioni nel mondo, il loro sonan- una volta Martini risulta un grande spazio, la forza della loro espressi- te e risonante vivere d’una vita che protagonista capace di affascinare vità per cui molte di queste figure, solo la grande arte può conferire alle ogni volta lo si veda, anche se certe oltreché perenni, sembran vive, lì lì sue immagini. opere le si son viste e riviste più vol- per uscire dalla figura di argilla o di La mostra – che è stata presenta- te. Eppure ogni volta sorprendono, piombo per camminare per la via. ta, anche se lievemente diversa, a spesso come vere e proprie novità. Le positure martiniane, in effetti, sono Londra – vanta un insieme certo su- oltreché numerosissime (quasi una perbo, con capolavori come il citato per statua) anche di una intensità colossale «Figliol Prodigo» o come Giorgio Mascherpa assolutamente unica; bisogna far «Donna al Sole» o «La Pisana». Ca- paragoni con artisti come Jacopo polavori che sono anche di grande della Quercia o Donatello o Bernini formato e che lasciano intuire quan- per poter istituire dei confronti utili to di cuore oltreché di mano, Martini con Martini, tra i moderni non esi- immettesse nelle sue opere. Inten- stendo invece chi gli si possa para- diamoci, non tutto quanto è in mo- gonare. Siano, le sue figure, uomini o stra è indimenticabile ma la mag- donne, figure in piedi, sedute, a mez- gioranza, certo, sì. zo busto, sdraiate o in punta di piedi, Chi riuscirà a visitare la mostra fio- in ogni caso la loro carica espressiva rentina non se ne pentirà di certo, e i loro significati sono colmi di veri- riporterà anzi l’intatta immagine del- tà umana e di «situazioni» assoluta- la grandezza di Martini e della sua *da “Avvenire” luglio 1991 78 79
BIOGRAFIA
ARTURO MARTINI Arturo Martini è nato l’11 agosto 1889 nel centro storico di Treviso, come tante altre famiglie povere dell’epoca che potevano usufruire di abitazioni di proprietà del Comune; nel suo caso ha avuto la possibilità, fortuita, di abita- re nella torre medievale Cornarotta, nei pressi del Duomo, dove si era allestito uno studio che affascinò il giovane Comisso. Autodidatta, si segnalò nella grafica con gustose caricature a quindici anni e potè in seguito apprendere le tecniche della formatura dallo scultore lo- cale Antonio Carlini. Attratto dalle numerose manifatture di ceramica della sua città, pro- dusse le prime terrecotte e disegnò e model- lò per la Fornace di Gregorio Gregorj, anche durante la lunga permanenza a Monaco di Baviera finanziata dall’industriale trevigiano, una serie di piccole sculture che rimangono tra i gioielli della ceramica italiana dell’epoca. Agli esordi in mostre cittadine nel 1907 e nel 1908 trovò in don Luigi Bailo, fondatore del Museo Civico, le prime committenze; fece se- guito l’affermazione a Venezia nelle mostre Bevilacqua La Masa, a Ca’ Pesaro, dove Nino Barbantini lo riconobbe come uno dei più pro- mettenti giovani di quella stagione culminata nel 1913, quando, tornato dal viaggio a Parigi del 1912, sia pure senza aderire al Futurismo, con Gino Rossi recepì le istanze rivoluzionarie dell’avanguardia italiana. Arruolato nel 1915 83
riuscì ad evitare il fronte e, trasferito mensioni, un monumento per la città resistente alle alte temperature, la- vole, della critica d’arte. In qualità di in uno stabilimento militare a Vado di Worcester, realizzato a nome di un vorata all’I.L.V.A., e un forno dentro al scultore ormai celebre è spronato a Ligure, conobbe Brigida Pessano altro artista, grafica, mostre anche quale può modellare direttamente le cimentarsi nei lavori monumentali in che avrebbe sposato nel 1920; subi- importanti a Roma, Firenze, Venezia. grandi sculture evitandone gli spo- pietra di Finale e in marmo; comincia to dopo il matrimonio, trasferitosi a Nel 1926 partecipa alla Prima Mostra stamenti, messogli a disposizione il momento più difficile e discusso Milano, entrò in contatto con gli am- del Novecento Italiano, chiamato da dall’ing. Publio Fusconi. E’ il momento della sua intera attività con opere a bienti artistici e culturali della città e Margherita Sarfatti, con Leda e il ci- di massima concentrazione da par- Napoli (la Vittoria delle bandiere alle durante una mostra personale pre- gno (il gesso al Museo di Monza) non te dello scultore che sforna, è il caso Poste), Roma (la Minerva all’Universi- sentò la sua idea di scultura come avendo fatto a tempo a realizzare di dire, le celebri grandi terrecotte tà) e soprattutto a Milano dove porta “grembo plastico”, ossia come forza la fusione del Figliuol prodigo, grup- ‘refrattarie’, di due metri, ad esem- a termine il Monumento agli Sforza e sorgiva che porta con sé il contras- po importante esposto solo tre anni plare unico (modellate in tempi brevi l’altorilievo per cui è giustamente fa- segno dello spazio generatore. In- dopo. Nel 1927, chiamato dall’archi- e con tecniche differenti) che lo por- moso: la Giustizia Corporativa al Tri- sediatosi a Vado Ligure fu cooptato tetto Mario Labò, modella un gruppo tano ai più alti riconoscimenti (Qua- bunale di Milano. come unico scultore dalla rivista di consistente di maioliche di piccola driennale di Roma 1931, Biennale di La frequentazione assidua dei la- Mario Broglio “Valori Plastici” a con- serie per la Fornace “La Fenice” di Venezia 1932): Donna al sole, Il pa- boratori di Carrara (Studio Nicoli, tatto quindi con Carrà, De Chirico, Manlio Trucco e due anni dopo un store, Le stelle, Chiaro di luna, Sogno, specialmente) lo mette di fronte a Savinio in una impresa culturale di gruppo di animali in esemplare uni- Aviatore, La veglia, Sport invernali, La dubbi e incertezze che portano l’ar- respiro europeo. In questi anni lavora co presso l’I.L.C.A. di Nervi; esposte Lupa, Ragazzo seduto, Venere dei tista a un distacco dai soggetti mo- in terracotta e in gesso, realizzando alle Biennali di Monza e alla Galleria porti, Annunciazione, Convalescen- numentali; si dedica allora a piccole opere straordinarie che però rimar- Pesaro di Milano gli spianano la stra- te, Ofelia. Sulla scia di queste opere sculture modellate dall’interno (il co- ranno di fatto sconosciute per molti da all’insegnamento all’Istituto Sta- pensate come rapporto tra la figura siddetto “Ciclo di Blevio”, 1935, cui ap- decenni fino a che Claudia Gian Fer- tale per le Industrie Artistiche di Mon- e lo spazio circostante (quinte, spac- partiene anche il San Giovannino) e rari non le ritroverà e farà conoscere za tra il 1929 e il 1930, dove, chiamato chi, finestre, balconate), spostando si dedica alla pittura, un settore che (donandone alcune, come L’amante da Guido Balsamo Stella, porta a la questione del “grembo plastico” lo vedrà impegnato, con fasi alterne, morta, al FAI di Milano a Villa Necchi). termine sculture subito riconosciute dalla singola opera a una conce- fino al 1946. Il ritorno al marmo nel Dopo aver vinto il concorso e realiz- da personalità come Lionello Ventu- zione “spazialista” più ampia, nasce 1941-42 coincide con la svolta che zato il Monumento ai caduti di Vado ri: La Pisana, Tomba di Ippolito Nievo. anche la figura sospesa e in fragile contraddistingue l’ultimo frenetico Ligure (1923), impostato su figure Tornato a Vado Ligure intenzionato equilibrio del Tobiolo in bronzo, crea- quinquennio quando Martini mette allegoriche di severa impostazione a riprendere le sperimentazioni sulla to per i più importanti collezionisti di in campo con nuovi risultati il pen- classica, si trasferisce a Roma e ad terracotta avviate a Nervi con il Be- allora, gli Ottolenghi Wedekind di Ac- siero utopistico centrato sul “grembo Anticoli Corrado impegnato su vari vitore del 1928, può usufruire di due qui Terme, ed esposto alla Biennale plastico”. Per capire questa situazio- fronti: sculture anche di grandi di- elementi decisivi: l’argilla refrattaria, del 1934 con coro unanime, favore- ne occorre osservare i rilievi dell’A- 84 85
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